5. IL CASO SPAGNOLO
5.1. Lo stato autonomico spagnolo e la sua crisi La riforma degli statuti negli ann
Abbiamo appena terminato di esaminare le modalità con cui sono state gestite le
controversie secessionistiche in Canada, uno dei più antichi Paesi federali del mondo,
dove sì è giunti, con la reference della Corte Suprema del 1998, ad una tendenziale
regolamentazione della possibilità per una Provincia di separarsi dalle altre, purché si
rispettino determinate condizioni e non si fuoriesca dal framework costituzionale
fondamentale.
Ci pare opportuno adesso concentrarci su un altro esempio di Paese recentemente
coinvolto in dispute di questo tipo, dove ugualmente manca una disciplina
costituzionale della secessione e dove pure ci si è rivolti al giudice delle leggi per
cercare una soluzione: ma sceglieremo un ordinamento ispirato ad un diverso tipo di
federalismo, che anziché essere nato dall’unificazione di più entità prima distinte e
sovrane ha assunto la fisionomia attuale a seguito di un graduale processo di
decentramento, con il riconoscimento dell’autonomia politica di enti territoriali diversi
dallo Stato.
Stiamo parlando della Spagna, un paese che da alcuni anni non solo è diventato un caso
di studio assai interessante per gli autori che si concentrarono sul tema della secessione,
ma si trova al centro delle cronache politiche e internazionali per via delle tensioni che
la attraversano e che sembrano minarne gravemente la stabilità e unità territoriale.
Ormai da tempo le forze politiche al governo nella Comunità Autonoma della Catalogna
hanno avanzato proposte di secessione, che hanno generato forti attriti con il Governo
nazionale e innescato contrasti sui quali più volte il Tribunal Constitucional è stato
chiamato a pronunciarsi, con decisioni talora discusse e discutibili che non sembrano
aver stemperato particolarmente la tensione.
Nel corso del 2017 lo scontro si è ulteriormente radicalizzato, a seguito dello
svolgimento di un referendum assai controverso sull’autodeterminazione della
Catalogna, dichiarato incostituzionale dai giudici delle leggi ma ugualmente tenutosi,
che ha visto, pur in clima di diffusa repressione e scarsa affluenza, la vittoria degli
indipendentisti, alla quale è seguita una ancor più dura reazione dello Stato centrale.
140
Tuttavia, comprendere le dinamiche attuali del conflitto istituzionale risulterebbe arduo
se prima non si possedessero delle nozioni di base sulla attuale forma di Stato spagnola,
sulle sue origini e sui suoi sviluppi più recenti
433.
Essa può essere definita come “regionalista”, in quanto persegue un rilevante
decentramento di funzioni politiche in favore di entità regionali alle quali vengono
conferite potestà legislative piuttosto estese in varie materie, pur mancando di alcune
delle caratteristiche più tipiche degli ordinamenti federali propriamente detti (ad es. testi
costituzionali veri e propri a livello subnazionale, clausole costituzionali che riservino
allo Stato centrale solo le competenze espressamente elencate, partecipazione degli enti
territoriali autonomi ai procedimenti di revisione costituzionale, mancanza di una
seconda Camera realmente rappresentativa degli stessi etc.)
434.
Le sue caratteristiche sono alquanto peculiari, anche se confrontate ad altri ordinamenti
simili, come ad esempio quello italiano, e per un loro pieno inquadramento non è
sufficiente una semplice lettura del testo costituzionale del 1978, ma occorre fare
riferimento anche ad altre fonti
435e tenere presente come si sia evoluto nel corso del
tempo il sistema del c.d. “Stato autonomico” spagnolo.
433
Né bisognerebbe trascurare di approfondire anche la realtà del territorio che si vuole separare dal resto del Paese, per capire almeno in parte da dove derivino certe istanze. È quello che invita a fare con riguardo alla Catalogna, pur riconoscendo che si tratta di un compito tutt’altro che agevole, G. FERRAIUOLO, La via catalana. Vicende dello Stato plurinazionale spagnolo, in www.federalismi.it, 11 settembre 2013, pp. 1 s., quando parla de “il tentativo di cogliere - e tenere in conto nella valutazione delle vicende analizzate - i caratteri storici, culturali, idiosincràtics di una realtà territoriale che identifica senz’altro, per utilizzare le formule della Costituzione spagnola del 1978, un pueblo e una nacionalidad”. 434 Sul concetto di “federalized states”, in cui rientra a pieno titolo anche la Spagna, si è già detto alla nota 20 di questo lavoro. L. MORENO,Federalization and Ethnoterritorial Concurrence in Spain, 27 Publius: The Journal of Federalism,65, p. 65 (1997), citato da JOVANOVIC, op. cit., p. 75, ritiene che il caso della Spagna “can be regarded as one of progressive federalization in line with the asymmetrical nature of its internal units and which serves the purpose of accomodating their diversity and plurality”. Anche V. FERRERES COMELLA, The Spanish Constitutional Court Confronts Catalonia’s ‘Right to Decide’ (Comment on the Judgement 42/2014), in European Constitutional Law Review, vol. 10, n. 03, dicembre 2014, p. 571 osserva che “Spain is a quasi-federal polity”. Per R. L.BLANCO VALDÉS, La seconda decentralizzazione spagnola: tra riforma confederale e Stato possibile, in www.federalismi.it, 10 settembre 2008, pp. 10 ss., “Dubitare che lo Stato spagnolo abbia tale natura [federale] significa partire da una concezione statica di quello che il federalismo è divenuto nel diritto comparato, dove, in realtà, si parla quasi sempre di federalismi, al plurale, per sottolineare il fatto che non siamo davanti ad una specie bensì ad un ampio genere di sistemi territorialmente decentrati che presentano elementi comuni ma anche notevoli differenze tra loro”. La principale differenza rispetto ad altre esperienze federali strarebbe nel fatto che quella spagnola, già caratterizzata da forti nazionalismi, ospita adesso forti indipendentismi. 435
P.CRUZ VILLALÓN, La curiosidad del jurista persa, y otros estudios sobre la Constitución, Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 2006, pp. 377 ss. per illustrare questa particolarità ricorre alla metafora del giurista persiano che, se volesse conoscere la forma di Stato della Spagna, e si limitasse a leggere le norme costituzionali in proposito, se ne farebbe un’idea del tutto fuorviante, quella di “un Estado unitario centralizado, sin más salvedad que la de reconocer un cierto grado de descentralización administrativa en favor de los entes locales”; ma vedremo subito che così non è.
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La Spagna in origine era uno degli Stato più centralisti e meno democratici d’Europa,
fortemente ostile a tentativi di liberalizzazione e al riconoscimento delle autonomie
territoriali, per i quali si dovrà attendere in sostanza l’avvento della Seconda Repubblica
nel 1931
436.
La nuova Costituzione repubblicana, adottata in quell’anno, delineava infatti un “Estado
integral” con caratteristiche non molto dissimili da quelle attuali, e prevedeva
l’istituzione di Comunità Autonome, anche se soltante alcune regioni (Catalogna, Paesi
Baschi e Galizia) riuscirono a completare in tutto o in parte il procedimento di adozione
dei loro Statuti di autonomia, prima che le vicende della guerra civile travolgessero il
fragile ordinamento repubblicano
437.
In seguito, caduta la dittatura franchista nel 1975 e ripristinata la democrazia, sembrò
indispensabile reagire al vecchio e opprimente centralismo andando nella direzione
opposta e riprendendo in parte l’esperienza repubblicana.
Ciò avvenne mediante il sistema provvisorio delle “preautonomías”, istituite entro i
confini di quelle che poi sarebbero diventate le Comunità Autonome, in attesa
dell’entrata in vigore della Costituzione che avrebbe regolato in via definitiva la
materia, anche se in seno all’Assemblea Costituente si riscontrarono da subito contrasti
436 E. A
JA, Estado autonómico y reforma federal, Alianza Editorial, 2014, pp. 31 ss. tratteggia queste vicende, pur menzionando vari progetti di decentramento succedutisi fino all’inizio del XX secolo. Due di questi sono particolarmente degni di nota. Il progetto di Costituzione della Prima Repubblica del 1873, fallito per via della restaurazione monarchica, immaginava una federazione composta da 17 Stati membri dotati ognuno di propri organi rappresentativi, esecutivi e giurisdizionali, con un Senato come camera degli Stati, dove essi erano rappresentati in ugual misura. Fra il 1914 e il 1923 si consumò l’esperienza della c.d. Mancomunidad de Cataluña, istituita per gestire in maniera unitaria le competenze amministrative delle quattro province catalane, esperienza che risultò unica nel suo genere nella Spagna di allora e influenzò notevolmente i successivi movimenti per l’autonomia, prima di essere repressa dalla dittatura di Primo de Rivera.
437 Ibidem, pp. 34 s. L’autore ritiene che sia fallace la pur diffusa opinione secondo la quale lo Stato integrale immaginato dalla Costituzione del 1931 differirebbe da quello autonomico odierno perché limitava l’autonomia solo a poche regioni e non all’intero territorio nazionale, perché è noto che anche l’Andalusia, l’Aragona e altre Regioni si apprestavano ad approvare i propri Statuti e non è da escludere che, se non ci fosse stata l’insurrezione di Franco, il sistema delle autonomie avrebbe col tempo trovato un’applicazione generale. L’influenza del periodo repubblicano sui redattori della Costituzione del 1978 in materia di autonomie è ben visibile in varie somiglianze fra i due testi. Per esempio, entrambe non chiariscono se la forma di Stato è unitaria o federale, impiegando aggettivi ambigui come “integrale” e “autonomico”; entrambe si astengono dall’individuare espressamente le Comunità Autonome e i loro confini, rimettendosi alle scelte degli enti locali; entrambe lasciano agli Statuti di autonomia il compito di delineare le competenze di ciascuna Comunità, distinguono tre tipi di competenze e prevedono strumenti per flessibilizzarne la distribuzione; entrambe prevedono un procedimento di approvazione degli Statuti che richiede sia il consenso della Comunità che delle Cortes e un Tribunale Costituzionale col compito di dirimere i conflitti di competenze.
142
particolarmente accesi fra le forze politiche e le loro differenti visioni che portarono alla
fine a varie soluzioni di compromesso
438.
In particolare, si scelse di prevedere un solo tipo di entità autonome sub-statali,
chiamate Comunità Autonome, che possono venire ad esistenza attraverso procedimenti
di creazione diversificati, tanto più articolati e complessi quanto maggiori le prerogative
che esse vogliono ottenere, disciplinati rispettivamente dall’art. 143 e dall’art. 151 della
Costituzione iberica del 1978
439.
Una delle peculiarità della forma di Stato spagnola odierna, alle quali si accennava
prima, è il fatto che la Costituzione non contenga un esplicito elenco nominativo delle
Comunità Autonome attualmente esistenti (17) ed, anzi, non ne preveda neppure come
obbligatoria l’istituzione secondo l’una o l’altra delle procedure appena richiamate.
La Carta si limita piuttosto ad enunciare, nell’art. 2 Cost., oltre al principio di
indissolubile unità della Nazione spagnola, il diritto all’autonomia delle
“nacionalidades y regiones” che compongono la Spagna, senza però individuarle nello
specifico
440e senza chiarire davvero quale sia la differenza fra di esse.
438 Ibidem, pp. 36 ss. Con riferimento alle conclusioni raggiunte dai costituenti spagnoli e ai sentimenti prevalenti in quella sede si rinvia a BLANCO VALDÉS, op. cit., pp 1 ss. I componenti dell’Assemblea comprendevano benissimo che il nuovo testo costituzionale avrebbe dovuto essere espressione di un sentimento condividiso, e non di una sola parte politica del Paese, ed in particolare si rendevano conto che “la democrazia non avrebbe potuto realizzarsi in maniera compiuta se, in sede costituente, non si fosse trovata una ragionevole soluzione al cd. problema nazionale. Ovvero, al problema dell’integrazione territoriale della regione catalana e delle tre province basche nella nuova Spagna democratica” . Fu così che le forze politiche nazionali, trattando con i maggiori partiti nazionalisti baschi e e catalani, giunsero a quello che Blanco Valdés, riprendendo le parole già usate da Schmitt per definire la Costituzione di Weimar, definisce un “compromesso apocrifo”, ovvero un accordo che, anziché risolvere una problematica in modo condiviso, partorì una soluzione vaga in modo da prorogare la decisione a tempi successivi, nei quali si sarebbero potutte sciogliere le ambiguità con scelte nette.
439 M. I
ACOMETTI, La Spagna, in P.CARROZZA,A. DI GIOVINE,G.F.FERRARI, Diritto costituzionale comparato, Tomo I, Bari, Laterza, 2014, pp. 208 s. descrive nei dettagli i due procedimenti di formazione: nel primo caso la creazione dell’ente deve essere approvata da alcune Province fra loro confinanti, che condividano determinati caratteri comuni storici, culturali etc., attraverso una deliberazione dei propri Consigli e da almeno 2/3 dei Comuni compresi nel loro territorio, tali da rappresentare la maggioranza degli elettori di ogni Provincia, mentre nel secondo i Comuni favorevoli devono essere i 3/4 e la proposta dovrà essere approvata anche mediante referendum dalla maggioranza assoluta del corpo elettorale di ogni singola Provincia. Dato che quest’ultimo, pur dando luogo ad uno status superiore e ambito, è un procedimento estremamente macchinoso e di incerto esito (come ricorda AJA, op. cit., pp, 48 s., l’Andalusia fu l’unica Regione ad avvalersi di questa via “rinforzata” per ottenere l’autonomia), il Costituente ha pensato anche a delle “vie preferenziali” volte ad accontentare il desiderio immediato di maggiore autonomia di certe zone del Paese. A questo scopo risponde la II Disposizione transitoria, che conferiva il livello superiore di autonomia a quelle comunità che avessero beneficiato del regime di preautonomía e il cui Statuto fosse stato in precedenza adottato con referendum (quindi una norma fatta apposta per Catalogna, Paesi Baschi e Galizia, che come visto prima ci erano giunte già negli anni ’30), mentre la I Disp. trans. generalizzava l’accesso al livello inferiore per tutte le altre preautonomías.
440 A
JA, op. cit., p. 43 ricorda come questa formulazione abbia causato notevoli controversie durante i lavori di redazione della Costituzione, tanto da richiedere che si enfatizzasse nel testo la dichiarazione
143
Si può supporre che col termine “nazionalità” si faccia riferimento a quelle zone del
Paese dove si riscontrano “enti aventi lingua propria e tradizioni storiche e giuridiche
peculiari”, come i Paesi Baschi e la Catalogna, laddove le regioni rappresenterebbero
“enti territoriali sorti, con il nuovo regime democratico, come esperienze di
decentramento, ma divenute molto simili, sotto il profilo organizzativo e funzionale,
alle prime”
441.
Se ne deduce comunque che, per le une e per le altre, l’unico modo di esercitare il
diritto all’autonomia così riconosciuto è quello di costituirsi in Comunità Autonome,
anche perché la Costituzione non sembra prevedere altre forme istituzionali che tali
comunità territoriali possano assumere per gestirsi autonomamente.
Tutte le volte che parliamo della Spagna, non dobbiamo mai dimenticarci dell’esistenza
in quel Paese di alcune comunità etnolinguistiche concentrate in territori ben precisi e
caratterizzate da un forte sentimento identitario, che fanno uso di lingue minoritarie;
questi caratteri, ai quali si accompagna spesso la vigenza nelle regioni in questione di
peculiari regimi giuridici e fiscali, solitamente di origine storica e consuetudinaria,
rappresentano i c.d. “fatti differenziali” che influiscono sulle competenze delle
Comunità Autonome, altrimenti tendenzialmente equiparate
442.
Un’altra peculiarità del sistema autonomico spagnolo è rintracciabile anche nella
relativamente scarna disciplina che la Costituzione dedica al riparto di competenze fra i
vari livelli di governo.
La Costituzione spagnola, nel conferire potestà legislative alle Comunità Autonome,
non compie un’esplicita attribuzione di competenze, di livello minore o maggiore a
seconda del rispettivo grado di autonomia, ma semplicemente contiene due liste di
dell’unità della Nazione spagnola. CRUZ VILLALÓN, op. cit., p. 378 ritiene fondamentale la constatazione secondo la quale in Spagna non esistono solo varie “regiones” “como en cualquier Estado mínimamente extenso ocurre”, bensì convivono anche varie “nacionalidades”, ma che queste ultime vengono appena menzionate, e solo in questa sede, senza definirle o elencarle, come se si trattasse di una conoscenza comune, mentre già dall’art. 3 si parla di “Comunidades Autónomas” come modalità tipica di organizzazione di questi soggetti autonomi. FERRAIUOLO, Costituzione federalismo secessione. Un itinerario, cit., pp. 158 ss., considera questa distinzione uno dei principi fondamentali del modello territoriale spagnolo, frutto come tanti altri di un compromesso volto a stabilire “un fondamentale punto di equilibrio, necessario a garantire l’integrazione dei nazionalismi periferici nel patto costituzionale”. Effettivamente, un’approfondita analisi delle posizioni predominanti nell’Assembea Costituente farebbe propendere non per una volontà di riconoscimento della Spagna come “nación de naciones”, ma di contenimento dellle istanze nazionalistiche periferiche.
441 I
ACOMETTI, op. cit., p. 208, secondo la quale si tratta comunque di una distinzione priva di riflessi giuridici, per quanto “conserv[i] una notevole pregnanza sotto il profilo politico”.
442 Ibidem, p. 212, con una lista di alcune di queste particolarità, suddivise per Comunità nelle quali sono presenti. Ultra vedremo la loro influenza sul piano degli Statuti delle varie Comunità Autonome.
144
materie, dalle quali saranno i singoli enti a scegliere quelle in cui intendono avere
competenze.
Ciò avviene mediante una apposita fonte: lo Statuto di Autonomia, la norma
fondamentale dell’ordinamento regionale, la cui adozione vede la compartecipazione
delle Comunità Autonome e delle Cortes Generales, il Parlamento nazionale
spagnolo
443.
Si può concludere che, in linea di principio, la Carta del 1978 individua due livelli
distinti di autonomia per le Comunità autonoma, a seconda delle prerogative che esse
vogliono ottenere e delle funzioni che esse possono o si ritengono in grado di assumere
per conto proprio.
Questi livelli che si ripercuotono anche sul procedimento di adozione dello Statuto di
autonomia, che in ogni caso vede la partecipazione anche del Parlamento nazionale,
rappresentativo degli interessi di tutti i cittadini, non solo di quelli della comunità locale
coinvolta, in una logica quasi pattizia, che però in teoria consentirebbe allo Stato
centrale di esercitare, in alcuni casi, un sostanziale potere di veto all’approvazione
444.
Questo era il quadro costituzionale originario, ancora oggi formalmente immutato.
443 Ibidem, pp. 210 s., descrive nei dettagli il procedimento di adozione degli Statuti, che è diverso a seconda del livello di autonomia dell’ente autonomo in questione: per quelli di cui all’art. 151, collocati al livello superiore di competenza, il testo dello Statuto viene negoziato fra un’apposita assemblea dei Deputati e dei Senatori eletti nel territorio regionale e la Commissione costituzionale del Congresso dei Deputati (la Camera bassa del Parlamento), approvato con un referendum a livello regionale ed infine trasfuso in una legge organica dalle Cortes. Per le Comunità menzionate dall’art. 143 il testo viene approvato dai Deputati e Senatori eletti nel territorio in questione e dai Consigli provinciali della Regione e poi trasformato in legge organica. Le Comunità Autonome ex art. 143 possono individuare le materia di propria competenza fra quelle contenute nell’art. 148 Cost., le altre fra queste e quelle di cui all’art. 149 (ma bisogna osservare che ciò vale solo per quelle di queste ultime nelle quali lo Stato non ha competenza esclusiva sotto ogni punto di vista, e la Comunità può qui vedersi affidata l’esecuzione delle norme statali o la legislazione di dettaglio ad integrazione dei principi fondamentali). L’art. 149 inoltre meziona le c.d. materie di competenza concorrente, nelle quali possono legiferare sia lo Stato che le Regioni, e prevede della clausole di chiusura, secondo le quali le competenze non attribuite espressamente allo Stato potranno essere assegnate dagli Statuti alle Comunità Autonome, altrimenti rimarranno in capo al primo, e la legislazione statale prevale su quella regionale contrastante, salve le materie di esclusiva competenza delle Comunità. L’art. 150 prevede infine “meccanismi di ‘flessibilizzazione’ del livello di competenze disciplinato dallo Statuto”, con la possibilità di delegazione di competenze alle Comunità o di armonizzazione statale.
444 C
RUZ VILLALÓN, op. cit., pp. 380 s., scrive che i procedimenti di approvazione delineati dal Costituente suggerirebbero, ad un primo sguardo, che per le Comunità Autonome dell’art. 143 lo Statuto approvato dalle Cortes rischierebbe di risultare, “en el mejor de los casos, ‘otorgado’ y, en el peor, ‘impuesto’”, laddove per quelle dell’art. 151 la legge organica costituirebbe “un acto formal de ratificación”, che dovrà risultare da “un auténtico pacto en el que los representantes provisionales de la futura Comunidad Autónoma y el Parlamento estatal dialogan casi de igual a igual”, e la necessità di un referendum di approvazione costituirebbe una garanzia contro ogni tentativo di imposizione statale. Ma, per via dell’equiparazione fra i tipi di Comunità Autonome di cui si dirà a breve, queste differenze devono ora ritenersi irrilevanti.