PREFAZIONE
Quando mi è stato proposto, come argomento di tesi, di sviluppare il concetto di ‘impatto sociale delle biblioteche’, analizzando i metodi di rilevazione finora impiegati, nonché le applicazioni pratiche di un simile strumento, ho avuto un iniziale momento di perplessità.
Ciò era dovuto alla relativa novità dell’argomento: solo da pochi anni lo si dibatteva in area italiana e, fra i bibliotecari, aleggiava, come tutt’ora aleggia, del resto, una discreta confusione, in merito. Per non parlare poi dello scarso materiale a disposizione in lingua italiana.
Poi è subentrato un nuovo stimolo: quello di ‘dare un corpo’ a quelle che, fino ad allora, erano state considerazioni estemporanee di bibliotecari. Che le biblioteche avessero una funzione di ‘agente’ nella società, che potessero fare la differenza, operare cambiamenti significativi nelle abitudini e nelle vite delle persone erano e sono ‘chiacchiere da corridoio’. Quante volte è successo, nel corso della mia attività lavorativa di bibliotecaria di una biblioteca di base, di incontrare colleghi, magari fuori dalla porta di un convegno blasonato, e di parlare, scambiarci informazioni ed esperienze, raccontarci la quotidianità e concludere che stavamo lavorando per fare la differenza? Per metterci al servizio di una comunità? Per ‘seminare’ informazioni, scienza e conoscenza? Per dare ai ragazzi strumenti, parallelamente ed in modo coordinato con le scuole, che favorissero il loro sviluppo personale, la loro crescita democratica?
Quante volte, banalmente, ci siamo scambiati informazioni, magari su strategie e politiche di acquisizione che hanno avuto come risultato un incremento nella frequentazione del servizio?
È recente la mia soddisfazione per il fatto che fra i nuovi utenti della biblioteca c’è un ragazzino, in passato definito dagli insegnanti come ‘problematico’ e ‘a rischio’, che grazie ad alcuni nuovi libri per ragazzi particolarmente accattivanti che gli ho proposto con l’aiuto della madre, ha scoperto nella lettura un’alternativa alla noia e alle ‘bravate’ con gli amici.
Quante volte ci siamo raccontati di come le mamme che accompagnavano i bambini in biblioteca avessero stretto amicizia e iniziato a frequentarsi anche fuori dalla biblioteca? Di come i ragazzi stranieri avessero preso la biblioteca come punto di riferimento e di come noi bibliotecari eravamo diventati i loro ‘amici grandi’? Di come anche la nostra vita personale, per il fatto di essere bibliotecari di piccole realtà, fosse cambiata? Di come si fossero modificate le nostre convinzioni, le nostre idee, grazie alle nostre esperienze quotidiane sul campo, al contatto con culture diverse? Quante volte?
Questi sprazzi, questi momenti di presa di coscienza, alle volte mi davano l’energia per mettermi in gioco, in discussione, per continuare con convinzione il mio lavoro. Altre volte invece mi abbattevano, si insinuava in me il pensiero, quanto mai reale, che… ‘ce la stessimo raccontando’. Ed in effetti era ed è così: solo parole, niente di concreto, nessuno strumento di cui poterci servire per dimostrare ciò di cui eravamo intimamente convinti, ovvero che le biblioteche facevano (e fanno) bene.
Quale migliore opportunità di questa dissertazione per provare le convinzioni mie e dei miei colleghi con evidenza scientifica?
Quindi ho iniziato con il vagliare le esperienze estere di misurazione dell’impatto sociale dei servizi di biblioteca sulle comunità di riferimento e sono partita da quelle esperienze per provare a mettere a punto uno strumento di misurazione agile e gestibile da una “one person librarian” qual sono. Da qui la decisione di restringere il campo alla ricerca di metodi di valutazione che potessero rivelarsi utili in questo senso. La scelta di rivolgere la mia attenzione alle biblioteche gestite da un bibliotecario unico è stata dettata principalmente dal fatto che si tratta di una realtà (quella di una biblioteca medio-piccola) che conosco bene, svolgendo ormai da diversi anni questo lavoro nella biblioteca di un paese, Castelvetro Piacentino, di poco più di 5.000 abitanti. Mi sono quindi noti sia i vantaggi che le difficoltà, senza contare il fatto che si tratta della tipologia bibliotecaria più diffusa in Italia.
Il mio obiettivo è quello di fornire ad un bibliotecario uno strumento, o una base da cui partire per affrontare il problema, che lo metta in grado di produrre una
rielaborazione utile alla pianificazione del servizio e anche al confronto con gli amministratori in fase di definizione annuale del budget nonché uno strumento di trasparenza nei confronti dei cittadini.