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Valutazione della shelf-life di filetto di ombrina affumicato a freddo

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti

VALUTAZIONE DELLA SHELF-LIFE

DI FILETTO DI OMBRINA AFFUMICATO A FREDDO

Relatori

Dott.ssa Roberta Nuvoloni Dott. Massimo Cossu

Correlatore

Dott. Filippo Fratini

Candidata Sara Cipriani

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Indice

1. Introduzione ... 1

2. Considerazioni generali ... 4

2.1. La shelf-life: definizioni e normativa ... 4

2.1.1. La definizione di shelf-life ... 4

2.1.2. Normativa ... 7

2.2. I prodotti ittici affumicati ... 12

2.2.1. Il mercato dei prodotti ittici affumicati in Italia ... 12

2.2.2. L’affumicamento ... 14

2.3. Il salmone affumicato a freddo ... 18

2.4. La shelf-life dei prodotti ittici affumicati a freddo ... 21

3. Scopo della tesi... 28

4. La produzione del filetto di ombrina affumicato ... 29

5. Materiali e metodi ... 34

5.1. Parametri e piano di campionamento ... 34

5.2. Analisi microbiologiche ... 36

5.2.1. Preparazione dei campioni ... 36

5.2.2. Carica batterica mesofila totale e Carica batterica psicrofila totale ... 36

5.2.3. Determinazione quantitativa dei batteri lattici ... 37

5.2.4. Determinazione quantitativa delle Enterobacteriaceae ... 37

5.2.5. Determinazione quantitativa di Escherichia coli ... 38

5.2.6. Conta dei microrganismi produttori di H2S... 38

5.2.7. Ricerca di Listeria monocytogenes ... 39

5.2.8. Calcolo delle ufc/g ... 39

5.3. Analisi fisico-chimiche ... 40

5.3.1. Aw (Water activity) ... 40

5.3.2. pH ... 40

5.3.3. ABVT (Azoto Basico Volatile Totale) ... 40

5.3.4. TMA (Trimetilammina) ... 42

5.3.5. TBARs (Thiobarbituric Acid Reactive Substances) ... 44

5.3.6. Valutazione della tenerezza ... 45

5.3.7. Valutazione del colore ... 45

5.4. Analisi sensoriale ... 46

6. Risultati ... 48

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6.1.1. Lotto A ... 50 6.1.2. Lotti B e C ... 56 6.2. Analisi fisico-chimiche ... 61 6.2.1. Aw ... 61 6.2.2. pH ... 63 6.2.3. ABVT ... 64 6.2.4. TMA ... 68 6.2.5. TBARs ... 70 6.2.6. Tenerezza ... 72 6.2.7. Colore ... 74 6.3. Analisi sensoriale ... 83 7. Conclusioni ... 89 Allegati ... 92 Bibliografia ... 93 Sitigrafia ... 96

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1. Introduzione

La sicurezza a imenta e un tema i an e attua it e inte e e c e e e t a u i, nella pratica operativa, in concrete garanzie per i consumatori e in una serie di consolidate e valide esperienze, che possano essere vantaggiosamente impiegate nelle aziende produtt ici L’o ietti o e a ua it e e a a o i a ione ei no t i o otti a o-a imenta i a a att a e o a ce te a c e non i iano effetti in e i e ati n imme iati n otenziali, sulla salute pubblica e c e ’e emento icu e za sia centrale in tutte le fasi del processo produttivo. La con e a i it (shelf-life i un o otto a te inte ante e a icu e a a imenta e e indica quanto a lungo un alimento mantiene le proprie caratteristiche qualitative nelle normali condizioni di conservazione e utilizzo. Ini ia a momento in cui ’a imento iene o otto e dipende da molti fattori, come il processo e la tecnologia di produzione, gli ingredienti utilizzati, il tipo di confezionamento e le condizioni di conservazione. Come previsto dalla normativa vigente, è responsabilità dei produttori alimentari determinare la vita commerciale dei loro prodotti, tenendo in considerazione condizioni ragionevolmente prevedibili durante le fasi di distribuzione, magazzinaggio e consumo.

Poiché per la determinazione della conservabilità si deve far riferimento alla qualità del prodotto, è quindi essenziale stabilire quali sono i parametri di qualità di un determinato prodotto alimentare e ua i ono i fatto i c e a inf uen ano E’ inoltre altrettanto importante conoscere il processo produttivo e le caratteristiche del prodotto, in modo da prevedere l'evolversi del deterioramento, sia dal punto di vista microbiologico, che fisico-chimico e sensoriale.

Uno studio di shelf-life com o ta infatti ’uti i o i indicatori, peculiari per ogni prodotto alimentare e fortemente correlati tra loro, con i quali sarà possibile definire il termine minimo di conservazione (TMC).

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2 La determinazione della shelf-life i e te un’im o tan a a tico a e e i a imenti ready

to eat, che devono essere preparati in modo tale da essere microbiologicamente sicuri,

comme ti i i e onti a ’uti i o en a a cun ti o i t attamento a iunti o Fanno parte di questa categoria anche i prodotti ittici affumicati, che si distinguono in affumicati a caldo, nei quali il trattamento con il fumo, spesso associato a una forte salagione, viene effettuato a 65-85° C e affumicati a f e o ene a mente e o mente a ati c e u i cono un’affumicatu a a temperature non superiori a 30° C. Questi ultimi sono estremamente delicati dal punto di vista conservativo, poiché i diversi trattamenti ai quali sono sottoposti (salagione-trattamento con il fumo) sono applicati in modo blando, tale da conferire caratteristiche organolettiche peculiari, ma non da garantirne la stabilità conservativa, che viene assicurata solo con il confezionamento sottovuoto e la conservazione a temperature di refrigerazione

Gli affumicati a freddo, tra i quali il più noto e diffuso è il salmone affumicato, fino a qualche anno fa erano considerati prodotti di pregio, da acquistare e consumare esclusivamente in occasione di ricorrenze e festività speciali, visto anche il loro prezzo elevato, ma oggi, grazie alle moderne tecnologie di produzione, a ’a ento e a an e distribuzione e al prezzo di vendita più contenuto, hanno conquistato il gradimento dei consumatori appartenenti ad ogni ceto sociale e vengono acquistati tutto ’anno

La fo te e an ione e a mone affumicato o t e a atti a e ’inte e e ei ice cato i u e o ematic e i con e a i it e icu e a i ue to o otto a timo ato ’atten ione degli operatori del settore verso lo sviluppo di nuovi prodotti affumicati a freddo, tra i quali anche il filetto di ombrina affumicato, prodotto in Toscana, nella zona di Orbetello.

In questa parte della nostra Regione, oltre ad essere praticata da secoli una pesca di tipo tradizionale, fortemente legata alle caratteristiche della costa lagunare, viene eseguita da molto tempo la trasformazione dei prodotti ittici, ed in particolare anche l'affumicatura.

Il filetto di ombrina affumicato viene preparato a partire da materia prima congelata, che, dopo lo scongelamento e la sfilettatura, viene salata a secco, essiccata e affumicata a freddo. Il

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3 filetto così preparato è sottoposto a nettatura e spinatura e poi confezionato sottovuoto e stoccato a temperatura di refrigerazione in attesa di essere venduto.

Se per il salmone affumicato a freddo e confezionato sottovuoto sono reperibili in letteratura numerosi studi di shelf-life, che hanno portato a indicare per questo prodotto un termine minimo di conservazione (TMC) di circa 3-4 settimane e comunque inferiore ai 50 giorni, non sono disponibili dati scientifici sulla conservabilità del filetto di ombrina affumicato. Il produttore, basandosi sulla sua esperienza, ha stabilito un TMC pari a 90 giorni, pur avendo osservato che talvolta, durante questo periodo di tempo, era percepibile una lieve modificazione delle caratteristiche organolettiche.

Nella presente tesi viene descritto lo studio di valutazione della shelf-life del filetto di ombrina affumicato a freddo, effettuato su tre lotti di prodotto mediante la verifica e ’e o u ione i a cuni a amet i mic o io o ici fi ico-chimici e sensoriali durante un periodo di 95 giorni di conservazione in abuso termico (8°C) e 120 giorni in condizioni standard di refrigerazione (3°C).

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4

2. Considerazioni generali

2.1. La shelf-life: definizioni e normativa

2.1.1. La definizione di shelf-life

L’in u t ia a imenta e uno ei etto i iù ifficili in cui operare a causa dei molteplici aspetti da considerare durante il processo produttivo e della severa normativa in fatto di qualità e sicurezza degli alimenti. I prodotti alimentari devono infatti risultare gradevoli al consumatore a livello sensoriale (odore, sapore, colore), ma allo stesso tempo deve esserne garantita la sicurezza. Per tale motivo, ’in u t ia a imenta e deve avere un sistema di cont o o i ti o e enti o im o tato u ’ana i i e i c io, al cui interno viene collocata anche la determinazione della shelf-life dei prodotti. Questo riveste una particolare importanza per gli alimenti ready to eat, definiti dal Reg. (CE) 2073/2005 come “i prodotti alimentari

destinati dal produttore o dal fabbricante al consumo umano diretto, senza che sia necessaria la cottura o altro trattamento per eliminare o ridurre a un livello accettabile i microrganismi presenti” La con e a i it i ta i a imenti e ata a a ua it e a mate ia ima e al

rispetto di prassi igieniche, buone pratiche di lavorazione e corrette condizioni di stoccaggio. La velocità di deperimento e alterazione dipende infatti da numerosi fattori, tra i quali il principale è il tipo di alimento, ma è strettamente legata al livello iniziale di contaminazione microbica (Tamai, 2007).

Durante la vita commerciale, un prodotto alimentare va incontro alle seguenti alterazioni: - Senescenza (dovuta alla normale attività enzimatica)

- Deperimento biologico

- Deperimento chimico (dovuto a enzimi e ossidazioni) - Alterazioni fisiche

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5 - Cambiamenti sensoriali (Tamai, 2007).

Pe a anti e a ua it e a icu e a i un a imento e tinato a ’immi ione u me cato come ready to eat e in generale di tutti i prodotti alimentari, è quindi necessario compiere degli studi per determinarne la shelf-life.

Come riportato ne ’art. 2 punto f del Reg. (CE) 2073/2005, la conservabilità di un a imento iene efinita come “il periodo che corrisponde al periodo che precede il termine

minimo di conservazione o la data di scadenza, come definiti rispettivamente agli articoli 9 e 10 della direttiva 2000/13/CE”. Il termine shelf-life definisce più semplicemente la vita

commerciale del prodotto, dalla produzione fino al consumo o alla data di scadenza o termine minimo di conservazione. Tale periodo rappresenta il lasso di tempo in cui il prodotto alimentare mantiene un livello di qualità accettabile (Tamai, 2007). In altre parole la shelf-life potrebbe essere definita come quel periodo di tempo che corrisponde, in determinate circostanze (confezione, trasporto, condizioni di conservazione, clima), ad una tollerabile diminuzione della qualità di un prodotto.

Il termine minimo di conservazione (TMC) indica il periodo entro il quale il prodotto mantiene le sue caratteristiche organolettiche e ’a ea ina te ati; non c’ uin i i ieto i commercializzazione e consumo del prodotto dopo tale periodo, a patto che il consumatore sia informato, in quanto il TMC non fa riferimento alla sicurezza alimentare, a differenza della data di scadenza (Ferri et al., 2012).

Per poter stabilire la shelf-life di un prodotto alimentare è necessario un lavoro complesso che si può così schematizzare:

- definire cosa si intende per qualità del prodotto ed individuare le caratteristiche che concorrono a determinarla;

- individuare attributi e parametri misurabili che descrivano la qualità (indicatori di shelf-

life)

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6 Poiché nella determinazione della shelf-life degli alimenti si deve prevedere la crescita, la sopravvivenza e ’inattivazione dei diversi microrganismi, è necessario conoscere le proprietà intrinseche ed estrinseche del prodotto, le caratteristiche del processo tecnologico applicato e le condizioni si stoccaggio.

L’e o u ione e e caratteristiche qualitative di un alimento non può essere misurata o espressa da un solo parametro, ma deve essere rappresentata da una serie di indicatori tra loro strettamente collegati:

- indicatori microbiologici - indicatori chimico-fisici - indicatori chimici - indicatori sensoriali.

I microrganismi indicatori che possono essere utilizzati per la realizzazione di uno studio di

shelf-life variano in funzione del tipo di a imento o etto e ‘in a ine

Per stabilire la conservabilità, si può far ricorso alla microbiologia predittiva che fa riferimento a modelli matematici, mettendo in relazione gli studi quantitativi sulle popolazioni microbiche, i fattori in grado di controllare i microrganismi alteranti e patogeni e le risposte degli stessi (Ferri et al., 2012). Nonostante questo, la microbiologia predittiva, pur fornendo supporto agli studi di shelf-life, non è in grado di riprodurre i fenomeni reali, a causa della complessità dei sistemi alimentari e del comportamento microbico; per tale motivo il Reg. (CE) 2073/2005, ne ’a e ato II, fa riferimento ai metodi analitici da utilizzare per gli studi di conservabilità. In particolare vengono menzionate le seguenti determinazioni microbiologiche: Carica Batterica Totale (CBT), stafilococchi coagulasi positivi, Escherichia

coli, Bacillus cereus, Salmonella spp., Listeria monocytogenes e clostridi solfito-riduttori

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7 Gli indicatori di tipo fisico-chimico più significativi per la valutazione della shelf-life, come indicato dal Reg. CE 2073/2005, ono ’aw (water activity) e il pH; tra quelli chimici possono essere utilizzati gli indicatori dei processi di degradazione dei lipidi, delle proteine, degli zuccheri, delle vitamine, le sostanze volatili di origine lipidica, proteica o fermentativa.

Infine possono essere impiegati indicatori sensoriali, valutabili mediante vere e proprie analisi sensoriali o più semplici test di gradimento.

2.1.2. Normativa

Come evidenziato dalle precedenti citazioni, la normativa di riferimento in materia di

shelf-life è il Reg. (CE) 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari,

ma in merito è stata emanata una complessa normativa comunitaria e nazionale, come dimostra la tabella sotto riportata.

Regolamento CE 178/2002

Stabilisce il requisito generale per la sicurezza alimentare secondo cui non devono essere immessi sul mercato alimenti non sicuri, intendendo con ciò prodotti alimentari contenenti microorganismi, loro tossine o metaboliti in quantità tali da rappresentare un rischio inaccettabile per la salute umana. La shelf-life dei prodotti alimentari viene dunque a

rivestire un ruolo essenziale per la sicurezza alimentare.

Regolamento 852

(Art. 1.1.a) S ecifica c e a e on a i it e a icu e a e i a imenti incom e u ’OSA

Accordo Stato-Regioni 281 del 13/01/2005

«Sul documento concernente criteri per la predisposizione dei Piano di autocontrollo, per ’i entifica ione e a e tione ei e ico i ne etto e ca ni» i o ta a oce u a e a definizione della conservabilità dei prodotti.

Regolamento CE 2073/2005

Sta i i ce c e in i tù e ’a ica ione e ’a t 7 e Re o amento 852/2004 i manua i delle buone prassi igieniche elaborati dagli operatori alimentari, dovrebbero contenere anche linee guida per la realizzazione degli studi di shelf-life.

Tab. 1 - Principali norme cogenti, comunitarie e nazionali per la determinazione della shelf-life dei prodotti

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8 Ne a efini ione i “con e a i it ”, i o tata ne ’a tico o 2 e Re (CE 2073/2005, si fa chiaro riferimento alla direttiva (CE) 2000/13, in particolare agli articoli 9 e 10, in cui en ono efiniti i a amet i e ’in ica ione in etic etta i TMC o ata i ca en a:

“1. Il termine minimo di conservazione di un prodotto alimentare è la data fino alla quale lo

stesso conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Esso è indicato conformemente alle disposizioni di cui ai paragrafi da 2 a 5.

2. Esso viene indicato con la dicitura:

— «da consumarsi preferibilmente entro il...», quando la data comporta l'indicazione del giorno,

— «da consumarsi preferibilmente entro fine...», negli altri casi. 3. Le indicazioni di cui al paragrafo 2 sono corredate:

— della data stessa, oppure

— della menzione del punto dell'etichettatura in cui essa figura.

Ove necessario, tali indicazioni sono completate dalla enunciazione delle condizioni che garantiscono la conservazione indicata.

4. La data si compone dell'indicazione, in lettere e nell'ordine, del giorno, del mese, dell'anno.

Tuttavia:

— per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi, è sufficiente l'indicazione del giorno e del mese,

— per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma non oltre diciotto mesi, è sufficiente l'indicazione del mese e dell'anno,

— per i prodotti alimentari conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente l'indicazione dell'anno.

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Le modalità per l'indicazione della data possono essere precisate secondo la procedura dell'articolo 20, paragrafo 2.

5. Fatte salve le disposizioni comunitarie che prescrivono altri indicazioni di data, l'indicazione del termine minimo di conservazione non è richiesta nei casi:

— degli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non sono stati sbucciati o tagliati o che non hanno subito trattamenti analoghi. Questa deroga non si applica ai semi germinali e prodotti analoghi quali i germogli di leguminose,

— dei vini, vini liquorosi, vini spumanti, vini aromatizzati e prodotti simili ottenuti a base di frutti diversi dall'uva nonché delle bevande dei codici NC 2206 00 91, 2206 00 93 e 2206 00 99, ottenute da uva o mosto di uva,

— delle bevande con un contenuto di alcole pari o superiore al 10 % in volume,

— delle bevande rinfrescanti non alcolizzate, succhi di frutta, nettari di frutta e bevande alcolizzate in recipienti individuali di oltre 5 litri, destinati alle colletività,

— dei prodotti della panetteria e della pasticceria che, per loro natura, sono normalmente consumati entro le 24 ore successive alla fabbricazione,

— degli aceti,

— del sale da cucina,

— degli zuccheri allo stadio solido,

— dei prodotti di confetteria consistenti quasi unicamente in zuccheri aromatizzati e/o colorati,

— delle gomme da masticare e prodotti analoghi, — delle porzioni individuali di gelati alimentari. Articolo 10

1. Nel caso di prodotti alimentari rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico e che, di conseguenza, possono costituire dopo breve tempo un periodo immediato per la salute umana, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza.

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2. La data deve essere preceduta dalle parole: — in spagnolo: «fecha de caducidad»,

— in danese: «sidste anvendelsesdato», — in tedesco: «verbrauchen bis», — in greco: «ανάλωση μέχρι», — in inglese: «use by»,

— in francese: «à consommer jusqu'au», — in italiano: «da consumare entro», — in olandese: «te gebruiken tot», — in portoghese: «a consumir até»,

— in finlandese: «viimeinen käyttöajankohta», — in svedese: «sista förbrukningsdag».

Queste parole devono essere seguite: — dalla data stessa, oppure

— dalla menzione del punto in cui essa è indicata sull'etichetta.

Queste indicazioni sono seguite da una descrizione delle condizioni da osservare per la conservazione.

3. La data comprende il giorno, il mese e, eventualmente, l'anno, nell'ordine e in forma chiara.

4. Secondo la procedura prevista all'articolo 20, paragrafo 2, può essere deciso in determinati casi se sono soddisfatte le condizioni di cui al paragrafo 1.”

Si i o ta ino t e ’a egato II del Reg. (CE) 2073/2005 che, come già detto, definisce gli studi da compiere per la determinazione della shelf-life:

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— prove per determinare le caratteristiche fisico-chimiche del prodotto, quali pH, aw,

contenuto salino, concentrazione di conservanti e tipo di sistema di confezionamento, tenendo conto delle condizioni di lavorazione e di conservazione, delle possibilità di contaminazione e della conservabilità prevista,

— consultazione della letteratura scientifica disponibile e dei dati di ricerca sulle caratteristiche di sviluppo e di sopravvivenza dei microrganismi in questione.

Se necessario, in base agli studi summenzionati, l'operatore del settore alimentare effettua studi ulteriori, che possono comprendere:

— modelli matematici predittivi stabiliti per il prodotto alimentare in esame, utilizzando fattori critici di sviluppo o di sopravvivenza per i microrganismi in questione presenti nel prodotto,

— prove per determinare la capacità dei microrganismi in questione, debitamente inoculati, di svilupparsi o sopravvivere nel prodotto in diverse condizioni di conservazione ragionevolmente prevedibili,

— studi per valutare lo sviluppo o la sopravvivenza dei microrganismi in questione che possono essere presenti nel prodotto durante il periodo di conservabilità, in condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso.

Gli studi summenzionati tengono conto della variabilità intrinseca in funzione del prodotto, dei microrganismi in questione e delle condizioni di lavorazione e conservazione.”

Rife imenti i ue to ti o ono i o tati anc e ne ’accordo Stato-Regioni 281 del gennaio 2005 che dedica un capitolo alla descrizione dei metodi da usare per la determinazione della conservabilità:

“Procedura per la definizione della conservabilità dei prodotti.

La sicurezza e l'integrità degli alimenti sono strettamente correlati alla determinazione del tempo di conservazione (shelf life). Pertanto, tra le procedure di autocontrollo, l'azienda

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dovrebbe predisporre un protocollo per l'individuazione della data di scadenza o del termine minimo di conservazione, tenendo conto:

- delle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto; - della tipologia del confezionamento;

- degli additivi utilizzati;

- dei trattamenti di conservazione; - della temperatura di stoccaggio;

- di ogni altro fattore in grado di influire sulle caratteristiche intrinseche dell'alimento; - dell'esperienza maturata dall'industria alimentare e/o dai dati rilevabili in letteratura. La conservabilità degli alimenti deperibili può essere stabilita mediante prove di conservazione effettuate da laboratori specializzati e sulla base di informazioni tecnico-scientifiche documentate o dati storici. È senz'altro utile anche il ricorso a modelli matematici di crescita microbica.”

Seguendo le indicazioni di tali normative e conoscendo le caratteristiche fisico-chimiche e il processo di lavorazione di un prodotto alimentare, è possibile predisporre un piano di analisi volto alla determinazione della conservabilità di un alimento.

2.2. I prodotti ittici affumicati

2.2.1. Il mercato dei prodotti ittici affumicati in Italia

Il consumo di pesce affumicato ha avuto origine nel nord e nel centro Europa, per poi diffondersi anche al sud; ’Ita ia attua mente i econ o ae e eu o eo e im o ta ione i salmone affumicato, con un totale di 6300 tonnellate importate nel 2001 (Bernardi et al., 2009; Arvanitoyannis et al., 2012).

Quello dei prodotti ittici affumicati è un mercato in continua e rapida espansione, che negli ultimi anni ha subito cambiamenti sostanziali (Massi, 2012).

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13 Si è passati infatti da un consumo essenzialmente di tipo stagionale, in particolare in vicinanza delle festività natalizie (con l'attribuzione di un valore particolare per essi, quali alimenti di pregio), a una uti i a ione u ante tutto ’anno Que ta i t i u ione e con umo in un periodo più lungo è stata favorita anche dal costo più accessibile e dalla presenza in commercio di prodotti affumicati in piccole porzioni da 50, 100 o 200 g (Fasolato et al., 2008). Dai dati FAO relativi al 2009 emerge che sono ancora presenti picchi nel consumo di affumicati durante il periodo natalizio e quello pasquale, ma gli affumicati e in particolare il salmone, si sono ormai affermati come a imenti “ a tutti i io ni” (Bernardi et al., 2009). L’im o tan a e etto e e i ittici affumicati ne me cato inte na iona e a ico e a i anche alla qualità nutrizionale di questo tipo di alimenti: la presenza di acidi grassi insaturi, vitamine, minerali e amminoacidi essenziali, fanno degli ittici trasformati tra i prodotti più completi dal punto di vista nutrizionale (Arvanitoyannis et al., 2012).

Le conseguenze di questa modifica nei consumi sono state evidenziate da un aumento dei volumi di vendita e da una maggiore frequenza di acquisto da parte dei consumatori. Il prodotto maggiormente interessato da tale cambiamento è stato sicuramente il salmone affumicato, ma anche altri prodotti ittici affumicati sono stati coinvolti, ad esempio il tonno e il pesce spada affumicati, e questo ha incentivato le imprese alimentari a dedicarsi allo sviluppo di nuovi prodotti preparati con questo tipo di trattamento (Torrazza, 2007).

Tra i prodotti ittici affumicati presenti sul mercato in Ita ia t o iamo anc e ’an ui a o om o ’ a i ut ’a in a o to ione ’om ina e i ca ia e Ino t e ue o otti ittici affumicati, la trota salmonata in Piemonte e il cefalo affumicato in Toscana, rientrano tra i prodotti tradizionali italiani.

I a i o inc emento ne a o u ione i a mone affumicato a ino t e atti ato ’atten ione dei ricercatori e dei produttori sui metodi di affumicamento e di conservazione e sulle o ematic e con e ati e; in a tico a e u ’e o u ione e a ca ica microbica durante la loro vita commerciale (Arvanitoyannis et al., 2012).

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14 G i ittici affumicati fanno a te i una c a e i o otti nati a ’e i en a i a un a e a conservabilità del pesce, che notoriamente è molto deperibile. Proprio a questo scopo sono stati messi a punto processi produttivi diversi che prevedono varie combinazioni di salagione, acidificazione, essiccamento, affumicamento e confezionamento (come il sottovuoto o ’atmo fe a mo ificata (Boziaris et al., 2012).

I prodotti ittici salati possono essere suddivisi in: fortemente salati, quali ad esempio il baccalà, semi-preserved e ligthly preserved,. I semi-preserved vengono conservati grazie a ’a ione i a e aci i o anici ( o attutto aci o acetico e a t i con e anti; t a e i ricordiamo le acciughe salate, le aringhe marinate e le acciughe marinate. I lightly preserved hanno invece un basso contenuto di sale, inferiore a 60 g/Kg, un pH intorno a 5 e possono essere affumicati a freddo; in tale categoria ritroviamo molti prodotti ready-to-eat, solitamente confezionati sottovuoto e vari prodotti marinati a freddo (Boziaris et al., 2012). Que t’u tima cate o ia i o otti ittici c e o i co e una larga fetta di mercato, è a ’atten ione ei ice cato i e e o ematic e e ate a a sicurezza e alla conservabilità.

2.2.2. L’affumicamento

La tecnica e ’affumicamento mo to antica, ma è stata riconosciuta come trattamento di trasformazione solo nel 2004 con il Reg. 852/2004.

Pur essendo una tecnologia molto antica, negli anni ha subito un'evoluzione che ha gradualmente portato ad una modifica della sua funzione: l'affumicamento è passato a ’e e e inci a mente un t attamento applicato allo scopo di aumentare la conservabilità, ad un sistema di aromatizzazione dei prodotti. Un tempo, la necessità di conservare il pesce a lungo ed anche durante i trasporti, rendeva necessario effettuare una salagione e un'affumicatura molto forti, che portavano a prodotti dal sapore molto deciso (Cattaneo, 2005). Attualmente, si preferisce invece la produzione di alimenti poco salati e affumicati

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15 leggermente, che però necessitano di uno stoccaggio a temperature di refrigerazione, confezionati sottovuoto o in atmosfera modificata (Arcangeli et al., 2003).

Si è inoltre assistito ad un cambiamento anche per quanto riguarda il tipo di legno utilizzato: se un tempo i legni da utilizzare venivano scelti in base alla disponibilità locale ed al sapore che si intendeva dare al cibo, attualmente ci si preoccupa soprattutto di scegliere legnami che, oltre a conferire un particolare aroma, non diano rischi per la salute trasmettendo sostanze tossiche all'alimento trattato. Per tale motivo la normativa vigente ieta ’uti i o i t ucio i provenienti da legni verniciati, incollati, impregnati o in qualsiasi modo trattati. Oggi vengono di solito preferiti legni di quercia, faggio, noce, castagno a volte aromatizzati con alloro, ginepro e origano (Gibilras, 2012).

L’“in e iente” inci a e e ’affumicamento il fumo, il prodotto della combustione incompleta della legna, che è costituito da due fasi: una gassosa, di anidride carbonica e vapore acqueo, ed una corpuscolare, i cui e ementi ono e on a i i e ’a oma e e co o e assunto dai prodotti trattati (Capovilla et al., 2006).

Nel fumo sono stati individuati più di 200 composti suddivisibili in 5 gruppi, i cui effetti sono riportati in Tab. 2.

Effetto Fenoli Alcoli Composti acidi

organici

Composti

carbonilici I.P.A.

Antiossidante Molto importante

Aroma/sapore

Importante (guaiacolo, siringolo)

Importante

Colore Debole Fondamentale

(Maillard) Antisettico Battericida Batteriostatico di superficie Debole Debole Controindicazioni Cancerogeni

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16 Solitamente la produzione del fumo avviene grazie ad un generatore indipendente che può alimentare più celle e che brucia miscele di trucioli di legna e spezie.

Esistono oggi diversi tipi di affumicatoi che vengono scelti in base alle esigenze produttive. Tra i più comuni ritroviamo:

- Affumicatoi a ci co a ione ’a ia natu a e otati i un ene ato e i fumo in cui o i i e e o a e tem e atu a umi it immi ione ’a ia a o i e iccamento e densità del fumo;

- To i i affumicamento ne e ua i i o otti en ono a e i t amite ’uti i o di catene e possono circolare al loro interno;

- Celle di affumicamento a convezione forzata, che permettono un maggiore controllo del processo e un’e entua e cottu a (Gibilras, 2012).

O i io no ’affumicamento uò a eni e con a ie tecnic e ma e ue rincipali rimangono ’affumicamento a ca o e ue o a freddo.

Il primo, anche chiamato hot smoking, utilizza temperature di 65-85° C nei prodotti ittici e questo garantisce una buona inattivazione batterica e la coagulazione completa delle proteine. Solitamente, associata a questa tecnica, si ha una salagione abbastanza forte che, insieme a ’a ione e ca o e com o ta un note o e o un amento e a shelf-life del pesce. Di cont o ’affumicamento a ca o iene e o a ociato a un ca o e i e o ualitativo del o otto o uto a ’a ione ella temperatura sulle proteine (Arvanitoyannis et al., 2012). Secondo la FDA, in un affumicamento a caldo la temperatura può variare tra 40° e 100° C, con una temperatura al cuore del prodotto anche di 85° C ma, le condizioni ottimali consistono in 62.8° C per 30 minuti. Dopo tale periodo il prodotto può essere raffreddato, ad esempio mediante entrata di nuova aria per 20 minuti, e questo impedisce la contaminazione da muffe tipica degli ittici stoccati ancora caldi (Arvanitoyannis et al., 2012).

L’affumicamento a f e o e e e invece temperature che non superano solitamente i 30° C, impedendo così la coagulazione delle proteine, e può durare da alcune ore ad alcuni giorni.

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17 L’affumicatu a a f e o unta uin i iù a ’a etto en o ia e e o otto che a quello della sicurezza; non ha infatti alcuna azione sulla flora microbica, anche a causa della debole salatura a cui è generalmente associato (Capovilla et al., 2006; Arvanitoyannis et al., 2012). Negli alimenti ittici e o mente t attati come i affumicati a f e o ’unica ote ione a mic o ani mi ato eni e a te anti ata a ’a ione com inata e a i u ione e ’aw,

e ’a iunta i a e e ’affumicamento e e o tocca io a a e tem e atu e ma ta i prodotti possono essere comunque considerati a rischio per lo sviluppo di L. monocytogenes (Arvanitoyannis et al., 2012).

In alternativa alle tradizionali tecniche associate alla combustione del legno, esiste un terzo metodo c e e e e ’uti i o i fumo liquido, il quale può essere asperso o iniettato nel o otto So itamente i efe i ce ’a ica ione i u e ficie e e ita e a ea ione e fumo con le proteine, con conseguenti difetti nel prodotto. Per garantire inoltre la salubrità del prodotto si separano i condensati di fumo primari (base acquosa) dalla fase catramosa e in seguito si effettua una purificazione di entrambe le fasi per eliminare i componenti più dannosi, in particolare gli idrocarburi policiclici aromatici (Arcangeli et al., 2003).

In generale si può affermare che la percentuale di deposizione dei vari composti del fumo sull'alimento trattato dipende da temperatura, umidità, affluenza e densità del fumo, solubilità e volatilità dei vari composti e dalle caratteristiche superficiali del pesce (Arvanitoyannis et al., 2012).

Tra questi parametri è importante ’umi it e fi etto: più questa è elevata, maggiore è la quantità di fenoli volatili che si depositano in superficie e si sciolgono nella fase acquosa. Solitamente ogni temperatura di affumicamento ha una sua umidità ottimale, anche se è stato osservato che, a ’aumenta e e ’UR, iminui ce ’a o imento ei com o ti e fumo Si deve inoltre tener conto che la deposizione delle sostanze del fumo, e quindi il loro assorbimento, segue una cinetica di primo ordine: inizialmente è rapida e man mano che si va avanti rallenta.

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18 L’a ione antio i ante ei feno i o ati i i manife ta ne ’affumicatu a a f e o ment e in quella a caldo si hanno due fenomeni in contrapposizione: da una parte la rancidità aumenta e ’o i a ione e e o tan e a e a ’a t a iminui ce e i e co amento ei a i ossidati durante la cottura (Arcangeli et al., 2003).

2.3. Il salmone affumicato a freddo

Il salmone affumicato è il prodotto ittico affumicato più diffuso e conosciuto in Italia ed anche quello sul quale è stata eseguita la maggior parte degli studi di conservabilità presenti in letteratura.

La maggior parte del salmone in commercio proviene da allevamenti, mentre quello selvaggio è quasi completamente scomparso (Giordano, 2002). I soggetti della specie Atlantica (Salmo salar) presenti sui mercati di tutto il mondo provengono principalmente dai grandi allevamenti del Nord Europa, in particolare da quelli della Scozia e della Norvegia; quest’u tima na ione o uce il 98% del salmone di acquacoltura.

La maggior parte del salmone affumicato a freddo presente sul mercato italiano è quindi di o i ine no e e e anc e e i inci a i me cati ’im o ta ione e i no t o ae e ono a Svezia, la Danima ca a F ancia a Ge mania e in mino mi u a ’O an a (Fasolato et al., 2008).

Il processo produttivo del salmone affumicato è caratterizzato da diverse fasi: il salmone uò a i a e a ’in u t ia a imenta e ef i e ato e a e ato o i e ca oveniente dal Nord Europa, oppure congelato, se di provenienza cilena.

Il metodo di scongelamento più utilizzato prevede una doccia con acqua potabile a 15/18° C o in a te nati a ’imme ione e e ce in a c e i acciaio inox a imentate con ac ua potabile corrente. Successivamente i pesci vengono fatti passare in un tunnel dove vengono inci i e infine e i ce ati anc e me iante ’uti i o i un a o ito a i ato e A ue to e ue

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19 a fa e e a fi ettatu a att a e o ’uti i o i a o ite macc ine mentre la rimozione della colonna vertebrale può essere eseguita sia meccanicamente che a mano. La salagione può avvenire a secco, utilizzando sale marino, oppure in salamoia, per iniezione o per immersione. Nella salagione a secco, i filetti di salmone vengono adagiati in vasche di acciaio inox e ico e ti i a e ce can o i en e ne unifo me ’a o imento a a te e e ca ni. Questa tecnica di salagione viene raramente utilizzata, poiché può conferire alla superficie del prodotto un aspetto oleoso, causato da una disidratazione troppo veloce e dalla coagulazione delle proteine; la diffusione del sale in profondità risulta inoltre rallentata. Nonostante questi aspetti negativi, la salagione a secco presenta anche aspetti positivi, come un tasso finale di umidità del pesce più basso di quello trattato in salamoia e una maggiore protezione del pesce nei confronti della microflora alterante (Fasolato et al., 2008).

Nella salagione in salamoia, i pesci vengono immersi in soluzioni più o meno concentrate di NaCl e i tempi di immersione variano in funzione della concentrazione salina della soluzione e della pezzatura del pesce. A parità di condizioni, la diffusione del sale nei tessuti sarà tanto più rallentata quanto maggiore sarà il contenuto in lipidi della specie trattata. Tra gli aspetti negativi di questa tecnica ritroviamo un tasso finale di umidità del pesce più alto rispetto a quello che ha subito il trattamento a secco e un maggior rischio di contaminazione e di sviluppo microbico. Una variante della salagione in salamoia è la salagione per iniezione. Il oce imento con i te ne ’inietta e ne a ca ne ei e ci in e ione e me iante ’au i io i aghi, una salamoia di salinità sufficiente a garantire il raggiungimento del punto sale desiderato. Questa tecnica consente una rapida penetrazione del sale nei tessuti e aumenta il peso dei filetti fino al 9%, rispetto a quelli trattati con salagione a secco. Un tenore in acqua più elevato comporta una minore conservabilità del pesce e una maggiore difficoltà di essiccazione (Fasolato et al., 2008) La iffu ione e a e a ’inte no ei te uti mu co a i cont i ui ce a fa fuo iu ci e a te e ’ac ua i co titu ione e a e a e ue a inte na e i ua a a an one ’aw.

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20 Terminata la salagione, per diminuire ulteriormente la concentrazione di acqua, il salmone viene dapprima asciugato e poi sottoposto al processo di affumicatura a freddo. Prima di essere affumicati i filetti vengono quindi immessi in appositi essiccatoi ventilati a temperature superiori a 30°C e meno i un’o a

Viene poi eseguita la fase di affumicatura a freddo che prevede temperature non superiori a 22° C, in modo da mantenere il prodotto più tenero. Il fumo utilizzato può essere prodotto attraverso la normale combustione, senza fiamma, di legna e analoghi, come segatura di faggio o quercia, oppure utilizzando fumo liquido. I filetti possono essere collocati in posizione orizzontale su graticci o appesi verticalmente ad appositi carrelli (affumicatura per im icca ione Do o ’affumicatu a segue, di solito nella stessa cella, una fase di riposo del prodotto che dura poche ore, finalizzata ad una migliore penetrazione del fumo nei filetti. L’a ione anti ettica e e citata a fumo mo to an a e imitata a a u e ficie e prodotto che, sottoposto a questo tipo di trattamento, vede modificati soprattutto il proprio colore, il proprio sapore ed anche l'aroma.

I fi etto affumicato ne ca o non e a e e e comme cia i ato ta ua e (“ affa” iene poi tagliato a fette e spellato mediante ’uti i o i ame a a ta e ocit e e entua mente ricostruito recuperando anche la pelle. Si procede infine alla fase di rifinitura del prodotto, att a e o ’a o ta ione manua e i ine e a ti e i ue non e i e ate Ne ca o i fette i salmone o di filetti interi, questi vengono inseriti in apposite vaschette con immissione di particolari miscele di gas (confezionamento in atmosfera modificata), oppure in buste a e ico a a tica e fatti a a e in una macc ina e a ott a ione e ’a ia (confezionamento sottovuoto). I prodotti così ottenuti devono essere conservati a temperatura di refrigerazione (Fasolato et al., 2008).

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2.4. La shelf-life dei prodotti ittici affumicati a freddo

In generale si può affermare che la shelf-life dei prodotti alimentari è fortemente dipendente dal livello igienico del processo produttivo. Come già precedentemente accennato, il produttore, attraverso studi di shelf-life, può stabilire un termine minimo di conservazione che permette di assicurare la qualità igienica del prodotto durante la sua vita commerciale (Bernardi et al., 2009).

Mo ti auto i e c i ono un’am ia a ia i it e a mic of o a ei o otti ittici affumicati mo to o a i mente e ata a ti o i oce o o utti o e a ’am iente c e i iene a c ea e ne ’affumicatoio (Leroi et al., 1998).

I o otti ittici e i e ce in ene a e ono mo to e e i i i a cau a e ’a ione ei microrganismi e degli enzimi autolitici, ma la loro stabilità e sicurezza può essere controllata mediante la combinazione di alcuni fattori conservativi, quali bassa temperatura di conservazione, bassi valori di pH e aw, presenza di sale (Boziaris et al., 2012).

Da analisi effettuate su vari tipi di prodotti ittici marinati, affumicati ed anche cotti, è stato evidenziato come la concent a ione i a e i H ’aw influenzino la shelf-life: gli alimenti

marinati e salati come le sardine presentano una shelf-life di oltre 150 giorni, mentre quelli c e anno u ito t attamenti iù an i come ’affumicamento a f e o anno una shelf-life solitamente inferiore ai 50 giorni (Boziaris et al., 2012).

Come emerge dagli studi di shelf-life presenti in letteratura, per la determinazione della conservabilità dei prodotti ittici affumicati vengono presi in considerazione diversi parametri, che possono essere distinti in microbiologici, fisici, chimici e sensoriali.

Dei primi fanno parte carica batterica totale (CBT) mesofila e psicrofila, Enterobacteriaceae,

L. monocytogenes e conta dei microrganismi produttori di H2S.

Quelli chimico-fisici sono invece rappresentati essenzialmente da pH e attività dell'acqua (water activity o aw). L’atti it e ’ac ua o ac ua i e a in ica a uantit i ac ua non e ata

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22 seconda del valore di aw si può avere la crescita di una particolare classe di microrganismi

iutto to c e un’a t a In ene e i ato eni i u ano faci mente fino a a o i i 0 98 ment e tra 0.98 e 0.93 la loro crescita risulta rallentata; solo pochi microrganismi sono in grado di crescere con valori di aw pari a 0.85 come, ad esempio, alcune muffe che producono tossine e

alcuni batteri lattici; in genere con valori intorno a 0.65 lo sviluppo microbico si arresta, ma fanno eccezione alcune specie xerofile e osmofile (Galli Volontiero, 2005).

L’aw iene efinita come i a o to t a a ten ione i a o e e ’ac ua ne u strato e quella

e ’ac ua u a:

aw = P/P0

Questo parametro può essere influenzato da vari fattori quali temperatura, pH, aggiunta di sale o zucchero ed è importante perché ogni microrganismo presenta un minimo di aw al quale

ie ce a c e ce e L’atti it e ’ac ua i u ta ino t e im o tante e c inf uen a a ta i it del colore del prodotto, il gusto e la conservabilità.

Dal punto di vista chimico invece vengono valutati alcuni indici di degradazione del prodotto peculiari dei prodotti ittici, quali l'azoto basico volatile totale (ABVT) e la trimetilammina (TMA), oltreché il test colorimetrico per il dosaggio dei prodotti della perossidazione lipidica che vengono denominati TBARs (thiobarbituric acid reactive substances).

L’ABVT un indice della degradazione dei composti azotati, che vengono attaccati dagli enzimi tissutali e microbici, con produzione di ammoniaca e ammine volatili. Le sostanze azotate volatili si formano infatti in seguito ai processi idrolitici post-mortali, che sono fortemente dipendenti dalla temperatura di conservazione, dal tipo di microflora contaminante e a ’attività degli enzimi tissutali (D’Angelis, 2006).

I 2/3 e ’ABVT ono a e entati a ’ammoniaca derivante dalla degradazione degli amminoacidi, ma sono presenti anche ammine primarie, secondarie e terziarie, tra cui anche la trimetilammina.

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23 Ne mu co o ei e ci ino t e e ente ’o i o i trimetilammina (TMAO) in misura variabile da 200 a circa 1500 mg per 100 g di muscolo, in funzione della specie ittica, della stagione, della taglia del soggetto, della qualità e dell'abbondanza dell'alimentazione e della zona di pesca (www.internationalpbi.it, 2013). Tale sostanza può essere degradata dai batteri, solitamente gli alteranti produttori di acido solforico, fino a trimetilammina (TMA), responsabile del tipico odore di pesce. Questa reazione avviene in e uito a ’a a amento del livello di ossigeno nei tessuti ed al conseguente utilizzo del TMAO nella respirazione anaerobia (Olivieri, 2010).

I i i i ono a c a e i com o ti o anici iù u cetti i i a ’o i a ione e ue to c ea non pochi problemi a livello di conservazione degli alimenti. Possono infatti subire numerose modifiche che portano alla formazione di sostanze sgradevoli sia a livello organolettico che igienico- anita io L’i anci imento o i ati o un fenomeno c e com o ta una iminu ione del livello di qualità, stabilità, salubrit e a o e nut i iona e e ’a imento e inne cato a calore, radicali liberi e luce (Greggio, 2009). Tra le diverse reazioni cui possono andare incontro i lipidi, la perossidazione è una reazione auto-catalitica a catena, avviata in particolare dal radica e i o i ico (OH∙ c e attacca o attutto i aci i a i o in atu i sottraendo un idrogeno a livello dei doppi legami e portando alla formazione di idroperossidi lipidici. Da questo tipo di reazione si formano numerosi composti tra cui aldeidi e chetoni, che onano o o i a e o i a ’a imento ma i inci a e o otto a e entato a a malondialdeide (MDA) che viene utilizzata come marker dello stato di perossidazione lipidica (Gizzi et al., 2002).

Non esistono studi di conservabilità sul filetto di ombrina affumicato, oggetto della presente tesi, ma sono presenti in letteratura due studi sulla conservabilità di questa specie come prodotto fresco in filetti.

Il primo è stato realizzato da alcuni ricercatori spagnoli dell'Università di Murcia nel 2009 e riguarda la conservabilità di filetti di ombrina freschi tenuti in ghiaccio a temperatura di

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24 refrigerazione per 18 giorni. In questa ricerca i parametri che si sono dimostrati più sensibili al tempo di stoccaggio sono stati ABVT, carica microbica mesofila e psicrofila,

Enterobacteriaceae co ifo mi e in ene a e tutti i a amet i con i e ati ne ’ana i i

sensoriale. A livello microbiologico la shelf-life del filetto si considera terminata dopo 9 io ni anc e e ’ana i i en o ia e ne a e e e messo la conservazione più a lungo (Hernandez et al., 2009).

Più recentemente alcuni ricercatori portoghesi hanno eseguito prove di conservazione sul filetto di ombrina fresco conservato sottovuoto e in aria per 13 giorni a temperatura di refrigerazione (Genç et al., 2013). Tali prove hanno evidenziato una bassa carica microbica iniziale per quanto riguarda Enterobacteriaceae, microrganismi produttori di H2S, batteri

lattici e CBT mesofila e psicrofila, ma, dopo 8 giorni di conservazione, nei filetti confezionati in aria, la CBT mesofila raggiungeva valori di 107 ufc/g, limite di accettabilità stabilito dalla ICMSF (International Commition of Microbiological Specifications of Foods) per i pesci di acqua salata e di acqua dolce, mentre nei prodotti sottovuoto, tutti i parametri microbiologici presentavano ancora valori contenuti. Per quanto riguarda invece i parametri chimici considerati in questo studio, non sono state riscontrate differenze tra i due tipi di prodotto. Da quanto emerso in questa ricerca, il confezionamento sottovuoto ha un effetto positivo sulla conservabilità del filetto di ombrina e ciò è confermato dal fatto che la shelf-life stimata è di 6 giorni per i filetti conservati in aria e 9-11 giorni per quelli sottovuoto (Genç et al., 2013). Come precedentemente detto, gli studi sulla shelf-life dei prodotti ittici affumicati riguardano nella quasi totalità il salmone affumicato, in quanto prodotto conosciuto e diffuso in tutto il mondo.

Il salmone affumicato, subendo una leggera salagione e un trattamento di affumicamento a freddo, è un prodotto degradabile e dalla shelf-life ridotta, (Stohr et al., 2001) pari a circa 3-4 settimane (Dondero et al., 2004) o comunque inferiore ai 50 giorni (Boziaris et al., 2012).

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25 Questo dato è stato analizzato criticamente anche da Bernardi et al. nel 2009, i quali hanno svolto uno studio su 14 campioni di salmone affumicato a freddo confezionato sottovuoto provenienti da diverse zone del mondo e da processi produttivi differenti e commercializzati in Italia. Valutando ’e o u ione dei parametri microbiologici (carica microbica psicrofila,

Enterobacteriaceae, batteri lattici, Salmonella spp., Listeria monocytogenes e stafilococchi

coagulasi positivi),chimico-fisici (aw, pH, ABVT, TBARs, Water Phase Salt o WPS) e

sensoriali (colore e tenerezza), hanno rilevato che la durata della shelf-life, pari a 60 giorni, attribuita al salmone affumicato in commercio è troppo lunga nella maggior parte dei casi. Dal punto di vista microbiologico, infatti, si notano delle differenze significative tra i valori riscontrati a metà shelf-life e quelli alla fine : ponendo come limite di accettabilità 106 ufc/g, la carica batterica psicrofila era in media pari a 8.4 . 104 ufc/g a metà shelf-life, aumentando fino a 1.1 . 107 ufc/g alla fine. Lo stesso avveniva per i lattobacilli che passavano da 4.9 . 104 ufc/g a 9.5 . 106 ufc/g, mentre gli enterobatteri rimasti rimanevano sempre sotto la soglia di 106 ufc/g, non rappresentando quindi un indice di deterioramento. In nessun caso sono stati rilevati Salmonella spp., L. monocytogenes e stafilococchi coagulasi positivi. Per quanto riguarda i parametri chimico-fisici e sensoriali sono state significative le variazioni di ABVT, colore e tenerezza in quanto i campioni, con il progredire della shelf-life, si presentavano più molli e ingialliti e superavano il limite massimo di ABVT di 40 mg N/100 g. In conclusione, Bernardi et al. (2009) hanno evidenziato come metà dei campioni analizzati presentassero già segni di deterioramento dopo 30 giorni, periodo corrispondente alla metà della shelf-life stabilita dai produttori ed indicata sulla confezione e come ci fosse una correlazione tra conta microbica e valore di ABVT.

Questi risultati sono stati confermati dagli stessi autori in un altro studio del 2011 nel quale veniva preso in esame il salmone affumicato in ritagli (Bernardi et al., 2011). Secondo Bernardi et al., (2011) infatti per garantire la presenza sul mercato di prodotti in condizioni

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26 accettabili fino alla scadenza, sarebbe opportuno attribuire una shelf-life di 40 giorni al massimo.

Altri studi hanno dimostrato come la temperatura di stoccaggio abbia un ruolo essenziale per la conservabilità del salmone affumicato a freddo.

Il primo studio è stato eseguito in Francia da Leroi et al. (1998), i quali hanno valutato le modificazioni microbiologiche, chimiche e sensoriali in salmone affumicato conservato sottovuoto a 8° C per 5 settimane. Questi Autori hanno rilevato che, benché la carica batterica totale raggiungesse valori di 3 . 106 cfu/g dopo 6 giorni, il tempo di conservabilità scaturito dall'analisi sensoriale, era addirittura di 2 o 3 settimane, affermando che non esiste una correlazione tra questi due aspetti. All'analisi sensoriale i caratteri indicatori di alterazione erano l'odore e il sapore acido, pungente e rancido, oltre che la consistenza pastosa, che si iniziavano a percepire a partire dalla seconda settimana di conservazione, mentre il colore non subiva variazioni di rilievo. La trimetilammina era invece presente solo in quantità ridotte e quindi non sembra avere un ruolo importante come indicatore di shelf-life. Dal punto di vista microbiologico, Leroi et al. (1998) hanno osservato che nelle prime 2 settimane predominavano i Gram negativi, i quali decrescevano poi progressivamente per lasciare il posto ai Gram positivi, in particolare batteri lattici (LAB), che trovano nel salmone sottovuoto, un ambiente ideale per il loro sviluppo.

In uno studio del 2002, effettuato su campioni di salmone e trota affumicati esaminati 2 settimane prima del termine di conservazione stabilito dai produttori (pari a 5 settimane), è stato confermata la predominanza dei LAB in questo tipo di prodotti (Gonzalez-Rodriguez et al., 2002). In particolare la microflora durante lo stoccaggio era: per oltre il 40 % da lattobacilli, per circa il 20 % da Enterobacteriaceae, per il 15 % da Micrococcaceae e solo per il 4-5 % da Gram negativi. Tra i vari LAB, Carnobacterium piscicola risultava la specie predominante, ma erano presenti anche L. sakei, L curvatus, L. homohiochii, L. plantarum, L.

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27 Di queste specie L.sakei, insieme a L. farciminis, è considerato uno dei principali agenti responsabili di alterazione e la sua crescita è stata associata a odori di zolfo e di acido. Altri tipi di off odors possono essere associati allo sviluppo di Brochothrix thermosphacta (odore di rancido) e di Serratia liquefaciens (Stohr et al., 2001).

Nonostante molti autori concordino sul fatto che il salmone presenti, alla fine della shelf-life, alte cariche di LAB, non è ancora chiara la correlazione tra questi ultimi e la degradazione del prodotto e quindi la durata della shelf-life (Leroi et al., 1998; Stohr et al., 2001 E’ noto infatti che i batteri lattici siano in grado di produrre sostanze interessate nel deterioramento del prodotto, quali acidi organici, H2S ed altri composti associati alla comparsa di odori

sgradevoli, ma, allo stesso tempo, sono state rilevate alte cariche di questi microrganismi ima c e i o otto ia ete io ato Di cont o a cune o e anno e i en iato c e ’uti i o i ni ina e ini i e i atte i attici o ta a un’e ten ione e a shelf-life (Leroi et al., 1998). Più recentemente Dondero et al. (2004), hanno a utato ’inf uen a e a tem e atu a i stoccaggio sulla shelf-life di salmone affumicato a freddo confezionato sottovuoto. A tale scopo sono stati valutati parametri microbiologici, chimici e sensoriali in salmone conservato a 0°, 2°, 4°, 6° e 8° C per 46 giorni. In questa ricerca l'ABVT, la trimetilammina, il valore K, la carica batterica aerobica ed anaerobica e i LAB hanno mostrato una correlazione significativa con tempo e temperatura di conservazione e con la qualità sensoriale. L'ipoxantina, le amine biogene, le muffe e i lieviti non si sono invece dimostrati indicatori utili per la determinazione della shelf-life perchè non correlati alla qualità sensoriale. I risultati ottenuti in acco o con ’ana i i en o ia e anno e i en iato una i e a durata della

shelf-life secondo la temperatura di stoccaggio: si passa da 26 giorni a 0° C a 7 giorni a 8° C

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3. Scopo della tesi

La presente tesi si pone come scopo la valutazione della shelf-life del filetto di ombrina affumicato a freddo e confezionato sottovuoto prodotto in un’a ien a e a provincia di Grosseto. Il TMC (termine minimo di conservazione) di tale prodotto è stato stabilito empiricamente dal produttore a 90 giorni, basandosi sui dati storici e sulle tecniche tradizionali di produzione ma, non esistendo studi specifici in materia, ’a ien a ha ritenuto necessario svolgere degli studi di shelf-life mirati a confermare questa durata, anche perché il produttore stesso ha evidenziato una modificazione delle caratteristiche organolettiche durante questo tempo di conservazione.

La valutazione della shelf-life è stata effettuata verificando ’e o u ione ei a amet i microbiologici, fisico-chimici e sensoriali per un periodo di 95 giorni di conservazione in abuso termico (8°C) e 120 giorni in condizioni standard di refrigerazione (3°C).

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4. La produzione del filetto di ombrina affumicato

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30 L’a ien a toscana si rifornisce di ombrina decapitata ed eviscerata, congelata in IQF, proveniente dalla zona FAO 34 (Oceano Indiano) A ’a i o i o otto imme iatamente controllato per quanto riguarda aspetto, rispetto delle norme igieniche e della catena del freddo; essendo un prodotto congelato non viene eseguito il controllo visivo per il parassita

Anisakis spp. in quanto già inattivato. L’om ina viene quindi stoccata in una cella a -25° C

dove rimane fino al momento della lavorazione. Prima della lavorazione, il pesce viene posto in cassette in plastica forate in modo da permettere lo sgrondamento durante lo scongelamento, che a iene in un’a o ita cella refrigerata, settata a 10° C, in cui viene monitorata la temperatura a cuore del prodotto grazie ad una sonda rilevatrice.

Al raggiungimento di 0° C a ’inte no e o otto, si considera terminato lo scongelamento e la temperatura della cella si abbassa automaticamente a temperature comprese tra 0° e +4° C per la conservazione del pesce.

Fig. 2 - Ombrina decapitata, eviscerata scongelata

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31 Una o ta con e ata ’om ina a a ne a sala della lavorazione primaria in cui avvengono le fasi di squamatura e sfilettatura e si procede al risciacquo dei filetti in acqua corrente. Tutte queste fasi di lavorazione devono avvenire a temperature non superiori ai 12° C.

I filetti così ottenuti vengono poi immediatamente salati. La salagione viene eseguita a secco, alternando strati di sale e di pesce in cassoni di plastica tenuti a ’inte no i una tan a climatizzata per ci ca un’ora e mezzo; la durata del tempo di salagione dipende dalla pezzatura del prodotto. Per valutare se il filetto ha raggiunto il giusto grado di salinità, si utilizza un salinometro, strumento che misura la conducibilità elettrica e dà un indice e ’a eti i it e o otto in gradi salinometrici. Tale parametro, che deve essere intorno ai 60°, risulta utile per il controllo della qualità del prodotto, indicando la sapidità raggiunta dal filetto.

A questo punto i filetti possono essere risciacquati e infilzati su spiedi che saranno poi agganciati su carrelli di acciaio. I carrelli vengono quindi spostati ne ’e iccato e o e avviene il processo di essiccazione suddiviso in 3 fasi, ciascuna con determinati valori di temperatura e umidità relativa, che per rispetto del segreto industriale non vengono riportati. Possiamo però indicare che il processo di essiccazione prevede dei valori di temperatura che decrescono al conseguirsi delle 3 fasi, con circa 2° C i iffe en a t a ’una e ’a t a e a o i i umi it e ati a che aumentano tra la prima e la seconda fase, per poi mantenersi costanti dalla seconda alla terza fase.

L’e a o a ione e ’ac ua contenuta a fi etto avviene fino a che la temperatura del pesce è inferiore a quella e ’am iente e fino a c e ’umi it e ati a è invece superiore: la differenza di temperatura indica infatti c e ta a enen o un’e a o a ione, con conseguente sottrazione

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32 i ca o e atente nece a ia a cam iamento i tato e ’ac ua I te mine e oce o i essiccazione corrisponde quindi al raggiungimento di una stessa temperatura tra ambiente e filetto e, per valutare che ciò sia avvenuto, è utile misurare la temperatura interna del o otto I te mine e ’e icca ione viene fatto corrispondere inoltre al raggiungimento di un grado salinometrico pari a 80°, che rappresenta anche il grado salinometrico finale del filetto, poichè ’affumicatu a non modifica in maniera sostanziale la concentrazione del sale nella fase acquosa del muscolo.

A a fine e ’e icca ione c e u a com e i amente 2 io ni i o otto a a in un affumicatore alimentato da un generatore in cui vengono bruciati trucioli di faggio, aromatizzati con alloro e rosmarino, che conferiscono il colore e ’aroma tipici al prodotto.

Anche in questo caso viene impostata la temperatura tramite un sistema computerizzato e monitorata grazie allo stesso. Il processo prevede il mantenimento di temperature di 24-26° C per 2 ore.

Al termine del processo di affumicatura, i filetti vengono posti in un abbattitore di temperatura nel quale la loro temperatura scende sotto i 10° C in circa 30 minuti. I filetti subiscono quindi i processi di porzionatura, nettatura e spinatura, che vengono effettuati a mano, ed il confezionamento sottovuoto grazie ad una macchina termo-formatrice ULMA che utilizza due film flessibili e termoformabili (combiflex). Questi film sono costituiti da poliammide orientata e polietilene (OPA/PE) in multistrato ad alta barriera verso ossigeno, Fig. 6 - Spinatura

(36)

33 azoto e anidride carbonica, caratteristica essenziale per garantire la conservazione sottovuoto. Il film superiore è quello autosaldante e presenta uno spessore pari a 85 μm ment e i fi m infe io e fa a u o to e a uno e o e ma io e a i a 140 μm

Il prodotto finito presenta una perdita peso teorica pari a circa il 38% del peso iniziale.

Una o ta a icata ’etic etta, il prodotto è pronto per essere commercializzato e viene quindi stoccato in una cella ad una temperatura di 0°/4° C, che dovrà essere rispettata anche durante il trasporto per garantire la continuità della catena del freddo..

Come accennato precedentemente, il produttore ha stimato empiricamente per il filetto di ombrina affumicato a freddo una shelf-life di 90 giorni.

Come previsto, anche in questa azienda è presente un piano di autocontrollo secondo il metodo HACCP. Nell’inte o oce o produttivo vengono considerati punti critici di controllo (CCP) solo il trasporto e lo stoccaggio che rappresentano le uniche fasi in cui è possibile effettuare la registrazione e il controllo dei parametri previsti, oltreché un’a ione co etti a efficace.

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34

5. Materiali e metodi

5.1. Parametri e piano di campionamento

La valutazione della shelf-life del filetto di ombrina affumicato è stata effettuata su 3 lotti di prodotto a partire da novembre 2013 fino a giugno 2014.

Per tutti i campioni dei tre lotti sono stati valutati i seguenti parametri microbiologici: - Carica batterica mesofila totale (CBTm)

- Carica batterica psicrofila totale (CBTp) - Batteri lattici

- Enterobacteriaceae - Escherichia coli

- Microrganismi produttori di H2S

- Listeria monocytogenes

I parametri fisico-chimici considerati sono: - aw

- pH

- ABVT (Azoto Basico Volatile Totale) - TMA ( Trimetilammina)

- TBARs (ThioBarbituric Acid Reactive Substances) - Tenerezza

- Colore

Infine tata e e uita ’ana i i sensoriale comprendente la valutazione di - Aspetto

- Odore - Sapore

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35 - Consistenza

Le analisi sono state eseguite sia sulla materia prima (filetto di ombrina scongelato) (O), sia sul prodotto finito (T) conservato in adeguate condizioni di temperatura (0/+4° C) (R) e in condizioni di abuso termico (+6°/+8° C) (F); ’ana i i en o ia e è stata svolta sul prodotto finito ai diversi tempi di conservazione. Ogni prova è stata eseguita su 3 unità di prodotto, per un totale di 30 unità per ogni lotto di produzione, secondo il piano di campionamento riportato in Tab. 3.

Fasi della shelf-life del prodotto in cui eseguire le prove

Temperatura di conservazione dei

campioni (lotti A,B,C) 1. Materia prima (filetto scongelato: O)

2. Inizio shelf-life (Tempo zero: T0)

3. Metà shelf-life (dopo 45 giorni: TH) 3±1°C

THR

7±1°C THF

4. Fase intermedia 1 (dopo 60 giorni: T1) 3±1°C

T1R

7±1°C T1F

5. Fine shelf-life (dopo 90 giorni: TE) 3±1°C

TER

7±1°C TEF 6. Oltre la shelf-life prevista, in condizioni di

abuso (dopo 95 giorni: TE1)

7±1°C

7. Oltre la shelf-life prevista, in refrigerazione (dopo 112 giorni: TE2)

3±1°C

Tab. 3 – Piano di campionamento

I vari parametri microbiologici sono stati valutati su tutti le unità di prodotto, mentre per quanto riguarda i parametri chimico-fisici e sensoriali, le analisi si sono svolte come riportato in Tab. 4.

Campione Aw pH ABVT TMA TBARS Colore Tessitura Sensoriale

Materia prima X X X X T 0 X X X X X X X X T 45 X X X X X X X X T 60 X X X X X X X X T 90 X X X X X X X X T 95 X X X X X X X X T 112 X X X X X X X X

(39)

36

5.2. Analisi microbiologiche

5.2.1. Preparazione dei campioni

Per tutte le analisi microbiologiche, salvo la ricerca di L.monocytogenes, un campione di 25 g prelevato sterilmente da ciascuna unità di

prodotto, sia per la materia prima che per il prodotto finito ai diversi tempi di conservazione, è stato addizionato a 225 ml di Maximum Recovery Diluent (MRD) (Oxoid Ltd., Basingstoke, UK) e poi omogeneizzato in Stomacher 400 Circulator (PBI International, Milano-Italia) per 30 secondi.

A a ti e a ’omogeneizzato, che rappresenta la diluizione 1:10, sono state allestite, con il medesimo diluente, le ulteriori diluzioni seriali in base 10.

5.2.2. Carica batterica mesofila totale e Carica batterica psicrofila totale

La CBTm e la CBTp sono state eseguite tramite semina per inclusione di 1 ml di ciascuna diluizione in terreno PCA (Plate Count Agar) (Oxoid Ltd., Basingstoke, UK).

Le piastre sono state poste ad incubare a 30° C per 3 giorni nel caso della CBTm e a 7°C per 10 giorni per la CBTp.

A te mine e ’incu a ione tata e e uita a

conta delle colonie prendendo in

considerazione la diluizione che, seminata sulle piastre, ha dato luogo alla crescita di colonie in numero compreso tra 30 e 300.

Fig. 9 - Piastre Petri con PCA in solidificazione

Figura

Fig. 1 - Diagramma di flusso filetto di ombrina affumicato a freddo
Fig. 6 - Spinatura
Tab. 4 - Piano analisi fisico-chimico-sensoriali
Fig. 12 - Colorimetro Minolta CR300
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