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Il riarrangiamento di RET nel carcinoma colorettale metastatico: impatto prognostico e prospettive terapeutiche

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

Il riarrangiamento di RET nel carcinoma colorettale

metastatico: impatto prognostico e prospettive terapeutiche

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone

Correlatrice:

Dott.ssa Chiara Cremolini

Anno Accademico 2017/2018 Candidata:

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Indice

Riassunto

... 4

1. Generalità sul carcinoma del colon-retto

... 7

1.1 Epidemiologia

... 7

1.2 Fattori di rischio

... 8

1.2.1 Fattori di rischio genetici ... 8

1.2.2 Fattori di rischio non genetici / ambientali ... 10

1.2.3 Fattori protettivi ... 15

1.3 Patogenesi

... 16

1.4 Anatomia patologica

... 19

1.5 Screening

... 22

1.6 Vie di diffusione

... 25

1.7 Presentazione clinica

... 27

1.8 Diagnosi

... 28

1.9 Stadiazione e prognosi

... 29

2. Terapia del carcinoma del colon-retto

... 34

2.1 Trattamento della malattia localizzata

... 34

2.1.1 Cenni di terapia chirurgica ... 34

2.1.2 Terapia farmacologica adiuvante ... 37

2.1.3 Cenni di terapia neoadiuvante ... 41

2.2 Trattamento della malattia metastatica

... 42

2.2.1 Resecabilità chirurgica ... 42

2.2.2 Farmaci citotossici ... 44

2.2.3 Farmaci biologici ... 52

2.2.4 Trattamento di prima linea ... 65

3. Markers molecolari nel carcinoma del colon-retto metastatico

.... 69

3.1 RAS e BRAF

... 69

3.2 Instabilità dei microsatelliti

... 74

(3)

3

3.4 Traslocazioni geniche: ALK, ROS1 e TRK1/2/3

... 82

3.5 Selezione dei pazienti candidabili ad anti-EGFR

... 86

4. Il riarrangiamento di RET nel carcinoma colorettale metastatico:

impatto prognostico e prospettive terapeutiche ... 87

4.1 Background e razionale

... 87

4.2 Disegno e obiettivi dello studio

... 89

4.3 Materiali e metodi

... 89

4.3.1 Selezione dei pazienti... 89

4.3.2 Screening e analisi molecolari ... 90

4.3.3 Caratteristiche clinico-patologiche valutate ... 91

4.3.4. Analisi statistiche ... 92

4.4 Risultati

... 92

4.4.1 Caratteristiche cliniche, patologiche e molecolari dei pazienti con mCRC RET-riarrangiato ... 92

4.4.2. Ruolo prognostico dei riarrangiamenti di RET ... 96

4.4.3 Ruolo predittivo dei riarrangiamenti di RET... 100

(4)

4

Riassunto

Negli ultimi anni gli approcci diagnostici e terapeutici per il tumore del colon-retto metastatico hanno visto una rapida evoluzione che ha consentito un netto miglioramento della prognosi e, in casi selezionati, delle possibilità di guarigione.

Per quanto riguarda l’evoluzione del trattamento medico, le tappe recenti più importanti sono rappresentate dall’avvento dei farmaci cosiddetti “biologici” o a bersaglio molecolare e dall’introduzione della selezione molecolare nella pratica clinica. Contestualmente, nell’ambito della ricerca traslazionale è andata progressivamente affermandosi la cosiddetta “medicina di precisione”, con l’obiettivo di identificare entità biologicamente distinte nel tumore colorettale e, di conseguenza, permettere di orientare le scelte terapeutiche in modo sempre più mirato in rapporto alle caratteristiche cliniche e molecolari di ogni singolo paziente.

In questa prospettiva di personalizzazione del trattamento, emblematico è tutt’oggi il tentativo di ottimizzare l’utilizzo nella pratica clinica degli anticorpi monoclonali anti-EGFR (cetuximab e panitumumab) che, in monoterapia o associati a chemioterapia, hanno apportato un notevole beneficio nella strategia terapeutica del carcinoma colorettale metastatico. Un sostanziale miglioramento del rapporto costo/beneficio relativo ai farmaci anti-EGFR è stato determinato dall’identificazione delle mutazioni attivanti i geni RAS e

BRAF in grado di renderli veri e propri drivers tumorali, capaci di conferire un vantaggio

riproduttivo alle cellule in modo del tutto indipendente dalla via di segnale di EGFR. Pertanto, rendendo inefficace il blocco farmacologico di EGFR, le mutazioni di RAS e BRAF sono considerate marcatori molecolari predittivi di resistenza intrinseca all’inibizione di EGFR.

Nonostante ciò, anche selezionando i pazienti con neoplasia RAS e BRAF wild-type, soltanto una limitata proporzione di essi ottiene un beneficio clinico da una terapia con agenti anti-EGFR. Ciò suggerisce quindi la necessità sempre più stringente di identificare meccanismi molecolari, oltre RAS e BRAF, responsabili della resistenza intrinseca al blocco di EGFR, introducendo così una delle sfide più intriganti e ardue della medicina di precisione. Diversi studi clinici e retrospettivi hanno suggerito l’esistenza di altre alterazioni genomiche potenzialmente in grado di promuovere la cancerogenesi e la progressione tumorale indipendentemente da RAS e BRAF, lasciando intravedere la possibilità di passare nel

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carcinoma colorettale metastatico dalla logica della selezione negativa, ovvero l’esclusione da un determinato trattamento di pazienti che non ne trarrebbero beneficio, alla selezione positiva, ovvero l’identificazione di pazienti con elevate chances di beneficiare di un determinato agente grazie alle caratteristiche molecolari dei loro tumori.

Tra questi, riarrangiamenti e traslocazioni geniche possono condurre all’espressione della forma costitutivamente attiva delle proteine codificate. Nel caso di RET, esso codifica per un recettore che ha come ligandi diversi fattori di crescita e trasduce un segnale proliferativo e anti-apoptotico; quando costitutivamente attivo, diventa esso stesso il driver molecolare della neoplasia.

L’incidenza dei riarrangiamenti di RET è estremamente bassa nel carcinoma colorettale metastatico, inferiore all’1%; le metodiche di laboratorio necessarie per valutare la loro presenza sono costose e time-consuming, per cui ad oggi non è sostenibile ricercarli in ogni singolo paziente. Tuttavia, la loro identificazione ha oggi un estremo interesse in considerazione del recente sviluppo di diversi farmaci ad attività anti-RET, diretti contro le proteine risultanti da riarrangiamenti e traslocazioni di RET, potenzialmente efficaci nel bloccare l’aberrante crescita tumorale, e del loro potenziale ruolo come meccanismi di resistenza primaria ad anti-EGFR.

Sulla base di questi presupposti, il nostro studio si propone di confrontare pazienti affetti da colorettale metastatico con e senza riarrangiamento di RET (positivo versus RET-negativo), con tre obiettivi principali:

- identificare le caratteristiche cliniche e molecolari che facciano supporre con elevata probabilità la positività ai riarrangiamenti di RET;

- analizzare l’impatto prognostico di tali riarrangiamenti;

- valutare il ruolo predittivo delle fusioni di RET nella risposta agli anti-EGFR e ad inibitori specifici di RET.

Il risultato dell’analisi è la definizione di un nuovo sottogruppo nel panorama molecolare del tumore colorettale metastatico: quello dei tumori con riarrangiamento di RET.

Nel dettaglio, il presente studio individua alcune caratteristiche, sia cliniche che molecolari, che differiscono significativamente tra i due gruppi di carcinoma colorettale metastatico in esame (RET-positivo versus RET-negativo), ponendo le basi per uno screening molecolare

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orientato e ottimizzato; definisce un chiaro impatto prognostico negativo dei riarrangiamenti di RET; suggerisce una verosimile resistenza intrinseca ai farmaci anti-EGFR e una potenziale sensibilità nei confronti di agenti inibitori selettivi di RET dei tumori colorettali

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1. Generalità sul carcinoma del colon-retto

1.1 Epidemiologia

Il carcinoma del colon-retto (CRC) rappresenta per incidenza la terza neoplasia nell’uomo (764.000 casi, 10% del totale) e la seconda nella donna (614.000 casi, 9.2% del totale). Nel 2012, ci sono state circa 1,4 milioni di nuove diagnosi di CRC e 693.900 morti.1

La più alta incidenza si ritrova in Europa, Nord America ed Oceania, mentre la più bassa si ritrova in alcuni Paesi del sud centro-Africa ed Asia.2 Tuttavia, negli ultimi anni è stato

notato un rapido incremento di incidenza in Paesi precedentemente considerati a basso rischio, come la Spagna o altri Stati dell’est-Europa e dell’est asiatico. Tale incremento è probabilmente da riferirsi a cambiamenti nelle abitudini dietetiche e all’acquisizione di altri fattori di rischio che rientrano nel contesto del “western life-style”, ovvero dello stile di vita tipico dei Paesi più occidentali.3

Secondo le stime più recenti la sede più comune di insorgenza è il colon prossimale (41%), seguito dal retto (28%). La localizzazione del tumore primitivo è importante, perché ad essa sono correlate le caratteristiche cliniche e biologiche della neoplasia, la risposta alle terapie e la prognosi.4

Sebbene l’incidenza del CRC sia in genere più alta nel sesso maschile rispetto al femminile indipendentemente dalla sede di insorgenza presa in considerazione, il rapporto M:F relativo alla sede aumenta progressivamente spostandosi dal cieco al retto5: i tumori prossimali sono infatti più comuni nelle donne che negli uomini.4 I tassi di incidenza e mortalità sono rispettivamente del 30% e del 40% più alti negli uomini che nelle donne, sebbene il rischio life-time di sviluppare un CRC sia simile (4.6% rispetto al 4.2%), avendo le donne una aspettativa di vita più lunga. Peraltro, la disparità fra i sessi varia in base all’età: ad esempio l’incidenza non è significativamente diversa fra uomini e donne al di sotto dei 40 anni, ma è circa del 50% più alta negli uomini rispetto alle donne nella fascia di età tra i 55 e i 74 anni.4 In Italia, secondo le stime fornite dalle associazioni AIOM e AIRTum, il CRC rappresenta la seconda neoplasia per incidenza sia nell’uomo (16% di tutti i nuovi tumori) che nella donna (13%), preceduto rispettivamente dal tumore alla prostata e da quello alla mammella. Attualmente in Italia sono oltre 464.000 le persone con pregressa diagnosi di CRC, di cui il 53% uomini.

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8

Nell’Unione Europea la mortalità del CRC è andata riducendosi fin dagli Anni 80 circa dell’1%/anno nelle donne e dagli Anni ’90 dello 0,6%/anno negli uomini. Trends favorevoli nei tassi di mortalità sono stati osservati anche in America e in Giappone. Il calo della mortalità in Europa è iniziato più precocemente negli Stati più a nord e più a ovest, mentre trends meno favorevoli si sono verificati in Spagna e negli Stati del Centro e dell’Est Europa. Attualmente la mortalità rimane in aumento in Romania ed in Russia.6

La riduzione dei tassi di mortalità è in generale attribuibile a diversi fattori, fra questi sicuramente sono da annoverare l’implementazione dei programmi di screening, il miglioramento delle tecniche chirurgiche nonché l’adozione di protocolli sia chemio- che radio-terapeutici (questi ultimi limitatamente al tumore del retto) sempre più avanzati. La riduzione della mortalità è preponderante nel sesso femminile rispetto al maschile e nei soggetti più giovani (30-49 anni) rispetto ai più anziani.6

Riferendosi a dati statunitensi, dalla metà degli Anni ’70 al periodo 2006-2012 il tasso di sopravvivenza a 5 anni indipendentemente dallo stadio alla presentazione è aumentato dal 51% al 66% per il tumore del colon e dal 48% al 68% per il tumore del retto.4

In ogni caso, lo stadio della neoplasia alla diagnosi rimane uno dei principali fattori prognostici. Per esempio, negli USA nel periodo 2001-2007, la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con CRC era del 90.1% nei soggetti con neoplasia localizzata, del 69.2% nei soggetti con malattia localmente avanzata e dell’11.7% nei soggetti con malattia metastatica.2

1.2 Fattori di rischio

1.2.1 Fattori di rischio genetici

Le forme di CRC sporadiche rappresentano la maggior parte dei casi, ma fino al 30% dei CRC hanno una componente familiare ed alcune di essi anche una specifica base genetica potenzialmente identificabile. Negli ultimi 20 anni sono state identificate alcune di queste mutazioni monogeniche della linea germinale ad alta penetranza conferenti alto rischio di sviluppare CRC, che rendono conto di circa il 5-6% dei tutti i casi di CRC.7

Tra le mutazioni in questione le più comuni sono quelle responsabili della Sindrome di Lynch (LS) e della Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP).7

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Sindrome di Lynch

La LS è un disordine trasmesso con modalità autosomica dominante causato da mutazioni nel sistema del mismatch repair (MMR). I geni coinvolti sono MLH1, MSH2, MSH6 e/o

PSM2. La loro mutazione esita in una condizione definita instabilità dei microsatelliti (vedi

più avanti paragrafo specifico su tale condizione). Da sola rende conto del 3-4% di tutte le forme di CRC.7

I portatori di mutazioni eterozigoti in un gene del MMR sono ad alto rischio di sviluppare CRC e neoplasie maligne anche in altre sedi, tra cui endometrio, ovaio, stomaco, intestino tenue, tratto epatobiliare, tratto urinario, encefalo e cute.8 Si distinguono due diverse tipologie di LS:

- nel tipo I c’è un aumentato rischio di neoplasie solo a livello del colon-retto;

- nel tipo II aumenta il rischio anche di neoplasie extracoliche, le cui sedi più comuni sono quelle precedentemente citate.9

Il rischio life-time di sviluppare CRC per un paziente affetto da LS varia dal 30% al 74% nei portatori di mutazioni di MLH1 e MSH210, mentre varia dal 10% al 22% nei portatori di mutazioni di MSH611 e del 15%-20% nei PSM2-mutati12. L’età media alla diagnosi di CRC è di 44-61 anni, rispetto ai 69 anni delle forme sporadiche. La sede di insorgenza è nel 60%-90% dei casi il colon destro (prossimale alla flessura splenica). Inoltre, nei soggetti affetti da LS si riscontra un’alta frequenza di CRC metacroni: il 16% a 10 anni, 41% a 20 anni.10

Per identificare i pazienti in cui sospettare la LS sono stati elaborati i criteri di Amsterdam nel 1990, modificati ed aggiornati successivamente nel 1999 per aggiungervi le manifestazioni extra-coliche. Essi prevedono:

- diagnosi di CRC (o di tumori extracolici associati alla LS) prima dei 50 anni di età; - 3 o più familiari, di cui almeno uno di primo grado, affetti da CRC o tumori dello

spettro della LS;

- almeno due generazioni successive devono essere affette; - conferma istologica della neoplasia;

- esclusione della diagnosi di FAP.13

Poliposi adenomatosa familiare

La FAP è la seconda più comune sindrome alla base del CRC ereditario, essendo responsabile di circa lo 0,2-1% di tutti i casi di CRC.8 Nella sua forma classica è a

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gene APC (adenomatous polyposis gene). È caratterizzata dallo sviluppo di centinaia di polipi adenomatosi nel colon e nel retto14, che se non trattati precocemente con una colectomia profilattica causano un rischio quasi del 100% di sviluppare CRC.15

La FAP attenuata (aFAP) è una distinta variante fenotipica della FAP nella quale i pazienti sviluppano 10 o più adenomi colorettali ma generalmente meno di 100. Nella aFAP i polipi si sviluppano maggiormente nel colon prossimale, e il CRC esordisce in media 15 anni dopo rispetto a ciò che avviene nella forma classica.16

Due ulteriori varianti della FAP sono la sindrome di Gardner, nella quale oltre alle manifestazioni coliche si possono sviluppare anche osteomi, anomalie dentarie, cisti epidermiche e tumori dei tessuti molli; e la sindrome di Turcot, che presenta rischio di sviluppo di neoplasie maligne del sistema nervoso centrale.17

Sindromi genetiche meno comuni

Tra le sindromi genetiche responsabili di CRC meno comuni occorre ricordare la Sindrome di Peutz-Jegherz (PJS) e la Poliposi giovanile (JP).

La PJS è un disordine a trasmissione autosomica dominante dovuta ad una mutazione nella linea germinale del gene STK-11, una serina-treonina kinasi con funzione di oncosoppressore.7 È caratterizzata dalla presenza di multipli polipi amartomatosi localizzati a livello del piccolo intestino. Il rischio life-time di neoplasia del tratto gastrointestinale è circa del 70%, ed il rischio specifico di CRC è circa del 39%. C’è anche un rischio di circa il 90% di sviluppare altre neoplasie maligne, in particolare della mammella, e nello specifico del 36% di sviluppare carcinoma del pancreas.18

La JP è una condizione anch’essa a trasmissione autosomica dominante, causata da mutazioni nei geni SMAD4 e BMPR1a. Si caratterizza per lo sviluppo di multipli polipi giovanili nel tratto gastrointestinale e dà un rischio life-time di sviluppare CRC del 40%. Questi pazienti presentano peraltro un aumentato rischio di neoplasie dello stomaco e del tenue, che possono presentarsi anche in giovane età.7

1.2.2 Fattori di rischio non genetici / ambientali

A livello mondiale la probabilità di sviluppare CRC è circa del 4-5%. Tuttavia, alcune caratteristiche e abitudini personali possono incrementare questa probabilità, e sono quindi

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considerate fattori di rischio. Ci riferiamo ad essi con la locuzione di “non genetici” in quanto non riferibili a specifici geni causanti la patologia.

Il CRC è strettamente associato a quello che viene definito “western lifestyle”, infatti la maggioranza delle neoplasie colorettali insorge nei paesi industrializzati. Come precedentemente discusso, l’incremento dei tassi di incidenza in paesi considerati precedentemente a basso rischio è infatti potenzialmente imputabile all’adozione di stili di vita sempre più simili a quelli del mondo occidentale.

Dieta

Tra questi fattori di rischio un ruolo importante lo riveste sicuramente la dieta.

L’ipotesi che una dieta ricca di fibre, in particolare provenienti da frutta e vegetali, abbassi il rischio di CRC esiste da ormai 40 anni, fin da quando Burkitt osservò la relativa rarità di neoplasie colorettali nelle popolazioni africane con alimentazione ad alto contenuto di fibre.19 Sono molti i possibili meccanismi con i quali le fibre potrebbero agire in senso

protettivo: diluiscono e/o assorbono i carcinogeni fecali, accelerano il tempo di transito fecale, alterano il metabolismo degli acidi biliari, riducono il pH colico e inducono un incremento nella sintesi di acidi grassi a catena corta.20 La relazione tra CRC e introito di fibre è stata valutata sia in studi caso-controllo che in studi di coorte: la maggior parte degli studi caso-controllo ha dimostrato una associazione positiva tra intake di fibre e riduzione del rischio, ma lo stesso non si può dire per gli studi di coorte. Le ragioni di questa discordanza rimangono tuttora poco chiare.21 A sostegno dell’ipotizzato effetto protettivo c’è però uno studio prospettico condotto nel 2003 coinvolgente più di 500.000 soggetti provenienti da 10 paesi Europei (studio EPIC) che ha dimostrato una riduzione di circa il 40% del rischio di CRC in soggetti con elevato introito di fibre.22 La questione rimane perciò controversa; attualmente si ritiene che sebbene l’assunzione di fibre possa influenzare il rischio di CRC, probabilmente questo effetto è molto più debole di quanto si riteneva in passato e che forse si rende più evidente solo nelle popolazioni con un introito basale estremamente basso.21

Altro capitolo importante è l’assunzione di carni rosse. Gli effetti dell’assunzione di carne rossa sul rischio di CRC sono stati esaminati in molti studi epidemiologici, e la maggior parte di essi ha confermato una associazione positiva tra i due elementi.21 Nel 2015 la

WHO’s International Agency for Research on Cancer ha infatti definitivamente inserito le carni lavorate nel gruppo 1 e la carne rossa nel gruppo 2A dei carcinogeni umani.23

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I meccanismi specifici che spiegano questa associazione rimangono poco chiari. La carne rossa stimola la secrezione di insulina endogena, che agisce come mitogeno; tale tipo di carne è inoltre una fonte importante di grassi saturi o amine eterocicliche, aventi effetto carcinogenetico. Peraltro, è stato evidenziato che quando la carne rossa subisce processi prolungati di grigliatura o cottura ad alte temperature, la sintesi di amine eterocicliche a partire dalla creatinina aumenta.21 Le amine eterocicliche vengono ossidate a idrossiammino-derivati ad opera del citocromo P450, e vengono successivamente esterificate da acetiltrasferasi e sulfotrasferasi. Alla fine del processo, esse inducono la formazione di addotti di DNA attraverso la formazione di legami N-C nelle guanine.24 In più, l’aggiunta di nitriti e nitrati esogeni per la conservazione delle carni può addizionarne ulteriormente il contenuto di nitrosoamine, N-nitroso composti e dei loro precursori, aumentandone quindi il potenziale carcinogenetico.25

Anche i carboidrati raffinati sembrano correlati all’insorgenza del CRC. L’assunzione di alte dosi di carboidrati particolarmente raffinati induce un elevato picco glicemico ematico e un consensuale picco di insulinemia, ritenuta importante causa di carcinogenesi (discusso più avanti nel paragrafo “Obesità”).21

Alcool

L’assunzione di alcool è un importante fattore di rischio per il CRC, ed ha relazione sia con l’incidenza che con la morbidità e la mortalità della malattia. Una recente meta-analisi del 2014 ha evidenziato che, a confronto con la non assunzione e con l’assunzione occasionale, la leggera (≤ 12,5 g/die di etanolo) e la moderata (≤ 12,6 - 49,9 g/die di etanolo) assunzione di alcol non sono associate ad un significativo incremento di mortalità per CRC, mentre l’assunzione abbondante (≥ 50 g/die di etanolo) si associa ad un rischio aumentato del 52% di sviluppare CRC e del 21% di mortalità per CRC. L’effetto dell’alcool sull’aumento di incidenza era già stato messo in evidenza anche da altre numerose meta-analisi precedenti. Possibili ipotesi patogenetiche sono la promozione indotta dall’alcool dell’ipometilazione del DNA nella mucosa del colon e dell’iperproliferazione della mucosa rettale; l’aumento della concentrazione degli estrogeni; l’effetto genotossico dell’acetaldeide, il principale metabolita dell’alcool; il ruolo come solvente per le sostanze cancerogene contenute nel fumo di sigaretta; la produzione di radicali libero dell’ossigeno e dell’azoto; i cambiamenti nel metabolismo dei folati.26

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Tabacco

Il fumo di sigaretta non fa incrementare solo il rischio di neoplasie del polmone, ma fa incrementare anche quello di neoplasie del rene, della vescica, della cervice, del pancreas, e tra le altre anche del colon-retto. Diversi studi hanno infatti dimostrato che il fumo è un fattore di rischio sia per lo sviluppo di adenomi27,28 che poi di evoluzione in CRC e mortalità per CRC29. In una meta-analisi del 2009 è stato dimostrato che tra fumo e CRC c’è una autentica relazione dose-risposta: sono stati significativamente associati ad aumentata incidenza di CRC sia il consumo di sigarette giornaliero (RR 1.38 per un incremento di 40 sigarette/die), la durata dell’abitudine al fumo (RR 1.51 per un incremento di 40 anni di fumo), il rapporto pacchetti/anno (RR 1.51 per un incremento di 60 pacchetti/anno) e l’età di inizio dell’abitudine (RR 0.96 per un posticipo di 10 anni nell’inizio dell’abitudine).30

I composti del fumo di sigaretta come acetaldeide, benzopirene, ammine aromatiche e N-nitrosoammine formano addotti di DNA in grado di alterare le normali funzionalità e replicazione dei geni, predisponendo quindi all’insorgenza di mutazioni.31

Obesità

L’associazione tra obesità (definita da un BMI, Body Mass Index = rapporto tra peso in chilogrammi e altezza in metri al quadrato, ≥ 30 kg/m2) e rischio di CRC è stata esaminata in numerosi studi epidemiologici e meta-analisi. Un’ampia systematic review del 200932 che ha coinvolto 7.213.335 soggetti ha messo in evidenza un incremento del rischio di sviluppare CRC del 18% per ogni aumento di 5 unità del BMI. L’associazione è risultata significativamente più forte per la neoplasia del colon rispetto a quella del retto (RR 1.21 vs 1.11), e per gli uomini rispetto alle donne (RR 1.25 vs 1.12).

Una importante distinzione da fare è quella fra grasso periferico e grasso viscerale: quest’ultimo secerne maggiori quantità di citochine ed ormoni, ed è quindi metabolicamente più attivo. Si ritiene che sia quest’ultimo ad essere maggiormente coinvolto nel processo di tumorigenesi.33

L’obesità è uno degli elementi chiave di quella che viene definita sindrome metabolica, caratterizzata da obesità addominale, dislipidemia (elevati livelli ematici di trigliceridi e bassi livelli di HDL), ipertensione arteriosa e anomalo metabolismo del glucosio con elevati livelli di glicemia a riposo. L’insulinoresistenza che si può instaurare nella sindrome metabolica conduce ad una condizione di iperinsulinemia, ed è probabilmente l’iperinsulinemia il principale indiziato per il link tra obesità addominale e CRC.33 L’insulina

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ha infatti proprietà mitogene, ed è inoltre in grado di promuovere la carcinogenesi colorettale determinando un aumento dei livelli ematici di IGF-1 (insulin-like growth factor).21 Il legame dell’insulina o dell’IGF-1 al proprio recettore è seguito dall’attivazione di una cascata di trasduzione del segnale in grado di stimolare la proliferazione cellulare e sopprimere l’apoptosi.33

Una possibile dimostrazione del ruolo che l’iperinsulinemia gioca nell’insorgenza del CRC deriva da studi osservazionali che hanno riscontrato un aumentato rischio di CRC in soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2, una patologia associata per definizione a insulinoresistenza ed iperinsulinemia. In una meta-analisi del 2012 è stato per l’appunto osservato un incremento significativo del rischio di CRC in soggetti affetti da DMT2 (RR 1.26, 95% CI), dando quindi una potenziale conferma di questa ipotesi patogenetica.34 Un ulteriore meccanismo con il quale l’obesità aumenta il rischio di CRC è l’infiammazione cronica. L’obesità è infatti associata ad un processo di infiammazione cronica dovuta alla produzione di citochine come il TNF-α e l’IL-6, ed essendo ormai dato per consolidato che l’infiammazione giochi un ruolo importante nella carcinogenesi colorettale35, è plausibile

ritenere questo uno dei meccanismi patogenetici coinvolti.33 Attività fisica

I bassi livelli di attività fisica come fattore di rischio per CRC sono stati dimostrati da numerosi studi, sia caso-controllo che prospettici di coorte. Nel complesso questi studi hanno in particolare dimostrato la presenza di una relazione dose-risposta tra attività fisica e abbassamento del rischio.21 In una meta-analisi del 2009 che ha valutato 52 studi si è dimostrato che i soggetti attivi hanno un rischio di sviluppare CRC del 20-30% inferiore rispetto agli individui sedentari.36 Anche una systematic review del 2012 coinvolgente 21 studi ha dato un risultato simile, confermando un rischio più basso del 25% nei soggetti fisicamente attivi, sottolineando in particolare come la riduzione del rischio valga sia per le sedi prossimali che per le distali.37

IBD

I soggetti affetti da IBD (Inflammatory Bowel Diseases), quali la RCU (retto-colite ulcerosa) e il MC (morbo di Crohn) hanno un maggior rischio rispetto alla popolazione generale di sviluppare CRC; alla base vi sono probabilmente lo stato di infiammazione cronica caratteristico di queste patologie, lo stress ossidativo e la risposta immunitaria alterata.38

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I CRC che insorgono su RCU rappresentano circa l’1% del totale. Il rischio di sviluppare CRC inizia ad aumentare circa 8-10 anni dopo la diagnosi, e la probabilità aumenta con la durata della malattia: 1,6% a 10 anni, 8,3% a 20 anni e 18,4% a 30 anni. Il rischio di sviluppare CRC è da 4 a 10 volte maggiore di quello della popolazione generale, e l’età media di insorgenza è di circa 20 anni prima. Ulteriori fattori di rischio per lo sviluppo di CRC in un soggetto affetto da RCU sono la presenza di pancolite (invece che di malattia limitata a distretti anatomici più brevi), la giovane età alla diagnosi e la presenza di concomitante patologia epatica cronica colestatica.39

Per quanto riguarda il MC all’inizio si riteneva che non vi fosse correlazione con il CRC. Studi più recenti hanno invece dimostrato che tale correlazione c’è, e che il rischio di sviluppare CRC è circa uguale a quello dei soggetti affetti da RCU che coinvolga tutto il colon.40

Per soggetti affetti da queste patologie c’è indicazione ad effettuare programmi di screening più approfonditi e serrati rispetto a ciò che avviene nella popolazione generale (vedi dopo paragrafo dedicato “Screening”).

1.2.3 Fattori protettivi

Tra i fattori protettivi si annoverano i livelli serici di calcio e di vitamina D. Si ritiene che il calcio possa ridurre il rischio di CRC legandosi agli acidi biliari secondari tossici e agli acidi grassi ionizzati andando a formare saponi insolubili nel lume del colon; si ritiene abbia anche un effetto diretto di riduzione della proliferazione e induzione dell’apoptosi nella mucosa del colon. In un’analisi del 2004 è stato dimostrato che i soggetti nel quintile più alto di assunzione di calcio avevano un rischio ridotto del 22% di sviluppare CRC rispetto a quelli nel quintile più basso.41

Altro fattore protettivo da valutare è l’assunzione di FANS. L’aspirina è uno dei farmaci più studiati per la prevenzione delle neoplasie. E’ stato dimostrato che l’aspirina è infatti in grado di ridurre sia l’incidenza42,43 che la mortalità44 per CRC. L’aspirina peraltro è in grado di

ridurre il rischio di CRC in pazienti affetti da LS. Il CAPP2 trial ha dimostrato che l’assunzione quotidiana di 600 mg di aspirina per una media di 25 mesi riduceva l’incidenza di CRC del 59% in questi soggetti45. Anche il celecoxib (un inibitore della cicloossigenasi-2 COX-cicloossigenasi-2) ha dimostrato di essere molto efficace: una systematic review del cicloossigenasi-2007 ha messo

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in evidenza come l’assunzione di questo farmaco fosse associata ad una riduzione del rischio del 28% di sviluppare CRC sporadici; tuttavia il celecoxib non può essere utilizzato in prevenzione primaria a causa del suo elevato tasso di complicanze cardiovascolari.

L’aspirina e gli altri FANS sono in grado di esercitare il loro effetto protettivo grazie all’inibizione del metabolismo dell’acido arachidonico attraverso l’inibizione sulla cicloossigenasi o sulla prostaglandina H-sintetasi. La COX-2 è infatti in grado di catalizzare la sintesi di prostaglandine; la riduzione dei livelli di prostaglandine nell’environment tumorale si ritiene in ultima analisi conduca a inibizione della crescita, dell’invasione e dell’angiogenesi e promozione dell’apoptosi. In più, è da sottolineare come la sintesi delle prostaglandine sia incrementata dalle mutazioni attivanti di PIK3CA, indicando che l’aspirina possa essere particolarmente efficace in tumori presentanti mutazioni di questo specifico gene.46

Una serie di altri micronutrienti assumibili con la dieta, come il selenio, il beta-carotene, e le vitamine A, C ed E sono ritenuti avere effetto protettivo, in base al loro effetto anti-ossidante e/o anti-infiammatorio e ai risultati di numerosi studi osservazionali.21

1.3 Patogenesi

La combinazione di eventi molecolari che portano al CRC è molto varia e comprende anomalie genetiche ed epigenetiche. Sono state descritte almeno tre vie distinte:

1. il fenotipo dell’instabilità cromosomica (CIN, Chromosomal Instability), caratterizzato da mutazioni di APC e di altri geni coinvolti nel pathway Wnt;

2. lo sviluppo di mutazioni nei geni del DNA mismatch repair, che conducono al fenotipo dell’instabilità dei microsatelliti (MSI, MicroSatellites Instability);

3. il fenotipo metilatore delle isole di CpG (CIMP, CpG Island Methylator Phenotype), che presenta un’ipermetilazione genomica globale risultante nell’inattivazione di geni oncosoppressori.47

Instabilità cromosomica

Circa il 70-85% dei CRC si sviluppa attraverso il fenotipo CIN. Questo pathway è associato a mutazioni di APC e/o perdita del cromosoma 5q che contiene il gene APC stesso, mutazioni

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dell’oncogene KRAS, perdita del cromosoma 18q e delezione del 17p, che contiene il cruciale oncosoppressore TP53.48

APC è un oncosoppressore estremamente importante nel pathway CIN. Entrambe le copie

del gene APC devono essere funzionalmente disattivate, a causa di mutazioni o di modifiche epigenetiche, per permettere lo sviluppo della neoplasia. APC è un regolatore negativo della β-catenina, un componente della via di segnalazione di Wnt. Il pathway Wnt regola crescita, apoptosi e differenziazione cellulare, ed è particolarmente rilevante nel mantenere i compartimenti di cellule staminali tessuto-specifici.49 Normalmente la proteina APC si lega e promuove la degradazione della β-catenina; con la perdita di APC la β-catenina si accumula e trasloca verso il nucleo, dove attiva la trascrizione di geni che stimolano la proliferazione, come quelli che codificano per MYC o per la ciclina D1.50

La frequenza di mutazioni del gene APC o della β-catenina negli adenomi colorettali è stata rinvenuta essere di circa l’80%, tali mutazioni si ritrovano anche nel 60% dei carcinomi del colon e nell’82% di quelli del retto.51

Questa fase è seguita da ulteriori mutazioni, tra cui quelle che coinvolgono KRAS. KRAS, localizzato sul cromosoma 12p12, è un altro importante gene del pathway CIN. KRAS codifica per una GTP-binding protein che, se mutata, può causare la perdita dell’attività GTPasica correlata e condurre così ad una attivazione costitutiva del pathway a valle RAS-RAF-MEK-ERK, anch’esso coinvolto in crescita e differenziazione cellulare51. Si ritiene però che la mutazione di KRAS sia un evento più tardivo nell’oncogenesi, e questo è sostenuto dall’osservazione secondo la quale le mutazioni di tale gene sono presenti in meno del 10% degli adenomi di diametro inferiore ad 1 cm ma nel 50% degli adenomi di diametro maggiore di 1 cm e nel 50% degli adenocarcinomi invasivi.50

DCC, SMAD2 e SMAD4 sono tutti localizzati sul 18q21.1 e la perdita allelica di questo sito

si riscontra in circa il 60% dei CRC.52 SMAD2 e SMAD4 sono coinvolti nel pathway di signalling del TGF-β, anch’esso importante per la regolazione della crescita e dell’apoptosi cellulare. Mutazioni germinali di SMAD4 sono peraltro associate alla sindrome della Poliposi Giovanile, discussa precedentemente.

Infine, l’ultimo gene di questo pathway da valutare è TP53. Normalmente la proteina p53 induce un aumento di espressione dei geni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare, ed è in grado di rallentare il ciclo cellulare al fine di permettere la riparazione delle mutazioni del DNA eventualmente verificatesi. In più, quando il danno genetico è talmente grave da

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non poter più essere riparato, p53 induce l’espressione di geni pro-apoptotici, che permettono la morte cellulare programmata e impediscono la replicazione di cellule potenzialmente tumorali.53 Le alterazioni funzionali di TP53, siano esse dovute a mutazione o a perdita di eterozigosi, incrementano in modo direttamente proporzionale allo stadio istologico della neoplasia: si ritrovano nel 4-26% degli adenomi, nel 53% degli adenomi con foci invasivi, e nel 50-73% dei carcinomi.51

La perdita di TP53 e di altri geni oncosoppressori è spesso causata da delezioni cromosomiche, e questo sottolinea come l’instabilità cromosomica sia una caratteristica della via APC/β-catenina.50

Instabilità dei microsatelliti

Questa via patogenetica prevede la presenza di mutazioni a carico dei geni del mismatch repair (MMR), i quali codificano per proteine deputate all’identificazione e alla riparazione degli errori che si verificano durante i processi di replicazione del DNA.

I microsatelliti (o STR, Short Tandem Repeats) sono sequenze costitute da 1-6 nucleotidi ripetute in tandem 10-60 volte. Normalmente il loro numero è stabile, ma quando il sistema MMR è difettoso gli eventi mutazionali non vengono riparati adeguatamente, e questo esita in una variazione del numero degli STR. Tale condizione è definita per l’appunto instabilità dei microsatelliti (MSI).54

Sebbene queste mutazioni siano in genere silenti, dato che i microsatelliti si trovano caratteristicamente in regioni non codificanti, alcune sequenze di microsatelliti si trovano nella regione codificante o promotrice dei geni coinvolti nella regolazione della crescita cellulare, ad esempio quelli che codificano per il recettore TGF-β di tipo II e per la proteina proapoptotica BAX. Poiché TGF-β inibisce la proliferazione delle cellule epiteliali del colon, i mutanti del recettore TGF-β di tipo II possono contribuire a una crescita cellulare incontrollata, mentre la perdita di BAX può aumentare la sopravvivenza dei cloni geneticamente anomali. Mutazioni dell’oncogene BRAF e il silenziamento di gruppi distinti di geni dovuto all’ipermetilazione delle isole CpG sono anch’essi comuni nei tumori che si sviluppano a causa di difetti del sistema MMR; al contrario, in genere KRAS e TP53 non subiscono mutazioni.50

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L’instabilità dei microsatelliti, le modalità con cui si instaura, gli specifici geni coinvolti e le conseguenze clinico-terapeutiche sono discusse più avanti nel paragrafo apposito “Instabilità dei microsatelliti”.

Fenotipo metilatore

Il fenotipo CIMP rappresenta un subset di CRC che si sviluppa a causa di una condizione di instabilità epigenetica, caratterizzato da ampie ipermetilazioni dei siti ricchi in isole di CpG dei promotori dei geni, risultando nell’inattivazione di numerosi geni oncosoppressori o di altri geni correlati alla cancerogenesi.47

Molti dei geni che sono stati riconosciuti essere coinvolti nel processo di ipermetilazione del promotore svolgono funzioni importanti nella cellula (ad esempio CDKN2A, il gene che codifica per l’oncosoppressore p16), mentre altri hanno funzioni ancora sconosciute.55

È importante sottolineare come la maggior parte dei CRC con fenotipo CIMP siano caratterizzati dalla metilazione delle isole CpG nel promotore del genere MHL1, uno dei geni del sistema MMR, risultando nella sua inattivazione trascrizionale e quindi nel fenotipo MSI (si rimanda ancora una volta al paragrafo specifico “Instabilità dei microsatelliti” per ulteriori approfondimenti).

1.4 Anatomia patologica

L’importanza dei programmi di screening per il CRC trova ragione nel caratteristico iter anatomopatologico di sviluppo di questa neoplasia, che prevede la classica sequenza adenoma → lesione in situ → carcinoma. Questa sequenza può impiegare anche molto tempo a svilupparsi, e questo rende ragione dell’importanza della identificazione e rimozione precoce delle lesioni adenomatose.

Dato l’ormai riconosciuto ruolo degli adenomi di precursori del carcinoma colorettale, i polipi adenomatosi vengono definiti di riflesso polipi neoplastici. I polipi possono essere infatti anche non neoplastici: tra questi si annoverano gli infiammatori, gli amartomatosi e gli iperplastici.

I polipi neoplastici tipici hanno un diametro variabile tra gli 0,3 e i 10 cm, e possono avere aspetto macroscopico peduncolato o serrato. In base alla loro architettura sono classificabili

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come tubulari, villosi o tubulo-villosi. I tubulari sono in genere polipi piccoli e peduncolati, e sono costituiti da piccole ghiandole tonde o tubulari. I villosi, che sono spesso grossi e sessili, sono coperti da villi sottili. Gli adenomi tubulo-villosi sono costituiti da un misto di elementi tubulari e villosi.50

Non tutti i polipi neoplastici però evolvono in lesione carcinomatosa invasiva: la possibilità di degenerazione aumenta infatti con l’aumentare delle dimensioni, con l’istologia villosa e con la presenza di displasia di alto grado. Il rischio di degenerazione carcinomatosa è infatti dello 0.25% annuo, e sale al 17% per arrivare ad un picco del 37% negli adenomi villosi ed in quelli con alto grado di displasia rispettivamente.56

Sebbene la classica sequenza adenoma-adenocarcinoma descritta da Fearon e Vogelstein per primi, guidata dall’accumulo progressivo di un numero sempre maggiore di mutazioni, rappresenti la maggior parte dei casi, più recentemente è stato individuato anche un altro pattern di progressione. Quest’ultimo modello prevede che siano degli adenomi sessili

serrati, e non i classici polipi adenomatosi, a costituire la lesione precursore. Attualmente si

ritiene che il pathway degli adenomi serrati sessili sia alla base di circa il 10% dei CRC, e che sia strettamente correlato al fenotipo CIMP.57

Anatomia macroscopica

Indipendentemente dalla loro origine, riconosciamo quattro morfologie macroscopiche principali di CRC, descritte da Bormann:

- vegetante: carcinoma polipoide ben circoscritto; - ulcerata: carcinoma ulcerato a margini rilevati;

- infiltrante: carcinoma ulcerato a margini rilevati ed estesi; - anulare-stenosante: carcinoma diffuso, infiltrante e stenosante.

I tumori del colon prossimale tendono ad accrescersi come masse polipoidi esofitiche che si estendono lungo una delle pareti del cieco e/o del colon ascendente; raramente riescono a crescere tanto da determinare una occlusione. I carcinomi del colon distale e del retto invece tendono ad essere lesioni a crescita circonferenziale anulare, producendo stenosi e restringimento luminale, potendo talvolta causare anche una occlusione.50 Al potenziale occlusivo delle lesioni distali contribuisce peraltro anche la loro capacità di indurre una intensa reazione desmoplastica.

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Anatomia microscopica

La WHO ha aggiornato nel 2010 la classificazione istologica delle neoplasie del colon-retto. Vi sono 3 principali tipologie di lesione: i tumori epiteliali, i tumori mesenchimali ed i linfomi. Nei tumori epiteliali riconosciamo a loro volta i carcinomi e le neoplasie neuroendocrine. I carcinomi possono essere poi così classificati:

- adenocarcinoma, costituito da strutture villose e/o tubulari di epitelio ghiandolare; - carcinoma squamoso, costituito da cellule squamose unite da ponti intercellulari e

frammiste a cheratina;

- carcinoma adenosquamoso, costituito da aree di tipo ghiandole e aree a carattere squamoso;

- carcinoma a cellule fusate, costituito da cellule con forma caratteristica;

- carcinoma indifferenziato, non dotato di caratteristiche che ne permettano una classificazione univoca.

L’adenocarcinoma rappresenta circa l’85-90% di tutte le neoplasie del colon-retto. L’adenocarcinoma NAS (Non Altrimenti Specificato) comprende tutti i tumori che abbiano una componente mucoide <50%. Vi sono poi ulteriori varianti di adenocarcinoma, le principali sono:

- adenocarcinoma mucinoso: si caratterizza per la presenza di abbondante muco extracellulare, che per definizione deve costituire >50% della massa tumorale; la prognosi è tendenzialmente sfavorevole;

- carcinoma a cellule con castone: si caratterizza per la presenza di cellule con un ampio vacuolo intracitoplasmatico contenente muco che disloca il nucleo verso la periferia; tali cellule devono costituire almeno il 50% del totale. Anche questo è a prognosi sfavorevole;

- carcinoma midollare: è costituito da lamine e trabecole solide di cellule generalmente non troppo atipiche e da notevole infiltrazione linfocitaria; ha prognosi favorevole.

Altre forme di adenocarcinoma meno comuni sono il cribriforme, il micropapillare e l’adenocarcinoma serrato.

La WHO fornisce anche un sistema di grading del CRC, basato sulla percentuale di ghiandole formate dal tumore. I tumori ben differenziati sono definiti dalla presenza di

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strutture ghiandolari in più del 95% del tessuto neoplastico, e viene loro assegnato il grado G1. I G2 sono definiti moderatamente differenziati e presentano una percentuale di ghiandole variabile tra il 50 e il 95%. I tumori poco differenziati hanno tra il 5 e il 50% di ghiandole, e viene loro assegnato il grado G3. Infine, i G4 sono i tumori completamente indifferenziati, con una percentuale di formazione di ghiandole inferiore al 5%. La WHO suggerisce inoltre di suddividere i CRC in forme di basso grado (i G1 ed i G2) e forme di

alto grado (G3 e G4).58

Ulteriori parametri anatomopatologici da valutare per caratterizzare al meglio la lesione neoplastica, in quanto in grado di modificare anche severamente la prognosi, sono:

- l’invasione linfovascolare e perineurale;

- il grado di infiltrazione linfocitaria al margine di invasione; - il tipo di crescita, se espansiva o infiltrativa;

- la presenza di aggregati nodulari linfocitari peritumorali (la Crohn’s-like reaction); - il numero di linfociti intercalati tra le cellule neoplastiche (TIL, tumor infiltrating

lymphocites).59

- la presenza di depositi tumorali (TD, tumoral deposits), aggregati focali di cellule adenocarcinomatose localizzati nel grasso pericolico o perirettale, non in continuità con il tumore primitivo;

- l’entità del tumor budding, ovvero cellule neoplastiche isolate o raggruppate in piccoli clusters localizzate a livello del fronte tumorale invasivo, che si distaccano dall’epitelio neoplastico e migrano per una breve distanza nel contesto dello stroma desmoplastico.58

1.5 Screening

Il CRC rappresenta il prototipo ideale di neoplasia sottoponibile a screening: è infatti un tumore ad elevata incidenza e mortalità; ha una lunga fase preclinica a partire da lesioni precancerose, i polipi adenomatosi, rimuovibili attraverso procedure endoscopiche; sono disponibili test di screening specifici e sensibili, attuabili su larga scala e facili da eseguire. La rimozione dei polipi colorettali durante la colonscopia è molto efficace nel ridurre la mortalità da CRC, come dimostrato da due recenti studi, rispettivamente del 2012 e del 2013, aventi lunghi periodi di follow-up.60,61

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I test attualmente utilizzati per lo screening sono la ricerca del sangue occulto fecale (RSOF) e l’endoscopia.

La RSOF può essere effettuata attraverso due tecniche principali: il test al guaiaco o Hemoccult (gFOBT, Guaiac Fecal Occult Blood Testing) e il test di dosaggio immunochimico fecale (FIT, Fecal Immunochemical Testing, o iFOBT, immunochemical Fecal Occult Blood Test).

Il gFOBT ricerca nel campione di feci l’attività della perossidasi, enzima presente nelle molecole di emoglobina. Questo test non è però specifico nell’individuare l’emoglobina umana, in quanto può risultare positivo anche per altre fonti di perossidasi e per emoglobina animale introdotta con la dieta. Per questo motivo allo scopo di evitare falsi positivi viene effettuato in regime di restrizione alimentare protratto per almeno tre giorni e su tre campioni di feci distinti.

Il FIT invece utilizza anticorpi marcati diretti contro la porzione globinica dell’emoglobina umana.62

Una meta-analisi del 2015 di quattro RCTs ha dimostrato che il test gFOBT condotto annualmente o bi-annualmente non ha effetto sull’incidenza del CRC, ma è in grado di dare una riduzione in media del 16% della mortalità CRC-correlata. Oltre ai falsi positivi, il gFOBT è gravato anche da un certo numero di falsi negativi, essendo il sanguinamento della neoplasia un requisito indispensabile per la positività del test. È anche per questo motivo infatti che il test viene richiesto su tre campioni diversi. Il FIT ha invece una maggiore sensibilità sia per adenoma che per carcinoma, anche con un solo campione; in più essendo specifico per l’emoglobina umana non richiede restrizione dietetica.63

Più recentemente si sono resi disponibili test in grado di valutare la presenza di DNA tumorale nelle feci, come il test sDNA. Il DNA tumorale viene riconosciuto attraverso diversi tipi di panels che in generale valutano le mutazioni nei geni dei pathways WNT e MAPK, come KRAS e APC, ed eventuali pattern di metilazione. Il loro razionale sta nel fatto che le cellule tumorali vengono continuamente rilasciate nel lume intestinale indipendentemente da un eventuale sanguinamento, rendendo il test molto più sensibile. Un test del DNA fecale multitarget è stato recentemente comparato con la tecnica FIT, ed è stato visto avere una sensibilità del 92.3% per il CRC, del 42.4% per le lesioni avanzate e del 42.4% per gli adenomi serrati sessili; in generale la sensibilità è di circa il 20% più alta per ogni categoria rispetto a quella fornita dal test FIT.64

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Una positività alla RSOF costituisce indicazione ad esami più approfonditi, come la colonscopia. L’esame endoscopico del colon rappresenta una metodica sia diagnostica che potenzialmente terapeutica, permettendo essa la rimozione dei polipi. La sua sensibilità nell’individuare adenomi di dimensioni inferiori a 0.5 cm è del 78.9%, e sale al 96.7% per adenomi di dimensioni maggiori o carcinomi; la specificità è del 98%.65 Studi caso-controllo e di coorte hanno dimostrato una riduzione del 70% nell’incidenza di CRC utilizzando la colonscopia come esame di screening e fino al 68% di riduzione della mortalità CRC-correlata anche dopo 15 anni di follow-up.66 Per questo motivo, la pancolonscopia è definita esame gold standard per lo screening del CRC. Non è tuttavia scevra da difetti, essendo un esame invasivo, che necessita di una rigida preparazione orale, e che è a rischio di complicanze quali sanguinamento e perforazione specialmente se associata alla polipectomia.

Dato che una buona percentuale di lesioni si sviluppa nelle regioni più distali del tratto colorettale, la rettosigmoidoscopia (RSS) con strumento flessibile potrebbe rappresentare una alternativa. Essa ha una migliore accettabilità da parte del paziente e necessita di minori risorse, ma non è in grado di individuare le lesioni del colon prossimale e deve essere comunque seguita da una pancolonscopia in caso di rinvenimento di lesioni distali per scongiurare il rischio di lesioni sincrone prossimali. Potrebbe essere utilizzata come metodica di screening anche la colonscopia virtuale (o colon-TC, una metodica che consiste nell’ottenere immagini tomografiche dopo insufflazione del colon con CO2 e la loro

ricostruzione in 2D o 3D67), ma anch’essa richiede comunque l’esecuzione di una pancolonscopia successiva se vengono evidenziate lesioni; peraltro necessita di iniezione di mezzo di contrasto ed espone il paziente a radiazioni. A causa di tali criticità, RSS e colon-TC vengono usate ben poco a scopo di screening.

Attualmente, la maggior parte delle regioni italiane per lo screening della popolazione generale optano per una RSOF da eseguire ogni 24 mesi nella popolazione tra i 50 e i 69 anni, cui fa seguito una eventuale colonscopia in caso di esito positivo.

Le linee guida AIOM del 201468 indicano quali sono le categorie particolari di soggetti a rischio che necessitano di un protocollo di screening diverso in frequenza e/o invasività; tali indicazioni non sono riportate nelle linee guida AIOM 2017 ma vengono comunque seguite nella pratica clinica quotidiana:

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- i soggetti familiari di primo grado di pazienti di età <60 anni affetti da CRC o da polipi adenomatosi e soggetti familiari di primo grado di due o più pazienti di qualsiasi età con le medesime patologie devono eseguire la colonscopia ogni 5 anni a partire dai 40 anni di età o da 10 anni prima dell’età della diagnosi di CRC nel familiare più giovane;

- i soggetti familiari di primo grado di pazienti di età >60 anni affetti da CRC o da polipi adenomatosi o soggetti familiari di almeno due parenti di secondo grado affetti dalle medesime patologie devono iniziare il percorso standard di screening a 40 anni; - i soggetti affetti da FAP devono iniziare lo screening con colonscopia a partire dai

12 anni, con frequenza ogni 1-2 anni;

- i soggetti affetti da LS devono iniziare lo screening con colonscopia a partire dai 20-25 anni o da 10 anni prima dell’età del familiare più giovane affetto da CRC, con frequenza ogni 1-2 anni;

- i soggetti affetti da IBD devono iniziare lo screening con colonscopia a 8-12 anni dalla comparsa dei sintomi, con frequenza ogni 1-2 anni;

- i soggetti che durante lo screening rinvengono polipi adenomatosi devono essere sottoposti a resezione endoscopica e devono eseguire una nuova pancolonscopia più precocemente rispetto allo standard, in genere in un lasso di tempo variabile dai 2-6 mesi ai 3-5 anni in base al numero e alle caratteristiche dei polipi: secondo le linee guida della Società Europea di Endoscopia Gastrointestinale infatti i pazienti possono essere classificati come a basso rischio (1-2 adenomi tubulari con diametro <10 mm e displasia di basso grado) o ad alto rischio (adenomi con istologia villosa o displasia di alto grado, con diametro > 10 mm o con più di tre lesioni distinte), e il protocollo di follow-up è diverso a seconda della categoria.69

1.6 Vie di diffusione

Il CRC è in grado di diffondere attraverso varie vie: - per continuità;

- per contiguità;

- per via celomatica/endocavitaria; - per via linfatica e per via ematica.70

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La diffusione per continuità avviene lungo gli assi trasversale, circonferenziale e longitudinale del colon-retto. Il tumore guadagna progressivamente i diversi strati della parete del viscere, dalla mucosa fino alla sierosa, per poi estendersi al grasso pericolico e agli organi adiacenti, configurando così il quadro di diffusione per contiguità. Con il superamento della sierosa è possibile che si verifichi anche l’estensione al cavo peritoneale: si parla in questo caso di invasione per via celomatica o endocavitaria. Gli organi circostanti potenzialmente coinvolti dipendono dalla sede del tumore primitivo: quelli del cieco possono invadere cupola vescicale o utero nelle donne, quelli del colon destro possono estendersi a duodeno o rene destro, i tumori del colon trasverso possono invadere stomaco od omento, quelli della flessura splenica e del colon sinistro milza, coda del pancreas, rene sinistro e diaframma; i tumori del sigma infine possono estendersi come i tumori del cieco a cupola vescicale e utero.

La diffusione per via ematica è responsabile della colonizzazione di organi diversi a seconda della sede del tumore primitivo. Le neoplasie del colon e della parte superiore del retto, attraverso le vene mesenteriche superiore ed inferiore e la vena emorroidaria superiore, tributarie della vena porta, metastatizzano principalmente a livello epatico; le neoplasie del terzo medio e distale del retto metastatizzano invece principalmente al polmone, dato che le vene emorroidarie medie ed inferiori sono tributarie della vena cava inferiore. Tuttavia, le numerose anastomosi porto-cavali permettono una eventuale diffusione al polmone e ad altri organi non portali, come l’encefalo, anche delle neoplasie del colon e del retto prossimale; inoltre le anastomosi tra la circolazione reflua dal retto medio e distale ed il plesso vertebrale rendono ragione della possibile metastatizzazione di queste neoplasie anche a livello vertebrale lombare.

Anche per la diffusione per via linfatica occorre differenziare le neoplasie del colon da quelle del retto. Il drenaggio linfatico del colon prevede come stazioni linfatiche i linfonodi epicolici, i paracolici, gli intermedi lungo il decorso dei vasi colici e sigmoidei, e i principali, all’origine delle arterie mesenteriche. Il drenaggio linfatico del retto superiore ricalca quello del colon, estendendosi lungo i linfonodi dell’arteria emorroidaria superiore verso quelli localizzati nel mesosigma; il retto medio è invece principalmente drenato da vasi linfatici che sfociano nei linfonodi ipogastrici; infine il retto inferiore è drenato da vie linfatiche che giungono ai linfonodi inguino-crurali. La presenza di numerose anastomosi tra le diverse vie di drenaggio rende comunque conto della frequente possibilità di metastasi in linfonodi anche non consoni alla sede del primitivo.71

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1.7 Presentazione clinica

Il CRC spesso ha un esordio insidioso, ed il paziente può non accusare sintomi o accusarne di lieve entità per lungo tempo.

I sintomi del CRC sono il risultato dell’accrescimento della neoplasia nel lume del viscere o verso gli organi adiacenti. I pazienti sintomatici presentano generalmente episodi di sanguinamento rettale, frequenti alterazioni dell’alvo quali stipsi e diarrea anche alternate tra loro, dolore addominale vago o anche solo senso di discomfort. Sono frequenti anche l’astenia e la debolezza, mentre la perdita di peso generalmente non si verifica se non nelle fasi più avanzate.

Spesso il sanguinamento non è visibile ad occhio nudo, e viene diagnosticato per il riscontro di una anemia ad esami ematochimici di routine. Talvolta l’anemia è di entità tale da rendersi essa stessa causa di sintomatologia, potendo causare marcata astenia, affaticamento, dispnea e tachicardia. Quando il sanguinamento è visibile ad occhio nudo, può manifestarsi rispettivamente come melena (emissione di feci scure e maleodoranti, dovute alla presenza di sangue digerito) soprattutto se la lesione è prossimale o come ematochezia (emissione di feci verniciate di sangue) se la lesione è più distale.

La sintomatologia varia molto a seconda della localizzazione della lesione: il colon destro presenta un lume di diametro più ampio rispetto al colon sinistro, quindi le lesioni che insorgono nel tratto destro devono accrescersi molto di più rispetto a quelle del colon sinistro prima di poter dare sintomi ostruttivi. Per questo motivo le neoplasie del colon destro sono generalmente associate a sintomi quali fatigue ed anemizzazione, mentre le neoplasie del colon sinistro causano più frequentemente alterazioni dell’alvo e, nei casi peggiori, anche ostruzione intestinale. In entrambe le localizzazioni spesso si associa la presenza di dolore addominale, che sebbene di origine viscerale e quindi non perfettamente localizzabile dal paziente, tende ad estendersi più nelle regioni destre o nelle regioni sinistre dell’addome a seconda della sede del primitivo.

Le neoplasie del sigma possono mimare sintomatologicamente una diverticolite, presentandosi con dolore, febbre e sintomi ostruttivi. Circa il 20% dei pazienti con neoplasia del sigma è affetto anche da diverticolite, rendendo quindi più difficoltosa una eventuale diagnosi differenziale. A complicare il processo di diagnosi differenziale c’è anche il fatto che, così come la diverticolite, anche le neoplasie del sigma possono causare la comparsa di fistole colovescicali e colovaginali.72,73

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Nelle neoplasie del retto la sintomatologia varia in base alla localizzazione sovra-ampollare, ampollare o sotto-ampollare: le neoplasie sovra-ampollari danno una sintomatologia simile ai tumori del colon sinistro; le neoplasie ampollari danno soprattutto tenesmo, senso di evacuazione incompleta e di corpo estraneo, dolore gravativo, rettorragia e/o mucorrea; le forme sottoampollari danno anch’esse tenesmo, dolore perianale e perineale che incrementa con l’evacuazione, emissione di feci nastriformi miste a muco o sangue. Le lesioni più distali spesso mimano patologie anorettali benigne come ragadi e tumefazioni emorroidarie: per questo motivo in presenza dei sintomi sopracitati è importante che anche il medico di medicina generale esegua una esplorazione digitorettale per sincerarsi dell’assenza di lesioni neoplastiche.74

L’ostruzione intestinale rappresenta la principale presentazione in acuto del CRC; la perforazione intestinale si verifica molto più raramente. L’ostruzione intestinale rappresenta l’esordio sintomatologico della neoplasia nel 30% circa dei casi.

In caso di malattia metastatica la sintomatologia varia a seconda dell’organo interessato, andando da quadri limitati al dolore in ipocondrio destro causato da metastasi epatiche fino a quadri conclamati di ascite neoplastica dovuta alla carcinosi peritoneale.

1.8 Diagnosi

La presenza di una neoplasia del colon-retto può essere sospettata sulla base della positività agli esami di screening o per la comparsa di sintomi correlati alla neoplasia stessa. La diagnosi di certezza si ottiene sulla base dell’esame endoscopico, a cui faccia seguito un esame istologico del tessuto ottenuto tramite biopsia durante la stessa colonscopia. Prima degli esami strumentali è comunque necessario condurre un’anamnesi approfondita che valuti familiarità per CRC ed eventuali fattori di rischio, a cui deve far seguito un altrettanto approfondito esame obiettivo. L’esame obiettivo peraltro non può prescindere dall’esplorazione digito-rettale: se la neoplasia è posta sufficientemente in basso questa procedure consente di apprezzarne la tumefazione, e con essa il clinico è in grado di porre diagnosi nel 10-15% delle neoplasie del retto distale.70

La colonscopia è l’esame diagnostico più accurato per il CRC, in quanto consente una diretta visualizzazione della neoplasia, una accurata definizione della sede, e la possibilità di ottenere tramite biopsia tessuto tumorale per l’analisi istologica. La possibilità della presenza

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di un secondo CRC occulto (CRC sincrono) è circa del 5% e la probabilità della presenza di ulteriori polipi varia tra il 20 e il 40%: in entrambi i casi la colonscopia è in grado di identificarli.72 La sensibilità è del 96-97% e la specificità del 98%; le possibili complicanze sono piuttosto rare: il rischio di perforazione è dello 0.1%, il rischio di emorragia maggiore è dello 0.3% e la mortalità è dello 0.01-0.03%.

Quando non è possibile eseguire una colonscopia completa (ovvero condotta fino alla valvola ileo-ciecale) per motivi tecnici, come una neoplasia parzialmente stenosante, un colon particolarmente tortuoso o una insufficiente preparazione, opzioni alternative per valutare il tumore primitivo sono il clisma opaco a doppio contrasto o la colonscopia virtuale. Entrambe le metodiche hanno però il difetto di non permettere l’esecuzione di biopsie e la rimozione di eventuali polipi.72 Le linee guida AIOM del 2017 indicano però che, in caso di stenosi che renda impossibile la colonscopia totale, questa debba essere eseguita entro 6-12 mesi dall’intervento.

Agli esami strumentali vengono affiancati gli esami di laboratorio. Vengono in genere valutati emocromo, capacità coagulativa, funzionalità renale ed epatica, glicemia, elettroliti ed urine,75 allo scopo di determinare la presenza di eventuali comorbidità che possano incrementare la morbidità e la mortalità della eventuale terapia. Vengono valutati anche specifici markers tumorali, in particolare il CEA (CarcinoEmbryonic Antigen) e il Ca19.9, che sebbene non abbiano dimostrato utilità per la diagnosi precoce, risultano comunque utili per la stadiazione pre-operatoria, per il follow-up post-chirurgia e per la valutazione della risposta alla terapia. Nelle forme di adenocarcinoma mucinoso può essere utile anche valutare il Ca15.5.

1.9 Stadiazione e prognosi

Dopo la diagnosi di CRC, la stadiazione dell’estensione locale e a distanza è fondamentale per pianificare la strategia terapeutica.

Per le neoplasie del colon, l’estensione loco-regionale della malattia viene agevolmente valutata con una TC spirale dell’addome con mezzo di contrasto.

Per le neoplasie rettali, uno staging locale accurato al momento della diagnosi è particolarmente importante ed è la base per la decisione di attuare una eventuale terapia neoadiuvante. L’ecoendoscopia condotta per via trans-rettale è un esame molto sensibile per

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valutare l’estensione locale della neoplasia rettale76, ed è la metodica di scelta per questo scopo data la sua elevata accuratezza nel differenziare le neoplasie invasive dalle non invasive.77 L’esame migliore per la definizione e la caratterizzazione delle neoplasie più avanzate è invece la RMN78, che permette di studiare accuratamente l’infiltrazione del mesoretto, del plesso venoso e del grasso periviscerale.

Agli esami strumentali per la stadiazione loco-regionale della neoplasia primitiva devono seguire quelli finalizzati a valutare una eventuale estensione metastatica; circa il 20% dei pazienti infatti presentano alla diagnosi metastasi a distanza.2 Per questo scopo l’esame principalmente utilizzato è la TC spirale del torace e dell’addome con mezzo di contrasto. Essa, oltre ad essere l’esame fondamentale per la valutazione dell’estensione loco-regionale della malattia, è estremamente sensibile nella valutazione della presenza di metastasi epatiche e polmonari. La sua sensibilità tuttavia si abbassa per tumori di piccole dimensioni e per l’interessamento peritoneale.

Per le metastasi epatiche è disponibile anche un esame più sensibile e specifico rispetto alla TC: la RMN epatica con mezzo di contrasto epato-specifico. Questa metodica comunque in genere non viene utilizzata in prima linea, e viene riservata ai casi dubbi o se ne ha necessità il chirurgo/il radiologo interventista per una migliore definizione pre-operatoria. La RMN è indicata anche nei pazienti con sintomi attribuibili a coinvolgimento metastatico del sistema nervoso centrale per la valutazione di eventuali metastasi.

Se il paziente è allergico al mezzo di contrasto utilizzato per la TC, la stadiazione può essere eseguita mediante RMN dell’addome con contrasto associata ad una TC torace senza mezzo di contrasto.

La tomografia ad emissione di positroni con 18-fluorodesossiglucosio (18FDG-PET) non aggiunge informazioni significative ai reperti già ottenuti con la TC per la stadiazione pre-operatoria. È però utile in due particolari settings:

- la localizzazione della recidiva di malattia in pazienti con CEA elevato e altre tecniche di imaging non risolutive;

- la valutazione di pazienti candidati alla resezione di metastasi isolate.72

Se comparata con la TC, la PET ha infatti una sensibilità inferiore nella diagnosi delle metastasi epatiche, ma una sensibilità molto maggiore per quelle extraepatiche, tra cui quelle al peritoneo.79

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31 1.8.1 Sistemi classificativi

Diversi sono i sistemi disponibili per la stadiazione del CRC, ma i più utilizzati sono principalmente due:

- il sistema stadiativo di Dukes, stilato nel 1932 e successivamente revisionato da Astler-Coller nel 1954 e da Tumball nel 1967;

- il sistema stadiativo TNM, raccomandato dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC), più approfondito e dettagliato.

Il sistema stadiativo di Dukes è più grossolano, prendendo esso in considerazione un minor numero di varianti dei diversi parametri rispetto al TNM, ma ha il vantaggio di essere di comprensione più immediata. La classificazione di Dukes modificata prevede quanto segue:

Stadio Estensione di malattia

Stadio A Tumore limitato alla mucosa

Stadio B1 Tumore non esteso oltre la muscolare propria

Stadio B2 Tumore esteso oltre la muscolare propria, senza coinvolgimento linfonodale

Stadio C1 Stadio B1 con metastasi ai linfonodi regionali Stadio C2 Stadio B2 con metastasi ai linfonodi regionali Stadio D Presenza di metastasi a distanza

Nel sistema stadiativo TNM, la lettera “T” si riferisce all’estensione del tumore primitivo non trattato, la lettera “N” all’interessamento dei linfonodi regionali e la lettera “M” alla presenza di metastasi a distanza. Si aggiunge poi il prefisso “c” (cTNM) se la stadiazione è clinica, il prefisso “p” (pTNM) se la stadiazione è patologica post-chirurgica, ed il prefisso “y” (yTNM) se si tratta di una stadiazione patologica dopo terapia neoadivuante. Il sistema TNM viene continuamente revisionato in base alle conoscenze e alle evidenze acquisite nel tempo; adesso siamo giunti alla ottava edizione, che è entrata ufficialmente nella pratica clinica a partire dall’1 gennaio 2018.80

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L’ottava edizione del TNM prevede:

T Tumore primitivo

Tx Tumore primitivo non definibile T0 Non evidenza di tumore primitivo

Tis Carcinoma in situ o intramucoso (invasione della lamina propria senza coinvolgimento della muscularis mucosae)

T1 Tumore che invade la sottomucosa (attraverso la muscularis mucosae ma senza invadere la muscolare propria)

T2 Tumore che invade la muscolare propria

T3 Tumore che si estende oltre la muscolare propria nei tessuti pericolici/perirettali

T4a Tumore che penetra la superficie del peritoneo viscerale

T4b Tumore che invade direttamente o aderisce a strutture e/o organi adiacenti

N Linfonodi regionali

Nx L’interessamento dei linfonodi regionali non è accertabile N0 Non metastasi linfonodali regionali

N1a Metastasi in 1 linfonodo regionale N1b Metastasi in 2-3 linfonodi regionali

N1c

Nessun linfonodo regionale è positivo ma ci sono depositi tumorali nella sottosierosa, nel mesentere o nei tessuti non rivestiti da peritoneo pericolici o nei tessuti perirettali/mesorettali

N2a Metastasi in 4-6 linfonodi regionali N2b Metastasi in 7 o più linfonodi regionali

M Metastasi a distanza

M0 Non metastasi a distanza visibili all’imaging

M1a Metastasi confinate ad 1 organo/sito senza metastasi peritoneali M1b Metastasi in due o più siti/organi senza metastasi peritoneali

M1c Metastasi sulla superficie del peritoneo da sole o associate a metastasi in altri organi/siti

Riferimenti

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