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Caratteristiche paleomagnetiche e stratigrafiche dei depositi piroclastici saldati dell'Isola di Vulcano (Isole Eolie) degli ultimi 80.000 anni

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze della Terra

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche

Tesi di Laurea

Caratteristiche paleomagnetiche e stratigrafiche dei

depositi piroclastici saldati dell’isola di Vulcano

(Isole Eolie) degli ultimi 80.000 anni

Relatore:

Prof. Mauro Rosi

Correlatori: Dott. Marco Pistolesi

Dott. Fabio Speranza

Candidato:

Ilaria Tubia

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“To strive, to seek, to find, and not to yield.” (Alfred Tennyson)

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RIASSUNTO

L'isola di Vulcano è la sommità esposta di un edificio vulcanico situato nel settore più meridionale dell'arcipelago delle Isole Eolie. L’attività eruttiva è iniziata circa 127 ka fa e si può dividere in otto principali epoche eruttive, separate da stadi di quiescenza di variabile durata.

Il presente lavoro di tesi è focalizzato sullo studio paleomagnetico e stratigrafico dei principali livelli di scorie saldate affioranti sull’isola. In particolare, il paleomagnetismo è stato utilizzato come strumento di possibile correlazione per i depositi degli ultimi 80 ka, la cui posizione cronostratigrafica è stata a lungo dibattuta in letteratura.

Nello specifico, esistono delle sostanziali differenze tra la recente carta geologica dell’isola di Vulcano (De Astis et al., 2013), in cui vi è una bipartizione areale e temporale delle unità cartografiche, e il precedente documento (Keller, 1980) in cui la maggior parte delle formazioni caratterizzate da depositi di scorie saldate (ad es. Punta Luccia, Spiaggia Lunga e Quadrara) erano contrassegnate come un'unica unità cartografica e quindi appartenenti alla stessa eruzione.

Lo scopo degli studi paleomagnetici è quello di misurare la direzione ed intensità della magnetizzazione rimanente acquisita da ogni unità vulcanica subito dopo la sua messa in posto, durante il raffreddamento al di sotto dei 580°C (temperatura di Curie della magnetite). Poiché è noto da misure geomagnetiche e paleomagnetiche che la direzione ed intensità del campo magnetico terrestre hanno subito variazioni significative nel tempo (paleo-variazione secolare o PSV del campo geomagnetico), è possibile valutare la correlazione di due o più unità vulcaniche a seconda della corrispondenza (o non-corrispondenza) delle direzioni paleomagnetiche misurate nelle unità stesse. Inoltre, comparando i dati paleomagnetici con curve di riferimento di letteratura che mostrano la PSV degli ultimi 14 ka, è possibile limitatamente all’Olocene fornire anche una datazione paleomagnetica delle unità in esame.

Durante il lavoro di campagna (giugno 2018) sono stati raccolti in totale 208 campioni orientati in 14 differenti siti appartenenti a 7 distinte unità cartografiche.

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Partendo dalla più recente e andando verso quella più antica, sono state campionate Monte Saraceno, Quadrara, Spiaggia Lunga, Monte Molineddu 3, Punta Luccia, Piano di Luccia e Monte Aria, denominate sulla base della cartografia di De Astis et al. (2013). Il campionamento è avvento tramite la perforazione con un carotiere portatile raffreddato ad acqua. I campioni sono stati poi orientati in situ, prima dell’estrazione, tramite una bussola solare e magnetica e successivamente analizzati nel laboratorio di paleomagnetismo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Roma. Sono state inoltre effettuate analisi per la definizione della mineralogia magnetica tramite lo studio delle curve termomagnetiche e cicli di isteresi.

I risultati ottenuti sui depositi di scorie saldate degli ultimi 80 ka anni sono stati utilizzati per discutere la loro eventuale correlazione magnetica, la loro dinamica eruttiva e per valutarne le implicazioni con eventuali processi caldera-forming. In un caso, cioè per l’unità di Monte Saraceno, è stato possibile anche ottenere un’età paleomagnetica assoluta, che è di circa 8 ka e sostanzialmente in accordo con la precedente datazione K/Ar (De Astis et al., 1989).

I risultati delle analisi paleomagnetiche sembrano supportare l’ipotesi che i depositi di scorie saldate analizzati si siano messi in posto in tempi leggermente differenti. Le varie unità presentano infatti inclinazioni e declinazioni dissimili, registrando quindi differenti direzioni del campo magnetico terrestre al momento della loro messa in posto e raffreddamento.

Sulla base di considerazioni vulcanologiche (dispersione areale degli spatter saldati), il processo di eruzione e messa in posto non risulta però compatibile con un’attività di tipo stromboliano da una bocca eruttiva singola, che avrebbe formato invece un piccolo cono di scorie in prossimità della bocca stessa. L’elevata dispersione areale richiede piuttosto un evento esplosivo (o una serie di eventi) a grande scala e la possibile apertura di più bocche eruttive. Questo potrebbe spiegare, inoltre, la formazione della caldera più recente presente sull’isola (caldera de La Fossa), che alcuni lavori avevano ipotizzato esser dovute a meccanismi di formazione diversi, come ad esempio un’origine puramente tettonica quale risultato di processi estensionali di “pull-apart” (Ventura, 1994). La formazione della

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caldera potrebbe quindi essere legata a più eventi a grande scala, avvenuti anche in tempi leggermente diversi, che hanno portato alla messa in posto dei depositi di scorie saldate studiati.

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ABSTRACT

The island of Vulcano is the exposed summit of a volcanic edifice sited in the southern-most sector of the Aeolian Archipelago. The eruptive activity started at c. 127 ka and can be divided into eight major eruptive epochs, separated by quiescent stages of variable duration.

This thesis is focused on the paleomagnetic and stratigraphic study of the main welded scoriae deposits cropping out on the island. In particular, paleomagnetism can be a useful correlative tool for the deposits of the last 80 ka, whose chronostratigraphic position has long been debated in the literature. Specifically, there are substantial differences between the recent geological map of the island of Vulcano (De Astis et al., 2013), where these cartographic units are separated spatially and temporally, and the previous geological document (Keller, 1980), in which most of the welded scoriae deposits (e.g. Punta Luccia, Spiaggia Lunga and Quadrara Formations) were marked as a single cartographic unit, and hence belonging to the same eruption. The purpose of the paleomagnetic investigations is to measure the direction and intensity of the remnant magnetization, acquired by each volcanic unit immediately after its placement, during cooling below 580°C (magnetite Curie temperature). Since it is known from geomagnetic and paleomagnetic measurements that the direction and intensity of the Earth's magnetic field have undergone significant changes over time (paleo-secular variation or PSV of the geomagnetic field), it is possible to assess the correlation of two or more volcanic units depending on the correspondence (or non-correspondence) of the paleomagnetic directions measured in the units themselves. Moreover, by comparing the paleomagnetic data with literature reference curves that show the PSV of the last 14 ka, it is possible - only for the Holocene - to provide a paleomagnetic dating of the units. During the field work (June 2018) a total of 208 samples were collected and oriented in 14 different sites belonging to 7 distinct cartographic units. Starting from the most recent and going to the oldest, Monte Saraceno, Quadrara, Spiaggia Lunga, Monte Molineddu 3, Punta Luccia, Piano di Luccia and Monte Aria (named based on the cartography of De Astis et al., 2013) were sampled. The paleomagnetic samples are collected by

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using a water-cooled portable drill. The samples were then oriented in situ, before extraction, using a sun and magnetic compass and subsequently analyzed in the paleomagnetism laboratory of the National Institute of Geophysics and Volcanology (INGV) in Rome. Thermomagnetic curves and hysteresis cycles were also performed for the definition of magnetic mineralogy of the sampled volcanics.

The results obtained on the welded scoriae deposits of the last 80 ka were used to discuss their possible magnetic correlation, their eruptive dynamics and to evaluate their implications with any possible caldera-forming processes. In one case, for Monte Saraceno formation, it was also possible to obtain an absolute paleomagnetic age, which is about 8 ka and substantially in accordance with the previous K/Ar dating (De Astis et al., 1989).

The paleomagnetic results corroborate the hypothesis that the investigated welded scoriae deposits were produced during distinct periods of volcanic activity separated by short periods of time. In fact, the various units present dissimilar inclinations and declinations, thus recording different directions of the Earth's magnetic field when they are put in place and cooled.

Based on volcanological considerations (areal dispersal of the welded spatters), both the eruption and the emplacement mechanisms are not compatible with a strombolian activity from a single vent, which instead would have formed a small scoria cone near the vent itself. The high areal dispersal requires rather a large-scale explosive event (or a series of events) and the possible opening of more eruptive vents. This could also explain the formation of the most recent caldera on the island (La Fossa caldera), which some studies had hypothesized to be due to different formation mechanisms, such as a purely tectonic origin result of extensional processes of "pull-apart" (Ventura, 1994). The formation of the caldera could therefore be linked to several large-scale events, also occurred in slightly different times, which led to the placement of the studied welded scoriae deposits.

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Indice

1. Introduzione 1

2. Geologia delle Isole Eolie 4

2.1. Inquadramento geologico e strutturale delle Isole Eolie 4

2.2. Il vulcanismo delle Isole Eolie 8

2.3. Storia eruttiva di Vulcano 9

2.3.1. I periodo (unità informale Paleo-vulcano) 9

2.3.2. II periodo (sintema Casa Grotta dell'Abate) 10

2.3.3. III periodo (sintema Scoglio dell'Arpa) 11

2.3.4. IV periodo (sintema Rio Grande) 12

2.3.5. V periodo (sintema Piano di Vulcano) 15

2.3.6. VI periodo (sintema Serra delle Felicicchie) 18

2.3.7. VII periodo (sintema Vallonazzo, subsintema Menichedda) 21 2.3.8. VIII periodo (sintema Vallonazzo, sub-sintema Porto di

Levante) 23

3. Metodi 27

3.1. Paleomagnetismo 27

3.1.1. Campo magnetico terrestre 28

3.1.2. Proprietà magnetiche della materia 30

3.1.3. I domini ferromagnetici 33

3.1.4. Minerali magnetici 34

3.1.5. Tipi di magnetizzazione 36

3.1.6. Curve di variazione secolare del campo geomagnetico 39

3.1.7. Datazione paleomagnetica 41

3.1.7.1. Funzionamento del programma di datazione

paleomagnetica 42

3.2. Criteri e tecniche di campionamento 44

3.3. Strumenti di laboratorio 47

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3.3.1.1. Magnetometro criogenico 2G 48

3.3.1.2. Smagnetizzazione per campo alternato (AF) 49

3.3.1.3. Smagnetizzazione termica (TH) 51

3.3.2. Metodi per l’identificazione dei minerali magnetici 52

3.3.2.1. Misura della suscettività magnetica 52

3.3.2.2. Curve termomagnetiche 52

3.3.2.3. Studio delle curve di isteresi 54

3.4. Preparazione dei campioni 55

3.5. Analisi e rappresentazione grafica dei dati 57

4. Risultati 61

4.1. Campionatura 64

4.1.1. Formazione Monte Saraceno 64

4.1.2. Formazione Quadrara 69

4.1.3. Formazione Spiaggia Lunga 71

4.1.4. Formazione Monte Molineddu 3 75

4.1.5. Formazione Piano di Luccia 76

4.1.6. Formazione Punta Luccia 77

4.1.7. Formazione Monte Aria 78

4.2. Dati paleo magnetici 79

4.2.1. Formazione Monte Saraceno 88

4.2.2. Formazione Quadrara 93

4.2.3. Formazione Spiaggia Lunga 97

4.2.4. Formazione Monte Molineddu 3 102

4.2.5. Formazione Piano di Luccia 105

4.2.6. Formazione Punta Luccia 108

4.2.7. Formazione Monte Aria 111

5. Discussione dei dati 114

6. Conclusioni 129

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1. Introduzione

Nelle isole vulcaniche è comune riscontrare la presenza di strutture sommitali, sub-circolari, di grandi dimensioni, sia in vulcani caratterizzati da attività effusiva di tipo basaltico (vulcani a scudo), sia in vulcani dominati da attività esplosiva che eruttano magmi di tipo intermedio e/o evoluti (strato-vulcani). Nelle isole caratterizzate da vulcanismo esplosivo è tuttavia disagevole quantificare il volume di possibili eruzioni caldera-forming perché la grande maggioranza dei prodotti vulcanici eruttati in modo esplosivo viene dispersa in mare e non è quindi facilmente computabile. Alcuni depositi associati alla formazione di caldere esplosive sono stati descritti in passato come particolarmente utili al riconoscimento di eruzioni caldera-forming avvenute in isole vulcaniche in quanto tali depositi tendono a lasciare tracce significative anche in prossimità alla zona di emissione e quindi anche nelle parti subaeree delle isole. Questi depositi sono i cosiddetti depositi di lag-breccia o lithic-lag-breccia co-ignimbritica (Druitt & Sparks 1982; Walker 1983; Druitt and Bacon 1986; Branney & Kokelar 2002) e i depositi di scorie saldate che spesso si ritrovano associati ai depositi di breccia piroclastica co-ignimbritica (Mellors e Sparks, 1991). Utilizzando questo tipo di evidenza vulcanologica diversi autori hanno stabilito legami tra depositi di scorie saldate presenti su isole vulcaniche e grandi eruzioni caldera-forming. Ad esempio, Allen (2005) ha studiato la sequenza di depositi piroclastici di Siwi, eruttata nel Quaternario durante la formazione di una caldera ampia 4 km, sul margine orientale di Tanna, un vulcano di arco insulare a sud di Vanuatu, giungendo alla conclusione che la combinazione di spatter e clasti pomicei altamente vescicolati, insieme a significativi volumi di clasti litici derivati dal condotto, è stato prodotto da un insieme di meccanismi di frammentazione che accompagnato l’eruzione caldera-forming. Depositi piroclastici ricchi in scorie saldate, associati a depositi di breccia co-ignimbritica, non sono però unici dei vulcani di Vanuatu. Ad esempio, essi sono stati riconosciuti anche nei depositi mediali di flusso piroclastico su St Kitts (Roobol et al., 1987), sul vulcano di Sumisu nell’arco di Izu-Bonin (Tani K. et al., 2008) e nei Campi

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Flegrei (Rosi et al., 1996), dove l'associazione di scorie saldate e brecce ricche in litici trovata nei depositi prossimali dell'eruzione è molto simile a quella descritta da Mellors e Sparks (1991) a Santorini, e in altri vulcani insulari del Mar Egeo come Nisyros (Francalanci et al., 1995) e Kos (Allen, 2001).

L'isola di Vulcano presenta due differenti caldere: la caldera del Piano, che tronca il cosiddetto "Vulcano Primordiale" e si trova nella parte più meridionale dell'Isola e la caldera de La Fossa, più settentrionale, che ha largamente distrutto l'edificio di Lentia-Mastro Minico circa 14 mila anni fa e che contiene il cono La Fossa, formatosi negli ultimi 5500 anni. Entrambe le caldere hanno forma sub-circolari e diametro rispettivamente di 2,5 e 3 km.

Una prima anomalia riscontrabile in letteratura è che, nonostante le due strutture appaiano ben spiegabili come risultato di sprofondamenti conseguenti alla locale evacuazione esplosiva di grandi volumi di magma, ad oggi nessun deposito di eventuali eruzioni caldera-forming è stato identificato. Per spiegare questa anomalia alcuni lavori hanno ipotizzato meccanismi di formazione atipici, come ad esempio un’origine puramente tettonica, risultato di processi estensionali di “pull-apart” (Ventura, 1994).

Una seconda anomalia riscontrabile nella recente carta geologica dell’isola di Vulcano (De Astis et al., 2006), risulta da una netta bipartizione areale delle unità cartografiche che è contrastante con il precedente documento geologico realizzato da Keller (1980), in cui ad esempio le formazioni di Punta Luccia, Quadrara e Spiaggia Lunga erano contrassegnate come un'unica unità cartografica e quindi appartenenti alla stessa eruzione.

Stante una diversa correlazione stratigrafica dei depositi generalmente ascrivibili alla categoria di depositi di scorie saldate da parte delle due carte geologiche che porta ad una conseguente diversa interpretazione vulcanologica data da Keller (1980) e De Astis et al. (2013), il lavoro è consistito nel sottoporre a verifica la correlazione tra alcuni depositi piroclastici saldati dell'isola di Vulcano (unità di scorie saldate) sulla base della loro impronta magnetica. I depositi di scorie saldate studiati appartengono a più eruzioni e hanno, secondo la letteratura, età comprese tra 80.000 e 8.000

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anni.

Gli esiti del lavoro di verifica della correlazione magnetica dei depositi di scorie saldate degli ultimi 80.000 anni di Vulcano sono stati inoltre utilizzati per discutere, in un caso (l’unità più giovane) l’età paleomagnetica dell’eruzione, e per tutte le eruzioni la loro dinamica eruttiva e per valutarne le implicazioni con eventuali processi caldera-forming.

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2. Geologia delle Isole Eolie

2.1. Inquadramento geologico e strutturale delle Isole Eolie

L’arcipelago delle Eolie (Fig. 1) è un arco vulcanico attivo costituito da sette principali isole vulcaniche (Alicudi, Filicudi, Salina, Lipari, Vulcano, Panarea e Stromboli) e da sette seamount (Lametino, Alcione, Palinuro, Marsili, Sisifo, Enarete, Eolo), che formano una struttura approssimativa ad anello.

L'arco Eoliano è localizzato sulla scarpata continentale sud-orientale della piana abissale Tirrenica, su una sottile crosta continentale di circa 15-20 km di spessore (De Rosa et al., 2013, Peccerillo 2005, Francalanci et al., 2004).

L'età del vulcanismo varia da 1,3 Ma ad oggi (De Rosa et al., 2013, Francalanci et al., 2004), in particolare l'attività vulcanica sub-aerea ha avuto luogo interamente durante il Quaternario, da circa 400 ka ad oggi (Peccerillo, 2005).

Figura 1 Mappa dell'Arcipelago Eoliano con le isole e i seamounts, Mar Tirreno

meridionale, Italy. CA = serie calc-alcalina; HKCA = serie cal-alcalina alta in K; SHO = serie shoshonitica; KS = serie potassica (Francalanci et al., 2007).

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L'isola di Vulcano (Fig. 2) è la sommità esposta di un edificio vulcanico, situato nel settore più meridionale dell'arcipelago delle Eolie (De Astis et al., 2013; Ventura, 1994). Collocata nel bacino Tirreno del Mar Mediterraneo occidentale, l'isola ha una superficie di 21,2 , una Latitudine media di 38°23' N ed una Longitudine media di 14°58' E.

L'intero edificio di Vulcano si innalza dalla superficie locale del fondale (c. 1000 m) fino all'altezza massima di 499 m s.l.m. del Monte aria. È quasi collegato al vicino complesso di Lipari, da cui è separato solo da un corpo d'acqua poco profondo (Bocche di Vulcano) alla profondità di c. 50 m s.l.m.. I fianchi sottomarini hanno gradienti medi che variano tra 30° e pochi gradi verso le acque profonde (De Astis et al., 2013).

Insieme agli edifici di Lipari e Salina, Vulcano forma una cintura vulcanica con trend NNW-SSE che attraversa l'arcipelago nel suo settore centrale, lungo il sistema tettonico strike-slip Tindari-Letojanni (Fig. 1). Di conseguenza, il pattern strutturale di Vulcano è dominato dal principale sistema di faglie con trend da NW-SE a NNW-SSE, che è l'espressione superficiale del sistema Tindari – Letojanni (De Astis et al.,2013).

Figura 2 Isola di Vulcano

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Alcuni autori considerano il magmatismo eoliano come correlato all'ancora attiva subduzione della placca Ionica al di sotto dell'arco Calabro (Fig. 1) (Francalanci et al., 2004). L'affinità geochimica orogenetica di queste rocce e il verificarsi di una profonda sismicità (fino a 550 km) al di sotto del Tirreno meridionale ha portato, infatti, molti autori ad interpretare il vulcanismo eoliano come legato ad un contesto di subduzione, fortemente correlato e probabilmente dipendente dalle caratteristiche locali della litosfera e dal relativo regime tettonico (De Rosa et al., 2013; Peccerillo 2005; Francalanci et al., 2007).

Un’ipotesi alternativa propone il vulcanismo eoliano come il risultato di un uplift astenosferico correlato allo strain estensionale post-subduzione, determinato dall'apertura del Mar Tirreno (Francalanci et al., 2004; Francalanci et al., 2007). L’assottigliamento crostale e l’accrezione oceanica hanno interessato l’area Tirrenica dal Miocene medio-superiore, con una migrazione verso Est (Fig. 1), e la prima produzione di crosta oceanica si è verificata durante l’apertura pliocenica del bacino del Vavilov (Francalanci et al., 2007).

L'arco Eoliano è costituito da tre settori principali, ognuno dei quali mostra differenti caratteristiche magmatiche, vulcaniche e strutturali:

1. Il settore occidentale comprende le isole di Alicudi e Filicudi, dove il vulcanismo si è sviluppato lungo un sistema di faglie con trend W-E, tra circa 0,4 Ma e 13 ka. L'attività sismicità è ristretta ai primi 20 km e la composizione delle rocce vulcaniche è tipicamente calc-alcalina, con dominanza di rocce mafiche ed intermedie (Peccerillo, 2005).

2. Il settore centrale comprende le isole di Salina, Lipari e Vulcano, sviluppatesi lungo la struttura NNW-SSE "Tindari-Letojanni", interpretata da alcuni (Locardi & Nappi, 1979; Mazzuoli et al., 1995; Ventura 1994, 1995, 2013; Lanzafame & Bousquet, 1997; Ventura et al., 1999; De Astis et al., 2003)

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come una faglia strike-slip destra che si estende dall'isola di Salina alla Sicilia continentale e alla scarpata di Malta. L'attività esposta nell'arco centrale ha un'età più giovane di circa 0,2 Ma, ed è caratterizzata da colate laviche e rocce piroclastiche che hanno costruito grandi strato-vulcani con caldere. La composizione delle rocce è molto più variabile rispetto al settore occidentale, con la presenza di prodotti da mafici a felsici calc-alcalini, shoshonitici e alcalino potassici. La sismicità è confinata alla crosta ed è concentrata lungo il sistema di faglia Tindari-Letojanni-Malta (De Astis et al., 1997; Peccerillo, 2005; Davì et al., 2009; De Astis et al., 2000).

3. Il settore orientale si sviluppa prevalentemente su faglie con trend NE-SW ed include le isole di Panarea e Stromboli. Le rocce hanno età più giovane di 0,2 Ma. La composizione delle rocce varia da mafica a felsica, con affinità calc-alcalina, shoshonitica e alcalino potassica. L'attività sismica è sia a livello della crosta che del mantello, con gli ipocentri dei terremoti che rivelano la presenza di un piano di Benioff con dipping NW, che raggiunge una profondità superiore ai 500 Km (De Rosa et al., 2013; Peccerillo, 2005).

Il vulcanismo attivo è limitato ai settori centrale ed orientale. A Lipari, l'ultima eruzione si è verificata nel 1200-1300 d.C., mentre a Vulcano risale al 1888-1890 d.C.. A Stromboli c'è invece una continua attività stromboliana debolmente esplosiva. Fumarole e sorgenti termali caratterizzano invece la zona sottomarina di Panarea (Peccerillo, 2005).

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2.2. Il Vulcanismo delle Isole Eolie

L’arco vulcanico eoliano mostra un ampio range di prodotti magmatici, la composizione delle rocce varia infatti da mafica a felsica e mostra un’ampia variabilità in silice (48-76 wt%). Le rocce eoliane hanno un'affinità calc-alcalina (CA), calc-alcalina alta in K (HKCA) e shoshonitica (SHO); a Vulcano e Stromboli si trovano, inoltre, alcune rocce con affinità alcalino-potassica (KS) ed alcuni seamounts hanno emesso prodotti tholeitici (Fig. 3) (Peccerillo, 2005; De Rosa et al., 2013; De Astis et al., 2000; Francalanci et al., 2007).

In particolare:

Alicudi (60-28 ka) è uno stratovulcano, da basaltico ad andesitico calc-alcalino, con piccole caldere sommitali, duomi intracalderici e colate di lava (Fig. 4).

Filicudi (400-40 ka) ha diversi coni compositi, coalescenti, da basaltici ad andesitici calc-alcalini, e duomi dacitici (Fig. 4).

Figura 3 Diagramma classificativo TAS per le rocce dell'Arco Eolico. La linea

tratteggiata è il limite tra il campo alcalino e subalcalino di Irvine e Baragar (1971) (Peccerillo, 2005).

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Salina (430-13 ka) ha diversi stratovulcani erosi, da basaltici ad andesitici calc-alcalini, sovrastati da coni andesitici e da un cratere esplosivo riolitico (Fig. 4).

Lipari (220 ka-1200-1300 d.C.) è un vulcano multicentrico formato da basalti andesitici e andesiti, calc-alcalini e calc-alcalini alti in K, seguiti da flussi di lava latitici e riolitici, duomi e rocce piroclastiche (Fig. 4).

Vulcano (120ka-1888-1890 d.C.) è un vulcano composito, con due caldere ed un piccolo scudo basaltico eccentrico (Vulcanello), formato da prodotti da basaltici ad andesitici calc-alcalini alti in K e shoshonitici, da latiti a rioliti, shoshoniti alcaline potassiche-trachiti e rioliti (Fig. 4).

Panarea (150-45 ka) è uno stratovulcano per lo più sommerso, formato da duomi e flussi di lava e piroclastiti minori, con composizione da dacitica a riolitica calc-alcalina, e minori shoshoniti (Fig. 4).

Stromboli (200 ka-presente) è uno stratovulcano con caldera sommitale, formato da lave e rocce piroclastiche da mafiche ad intermedie, con affinità calc-alcalina, shoshonitica e alcalino potassica (Fig. 4) (Peccerillo, 2005).

2.3. Storia eruttiva di Vulcano

L'età dell'attività vulcanica sub-aerea dell'isola di Vulcano va da c. 120 ka ad oggi, con l'ultima eruzione risalente al 1888-1890 d.C. (Peccerillo, 2005).

Studi vulcanologici e stratigrafici hanno permesso l'identificazione di 8 principali periodi dell'evoluzione geologica di Vulcano (De Astis et al., 2013):

2.3.1. I periodo - (unità informale Paleo-vulcano): Vulcano a scudo Capo Secco (c. 127–113 ka)

I prodotti più antichi esposti sull'isola di Vulcano affiorano nel settore occidentale dell'Isola, presso Capo Secco (Fig. 4). Consistono in una spessa successione di colate laviche shoshonitiche (formazione Punta del Rosario) caratterizzate da un'immersione della stratificazione verso l'entroterra (verso est).

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Sulla base degli angoli della stratificazione (10–15°) e l'altezza massima degli affioramenti (c. 75 m), si deduce che il cono di Capo Secco fosse un vulcano a scudo con un’elevazione di c. 150 m s.l.m.. L'attività del vulcano Capo Secco è datata a c. 127 ka (Soligo et al., 2000 (U/Th)) a 113 ka (Gillot, 1987 (K/Ar)) (De Astis et al., 2013).

2.3.2. II periodo - (sintema Casa Grotta dell'Abate): Vulcano primordiale (117–101 ka)

L'attività su Vulcano riprese dopo un periodo di quiescenza registrato nell'unconformity erosiva V1 che taglia i prodotti di Capo Secco (Fig. 4). Lo spostamento verso est del principale sistema di alimentazione ha dato luogo ad un grande stratovulcano situato nel settore meridionale dell'Isola (litosoma di Serro di Punta Lunga), chiamato "Vulcano Primordiale" da De Astis et al. (1997). Questo stratovulcano è stato costruito da una spessa successione di colate laviche alternate ad unità eruttive di fall-out di scorie saldate, di

Figura 4 A lato: mappa schematica che mostra la

distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva I e II di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva I e II di Vulcano (De Astis et al., 2013).

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composizione da andesitica basaltica alta in K a shoshonitica.

Sono state distinte due formazioni: Punta del Mortaro e Capo Grillo, separate da una minore unconformity erosiva. Queste unità riflettono fasi prolungate di attività effusiva e/o stromboliana, con alcune esplosioni idro-magmatiche. Queste successioni sono distribuite radialmente lungo i settori centro-meridionali di Vulcano, con inclinazioni medie di 30–35°, e rappresentano i fianchi esterni dell'originale stratovulcano dopo il troncamento della zona sommitale dalla struttura della caldera del Piano (collasso vulcano-tettonico vc1).

I prodotti del Vulcano Primordiale sono datati tra c. 117 ka (Soligo et al., 2000 (U/Th)) e 101 ka (Laj et al., 1997 (K/Ar)). Si pensa quindi che la caldera del Piano si sia formata a c. 100 ka, data l'età dei prodotti di pre-collasso del Vulcano Primordiale (117–101 ka) e quella delle lave post-collasso di Scoglio Conigliara (99.5 ka).

2.3.3. III periodo - (sintema Scoglio dell'Arpa): colate laviche Scoglio Conigliara (99.5 ka)

Il terzo periodo dell'attività di Vulcano si verifica dopo il collasso della caldera del Piano, che è associato ad un periodo di quiescenza registrato nell'unconformity erosiva V2 (Fig. 5). La ripresa del vulcanismo ha dato luogo ad una serie di colate laviche con composizione da basaltica shoshonitica a shoshonitica contenente leucite (formazione di Scoglio Conigliara). Esse corrispondono alle “leuciti-tefriti della Caldera del Piano” di Keller (1980). Questi flussi di lava affiorano nelle aree Scoglio Conigliara e Rio Grande e sono disposti in una stratificazione sub-orizzontale che riflette il progressivo riempimento della struttura della caldera del Piano. La loro area di origine può essere solo dedotta, poiché gli spessori medi dei flussi di lava aumentano dai bordi alla parte centrale della Caldera. Ciò suggerisce che i flussi di lava di Scoglio Conigliara siano stati emessi da vent eruttivi situati lungo faglie ad

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anello nella caldera del Piano, e poi accumulati verso il centro della depressione della Caldera. I vent erano probabilmente situati nelle aree di Scoglio Conigliara e Monte Aria. L'attività era fondamentalmente effusiva, con una fase idro-magmatica. La formazione di Scoglio Conigliara è datata a 99,5 ka da Gillot, 1987 (K/Ar) e Laj et al., 1997 (K/Ar), e dà quindi una precisa collocazione cronologica all'epoca 3. Quest’epoca è stata interrotta dal collasso vulcano-tettonico vc2, che è la prima fase della formazione a multi-stadi della caldera La Fossa e rappresenta il suo bordo sud-orientale. Questo collasso si è verificato nell'intervallo di tempo tra 99,5 ka (età delle lave di Scoglio Conigliara) e c. 80 ka (età dei prodotti post-collasso Monte Aria).

2.3.4. IV periodo - (sintema Rio Grande): Fessure Monte aria e Timpa del Corvo (c. 78 ka)

L'epoca 4 ebbe luogo dopo un lungo periodo di quiescenza ed erosione di c. 10 ka, durante il quale avvenne il suddetto collasso vc2 nel settore centrale di Vulcano (Fig. 6) (registrato nell'unconformity V3).

Il vulcanismo riprende da fessure eruttive e vent per lo più situati lungo i

Figura 5 A lato: mappa schematica che mostra la distribuzione

dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva III di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva III di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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bordi della caldera del Piano (Monte Aria e Timpa del Corvo) ed all'interno della depressione calderica (Piano di Luccia); vi è inoltre un piccolo cono-parassita formatosi lungo il suo pendio esterno (Casa Petrulla).

L'attività più importante dell'epoca 4 è quella lungo la fessura NNE – SSW situata vicino al Monte Aria, lungo il bordo sud-orientale della caldera il Piano. Questa fessura origina una successione di prodotti vulcanici da shoshonitici a basaltico-shoshonitici (formazione Monte Aria) che ricopriva il bordo della caldera del Piano. Le prime attività esplosive del Monte Aria hanno dato luogo ad una spessa successione piroclastica che corrisponde ai "Tufi Grigi Inferiori" di Keller (1980). Sono composti da depositi con stratificazione da planare ad incrociata, dovuti a PDCs idro-magmatiche diluite, intercalati con unità eruttive di fall-out stromboliane.

Una fase successiva di attività stromboliana dalla fessura del Monte Aria ha prodotto uno spesso banco di lapilli scoriacei. L'attività di Monte Aria si è poi conclusa con l'effusione di alcuni flussi di lava massiva che si propagavano all'interno della caldera del Piano e scorrevano lungo i fianchi sud-orientali del vecchio Vulcano Primordiale, raggiungendo il mare vicino a Gelso. I prodotti di Monte Aria sono datati a c. 78 ka da Gillot, 1987 (K/Ar) .

Un centro eruttivo minore, non lontano dal Monte Aria, era situato nell'area di Piano Luccia, come dedotto dalla presenza di prodotti di fall-out saldati, a grana grossa, da stromboliani ad hawaiani (formazione Piano di Luccia). Questa unità viene considerata come i depositi prossimali di una fessura con orientazione NE-SW, situata lungo il bordo della caldera del Piano. I prodotti di Piano di Luccia hanno una giacitura sub-orizzontale derivata dal riempimento della caldera del Piano, che maschera qualsiasi evidenza geometrica per la localizzazione del vent.

Sia i prodotti di Piano di Luccia che quelli del Monte Aria sono interessati dal collasso vc3, una faglia da lineare con allungamento NE-SW a leggermente curvilinea, esposta nell'area di Piano Luccia.

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situata lungo il bordo sud-occidentale della caldera del Piano, vicino a Timpa del Corvo. Questa fessura ha prodotto tre flussi di lava andesitico-basaltici alti in K (formazione di Timpa del Corvo) che hanno parzialmente riempito la depressione calderica e poi sono fluiti lungo i fianchi meridionali del Vulcano Primordiale. Nell'area vicino al vent è presente un tufo-breccia ricco in litici come risultato della fase iniziale di apertura del condotto. I flussi di lava di Timpa del Corvo sono datati a c. 78 ka da Gillot, 1989 (K/Ar), il che suggerisce che la corrispondente fessura fosse approssimativamente contemporanea con l'attività del Monte Aria.

Il secondo piccolo vent attribuito all'epoca 4 è nell'area Casa Petrulla – Punta Bandiera. L'attività stromboliana che si è verificata qui ha dato luogo ad un deposito di fall-out scoriaceo a grana grossa e ad un flusso di lava massivo (formazione Casa Petrulla), che ha costruito un piccolo cono di scorie (c. 500 m di larghezza, 50 m di altezza), la cui sezione è attualmente esposta lungo la ripida scogliera.

Figura 6 A lato: mappa schematica che mostra

la distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva IV di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva IV di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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2.3.5. V periodo - (sintema Piano di Vulcano): prodotti del Piano di riempimento della caldera (70–42 ka)

La ripresa dell'attività di Vulcano è stata caratterizzata dallo spostamento delle aperture eruttive verso NNW, lungo i bordi della caldera La Fossa (Monte Rosso, Monte Luccia) e all'interno della sua depressione morfologica (il Cardo) (Fig. 7). Attività vulcaniche minori sono avvenute all'interno della caldera del Piano (La Sommata) o lungo i suoi bordi (lave Passo del Piano). Fondamentalmente, questi vent hanno prodotto spesse successioni piroclastiche che sono largamente esposte nell'area pianeggiante del Piano, ed affiorano subordinatamente lungo i fianchi meridionali e occidentali di Vulcano. Questi prodotti rappresentano il progressivo riempimento della caldera del Piano e corrispondono in gran parte ai cosiddetti “prodotti di riempimento della caldera il Piano” di De Astis et al. (1997).

Sulla base di litologie distinte e relazioni angolari di discordanza, sono state riconosciute tre unità piroclastiche: formazioni Monte Molineddo 1, 2 e 3. La formazione Monte Molineddo 1 è costituita da prodotti piroclastici grigi con laminazione piano-parallela, mentre la formazione Monte Molineddo 2 è costituita da prodotti di cenere varicolori con laminazione da planare ad incrociata. Strati scoriacei sono intercalati all'interno di entrambe queste unità. Corrispondono rispettivamente ai "Tufi Bruni superiori" e "Tufi Varicolori" di Keller (1980). La formazione Monte Molineddo 3 consiste invece principalmente in strati scoriacei ben classati, alternati con depositi di cenere con laminazione da planare ad incrociata. Spostandosi dai bordi della caldera La Fossa verso sud-est, queste unità piroclastiche hanno una notevole diminuzione di spessore e granulometria. Si pensa quindi che abbiano avuto origine da un vent eruttivo situato all'interno dell'area della caldera La Fossa. L'attività in questo vent era fondamentalmente esplosiva e ha prodotto un'alternanza di depositi stromboliani e PDCs idro-magmatiche diluite. Con una maggiore energia si pensa che le PDCs abbiano superato l'ostacolo topografico rappresentato dalla parete orientale della caldera della Fossa,

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depositando così spesse successioni piroclastiche nell'area del Piano. Sulla base dei caratteri vulcanologici di questi depositi, si pensa che una struttura tipo cono di tufo (litosoma il Cardo) sia stata costruita all'interno della caldera La Fossa, essendo simile in termini di posizione e geometria all'odierno cono La Fossa.

Durante l'epoca 5 erano attivi anche minori vent eruttivi (Monte Rosso, Monte Luccia, Scoglio Conigliara), durante l'intervallo di tempo di 53-48 ka, che hanno dato origine a prodotti vulcanici intercalati all'interno delle suddette successioni piroclastiche che riempiono la Caldera. In particolare, si trovano sopra le formazioni di Monte Molineddo 1 e 2 e sono coperti dalla formazione di Monte Molineddo 3.

Il piccolo cono di scorie di Monte Rosso (c. 200 m di larghezza, c. 50 m di altezza) si sviluppa sul bordo orientale della caldera La Fossa da un'attività stromboliana, che produce depositi di fall-out da sciolti a saldati, con composizione basaltica shoshonitica e colori da nero a rossastro-gialli dovuti all'alterazione diffusa post-deposizionale (formazione Monte Rosso). Questi prodotti immergono verso il lato interno della caldera della Fossa e si trovano anche ad alto angolo, in discordanza angolare, sopra la corrispondente parete della Caldera. Questo supporta l'idea che il cono di scorie di Monte Rosso scorie sia stato costruito quando questo settore della caldera della Fossa esisteva già (in accordo con Keller 1980). Questo cono scorie è datato a c. 53 ka da Gillot, 1989 (K/Ar).

Un flusso di lava basaltica lobata (formazione Passo del Piano) è esposto in due affioramenti distinti: nei pressi di Monte Rosso e Scoglio Conigliara, dove assume una disposizione sub-orizzontale che non dà evidenze geometriche per un possibile vent. È nella stessa posizione stratigrafica del cono di scorie di Monte Rosso e ha età radiometrica di 52-48 ka (Gillot, 1989 e Laj et al., 1997 (K/Ar).

Un'importante attività vulcanica dell'epoca 5 si è verificata nel settore centro-orientale di Vulcano da un vent (fissurale) apertosi sopra i fianchi dell'antico Vulcano Primordiale, dove si trova Monte Luccia. I prodotti

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scoriacei da saldati a sciolti (formazione Monte Luccia) hanno composizioni shoshonitiche e caratteristiche litologiche/deposizionali legate all'attività esplosiva stromboliana-hawaiana, che ha generato depositi di fall-out. Un orizzonte ricco in litici è invece presente nella parte centrale e registra una fase impulsiva di alesatura del condotto. Zanella et al. (2001) hanno tuttavia riconosciuto un fabric magnetico omogeneo SW-NE e una foliazione ben sviluppata, che indicherebbe che l'unità scoriacea di Monte Luccia potrebbe anche essere derivata da un flusso di scorie densamente stratificato. Questo sarebbe coerente con la geometria lentiforme complessiva dell'unità. L'inizio dell'attività di Monte Luccia è stato caratterizzato da una breve fase idromagmatica che ha prodotto una sequenza di discontinue PDC diluite, che hanno deposto uno strato tufaceo a laminazione incrociata, ritrovato alla base dell'unità. L'unità Monte Luccia è datata a c. 48 ka da Gillot, 1989 (K/Ar), ed è attraversata dalla faglia di collasso vc4.

I due coni di scorie allineati NNE –SSW che si trovano all'interno del Piano, vicino alla collina La Sommata, rappresentano la possibile attività esplosiva finale dell'epoca eruttiva 5. Questi coni di scorie sono il risultato di attività lungo una fessura approssimativamente NNE – SSW, lungo la continuazione della faglia di collasso vc3. Essi consistono in lapilli scoriacei sciolti neri, da densi ad altamente vescicolati, e bombe, da attività stromboliana di fall-out (formazione La Sommata), che riflette l'arrivo di diversi impulsi di magma con composizione variabile da shoshonitica basaltica a shoshonitica.

Lo sviluppo del collasso vc4 è l'evento che probabilmente ha interrotto l'attività dell'epoca 5. Questo collasso è stato riconosciuto nelle zone di Monte Luccia e Passo del Piano e ha portato allo sviluppo del settore centro-orientale della caldera della Fossa (attraversa la vecchia faglia di collasso vc2 nella zona di Rio Grande). Il collasso vc4 disloca le unità di Passo del Piano, Monte Luccia e Monte Molineddo 3 (48 – 42 ka) ed è stato ricoperto dalle scorie di Spiaggia Lunga (24 ka, Voltaggio et al., 1994-1995 (Th/Th)) e dai tufi di Piano Grotte dei Rossi, essendosi così sviluppato nel grande intervallo di tempo compreso tra

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42 e 24 ka.

2.3.6. VI periodo - (sintema Serra delle Felicicchie): Fessure eruttive occidentali (28–21 ka)

L'epoca eruttiva 6 segue un periodo di quiescenza ed erosione registrato nell'unconformity V5 (Fig. 8). Durante l'epoca eruttiva 6 il magma era eruttato da aperture e fessure eruttive per lo più situate lungo il lato occidentale dell'isola di Vulcano (Cala di Mastro Minico, Monte Lentia, Spiaggia Lunga, Quadrara) sotto il controllo dei bordi esterni delle caldere del Piano e La Fossa. Questo ha segnalato un nuovo spostamento dei vent eruttivi, associati alla comparsa di magmi da latitici a trachitici nella storia di Vulcano, accanto alla presenza di composizioni shoshonitiche. I prodotti dell'epoca 6 si trovano generalmente lungo le scarpate occidentali e meridionali dell'isola di Vulcano sopra i Tufi Bruni intermedi-inferiori della formazione di Pianoconte.

I primi prodotti dell'epoca 6 sono esposti nella parte inferiore della

Figura 7 A lato: mappa schematica che

mostra la distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva V di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva V di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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scogliera costiera, all'estremità settentrionale di Vulcano, dove si trova Cala di Mastro Minico. La corrispondente formazione di Punta di Mastro Minico è costituita da depositi scoriacei mal classati, ricchi in litici, con depositi pomicei minori, grandi frammenti di lava degassati e xenoliti poligenici, sovrapposti da tre colate laviche massive. L'attività di questo vent è datata a c. 28 ka da Soligo et al., 2000 (U/Th).

L'attività vulcanica nel settore nord-occidentale di Vulcano continua con la messa in posto di prodotti trachi-riolitici che rappresentano la parte inferiore del duomo del Monte Lentia.

Abbiamo due distinte fasi eruttive (formazioni di Punta del Monaco e Cala del Formaggio), caratterizzate da uno scenario eruttivo ricorrente, con iniziali eruzioni da idromagmatiche a stromboliane ed effusioni tardive di duomi e colate. Queste attività sono datate a c. 28–27 ka (Soligo et al., 2000 (U/Th)).

L'attività dell'epoca 6 si spostò poi leggermente verso sud con l'eruzione della formazione di Spiaggia Lunga, un'ampio banco di scorie (fino a c. 50 m di spessore) che mantella i fianchi del vecchio Vulcano Primordiale, lungo il settore costiero tra Monte Saraceno e Spiaggia Lunga. Qui un'attività fissurale, caratterizzata da un'iniziale fase idromagmatica (PDC diluite), ha prodotto la porzione inferiore con laminazione da planare ad incrociata della formazione di Spiaggia Lunga. I depositi ricchi di litici alla base registrano la fase di apertura del condotto. L'attività si è poi evoluta con intense esplosioni stromboliane-hawaiane che hanno prodotto un banco di scorie fortemente saldato, di colore rosso-bruno

Dopo una breve quiescenza (livello epiclastico di brecce) un'altra fase stromboliana-hawaiana di fall-out, dalla fessura di Spiaggia Lunga, ha prodotto un banco di scorie superiore. Il vent eruttivo non è visibile, anche se è probabile una provenienza da una fessura eruttiva orientata NW-SE situata lungo il bordo della caldera La Fossa. L'unità Spiaggia Lunga è datata a c. 24 ka ed è interamente shoshonitica basaltica, segnando così un brusco cambiamento della composizione del magma, rispetto alla precedente

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composizione da trachitica a riolitica (quasi contemporanea) dei duomi di Monte Lentia. A sud del Monte Saraceno, i prodotti di Spiaggia Lunga sono attraversati dalla faglia di collasso vc5, che ha riattivato le faglie ad anello occidentali della caldera del Piano.

L'attività dell'epoca 6 si rinnova con la messa in posto della formazione di Quadrara. Questa è composta principalmente da prodotti scoriacei bruno-rossastri, estesi lateralmente sui fianchi meridionali dell'antico Vulcano Primordiale. Si pensa quindi che questi prodotti provengano da una fessura eruttiva situata lungo il bordo sud-occidentale della caldera del Piano vicino a Timpa del Corvo, anche se l'area di origine non è direttamente esposta. La sua attività era dominata da esplosioni stromboliane-hawaiane e ha prodotto uno spesso banco di scorie saldate di 15 m, a seguito di processi di fall-out alimentati da fontane e movimenti di flusso di scorie calde. Si pensa che l'intera unità sia il risultato di una singola eruzione avvenuta a c. 21 ka (Voltaggio et al., 1994-1995 (U/Th)). Uno strato di pomici bianche a gradazione inversa (e bombe) è presente alla base dell'unità, passando gradualmente al banco di scorie principale. Questo indica un progressivo aumento dell'intensità dell'eruzione di Quadrara. È inoltre degno di nota il fatto che le pomici basali sono trachiti che contengono K-feldspato e biotite (la composizione del magma più alcalina registrata nei prodotti dell'epoca 6), mentre il banco di scorie superiore varia da composizioni latitiche a latitiche-shoshonitiche, dalla base alla parte superiore.

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2.3.7. VII periodo - (sintema Vallonazzo, subsintema Menichedda):

Tufi Piano Grotte dei Rossi (21–13 ka)

L'epoca 7 è caratterizzata da un ulteriore spostamento dei vent attivi nella storia di Vulcano, passando dal lato occidentale verso il settore più settentrionale dell'isola, all'interno della caldera multi-fase La Fossa (La Fossa di Vulcano, Punta Roja) o lungo i suoi bordi (litosoma Monte Lentia) (Fig. 9).

Le principali attività eruttive dell'epoca 7 sono quelle che hanno portato alla messa in posto dei Tufi Piano Grotte dei Rossi (formazione Piano Grotte dei Rossi), una peculiare successione piroclastica che affiora sulla maggior parte del settore centro-meridionale di Vulcano. Sono strati massivi di medio e grande spessore, localmente laminati, e composti da cenere da marroncina a marrone-grigio. Questi sono stati prodotti da eruzioni idromagmatiche ad alta energia da uno vent eruttivo situato all'interno della caldera La Fossa, come dimostrato dal diverso spessore e dalla dimensione dei grani che diminuisce, osservata da affioramenti lungo i bordi della caldera verso i settori

Figura 8 A lato: mappa schematica

che mostra la distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva VI di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva VI di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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sud-est e sud-ovest dell'Isola. Su Vulcano, la parte antica della formazione Piano Grotte dei Rossi si trova al di sopra dei prodotti di Quadrara di c. 21 ka (Voltaggio et al., 1994-1995 (U/Th)) ed al di sotto dei duomi di Monte Lentia di c. 13 ka (Soligo et al., 2000 (U/Th)), ed è quindi connessa all'intervallo di tempo di 21 – 13 ka.

Una violenta eruzione stromboliana, registrata in uno strato di fall-out di lapilli scoriacei shoshonitici (formazione Cugni di Molinello), ha interrotto l'attività idromagmatica relativa ai Tufi di Piano Grotte dei Rossi. Questo strato di fall-out (spessore > 2m) è riconosciuto in gran parte della zona del Piano, e rappresenta un importante marker che suddivide questa successione in porzione superiore e inferiore (Tufi di Piano Grotte dei Rossi superiori ed inferiori).

Alcune attività dell'epoca 7 si sono verificate lungo il margine occidentale della caldera La Fossa e portarono allo sviluppo della porzione intermedia (e principale) del campo dei duomi Monte Lentia. Nel lasso di tempo di 15–13 ka, una serie di duomi di lava, allineati N-S, e colate di lava (allungate verso ovest), si sono messi in posto nella zona di Monte Lentia (formazione Monte Lentia). Diversamente dalle più antiche attività di Punta del Monaco e Cala del Formaggio (Epoca 6), questa nuova fase di formazione di duomi riolitici non è stata preceduta o seguita da fasi di attività esplosive.

Durante lo stesso intervallo di tempo, si sono messe in posto anche colate minori di lava trachitiche (formazione Casa Lentia) al di sopra del campo di duomi di Monte Lentia e nel settore sud-occidentale della caldera La Fossa. Questi sono stati preceduti da fasi di attività esplosive che hanno prodotto depositi di fall-out in prossimità del vent. I prodotti di Casa Lentia provengono da un vent non definito, probabilmente situato lungo il margine occidentale della caldera La Fossa, e attualmente smantellato a causa di processi di erosione e vulcano-tettonici. L'intero campo di duomi di Monte Lentia è stato infatti interessato dalla faglia di collasso vc6, che ha formato l'attuale bordo occidentale della caldera La Fossa. Il collasso vc6 ha interessato anche i prodotti di Spiaggia Lunga e ha portato allo sviluppo di

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tutto il settore occidentale della struttura calderica La Fossa.

Sulla base delle età radiometriche di 14–13 ka (Lanza et al., 2003), si deduce che le colate laviche di Punta Roia (formazione Punta Roia) sono stati eruttate durante l'epoca 7. Si tratta di una successione di colate laviche latitiche che affiorano all'uscita settentrionale della valle di Rio Grande, alla base del versante orientale del cono La Fossa. La loro area di origine è ancora incerta a causa della scarsa esposizione dell'affioramento, tuttavia, visto che le colate di lava di Punta Roia mostrano una stratificazione sub-orizzontale, si è posto il loro possibile vent eruttivo lungo il bordo sud-orientale della caldera La Fossa, nella zona di Monte Luccia. Al contrario, Keller (1980) ha proposto che le colate si siano originate dal cono La Fossa e siano fluite verso la parete della caldera La Fossa.

2.3.8. VIII periodo - (sintema Vallonazzo, sub-sintema Porto di Levante): cono La Fossa e Vulcanello (< 8Ka)

I prodotti più giovani di Vulcano (< 8 ka) sono stati eruttati da diversi vent situati lungo i margini (Monte Lentia, Monte Saraceno, Vulcanello) e

Figura 9 A lato: mappa schematica che

mostra la distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva VII di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva VII di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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all'interno (La Fossa di Vulcano e Gran Cratere di La Fossa) della caldera La Fossa (Fig. 10). Le attività di questi vent si alternavano frequentemente, generando una complessa successione vulcanica. In particolare, le ultime eruzioni dell'epoca 8 (< 6 ka), sono quelle che hanno portato allo sviluppo di Vulcanello e il cono La Fossa, che sono stati contemporaneamente attivi fino a tempi storici.

Le prime attività dell'epoca 8 si sono verificate per lo più lungo il margine sud-occidentale della caldera La Fossa, probabilmente dopo un periodo di quiescenza associato al collasso vc6 (unconformity va). Tre piccoli duomi riolitici (formazione Carabinieri), eruttati a c. 8,5 ka, lungo una fessura orientata approssimativamente N-S, sono il quarto stadio effusivo del campo di duomi del Monte Lentia. Rappresentano un volume molto limitato di magma eruttato, indicando così una progressiva scomparsa del sistema idraulico che alimentava i duomi del Monte Lentia

Quasi contemporanea con i duomi dei Carabinieri è l'attività del Monte Saraceno, datata a 8.3 ka (Gillot, 1989 (K/Ar)). Questa età fornisce un vincolo cronologico per la formazione della faglia di collasso vc6, dato che la fessura di Monte Saraceno si trovava leggermente a sud di Monte Lentia, all'incrocio tra le strutture calderiche del Piano e La Fossa. Un'attività esplosiva stromboliana-hawaiana ha caratterizzato le fasi iniziali e prodotto un banco di scorie, da saldate a non, di composizione shoshonitica (formazione Monte Saraceno). Successivamente l'attività effusiva di questo vent è registrata da una serie di colate laviche, con composizioni che vanno da shoshonitiche (aree vicino al vent) a latitiche (aree più distali).

Poco dopo l'attività del Monte Saraceno, sono state eruttate le unità più recenti della formazione Piano Grotte dei Rossi (unità Tufi Bruni Superiori), suggerendo la riattivazione dell'area sorgente situata all'interno della caldera La Fossa (litosoma La Fossa di Vulcano). Queste unità hanno un'età di 8.5 ± 0,08 ka (età 14C di 7,7 ± 0,1 ka BP, Calderoni, 1989), in base alla datazione di

frammenti di carbone incorporati. Sopra la formazione di Piano Grotte dei Rossi si riconosce la formazione Piano d'Alighieri, una successione

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vulcanoclastica tabulare che affiora nella zona generalmente pianeggiante vicino al bordo occidentale della caldera del Piano. Questa successione consiste principalmente in strati di tufi di lapilli ricchi in litici, e diffusamente alterati (e palagonitizzati), contenenti numerose impronte di foglie, intercalati a livelli pomicei minori leggermente alterati. Sia le età che i dati di campagna concorrono ad indicare che la successione Alighieri è stata depositata dopo un breve periodo di quiescenza, a seguito della messa in posto dell'ultima parte dei Tufi di Piano Grotte dei Rossi (8,5 ka). Un periodo di riposo più lungo separa questi eventi dalla continuazione dell'epoca 8, che riprende a c. 5,5 ka attraverso lo spostamento dei vents attivi nel settore più settentrionale di Vulcano.

I coni La Fossa (litosoma Gran Cratere La Fossa) e, subordinatamente, Faraglione si elevavano nel mezzo della caldera La Fossa, mentre il cono composito Vulcanello si sviluppava lungo il suo settore settentrionale. Le attività di questi nuovi centri eruttivi si sono verificate ripetutamente in alternanza da c. 5,5 ka fino ai tempi storici. La successione stratigrafica di La Fossa è descritta dalla relazione tra tre grandi suddivisioni crono-stratigrafiche informali, sulla base delle età radiometriche disponibili. La parte inferiore comprende i prodotti eruttati da c. 5,5 a 2,9 ka (formazioni Punte Nere e Grotta dei Palizzi 1), la parte intermedia va da c. 2,2 ka a 776 d.C. (formazioni Grotta dei Palizzi 2, Caruggi e Forgia Vecchia), datate da Frazzetta et al., 1984-85 (K/Ar) e De Astis et al., 1989 (K/Ar); e la parte superiore è legata ai prodotti più giovani della Fossa che hanno eruttato nel 1739 – 1890 d.C. (formazioni Pietre Cotte e Gran Cratere) (Voltaggio et al., 1995 ((Ra/Th))).

L'architettura stratigrafica di Vulcanello è invece suddivisa in una porzione inferiore, che include i prodotti eruttati a c. 1,9 ka (formazione Vulcanello 1 e 2), e una porzione superiore formata a 0,397 ka (formazione Vulcanello 3) (Voltaggio et al., 1995 ((Ra/Th); Gillot, 1987 (K/Ar).

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26 Figura 10 A lato: mappa schematica

che mostra la distribuzione dei vents eruttivi attivi (=litosomi) e caldere di collasso durante l'epoca eruttiva VIII di Vulcano. In basso: sezione geologica schematica dei prodotti vulcanici messi in posto durante l'epoca eruttiva VIII di Vulcano. De Astis et al., 2013.

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3. Metodi

3.1. Paleomagnetismo

Il paleomagnetismo è una disciplina della geofisica che studia la direzione “fossile” del campo magnetico terrestre e le sue inversioni, attraverso la misura della magnetizzazione acquisita dalle rocce al momento della loro formazione.

Nella presente tesi vengono utilizzate le direzioni paleomagnetiche di depositi piroclastici saldati, un utile strumento di correlazione – dato che la direzione del campo magnetico terrestre varia continuamente nel tempo - che fornisce importanti vincoli per la più antica storia eruttiva di Vulcano. Inoltre, il paleomagnetismo è stato utilizzato come strumento di datazione paleomagnetica per la formazione di Monte Saraceno.

Quando i magmi sono stati eruttati e raffreddano, registrano un’”immagine” istantanea delle caratteristiche del campo magnetico terrestre locale, il quale subisce nel tempo continue variazioni. La variazione direzionale e di intensità del campo magnetico - in periodi precedenti agli ultimi 400-500 anni in cui i campo è stato misurato direttamente - è chiamata “paleo- variazione secolare del campo geomagnetico” (PSV) (Speranza et al., 2004, 2006, 2008, 2010, 2012; Lanza et al., 2003; Sagnotti, 2008, Zanella et al., 2001).

Il paleomagnetismo può rappresentare uno strumento di correlazione più preciso delle datazioni Ar/Ar, le quali, nel migliore dei casi, possono dare range di errori di età poche migliaia di anni. Infatti la direzione del campo geomagnetico varia piuttosto velocemente nel tempo, dunque se le direzioni paleomagnetiche di due unità vulcaniche coincidono si può assumere che anche le loro età coincidano con un margine di errore non superiore ai 200 anni.

Tuttavia, i dati geocronologici sono fondamentali perché il paleomagnetismo non può fornire età assolute per le rocce più antiche. È possibile che due unità

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vulcaniche di differente età possano mostrare la stessa direzione paleomagnetica, perché il campo geomagnetico può rioccupare le stesse direzioni dopo alcuni secoli o millenni (Speranza et al., 2011).

3.1.1. Campo magnetico terrestre

Si ritiene che oltre il 95% del campo geomagnetico (il cosiddetto “main field”) sia originato da correnti elettriche generate all’interno del nucleo esterno fluido terrestre che producono sulla superficie terrestre un campo di geometria fondamentalmente (ma non esclusivamente) dipolare.

Una semplificazione fondamentale per alcune applicazioni del paleomagnetismo (soprattutto quelle di tipo tettonico) è quello del “geocentric axial diplole” (GAD) (Fig. 11). In questo modello la geometria del campo magnetico è uguale a quella che sarebbe prodotta da un singolo dipolo magnetico (M) posto al centro della Terra ed allineato con l’asse di rotazione. In realtà il campo geomagnetico attuale è ovviamente più complesso rispetto al modello GAD: i poli magnetici non coincidono con quelli geografici, infatti l’asse magnetico è inclinato di 11,5° circa rispetto all’asse di rotazione terrestre, e questo modello viene chiamato “Inclined geocentric dipole” (Fig. 12). I punti in cui l’asse del dipolo incontra la superficie terrestre sono detti poli geomagnetici (Butler, 1998).

Figura 11 Modello “geocentric axial

diplole”. Il dipolo magnetico M è posto al centro della Terra e allineato con l’asse di

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Il vettore del campo magnetico totale H può essere scomposto in una componente verticale ( = H sin(l)) ed una componente orizzontale ( H cos(l)); la descrizione della direzione del campo magnetico è data da due angoli: inclinazione (l), che è l’angolo verticale (=dip) tra un piano orizzontale ed H e declinazione (D), che è l’angolo azimutale tra ed il nord geografico (Fig. 13) (Butler, 1998).

Figura 12 Modello "Inclined geocentric dipole”

(Butler, 1998).

Figura 13 Descrizione della direzione del campo

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La direzione e l’intensità del campo geomagnetico cambiano nel tempo (Butler, 1998). Le variazioni temporali del campo possono esser suddivise in due grandi categorie: rispettivamente di origine interna ed esterna alla Terra. Per ciò che concerne il paleomagnetismo, è importante la variazione secolare (SV) che risulta essere completamente di origine interna alla Terra.

Le principali caratteristiche della variazione secolare osservata alla superficie terreste (negli ultimi 150 anni) sono: una diminuzione media del momento di dipolo dell’ordine dello 0,05% all’anno; una precessione verso ovest dell’asse del dipolo di 0,08° l’anno; uno spostamento del dipolo verso nord dell’ordine di 0,01° all’anno; una deriva occidentale del campo non dipolare di 0,2-0,3° all’anno, accompagnata da una possibile deriva meridionale; una variazione di intensità del campo non dipolare al tasso medio di circa 10 nT all’anno (Sagnotti et al., 1993).

3.1.2. Proprietà magnetiche della materia

Lo studio delle proprietà magnetiche della materia ha condotto ad una suddivisione di tutte le sostanze in tre grandi categorie: diamagnetiche, paramagnetiche e ferromagnetiche (Sagnotti et al., 1993).

Quando una sostanza si trova all’interno di un campo magnetico esterno acquisisce una magnetizzazione , detta anche “intensità di magnetizzazione”. Quest’ultima è direttamente proporzionale all’intensità del campo inducente tramite un fattore k che viene chiamato suscettività magnetica di volume. Nel caso in cui e siano paralleli, per ogni orientazione di , la suscettività k è esprimibile con un numero (caso isotropo) e si può scrivere la nota relazione di proporzionalità tra intensità di magnetizzazione e campo esterno: . Nel caso in cui e non siano paralleli e la suscettività magnetica è anisotropa, viene espressa con un tensore simmetrico del secondo ordine (Sagnotti et al., 1993).

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seconda del segno di k: se k<0, diamagnetici (con k generalmente < - e se k>0, paramagnetici (con ). Esistono però in natura altri materiali per i quali k non è definibile univocamente, il suo valore è molto grande e positivo e varia in modo complesso al variare di H. Questi corpi che hanno inoltre k>0 sono detti ferromagnetici (Sagnotti et al., 1993).

• Diamagnetismo

Il diamagnetismo è caratteristico di quelle sostanze che hanno tutti gli orbitali elettronici completi ed è associato alla tendenza delle cariche elettroniche atomiche di schermare parzialmente l’interno di un corpo da un campo magnetico applicato (Sagnotti et al., 1993). Le sostanze acquisiscono una piccola magnetizzazione indotta, opposta al campo H applicato e si riduce a zero quando il campo viene rimosso. Un esempio di minerale diamagnetico è il quarzo (SiO2) (Butler, 1998).

• Paramagnetismo

Il paramagnetismo è caratteristico di quelle sostanze che contengono elementi con un momento magnetico proprio. La loro tendenza ad assumere valori di k>0 è giustificata dalla tendenza generale dei momenti magnetici di ridurre al minimo la loro energia di interazione con un campo magnetico esterno, ossia di disporsi paralleli ad esso (Sagnotti et al., 1993; Butler, 1998). Come i minerali diamagnetici , la magnetizzazione si riduce a zero quando il campo magnetico viene rimosso. Un esempio di minerale paramagnetico è la

fayalite ( ) (Butler, 1998).

• Ferromagnetismo

Il ferromagnetismo è caratteristico di quelle sostanze che mostrano una magnetizzazione permanente anche in assenza di un campo magnetico esterno. Le sostanze ferromagnetiche hanno atomi con momenti magnetici,

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ma a differenza del caso del paramagnetismo, i momenti atomici adiacenti interagiscono in maniera molto forte (Butler, 1998; Sagnotti et al., 1993). La proprietà fondamentale del ferromagnetismo consiste nella possibilità di generare un campo magnetico proprio e non solo in quella di subire gli effetti di un campo esterno, come nel caso del paramagnetismo. I minerali conservano, in pratica, una memoria del campo magnetico applicato dopo la sua rimozione. Si è notato sperimentalmente, inoltre, che al di sopra di una certa temperatura (detta temperatura di Curie ( ) per le sostanze ferromagnetiche e temperatura di Néel per le antiferromagnetiche), caratteristica di ogni sostanza, la magnetizzazione spontanea del materiale svanisce, ed il materiale passa alla fase paramagnetica (Sagnotti et al., 1993). Esempi di minerali ferromagnetici sono ossidi di ferro e titanio e solfuri di ferro, in particolare la serie delle titano-magnetiti e ilmeno-ematiti (Fig. 14) (Butler, 1998; Sagnotti et al., 1993).

Figura 14 Diagramma ternario per gli ossidi di Ferro-Titanio, con indicate le fasi

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3.1.3. I domini ferromagnetici

La nozione di dominio è molto importante in paleomagnetismo in quanto rappresenta la struttura elementare del ferromagnetismo.

I corpi ferromagnetici sono infatti organizzati in strutture magnetiche dette domini, ossia volumi ristretti, ognuno con identità propria. Ogni dominio ha la sua magnetizzazione locale satura ma le direzioni delle magnetizzazioni dei singoli diversi domini possono non essere necessariamente fra loro parallele.

Le principali caratteristiche magnetiche di una sostanza possono essere studiate attraverso l’esame della relativa curva di isteresi. Tale curva si ottiene mediante l’applicazione, su un provino di roccia, di un campo magnetico crescente, agente prima secondo una specifica direzione e quindi nella direzione opposta, a temperatura costante. Dall’analisi di queste curve si possono definire alcuni parametri magnetici fondamentali caratteristici della roccia in esame, quali il momento di saturazione ed il campo necessario per ottenerlo , nonché il campo inverso che si deve applicare per ridurre a zero la magnetizzazione rimanente (isoterma) acquisita, detta forza coercitiva

.

Ciascun dominio magnetico inoltre è caratterizzato da un proprio tempo di rilassamento τ, definibile come il tempo richiesto da tale dominio per acquisire una magnetizzazione nella direzione del campo magnetico esterno. Esso dipende dalla temperatura assoluta (T), dal volume del dominio stesso (v) e dalla magnetizzazione di saturazione (Jsat) ed è espresso dalla relazione:

dove è la costante di Boltzmann e è il tempo richiesto per l’allineamento con il campo magnetico esterno. Fissati i valori dei parametri magnetici quindi il tempo di rilassamento aumenta esponenzialmente al

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