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CAPITOLO 1 Analisi della sismicità

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Analisi della sismicità

1.1. Il rischio sismico

Il rischio sismico è il risultato dell'interazione tra il fenomeno naturale e le principali caratteristiche della comunità esposta.

Si definisce come: ”l'insieme dei possibili effetti che un terremoto di riferimento può produrre in un determinato intervallo di tempo, in una determinata area, in relazione alla sua probabilità di accadimento ed al relativo grado di intensità (severità del terremoto)”1.

La determinazione del rischio è legata a tre fattori principali:

1. Pericolosità: esprime la probabilità che, in un certo intervallo di tempo, un'area sia interessata da terremoti che possono produrre danni. Dipende dal tipo di terremoto, dalla distanza tra l'epicentro e la località interessata nonché dalle condizioni geomorfologiche.

La pericolosità è indipendente e prescinde da ciò che l'uomo ha costruito. 2. Esposizione: è una misura dell'importanza dell'oggetto esposto al rischio in

relazione alle principali caratteristiche dell'ambiente costruito. Consiste nell'individuazione, sia come numero che come valore, degli elementi componenti il territorio o la città, il cui stato, comportamento e sviluppo può venire alterato dall'evento sismico (il sistema insediativo, la popolazione, le attività economiche, i monumenti, i servizi sociali).

3. Vulnerabilità: consiste nella valutazione della possibilità che persone, edifici o attività subiscano danni o modificazioni al verificarsi dell'evento sismico. Misura da una parte la perdita o la riduzione di efficienza del fabbricato, dall'altra la capacità residua a svolgere ed assicurare le funzioni che il sistema territoriale nel suo complesso esprime in condizioni normali. Ad esempio nel caso degli edifici la vulnerabilità dipende dai materiali, dalle caratteristiche costruttive e dallo stato di manutenzione ed esprime la loro resistenza al sisma.

1 Fonte: www.regionetoscana.it

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4 1.2. La sismicità in Italia

L’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la frequenza dei terremoti che hanno storicamente interessato il suo territorio e per l’intensità che alcuni di essi hanno raggiunto, determinando un impatto sociale ed economico rilevante.

La sismicità della Penisola italiana è legata alla sua particolare posizione geografica (Fig. 1.1), situata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica e sottoposta pertanto a forti spinte compressive, che causano l’accavallamento dei blocchi di roccia.

Figura 1.1: zone sismogenetiche nel bacino mediterraneo (fonte: INGV).

Le placche euroasiatica e africana convergono lungo una direzione Nord-Ovest – Sud-Est, ruotando entrambe in senso antiorario (Fig. 1.2). In particolare la Sicilia settentrionale e la Calabria (arco calabro) sono caratterizzate da una tettonica compressiva che comporta un'elevata sismicità profonda.

Spostandosi verso Nord tutta l'area appenninica è caratterizzata da una tettonica distensiva, in direzione nordest- sudovest. Sul versante occidentale dell'Appennino settentrionale (Garfagnana, Mugello e Casentino) sono presenti una serie di bacini distensivi, che comportano un'elevata attività sismica dell'area.

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5 Le catena montuosa delle Alpi infine, è interessata da una tettonica compressiva in direzione Nord-Sud che si manifesta soprattutto con l'elevata sismicità dell'Italia nord-orientale.

Figura 1.2: zone sismogenetiche in Italia (fonte: INGV).

Secondo la normativa attuale tutta la penisola italiana è sismica; le zone maggiormente critiche si concentrano lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), al Meridione in Calabria e Sicilia e in alcune zone settentrionali tra cui il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna e la Puglia hanno una sismicità piuttosto bassa e quindi non rilevante come mostrato dalla carta della massima intensità macrosismica risentita in Italia, riportata nella Figura 1.3.

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6 Figura 1.3: carta della massima intensità macrosismica risentita in Italia (fonte: INGV). Ogni giorno la penisola italiana è interessata da numerosi terremoti, sebbene la maggior parte di essi non sia percepibile dall'uomo. In 2500 anni, si sono verificati più di 30000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala MCS2 e da circa 560 eventi sismici di intensità uguale o superiore all’VIII grado. Solo nel XX secolo, ben 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6,53, tra cui quelli a Messina e Reggio Calabria (1908), a Avezzano e Marsica (1915), in Lunigiana e Garfagnana (1920), in Irpinia (1980) e nelle Marche (1997). In ultimo si ricorda il terremoto in Abruzzo nel 2009 che ha raggiunto magnitudo superiore a 6.

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Scala Mercalli – Cancani – Sieberg: scala non scientifica che misura l'intensità di un terremoto sulla base degli effetti che esso produce su persone, edifici e manufatti.

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Magnitudo espressa in scala Richter che indica l'intensità di un terremoto in funzione dell'energia sprigionata da esso.

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7 1.2.1. Classificazione sismica in Italia

La prima classificazione sismica del territorio italiano fu promulgata con il Regio Decreto Legge 13 marzo 1927 n. 431. In questa norma era riportato un elenco dei comuni sismici italiani.

Nel 1974 fu promulgata una nuova normativa sismica nazionale contenente alcuni criteri di costruzione antisismica, e una nuova classificazione sismica, la lista, cioè, dei comuni in cui dovevano essere applicate le norme costruttive, aggiornabile qualora le nuove conoscenze in materia lo suggerissero, e nella quale tuttavia, fino al 1980, vennero inseriti semplicemente i comuni nuovamente colpiti da terremoti. Gli studi sismologici e geologici che seguirono i terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia, svolti nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), portarono ad un sostanziale sviluppo delle conoscenze sulla sismicità del territorio nazionale e permisero la formulazione di una proposta di classificazione sismica basata, per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità italiana e che conteneva un “embrione” di stima del rischio sismico sul territorio nazionale. La proposta del CNR fu presentata al governo e tradotta in una serie di decreti da parte del Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1980 ed il 1984.

A partire dal 2003 il territorio nazionale fu classificato in quattro categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, corrispondenti al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione.

I criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale emanati nel 2003 sono basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni per costruzioni ordinarie) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo.

L’OPCM 3274 del 20 marzo 2003 detta i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio (Decreto Legislativo n. 112 del 1998 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 - "Testo Unico delle Norme per l’Edilizia”), hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle quattro zone,

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8 a pericolosità decrescente (zona 1, zona 2, zona 3, zona 4), nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale.

Tabella 1.1: caratteristiche delle quattro zone sismiche in Italia.

Zona 1 E' la zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti.

Zona 2 Nei comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti.

Zona 3 I Comuni interessati in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti

modesti.

Zona 4 E' la meno pericolosa. Nei comuni inseriti in questa zona le possibilità di danni

sismici sono basse.

Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo di una progettazione con criteri antisismici.

A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia:

• zona 1=0.35 g • zona 2=0.25 g • zona 3=0.15 g • zona 4=0.05 g

Qualunque sia stata la scelta regionale, a ciascuna zona o sottozona è attribuito un valore di pericolosità di base, espressa in termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag)4.

Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona: precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico5 da utilizzare per il

4 Accelerazione di picco al suolo: accelerazione orizzontale massima al suolo caratteristica del sito di riferimento che viene prodotta dal terremoto sul substrato considerato rigido. Tale parametro è indicato dalla Norma come atto a definire il terremoto.

5

Lo spettro do risposta elastico è definito come il massimo valore di un parametro (ad es. l’accelerazione) della risposta di un sistema ad un grado di libertà soggetto ad un dato evento sismico in funzione del suo periodo proprio; può essere utilizzato per valutare la risposta strutturale sotto una determinata azione. Si rimanda al capitolo 5 del presente lavoro di tesi per la sua definizione analitica.

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9 calcolo delle azioni sismiche; dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera.

Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.

La Figura 1.4 mostra l’attuale classificazione sismica del territorio nazionale aggiornata all’anno 2010, e la mappa di pericolosità sismica nazionale.

Figura 1.4: in sequenza la mappa della classificazione sismica in Italia al 2010 (fonte:

Protezione Civile), e la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale espressa in termini di accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (fonte: INGV).

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10 1.2.2. Classificazione sismica in Toscana

La prima classificazione sismica della Toscana è avvenuta con Regio Decreto Legge 13 marzo 1927 n. 431 con il quale sono stati dichiarati in zona sismica poco più di 70 Comuni delle aree della Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Alta Val Tiberina e Amiata (Fig. 1.5 a).

Tra questi compariva anche il Comune di Villafranca in Lunigiana.

Successivamente i Regi Decreti Legge 25 marzo 1935 n. 640 e 22 novembre 1937 n. 2105 hanno provveduto a declassare una ventina circa dei comuni (Fig. 1.5 b) (la zona della Val Tiberina e tre comuni della Provincia di Massa ivi compreso il capoluogo). L'elenco dei comuni classificati in zona sismica è stato successivamente modificato con Legge 25 novembre 1962 n. 1684, che ha apportato modeste variazioni inserendo due nuovi comuni, riclassificandone altri due mentre ed escludendo due comuni del Pistoiese (Fig. 1.6 a).

Fino a tale data, in Toscana, così come per il resto del territorio nazionale, la classificazione dei territori è avvenuta solo dopo il verificarsi di un evento sismico con la finalità di applicare i provvedimenti amministrativi e finanziari necessari per la ricostruzione ed ha spesso ridotto il numero di comuni precedentemente classificati sismici.

Con Legge 2 febbraio 1974 n. 64 il quadro di riferimento per l'aggiornamento degli elenchi delle zone sismiche e l'individuazione del grado di sismicità prevedeva l'adozione di Decreti del Ministro dei Lavori Pubblici, di concerto con le regioni interessate. A seguito dell'evento sismico dell'Irpinia (novembre 1980) furono adottati dal 1981 al 1984 in tutto il territorio nazionale i Decreti Ministeriali di classificazione delle zone sismiche, tra cui quello relativo alla regione Toscana del 19 marzo 1982.

Con il D.M. 19 Marzo 1982 la Toscana passò da 50 comuni classificati sismici a 182 (su 287 totali), comprendendo il 75% del territorio e l'80% della popolazione (Fig. 1.6 b). Infatti, la nuova classificazione interessava tutti i capoluoghi di provincia tranne Grosseto e Lucca, quindi aree fortemente urbanizzate e strategiche sotto l'aspetto economico e produttivo.

Tutti i comuni toscani classificati sismici ricadevano in zona 2 (sismicità media); il resto del territorio era considerato asismico.

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11 Figura 1.5: classificazione sismica dei comuni toscana al 1927 (a) e 1937 (b). In rosso sono

indicati i Comuni sismici e in grigio quelli declassati (fonte: Regione Toscana).

Figura 1.6: classificazione sismica dei comuni toscana al 1964 (a) e 1982 (b). In rosso sono

indicati i Comuni sismici fin dal 1927, in grigio quelli declassati nel 1937, in verde quelli classificati nel 1964 ed in giallo quelli classificati per la prima volta nel 1982 (fonte: Regione Toscana).

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12 La classificazione sismica attuale della Regione Toscana è approvata con Deliberazione di G.R. del 19.06.2006, n. 431 (Fig. 1.7).

Figura 1.7: mappa della classificazione sismica attuale in Toscana (fonte: Regione Toscana). Tale classificazione presenta come novità, l’introduzione di una quinta zona denominata 3s rispetto alla classificazione nazionale che al 2003 comprendeva 4 zone.

In questa classe rientrano tutti quei comuni che al variare della sottozonazione effettuata dalla Regione, possono ricadere sia in zona 2 che in zona 3 e per i quali quindi in via cautelativa, si considerano le azioni sismiche della zona 2 (ag = 0,25g ÷

0,15g).

La Regione Toscana ha inoltre individuato delle zone a maggior rischio sismico (figura 1.8) con deliberazione di G.R.T. del 26.11.2007, n. 841 per complessivi 81

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13 comuni, nelle quali è massima la priorità per lo svolgimento delle attività di prevenzione sismica previste nei programmi regionali.

Figura 1.8: mappa della classificazione sismica attuale in Toscana con evidenziazione (con

tratteggio verticale) delle zone a maggior rischio (fonte: Regione Toscana).

Questo tipo di approccio, legato alla classificazione sismica, è stato superato con la pubblicazione del D.M. 14 Gennaio 2008 nel quale è stato pubblicato un reticolo di 10751 nodi (con passo pari a circa 5,5 km) per ognuno dei quali viene fornito insieme ad altri parametri il valore dell’accelerazione ag.

Il comune di Villafranca in Lunigiana (nel quale è ubicato l’edificio del caso studio descritto successivamente) classificato come sismico fin dal 1927, è attualmente in zona 2, il che indica una sismicità medio-alta.

Tale Comune, inoltre, è stato inserito nell'elenco dei comuni a maggior rischio sismico della Toscana con la Delibera di G.R.T. del 26 Novembre 2007 n. 841, (Fig. 1.8).

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14 Figura 1.9: mappa di pericolosità sismica della Regione Toscana espressa in termini di

Figura

Figura 1.1: zone sismogenetiche nel bacino mediterraneo (fonte: INGV).
Figura 1.2: zone sismogenetiche in Italia (fonte: INGV).
Tabella 1.1: caratteristiche delle quattro zone sismiche in Italia.
Figura  1.4:  in  sequenza  la  mappa  della  classificazione  sismica  in  Italia  al  2010  (fonte:
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