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Apprendimento e sviluppo motorio tipico e atipico: studio e valutazione delle abilità grosso-motorie nel bambino in età scolare.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

________________________________________________________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITA’ MOTORIE PREVENTIVE ED ADATTATE

Presidente: Prof. Fabio Galetta

“Apprendimento e sviluppo motorio tipico e atipico: studio e

valutazione delle abilità grosso-motorie in età scolare”

RELATORE

Chiar.Mo Prof. Di Ciolo Alessandro

CANDIDATO

Dott. Rizzo Maria Assunta

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(3)

1

INDICE

Capitolo 1. L’APPRENDIMENTO MOTORIO E LO SVILUPPO DELLA MOTRICITÀ ... 4

1. Definizione di apprendimento e i principali approcci teorici in psicologia. ... 5

2. Prospettive teoriche sullo sviluppo motorio e l’interazione ambientale. ... 11

3. Le teorie del controllo motorio, le fasi e l’apprendimento motorio. ... 12

4. Lo sviluppo motorio normale ... 18

6. Il TGM (Test di Valutazione delle abilità grosso-motorie) ... 28

Capitolo 2. LE CAUSE DEL RITARDO NELLO SVILUPPO MOTORIO. ... 30

1. I primi studi sul ritardo motorio e le definizioni. ... 30

2. La disprassia in età evolutiva e le patologie associate al disturbo. ... 33

2.2. I disturbi dello spettro autistico ... 35

2.3. Il Ritardo Mentale ... 36

2.4. La sindrome dell'X fragile ... 37

2.5. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento ... 37

Capitolo 3. I BENEFICI DELL’ESERCIZIO FISICO NELLA LETTERATURA SCIENTIFICA. 39

1. Il ruolo dell’attività fisica nello sviluppo del Sistema Nervoso Centrale. ... 39

2. L’attività fisica nei bambini con disabilità fisica ed intellettiva. I programmi sportivi dedicati alla disabilità. ... 41

Capitolo 4. L’ESPERIENZA DI OSSERVAZIONE E DI VALUTAZIONE NEL CONTESTO

SPORTIVO. ... 44

1. Descrizione del setting e del gruppo ... 44

(4)

2

DISCUSSIONE ... 59

CONCLUSIONE ... 61

BIBLIOGRAFIA ... 63

(5)

3

INTRODUZIONE

Lo sviluppo psicomotorio è un processo maturativo che nei primi anni di vita consente al bambino di acquisire competenze e abilità posturali, motorie, cognitive, relazionali. Si tratta di un processo essenzialmente dipendente dalla maturazione del Sistema Nervoso Centrale (SNC), con tempi e modalità variabili per ogni bambino, in cui però è possibile individuare delle “tappe” raggiunte nello sviluppo normale.

In presenza di un canale sensoriale deficitario, di una sindrome o una patologia, congenita o acquisita, il bambino può andare incontro a delle difficoltà nello sviluppo, che possono causargli delle limitazioni che segneranno indelebilmente il suo vissuto, impedendogli di raggiungere queste tappe. Fondamentale è un intervento precoce che ci permette di individuare queste difficoltà nello sviluppo motorio, utilizzando tutti i canali che abbiamo a disposizione. Uno di questi è l’utilizzo dell’attività fisica, come mezzo per implementare le qualità psicofisiche del bambino, lavorando sugli schemi motori di base e migliorando contemporaneamente altri aspetti della sua quotidianità legati al movimento. Il progetto di seguito presentato cercherà di sottolineare l’importanza dell’attività fisica e di un adeguato sviluppo degli schemi motori di base, dopo aver rivisitato la letteratura sullo sviluppo motorio normale e patologico del bambino, grazie anche al lavoro svolto in palestra di osservazione e somministrazione di un test che valuta le abilità grosso-motorie nei bambini dai 3 ai 10 anni.

(6)

4

Capitolo 1. L’APPRENDIMENTO MOTORIO E LO SVILUPPO

DELLA MOTRICITÀ

L’ambiente che ci circonda è ricco di stimoli fisici che attivano i diversi apparati percettivi: ogni stimolo ha delle caratteristiche specifiche e viene elaborato dal SN che ha un ruolo cruciale per la codifica e l’integrazione di tutte le informazioni sensoriali. Nel corso dell’infanzia, le abilità percettive del bambino subiscono un incremento progressivo grazie proprio agli stimoli cui è costantemente esposto. [Barone, pg. 71]

Il bambino fa esperienza ogni giorno del mondo che lo circonda e grazie all’apprendimento ne acquisisce la padronanza: si relaziona con i suoi simili e con gli adulti, impara a manipolare gli oggetti e scopre come utilizzare il corpo per comunicare i suoi bisogni o per raggiungere i suoi scopi.

Per capire come il bambino realizza queste esperienze durante lo sviluppo è importante conoscere cos’è l’apprendimento, quali sono gli autori che hanno contribuito a questa definizione e come le loro teorie si sono evolute nel corso del ‘900.

(7)

5

1. Definizione di apprendimento e i principali approcci teorici in

psicologia.

L’apprendimento, secondo la definizione proposta dallo psicologo Ernest Hilgard (1971), “è un processo intellettivo attraverso cui l’individuo acquisisce conoscenze

sul mondo che, successivamente, utilizza per strutturare e orientare il proprio comportamento in modo duraturo”.

La psicologia e la pedagogia si sono interessate spesso ai processi di apprendimento, producendone numerose e differenti teorie interpretative.

1.1. Approccio comportamentista, cognitivista e costruttivista.

Possiamo definire tre grandi approcci: il comportamentismo, il cognitivismo e il

costruttivismo.

Secondo la prospettiva comportamentista, l’individuo è un organismo plasmabile dalle esperienze: il cambiamento quindi non viene dall’interno ma è l’ambiente ad imporlo.

Le teorie comportamentiste trovano uno dei loro primi fondamenti negli studi condotti agli inizi del Novecento dal fisiologo russo Ivan P. Pavlov sull’apprendimento di reazioni, dette riflessi condizionati, a nuovi stimoli ambientali. 1La teoria pavloviana, sviluppatasi inizialmente su modelli animali, fu

estesa anche allo studio del comportamento umano, ovvero supponendo che i processi fondamentali dell’acquisizione dei riflessi condizionati fossero comuni agli animali e all’uomo: i comportamenti che hanno avuto risultati positivi tendono ad essere ripetuti dai bambino (rinforzi positivi) mentre vengono eliminati i rinforzi

negativi. Per Pavlov, quindi, lo sviluppo è una lunga sequenza di esperienze di

apprendimento, e l’apprendimento può avvenire per condizionamento classico.

1http://www.icferraripontremoli.it/materiale/2marzo/Nuova%20cartella/1%20TEORIE%20APPRE

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6

Skinner si baserà sugli studi di Pavlov ma sostendo alla base dell’apprendimento

un condizionamento di tipo operante: il rinforzo non può seguire se la risposta condizionata non appare, cioè il rinforzo è condizionato alla risposta stessa. Il paradigma del condizionamento operante viene esplicitamente applicato da Skinner all’apprendimento umano. L’istruzione programmata, i cui principi vengono presentati da Skinner nell’articolo dal titolo The science of learning and

the art of teaching, è uno schema progettato per far apprendere conoscenze

complesse agli studenti, rinforzando sempre ed esclusivamente i risultati positivi ottenuti.2

Il cognitivismo propone un nuovo approccio per spiegare l’apprendimento, quello dell’elaborazione delle informazione.

Il concetto base di associazione stimolo-risposta, caratteristico del comportamentismo, è sostituito dal concetto di organizzazione gerarchica dei

meccanismi e delle procedure che presiedono alla codifica dei messaggi

ambientali: l’uomo viene quindi concepito come un elaboratore di informazioni. Molto importanti per il passaggio dal comportamentismo al cognitivismo furono inoltre gli esperimenti del fisiologo canadese D.O. Hebb che iniziarono una vera e propria rivoluzione in merito al ruolo del sistema nervoso nell’acquisizione di nuovi comportamenti. 3

Negli anni ’80 e ’90, diversi studiosi dello sviluppo cognitivo si sono andati accostando con maggior interesse al costruttivismo piagetiano.

Ricercatore svizzero e padre dell’epistemologia genetica, J. Piaget si è occupato di descrivere lo stretto legame tra apprendimento percettivo e sviluppo delle competenze motorie. Per Piaget, l’intelligenza è una forma di adattamento dell’individuo all’ambiente e progredisce attraverso stadi di sviluppo, filogeneticamente predisposti.

Gli stadi fondamentali dello sviluppo per P. sono: [Piaget, pg.13]

2 Skinner, B. F. (1954), The science of learning and the art of teaching, Harvard Educational

Review, Vol 24, 86-97.

3http://www.icferraripontremoli.it/materiale/2marzo/Nuova%20cartella/1%20TEORIE%20APPRE

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7 - 1° stadio dei riflessi o meccanismi ereditari, delle prime tendenze istintive e

delle prime emozioni;

- 2° stadio delle prime abitudini motorie e delle percezioni organizzate; - 3° stadio dell’intelligenza sensomotoria o pratica;

- 4° stadio dell’intelligenza intuitiva;

- 5° stadio delle operazioni intellettuali concrete; - 6° stadio delle operazioni intellettuali astratte.

Fondamentale è il concetto di assimilazione per Piaget, che consiste nell'incorporare un evento o un oggetto in uno schema comportamentale-cognitivo già acquisito: il bambino utilizza un oggetto per effettuare un'attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti (per esempio il riflesso di prensione palmare4). L’intelligenza

sensomotoria [Piaget, pg. 17] quindi non è altro che un modo in cui può avvenire

l’adattamento tra l’organismo e l’ambiente.

A differenza dell'approccio piagetiano, Lev Vygotskij, il maggiore esponente di quella che viene comunemente chiamata “scuola socio-culturale”5, sistematizzò

per primo i concetti e i metodi della teoria socio-culturale nella sua opera Studi

sulla storia del comportamento (1930). In questa opera vengono posti a confronto

le funzioni psichiche e il comportamento di primati, bambini ed esseri umani adulti, tracciando pertanto confronti sia dal punto di vista filogenetico (rapporto animale - uomo) che ontogenetico (bambino – uomo).

Egli non riteneva come Piaget che il bambino passasse attraverso diversi stadi e dunque "fosse pronto" ad apprendere nuove conoscenze, sostiene anzi che il bambino impara da coloro che si trovano ad un livello di conoscenza superiore6.

Secondo Vygotskij è compito dell’educatore proporre al bambino problemi di livello superiore alle sue competenze e aiutarlo nella risoluzione del compito. Se il

4 Uno dei riflessi arcaici del neonato che lo porta a stringere nella mano oggetti nuovi che vengono

presentati nel suo campo visivo

5 La scuola socio-culturale è si sviluppata in Unione Sovietica durante la prima metà del novecento 6

(10)

8 processo è impostato correttamente, la zona di sviluppo attuale del bambino si amplia includendo la zona di sviluppo prossimale, ovvero diventa capace di eseguire autonomamente un compito che prima non sapeva eseguire. (Figura 1)

Figura 1 Rappresentazione della Zona di Sviluppo Potenziale secondo Vygotskij

Un concetto simile alla zona di sviluppo prossimo è stato elaborato da Jerome

Bruner: è il concetto di scaffolding, termine utilizzato per la prima volta in un

articolo pubblicato nella rivista scientifica Journal of Child Psychology and

Psychiatry7, in cui venivano descritti i metodi di interazione tra un tutor e un bambino, durante il processo di costruzione di una piramide in blocchi di legno. Bruner utilizzò il termine per indicare la metafora dell'intervento della persona esperta (tutor) che aiuta quella meno esperta (bambino) nella risoluzione di un problema che da solo non riuscirebbe a portare a termine.

Bruner, inoltre, condivide il pensiero di Piaget sulla stadiazione dello sviluppo, vedendo nell’acquisizione delle capacità sensori-motorie una forma di “soluzione di problemi”, ma a differenza di quest’ultimo sostiene il linguaggio come il principale fattore per la crescita cognitiva del bambino e, in particolare, sostiene che la competenza linguistica passi attraverso l’azione: secondo Bruner, “l’evoluzione dell’azione forma un parallelo con la struttura del discorso”.

7 D Wood, J S Bruner, G Ross (1976), The role of tutoring in problem solving, Journal of Child

(11)

9

1.2. Apprendimento sociale e per imitazione.

Un riferimento all’apprendimento imitativo verrà fatto per capire in maniera ancora più approfondita come si è evoluto il concetto di apprendimento in relazione ai comportamenti sociali.

Albert Bandura, psicologo canadese che negli anni ‘60 prende le distanze

dall'approccio comportamentista, costruisce un approccio orientato allo studio dell'adattamento individuo-ambiente: con la “Teoria dell’apprendimento sociale” egli sostiene che l’apprendimento non implica esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma questo può realizzarsi anche attraverso esperienze indirette grazie all'osservazione.

Bandura ha adoperato il termine modeling (modellamento) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo (che ha quindi la funzione di modello). Famoso ormai è l'esperimento della bambola Bobo8, una ricerca sperimentale sull'aggressività, con la quale fu dimostrato che il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione.

Bandura quindi, introducendo il concetto di “Apprendimento Osservativo”, spiega come l’apprendimento possa avvenire anche solo grazie all’osservazione. Un atto di imitazione prevede l’osservazione di qualcuno, la pianificazione dell’azione osservata e l’esecuzione dell’atto motorio e questa coinvolge dunque la visione, la pianificazione e il controllo motorio. Diverse saranno le teorie sull’imitazione insieme agli studi, esemplari quelli sui neonati nell’imitazione delle espressioni facciali [Meltzoff, Moore, 1989].

Anche il Sistema dei Neuroni Specchio svolge un ruolo importante nell’apprendimento attraverso una modalità di imitazione. Questi neuroni sono stati scoperti circa 10 anni fa nella corteccia premotoria (area F5) del cervello del

8 Bandura et al., Transmission of aggression through imitation of aggressive models (1961),

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10 macaco dal gruppo di ricerca italiano del Dipartimento di Neuroscienze del prof. G. Rizzolatti (Parma). Secondo Rizzolatti (2006) l’area F5 contiene una sorta di “vocabolario di atti motori le cui parole sarebbero rappresentate da popolazioni di

neuroni”. In termini generali, i neuroni specchio costituiscono un sistema

neuronale che mette in relazione le azioni esterne eseguite dal soggetto osservato con il repertorio di azioni dell’osservatore [Fedrizzi, pg.47]. Un’importante funzione dei neuroni specchio è quindi l’imitazione: grazie al meccanismo che compara osservazione ed esecuzione, l’osservatore è capace di tradurre l’informazione ricevuta in parametri motori necessari per la riproduzione del modello osservato [Fedrizzi, pg.49]

“L’evoluzione del comportamento motorio è uno degli aspetti dello sviluppo

cognitivo, visto come progressiva costruzione di “memorie interne” che si realizzano nell’incontro fra organizzazioni senso-motorie preformate e progressiva capacità di significazione, che si sviluppano nel bambino attraverso la sua esperienza degli oggetti, delle persone e delle loro variazioni”: con il modello

evolutivo di Monoud (1977) lasciamo le teorie dell’apprendimento e la relazione tra sviluppo cognitivo e motorio per affrontare le teorie dello sviluppo motorio in relazione all’ambiente.

(13)

11

2. Prospettive teoriche sullo sviluppo motorio e l’interazione

ambientale.

L’influenza dell’ambiente sullo sviluppo del comportamento motorio ha interessato i ricercatori per anni. Secondo la Teoria classica o maturativa di Gesell - Mc.Graw [K.Kamm, E. Thelen, J. L. Jensen, 1990], che risale agli anni ‘20-’40, lo sviluppo motorio è un prodotto della maturazione del sistema nervoso ed esso viene visto come una sequenza di tappe in cui vi è una progressione di tipo

cefalo-caudale (il controllo del capo e dell’asse corporeo precede quello degli arti) e prossimo-distale (lo sviluppo dei movimenti delle parti prossimali precede quello

delle parti distali degli arti). I principi dello sviluppo motorio individuati nella teoria maturativa tengono poco conto sia delle differenze individuali nell’emergere di nuovi comportamenti motori sia della plasticità del sistema nervoso durante lo sviluppo: secondo questi autori l’esperienza non modifica il comportamento che quindi dipende solo dalla maturazione. Successivamente si diffonderà l’approccio

cognitivo e i modelli dell’elaborazione dell’informazione (vedi pg. 4, Cap. 1), in cui

il SN è un paragonato a un computer che utilizza regole e programmi in grado di analizzare i segnali provenienti dall’ambiente esterno, in cui l’esperienza perde completamente il suo ruolo di stimolare l’organizzazione e l’integrazione dei sistemi motori.

A partire dagli anni ’80 invece, la letteratura si è arricchita di molti studi sperimentali che hanno dimostrato il ruolo delle afferenze ambientali nell’influenza dello sviluppo delle funzioni cerebrali e dell’organizzazione strutturale del sistema nervoso (es. studi sulle modificazioni della corteccia visiva degli scimpanzè in seguito a deprivazione visiva). [Fedrizzi, pg. 57] Il rapporto tra

struttura e funzione non è quindi “a senso unico” [Fedrizzi, pg. 56], ovvero le

modificazioni nell’ambiente possono determinare modificazioni nella struttura dell’encefalo.

Un contributo recente alle modalità con le quali, nel corso dello sviluppo del comportamento motorio, il bambino acquisisca una competenza sempre più

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12 adeguata ai problemi posti dall’ambiente e sia in grado di modulare le sequenze in relazione alle esigenze ambientali viene fornito dalla Teoria di selezione dei

gruppi neuronali (Eldeman, 1987)9. Secondo questa teoria i sistemi corticali e

sottocorticali sono organizzati in circuiti o reti, la cui struttura e funzione è selezionata nel corso dello sviluppo dal comportamento. Lo sviluppo motorio secondo questa teoria avviene in due fasi di variabilità: quella primaria e quella

secondaria, quest’ultima in particolare aumenta tra i due e i tre anni di vita del

bambino in relazione all’aumento della complessità dei compiti ambientali, per poi ridursi in età adolescenziale in cui il comportamento motorio diventa preciso ed adeguato al singolo compito motorio. [Fedrizzi, pg. 60]

3. Le teorie del controllo motorio, le fasi e l’apprendimento motorio.

Nello studio dello sviluppo del comportamento motorio è necessario conoscere la distinzione tra Controllo Motorio e Apprendimento Motorio.

- Il termine Controllo Motorio viene usato per definire l’insieme dei processi che regolano la stabilità posturale e l’equilibrio sia in condizioni statiche che in quelle dinamiche. [Fedrizzi, pg.61]

- L’Apprendimento Motorio è invece il processo interno che riflette il livello di capacità individuale di prestazione dell’azione motoria. [Schmidt-Wrisberg, pg. 12].

Il contributo delle afferenze sensoriali e sensitive è fondamentale per realizzare un movimento: diverse sono le teorie che sono state proposte per spiegare come avviene e come è regolato il controllo motorio.

9 G.M. Edelman (1987), Neural Darwinism: The theory of neuronal group selection, New York, Basic

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13 3.1. Il controllo motorio a circuito chiuso e circuito aperto. Tra le teorie del controllo motorio a circuito chiuso ritroviamo quella di Adam (1971) in cui sostiene che il SNC controlli l’esecuzione del movimento basandosi sul feedback sensoriale. Gli errori nell’esecuzione sarebbero confrontati con le tracce mnestiche presenti nella memoria motoria (Zoia, pg.92) mentre nella traccia percettiva sono rappresentate tutte le informazioni della corretta esecuzione del movimento. (Figura 2)

Figura 2. Diagramma sistema di controllo a circuito chiuso

Nel sistema di controllo a circuito chiuso si riconoscono quindi 4 componenti: 1.esecutore

2. effettore 3. feedback 4. comparatore

Il maggiore svantaggio del sistema a circuito chiuso è che rende il controllo molto lento, specialmente a livello dello stadio di programmazione della risposta. [Schmidt-Wrisberg, pg.96]

Il sistema di controllo a circuito aperto invece non prevede né il feedback per correggere il movimento in atto né un meccanismo che compari gli errori, quindi non sono possibili gli aggiustamenti nel corso dell’esecuzione dell’azione. Il sistema a circuito aperto risulta efficace finché le circostanze ambientali rimangono invariate, il feedback serve solo per attivare il movimento successivo.

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14 Un primo modello di sistema di controllo a circuito aperto è quella fornita da

W.James nel 1890, in cui l’esecutore si occupa degli stadi di elaborazione

dell’informazione mentre l’effettore è rappresentato dal programma motorio e il sistema motorio periferico: il feedback ha appunto una funzione attivante.

Ma com’è possibile creare nuovi pattern di movimento che siano anche flessibili?

Schmidt affronta il problema dell’immagazzinamento [Schmidt-Wrisberg, pg.139]

e dà il suo importante contributo con la teoria dei programmi motori: ogni nuovo movimento è il risultato di un programma motorio generalizzato, ovvero “un pattern motorio immagazzinato in memoria”. A differenza del pattern di

programma motorio semplice (che è limitato dal problema

dell’immagazzinamento), il programma motorio generalizzato può essere modificato nel corso dell’esecuzione del programma. La teoria dello schema di Schmidt, inoltre, ha contribuito a considerare nell’intervento centrato sull’apprendimento l’importanza di definire un programma che prevede una pratica ottimale e l’utilizzo del feedback. Anche se questa teoria si è ulteriormente sviluppata e modificata nel tempo, le premesse di base rimangono tuttora valide. [Zoia, pg. 93]

Teorie più recenti invece si fondano sulla teoria dei sistemi dinamici, influenzata in maniera determinante dagli studi di Bernstein condotti negli anni ’50-‘60. Il neurofisiologo russo inizia a studiare lo sviluppo applicando un metodo quantitativo: lo sviluppo delle azioni motorie coordinate è il risultato di una complessa interazione tra fattori neurali (controllo dei muscoli da parte del SNC), ma anche fisici e biomeccanici, insieme alle condizioni ambientali: secondo Bernstein, “la coordinazione del movimento è il processo di controllo dei numerosi

gradi di libertà disponibili nei diversi sistemi coinvolti nell’attività motoria”.

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15

Figura 3 Descrizione del movimento per N. Bernstein (1967)

Il movimento si realizza quindi e dipende da tutti i fattori del sistema: quando cambia l’organizzazione biomeccanica, questa induce cambiamenti nel SN e quest’ultimo deve riorganizzarsi nella gestione del sistema stesso. [K.Kamm, E. Thelen, J. L. Jensen, 1990].

Un altro contributo importante alla comprensione dei processi di controllo motorio è costituito dalla Teoria ecologica dello psicologo Gibson (in The senses

considered as perceptual systems, 1966): per Gibson, le azioni richiedono

informazioni percettive specifiche relative ad un’azione mirata posta dal contesto ambientale e la percezione è fondamentale nel controllo motorio.

3.2. Le fasi dell’apprendimento. L’apprendimento motorio si manifesta come un passaggio progressivo e graduale attraverso 3 fasi per Fitt e Posner [Taylor, Ivry, 2011]: da una fase iniziale di comprensione del compito e di coordinazione grezza, ovvero la fase cognitiva (“Cognitive Stage”) definita anche “verbale” considerata l’importanza del linguaggio nelle fasi iniziali (es. ripetizione a voce alta prima dell’esecuzione del movimento); si passa poi allo sviluppo della coordinazione fine, o alla fase associativa (“Associative Stage”), in cui si studiano i dettagli specifici della sequenza motoria; e, infine, la terza e ultima fase di automatizzazione

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16

(“Autonomous Stage”) in cui il movimento viene riprodotto in maniera

automatica.10 (Figura 4)

Figura 4 Schema delle fasi [J. A. Taylor, R. B. Ivry, 2011]

Per Gentile [Gentile, 1972], l’apprendimento delle abilità motorie prevede almeno due fasi fondamentali: il primo “cognitivo o esploratorio”, e il secondo “di

fissazione o esplorazione”.11 (Figura 5)

Figura 5 Fasi iniziali delle acquisizioni delle abilità [Gentile, 1972]

10 Jordan A. Taylor and Richard B. Ivry, The role of strategies in motor learning, 2012, Annals of

the New York Academy of Sciences

11 A. M. Gentile, A Working Model of Skill Acquisition with Application to Teaching, 1972, Quest,

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17 Nelle prime fasi per Gentile è fondamentale che il bambino abbia “un’idea del movimento”, e fondamentale è l’utilizzo di attenzione, pianificazione motoria e dei feedback sensoriali: si realizza così un primo concetto generale del pattern motorio. Successivamente si passerà ad una fase in cui il movimento verrà compreso in maniera più dettagliata, e di conseguenza si migliora l’esecuzione. La pratica quotidiana determinerà poi l’automatizzazione del movimento stesso. Per Wollacott (1995), infine, l’apprendimento motorio è “una modificazione

adattiva del comportamento motorio che porta all’acquisizione stabile di abilità”

e individua i processi principali che contribuiscono all’emergere degli schemi posturali durante lo sviluppo [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora, pg. 122]: processi motori e sensoriali, componenti muscolo-scheletriche, rappresentazioni interne dell’azione e meccanismi cognitivi anticipatori.

Le teorie fin ora descritte sono state elaborate su dati sperimentali relativi all’adulto, mentre per quanto riguarda le modalità di apprendimento motorio sui bambini dobbiamo rifarci agli studi osservazionali sul comportamento motorio degli psicologi dello sviluppo. [Fedrizzi, pg. 65]

Come si realizza quindi questo apprendimento? Quali sono le tappe che portano il bambino a muovere i primi passi e che cosa è importante ottenere a livello posturale prima di conquistare questo importante traguardo? Il paragrafo successivo cercherà di descrivere quali sono le tappe dello sviluppo, fin dai primi movimenti riflessi fino a quelli volontari, e la descrizione dell’acquisizione degli schemi motori di base.

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18

4. Lo sviluppo motorio normale

Il sistema nervoso inizia a svilupparsi durante la gestazione e la sua maturazione continuerà sia durante l’infanzia che nell’adolescenza. I fattori che influenzano lo sviluppo motorio di un bambino sono diversi e includono sia i tratti genetici/ereditari che regolano il controllo motorio, sia la maggiore o minore partecipazione ad attività motorie, che fungono quindi da stimolo. [Kurtz,pg.13]

4.1. I primi mesi di vita: dai riflessi alle posture

Il neonato nei primi giorni di vita somiglia molto al feto delle ultime settimane di gestazione: entrambi si muovono molto, con un repertorio di movimenti molto simili, mantenendo una posizione prevalentemente in flessione e alternando momenti di riposo a quelli di veglia fino a quelli di sonno REM [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora, pg. 90]. Anche se in misura ridotta, già il feto è in grado di rispondere a tutti gli stimoli sensoriali: la vista è l’ultimo senso che si sviluppa, intorno alla 26esima settimana mentre il primo è il tatto (8° settimana), e già alla nascita reagisce alle stimolazioni tattili in quasi tutte le parti del corpo, specie mani e contorno bocca.

Per quanto riguarda il profilo motorio, il neonato presenta una “ipertonia” dei muscoli flessori degli arti (braccia e gambe piegate), mentre manca quasi il tono se consideriamo il tronco (ovvero assenza di postura).

I riflessi 12sono importanti indicatori dell’integrità strutturale e funzionale

dell’encefalo e possono essere considerati i precursori dello sviluppo motorio successivo. Questi sono:

1. Il Riflesso di rotazione del capo

2. Il Riflesso “tonico asimmetrico” del collo

12 Peculiarità nel neonato sono i RIFLESSI, la cui normalità ci permette di verificare l’integrità del

sistema nervoso. L’assenza nei primi giorni e mesi di vita di particolari risposte riflesse (riflessi neonatali o arcaici) a determinati stimoli indica una situazione di anormalità. Allo stesso modo, questi riflessi devono scomparire entro un certo limite di tempo.

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19 3. Il Riflesso di fuga

4. Il Riflesso di Moro 5. Il Riflesso di prensione 6. Il Riflesso di marcia

Dai 0 ai 3 mesi, tutte le funzioni sensomotorie sviluppate nella via intrauterina vengono ora riorganizzate: la stabilizzazione e controllo posturomotorio sulla linea mediana, la coordinazione occhio-mano/mano-bocca, l’esplorazione tattile e il benessere percettivo globale.

Dai 3 ai 6 mesi il bambino continua ad acquisire diverse modalità di interazione con l’ambiente: la percezione, l’esplorazione, la comunicazione, le prassie (ovvero le “istruzioni”, la sequenza di azioni per realizzare un atto motorio). [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora,pg. 115]. Matura il controllo posturale antigravitario del capo e del tronco superiore, migliora l’equilibrio nelle posizioni orizzontali (prono, supino e laterale). Il controllo posturale sarebbe quindi il risultato dell’integrazione delle informazioni provenienti dai recettori sensoriali, dai segnali del SNC al sistema motorio, dalla componente muscolo-scheletrica e le forze imposte dall’ambiente. [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora,pg. 122]:

Intorno al 5°- 6° inizia la fase di preparazione per le prime posture da prono/supino e seduto e tra il 9°-10° mese raggiunge il controllo della postura, dopo aver imparato a rotolare (4° mese), strisciare e gattonare (9° mese): inizia così l’esplorazione dello spazio. (Vedi Figura 6)

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21 Un’altra capacità che si sviluppa ancor prima della nascita è quella della

manipolazione degli oggetti: tra i 3 e i 6 mesi emerge un chiaro interesse per le

mani, il primo elemento grazie al quale il bambino fa esperienza di se stesso e del mondo che lo circonda, sia attraverso i riflessi che nelle attività di tipo volontario. Già intorno al primo mese di vita infatti, il Riflesso di Presione comincia ad indebolirsi e scompare del tutto verso i due mesi, quando il bambino comincia a sviluppare la prensione vera e propria.

La prima esplorazione autonoma dello spazio avviene anche grazie alla conquista della postura seduta: questa infatti permette di avere le mani libere per prendere e portare in giro gli oggetti e quindi per realizzare un’ulteriore maturazione della manipolazione e della motricità fine distale.13

4.2. La conquista della stazione eretta

Nel corso dei primi due anni di vita il bambino conquista le principali abilità motorie. Nel dettaglio possiamo dividere queste abilità in due fasi [Camaioni, Di Blasio, 2002]:

1. La prima è la tendenza del bambino a raggiungere una sempre maggiore mobilità che permette di ampliare il raggio d’azione, per esplorare un ambiente progressivamente più vasto;

2. La seconda consiste nella conquista della posizione eretta che permette di avere le mani libere per esplorare l’ambiente anche grazie alla manipolazione degli oggetti.

Il cammino autonomo costituisce l’espressione matura e complessa di tutte le attività motorie acquisite nel corso del primo anno di vita. [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora, pg.150]. (Figura 7) Esso permette al bambino di fare esperienze completamente diverse, di essere più simile agli adulti che lo circondano: lo schema del cammino si sviluppa e si modifica in base al suo carattere, alle sue attitudini, al suo bisogno di scoperta e non di meno in base alle

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22 caratteristiche biomeccaniche di arti superiori ed inferiori, quindi ai propriocettori, ai meccanocettori, ecc..., che saranno fondamentali nella fase di invio delle informazioni sensoriali per la rielaborazione da parte del sistema nervoso.

Figura 7. Sviluppo della locomozione

Il bambino conquista della stazione eretta con piccoli esercizi di sollevamento verso l’alto, utilizzando delle basi stabili con le quali reggersi (es. i mobili), ma nello stesso tempo sperimenta la perdita dell’equilibrio e impara a non aver paura quando sta per cadere.14 Una volta in piedi inizia ad allenare il cammino laterale,

sempre aiutato dagli appoggi, impara a gestire il peso prima su un arto e poi sull’altro, finchè non si sente pronto a lasciare il sostegno e tenta la deambulazione autonoma. La conquista del cammino autonomo è normalmente associata ad un

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23 aumento della curiosità del bambino nell’esplorazione dello spazio circostante, associando il cammino alla manipolazione degli oggetti.

Bonnier (1905) è stato il primo ad utilizzare l’espressione schema corporeo per indicare la rappresentazione topografica e spaziale del corpo, che permette al bambino di orientarsi rispetto all’ambiente esterno [L. Bertozzi, L. Montanari, I. Mora, pg.111]. Federn (1953) definisce e distingue lo schema corporeo dall’

immagine corporea, ovvero una rappresentazione mutevole del proprio corpo che

cambia appunto proprio grazie allo sviluppo. Nonostante le diverse definizioni che si sono susseguite nel tempo riguardo a schema ed immagine corporea, possiamo intuire come uno “schema corporeo” debba comprendere sia informazioni sulla disposizione nello spazio nel corpo che le sequenze motorie relative alla programmazione del movimento.

Gli schemi motori di base, le prime unità del movimento complesso, costituiscono il bagaglio motorio che il bambino utilizzerà per instaurare le relazioni sociali con gli altri bambini, ovvero nel gioco, e nello stesso tempo importanti in tutte le altre attività della vita quotidiana, sia a casa che a scuola. Acquisire gli schemi motori e saperli combinare tra loro, anche con l’utilizzo di oggetti, significa saper gestire se stessi ed esprimersi attraverso il movimento.

(26)

24

4.3 Gli schemi motori di base

La struttura del movimento volontario finalizzato consta quindi di elementi semplici o unità di base, costituiti da tutte le forme fondamentali e naturali del movimento e dalle loro combinazioni più spontanee, sono chiamati “schemi motori di base” perché appaiono per primi nello sviluppo dell’individuo, si sviluppano in diretta correlazione al tipo di esperienze motorie vissute, e si caratterizzano nelle diverse fasce di età.15 Fra i 3 e i 6 anni i bambini raggiungono

le competenze motorie di base e, con l’avanzare dell’età, migliora l’equilibrio e la coordinazione globale e fine.

 Gli schemi motori dinamici sono quelli che permettono al corpo di spostarsi nello spazio. Vengono così chiamati i seguenti movimenti: camminare,

correre, sollevare, saltare, lanciare ed afferrare, tirare e spingere, rotolare, strisciare, arrampicarsi.

Camminare: è il primo degli schemi motori che il bambino esegue dopo aver conseguito la stazione eretta. A 5-6 anni il bambino corre tendendo ad un’andatura poco armonica e scarsamente economica (passi irregolari, molto frequenti e di limitata ampiezza) (Immagine 1). Successivamente, di norma questo schema motorio migliora grazie allo sviluppo nella coordinazione, nell’equilibrio, nel ritmo. Anche saltare (Immagine 3) può essere ancora un esercizio che suscita paura a 6 anni, bisogna imparare a saltare da piani sopraelevati e vincere le sensazioni negative, imparando ad atterrare magari su materassi morbidi che facilitano quest’esperienza.

15https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/culturasport/sport/allegati/Libro

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25 I movimenti che riguardano l’arto superiore e la motricità più fine, come lanciare ed afferrare, sono spesso più critici perché presuppongono non solo lo sviluppo della coordinazione tronco-arti ma anche quello del campo visivo: spesso i bambini non sanno afferrare una palla perché non riescono a vederla, non riescono ad anticipare il movimento, si muovono troppo tardi o troppo presto, orientano il corpo in un’altra direzione. (Immagine 4)

Come il rotolare e lo strisciare, anche l’arrampicarsi è uno schema che nella prima infanzia precede l’acquisizione della stazione eretta. Anche qui è importante supportare il bambino nelle prime fasi di approccio a questo esercizio sia nella fase di salita che di discesa, ad esempio da una spalliera. (Immagine 2 e 5)

Immagine 1. Progetto “Educazione motoria ed integrazione” (con la gentile concessione del prof. A. Di Ciolo)

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26  Gli schemi posturali sono schemi statici o statico-dinamici in cui il corpo resta fisso

sul posto e vi è uno spostamento nello spazio di una qualsiasi parte di esso e i diversi segmenti corporei conservano un rapporto fra di loro: flettere, piegare,

circondurre, ruotare, oscillare, inclinare, addurre o abdurre, sollevare.

Immagine 2. Progetto “Educazione motoria ed integrazione” (con la gentile concessione del prof. A. Di Ciolo)

Immagine 3. Progetto “Educazione motoria ed integrazione” (con la gentile concessione del prof. A. Di Ciolo)

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27 Questi schemi motori possono essere osservati nel bambino attraverso prove e test: nel prossimo paragrafo introdurremo uno strumento di valutazione molto utile per le abilità appena descritte.

Immagine 4. Progetto “Educazione motoria ed integrazione” (con la gentile concessione del prof. A. Di Ciolo)

Immagine 5. Progetto “Educazione motoria ed integrazione” (con la gentile concessione del prof. A. Di Ciolo)

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28

6. Il TGM (Test di Valutazione delle

abilità grosso-motorie)

Il Test di Valutazione delle abilità grosso-motorie (acronimo inglese TGMD) è stato pubblicato per la prima volta nel 1992 da Dale A. Ulrich, professore e direttore presso il Center on Physical Activity and Health in

Pediatric Disabilities dell’Università del

Michigan. Ulrich voleva ideare un test che potesse essere un sistema di valutazione

per lo sviluppo motorio del bambino, nell’attività fisica adattata e per lo studio del comportamento motorio. L’edizione che qui viene proposta è la prima, tradotta in italiano dal Centro Studi Erickson. Il test propone l’osservazione degli schemi motori di base che normalmente vengono acquisiti dai bambini dai 3 ai 10 anni: si tratta di un test a somministrazione individuale che misura 12 abilità

grosso-motorie divise in due categorie, 1. Abilità di locomozione e 2. Abilità di controllo dell’oggetto.

1. La prima categoria prevede abilità di corsa, di galoppo (in avanti e laterale), di salto (sullo stesso piede, in avanti, in lungo da fermo).

2. La seconda categoria misura altre abilità che hanno a che fare con l’uso di oggetti: colpire la palla con una racchetta, fa rimbalzare una palla, afferrare una palla dopo un lancio, calciare una palla dopo la corsa e lanciare una palla dall’alto. (Vedi APPENDICE)

Il test dà la possibilità di osservare l’acquisizione dei suddetti schemi e identificare quei bambini che presentano un ritardo dello sviluppo motorio rispetto ai loro coetanei. E’ un test di facile utilizzo che dà la possibilità di poter pianificare un programma educativo specifico nell’ambito dello sviluppo di abilità grosso-motorie [D. A. Ulrich, 1992]. Diversi sono stati gli autori che hanno utilizzato e

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29 somministrato il test pubblicando articoli scientifici, anche per le edizioni del test successive alla prima. [vedi C. Evaggelinou, N. Tsigilis, A. Papa, 2002]

L’età prescolare è il periodo di sviluppo durante il quale i bambini acquisiscono la maggior parte delle competenze di base riguardo alla locomozione e al controllo degli oggetti, ad esempio l’utilizzo di una palla nel lanciarla; tuttavia, l’acquisizione di questi schemi può essere problematico per i bambini che presentano delle difficoltà legate all’apprendimento o nei bambini con carenze nella coordinazione, equilibrio, orientamento, causati dalla presenza di patologia o dovuti ad una disabilità permanente.

Nel capitolo successivo ricorderemo quali sono stati gli autori che per primi si sono dedicati allo studio dei deficit motori in età evolutiva e quali sono le cause che provocano questo ostacolo nella realizzazione del movimento.

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30

Capitolo 2. LE CAUSE DEL RITARDO NELLO SVILUPPO

MOTORIO.

1. I primi studi sul ritardo motorio e le definizioni.

Tra il 1909 e il 1903 Duprè attirò per la prima volta l’attenzione su una condizione da lui stesso definita “debilitazione motoria”, descrivendo dei giovani soggetti che mostravano un evidente squilibrio motorio. [Le Boulch, pg. 19] Gli studi su questo disturbo dell’età evolutiva si susseguiranno negli anni finchè, negli anni ’70, gli studiosi Gubbay, Walton, Ellis e Curt descriveranno dettagliatamente 21 bambini “goffi, maldestri”, in inglese clumsy children, ovvero che presentavano delle difficoltà a mettere in atto movimenti adeguati nonostante un’intelligenza normale. [Gubbay, Ellis, Walton, Court, 1965]

Il termine “ritardo motorio” viene abitualmente usato per definire il rallentamento della sequenza di sviluppo delle competenze motorie globali e quindi sia dell’organizzazione posturale antigravitaria che degli schemi di locomozione [Fedrizzi, pg. 205], che nel bambino con sviluppo tipico abbiamo visto essere acquisiti normalmente nei primi due anni di vita.

In un quadro generico di “ritardo motorio”, l’osservazione distinta e comparata della motricità spontanea da una parte e del suo uso funzionale dall’altra consente di distinguere [Rapisardi, 1999]:

- Il ritardo costituzionale, di solito con prognosi favorevole (completezza del repertorio di motricità spontaneo non funzionale, buone competenze comportamentali e relazionali);

- La disorganizzazione nell’uso del repertorio motorio (movimenti bruschi, poco eleganti, ipereccitabilità, difficoltà a fermarsi), tipico del nato pretermine; tale quadro può andare a scomparire nei primi 12-24 mesi oppure prolungarsi negli

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31 aspetti motori della cosiddetta “disfunzione cerebrale minima”16 (goffaggine e

impaccio, difficoltà nell’equilibrio e nella coordinazione);

- La patologia cognitiva o psicoaffettiva (anche da deprivazione ambientale), in cui è presente un disturbo della motivazione, dell’intenzionalità e/o delle capacità di integrazione delle competenze a livello cognitivo e in cui il repertorio di motricità spontaneo non funzionale è completo (anche come movimento stereotipato).

La definizione di “ritardo dello sviluppo psicomotorio” viene utilizzato in ambito clinico in modo generico per definire una mancata acquisizione delle competenze motorie, cognitive e comunicative in relazione all’età cronologica. Questo differisce dal “Ritardo motorio semplice”17, che si riferisce alle sole competenze

motorie globali, mentre nel ritardo psicomotorio è presente un ritardo di tutte le funzioni adattive. Il ritardo psicomotorio può essere successivamente diagnosticato come la prima manifestazione clinica del Ritardo Mentale (vedi pg. 34, “Il Ritardo Mentale”), come manifestazione clinica di sindromi con base genetica (es. Sindrome di Down, Sindrome di Williams, ecc…), come il primo sintomo di malattie neuromuscolari come la Paralisi Cerebrale Infantile. [Fedrizzi, pg. 207]

Il problema del rapporto tra danno cerebrale, segni di disfunzione neurologica e disordini dell’apprendimento e del comportamento è stato oggetto di discussione e dibattito per tutto il secolo scorso, e anche ora ci sono difficoltà a riordinare le informazioni che si ricavano dalla letteratura scientifica.

Goldstein e Werner (citati da Touwen nel suo testo “Examination of the child with minor neurological dysfunction”, 1979) individuarono una sindrome che si

16 Definizione di Disfunzione cerebrale minima proposto da S.D. Clements e J. E. Peters in Minimal Brain Dysfunctions in the School-Age Child: Diagnosis and Treatment

17 Il ritardo motorio semplice è caratterizzato dal ritardo della sequenza di sviluppo delle competenze

motorie globali (postura seduta, stazione eretta, cammino autonomo) senza coinvolgimento delle altre funzioni adattive (cognitive, manipolatorie fini, comunicative).

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32 manifestava con segni neurologici e disordine comportamentale che definirono come “Sindrome da danno cerebrale minimo”.

Il concetto di “Disfunzione cerebrale minima” (Clements e Peters, 1966) fu proposto successivamente per indicare una serie di difficoltà sia sul piano motorio (ipercinesia e instabilità motoria) che su quello cognitivo (soprattutto disattenzione e difficoltà percettive), che potevano essere ricondotte ancora ad una probabile causa organica. Questi disturbi non compromettevano l’intelligenza in generale ma interferivano in modo significativo con gli apprendimenti scolastici. È proprio nel 1979 invece, con Touwen, che il termine “Disfunzione Neurologica Minore” (MND, Minor Neurological Dysfunction) viene proposto per definire una sindrome che non può essere sempre messa in relazione alla lesione cerebrale.18

Figura 8. La sindrome di disfunzione cerebrale minore (MBD) come entità clinica riferibile alla sovrapposizione ed associazione di disordini in diverse aree dello sviluppo.

MND: disfunzione neurologica minore; LD: difficoltà di apprendimento; ADHD: disordini dell’attenzione con iperattività

I quadri clinici raggruppati all’interno dell’entità clinica della Disfunzione Cerebrale Minima verranno poi suddivisi e classificati, nel ICD 10 (Classificazione Internazionale delle Malattie) e DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei

18 Rischio_neuroevolutivo_e_disturbi_neuropsicologici_nei_nati_pretermine_uno_studio_longitudinale

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33 Disturbi Mentali), come Disturbo dell’Attenzione e Iperattività (ADHD) e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) che analizzeremo nel prossimo paragrafo.

2. La disprassia in età evolutiva e le patologie associate al disturbo.

La comunità medica ha creato quindi l’etichetta di Disfunzione Cerebrale Minima per descrivere anche i bambini che presentano “goffagine” o altri disturbi specifici di esecuzione motoria. [Kurtz, pg. 17] Benchè il concetto di “Disprassia in Età Evolutiva” sia stato discusso per più di 50 anni, ancora oggi c’è uno scarso accordo per quanto riguarda la sua definizione e le caratteristiche.

Nel DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) troviamo la definizione di “Disturbo evolutivo della Coordinazione Motoria” (in inglese DCD,

Developmental Coordination Disorders), (modificato in “Disturbo dello sviluppo

della coordinazione” nel più recente DSM V19). Questo disturbo consiste in:

<<Una marcata compromissione dello sviluppo della coordinazione (criterio A), che interferisce con l’apprendimento scolastico e lo svolgersi delle attività quotidiane (criterio B) e che esclude condizioni di ritardo mentale, medicina

generale o disturbi generalizzati dello sviluppo (criterio C)>>20

Solo il 46% del DCD è presente in forma pura: la comorbidità in questi casi è più una regola che un’eccezione21, questo disturbo può coesistere con diverse

patologie, tra cui ADHD (disturbo di Attenzione e Iperattività), Disturbi dello

Spettro Autistico (tra cui Autismo e Sindrome di Asperger), Ritardo Mentale, Sindrome dell’X fragile, e i disturbi che riguardano l’apprendimento.

19 http://online.universita.zanichelli.it/kring4e/files/2014/11/Aggiornamento-DSM5-Kring.pdf 20 D. Gargano, Disprassie evolutive, 2013, Edizioni Centro Studi Erickson

(36)

34

2.1. ADHD.

La definizione di Disturbo di Attenzione e Iperattività (in inglese l’acronimo ADHD,

Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è stata coniata per descrivere un difetto

evolutivo nei circuiti cerebrali che sono responsabili del processo di inibizione, in cui la sintomatologia riguarda in particolare determinate funzioni cerebrali: 1) La memoria;

2) L’auto-regolazione in affettività/motivazione/arousal;

3) L’internalizzazione del linguaggio (difficoltà nelle aree verbali); 4) Il comportamento (iperattività e impulsività).

I danni secondari al deficit di queste funzioni esecutive riguarderebbero anche la componente motoria (in termini di coordinazione, equilibrio e controllo posturale). [Barkley, Russell A, 1997]. Per circa un secolo infatti, ai bambini con problemi di sviluppo motorio sono stati associati deficit di attenzione, iperattività, e impulsività: sembra quindi che ci sia un consenso comune riguardo all’associazione di ADHD e difficoltà motorie. [Pitcher, Piek, Hay,2003]

Questo quadro patologico si riflette in molteplici aspetti: nelle attività di vita quotidiana, per esempio, il bambino risulta spesso non autosufficiente, costringendo i genitori a rivolgersi agli specialisti, spesso dopo anni e anni di delusioni e magari già in uno stato di rassegnazione; a scuola, invece, verrà etichettato come “bambino problematico”, e qui sperimenta non solo i problemi legati al deficit d’attenzione (spesso questi bambini sono in ritardo rispetto al programma della classe e nel migliore dei casi sono affiancati all’insegnante di sostegno) ma anche quelli connessi agli aspetti sociali, manifestando comportamenti di immaturità, aggressività, e infine di isolamento.

Ci sono evidenze, anche se ancora limitate, che l’attività fisica abbia un impatto positivo sul comportamento dei bambini a scuola e che questa possa migliorare anche gli aspetti cognitivi del bambino con ADHD (in termini di aumento di attenzione e gestione dell’iperattività). [Gapin, Labban, Etnier, 2011]. Diversi sono

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35 gli articoli in letteratura in cui è stata studiata la relazione tra ADHD e attività fisica, per esempio durante lo svolgimento di un’attività strutturata, e i risultati ottenuti sono positivi, tuttavia c’è bisogno di molta ricerca scientifica in questo campo. [Verret et al., 2012]

2.2. I disturbi dello spettro autistico

La prima definizione di Autismo risale agli anni ’40 grazie agli studi di Leo Kanner a Baltimora, nel Maryland, il primo studioso che ha osservato questi bambini definiti appunto “autistici” (famoso l’articolo di Kanner, “Disturbi autistici del

contatto affettivo”), che presentavano i disturbi successivamente precisati nel

manuale diagnostico. [Frith, pg.9]

Nel DSM IV i criteri che definiscono l’Autismo sono:

1) Disturbo qualitativo della comunicazione verbale e non verbale; 2) Disturbo qualitativo dell’interazione sociale;

3) Repertorio ristretto di attività e di interessi.

Kanner non è il solo ad essere considerato il pioniere dell’autismo: insieme a lui, infatti, anche Hans Asperger, sempre negli anni ’40 ma a Vienna, descrive bambini con caratteristiche comuni a quelli osservati da Kanner, che però non mostravano ritardi nello sviluppo del linguaggio né in altri aspetti dello sviluppo intellettuale.[Frith, pg.15] La cosiddetta Sindrome di Asperger è compresa nel DSM IV, insieme al Disturbo Autistico, nei “Disturbi pervasivi/generalizzati dello sviluppo”, che nel DSM V viene modificata in “Disturbi dello spettro autistico”: nell’ultima edizione tutte le sottocategorie (Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato, la Sindrome di Rett, e il Disturbo disintegrativo dell’infanzia e l’Autismo atipico) sono comprese tutte nella categoria diagnostica “Disturbo dello spettro autistico”.

Oltre ai disturbi proposti dal manuale diagnostico, sembra che i bambini con disturbi dello spettro autistico presentino problemi di coordinazione motoria,

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36 nell’Autismo in particolare sembrano esserci più problemi motori rispetto all’Asperger.

L’impaccio motorio (in inglese Clumsiness) potrebbe quindi essere una specifica caratteristica diagnostica di questi disturbi [M. Ghaziuddin, E. Butler, 1998]. Questa goffagine però non è dovuta solo ad una mancanza di coordinazione ma anche ad un deficit nell’elaborazione delle informazioni, nella difficoltà della percezione visiva nella definizione delle distanze e dello spazio, e in un’inadeguata capacità di differenziazione cinestetica. [M. Ghaziuddin et al., 1994]

2.3. Il Ritardo Mentale

Il DSM-IV definisce il Ritardo Mentale come la conseguenza di diversi processi patologici che agiscono sul sistema nervoso centrale. Tre sono i criteri per il riconoscimento: un funzionamento intellettivo significativamente sotto la media, concomitanti deficit o compromissioni della capacità di adattamento (comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, ecc…), e insorgenza prima dei 18 anni. Il QI (Quoziente Intellettivo), che esprime le capacità intellettive di un soggetto, viene considerato come punteggio 100 in una prestazione media, mentre un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media è definito da un QI di circa 70 o inferiore. In base al punteggio si definisce la gravità del ritardo che può essere Lieve, Moderata, Grave o Gravissima. Soprattutto nei casi di ritardo mentale più grave può essere riconosciuto un quadro di impaccio motorio (incapacità di programmare il movimento nello spazio e nel tempo, comportamenti motori parassiti della motricità che rendono i soggetti spesso goffi o instabili).

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37

2.4. La sindrome dell'X fragile

Questa sindrome ha base genetica, a trasmissione dominante e legata al cromosoma X. Si caratterizza per il ritardo mentale lieve-grave, che può associarsi a disturbi comportamentali e segni fisici caratteristici (es. faccia stretta e allungata, prominenza delle orecchie e della fronte, iperlassità delle articolazioni delle dita delle mani, ecc…). Spesso i soggetti con questa sindrome mostrano caratteristiche tipiche del disturbo dello spettro autistico. Vi sono studi che dimostrano come i bambini con Sindrome dell’X-fragile e autismo abbiano problemi legati alla coordinazione fine e in generale deficit nello sviluppo motorio. [Zingerevichet al., 2009]

2.5. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Si definiscono Disturbi dell’Apprendimento un insieme eterogeneo di condizioni, in età evolutiva, caratterizzate dalla presenza di difficoltà di lettura, scrittura o calcolo.

- Si definisce dislessia l'incapacità di acquisire i livelli attesi per l'età e il livello intellettivo per quel che riguarda l'accuratezza, la velocità e meno frequentemente la comprensione della lettura;

- Per disortografia e disgrafia si intende un disturbo di acquisizione delle competenze ortografiche e grafiche della scrittura;

- Per discalculia invece un disturbo evolutivo a carico delle abilità numeriche ed aritmetiche di base.

I ricercatori degli anni ’60 che, grazie ai loro studi, definiscono il concetto di

goffagine motoria, mostrano come questa sia evidente nei bambini con disturbi

dell’apprendimento. [Gubbay, Ellis, Walton, & Court, 1965; Kephart, 1960; Walton, Ellis, & Court, 1963]. Molti bambini con difficoltà di lettura mostrano impaccio motorio caratterizzato da un equilibrio precario, un ritardo

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38 nell’acquisizione delle tappe miliari dello sviluppo motorio, un mancato consolidamento nella lateralità e nel riconoscimento dell’arto dominante. [Sigmundsson, Hansen, Talcott, 2003]

Tutti questi disturbi caratterizzati da quadri patologici diversi hanno però in comune il ritardo motorio, che si manifesta quindi come deficit di coordinazione, di equilibrio, del controllo posturale di entrambi gli emilati (destro e sinistro) del corpo e nella dominanza di uno rispetto all’altro.

Nel prossimo capitolo, grazie ad una revisione della letteratura scientifica, cercheremo di capire come l’attività fisica può determinare cambiamenti in termini di plasticità cerebrale e l’importanza della pratica sportiva soprattutto per i bambini con disabilità fisiche ed intellettive.

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39

Capitolo 3. I BENEFICI DELL’ESERCIZIO FISICO NELLA

LETTERATURA SCIENTIFICA.

1. Il ruolo dell’attività fisica nello sviluppo del Sistema Nervoso

Centrale.

La teoria che l’ambiente e le esperienze possano influenzare sia lo sviluppo cognitivo che neurale fu per la prima volta proposta nel 1949 da Hebb [Hebb, 1949] attraverso la formulazione di un principio (chiamato appunto Principio di

Hebb): “se l’assone di un neurone A è abbastanza vicino per eccitare un altro

neurone B in modo ripetuto e consistente, in uno o in entrambi i neuroni si producono cambiamenti metabolici e un processo di crescita per cui l’efficienza dei neuroni risulta potenziata”.

Nonostante non siano ancora chiari alcuni aspetti (per esempio, la precisa manipolazione da parte dell’ambiente necessaria per agevolare gli aspetti specifici dello sviluppo neurale, i periodi critici dello sviluppo in cui sono applicati e la durata necessaria per questi interventi), alla luce delle evidenze scientifiche possiamo affermare che lo sviluppo dell’encefalo è altamente sensibile all’aumento dei livelli di attività fisica/esercizio fisico così come l’arricchimento ambientale. L’esercizio fisico volontario aumenta i livelli recettoriali del glutammato, la disponibilità del fattore neurotrofico (BDNF) [C.W. Cotman, N.C. Berchtold, 2002] e del fattore di crescita IGF-1 (insulin-like growth factor) insieme all’aumento della vascolarizzazione e alle modificazioni strutturali e funzionali dei neuroni, soprattutto nell’ippocampo22. L’esercizio non solo aumenterebbe la

neurogenesi ma anche la lunghezza dei dendriti e la complessità delle cellule neuronali dell’ippocampo: questa è la regione maggiormente influenzata dall’attività fisica. [G.F. Hamilton, J.S. Rhodes] Il BDNF è un importante mediatore degli effetti dell’esercizio fisico sul cervello poiché supporta la sopravvivenza dei neuroni, la loro crescita e la plasticità sinaptica [Cowansage et al., 2010]: la disponibilità del fattore neurotrofico, oltre a determinare la crescita neurale,

22 Regione del cervello situata nel lobo temporale deputata alla regolazione di memoria ed

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40 influenza fortemente le funzioni comportamentali e cognitive come l’apprendimento, la memoria e le funzioni esecutive [Smith et al., 2010].

L’esercizio fisico produce anche cambiamenti epigenetici a lungo termine hanno un forte potenziale, ovvero quello di essere trasferiti alle generazioni future. Per concludere, le evidenze scientifiche suggeriscono una seria considerazione del ruolo terapeutico dell'esercizio. [G.F. Hamilton, J.S. Rhodes]

Secondo la “dichiarazione di consenso” dell’Istituto Nazionale Americano della Salute Mentale (American National Institute of Mental health) [Morgan & Goldston, 1987], i potenziali benefici psicologici del coinvolgimento in programmi di attività fisica svolti in maniera regolare sono i seguenti:

1. L’esercizio è associato ad una riduzione dello stato di ansietà 2. L’esercizio è stato associato ad una diminuzione della depressione

3. L’esercizio a lungo termine è di solito associato a riduzione delle caratteristiche di nevrosi ed ansia.

4. L’esercizio fisico può essere aggiunto nel trattamento per la depressione severa. 5. L’esercizio determina la riduzione di vari indici di stress.

6. L’esercizio dà benefici a livello emotivo in soggetti di tutte le età e in entrambi i sessi.

L’esercizio fisico quindi non giova solo ad adulti e anziani ma è importante anche nella più giovane età: condizioni di ansietà e stress infatti possono essere riscontrati anche nei bambini, in particolare nei bambini con disabilità, sia fisiche che intellettive.

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41

2. L’attività fisica nei bambini con disabilità fisica ed intellettiva. I

programmi sportivi dedicati alla disabilità.

I benefici dell’attività fisica sono universali e validi per tutti i bambini, inclusi quelli con disabilità. [Murphy, Carbone, 2008]

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con il termine “partecipazione” ci si riferisce al coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita, che include le attività di vita quotidiana, la mobilità, l’educazione, la socializzazione e la vita di comunità.23 La sua definizione la troviamo nella Classificazione Internazionale del

Funzionamento, delle Disabilità e della Salute (in inglese, ICF). (Figura 9)

Figura 9 Struttura dell’ICF: componenti e le loro interazioni

L’impegno del bambino attraverso le attività sportive sia a scuola che nelle strutture dedicate è fondamentale per creare momenti di aggregazione e di inclusione, in cui i bambini possono esprimersi liberamente attraverso l’uso del corpo e del movimento, migliorando tutti i parametri, sia quelli fisici che legati all’emotività.

Dubi Lufi e Jim Parish-Plass24 (2011) hanno condotto uno studio con un gruppo di

bambini con ADHD e altri che presentavano problemi comportamentali, in cui essi praticavano sport individuali e di gruppo a cadenza settimanale, questi erano poi associati ad una valutazione psicologica svolta dagli esperti, prima e dopo l’attività

23 Organizzazione Mondiale della Sanità (2001), ICF (Classificazione Internazionale del

Funzionamento, della Disabilità e della Salute), versione breve

24 D. Lufi PhD & J. Parish-Plass PhD, Sport-Based Group Therapy Program for Boys with ADHD or

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42 sportiva. La valutazione prevedeva la misurazione dei livelli di ansietà attraverso la somministrazione di questionari ed è stata evidenziata una notevole riduzione dell’ansia in fase pre test, post test e nel follow up, sia da parte dei bambini che dei loro genitori nei confronti della performance sportiva. La riduzione di questa emozione sembra particolarmente significativa: è importante sottolineare che l’ansietà è uno dei disturbi più debilitanti soprattutto nei casi di disabilità e ridurne i livelli significa migliorare diversi aspetti della vita del bambino. [Lufi e Parish-Plass, 2011]. Non si conosce ancora in maniera dettagliata il meccanismo attraverso il quale l’esercizio fisico migliorerebbe i sintomi dell’ADHD. Evidenze scientifiche sostengono comunque che ci sarebbero cambiamenti sia strutturali che funzionali nell’encefalo: in particolare l’attività fisica migliorerebbe le funzioni cognitive migliorando l’ossigenazione e il flusso sanguigno, promuovendo la crescita dei capillari, aumentando i livelli dei neurotrasmettitori (es. serotonina e noradrenalina) e del fattore di crescita BDNF che sappiamo promuovere la plasticità cerebrale (vedi cap. 3, pg. 28) [Hoza et al., 2014]

Una delle prime necessità per i genitori dei bambini con ADHD e altre disabilità intellettive è quella di trovare una tipologia di intervento che possa essere a lungo termine: l’intervento precoce è importante ma dare la possibilità di un trattamento continuativo nel tempo è essenziale per aiutare le famiglie e il bambino ad ottenere miglioramenti non solo nell’infanzia e in adolescenza ma anche in età più adulta, e in questo caso l’attività fisica e lo sport potrebbero essere determinanti.

In particolare, per gli individui con disabilità intellettive, il programma Special

Olympics (SO) è il principale provider di programmi sportivi che conta

approssimativamente 4.2 milioni di atleti in tutto il mondo. Nel 2015, Chiaki Inoue e Tanya Forneris [Chiaki, Forneris, 2015], hanno proposto uno studio sulla definizione di inclusione e della percezione di Special Olympics come programma promotore dell’inclusione: la valutazione era destinata agli atleti, ai loro parenti, ai coach e ai volontari. I risultati sia qualitativi che quantitativi mostrano una considerazione positiva del programma come promotore dell’inclusione sociale,

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43 nonostante venga sottolineata la difficoltà nella realizzazione di una piena inclusione dei soggetti con disabilità.

L’obiettivo degli operatori nei diversi contesti sociali, ora più che mai, deve essere finalizzato alla creazione di gruppi in cui le diversità dei singoli partecipanti emergano come elementi positivi, che caratterizzano ed arricchiscono il gruppo stesso. Talvolta, però, possono crearsi contesti in cui l’inclusione diventa un concetto utopico, difficile da realizzare.

Nel capitolo successivo verrà descritto il lavoro di osservazione e valutazione qualitativa dell’acquisizione degli schemi motori in bambini tra gli 8 e i 10 anni, utilizzando il Test di Valutazione delle Abilità grosso-motorie (presentato nel Cap. 1), con un riferimento in particolare alla performance di due bambini che presentano un ritardo cognitivo e motorio.

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44

Capitolo 4. L’ESPERIENZA DI OSSERVAZIONE E DI

VALUTAZIONE NEL CONTESTO SPORTIVO.

1. Descrizione del setting e del gruppo

Il lavoro di osservazione è stato svolto presso la palestra A. S. Di Ciolo (Pisa) nelle ore di ginnastica formativa, con un piccolo gruppo formato da bambini dagli 8 ai 10 anni. Nelle due ore di lezione settimanali i bambini, in gruppo o singolarmente, aiutati dal maestro nell’esecuzione, si cimentano in diversi esercizi con diversi attrezzi: corda, scala di corda, quadro svedese, trave, spalliera, anelli (Immagine 6, 7, 8 e 9)

Il gruppo è composto da sei bambini, di cui cinque maschi e una femmina, tra i 9 e i 10 anni. Tra di loro sono presenti due bambini E. e C. che, nell’esecuzione degli esercizi, mostrano un impaccio motorio: ad entrambi è stato diagnosticato un

Immagine 6. Lezione di ginnastica formativa, esercizio di equilibrio sulla trave

Immagine 7. Lezione di ginnastica formativa, esercizi in quadrupedia

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