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Corti e secessioni. Analisi comparata di cinque casi

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza – LMG-01

CORTI E SECESSIONI

ANALISI COMPARATA DI CINQUE CASI

Il Candidato

Il Relatore

Federico Spagnoli

Prof.ssa Elettra Stradella

(2)

1

INDICE

1. INTRODUZIONE ... 3

1.1. La secessione nei moderni stati federali multinazionali. Il ruolo delle Corti

supreme e costituzionali e i casi di studio ... 3

2. LA SECESSIONE NEL DIRITTO COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE .. 15

2.1. La secessione come fatto politico e questione giuridica. Le possibili

giustificazioni del diritto di secessione nell’ordinamento degli stati federali ... 15

2.2. Le possibili basi della secessione nel diritto internazionale. Accenni e

problematiche. I possibili legami con il diritto di resistenza ... 22

2.3. La costituzionalizzazione della secessione: esempi passati e presenti. Vantaggi e

svantaggi della sua previsione. La caratterizzazione della clausola in senso

sostanziale o procedurale ... 39

3. IL CASO STATUNITENSE ... 56

3.1. Premessa sul possibile ruolo delle Corti nelle dispute secessioniste. Le origini

dell’ordinamento statunitense. Il periodo confederale e la costituzione federale

del 1787 ... 56

3.2. La concezione pattizia della costituzione statunitense. Le Kentucky and Virginia

resolutions del 1798. Fautori degli states’ rights e della secessione: opere e tesi

di Calhoun... 67

3.3. Le tesi opposte alla secessione. I contrasti regionali e la guerra civile. La sentenza

Texas v. White e la fine dei movimenti secessionisti ... 81

4. IL CASO CANADESE ... 93

4.1. Origini storiche e caratteristiche dell’ordinamento federale canadese. Il contesto

politico e istituzionale e i referendum del 1980 e 1995 ... 93

4.2. La Quebec secession reference del 1998: luci e ombre. I principi costituzionali

fondamentali dell’ordinamento canadese e l’obbligo di negoziare. Le possibili

conclusioni ... 106

4.3. Le reazioni degli attori politici alla reference. Il Clarity act e il Quebec

(3)

2

5. IL CASO SPAGNOLO ... 139

5.1. Lo stato autonomico spagnolo e la sua crisi. La riforma degli statuti negli anni

2000 e il nuovo statuto catalano ... 139

5.2. Il ruolo del Tribunal constitucional. La sentenza 31/2010 e le sue critiche ... 154

5.3. La tensione fra Stato e Generalitat ed il ruolo del giudice costituzionale nel

conflitto. Le iniziative politiche catalane e le risposte delle istituzioni statali .. 163

6. IL CASO BRITANNICO ... 192

6.1. Il Regno Unito e la devolution. Il referendum scozzese del 2014 ... 192

6.2. Il post-referendum e la Brexit. La sentenza Miller e i suoi possibili riflessi sulla

devolution ... 199

7. IL CASO ITALIANO ... 210

7.1. Il sistema regionale italiano delineato dalla Costituzione. Il sentimento

autonomista e le prime sentenze della Corte Costituzionale ... 210

7.2. Le iniziative referendarie della Regione Veneto e la proposta di secessione. La

sentenza 118/2015 della Corte costituzionale ... 221

8. CONCLUSIONI. CORTI SUPREME/COSTITUZIONALI E SECESSIONE:

QUALE POSSIBILE RUOLO? ... 234

8.1. Osservazioni generali ed individuazione di tendenze alla luce dei cinque casi

esaminati. La costituzionalizzazione della secession clause come possibile

rimedio alle pressioni politiche sulle Corti ... 234

BIBLIOGRAFIA ... 246

SITOGRAFIA ... 254

(4)

3

1. INTRODUZIONE

1.1. LA SECESSIONE NEI MODERNI STATI FEDERALI MULTINAZIONALI.

IL RUOLO DELLE CORTI SUPREME E COSTITUZIONALI E I CASI DI

STUDIO

Il presente elaborato si pone come obiettivo l’indagine del ruolo spettante alle Corti

supreme o costituzionali (ovvero quelle Corti - che si tratti del vertice del potere

giurisdizionale di uno Stato o di veri e propri giudici specializzati - alle quali compete il

controllo di costituzionalità sulla legislazione e/o altri atti dei poteri pubblici) in contesti

politico-costituzionali caratterizzati da una forma di Stato “federale” (sia nel senso

proprio e originario del termine che come sinonimo di Stato regionale più o meno

decentrato) e dalla presenza di movimenti indipendentisti che rappresentano minoranze

definibili come “nazionali” concentrate in territori politicamente autonomi, di cui

chiedono la secessione dallo Stato-madre.

Deve trattarsi, inoltre, di ordinamenti nei quali la Costituzionale nazionale non si

pronuncia sulla possibilità di una secessione di parte del territorio statale, non

conferendo quindi alcun diritto alla separazione espresso e costituzionalmente legittimo

e lasciando quindi una lacuna nell’ordinamento che si chiede a tali giudici di colmare, in

collaborazione o meno con gli attori politici rilevanti.

Ci sembra che il tema valga la pena di essere approfondito per il suo indubbio interesse,

anche e soprattutto alla luce di eventi recenti.

È sufficiente seguire con una certa attenzione la cronaca politica di vari Paesi per

accorgersi che negli ultimi anni il fenomeno della secessione (per ora coronato da

successo solo in pochi casi, come quello del Kosovo) ha acquisito una diffusione e una

visibilità notevoli

1

, rimettendo in discussione l’integrità e a volte persino l’esistenza di

alcuni Stati del mondo occidentale che consideriamo stabili e consolidati, cosicché ci

sembra opportuno indagare alcune tendenze che questo fenomeno ha manifestato in

diverse realtà, confrontando fra loro varie situazioni.

1 D. E. T

OSI, Secessione e costituzione tra prassi e teoria, Napoli, Jovene, 2007, pp. 1 s., scrive che “Proprio il separatismo, per la costante sua tendenza a manifestarsi nella vita politica dei diversi paesi della comunità internazionale, costituisce uno dei temi più controversi su cui gli studiosi e le forze politiche sono chiamati a confrontarsi”, e riepiloga alcuni dei principali esempi di queste tendenze separatiste e indipendentiste che hannp interessato Paesi dell’Europa sia occidentale che orientale, oltre a notare come non si tratti di una situazione propria esclusivamente della presente congiuntura storica (ad es. guerra civile americana e decolonizzazione).

(5)

4

La secessione - intendendosi come tale l’atto con cui una certa comunità si separa da

uno Stato già esistente per costituirne uno nuovo

2

- è un concetto ambiguo che può

presentare varie sfaccettature a seconda di come lo si guarda e che suscita sentimenti

misti ne spesso contrastanti nell’ambito giuridico e politico nazionale e internazionale.

Essa costituisce una sorta di tabù per politici e studiosi di diritto costituzionale

3

, per i

dubbi che almeno in apparenza può gettare sulla stabilità degli Stati così come li

conosciamo e della comunità internazionale alla quale siamo abituati, evocando scenari

di disgregazione, instabilità, contestazione dei confini, indebolimento dello Stato a

livello internazionale a causa della perdita di territori economicamente o militarmente

strategici.

Altri autori fanno notare come il vero problema non sarebbe tanto questo, quanto la

contraddizione in cui tale atto si pone con i principi assestati del costituzionalismo e del

federalismo

4

, fondati sull’idea di nazione come base e giustificazione della costruzione

2

S. MANCINI, Secession and Self-Determination, in The Oxford Handbook of Comparative Constitutional Law, pp. 1057, Michel Rosenfeld, Andras Sajo, eds., Oxford: Oxford University Press, 2012, pp. 481 s., commenta che gli internazionalisti hanno tradizionalmente definito la secessione “in terms of the creation of a new state upon territory previously forming part of an existing one” e questo sia che si parli di secessione come “the actual event of secession” o come “the process conducive to the creation of a new state”, confermando in ogni caso quella centralità del concetto, proprio del diritto internazionale moderno, di Stato-nazione sovrano e indipendente che sarà sottolineata nel testo. Sugli altri possibili significati di secessione si rimanda a C. MARGIOTTA, L’ultimo diritto. Profili storici e teorici della secessione, Bologna, Il Mulino, 2005, che nei primi tre capitoli svolge un’esaustiva analisi dell’origine e dell’evoluzione che questa nozione ha assunto nel corso dei secoli, passando dall’originario significato, sviluppatosi nell’antica Roma e poi col monachesimo cristiano, di allontanamento individuale da una comunità per protesta politica o ragioni spirituali, alla trasformazione che essa conosce con successivi pensatori fino ad Althusius e, soprattutto, al dibattito politico-costituzionale degli Stati Uniti fino alla guerra civile, dove il termine assume finalmente una connotazione esclusivamente territoriale e, come si dirà, fortemente negativa. Sulla secessione in Althusius si veda ultra. Da prendere in considerazione è anche la visione di M. JOVANOVIC, Constitutionalizing secession in federalized states. A procedural approach, Utrecht, Eleven International Publishing, 2007, pp. 1 s., che, richiamando una nutrita dottrina internazionale contemporanea, mette in guardia dai due significati ben distinti che essa ha sovente voluto attribuire al termine “secessione”, intendendola ora come “separatism”, atto improvviso e unilaterale con cui una certa regione del territorio metropolitano di uno Stato sovrano e indipendente giunge all’indipendenza, ora come “irredentism”, fenomeno per il quale uno Stato rivendica un territorio appartenente ad un’altra entità abitato da una popolazione etnicamente affine alla propria, oppure è questa popolazione affine che cerca la secessione dal proprio Stato per riunirsi alla “madrepatria”, ma si tratta di definizioni descrittive e non prescrittive che accomunano situazioni non del tutto omogenee.

3

S. MANCINI, Costituzionalismo, federalismo e secessione, in Istituzioni del federalismo, numero 4/2014, p. 779, inizia la sua trattazione osservando che “Il presupposto di ogni discussione sulla secessione è la sua fondamentale indesiderabilità”, ma vedi anche MARGIOTTA, op. cit., che in più punti parla, con riferimento soprattutto all’esperienza americana, di “demonizzazione” della secessione da parte della politica e della dottrina.

4

A giudizio TOSI, op. cit., p. 4, “Essa [la giuridicizzazione della secessione] rischia, infatti, di porre in crisi alcune elaborazioni fondamentali del pensiero giuspubblicistico moderno. In particolare, la codificazione, a livello costituzionale, della secessione stride fortemente con le concezioni dello Stato e della sovranità elaborate tra il XIX ed il XX secolo”. Poco dopo (p. 7) aggiunge “Il riconoscimento della legittimità della secessione, in sostanza, mina alla base la visione dello Stato come struttura unitaria,

(6)

5

dello Stato, che va inevitabilmente a cozzare con le pretese di un gruppo esistente

all’interno dello Stato stesso, della cui popolazione costituisce una minoranza, ma che

possiede una presenza e un radicamento tale in certe zone, nonché caratteri

socio-culturali comuni tali da poter più o meno seriamente avanzare velleità di controllo

indipendente su di esse, qualificandosi come “nazione” avente diritto ad un proprio

Stato

5

.

Ecco perché la secessione è stata definita come un atto che, dal punto di vista della

sovranità statale, risulta “non tanto rivoluzionario, quanto conservatore”, poiché non

attacca due dei più importanti pilastri della comunità internazionale moderna, la forma

di organizzazione politica detta “Stato” e l’istituto del confine, in quanto le comunità

minoritarie che intendono percorrere la strada della secessione non hanno affatto

intenzione di abbattere questa costruzione consolidata, bensì di inserirvisi a pieno titolo,

organizzandosi come nuovo Stato, e non in forma alternativa, con un proprio territorio

delimitato da confini ove esercitare poteri sovrani su un popolo (che si vorrebbe)

coincidente con una nazione dai precisi caratteri etnici, culturali, linguistici etc.

6

.

rappresentativa di una comunità socio-politica virtualmente perpetua, la quale, da un lato, si ponga come unica depositaria dell’absoluta potestas nei confronti dei soggetti interni ad essa e, dall’altra, si presenti all’esterno come realtà originaria”.

5

W. NORMAN, Negotiating Nationalism: Nation-Building, Federalism, and Secession in Multinational State, Oxford: Oxford University Press, 2006, p. 170, con riferimento specifico ai contesti di Stati multinazionali federali (che sono poi quelli su cui si appunterà l’attenzione della presente opera), parla di una competizione fra “rival nation-building projects in the multinational state”, ovvero fra quello che fa capo allo Stato centrale/federale, volto, se non ad assimilare le differenze etniche e culturali fra popolazioni, quantomeno a portare unità creando un’identità comune nella quale tutti i cittadini dello Stato dovrebbero potersi riconoscere, e quello portato avanti dagli esponenti del nazionalismo della minoranza potenzialmente secessionista, intenti a difendere e conservare il più possibile le peculiarità e la possibilità per la propria comunità di contribuire alle scelte che la riguardano. Questo contrasto fra progetti rivali ha il suo apice nella secessione, che se per i secondi rappresenta “the ultimate prize”, per i primi è “the ultimate failure”. E sulla stessa scia si poneS.MANCINI, che in Costituzionalismo, cit., p. 779, imputa la “schizofrenia della sua [della secessione] regolamentazione giuridica”, che si risolve in un divieto, esplicito o implicito, quasi totale a livello interno o internazionale, alla “ripugnanza del liberalismo per la secessione”, vista come un fastidioso inciampo per la teoria della sovranità della nazione che si costituisce in Stato, e oggetto quindi di demonizzazione politica. La stessa autrice, in Secession cit., p. 482, osserva che “Under prevailing circumstances, secessionist movements operate in the context of multinational states inhabited by autochthonous, territorially concentrated minorities which share a national or quasi-national identity. Thus, secession is not an isolated phenomenon, but rather part of a broader dynamic between a state and its subnational communities. In this light, traditional territorially-based minority rights and the right to secession fall within the same overall category, as they raise analogous moral, political, and legal questions focused on the difficulties in reconciling political theories on citizenship and nationalism, self-determination and sovereignty”.

6 M

ARGIOTTA, op. cit., p. 9 sottolinea come la secessione resti politica “entro lo stato, non oltre lo stato”, trovando il proprio presupposto e giustificazione nell’esistenza del sistema degli stati-nazione, dei quali mira semplicemente ad aumentare il numero, anche se viene adombrato il rischio che un’eccessiva proliferazione di entità statuali, tendenzialmente una per ogni nazione, possa portare ad un livello eccessivo di destabilizzazione di quel sistema (tematica sulla quale si tornerà trattando dell’atteggiamento del diritto internazionale, che del sistema degli stati è diretta espressione, verso il problema della

(7)

6

Si può quindi affermare che, se la secessione ha un qualche tipo di carica eversiva al suo

interno, essa si rivolge contro quello Stato e quei confini, non contro tali paradigmi in

generale

7

.

Ad ogni modo anche il diritto internazionale presenta rilevanti profili di ambiguità in

proposito e, senza dubbio, non incoraggia affatto la secessione

8

, dato che un’eventuale

ricostruzione volta a riconoscere a varie condizioni un simile diritto a comunità

substatali di diverso tipo, magari in attuazione del fondamentale principio di

autodeterminazione dei popoli, sembra in netta contrapposizione con l’altrettanto

cruciale principio di integrità territoriale degli Stati, da lungo tempo consacrato dal

diritto internazionale (il tema sarà oggetto di un esame più approfondito ultra)

9

.

secessione). Le fa eco MANCINI, Secession, cit., p. 482, che sottolinea come “secession does not challenge the very notions of statehood, citizenship, and sovereignty, but, quite to the contrary, it emphasizes their Westphalian conceptualization: the absolute monopoly of power residing in states, and the congruency of territory, state, people and nation”. Così anche TOSI, op. cit., p. 9, il quale nota che “si può osservare che la secessione non mira in sé e di per sé alla distruzione del sistema teorico che ruota intorno al concetto di Stato, inteso nella sua accezione moderna, ma ne presuppone la piena effettività. I movimenti separatisti, infatti, perseguono proprio la formazione di un’entità statuale sovrana che sia rappresentativa di una realtà socio-politica preesistente e virtualmente perpetua”.

7 Risulta quindi smentita, come scrive V. B

ALDINI, Il tentativo indipendentista della Catalogna tra dialettica degli interessi politici ed utopia del popolo costituente, in www.dirittifondametali, Fascicolo 2/2017, 16 novembre 2017, l’opinione espressa ormai più di ottant’anni fa da C.SCHMITT, Der Begriff des Politischen (1932), 7. Auf. (5. Nachdruck der Ausgabe von 1963), Berlin 2002, p. 10, secondo la quale l’epoca dello Stato nazionale sarebbe ormai giunta al termine, mentre invece esso “ non ha smesso mai di mantenere la sua posizione primaria nel quadro dei modelli organizzativi di una comunità sociale”. 8 Ben cogliendo la duplice chiave di lettura della secessione come “a phenomenon of international relations and international law” e come questione attinente all’organizzazione interna degli Stati, NORMAN, Negotiating Nationalism., p. 171 traccia un suggestivo parallelo fra secessione e divorzio da ambedue i punti di vista, sostenendo che, in entrambi i casi, conoscere le regole e le procedure che governano il modo in cui la relazione può essere sciolta ci dice molto sulle circostanze in cui l’unione è venuta a realizzarsi. Si conclude che, come gli ordinamenti ottocenteschi erano costruiti in maniera tale da opporsi al divorzio dei coniugi, anche quando sarebbe stato opportuno per via dei maltrattamenti di uno verso l’altro, così il diritto internazionale concede allo Stato un esteso potere di prevenzione e repressione delle istanze secessionistiche da parte di minoranze. Anzi, paradossalmente la situazione di queste ultime è forse ancora peggiore, dato che, al contrario di un coniuge, ben di rado qualcuno ha chiesto il loro consenso per entrare a far parte dell’organizzazione politica più ampia, ma vi sono state assorbite in vario modo, spesso con la forza.

9

Per un esempio recente di manualistica di diritto internazionale che conferma tale visione si veda N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2013, pp. 338 s., secondo il quale, come si deduce da varie risoluzioni dell’Assemblea Generale ONU dell’epoca della decolonizzazione, il diritto all’autodeterminazione (che in linea di principio può, ma non necessariamente deve, realizzarsi mediante il conseguimento dell’indipendenza da parte del popolo che la richiede) va obbligatoriamente contemperato con il principio del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati nonché delle singole unità territoriali su cui insiste la comunità in questione, di fatto ponendo ostacoli quasi insormontabili alla possibilità di secessione. Se ne conclude che “Il diritto internazionale, quindi, non favorisce la secessione. Anzi, ammette che il governo al potere possa reprimere un movimento secessionista”, salvo, come si spiegherà poi, cercare di addomesticare il fenomeno quando esso viene comunque a realizzarsi.

(8)

7

Queste sono le coordinate minime indispensabili di teoria generale del diritto e di diritto

internazionale da tenere presenti nell’analisi della problematica che qui si andrà a

sviluppare.

Per ricollegarci alla situazione attuale, bisogna ricordare che fino a tempi relativamente

recenti pareva che la secessione fosse un’eventualità destinata a presentarsi non in tutti

gli ordinamenti multinazionali e, in particolare, non in gran parte di quelli europei.

Sembrava che i problemi del separatismo di comunità “nazionali” e di parti del

territorio, con la possibilità di insurrezioni e guerre civili, fossero relegati in Stati

instabili e affetti da notevoli deficit democratici, con alle spalle fenomeni di

discriminazione e oppressione delle minoranze interne da parte dei gruppi al potere.

Problemi quindi limitati agli Stati africani e asiatici usciti da poco della

decolonizzazione e che scontavano gli effetti di una composizione multietnica

artificiosamente raccolta in confini arbitrari disegnati dalle potenze coloniali

10

, oppure

alle grandi federazioni socialiste nell’Europa Centrale e Orientale (Unione Sovietica,

Jugoslavia, Cecoslovacchia), che, come noto, a inizio anni ’90 si sono dissolte

11

,

lasciando spazio a una miriade di nuovi Stati

12

.

10

Fra i moltissimi casi di questo tipo verificatisi possiamo ricordare, fra le secessioni riuscite, quelle del Bangladesh dal Pakistan (1971) e dell’Eritrea dall’Etiopia (1993), e, fra quelle fallite, quelle del Katanga dallo Zaire e del Biafra dalla Nigeria. Per non parlare di casi borderline come quello della Repubblica turca di Cipro del nord, in cui alla dichiarazione unilaterale di indipendenza e al controllo di fatto del territorio da parte della comunità turco-cipriota non è corrisposto un riconoscimento di tale Stato da parte della comunità internazionale per via dell’invasione e occupazione turca di parte dell’isola di Cipro che è alla base di tale “indipendenza”.

11 Non a caso M

ANCINI, Costituzionalismo, cit., p. 780, osserva che per definire i casi sovietico e jugoslavo si siano usati, “in un ovvio tentativo di esorcizzazione” i termini “dissoluzione” o “dissociazione volontaria”. Questo nonostante che MARGIOTTA, op. cit., osservi che, per quanto riguarda l’URSS (pp. 187 s.) si possa parlare apertamente di secessione di “parti di territorio indiscutibilmente sottoposte alla sovranità di uno stato” (a parte forse il caso delle repubbliche baltiche, per il quale si potrebbe parlare di ripristino dell’indipendenza illegittimamente sottratta loro nel 1940),secessioni trattate, come nel caso cecoslovacco, come affari di competenza interna dello Stato sovietico, prive di rilevanza internazionale e non riconosciute dalla comunità degli Stati se non dopo il riconoscimento da dei nuovi Stati parte del nuovo governo russo. Per la Jugoslavia (p. 195) si deve invece rilevare che Slovenia e Croazia, divenute indipendenti l’8 ottobre 1991 secondo il parere della c.d. Commissione Badinter, quindi prima dell’inizio della dissoluzione della Jugoslavia, da essa fatto risalire al 19 novembre 1991, dovrebbero a rigore essere considerate entità secessioniste.

12

I quali in seguito hanno spesso dovuto fare i conti con nuove richieste e tentativi di secessione da parte delle minoranze rimaste “intrappolate” nei nuovi confini e desiderose di formare propri Stati etnicamente omogenei o di riunirsi ad altri già esistenti, dando luogo anche a conflitti armati e a situazioni di secessionismo di fatto, con territori solo formalmente sottoposti all’autorità centrale. Di questo tema tratta con dovizia di particolari C. DE STEFANO, Dissoluzione e ristrutturazione statuale sullo spazio ex-sovietico, in Processi di secessione e ordinamenti democratici dal punto di vista del diritto internazionale e comparato, sezione monografica a cura di A. MASTROMARINO in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 2/2015, pp. 503 ss., secondo la quale questi processi, che hanno avuto il loro ultimo sviluppo con la secessione della Crimea dall’Ucraina e lo scoppio della guerra civile nell’est del Paese, sono riconducibili “alle specificità della nascita dello Stato nazionale nell’Europa centro-orientale” e

(9)

8

Nel resto dell’Europa, e più in generale nel c.d. mondo occidentale, sembrava che

qualcosa del genere non potesse avvenire, almeno non dopo la fine della Seconda

Guerra Mondiale.

In quest’epoca si era infatti giunti allo sviluppo di ordinamenti democratici e

costituzionali, rispettosi dei diritti fondamentali dei propri cittadini comprese le

minoranze di vario tipo, magari organizzati su basi federali o regionali, in modo da

consentire anche alle minoranze territorialmente concentrate di partecipare all’esercizio

dei pubblici poteri e di decidere in modo autonomo circa questioni che le riguardano

13

,

fattori ai quali si aggiunge la previsione di un intricato e tendenzialmente esaustivo

sistema di strumenti e organizzazioni a livello internazionale e sovranazionale

competenti in materia di tutela dei diritti umani

14

.

Si era allora portati a pensare che in questi Stati alle minoranze, nazionali o meno, e alle

popolazioni “periferiche” non potesse darsi alcun motivo di lamentela nei confronti

della propria situazione attuale o di contestazione dell’ordine costituito, tantomeno di

arrivare a minacce e tentativi di secessione, dato che esse non potevano certo dirsi

vittima di forme gravi di oppressione, sfruttamento o violazione dei propri diritti

umani

15

e che, in numerosi casi, godevano anzi di misure significative di auto-governo

volte a consentire una più specifica soddisfazione dei loro bisogni particolari, sullo

sfondo di un ordinamento complesso, stabile e non messo in discussione.

Così non è stato, e, come già anticipato, negli ultimi decenni del XX secolo si è assistito

all’emersione e al rafforzamento, in molti Paes,i fino ad allora relativamente tranquilli

da questo punto di vista, di movimenti politici localisti e regionalisti, che in più

“all’influenza del modello federale socialista”. Sulle problematiche secessionistiche nell’esperienza sovietica, che più volte ha tentato di costituzionalizzare il fenomeno (sia pure al fine di disinnescarlo, anziché favorirne la realizzazione) si veda TOSI, op. cit., capitolo IV.

13 Vedi per esempio G.D

ELLEDONNE -G.MARTINICO, Legal conflicts and subnational constitutionalism, Rutgers Law Journal, Rutgers School of Law - Camden, Vol. 42, Issue 4, passim, dove ci si concentra in particolare sul fenomeno del costituzionalismo a livello subnazionale e dell’inclusione in tali testi di diritti fondamentali e di riferimenti all’identità locale, comparando fra loro le tendenze europee e nordamericane e quelle presenti in vari Paesi europei.

14 Basti ricordare l’apparato istituzionale che gravita intorno alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in primis il Consiglio d’Europa e la Corte di Strasburgo, ma anche quello dell’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa (in cui è presente anche l’apposita figura dell’Alto commissario per le minoranze nazionali, le cui competenze riguardano la prevenzione di potenziali conflitti legati a problematiche inerenti alle minoranze), su cui vedi RONZITTI, op. cit., pp. 336 ss. Occorre però ricordare che, in molti casi, queste organizzazioni internazionali espletano compiti di tutela dei diritti individuali, il che vuol dire che gli appartenenti ad una minoranza nazionale che vedano violati i propri diritti non possono chiederne tutela in quanto gruppo, ma solo come singoli.

15

Sulla possibilità, propugnata dai fautori delle c.d. “just-cause theories”, di giustificare la secessione di parte della popolazione di uno Stato o di una sua unità federale citando simili situazioni si rimanda alla sezione successiva.

(10)

9

occasioni hanno avanzato anche richieste di separazione e indipendenza dei territori in

questione dagli Stati più ampi dei quali facevano parte, facendo leva in modo pesante

anche su elementi identitari etno-culturali, oltre che economici e politici

16

.

Non è certamente questa la sede per addentrarsi in un’esaustiva analisi delle molteplici

cause di questa recente tendenza

17

e possiamo quindi limitarci a prendere atto dei suoi

approdi.

Questi ci dicono che, al giorno d’oggi, il fenomeno secessionista minaccia, a volte in

modo abbastanza serio, l’unità e l’integrità territoriali di un buon numero di Stati,

europei e non, accomunati dal fatto di essere, come Canada, Belgio, Spagna e Regno

Unito “paesi rispetto ai quali assumono un atteggiamento antagonista forze politiche

radicate sul territorio ed evidentemente orientate verso soluzioni di natura secessionista

rispetto ad ordinamenti caratterizzati da tipi di Stato che possono contare su forme

federali o su formule di ampio decentramento territoriale, già consolidate o in via di

incremento”

18

.

16

Secondo DELLEDONNE -MARTINICO, op. cit., pp. 890 s., l’ondata di fenomeni descritti, fatta risalire agli anni ’70-’80, ha riportato in primo piano una delle classiche “fratture” sociali che importanti politologi, come Rokkan e Lijphart, avevano messo in evidenza per spiegare le dinamiche dei sistemi politici occidentali, ovvero quella frattura centro-periferia che “was supposed to be the least important one” resa “outmoded” e “increasingly marginal” da vari fattori di centralizzazione, come il rafforzamento degli Stati nazioni e l’effetto della competizione politico-partitica. Gli autori collegano inoltre questo fenomeno all’imporsi della cosiddetta dimensione “glocal”, di cui si avrebbe un esempio nel forte impulso alla regionalizzazione dei Paesi europei dato dal progresso di integrazione comunitario per consentire una migliore implementazione delle politiche di coesione sociale europei (su cui rimandano a F.PALERMO, La forma di stato dell’Unione europea, Padova, CEDAM, 2005).

17 Lo fa in parte J

OVANOVIC, op. cit., pp. 13 s., richiamandosi alle opinioni di A. H. BIRCH, Minority Nationalist Movements and Theories of Political Integration, 30 World Politics 325, pp. 333-334 (1978), il quale, ammonendo coloro che ritenevano di considerare rilevanti solo i fattori politici ed economici, finendo così per concludere che le secessioni unilaterali erano divenute pressoché impossibili in Paesi democratici che trattassero tutte le proprie componenti in modo giusto, propone invece di conferire il meritato peso a fattori socioculturali, come l’identità e la lealtà verso una data appartenenza etno-culturale. Questo andrebbero considerati caratteri naturali e non variabili dipendenti dai suddetti fattori (che, ovviamente, mantengono un ruolo non trascurabile) e varrebbero a spiegare perché anche una comunità che non sia vittima di discriminazioni o maltrattamenti di vario tipo possa d’un tratto (e inspiegabilmente, secondo i parametri in precedenza usati) cominciare a chiedere a gran voce un proprio Stato. Inoltre, nell’opinione di Birch la situazione del secondo dopoguerra si era evoluta in modo tale da rendere la permanenza in uno Stato di maggiore estensione più un costo che un beneficio, in quanto lo sviluppo del sistema internazionale e delle organizzazioni sovranazionali concedevano anche ai cittadini di Stati di minori dimensioni la possibilità di godere di benefici politici, economici e militari fino ad allora appannaggio solo dei grandi Stati, finendo per predire un notevole aumento delle richieste secessioniste in vari Paesi nei decenni successivi, che si è puntualmente verificato.

18 A. M

ASTROMARINO - X. PONS RAFOLS, Introduzione, in Processi di secessione e ordinamenti democratici, cit., p. 343. Nelle pagine seguenti, gli autori provvedono ad illustrare sinteticamente i vari presupposti di cui tenere conto e i punti di vista da approfondire per una comprensione piena e soddisfacente del fenomeno secessionista nelle realtà moderne, individuando quattro dimensioni distinte che interagiscono profondamente fra di loro. Si hanno così la dimensione geopolitica (che prende in considerazione il livello di sviluppo liberal-democratico di ogni Paese e distingue in modo abbastanza netto i processi di secessione in atto nell’Europa Occidentale e in quella Centro-Orientale); la dimensione

(11)

10

Come abbiamo appena sottolineato, i Paesi in questione hanno una forma di Stato

catalogabile come federale o regionale, che già di per sé dovrebbe garantire alle

popolazioni interessate - anche e soprattutto se queste possono assurgere alla qualifica

di “minoranze nazionali” o “nazioni”, costituenti un blocco relativamente omogeneo e

concentrato in un territorio ben preciso organizzato come entità politica dotata di poteri

di autogoverno nei cui confini rappresentano la maggioranza

19

- una certa capacità di

gestire autonomamente i propri affari e le proprie risorse

20

.

Si pone allora il serio problema di che cosa si possa fare in più per appianare i contrasti

ed evitare pericolose iniziative unilaterali da una parte e dall’altra.

Da una parte, in molti ordinamenti la secessione sembra essere impedita, esplicitamente

o più spesso implicitamente, dal testo costituzionale

21

; dall’altra, bisogna riconoscere

storica (dove similmente queste due macro-aree possono essere distinte sulla base del percorso che hanno seguito la costruzione e l’unificazione dello Stato-nazione); la dimensione economica (l’analisi delle varianti in tal senso e dell’allocazione delle risorse nei vari territori può dare risultati variegati e a volte insospettati, passando da casi in cui il disagio economico può influire sui desideri secessionisti di certe unità territoriali, che sperano di migliorare la propria situazione con l’indipendenza, come il Québec, ad altri in cui, soprattutto negli ultimi anni, “al di là del cliché del popolo oppresso che aspira all’autogoverno”, sono stati territori prosperi rispetto agli standard nazionali, come le Fiandre e la Catalogna, a volersi separare); la dimensione della realtà etnico-linguistica (ovvero la natura multinazionale e plurilinguistica dello Stato, che ovviamente, ha un peso importantissimo). In base all’analisi di tutti questi fattori, gli autori procedono anzitutto a distinguere fra ordinamenti liberal-democratici consolidati e a democrazia ancora instabile (in sostanza, quelli dell’Est ex comunista), poiché in questi ultimi le tensioni secessioniste sono più volte esplose in conflitti e nascita di nuovi Stati, mentre gli altri, pur con qualche difficoltà, sono riusciti a gestirle in modo pacifico e democratico. Le vicende di tali Stati sono caratterizzate a loro volta, nelle loro peculiarità, da alcune analogie e costanti: l’estrema attualità di questi fenomeni, le loro potenti ripercussioni sulle caratteristiche e a volte sulla stessa sopravvivenza degli Stati, la prospettiva di riforma dell’organizzazione territoriale dei pubblici poteri e della forma di Stato per venire loro incontro e infine la situazione di stallo che sembra caratterizzare tutti i casi esaminati (intesa come “condizione di incapacità di adeguare il testo costituzionale alla realtà composita del corpo sociale, provvedendo alla stipulazione di un nuovo patto in grado di rinsaldare i legami fra le diverse componenti multinazionali dell’ordinamento”).

19 Vedremo in seguito come in alcuni casi, quali quelli del Québec e della Catalogna, un’importanza centrale nelle rivendicazioni dei movimenti separatisti sia stata assunta proprio dalla pretesa di qualificare come “nazione” le rispettive comunità, e come, per quanto riguarda il contesto spagnolo, la negazione di tale qualità alla Catalogna da parte del Tribunale Costituzionale, pur in conformità alla Costituzione iberica, sia stata percepita dagli autonomisti come un vero e proprio oltraggio

20 Si può affermare che gli ordinamenti menzionati al paragrafo precedente, così come numerosi altri nei quali il problema della secessione si è posto concretamente o potrebbe in linea di principio emergere e che saranno anch’essi oggetto della presente indagine (es. Stati Uniti e Italia) appartengono alla categoria dei c.d. “federalized states”, che per JOVANOVIC, op. cit., p. 48, sono quegli Stati che adottano la formula normativa del federalismo e, pur mantenendo un’unica personalità di diritto internazionale, provvedono in qualche modo a dare riconoscimento politico alle diverse entità ed identità esistenti al proprio interno. Si tratta di un concetto molto ampio e assai elastico, in cui oltre alle “federations proper” (es. Stati Uniti, Canada, Svizzera, Germania etc.) possono rientrare “states with substantially devolved powers to sub-state territorial entities, like the United Kingdom or Spain” (e, aggiungiamo noi, la stessa Italia vi può tranquillamente rientrare).

21 Basti pensare ad una disposizione come l’art. 5 della Costituzione italiana, che proclama espressamente l’unità e indivisibilità della Repubblica e che proprio per questo è stata al centro di una decisione della

(12)

11

che, almeno nei casi di Stati tendenzialmente liberali, le lotte secessioniste sono state

principalmente

22

portate avanti con mezzi pacifici e democratici, come manifestazioni e

referendum, spesso riconducibili a diritti costituzionalmente tutelati quali lE libertà di

espressione, manifestazione, associazione etc.

23

, e che la comunità internazionale,

specie in quest’epoca globalizzata, tende a non vedere di buon occhio attività di

repressione politica ingiustificate o sproporzionate, tanto più da parte di quei Paesi

comunemente riconosciuti come democratici e rispettosi dei diritti fondamentali.

Proprio per superare queste possibili difficoltà vari autori hanno suggerito che gli Stati

attraversati da tensioni secessioniste dovrebbero compiere una mossa in netto

contrasto

24

con i tradizionali paradigmi dell’unità e dell’integrità territoriale dello Stato

come valori inviolabili del costituzionalismo occidentale moderno: inserire nella Carta

fondamentale una clausola che consenta a certe entità territoriali subanazionali,

debitamente individuate, di distaccarsi dallo Stato, vuoi in presenza di certi presupposti

che lo giustificano (es. atti di oppressione da parte dello Stato centrale), vuoi seguendo

una procedura particolare, da disciplinare nel dettaglio (es. votazioni parlamentari,

referendum etc.), magari con un controllo affidato a organi politici misti e/o

giurisdizionali

25

.

Corte Costituzionale (di cui si parlerà più avanti) che ha rigettato la possibilità di indire un referendum sull’indipendenza di una Regione dall’Italia. Analogamente si pone l’art. 2 della Costituzione spagnola. 22

È ben noto che in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi e in Québec sono state attive organizzazioni terroristiche militanti volte a conquistare l’indipendenza di questi territori con la violenza, ma esse hanno ormai cessato le proprie attività e le iniziative separatiste più recenti sembrano aver perso del tutto simili connotati, preferendo mobilitare la società civile e il mondo politico col richiamo a principi e meccanismi propri dell’ordinamento nazionale o internazionale. Si vedaJOVANOVIC, op. cit p. 62 per un resoconto di come, anche nel momento più duro della c.d. Crisi di ottobre del 1970, la maggior parte dei franco-canadesi si sia opposta ai metodi estremisti e non democratici del Front de Libération du Québec.

23 Basti vedere la definizione che W. N

ORMAN, Domesticating Secession, in S.MACEDO &A.BUCHANAN

(Eds.), Secession and Self-determination 109, p. 203, 2003, citato da JOVANOVIC, op. cit., p. ix dell’Introduzione, dà di “secessionist politics” come “a continuous spectrum of activities ranging from the legally innocuous activity of advocating secession to the legally and morally dubious activities of unilateral declarations of independence (UDIs) and armed insurrections, encompassing in between the creation of political parties with secessionist platforms, the contesting of elections by such parties, their organizing referendums on independence when they form regional governments, and so on”. Come si può vedere, se si adotta una definizione di secessionismo abbastanza ampia vi si può far rientrare un vero calderone di iniziative e progetti che si caratterizzano, in particolare, per la loro “continuità”. Per uno Stato che si professi democratico risulta oggettivamente difficile, una volta effettuata una concessione che risulti conforme a tale suo carattere ispiratore, negare quella immediatamente successiva, cosicché non è semplice per un ordinamento porre dei limiti precisi alle politiche secessioniste, dato che deve, per così dire, mantenere la propria immagine davanti agli occhi dell’opinione pubblica interna ed internazionale e che ogni “passo falso” rischia di essere visto come un’ingiusta repressione di legittime aspirazioni politiche, passibile di strumentalizzazioni ad opera dei fautori dell’indipendenza.

24 Ma non del tutto inconcepibile o inaudita, come si illustrerà ultra con esempi passati o presenti. 25 T

OSI, op. cit., pp. 3 s., nota come vari autori abbiano ”configurato la secessione come oggetto di un vero e proprio diritto”, cosa che ha indotto altri a dare veste giuridica e in particolare costituzionale a tale

(13)

12

Una simile clausola dovrebbe essere delineata con precisione in tutti i suoi aspetti

soprattutto se il suo scopo vuol essere quello che molti suoi proponenti le attribuiscono,

ossia quello di scongiurare i tentativi di secessione o, almeno, di incanalarli in un

framework legale-costituzionale anziché incoraggiarli esplicitamente o comunque

lasciarli in mano a rapporti di forza puramente politici e contingenti, che possono

sempre degenerare in contese più o meno aspre.

D’altra parte, come si vedrà, si avanzano anche critiche sulla possibile compatibilità

della clausola con certi aspetti del costituzionalismo moderno così come lo conosciamo.

In tutti gli altri casi, finché le forze politiche dei Paesi interessati non decidono

eventualmente di mettere mano a simili riforme, il problema rimane e, non potendosi

fingere che non esista, qualcuno deve pur affrontarlo.

Questo ruolo, in alcuni di essi, sembra essere stato assunto dalle Corti supreme o

costituzionali, che, nella propria veste di tutori dell’ordine costituzionale, si sono trovate

ad affrontare, con alterni risultati, problematiche e dispute inerenti alla possibilità di una

secessione di parte dello Stato.

26

Ma, sebbene si possa osservare, a loro parziale “discolpa”, che tali organi giurisdizionali

non sono del tutto equiparabili ai giudici ordinari, vista la loro speciale composizione e

la specificità dei compiti loro affidati, è altrettanto vero che coinvolgendoli in simili

controversie, prive di un preciso quadro costituzionale di riferimento, si rischia di

trascinarli pericolosamente in furiose polemiche dal contenuto politico, che rischiano

anche di minarne in modo serio la legittimazione e l’imparzialità.

diritto, proponendo di disciplinare il processo di secessione. Si richiamano in particolare A.BUCHANAN, Secessione. Quando e perché un paese ha diritto di dividersi, Arnoldo Mondadori, Milano, 1994, e D. PETROSINO, Democrazie di fine secolo. L’epoca delle secessioni, in C. DE FIORES - D. PETROSINO, Secessione, Roma, 1996, pp. 79 ss. Peraltro lo stesso Tosi (p. 9) ricorda che a conferma della natura prettamente extragiuridica e fattuale dei fenomeni di secessione si può citare il fatto che in alcuni ordinamenti (es. Unione Sovietica ed Etiopia) “il distacco si è verificato in assenza di un’espressa clausola legittimante ovvero è stato perfezionato attraverso procedure diverse da quelle normativamente imposte”. Questo ad indicare che in una materia tanto delicata, anche per le inevitabili ripercussioni della secessione sull’organizzazione e sulla stabilità degli Stati, tendenzialmente finiranno per prevalere considerazioni pratiche o di natura politica rispetto ad argomentazioni in punto di diritto.

26

Non si tratta certo dell’unico caso in cui questi particolari giudici si sono trovati invischiati in spinose controversie connesse all’emergere di forti movimenti identitari in alcuni contesti regionali-federali, come chiariscono DELLEDONNE -MARTINICO, op. cit., parti IV ss., laddove si concentrano sui casi, decisi in modo a volte controverso dalla Corte Costituzionale italiana e dal Tribunal Constitucional spagnolo, di Statuti di Regioni italiane e Comunità Autonome spagnole nei quali erano state inserite particolari norme volte a sottolineare le peculiari caratteristiche sociali, politiche e culturali dei rispettivi territori con formulazioni e contenuti, se non del tutto in contrasto, quantomeno parzialmente in concorrenza con quelli delle Costituzioni nazionali.

(14)

13

Inevitabilmente, una decisione che riconosce la fondatezza delle ragioni di uno dei due

“contendenti” istituzionali sarà vista dall’altro come un torto subito e un segnale di

indebita politicizzazione del giudice costituzionale.

Dopo la presente sezione introduttiva, volta a delineare in termini generali la questione

da analizzare, si passerà ad esaminare l’evoluzione del diritto costituzionale negli

ordinamenti federali e le posizioni sul tema del diritto pubblico internazionale, per

chiarire se, quando manca la clausola esplicita di secessione, da essi si possa ricavare un

simile diritto legittimamente esercitabile da parte delle unità federali.

Si Richiameranno anche le varie costruzioni dottrinali elaborate nel corso del tempo per

giustificare sotto il profilo giuridico e politico la volontà di separazione (compreso

l’approfondimento dei possibili legami fra il diritto di secessione e un altro diritto dalla

natura ambigua e di esercizio tipicamente collettivo come quello di resistenza).

Ci concentreremo poi sulla possibile costituzionalizzazione del diritto di secessione

(che, come si avrà modo di verificare, si è avuta in Stati sia dissolti che tuttora esistenti),

sulla compatibilità o meno di questo diritto con il costituzionalismo, con la valutazione

delle ragioni che, secondo diversi autori, ne consigliano o meno l’introduzione in un

ordinamento e una breve descrizione delle caratteristiche che essa dovrebbe idealmente

presentare.

Ci trasferiremo poi alla domanda principale di questo lavoro, ovvero il ruolo delle Corti

supreme/costituzionali, e cercheremo di darvi una risposta analizzando a fondo alcuni

esempi, contemporanei e non, nei quali i giudici sono stati chiamati a dare risposte

importanti, spesso in situazioni politicamente tese, su questioni più o meno direttamente

collegate al tema della secessione.

Il primo caso di studio ad essere esaminato sarà rappresentato dagli Stati Uniti, il primo

Stato federale a doversi confrontare sia con ricorrenti dibattiti e minacce di separazione

sia con la secessione vera e propria e nel quale una fondamentale sentenza della Corte

Suprema pare aver risolto i dubbi sin dalla seconda metà del XIX secolo.

Il secondo sarà quello del Canada, dove, in un Paese federale da ormai

centocinquant’anni, da decenni alle prese con ricorrenti istanze indipendentiste da parte

di una determinata componente della sua popolazione, nel 1998 la Corte Suprema

federale ha fornito un parere sull’eventuale secessione del Québec che, pur con qualche

ombra e nonostante alcuni strascichi polemici successivi, è stato sostanzialmente

(15)

14

accettato delle parti coinvolte, stimolando la riflessione dottrinaria e influenzando casi

analoghi discussi in altri Stati.

Si analizzerà poi il caso che sicuramente si presente come di maggiore attualità, e per

molti versi come opposto all’esempio canadese, quello della Spagna, dove, dal 2010 ad

oggi, il Tribunal Constitucional ha emesso una serie di sentenze che, con ogni

probabilità, assieme alla mancanza di disponibilità alla trattativa e al compromesso delle

due parti in causa, hanno contribuito ad esacerbare le tensioni secessioniste in

Catalogna e ad inasprire lo scontro con il governo centrale, con notevoli ripercussioni

sul prestigio e sul ruolo della stessa Corte.

Si menzioneranno infine le vicende riguardanti il Regno Unito, dove nel 2014 si è infine

giunti alla celebrazione di un referendum sull’indipendenza della Scozia, e più di

recente, nell’ambito della complesse problematiche inerenti alla c.d. Brexit, una

sentenza sembrerebbe gettare maggiore luce sui caratteri dell’ordinamento britannico

frutto della c.d. devolution, e l’Italia, dove una decisione del 2015 del giudice

costituzionale ha recisamente negato la possibilità di referendum per la secessione di

una Regione dal resto del Paese.

Infine verranno sviluppate delle conclusioni di fondo, dove si tireranno le somme

dell’indagine compiuta e si cercherà di ricavare dai casi studiati e dalle norme, sentenze

e tesi dottrinali esaminate principi applicabili in via generale ad ogni vicenda simile, per

tentare di stabilire regole minime da seguire in caso di richieste di secessione al fine di

minimizzare la possibilità di incertezze e controversie.

(16)

15

2. LA SECESSIONE NEL DIRITTO COSTITUZIONALE E

INTERNAZIONALE

2.1. LA SECESSIONE COME FATTO POLITICO E QUESTIONE GIURIDICA.

LE POSSIBILI GIUSTIFICAZIONI DEL DIRITTO DI SECESSIONE

NELL’ORDINAMENTO DEGLI STATI FEDERALI

Abbiamo già accennato a due caratteri che, da tempo ormai risalente, caratterizzano la

discussione scientifica e politica riguardo alla nozione di secessione, cioè la sua

sostanziale indesiderabilità e la sua notevole ambiguità.

Per quanto concerne, in particolare, il secondo aspetto, è possibile rilevare che la

secessione, oltre ad essere inquadrabile come un atto capace di minare la stabilità di uno

Stato, ma che comunque non contesta, anzi rafforza il modello statocentrico

(confermando che nell’odierno contesto storico lo Stato è tendenzialmente l’unica

forma di organizzazione politica rilevante come soggetto di diritto internazionale,

anziché proporre un modello alternativo e inedito), presenta per così dire una doppia

faccia, risultando contemporaneamente un fatto politico e una questione giuridica

27

.

Senza dubbio la secessione di un territorio da uno Stato già esistente ha una fortissima

connotazione politica perché rappresenta un atto originario, costituente

28

, che conduce

alla nascita di un nuovo Stato e all’instaurazione ex novo di un ordinamento connotato

da determinati caratteri ed ha un impatto fondamentale sulla vita di tutti coloro che si

trovano ad esservi sottoposti.

Allo stesso tempo non si può negare che essa abbia dei riflessi giuridici notevoli, perché

l’ordinamento internazionale deve fare i conti con la nuova entità ricorrendo alle proprie

27 T

OSI, op. cit., pp. 9 s., osserva che “analizzando il fenomeno dal punto di vista interno agli ordinamenti statuali, la secessione pare collocarsi più facilmente su un piano esclusivamente extragiuridico”, dato che, se al contrario si cerca di attribuirgli “una veste giuridica sussumibile sotto i criteri della legalità e della legittimità costituzionale” ci si imbatte nell’“insanabile antinomia” della quale abbiamo già parlato, cioè quella fra la secessione come minaccia all’unitarietà e alla supremazia del singolo Stato e la stessa come conferma della perdurante vitalità e accettazione del sistema di diritto internazionale fondato sugli stessi Stati. In ogni caso l’autore non tarda a precisare che “indipendentemente dalla sua presunta dimensione extragiuridica” il fenomeno in questione “sembra in grado di produrre degli effetti anche a livello giuridico”, ad esempio per quanto riguarda le conseguenze della secessione sia sulla comunità che si separa che su quella che subisce tale deminutio. Inoltre esso può essere per vari aspetti avvicinato al tema della nascita e successione fra Stati, casi questi disciplinati dal diritto pubblico internazionale.

28 Ibidem ricorda che la dottrina perlopiù è concorde nel ritenere che la secessione dia luogo, per il gruppo di riferimento, “ad una vera e propria fase costituente, indipendentemente dal fatto che la comunità secedente vada a costituire una nuova entità sovrana o entri a far parte di una formazione statuale già esistente”.

(17)

16

categorie tradizionali improntate ai paradigmi della statualità e per gli altri Stati si pone

il problema del riconoscimento di quello che si presenta davanti a loro come un nuovo

soggetto sovrano e indipendente, ma che deve ancora consolidarsi ed acquisire

effettività per potersi davvero dire tale.

I tentativi di risoluzione della contrapposizione fra la secessione come fatto politico e la

secessione come atto giuridico non possono ovviamente prescindere dalla

considerazione che a livello internazionale non è dato riscontrare una visione comune in

materia di riconoscimento di nuovi Stati, e che anzi, come noto, si possono riscontrare

diversi orientamenti distinguibili principalmente a seconda del maggiore o minore

formalismo giuridico o della maggiore o minore attenzione alle circostanze di fatto, con

possibilità quindi di dare spazio a valutazioni di mera opportunità

29

.

Vediamo così che la comunità degli Stati, da cui nasce il diritto pubblico internazionale,

ha cercato nel corso del tempo, con alterna fortuna, di regolare e “addomesticare” un

fenomeno per sua natura dirompente e in buona parte sfuggente agli schemi legali quale

quello della secessione, tentando, nell’impossibilità di impedirlo tout court, di

sconsigliarlo e di incanalarne gli effetti nella maniera meno distruttiva possibile e

maggiormente coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale.

È lecito a questo punto spostare leggermente il focus della ricerca e porsi una domanda:

i singoli Stati hanno cercato di fare altrettanto, quando sono stati posti di fronte al

problema della secessione?

Potrebbero riuscirci, già solo prendendo in considerazione il fenomeno, anziché

ignorandolo?

29 In breve sintesi, come ricorda A. T

ANCREDI, Secessione e diritto internazionale: un’analisi del dibattito, in Processi di secessione e ordinamenti democratici, cit., pp. 451 ss., nella dottrina internazionalistica prevalgono due scuole di pensiero (entrambe con punti di forza e debolezze e comunque graduabili secondo tutta una scala di modelli intermedi). Da una parte abbiamo quella “realista”, che vede la nascita e l’estinzione di uno Stato come “una questione di fatto dalla quale scaturiscono conseguenze giuridiche in virtù del brocardo ex facto oritur ius”, cosicché ai nuovi Stati per acquisire la qualità di soggetti di diritto internazionale basterebbe conseguire un carattere di effettività e indipendenza, a prescindere dall’atto dal quale sono nati, che potrebbe anche risultare illegittimo, come una secessione unilaterale o l’aggressione di uno Stato terzo. Ad essa si oppone la corrente “legalista”, che invece ritiene che lo Stato sia una creazione giuridica e che quindi la statualità non si fondi solo sull’effettività della nuova entità, ma che l’ordinamento internazionale provveda ad attribuirla ai nuovi soggetti purché il loro procedimento di formazione rispetti le regole di tale ordinamento, “in particolare di quelle che proteggono valori ritenuti di importanza fondamentale”, sostenendo che ex iniuria ius non oritur e che altrimenti la secessione è legalmente nulla. Sia come sia, MANCINI, Secession, cit., p. 481 osserva che, nonostante la tendenziale contrarietà del diritto internazionale e delle Costituzioni nazionali alle secessioni, “a state born out of a successful secessionist project, is likely to be recognized both by International organizations and by the community of states”, ad indicare che, comunque, in questi casi le considerazioni politiche mantengono un’importanza cruciale, al di là degli aspetti legali della questione.

(18)

17

A questo proposito, rimandando per il momento la questione delle clausole di

secessione costituzionalizzate, non sarà inutile chiederci se il diritto interno della

tipologia di Stati su cui si appunta la nostra indagine, quelli federali o analoghi,

consenta, sulla base della loro particolare struttura politico-istituzionale, una via

d’uscita, riconoscendo un implicito diritto di secessione alle singole entità federate.

Ciò potrebbe risultare meno ardito di quanto si possa pensare a prima vista, in

particolare se ci si riferisce a quelle federazioni che si sono formate “per

aggregazione”

30

, ovvero dall’unione di Stati prima sovrani e indipendenti che decidono

ad un certo punto di costituirne uno solo per mettere in comune alcune funzioni

fondamentali da esercitare a beneficio di tutte le componenti della neonata federazione,

conservando un’ampia autonomia in altri campi

31

.

Nello specifico, un ottimo esempio è costituito dagli origini degli Stati Uniti, il Paese

dove il dibattito politico-costituzionale sui diritti di sovranità degli Stati ha trovato il

massimo sviluppo, sino a giungere, non è un caso, alla vera e propria secessione nel

1861.

Sulle origini storiche dell’ordinamento federale statunitense, sui caratteri principali

delineati dalla Costituzione del 1787 e sulle premesse teoriche della secessione

elaborate da vari pensatori e politici americani ci intratterremo a lungo e con dovizia di

particolari nella parte dell’elaborato dedicata agli Stati Uniti; qui ci limiteremo a cenni

che saranno sviluppati appieno in seguito.

Il problema di base si incentra intorno al quesito se considerare la Costituzione come un

patto fra Stati o una legge fondamentale e superiore che si impone ad essi

32

: nel primo

caso, così come ogni Stato ha dato liberamente il proprio consenso ad aderire

all’Unione, può sempre ritirarlo ed uscirne, nel secondo ha assunto degli impegni

vincolanti nei confronti degli altri Stati ai quali non può liberamente sottrarsi.

30 Ovviamente questo non significa che il problema della secessione possa porsi soltanto in Stati federali appartenenti a questa categoria. Si pensi al caso del Belgio, che ha acquisito un carattere federale al termine di un’evoluzione in senso completamente opposto, ma anch’esso costretto a confrontarsi con istanze secessioniste interne.

31 Per M. D

IAMOND, The Ends of Federalism, in The Federal Polity, edited by D. J. Elazar, Philadelphia, Center for the Study of Federalism, p. 130, citato in L.M.BASSANI, Stato e Costituzione:il federalismo autentico di John C. Calhoun (1782-1850) in “Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali” IV n.s. (2015), n. 1, Università del Salento, 2015, p. 292, la cifra di un sistema federale, il suo “nocciolo duro” come lo chiama Bassani, sarebbe costituita dall’essere un’“associazione volontaria di comunità politiche paritetiche per lo svolgimento di scopi comuni”.

32

(19)

18

In poche parole, a questi fini è fondamentale stabilire se i singoli Stati federati sono

titolari di una propria sovranità, totale o divisa che sia, oppure se ad essere sovrana sia

l’Unione e gli Stati sue semplici ripartizioni territoriali dotate di notevole autonomia

33

.

Riassumendo in breve le conclusioni del discorso, per riprenderlo più avanti, possiamo

sintetizzare dicendo che mentre fino alla Guerra civile del 1861 era ampiamente diffusa,

sia nella dottrina che nel mondo politico, la tesi secondo la quale gli Stati Uniti avevano

una struttura sostanzialmente confederale e ogni Stato aveva un diritto di recesso

dall’Unione (di secessione, quindi), in seguito a tale conflitto ha prevalso senza alcun

dubbio l’idea opposta, che propugna la supremazia dell’Unione sugli Stati e

l’impossibilità per questi di distaccarsi.

Allo stesso modo, anche altre democrazie federali di antica data - nate

dall’aggregazione di entità prima distinte e indipendenti e per le quali, quindi, si

potrebbero in linea teorica avanzare giustificazioni di tipo analogo alla secessione delle

singole componenti - si sono trovate a dover affrontare e gestire, fra ‘800 e ‘900, crisi

secessioniste

34

.

Anche in questi casi, tuttavia, prevalsero le istanze unitarie e la dottrina dell’epoca, in

particolare i giuspubblicisti tedeschi, tese ad affermare “l’incompatibilità ontologica

dell’ipotesi di una variazione nella consistenza dell’organizzazione politica con l’idea

stessa dello Stato, assunto come ente sovrano rappresentativo di una realtà

33

TOSI, op. cit., p. 2: “Come è noto infatti, il dibattito politico interno alla neonata federazione è stato caratterizzato da un crescente contrasto tra i fautori di una lettura ‘quasi confederale’ del patto costituzionale ed i sostenitori del governo federale come governo nazionale sovrano”.

34 Sui tentativi di secessione nelle c.d. “First Generation Federations” (oltre agli USA, Svizzera, Australia e Canada), vedi JOVANOVIC, op. cit., pp. 49 ss. In Svizzera, per esempio, la secessione condusse alla guerra civile (c.d. Guerra del Sonderbund del 1847), che vide la vittoria dei cantoni favorevoli ad un maggior accentramento del potere e la trasformazione della Confederazione elvetica in un vero e proprio Stato federale ad opera della Costituzione del 1848, che “ended the struggle for constitutional reforms and crushed the theory of the individual cantons’ ultimate sovereignty”. In Australia, invece si dimostrò forte ai primi del ‘900 il movimento favorevole alla secessione dello Stato dell’Australia Occidentale dal resto del Commonwealth of Australia, creato dal Commonwealth of Australia Constitution Act 1900 del Parlamento britannico come federazione fra le precedenti colonie britanniche e al quale l’Australia Occidentale aveva aderito in ritardo, contro il volere di gran parte della sua popolazione e su pressione delle altre colonie. I sentimenti indipendentisti di questa regione, nutriti dal suo isolamento geografico rispetto ai centri del potere federale e da una situazione economica poco favorevole, aggravata dagli effetti della Grande Depressione, ebbero il loro culmine, dopo molte discussioni negli anni precedenti, in un referendum svoltosi nel 1933 che vide la maggioranza degli elettori votare per la secessione dell’Australia Occidentale; tuttavia un comitato ad hoc del Parlamento britannico, chiamato ad approvare su richiesta dello Stato una legge che consentisse la secessione, stabilì che ciò era contrario alle convenzioni costituzionali e la controversia ebbe termine. Al caso canadese sarà dedicata nello specifico la quarta parte di questo lavoro.

(20)

19

politica virtualmente perpetua”

35

, rendendo la secessione assolutamente inconciliabile

con concetti ormai scientificamente consolidati e per questo motivo politicamente

improponibile, specie in un’epoca pervasa molto più di quella odierna dal mito dello

Stato-nazione onnipotente, indivisibile e sovrano.

Ad ogni modo va ricordato che oggi a prevalere sono gli Stati federali di tipo opposto a

quelli precedentemente esaminati, dato che “oggi la formula della decentralizzazione

politica è usata per dividere, per contenere le istanze centrifughe attraverso la

concessione di un’ampia autonomia alle comunità sub-statali”

36

.

Fra gli Stati che hanno optato per una simile forma di organizzazione si possono

ricordare, ad esempio, Belgio, Spagna, Regno Unito e Italia, che, pur con ovvie e

notevoli differenze fra le loro specifiche vicende, hanno conosciuto un’evoluzione

comune: nati come Stati unitari, a volte anche intensamente centralizzati, col tempo

hanno dovuto riconoscere status particolari e prerogative speciali a unità territoriali

caratterizzate dalla presenza in loco di comunità “nazionali” o assimilabili, spesso

portatrici di richieste di autonomia, se non addirittura di indipendenza.

In tali casi è stato considerato necessario o quantomeno opportuno articolare il potere

politico fra vari livelli territoriali di governo, attribuendo a tutte o ad alcune di queste

entità anche rilevanti competenze legislative, amministrative e statutarie che, in parte,

danno luogo alla nascita di “Stati in miniatura”

37

, ognuno con propri organi, proprie

dinamiche di funzionamento e una propria Costituzione/statuto, che ovviamente non ha

la pretesa di disciplinare tutti i possibili oggetti della Carta fondamentale di una

35 T

OSI, op. cit., p. 6 riporta per esempio le opinioni di M.BLUNTSCHIL, Théorie générale de l’ètat, Parigi 1881, pp. 253 ss., che qualifica la secessione come modalità di estinzione di uno Stato, distinguendo fra “la division d’un Ètat en plusiers et le partage entre plusieurs”, poiché, mentre il secondo “est ordinairement le résultat d’une violence externe”, la prima può anche avvenire in modo pacifico e graduale, quando le diverse comunità presenti nello Stato prendono coscienza delle proprie differenze cosicché “affirment de plus en plus leur particularisme et finissent par se séparer”. Altro insigne studioso citato è G. JELLINEK, Allgemeine Staatslehre, 1914, trad. it. M. Petrozziello La dottrina generale del diritto dello Stato, Milano, 1949, pp. 296 ss., che nega la possibilità di attribuire natura pattizia alle costituzioni di Stati federali, dato che altrimenti essi risulterebbe “semplici creature degli Stati membri” e non sarebbe possibile delineare “quel ‘superiore ordinamento giuridico’ connaturale alla configurazione del concetto di Stato”. Ne conseguiva, con specifico riferimento al caso dell’Impero tedesco (che aveva natura federale, con la presenza al suo interno di altre monarchie oltre alla Prussia, che esprimeva l’Imperatore), che la sua qualità di Stato sovrano ne precludeva dal punto di vista giuridico la dissoluzione e quindi rendeva illegittimi eventuali tentativi di secessione.

36

MANCINI, Costituzionalismo, cit., p. 786. Sui processi di federalismo per decentramento, e sulle varie declinazioni del fenomeno, si rimanda in generale A. LA PERGOLA, Tecniche costituzionali e problemi delle autonomie “garantite”. Riflessioni comparatistiche sul federalismo e sul regionalismo, CEDAM, 1987, p. 157.

37

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