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Acquisizione dello Streptococcus mutans nei bambini: Influenza della modalita di parto e di altri fattori materni

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di medicina e chirurgia

Corso di Laurea Specialistica In Odontoiatria e protesi dentaria

Tesi di laurea

Acquisizione dello Streptococcus mutans nei bambini: influenza della

modalità di parto e di altri fattori materni.

Relatore:

Candidato:

Prof.ssa M. Rita Giuca

Claudia Barilà

(2)

S

OMMARIO

Capitolo I ... pag. 1 L’ecosistema Orale ... pag. 1 Il biofilm orale ... pag. 2 Fasi della formazione del biofilm ... pag. 2 Principali microrganismi ... pag. 4 Ultrastruttura e composizione chimica del biofilm ... pag. 7 La carie ... pag. 8 Eziopatogenesi ... pag. 9 Il processo carioso ... pag. 12 Microbiologia della placca ... pag. 14 Cariogenicità ... pag. 16 Capitolo II ... pag. 18 Streptococcus mutans ... pag. 18 Tassonomia ... pag. 20 Struttura cellulare ... pag. 22 Fattori di virulenza ... pag. 22 Capitolo III ... pag. 25 Acquisizione dello S. mutans ... pag. 25 Timing della colonizzazione iniziale di S. mutans ... pag. 26 Fattori ereditari ... pag. 27 Saliva ... pag. 29 Fattori immunologici ... pag. 30 Abitudini legate al cibo ... pag. 31 Capitolo IV ... pag. 33 Scopi della tesi ... pag. 33 Disegno di studio ... pag. 34 Prelievo campioni salivari ... pag. 37 Identificazione di S. mutans ... pag. 39 Fattori materni valutati ... pag. 40 Analisi dati raccolti ... pag. 42 Capitolo V ... pag. 45 Discussione ... pag. 45 Conclusioni ... pag. 48 Bibliografia ... pag. 49 Ringraziamenti ... pag. 62

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1

CAPITOLO I

L’ECOSISTEMA

ORALE

Il cavo orale è la prima sede dei processi digestivi e rappresenta il primo tratto dell’apparato respiratorio; viene coinvolto nel passaggio di alimenti, aria, micro-particelle e microrganismi.

Rappresenta un habitat ottimale per la colonizzazione microbica grazie a fattori fisico-chimici, a fattori nutritivi e alle sue diverse superfici. E’ in questi termini che si può parlare del cavo orale come di un ecosistema: un ambiente in cui i microrganismi trasformano e riciclano la materia.

Il cavo orale è costituito da diverse nicchie di colonizzazione, rappresentate dalla lingua, dalle mucose e dai denti. In particolare gli elementi dentali offrono numerose superfici per la vita dei microrganismi, quali le aree sopra e sottogengivali, le superfici occlusale, inter-prossimale, buccale, linguale [Teti e Mattina, 2002].

Il biofilm orale

L’aggregazione di microrganismi sulle superficie dentali viene definita con il

termine di biofilm o biopellicola orale o più comunemente placca dentaria o placca batterica [Marsh, 2006].

La placca è strutturata in modo altamente complesso ed aderisce al dente come una pellicola; essa è composta da diverse specie batteriche incluse in una matrice formata sia da polimeri di origine batterica, sia da cellule dell’ospite [Marsh, 2006].

La molteplicità delle specie cui è composta e la sua struttura complessa apportano notevoli benefici all’intera comunità microbica, che incarna lo stile di vita

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2 La placca, in seguito alle normali manovre di igiene orale, viene a formarsi molto rapidamente presentando una composizione ed un’attività metabolica variabili in base alla localizzazione e al suo periodo di formazione [Wang et al, 2005].

Nell’arco di alcune settimane nella placca si formano i cosiddetti nuclei di mineralizzazione, situati nella matrice polimerica, che, assieme ad alcune proteine salivari, trasformano la placca in tartaro. Il tartaro può risultare composto da quattro differenti cristalli di fosfato di calcio in base al grado di maturazione [Lindhe, 1997]. La salute e la malattia dell’apparato stomatognatico dipendono da un delicato equilibrio tra le varie specie batteriche (saprofiti) e l’ospite.

Fasi della formazione del biofilm orale

Immediatamente dopo l’eruzione di un dente o dopo aver pulito la superficie dentale [Al-Hashimi e Levine, 1989], si assiste alla formazione di una pellicola denominata pellicola acquisita, costituita da macromolecole e sostanze idrofobe:

glicoproteine salivari e anticorpi che iniziano ad adsorbire alla superficie (FASE 1). Questa pellicola altera la carica della superficie e ciò favorisce l’aderenza batterica [Lindhe, 1997].

I microrganismi a loro volta sono in grado di attaccarsi tra loro mediante polimeri extracellulari e strutture specifiche chiamate fimbrie (FASE 2) [Lindhe, 1997].

Nel frattempo la massa batterica già adesa aumenta di volume (FASE 3), nuovi batteri aderiscono ad essa (FASE 4) e si viene a formare una biopellicola più spessa e complessa (moltiplicazione); si modificano anche gli scambi gassosi e nutritivi determinando una condizione di anaerobiosi negli strati più profondi [Lindhe, 1997]. Vediamo le diverse fasi nello specifico:

a) Adsorbimento di molecole dell’ospite e di molecole batteriche alla superficie dentaria: viene a formarsi la cosiddetta pellicola acquisita; durante l’adsorbimento le molecole possono presentare dei cambiamenti conformazionali [Vacca-Smith et al, 1996; Kopec et al, 2001];

b) Trasporto passivo di batteri orali sulla superficie dentaria: inizialmente le interazioni fisico-chimiche tra pellicola acquisita e superficie cellulare batterica sono deboli e a

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3 lungo raggio (forze di van der Waals) e ciò permette un’adesione reversibile [Busscher e van der Mei, 1997]. In seguito le interazioni forti a corto raggio (forze elettrostatiche) tra molecole specifiche della superficie batterica (adesine) e recettori complementari della pellicola permettono un’adesione irreversibile che spiega il trofismo microbico per le superfici orali [Jenkinson e Lamont, 1997; Lamont e Jenkinson, 2000]. Generalmente i batteri orali, oltre a possedere vari tipi di adesine per le interazioni con l’ospite, posseggono le coadesine che permettono l’interazione con altri batteri [Marsh, 2004];

c) Adesione degli ultimi colonizzatori sulle specie già presenti: questo stadio coinvolge specifiche interazioni batteriche a livello recettore-adesina, ed incrementa la variabilità dei biofilm; inoltre porta alla formazione di strutture particolari simili a pannocchie di granoturco e a coccarde [Kolenbrander et al, 2000]. Vi possono essere delle interazioni biochimiche sinergiche o antagoniste tra i microrganismi: viene aumentata la loro efficienza metabolica e, per le specie anaerobiche, la coadesione con batteri aerobi, garantisce loro la sopravvivenza [Bradshaw et al, 1998];

d) Moltiplicazione dei microrganismi;

e) Distacco attivo: ciò può permettere ai microrganismi di colonizzare altri siti [Cavedon e London, 1993; Lee, 1996].

Principali microrganismi

Il biofilm orale comprende in totale circa 1000 specie, di cui soltanto la metà risulta coltivabile in laboratorio. Queste specie non sono tutte contemporaneamente presenti nel cavo orale di un individuo, e occupano una precisa zona, la superficie del dente [Cate, 2006].

Secondo alcuni studi la placca risulta inizialmente composta da streptococchi, la specie “pioniera”, successivamente aumentano gli actinomiceti: ora il biofilm acquisisce tutte le caratteristiche di una comunità “matura” con un’alta percentuale di organismi filamentosi Gram-negativi anaerobi [Rosan e Lamont, 2000].

Sono i “primi colonizzatori” con la loro crescita a fornire le condizioni ideali per la sopravvivenza delle altre specie definite “secondi colonizzatori”.

I “primi colonizzatori” sono stati individuati ponendo dei frammenti di smalto nella cavità orale [Nyvad e Kilian, 1987], e sono rappresentati dal genere Streptococcus

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(60-4 90% del totale tra cui sanguis, salivarius, mutans, mitis, mitior, milleri, intermedius, durans, morbillorum) , Eikenella spp., Haemophilus spp., Prevotella spp., Capnocytophaga spp., Propionibacterium spp. e Veillonella spp.

Diversi studi su soggetti sani hanno riscontrato che a 2 ore dalla formazione del biofilm predominano le specie Actinomyces spp., mentre a 6 ore predominano Streptococcus oralis e Streptococcus mitis [Li et al, 2004].

Tra i “secondi colonizzatori” troviamo A. actinomycetemcomitans, Prevotella intermedia, Eubacterium spp., Treponema spp. e Porphyromonas gingivalis [Kolenbrander et al, 2002].

Fusobacterium nucleatum funge da ponte tra i “primi colonizzatori” e i “secondi colonizzatori”.

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5 Specie batteriche prevalenti nella cavità orale di individui sani

GRAM-POSITIVI GRAM-NEGATIVI Actinomyces Arachnia Bacterionema Bifidobacterium Lactobacillus Micrococcus Peptostreptococcus Propionibacterium Rothia Streptococcus Treponema Actinobacillus Bacteroides Capnocytophaga Eikenella Fusobacterium Haemophilus Leptotrichia Moraxella Neisseria Selenomonas Simonsiella Veillonella Wolinella

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6

Ultrastruttura e composizione chimica del biofilm

Il biofilm orale, oltre a contenere cellule batteriche, contiene anche cellule epiteliali e polimorfonucleati dell’ospite, tenute insieme da una matrice organica che ne rappresenta il 30% del volume totale.

La placca è costituita per l’80% da acqua mentre il restante 20% da parte solida. La parte solida viene divisa in:

1) componente proteica (45%): derivante soprattutto dalla saliva e dal siero, contiene gli enzimi amilasi, lisozima, lattoferrina, alcune proteasi ed immunoglobuline (Ig) salivari;

2) componente glucidica (15%): costituita da omopolisaccaridi come glucani e fruttani, sintetizzati dalla placca e in minima parte derivante dal metabolismo batterico;

3) componente lipidica (12%): derivante dalla lisi della parete batterica.

Per quanto concerne la composizione della microflora essa varia in base alle superfici colonizzate.

La microflora delle fessure è principalmente di tipo Gram+ con predominanza di Streptococchi, in particolare la specie mutans, anche se In tali zone non si riscontra un’evidenza clinica di carie. I Gram- anaerobi obbligati sono di numero ridotto, mentre nel margine gengivale sono presenti in numero significativo in concomitanza con altre specie. A livello inter-prossimale la composizione della placca batterica è altrettanto complessa e varia con predominanza di Streptococchi e Actinomyces [Marsh, 1999].

La carie

La carie dentaria è una malattia infettiva e trasmissibile, caratterizzata dal dissolvimento dei tessuti duri del dente da parte degli acidi prodotti dal metabolismo batterico [Center for Disease Control – CDC – 2001].

E’ una delle malattie croniche più comuni al mondo ed i bambini rappresentano la categoria più a rischio [Pitts, 2004; Selwitz et al, 2007]; è la principale responsabile del

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7 dolore orale e della perdita di elementi dentari [US Department of Health and Human Services, 2000; Kidd et al, 2000].

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la carie come “processo patologico localizzato, di origine esterna, che compare dopo l’eruzione del dente e che si accompagna ad un rammollimento dei tessuti duri ed evolve verso la formazione di una cavità..”, “..per carie clinica, ai fini statistici, si intende una cavità non naturale del dente, che può essere diagnosticata per mezzo di specchietto e specillo e il cui fondo ha consistenza molle”. Roccia la definisce come “processo distruttivo progressivo irreversibile dei tessuti duri del dente (smalto, dentina, cemento) che si estende dalla superficie in profondità ed è caratterizzata da una decalcificazione progressiva del dente con successiva dissoluzione della componente organica” . Con l’evolversi degli studi alla definizione precedente si aggiunge un dato importante: la patologia cariosa è un processo degenerativo su base settica. La carie è dunque una patologia conseguente ad un processo di demineralizzazione, inizialmente dello smalto, poi della dentina causato da acidi ed enzimi batterici; potendo così distinguere tale processo da altre affezioni che colpiscono i tessuti mineralizzati del dente come: l’erosione, l’abrasione, l’usura e la decalcificazione; patologie che avvengono su basi non infettive.

Eziopatogenesi

La carie dentaria è la distruzione localizzata dei tessuti duri del dente ad opera di microrganismi endogeni come S. mutans, S. sobrinus e Lactobacillus spp [Fejerskov, 2004; Caufield e Griffen, 2000]. Questi metabolizzano i carboidrati fermentabili, introdotti con la dieta, producendo acidi organici; tali acidi provocano la caduta del pH causando la demineralizzazione dello smalto dei denti [Featherstone, 2000; Featherstone, 2004; Caufield e Griffen, 2000].

Nonostante i segni di tale patologia siano visibili clinicamente sul tessuto dentario, il processo ha origine all’interno del biofilm batterico che ricopre la superficie del dente. Le lesioni che si riscontrano clinicamente non sono altro che l’esito di una progressione di eventi che avvengono a livello molecolare [Pitts, 2004; Featherstone, 2004].

La carie rappresenta il risultato della rottura di un bilanciamento fisiologico tra minerali dentari e microflora orale [Fejerskov, 2004].

Negli stadi primari (lesione cariosa iniziale) la patologia può arrestarsi e/o regredire grazie all’apporto di ioni calcio, fosfato e fluoro, ma, in assenza di cure adeguate, essa progredisce (processo carioso: cavitazione) fino alla distruzione del dente [Fejerskov,

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8 2003; Fejerskov, 1997; Pitts, 2004]. Il fatto che la carie possa arrestarsi, progredire e/o regredire dipende dall’equilibrio tra i processi di demineralizzazione e re-mineralizzazione che avvengono frequentemente nell’arco della giornata all’interno del cavo orale [Featherstone, 2004].

Il processo di remineralizzazione avviene principalmente ad opera della saliva, poiché essa veicola importanti molecole quali il bicarbonato, in grado di tamponare il pH acido, e ioni calcio, fosfato e fluoro che agiscono integrandosi nella struttura cristallina dello smalto, l’idrossiapatite, rendendola più resistente agli attacchi acidi [Axelsson 2000].

Da ciò si evince che nell’eziologia della patologia cariosa rientrano numerosi fattori sia intrinseci, i denti e la saliva, sia estrinseci, come i batteri, la dieta e l’igiene orale.

Nel 1890 Miller propose la teoria chemioparassitaria della carie.

Studi sugli animali e studi epidemiologici sull’uomo hanno confermato il ruolo essenziale della placca batterica nell’eziologia della carie. Nel 1954 Orland et al. allevarono ratti germ-free e li nutrirono con una dieta cariogena: questi, diversamente dai ratti con una normale microflora orale, non sviluppavano carie, dimostrando come la presenza di batteri orale fosse una conditio sine qua non per lo sviluppo della patologia cariosa [Strohmenger e Ferro 2003].

Gli studi epidemiologici svolti nell’isola di Tristan da Cunha mostrarono l’importanza giocata dalla dieta nell’eziopatogenesi della carie: negli anni ’30, essendovi scarsi contatti per la popolazione con il resto del Mondo, la dieta era a basso contenuto di zuccheri; circa dieci anni più tardi vi fu un netto incremento della carie legato all’apertura di un negozio di generi alimentari che vendeva zucchero e altri alimenti che lo contenevano.

Negli anni ’40 Stephan misurò per la prima volta la produzione di acido dal cibo ingerito con l’utilizzo di micro-elettrodi. Utilizzò una soluzione acquosa con glucosio al 10% e verificò nel tempo la variazione di pH dell’interfaccia smalto placca. Risultò che nel giro di 5 min il pH scende al di sotto del valore critico dello smalto che è intorno a 5.5, permettendo il processo di demineralizzazione dello smalto: l’idrossiapatite rilascia ioni calcio e fosfato. Dopo circa 30 minuti si ha il ripristino delle condizioni di normalità grazie all’aumento della concentrazione di bicarbonati nella saliva che fanno aumentare il pH fino a 7,8.

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9 Nel 1960 Keyes elaborò un modello sull’eziopatogenesi della carie rappresentato da tre cerchi che indicavano i fattori di rischio e la loro sovrapposizione avrebbe indicato il rischio di carie. Questo modello prende il nome di Cario-gramma e i suoi fattori di rischio sono identificati con la placca batterica, la dieta e la suscettibilità individuale. Negli anni successivi vari Autori hanno proposto un proprio Cariogramma; uno dei più completi evidenzia sia fattori determinanti che cofattori, ossia delle variabili comportamentali.

Tra i fattori determinanti sono annoverati : ♦ la flora cariogena;

♦ i carboidrati semplici introdotti con la dieta, loro quantità e frequenza di assunzione; ♦ la saliva con il suo potere dilavante, tamponante e antibatterico;

♦ le caratteristiche strutturali del dente e la suscettibilità individuale; ♦ l’igiene orale meccanica e chimica.

I cofattori sono:

 il tipo di educazione;

 le conoscenze;

 la motivazione;

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Il processo carioso

Quando un dente erompe, lo smalto è immaturo poiché nei cristalli di apatite sono presenti impurità, e ciò lo rende più suscettibile all’attacco degli acidi; durante la permanenza del dente nel cavo orale lo smalto matura e diventa più resistente alla demineralizzazione [Moss, 1993].

In molte persone si è notato che la carie è una malattia sito-specifica, non si sviluppa infatti in modo ubiquitario, ma predilige alcuni siti [Strohmenger e Ferro, 2003].

La morfologia del dente impone una notevole varietà di batteri che compongono l’ecosistema della placca. Ogni dente consiste di una porzione coronale che si estende all’interno della cavità orale ed è bagnata dalla saliva e una porzione radicolare che è ancorata all’osso tramite le fibre collagene della membrana parodontale. La corona ha 5 superfici che sono più o meno propense a sopportare la microflora della placca, la quale può sviluppare carie o parodontopatie [Loesche, 1986]. Generalmente le superfici lisce dei lati buccale/labiale (vestibolare) e linguale/palatale sono più propense alla formazione di placca e si cariano solo in condizioni estreme legate alla xerostomia [Dreizen e Brown, 1976] o ad un contatto eccessivo con substrati fermentabili, come avviene nella baby-bottle syndrome (BBTD) [Ripa, 1978]. Le superfici interprossimali (mesiali-distali) del dente, sono anch’esse predisposte all’accumulo di placca, con conseguente probabilità di sviluppare le malattie cariosa e parodontale. L’anatomia delle superfici occlusali, le superfici masticatorie dei premolari e dei molari, è caratterizzata da solchi e fessure colonizzate da una flora differente da quella delle

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11 superfici lisce e delle superfici prossimali. Queste fessure, come quelle presenti sulle superfici lisce, rappresentano i siti più inclini a sviluppare la patologia cariosa [Loesche, 1986] perché la tensione superficiale della saliva ne impedisce la detersione [Strohmenger e Ferro, 2003].

Il margine incisale dei denti anteriori invece non viene quasi mai colonizzato da un numero apprezzabile di batteri e risulta normalmente privo di carie [Loesche, 1986]. La presenza di malposizioni e affollamenti senza una corretta igiene orale contribuisce allo sviluppo della lesione cariosa [Madau e Strohmenger, 2003].

Recessioni gengivali con esposizione del cemento radicolare risultanti da una scarsa igiene orale e dalla perdita di attacco parodontale con l’età, sono aree che ritengono la placca, predisponendo allo sviluppo di lesioni cariose [Fejerskov e Kidd, 2003]; diversamente dalle carie dello smalto la superficie può diventare soffice e i batteri possono penetrare più velocemente all’interno del tessuto [Kidd e Fejerskov].

Esistono inoltre dei fattori genetici e nutrizionali che influiscono sulle caratteristiche strutturali e di conseguenza possono correlarsi alla formazione di carie soprattutto se intervengono durante la formazione del dente stesso [Madau e Strohmenger, 2003]. La carenza di vitamina A influenza l’integrità dei tessuti epiteliali, dunque anche dello smalto, la carenza di vitamina C causa alterazioni degli odontoblasti [Shaw, 1970], la carenza di vitamina D influisce sullo sviluppo dello smalto e della dentina dei denti permanenti, sulla velocità di eruzione e sulla posizione dei denti in mandibola, se protratta per lunghi periodi può dare ipoplasia dello smalto [Shaw, 1970]. La carenza di fluoruri e composti calcio-fosforo provoca delle anomalie nella composizione chimica dei tessuti dentari.

La presenza di patologie sistemiche o condizioni patologiche come parodontopatie, bulimia, emesi, iposcialia ed alcune sindromi possono fornire condizioni predisponenti per lo sviluppo di carie [Marci, 1996].

Microbiologia della placca

Dalla placca dentaria sono state isolate in laboratorio più di 200 specie microbiche; numerosi studi hanno dimostrato tuttavia che esiste un notevole grado di specificità batterica nella patogenesi della carie. Il ruolo primario è svolto da Streptococcus mutans (SM) e dai lattobacilli [Mosci et al, 1990].

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12 Nel 1924 Clarke isolò lo Streptococcus mutans da lesioni cariose umane.

Questa scoperta venne però accantonata per un certo periodo di tempo in favore di quella effettuata da Klinger nel 1915; egli dimostrò la presenza di Lattobacilli nelle lesioni cariose contrariamente a quanto avveniva nella placca in assenza di carie. Altri studi dimostrarono che i Lattobacilli sono acidogeni, capaci di produrre acido lattico dalla fermentazione degli zuccheri, ed acidurici ossia di vivere in ambiente acido.

Per queste loro caratteristiche i lattobacilli vennero identificati come i maggiori agenti causali della carie, dando inizio all’”era del genere Lactobacillus”.

Successivamente nuovi studi hanno messo in discussione il ruolo cardine dei Lactobacilli nella patologia cariosa poiché questi sono invasori secondari e rappresentano una piccola percentuale della flora batterica salivare (0,02-0,1%).

Ciò portò i ricercatori a concludere che la carie fosse ad eziologia batterica, ma non specifica.

Anche questa teoria fu presto abbandonata quando Orland e i suoi collaboratori effettuarono studi su ratti germ-free.

Il primo di questi studi utilizzava ratti germ-free alimentati con una dieta altamente cariogena, ne risultava che questi non si ammalavano di carie [Orland et al, 1954]. Un successivo studio evidenziò lo sviluppo di lesioni cariose nei solchi dei molari di ratti germ-free in seguito all’inoculazione di una coltura mista di enterococchi [Orland et al,1955].

Solo dagli anni ’60 in poi lo Streptococcus mutans è stato riproposto come principale responsabile della carie da vari gruppi di ricercatori, i quali dimostrarono che:

a) è costantemente isolato dalle placche e dalla saliva di soggetti con lesioni cariose [Loesche, 1982];

b) provoca la carie nei roditori [Fitzgerald e Keyes, 1960; Gibbons et al,1966].

Tali scoperte portarono alla formulazione de “l’ipotesi placca specifica” [Loesche, 1976], poi confermata da studi clinici che rilevarono la presenza di SM (specialmente S. mutans e S. sobrinus) nella placca di lesioni cariose e di LB nelle lesioni più avanzate [Loesche, 1986].

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13 Nel 1991 Marsh propose un termine alternativo -“l’ipotesi placca ecologica”- volto a sostituire la definizione “specifica”, poiché questo termine era stato impropriamente usato sin da quando non era stata totalmente riconosciuta l’eziologia batterica della carie [Marsh, 1991].

Cariogenicità

La cariogenicità è in parte strettamente legata alla capacità di un microrganismo di aderire alle superfici del dente, di produrre acidi organici (acidogenicità) in quantità sufficiente a demineralizzare lo smalto e, contemporaneamente, di sopravvivere in ambienti a pH basso e per lungo tempo (acido-tolleranza). Dati dettagliati sull’acido-tolleranza esistono solo per pochi batteri della placca. I più acido-tolleranti sono risultati, nell’ordine, i Lattobacilli omo-fermentativi (producono acido lattico i seguito alla fermentazione degli zuccheri), S. mutans e S. salivarius.

In questi microrganismi l’acido-tolleranza si accompagna ad un elevato grado di Acido-genicità e ciò instaura un circolo vizioso per il quale il pH della placca scende ai livelli critici sempre più frequentemente e più a lungo.

Tra i batteri acidogeni e acido-tolleranti solo lo S. mutans sembra possedere una spiccata abilità nel colonizzare le superfici lisce del dente.

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14

CAPITOLO II

S

TREPTOCOCCUS

M

UTANS

Il genere Streptococcus è costituito da cocchi gram-positivi, immobili, aerobi facoltativi (in qualche caso anaerobi obbligati), vantando un gran numero di specie diversamente distribuite nel regno animale.

Questi batteri si trovano generalmente disposti in sequenze ordinate di cellule rotonde che ricordano una collana, oppure possono trovarsi in coppia o come singole cellule, e ciò dipende sia dalla composizione del terreno di coltura, sia dalla specie che dal ceppo.

Nell’uomo molte di queste sono commensali, altre rappresentano invece gli agenti eziologici di patologie anche severe come infezioni respiratorie (polmoniti e faringo-tonsilliti), sepsi ed endocarditi, meningiti neonatali, infezioni cutanee e sottocutanee, scarlattina.

Allo scopo di inquadrare meglio le numerose specie Sherman, nel 1937, propose di dividerle in quattro gruppi, e nel 1978 Jones li portò a sette.

Pur essendo ormai obsoleti, nella pratica medica sono ancora in uso solo due dei sette gruppi proposti dai due autori: quello degli “streptococchi orali” e quello degli “streptococchi fecali”.

Gli streptococchi orali si ritrovano nella cavità orale dell’uomo e di altri mammiferi; sebbene la cavità orale costituisca il loro habitat principale, molte specie appartenenti a questo gruppo sono state ritrovate in altre sedi, sia in condizioni normali, che patologiche. I più rilevanti sono: S. anginosus, S. constellatus, S. cricetus, S. crista, S. gordoni, S. intermedius, S. milleri, S. mitior, S. mitis, S. oralis, S. parasanguis, S. rattus, S. salivarius, S. sanguis, S. sobrinus, S. vestibularis.

Nel 1933 la batteriologa R.C. Lancefield scoprì che gli streptococchi potevano essere divisi in molti gruppi sierologici in base ad un antigene specifico contenuto nella loro parete cellulare.

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15 Gli antigeni specifici per i gruppi A, B, C, E, F, G, H, K, L, O ed R sono polisaccaridi; quelli dei gruppi D e N sono acidi teicoici, gli altri non sono stati

identificati.

I gruppi di Lancefield sono di grandissima utilità pratica, tuttavia non tutti gli streptococchi di interesse clinico possiedono antigeni gruppo specifici, in particolare gli alfa-emolitici, nella maggior parte dei casi corrispondenti agli streptococchi orali, e i non emolitici.

Per la crescita gli streptococchi richiedono terreni di coltura particolarmente arricchiti, solitamente si utilizza per la coltura il sangue di varie specie animali (agar-sangue) o il siero ed è in base al loro comportamento nei confronti degli eritrociti che possono essere classificati in:

• Alfa-emolitici (alone a margini sfumati attorno alle colonie per parziale distruzione degli eritrociti; anche definiti “viridanti”)

• Beta-emolitici (alone a margini netti per completa lisi degli eritrociti) • Non emolitici (nessuna apparente attività emolitica)

Lo Streptococcus mutans non è classificabile nello schema di Lancefield o qualche ceppo appartiene al gruppo E, è alfa-emolitico o non emolitico (è stato trovato anche qualche ceppo beta-emolitico) ed è inserito nel raggruppamento di Sherman e Jones col nome di “streptococchi orali”.

E’ stato isolato dalla carie dentaria, ma si ritrova anche nelle feci; può essere l’agente eziologico, oltre che della carie, dell’endocardite subacuta [Mar Nicolosi e Nicoletti, 2002].

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16 Streptococcus mutans,

Credit: Dr. David Phillips—Visuals Unlimited/Getty Images

Tassonomia

Gli SM vengono definiti come streptococchi presenti nella placca dentaria che fermentano il mannitolo e il sorbitolo producendo acido lattico, sintetizzano glucani extracellulari dal saccarosio e sono cariogeni nei modelli sperimentali animali.

Nel 1924 Clarke per la prima volta isolò lo SM dalle lesioni cariose umane e vi attribuì il nome mutans poichè egli riteneva che fossero una forma mutante: la morfologia di questa cellula batterica non è rotonda come per gli altri Streptococchi, bensì ovale. Ulteriori e più approfonditi studi hanno dimostrato che all’interno della specie mutans vi è una considerevole eterogeneicità sierologica [Bratthall, 1970; Perch et al,1974] e genetica [Coykendall, 1970; Dunny et al, 1973; Coykendall et al, 1976].

Sono stati individuati 8 sierotipi in base alle differenze degli antigeni carboidratici [Perch et al, 1974] e 4 gruppi genetici grazie a studi di ibridizzazione [Coykendall,

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17 1974]. A questi gruppi genetici sono stati poi attribuiti nomi che ricordano la specie di mammiferi da cui sono stati isolati [Coykendall, 1977].

Dunque il nome Streptococcus mutans attualmente identifica soltanto gli streptococchi isolati dall’uomo che assomigliano all’originale descrizione di Clarke.

La specie S. mutans contiene 3 sierotipi identificati in base agli antigeni carboidratici c, e, f ; il 70-100% di tutti gli SM isolati nell’uomo appartengono al sierotipo c.

Gli altri SM isolati nell’uomo che possiedono gli antigeni d, g, h sono stati chiamati S. sobrinus [Coykendall, 1977].

Struttura cellulare

La cellula dello streptococco si compone di una parete cellulare e una sottostante membrana citoplasmatica che racchiude il citoplasma.

La parete cellulare contiene quattro principali polimeri antigenici: 1. peptidoglicano,

2. polisaccaridi specifici per gruppo o sierotipo, 3. proteine,

4. acido teicoico e lipotecoico.

Questi sono disposti a mosaico per essere accessibili alle reazioni che avvengono sulla superficie della cellula [Slade, 1977].

Gli Streptococchi mutans causano lesioni cariose anche grazie alle caratteristiche strutturali della loro membrana cellulare, infatti presentano particolari sistemi di trasporto di membrana, quali:

1) fosfo-transferasi ad alta affinità per il trasporto degli esosi e del saccarosio; 2) permeasi per il passaggio di glucosio e saccarosio;

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18 3) sistemi di pompe di protoni a bassa affinità, la cui attività è modulata dalla concentrazione extracellulare di potassio e risulta essere particolarmente efficace in ambiente acido [Mosci et al, 1990].

Fattori di virulenza

I meccanismi che permettono agli SM ed ai LB di rimanere localizzati in determinati siti di ritenzione del dente costituiscono i fattori di virulenza che rendono tali microorganismi odontopatogeni.

La capacità dello SM di aderire alle superficie dentarie sia in assenza che in presenza di saccarosio [Michalek et al, 1977] può essere classificata come fattore di virulenza poiché costituisce il primo passo verso la colonizzazione batterica.

In assenza di saccarosio, SM può aderire ad altri batteri, ad agglutinine salivari, alla matrice extracellulare ed a recettori di superficie di cellule epiteliali grazie ad interazioni di tipo ionico o mediate da lectine.

Inoltre questo microrganismo, a differenza di altre specie dello stesso genere come S. sobrinus [Gibbons et al, 1986], esprime diverse adesine tra cui l’antigene I/II o proteina streptococcica antigene P (SpaP), in grado di legarsi ad una specifica componente salivare, la glicoproteina agglutinina salivare (SAG) [Mitchell, 2003].

In presenza di saccarosio invece l’adesione dello SM alla superficie dentaria è mediato dalla glucosil-transferasi della parete batterica, attraverso la sintesi di glucani, che a loro volta permettono l’attaccamento di numerose altre cellule come avviene per altri Streptococchi orali (es. S. sobrinus) [Gibbons et al, 1986].

La formazione della carie è un processo strettamente interconnesso con la presenza di saccarosio nella dieta e con il suo peculiare metabolismo da parte di questi batteri. Studi epidemiologici hanno dimostrato che dopo l’introduzione di saccarosio nella dieta vi è stato un significativo aumento della patologia cariosa con relativo incremento del numero degli SM, LB, Veillonella sp. e dei lieviti della flora microbica della placca [Dennis et al, 1975; Minha et al, 1985; Skinner e Woods, 1984; Staat et al, 1975].

In un individuo con un’alimentazione a basso contenuto di zuccheri i solchi dei denti in eruzione mostrano una minore incidenza di carie anche se dopo la maturazione degli

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19 stessi, questi soggetti cominciano una dieta cariogena, e ciò è spiegato dal fatto che tali spazi essendo stati precocemente colonizzati da microrganismi non cariogeni, i batteri cariogeni non riescono ad insediarvisi.

Questi microrganismi, deboli produttori di acidi, ostacolano i tentativi di colonizzazione delle fessure profonde del dente da parte di SM e LB, forti produttori di acidi, con la fermentazione del saccarosio [Kohler et al, 1984].

La principale caratteristica di virulenza dello SM rimane però il suo potenziale acidogenico, che risulta nella demineralizzazione dell’idrossi-apatite e nella conseguente formazione della carie.

Gli SM utilizzano prevalentemente il saccarosio per il loro metabolismo energetico, che porta, quando è in eccesso, alla produzione di acido lattico [Mosci et al, 1990].

Attraverso la via glicolitica si assiste alla produzione di piruvato, ridotto successivamente in acido lattico, etanolo ed acetato. Ne risulta una progressiva acidificazione dell’ambiente locale causa dell’insorgenza della lesione cariosa [Michalek et al, 1975].

Alcune specie come S. sanguis, S. salivarius, S. mitis sono incapaci, in vitro, in un ambiente a pH 5, di convertire il saccarosio in acido lattico, mentre SM e S. sobrinus sono più attivi a pH 5 che a pH 7 [Mosci et al, 1990]. SM è inoltre in grado di sopravvivere in tale ambiente poiché esso è acidurico, grazie alla presenza di una membrana in grado di mantenere il pH intracellulare ad un valore di 7.5.

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20

CAPITOLO III

A

CQUISIZIONE DELLO

S

TREPTOCOCCO

M

UTANS

L’acquisizione dello SM è stata dimostrata già dalla prima infanzia; studi clinici hanno fornito evidenze sia in campo microbiologico, che biochimico e molecolare, che generalmente il bambino acquisisce lo Streptococco mutans attraverso la madre. Le catene di S. mutans isolate nei bambini e nelle loro rispettive madri mostrano profili batterici identici o molto simili tra loro e plasmidi o modelli di DNA cromosomico identici. Inoltre i bambini con madri che presentano alti livelli di concentrazione salivare di S. mutans tenderanno a presentare loro stessi concentrazioni dello stesso batterio ad un ‘età minore rispetto a bambini con delle madri che presentano bassi livelli di concentrazione salivare di tale microrganismo. Berkowitz et al. sostengono che madri con livelli salivari di S. mutans superiori a 106 organismi per millilitro di saliva hanno una

probabilità del 50% di trasmettere tale batterio ai loro figli già nel periodo compreso tra i 10 mesi e i 16 mesi di vita; tale percentuale si abbassa al 30% se la madre presenta invece livelli salivari di S. mutans pari a 103 microrganismi per

millilitro di saliva.

Altri aspetti importanti da valutare sono la cariorecettività, i problemi parodontali, lo stato di salute e igiene orale della madre, e certe abitudini, quali il condividere lo spazzolino, il bicchiere o altri oggetti o cibo con il figlio.

Affinchè lo S. mutans sia in grado di attuare una colonizzazione efficace, naturalmente, deve essere presente nel cavo orale del bambino un biofilm microbico caratterizzato da condizioni favorevoli a tale microrganismo.

T

IMING DELLA COLONIZZAZIONE INIZIALE DELLO

S.

MUTANS NEI BAMBINI

In passato si riteneva che esistesse una “window of infectivity” per l’iniziale acquisizione dello S. mutans che andava dai 7 ai 36 mesi e che coincideva con l’eruzione dei denti decidui; attualmente, sono state provate evidenze cliniche che attestano la presenza di S. mutans nel cavo orale di bambini, in cui non c’è ancora stata eruzione di nessun elemento deciduo. Infatti circa il 30% dei neonati viene infettato da S. mutans già a 3 mesi, mentre il 60% intorno ai 6 mesi di età.

(23)

21 Da un punto di vista clinico, questi dati sono indice di un concetto molto importante, infatti tanto prima vi sarà una colonizzazione da parte di S. mutans tanto più alto sarà il rischio di sviluppare carie per quel soggetto.

La colonizzazione da parte di S. mutans nei bambini, è il risultato di una complessa interazione tra caratteristiche proprie del microrganismo e fattori inerenti l’ospite.

F

ATTORI CHE FAVORISCONO LA COLONIZZAZIONE DI

S.

MUTANS

Bacterial factors

 Trasmission

Increased numbers of MS in mothers/close contacts Increased frequency of contact with MS carriers

 MS strain Virulent strain of MS

 Biofilm

Little competition with other species Ecological sites available for colonization Host factors  Hereditary

HLA genes with unfavourable immunological, salivary, tooth, mucosal effects

 Surfaces for microbial adherence Increase tooth surfaces

Altered mucosal surfaces

 Saliva

Reduced quantity and quality of saliva

 Immunological

Reduced oral immunity from congenital and acquired conditions

 Diet

Frequent ingestion of sweet snacks and drinks

 Oral hygene Lack of oral hygen

Fattori ereditari:

Molti fattori genetici, come i geni del sistema HLA, modulano la risposta immunologica dell’ospite, che a sua volta influenza la colonizzazione del cavo orale da parte dello S. mutans; inoltre sono sempre questi fattori genetici che possono anche

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22 operare variazioni la colonizzazione batterica anche in base ai cambiamenti che possono verificarsi nella saliva, sulla superficie dentale e mucosa.

In passato sono stati eseguiti numerosi studi su coppie di gemelli, al fine di determinare il contributo relativo dei fattori ereditari e di quelli ambientali nel delineare le caratteristiche della colonizzazione orale da parte di S. mutans. Paragonando i risultati ottenuti nelle coppie di gemelli omozigoti, che condividono tutti i geni, con quelli ottenuti nelle coppie di gemelli dizigoti, che condividono invece circa metà del dei geni, è stato possibile effettuare il calcolo di quanto il contributo genetico può influire e pesare sulla variazione dei caratteri espressi. Avvalendosi di quanto appena detto, Goodman et al, ipotizzarono per primi che i livelli salivari di streptococchi potevano essere influenzati da fattori genetici, mentre i livelli di lactobacilli erano correlati principalmente con fattori ambientali. Questa stessa ipotesi è stata estesa e affrontata anche in campo molecolare da Acton et al, che suggeriva che i geni MHC possono intervenire sulla suscettibilità della colonizzazione di Streptococco mutans. In uno studio recente effettuato su coppie di gemelli in età prescolare, è risultato come i fattori genetici influenzino per circa il 52% la variazione dei livelli salivari di S. mutans, mentre la restante parte della variazione sia influenzata da fattori ambientali.

Fattori inerenti la superficie dentale e mucosa:

Sebbene le superfici dei tessuti duri del dente, siano il luogo di adesione principale per

i batteri, sappiamo che anche la mucosa orale gioca un ruolo importante nelle fasi iniziali della colonizzazione da parte di S. mutans. Studi recenti, hanno mostrato come i noduli di Bohn e le schisi orali aumentino le superfici di adesione di S. mutans facilitandone la colonizzazione del cavo orale nei bambini che non anno ancora denti erotti. Piccole imperfezioni sulla superficie dei denti, o la perdita dell’integrità della superficie dello smalto dovuto ad ipoplasia, o la presenza di placche per le schisi palatali possono aumentare l’aderenza e la conseguente colonizzazione da parte di S. mutans. I difetti dello smalto possono essere il risultato di numerose variazioni ereditarie o acquisite e possono essere associati a sindromi o a patologie dismetaboliche come l’ipofosfatasia oppure a deficit vitaminici come nel caso del rachitismo. Ovviamente bambini che presentano simili anomalie che predispongono a difetti dello smalto sono soggetti ad una colonizzazione da parte di S. mutans prematura rispetto ai coetanei che non presentano tali difetti.

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23

Saliva:

Il ruolo protettivo della saliva nei confronti dei batteri nel cavo orale è ben noto. La saliva contiene numerose componenti antimicrobiche che modulano selettivamente l’adesione e la colonizzazione da parte di S. mutans sulla superficie dei denti. Le agglutinine, tra cui mucine, glicoproteine, fibronectina, lisozima e immunoglobuline salivari A, promuovono l’agglutinazione del batterio S. mutans, favorendone la rimozione. Altre proteasi e galattosidi presenti nella saliva, distruggono gli antigeni proteici di superficie dello S. mutans peggiorandone la facoltà di adesione. Inoltre il flusso salivare e l’azione tampone permettono una detersione continua a livello del cavo orale che influenza negativamente la colonizzazione da parte di S. mutans grazie alla neutralizzazione degli acidi che risultano dalla fermentazione dei substrati ad opera dei batteri. I bambini che hanno una compromissione del flusso salivare rischiano una colonizzazione da parte di S. mutans prematura; essi infatti possono presentare anomalie congenite, essere stati sottoposti a resezione chirurgica delle ghiandole salivari o avere la funzionalità delle ghiandole salivari compromessa in seguito a radioterapia o particolari terapie farmacologiche (es pazienti in cura con salbutamolo).

Fattori immunologici:

I fattori immunologici giocano un ruolo fondamentale in ogni tipo di infezione. La maggior parte dei bambini sono immunocompetenti alla nascita o subito dopo, dotati di specifici fattori immunologici e con anticorpi specifici contro S. mutans, i cui livelli tendono ad aumentare con l’età. Vi sono specifici fattori immunologici derivanti dalla saliva (IgA salivari), dal siero e dal liquido crevicolare (IgG, IgA, IgM) che possono inibire la colonizzazione da parte di S. mutans e la sua azione patogena. Sia le IgA che le IgG interferiscono con la capacità di aderire di S. mutans sull’idrossiapatite e sulle superfici epiteliali e sono in grado di neutralizzare gli enzimi e i fattori di virulenza dello stesso batterio. Inoltre le IgA promuovono l’attività della lactoferrina, delle perossidasi e del lisozima contenuti nella saliva che sono in grado di agire riducendo la colonizzazione da parte di S. mutans. Le IgG che si trovano nel liquido crevicolare attivano la fagocitosi e il killing di S. mutans e di altri microrganismi patogeni orali tramite opsonizzazione o attivazione del complemento. Le IgM intervengono favorendo l’agglutinazione di S. mutans.

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24 Ad oggi il ruolo delle immunoglobuline nella colonizzazione del cavo orale da parte di S. mutans, e nello sviluppo della carie dentale, non è ancora del tutto chiaro; infatti sono stati riscontrati alti livelli di immunoglobuline anti-MS sia associati in pazienti che presentavano carie sia in pazienti che non ne presentavano.

Abitudini legate al cibo:

Un uso prolungato del biberon, così come l’esposizione durante il giorno a cibi e bevande contenenti zuccheri, soprattutto i cosiddetti “zuccheri nascosti”, o l’abitudine di mangiare snack frequentemente durante il giorno, sono tutte condizioni associate all’incremento dei valori di S. mutans e al conseguente sviluppo di carie nei bambini. Il saccarosio è stato individuato come il più cariogeno tra gli zuccheri, in quanto può essere facilmente metabolizzato da S. mutans per la produzione dei destrani della placca essenziali nell’aderenza dei batteri e quindi nella successiva colonizzazione del cavo orale. Le possibili fonti di saccarosio che si riscontrano più frequentemente nella dieta dei bambini sono rappresentate da succhi di frutta, caramelle gommose e dure e bibite analcoliche dolci. Questo zucchero può essere rapidamente trasformato dai batteri in acidi che concorrono alla demineralizzazione della struttura dentaria. Va tenuto presente inoltre che un’alta frequenza di ingestione sia di cibi che liquidi dolci aumenta l’acidità della placca e la possibilità di una colonizzazione da parte di S.mutans. Uno studio longitudinale di Wan ed altri e di law e Seow hanno dimostrato con forte evidenza che il consumo frequente di snack contenenti zuccheri sono associati con una prematura colonizzazione da parte di S. mutans nei bambini; inoltre i bambini che sono stati svezzati particolarmente presto, sono sottoposti ad una colonizzazione da parte di S.mutans anticipata rispetto ai coetanei. Questo ultimo fatto è forse dovuto all’usanza di molti genitori di incoraggiare i bambini a mangiare con la promessa di un premio dolce finale. Sebbene la cariogenicità del latte materno e del latte bovino non siano stati investigati approfonditamente in vivo, dagli studi in vitro era emerso che hanno entrambi bassi livelli di cariogenicità. Tuttavia, recenti studi sugli animali condotti da Bowen e Lawrence hanno suggerito che un’alta frequenza di esposizione al latte materno ha una cariogenicità elevata rispetto al latte bovino, forse dovuto al fatto che il latte materno contenga alte concentrazioni di lattosio (7%) rispetto al latte bovino (4%). Il latte materno presenta comunque un’attività antibatterica dovuta alla presenza delle IgA, di enzimi specifici e di agenti antimicrobici

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25 come la lattoferrina, l’interferone e il lisozima che teoricamente hanno la possibilità e la capacità di prevenire e di ridurre la colonizzazione da parte di S. mutans.

La colonizzazione da parte di S. mutans nella bocca di un bambino ha implicazioni molto importanti per quanto riguarda il rischio futuro di carie.

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26

CAPITOLO IV

S

COPI DELLA TESI

Assumendo come concetto chiave che lo S. mutans giochi un ruolo importante nello sviluppo del processo carioso, lo scopo di questo studio è quello di capire quali eventi perinatali, tra cui la modalità di parto, influenzino l’acquisizione di questo batterio e attraverso quali meccanismi operino questa modulazione.

M

ATERIALI E METODI

Lo studio è stato condotto su 156 coppie madre-neonato ricoverati presso il reparto di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa e del presidio ospedaliero Spedali Riuniti di Livorno.

Selezione del campione di studio

Sono state selezionate 156 donne maggiorenni, nel loro terzo semestre di gestazione e alla loro prima gravidanza.

Criteri di inclusione

Le donne venivano selezionate in base ai seguenti criteri:

Età: maggiori di 18 anni

Luogo del parto: Ospedale Santa Chiara o Spedali Riuniti Livorno

Prima gravidanza

III trimestre di gestazione

Salute orale: possedere almeno 10 denti naturali

(29)

27

D

ISEGNO DI STUDIO

Baseline

Ripetizione prelievi salivari e compilazione questionari sia per madri che per i figli Madri selezionate al III trimestre 200

Madri in analisi finale 156

Modalità di parto Cesareo 29 (18.6%) Naturale 127 (81.4%) 3° T Parto 3 6 9 12 S. mutans + 9 (31.0%) S. mutans – 20 (69.0%) S. mutans + N= 154

S. mutans – N= 2 S.mutans+ 46 S.mutans - 81

Madri Bambini

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28

Baseline

Durante il primo incontro, è stato distribuito un questionario di riferimento da compilare, che conteneva domande riguardanti l’anamnesi medica passata, la storia della gravidanza fino al terzo trimestre e altre domande per ottenere informazioni specifiche da parte delle gestanti. Lo stesso questionario veniva di nuovo fatto compilare ad intervalli regolari di tre mesi.

Le donne venivano infine sottoposte ad una accurata visita odontoiatrica durante la quale venivano anche prelevati i campioni di saliva.

Una volta partorito, si provvedeva nuovamente al prelievo di campioni salivari e di placca, ove presente, nelle madri, si prelevava un campione di saliva anche dal neonato e si raccoglievano dati antropometrici sul bambino e sulle circostanze del parto attraverso l’annotazione in una cartella clinica.

(31)

29

Tipologia cartella clinica neonatale

La visita odontoiatrica e i prelievi di campioni di saliva vengono ripetuti ogni tre mesi, sia nelle madri che nei bambini.

PRELIEVO CAMPIONI SALIVARI E COLTIVAZIONE BATTERICA

I campioni di saliva sono stati prelevati tramite l'impiego di un kit contenente una pipetta in materiale plastico che preleva la saliva del paziente, e la raccoglie entro un cilindro graduato, che permette di calcolare il flusso salivare (rapporto ml. di saliva prodotti nel tempo di 5 minuti): il valore normale deve oscillare intorno a 1ml./minuto.

Si determina il potere tampone ponendo per 5 minuti una goccia di saliva su una apposita striscia reattiva a pH titolato 3.3. Trascorso il tempo si compara il colore assunto dalla striscia con la scala colorimetrica riportata su una scheda di paragone,

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30 verificando la corrispondenza con uno dei tre esempi riportati: giallo=pH 3.3; verde=pH 5.5. blu=pH >7.

Il secreto salivare viene successivamente posto all'interno di una provetta contenente un terreno di coltura a base agar. Per rendere il terreno selettivo per il microrganismo in esame si usa bacitracina. La provetta viene quindi posta in incubatrice alla temperatura di 37°C per 48 ore. Al termine della incubazione la valutazione del risultato viene effettuato confrontando la densità delle colonie cresciute con una tabella di riferimento. I valori normali devono essere =/< 105 cfu/ml.(cfu=unità formanti colonie/ml.).

(33)

31

Identificazione di S. mutans

La differenziazione tra S. mutans e S. sobrinus viene compiuta sulla base della diversa morfologia delle loro colonie, sul test di fermentazione degli zuccheri descritto nel 1974 da Shklair and Keene e infine confermata attraverso la AP-PCR fingerprinting.

Isolare selettivamente lo S. mutans

Dal momento che la specie Streptococcus mutans fermenta sia il sorbitolo che il mannitolo in maniera caratteristica, ed è in grado di produrre anche una notevole quantità di glucano e qualche levano, se si utilizza come substrato il saccarosio, è facilmente identificabile con i tests biochimici.

Il terreno utilizzato per la crescita dello SM è un terreno di coltura selettivo; tra i più utilizzati vi sono il Mitis salivarius Kanamicina-bacitracina agar (MSB agar), il glucosio-saccarosio-tellurito-bacitracina (GSTB), il trypticase soy-saccarosio-bacitracina (TYS20B) e il tryptone-yeast-cisteina-saccarosio-bacitracina agar (TYCSB agar). Da qualche anno

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32 è stato introdotto un nuovo terreno selettivo: l’ MS-MUTV che aggiunge 10 mg/l di valincomicina al Mitis salivarius bacitracina agar. [Takada e Hirasawa, 2005].

Il tempo di comparsa di S. mutans nei bambini viene stimato usando il punto di mezzo nell’intervallo compreso tra il momento in cui è riscontrabile la presenza di S. mutans nel bambino e il prelievo precedente in cui non si aveva presenza del batterio.

FATTORI MATERNI VALUTATI

Tutte e 156 le partecipanti erano donne alla loro prima gravidanza, il 7.1% di loro erano madri single; circa 8.3% consumava alcool e 11.8% fumava sigarette. L’età media delle madri prese in esame era di 25.1 anni e la media delle settimane di gestazione 39.3 settimane. Dei 156 bambini, 127 sono nati con parto naturale (81.4%) mentre 29 con parto cesareo (18.6%). Il peso medio dei bambini alla nascita era 3212 grammi, ma circa il 6.5% dei bambini è nato con un peso inferiore ai 2500 grammi. Tra le madri, il 91% ha allattato il bambino al seno e il 23.1% lo ha fatto in media per 3.6mesi. Per quanto riguarda l’aspetto odontoiatrico il 75.3% delle donne esaminate presentava carie.

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33 Infant key factors

Genere Maschio Femmina Bambini senza S. mutans 55 46 Bambini con S.mutans 30 25 Comparsa S. mutans 10.3 mesi 11.7 mesi Peso alla nascita

<2500 g >2500 g 7 94 3 32 15.6 mesi 10.5 mesi Modalità di parto Naturale Cesareo 81 20 46 9 27 mesi 15.7 mesi Allattamento al seno Si No 83 8 59 6 10 mesi 11.3 mesi Maternal key factors

Età 18-26 >26 85 16 38 17 10.4 mesi 13.3 mesi Carie DMFT=0 DMFT>1 6 67 4 46 11.7 mesi 19.4 mesi Livelli salivari di S.mutans

<Log105.5 >Log105.5 30 71 14 41 13.6 mesi 19.8 mesi Settimane di gestazione >38 <38 16 85 12 43 15.9 mesi 15.7 mesi Fumo di sigaretta Si No 9 57 4 40 12 mesi 12 mesi Consumo di alchool Si No 6 58 3 41 14.4 mesi 11.8 mesi

A

NALISI DEI DATI RACCOLTI

Basandoci sulla conta delle colonie batteriche di S. mutans per millilitro di saliva, i livelli di tale batterio sono stati trasformati in un valore logaritmico (Log10).

Si utilizza il sistema dell’analisi della varianza ad un criterio di classificazione (ANOVA) che ci permette di suddividere in componenti che vengono attribuite a specifiche cause di variabilità, la variazione totale della risposta registrata in seguito ad un tale evento.

(36)

34 Per la comparazione delle variabili continue sono stati utilizzati il Coefficiente di correlazione dei ranghi di Spearman (Rho) e il test non-parametrico di Mann-Whitney, mentre per l’analisi della variabili quantitative discrete sono stati impiegati il test esatto di Fisher e il test del chi quadrato di Pearson.

L’analisi di sopravvivenza è stata svolta per esaminare la distribuzione in base all’età dell’acquisizione dello S. mutans in rapporto alla modalità di parto. Analisi di logistica di regressione sono state eseguite per accertare le interazioni tra le differenti variabili e co-variabili, in relazione all’età di colonizzazione da parte di S. mutans nei bambini.

Tutti i valori presentati per p sono two-tailed.

A seguito dei test salivari, lo S. mutans è stato rilevato in 55 neonati su 156, con un età media di acquisizione di 10.7 mesi.

Non sono state rilevate correlazioni statisticamente significative per quanto riguarda l’età di acquisizione del microrganismo e il genere del neonato, il peso del neonato alla nascita o l’allattamento al seno.

Al contrario, fattori come l’età della madre, le settimane totali di gestazione e i livelli di S. mutans rilevati nella madre, influenzavano si la percentuale di colonizzazione da parte di S. mutans, sia l’età di acquisizione di tale batterio da parte dei neonati.

È stato osservato che, i bambini nati attraverso il parto cesareo, acquisiscono S. mutans prima rispetto ai bambini nati con parto naturale ( 17.1 mesi Vs 28.8 mesi).

Modalità parto

Cesareo 29 Naturale 127

Valore di

p

Presenza carie 24 89 0.397 DMFT 7.12 6.9 0.888 Livelli salivari S. Mutans

≤Log10 5.5 >Log10 5.5 3 (10.3) 41 (32.3) 26 (89.7) 86 (67.6) 0.018 Settimane gestazione 39.4 39.3 0.692 Peso alla nascita 3179.4 3219.9 0.709 Età della madre 26.8 25.1 0.205 Fumo di tabacco 4 (23.5) 9 (9.7) 0.115 Consumo di Alcohol 2 (12.5) 7 (7.6) 0.619

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35 Sebbene la percentuale dei bambini, in cui era stata rilevata la presenza di S. mutans, fosse simile nei due gruppi di neonati nati attraverso il parto naturale e nati con parto cesareo, (31% Parto Cesareo Vs 36.7% Parto Naturale) la fascia d’età era maggiore per i bambini nati con parto naturale rispetto a quelli nati con parto cesareo [21.3 Vs 16.7].

La modalità di parto è quindi strettamente associata con un acquisizione nei bambini, più o meno prematura dello S. mutans.

Considerando un modello a più variabili, è possibile inoltre affermare che il parto Cesareo e alti valori per DMFT riscontrati nella madre, sono predittivi di una acquisizione prematura di S. mutans nel bambino.

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36

CAPITOLO V

D

ISCUSSIONE

Giungere alla conclusione che la modalità di parto potesse influenzare l’età di acquisizione dello S. mutans nei bambini, non è stato un risultato del tutto inaspettato. Attraverso il parto Cesareo, il bambino è soggetto ad una esposizione minore, a quelli che sono i microrganismi e la flora batterica tipicamente presente nel canale vaginale, mentre, ovviamente un bambino nato attraverso il parto naturale viene in contatto con un numero molto più grande e con una più alta varietà di specie di microrganismi che si trovano nell’area perineale.

Non sono ancora del tutto chiari i meccanismi con cui questa esposizione durante il parto naturale, a numerosi microrganismi e specie batteriche, possa influenzare la colonizzazione da parte dello S. mutans del cavo orale di questi bambini, che come è possibile rilevare dai dati dello studio, avviene in media circa 2 anni dopo la nascita. Gibbons e altri suoi collaboratori nel 1989 dimostrarono che i microrganismi pionieri, ossia coloro i quali per primi colonizzano il cavo orale, sono in grado di influenzare il pattern di microrganismi che lo colonizzeranno in seguito, e che questa passaggio da una varietà di specie ad un’altra è possibile e strettamente associato alla disponibilità dei siti di colonizzazione.

Le specie batteriche che tentano la colonizzazione del cavo orale, quando vi sono già altre popolazioni di batteri , devono competere con questi ultimi per la conquista dei siti di adesione e per la disponibilità di nutrienti. Inoltre devono essere capaci di sopravvivere anche in presenza di endo-prodotti metabolici dannosi ed altri metaboliti che possono essere prodotti dalla flora batterica indigena del cavo orale.

Risulta quindi chiaro che, le specie pioniere, una volta stabilitesi nel cavo orale, tendono a permanere in tale ambiente.

Dal momento che i bambini nati attraverso il parto Cesareo, vengono esposti in misura minore alle specie di microrganismi presenti naturalmente nel canale vaginale e nell’area perineale della madre, questo può tradursi in un’ alterazione nella sequenza e nella

(39)

37 differenziazione delle varie specie di batteri che procedono la colonizzazione da parte dello S. mutans.

Questo studio, volto ad esaminare una serie di variabili legate alla madre, al bambino e alle circostanze del parto, ha rivelato che le variazioni nei tempi di colonizzazione da parte dello S. mutans possono essere spiegate per un 35.9% attraverso un modello multifattoriale, che include la modalità di parto e lo stato di salute orale della madre. Un’ analisi approfondita effettuata sulla base modello multifattoriale sopracitato, ha mostrato una correlazione positiva tra gli alti livelli di S. mutans analizzati nella saliva della madre e una colonizzazione precoce da parte dello stesso microrganismo, del cavo orale del bambino.

Uno studio eseguito nel 1988 da Isenberg et al, ha riportato che i bambini nati con parto Cesareo hanno un numero significativamente inferiore di specie batteriche e colonie batteriche formate rispetto ai bambini nati attraverso parto naturale; questi dati hanno portato gli studiosi ad ipotizzare che evitando il passaggio attraverso il canale vaginale, il neonato è meno esposto alle varie specie batteriche già presenti nella madre.

Sempre in questo studio, era stato analizzato il DNA genomico dello S. mutans presente nelle madri e paragonato con quello dello S. mutans presente nei rispettivi figli.

Su 37 coppie madre-figlio, 6 nati con parto Cesareo e 31 con parto naturale, il riscontro tra genoma dello S. mutans del bambino e quello della rispettiva madre era l 88.9%.

I sei bambini nati con parto cesareo presentavano un solo genotipo di S. mutans identico alla madre, mentre i bambini nati con parto naturale, presentavano 1.7 genotipi di S. mutans identici a quelli materni.

Questi dati confermano la teoria per cui la madre rappresenta la principale fonte di trasmissione di S. mutans al bambino.

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38

CONCLUSIONI

In conclusione, attraverso questo studio siamo in grado di affermare che esiste un’ associazione positiva tra il parto Cesareo e l’acquisizione e la trasmissione di S. mutans all’interno del sistema madre-figlio.

Un’ analisi più approfondita dei dati raccolti, ci ha inoltre permesso di capire che vi sono altre variabili che possono modulare, in termini di tempo, il momento iniziale dell’acquisizione di S. mutans da parte del bambino oltre alla modalità di parto; lo stato di salute orale della madre, per esempio, rappresenta un altro fattore da tenere in considerazione, e che ci permette di ipotizzare che un bambino nato con parto Cesareo da una madre con un basso o cattivo stato di salute orale, acquisirà lo S. mutans prima, rispetto ad un bambino nato con parto naturale.

Concludendo, è possibile affermare che, dal momento che una premature acquisizione dello Streptococco mutans è significativamente associata con un’ alta incidenza di lesioni cariose nei bambini, è importante includere nell’anamnesi medica remota la domanda inerente alla modalità di parto con cui il bambino è nato, in modo da avere a disposizione un ulteriore dato nel determinare il perché alcuni bambini, risultino maggiormente a rischio di carie, rispetto ad altri.

0 0,5 1 0 10 20 30 40 50 D ist ri b u zi on e S . m u ta n s

Età bambini (mesi)

Cesareo Naturale

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39

B

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