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La metanfetamina induce un aumento di proteina prionica in vivo e in vitro

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Dipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata

Dottorato di Ricerca in

Morfologia e funzione normale e patologica

di cellule e tessuti

“La metanfetamina induce un aumento

di proteina prionica in vivo e in vitro”

Dottoranda:

Dott.ssa Irene Bonaccorsi

Relatore:

Dott.ssa Gloria Lazzeri

Presidente del Corso di Dottorato: Prof. Antonio Paparelli

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INTRODUZIONE

Le malattie dovute a prioni comprendono disturbi neurologici caratterizzati da una tripla eziologia: possono infatti avere insorgenza sporadica, come ad esempio nel Morbo di Creutzfeld-Jacob, oppure ereditaria, come nella forma familiare del Morbo di Creutzfeld-Jacob e nella malattia di Gertsmann-Straussler, oppure avere origine infettiva, come nel caso della encefalopatia spongiforme bovina (BSE), lo scrapie, il kuru. Le patologie dovute a prioni possono colpire sia l’uomo sia altre specie animali:

UOMO:

• malattia di Creutzfeld-Jakob (MCJ) • nuova variante di MCJ

• malattia di Gertsmann-Strausser-Scheinker • insonnia familiare fatale

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2

ALTRE SPECIE ANIMALI: • scrapie

• encefalopatia spongiforme bovina (BSE)

• encefalopatia degli ungulati esotici: nyala-kudu • encefalopatia trasmissibile del visone

• malattia del dimagrimento cronico del cervo

Il sintomo primario delle malattie prioniche che colpiscono l’uomo è la demenza, accompagnata da disfunzioni motorie, come atassia cerebellare, mioclono, segni piramidali ed extrapiramidali.

Le manifestazioni cliniche delle diverse malattie prioniche sono variabili, tuttavia le caratteristiche anatomiche delle lesioni prodotte in tali patologie nel sistema nervoso centrale sono molto simili tra loro, con un quadro anatomo-patologico caratterizzato da vacuolizzazione all’interno delle cellule del

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sistema nervoso centrale e depositi intra- ed extra-cellulari di proteina prionica [24, 25].

Le malattie da prioni sono attualmente soggette ad elevato interesse a causa dei rischi per la salute pubblica ad esse correlati. L’epidemia di BSE, conosciuta con il nome di “sindrome della mucca pazza”, insorta in Inghilterra nel 1986 ha causato la morte di migliaia di bovini ai quali erano state somministrate farine animali a scopo alimentare, che hanno veicolato l’infezione e determinato il propagarsi della malattia. Negli anni successivi a tale epidemia, sono stati diagnosticati in Inghilterra 40 casi di una patologia definita “Nuova variante di Malattia di Creutzfeld-Jakob”, che per caratteristiche cliniche, neuropatologiche, molecolari e di trasmissione, diverse da quelle tipiche della MCJ, sono stati attribuiti al consumo alimentare di carne di bovini affetti da BSE, con i conseguenti allarmi sanitari che si sono estesi a livello internazionale.

Le patologie da prioni furono inizialmente attribuite ad agenti virali. Nel 1939 la natura infettiva dello scrapie, una patologia neurologica caratteristica delle pecore, fu dimostrata

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sperimentalmente mediante la trasmissione della malattia ad una capra tramite inoculazione intraoculare [8].

Gli studi relativi a queste patologie proseguirono negli anni ’50, quando Gajdusek e colleghi studiarono le basi patologiche del kuru, una malattia neurodegenerativa a lenta progressione ed esito fatale che colpiva alcune tribù della Nuova Guinea [14]. La trasmissione di tale patologia fu attribuita al cannibalismo rituale che era praticato in queste tribù. Negli anni successivi Hadlow notò come le manifestazioni neurodegenerative caratteristiche del kuru erano simili a quelle osservate in altre patologie neurodegenerative come lo scrapie o certe sindromi familiari che colpiscono l’uomo, come la Malattia di Creutzfeld-Jakob.

Il termine “Prione” (acronimo di "PRoteinaceus Infective ONly particle" = particella infettiva unicamente proteica) è il nome attribuito da S.B. Prusiner alle particelle di natura proteica che causano l’insorgenza di questa particolare classe di malattie. Prusiner iniziò ad interessarsi a queste malattie a partire dal 1972 sulla base dell’ipotesi di T. Alper [1] secondo

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cui l'agente dello scrapie potesse essere privo di acidi nucleici. Fino ad allora, infatti, l’insorgenza di tale malattia era stata attribuita ad agenti virali. Dopo un lungo lavoro per la purificazione dell'agente dello scrapie da estratti di cervelli di criceti, e a seguito di lavori sperimentali che si susseguirono negli anni, Pruisiner giunse alla conclusione che tale agente risultava essere esclusivamente di natura proteica [23]. Tale agente fu denominato PrPsc (proteina della scrapie) . La PrPsc fu successivamente isolata, con alta specificità, anche nel cervello di uomini e animali affetti da varie forme di malattie derivanti da prioni [3,4,9], diventando quindi un marker altamente specifico per questa tipologia di disturbi, in quanto assente in altre forme di malattie neurodegenerative.

Studi successivi hanno dimostrato che la PrPsc non è altro che una forma modificata di una Proteina Prionica Cellulare (PrPc), normalmente espressa nelle cellule dei mammiferi [21], in particolare nel sistema nervoso, dove si è ipotizzato possa facilitare la trasmissione di impulsi nervosi, grazie alla localizzazione sulla membrana plasmatica, mediando la

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trasmissione del segnale dalla matrice extracellulare all’ambiente intracellulare. Teorie più recenti ipotizzano che la proteina cellulare PrPc sia coinvolta nella risposta cellulare specifica verso particolari infezioni batteriche [29].

Il ruolo fisiologico di tale proteina è tuttavia ancora dibattuto; mentre è dimostrato che la sua assenza non incide sulla sopravvivenza della cellule né sul loro normale sviluppo, la sua presenza è necessaria per l’insorgenza di malattie dovute a infezioni prioniche [5].

PrPc e PrPSc

La differenza tra la forma “cellulare” e la forma patologica risiede nella diversa conformazione della proteina. Infatti la forma primaria della proteina PrPsc corrisponde alla struttura primaria della PrPc, codificata dal gene denominato

Prnp, che mostra un’ alta omologia all’interno di molte specie animali. La PrPc risulta essere espressa costitutivamente nel sistema nervoso centrale dell’uomo, sia a livello neuronale sia

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gliale. Inoltre la sua presenza è stata rilevata in cellule del sangue, linfociti e in cellule intestinali.

La regione C-terminale della conformazione normale della proteina cellulare mostra tre α-eliche con due piccole regioni aventi la configurazione a filamento β. Nella PrPsc, invece, si ha la conversione di una parte di molecola ad α-elica in filamenti β (Fig. A).Questa modifica conformazionale provoca la possibilità di formazione di aggregati all’interno delle cellule nervose, e la resistenza alla proteasi da parte della forma patogena [3].

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La modalità con cui avviene il processo di “infezione” da parte di una proteina prionica è caratteristica. Infatti la PrPsc “infettante” non replicherebbe se stessa, ma indurrebbe la PrPc dell’ospite ad acquisire la struttura secondaria alterata, e quindi le nuove proprietà morfologiche e funzionali. Tale ipotesi, teorizzata da Prusiner, è avvalorata anche dall’osservazione che le alte quantità di proteina prionica ritrovata all’interno degli aggregati cerebrali di pazienti infettati, corrisponde alla struttura primaria della PrPc tipica della specie ospite [25]. Secondo questa teoria le malattie prioniche rappresenterebbero quindi un nuovo modello patogenetico basato su alterazioni conformazionali di proteine che si auto-propagherebbero.

Processo di degradazione delle proteine prioniche

Il sistema fisiologicamente deputato alla degradazione della PrPc è il sistema ubiquitina-proteasoma (UP).

Nel processo normale di sintesi, le nascenti proteine cellulari PrPc vengono traslocate a livello di reticolo endoplasmatico. Una volta entrata nel reticolo, la PrPc viene quindi processata e

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lega una molecola di glicosil-fosfatidil-inositolo. A questo punto viene veicolata verso la superficie della cellula e qui legata attraverso la molecola di fosfatidil-inositolo. Le proteine PrPc che non vengono correttamente processate all’interno del reticolo, vengono retro-trasportate nel citoplasma dove sono marcate per la degradazione da unità di ubiquitina e velocemente degradate [30]. Se queste proteine non sono solubili nel citoplasma, allora interviene il sistema lisosomiale. Di conseguenza le proteine prioniche non vengono ritrovate, in condizioni fisiologiche, a livello citoplasmatico .

Recenti esperimenti hanno mostrato che un alterato meccanismo di degradazione delle PrPc, dovuto ad una inibizione del complesso ubiquitina-proteasoma [17] ovvero ad un eccesso di substrato, può causare un accumulo di PrPc a livello citosolico [18]. Tale accumulo, anche in assenza della proteina “infettiva” PrPsc, sarebbe responsabile della neurotossicità. La PrPc, quindi, secondo questi studi potrebbe essere neurotossica di per se, accumulandosi nel citoplasma [18].

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A sostegno di questa teoria ci sono diverse evidenze:

• Quando viene inoculata la proteina PrPsc in topi transgenici Prnp0/0,non si hanno fenomeni di neurotossicità: più precisamente le PrPsc si accumulano nel citoplasma formando aggregati, essendo resistenti alle proteasi, ma non inducono neurotossicità [27].

• Topi transgenici che sovraesprimono la proteina prionica PrP wild type sviluppano spontaneamente patologie a livello di sistema nervoso centrale. Se in questi stessi topi, quando ancora la patologia risulta asintomatica, si blocca il gene della PrPc si previene lo sviluppo della sintomatologia arrestando la conversione della PrPc in PrPsc [19].

• Nell’uomo, in alcune forme familiari di neurodegenerazione mediata da prioni, non si riscontrano significativi livelli di PrPsc a livello di sistema nervoso [28]

I dati descritti in precedenza evidenziano il ruolo primario dell’accumulo di proteina prionica cellulare PrPc nell’induzione di neurotossicità, e di conseguenza spostano

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l’attenzione sui meccanismi attraverso cui l’ accumulo di PrPc può avvenire, anche in assenza di un processo infettivo.

Tale accumulo potrebbe infatti derivare da una alterata regolazione del processo di sintesi della proteina, da un difetto nel processamento della proteina all’interno del reticolo endoplasmatico, oppure da un difetto nel sistema di metabolizzazione della PrPc, cioè del sistema ubiquitina-proteasoma. Quest’ultima alterazione potrebbe a sua volta derivare da diversi fattori, una riduzione della attività del sistema stesso, oppure dalla presenza di un eccesso di substrato. La riduzione dell’attività del sistema UP può essere ottenuta mediante una diretta inibizione farmacologia (MG132, lactacistina, PSI, epossomicina) o attraverso un’ induzione di stress ossidativo e conseguente saturazione della capacità catalitica del sistema, come avviene con l’anfetamina e i suoi derivati.

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La metanfetamina

L’anfetamina e i suoi derivati, fanno parte di una famiglia di composti che presentano una struttura chimica comune, caratterizzata dalla presenza di un anello β-feniletilaminico (Fig B).

Fig. B: struttura della metanfetamina

Da alcuni anni, la neurotossicità indotta dalle anfetamine suscita notevole interesse, poiché è una delle sostanze d’abuso più utilizzate. Da tempo si conoscevano gli effetti tossici della metanfetamina (MA) e dei suoi derivati, legati principalmente alla formazione di radicali liberi, e all’aumento di stress ossidativo.

Il meccanismo d’azione attraverso il quale le anfetamine agiscono è costituito da tre effetti diversi:

• causano il rilascio di DA da parte delle vescicole sinaptiche,

N

CH3

CH3

H

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che riversano il loro contenuto all’interno del terminale nervoso • determinano una rapida, ma reversibile, riduzione

dell’attività del DAT, il trasportatore della dopamina

• inibiscono le monoaminossidasi (MAO), gli enzimi responsabili della degradazione ossidativa della DA

Questi effetti determinano un aumento notevole della concentrazione citoplasmatica di DA. Il DAT, deputato alla ricaptazione del neurotrasmettitore, inverte la direzione del trasporto provocando il release di DA dal terminale dopaminergico nel vallo sinaptico [11]. Il risultato è una lesione dei terminali dopaminergici e la formazione di inclusioni membranose a livello del corpo cellulare del neurone localizzato nella Substantia Nigra pars compacta.

Questi inclusi presentano alcune delle caratteristiche tipiche dei corpi di Lewy, risultano positivi per vari componenti del sistema UP come ubiquitina, α-sinucleina, parkina, UCH-L1, proteine dello shock termico come HSP40, HSP70 [13].

Tali inclusioni, anche se sembrano morfologicamente diverse dai corpi di Lewy contengono le stesse proteine suggerendo che

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entrambe le formazioni siano prodotte da un meccanismo patogenetico comune in cui è coinvolto il sistema UP.

La DA svolge quindi un ruolo fondamentale nella tossicità neuronale indotta da MA.

Il primo meccanismo postulato di neurotossicità DA-mediata prevedeva che gli elevati livelli di DA extracellulari, prodotti dal trattamento anfetaminico, innescassero processi di auto-ossidazione della DA, con conseguente produzione di specie molecolari altamente reattive e stress ossidativo. Ben presto fu però chiaro che lo stress ossidativo DA-dipendente doveva avere inizio già all’interno del terminale dopaminergico, dove l’equilibrio nella distribuzione intracellulare del pool di molecole di DA viene profondamente alterato dalle anfetamine [7].

In particolare, una volta entrate nel terminale dopaminergico sfruttando il trasportatore di membrana, le molecole anfetaminiche, parzialmente lipofile, sono in grado di penetrare all’interno di lisosomi, endosomi e vescicole sinaptiche,

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causando “swelling” osmotico, formazione di vacuoli e rilascio intracitosolico di DA. All’interno del citoplasma la DA non è più degradabile dalle MAO, anch’esse bloccate dalle anfetamine, pertanto può subire auto-ossidazione e portare ad una notevole produzione di H2O2, anione superossido (O2·ֿ),

ione idrossido e chinoni tossici.

Elevate concentrazioni di specie altamente reattive e radicali liberi all’interno del terminale nervoso, oltre a danneggiare svariate molecole del terminale stesso, possono interferire in vari modi con la produzione di energia metabolica, inducendo degradazione mitocondriale e morte cellulare.

In ultima analisi, lo stress ossidativo sembra comunque essere il meccanismo finale con cui le anfetamine realizzano neurotossicità.

Metanfetamina e sistema UP

La MA sembra determinare una riduzione dell’attività del sistema UP. In realtà, le anfetamine inibiscono il proteasoma in maniera indiretta in quanto provocano un aumento di stress

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ossidativo all’interno della cellula dopaminergica. Il risultato è un incremento di proteine ossidate e danneggiate che devono essere degradate da parte del sistema UP, il quale, in queste condizioni, risulterebbe congestionato per eccesso di substrato e la sua attività catalitica compromessa.

Scopo dello studio

Scopo del presente lavoro è indagare se il trattamento con MA può indurre l'accumulo di PrPc e promuovere la formazione di PrPsc, sia in vivo che in vitro, e se questa azione può essere correlata con l’attività del complesso ubiquitina-proteasoma.

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MATERIALI E METODI

Approcci metodologici per la valutazione dei livelli di PrPsc

Date le difficoltà nel riuscire a discriminare sperimentalmente PrPsc e PrPc, abbiamo effettuato esperimenti pilota, basati su recenti pubblicazioni, in cui campioni sono stati trattati con differenti agenti denaturanti. Nelle indagini immunoistochimiche, infatti, le sezioni subiscono vari passaggi critici comprendenti passaggi in autoclave, incubazioni con proteinasi K, acido formico, guanidina tiocianato o acido cloridrico. Tutti questi punti possono compromettere la morfologia sia del tessuto che delle cellule. Per questo motivo il nostro approccio metodologico è stato quello di ottenere un compromesso fra una buona conservazione morfologica ed il mantenimento dell’ integrità immunologica della PrPsc. Di conseguenza abbiamo testato metodi differenti per la microscopia ottica ed elettronica a trasmissione. A conclusione di questa analisi preliminare abbiamo osservato che in seguito

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al trattamento con proteinasi K, alla quale la PrPsc, contrariamente alla PrPc, risulta resistente, riuscivamo ad evidenziare la proteina preservando le caratteristiche morfologiche del campione.

Per questo motivo nei nostri esperimenti abbiamo trattato preventivamente tessuti e cellule con la proteinasi K.

Studi in vivo

Topi C57Bl di 8-9 settimane (n = 60), sono stati mantenuti per una settimana in condizioni ambientali controllate (periodo di luce giornaliero di 12 ore, dalle 7,00 alle 19,00; temperatura di 21°C), con libero accesso a cibo ed acqua e successivamente trattati con una dose neurotossica di MA, equivalente a 5 mg/kg x 3, ogni 2 ore, e sacrificati 1, 3 o 7 giorni dopo il trattamento. Gli animali, anestetizzati con cloralio idrato (400 µL/100 g), sono stati toracomizzati e perfusi con una soluzione di parafolmaldeide al 4% in tampone fosfato 0,1 M, pH 7,3.

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L’encefalo in toto è stato asportato e mantenuto per 24 h nella stessa soluzione di fissativo. Quindi, dopo lavaggi in tampone, è stato trasferito in alcool etilico al 70% e disidratato con concentrazioni crescenti di alcool. Dopo successivi passaggi in xilolo, l’encefalo è stato incluso in paraffina. Sezioni di 7 micron di spessore sono state ottenute al microtomo e sottoposte alle procedure di immunoistochimica.

Per le indagini di western blot, i cervelli sono prelevati, gli striati dissezionati e conservati a –80° C fino alla fase sperimentale.

Studi in vitro

1. Colture cellulari PC12

La linea cellulare di feocromocitoma di ratto PC12 è stata ottenuta dalla “American Type Culture Collection” (ATCC). Le cellule sono state fatte crescere in fiasche di 75 cm2, contenenti mezzo RPMI 1640 supplementato con horse serum (HS) al 10%

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inattivato al calore, siero fetale bovino (FBS) ed in presenza di penicillina (50 IU/mL) e streptomicina (50 mg/mL). Le colture sono state mantenute a 37°C in atmosfera umidificata contenente il 5% di anidride carbonica (CO2). Ogni tre giorni il

mezzo veniva cambiato e le cellule venivano mantenute nelle condizioni sopra descritte fino al momento del loro impiego, avvenuto durante la fase logaritmica di crescita.

Prima di ogni trattamento, le cellule sono state piastrate in un volume finale di 1 mL (5x103/ piastra) ed incubate a 37°C in 5% CO2 per 72 ore.

Trattamenti su PC12

Le cellule PC12 sono state esposte a concentrazione di 1 µM di MA, selezionata in base a studi precedenti di dose-dipendenza, per 24, 72 e 168 ore.

Alla fine dei trattamenti, le cellule sono state raccolte, centrifugate a 1000 g x 5 min, al fine di allontanare il mezzo di

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coltura, ed utilizzate per le diverse indagini sperimentali, immunocitochimica, western blot e microscopia elettronica.

2. Colture primarie striatali

Le colture striatali, contenenti sia neuroni che glia, sono state ottenute da embrioni di topo di 14-16 giorni come descritte da Rose et al. [26]. I topi di 14-16 giorni sono stati prelevati durante la gestazione da femmine Swiss Webster (Charles River) e anestetizzati con cloroformio. Gli striati sono stati dissezionati con l’ausilio di uno stereomicroscopio in condizioni sterili e disposti nel mezzo di dissezione (HBSS con glucosio, sucrosio e bicarbonato di sodio). Le colture miste sono state piastrate (Falcon Primaria, BD Biosciences, NJ, USA) aggiungendo 500 µl della sospensione ad un letto di cellule gliali preparato 2-4 settimane prima in un mezzo di coltura costituito da MEM con aggiunta di siero fetale bovino e horse serum inattivati al calore. Le piastre sono state mantenute in un incubatore umidificato con un 5% di CO2 a 37°C. Dopo 5

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bloccata mediante un'esposizione di 1 - 3 giorni a 10 µM di citosina arabinoside (Sigma). Soltanto le colture mature (14-15 giorni in vitro) sono state usate per gli esperimenti.

Le colture primarie di cellule striatali così ottenute sono state esposte per tempi variabili da 24 h fino a 7 giorni a diverse dosi di DA (0.1-1.0 mM) e utilizzate per analisi di immunofluorescenza e microscopia elettronica a trasmissione.

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MORFOLOGIA

a) Immunoistochimica

Nell’indagine immunoistochimica condotta in striato sono stati utilizzati anticorpi diretti contro PrPc/PrPsc (Inalco). Il protocollo prevedeva un primo passaggio in stufa a 60°C per 1h e la deparaffinazione mediante xilolo e concentrazioni decrescenti di alcool etilico (100% - 95% - 70%). Per la rivelazione della PrPsc, dopo un passaggio in autoclave a 121°C per 20 minuti, le sezioni venivano trattate con la proteinasi K 0,4 mg/ml in H20 distillata.

Dopo 3 lavaggi successivi in PBS, le sezioni sono state incubate in H2O2 allo 0,3% in metanolo per 30 minuti, al fine di

neutralizzare le attività perossidasiche endogene, e successivamente in normal goat serum (NGS) al 3% in PBS per 2 ore. Le sezioni sono state poi incubate in soluzione di PBS con gli anticorpi primari per la proteina prionica 1:150 e NGS al 3% per 24 ore a 4°C.

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Gli anticorpi secondari anti-mouse, coniugati alla perossidasi, sono stati impiegati alla diluizione di 1:100 in NGS al 3% in PBS per 1h30min; è stata quindi effettuata l’incubazione con diaminobenzidina (DAB).

Dopo aver bloccato la reazione tra DAB e perossidasi con H2O, si è proceduto alla disidradazione con successivi

passaggi in etanolo a concentrazioni crescenti (95% e 100%) e in xilolo per effettuare infine il montaggio in DPX. Si è quindi proceduto con l’osservazione al microscopio ottico.

b) Immunocitochimica

Nell’indagine immunocitochimica, i pellet cellulari delle PC12 derivanti da ciascun trattamento sono stati risospesi in 1 mL di PBS e fatti aderire sulla superficie dei vetrini mediante centrifugazione a 1500 g per 10 min (Cytospin 3, Shandon). I vetrini sono stati quindi asciugati in stufa a 37°C, fissati con parafolmaldeide al 4% per 30 min e successivamente destinati a colorazione immunocitochimica, secondo un protocollo

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analogo a quello descritto in precedenza per l’immunoistochimica.

Per la conta sono stati selezionati al microscopio ottico 10 campi per ogni gruppo sperimentale. All’interno di ogni campo sono state contate le cellule immunopositive per la PrP rispetto al numero totale di cellule. Tale risultato è stato espresso in percentuale.

c) Microscopia elettronica

Le cellule PC12, ottenute dopo centrifugazione a 1000g per 5 min, sono state fissate in una soluzione di glutaraldeide 0,1% e parafolmaldeide 2% in PBS 0.1M (pH 7,4) per ridurre la potenziale copertura degli antigeni e mantenere la integrità delle cellule.

I pellets sono stati successivamene fissati in una soluzione tampone 1% di OsO4, quindi deidratati in alcool etilico e inclusi

in Epon-araldite. Le sezioni ultrafini sono state contrastate con acetato di uranile e citrato di piombo, e infine esaminate al

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microscopio elettronico a trasmissione Joel Jem 100SX (Joel, Tokio, Giappone).

Le colture primarie di cellule GABAergiche striatali sono state fissate direttamente su piastra con soluzione di glutaraldeide 0,1% e parafolmaldeide 2% in PBS 0.1M (pH 7,4). Successivamente sono state raccolte dalla piastra di coltura, centrifugate a 1000 g x 5 min e i pellets trattati con la stessa procdura descritta precedentemente per le PC12.

d) Immunocitochimica in microscopia elettronica

Le sezioni ultrafini, drivanti sia da PC12 che da cellule GABAergiche, sono state raccolte su retino, deosmicate in soluzione acquosa satura di sodio metaperiodato (NaIO4) per

15-30 minuti a temperatura ambiente o a 4°C, e dopo 3 lavaggi di 10 min in PBS (pH 7,4) sono state processate con due diverse procedure al fine di visualizzare la PrPc ovvero la PrPSc.

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Nel primo caso le sezioni ultrafini sono state trattate con acido formico 98% per 10 minuti a temperatura ambiente. Nel secondo caso, invece, per evidenziare la PrPsc le sezioni sono state incubate con proteinasi K in PBS 0.1M per 1 h a 37°C, in modo da degradare le proteine come la PrPc.

Le fasi successive sono invece le medesime, sia per le sezioni pretrattate con protinasi K che per le altre.

Dopo 3 successivi lavaggi di 10 min in PBS freddo (pH 7.4), i vetrini sono stati incubati per 20 min a temperatura ambiente in PBS contenente 10% goat serum e 0,2% di saponina per bloccare i siti antigenici aspecifici.

L’incubazione nell’anticorpo primario, che lega sia la PrPc che la PrPsc, diluito 1:10 in PBS freddo contenente 1% di goat serum e 0,2% di saponina, è stata effettuata in camera umida a 4°C overnight.

Il giorno successivo i campioni dopo un lavaggio in PBS fresco (pH 7,4) sono stati incubati per 1h a temperatura ambiente in una soluzione di PBS contenente l’anticorpo secondario

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coniugato con oro (10 nm) diluito 1:10, con 1% di goat serum e 0,2% di saponina.

Dopo lavaggi in PBS, i retini sono stati incubati con glutaraldeide 1% per 3 min, lavati in acqua distillata, contrastati con acetato di uranile e citrato di piombo, e osservati al microscopio elettronico.

Le sezioni di controllo sono state incubate solamente con l’anticorpo secondario.

La conta delle cellule PrP-positive è stata condotta sul numero totale di cellule nel campo di osservazione e il risultato espresso in valore percentuale. Da ogni campione sono state ottenute 10 retini contenenti ognuno fettine non seriali allo scopo di osservare cellule diverse. Sono state contate un numero complessivo di 100 cellule

e) Immunofluorescenza su cellule GABAergiche

Per l’immunofluorescenza le cellule sono state fissate direttamente sulle piastre di coltura con una soluzione di paraformaldeide al 4%.

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Abbiamo utilizzato anticorpi contro la PrPc (SAF-84, Inalco, Ann Arbor, MI, USA) e contro l’ ubiquitina (Sigma).

La procedura utilizzata è analoga a quella descritta precdentemente per l’immunoistochimica, con le sguenti diluizioni degli anticorpi:

1:300 di anticorpo primario per la PrPc 1:500 di anticorpo primario per l’ubiquitina.

Per evidenziare l’ubiquitina, l’anticorpo secondario coniugato alla fluoresceina (Vector Laboratories) è stato utilizzato alla diluizione 1:100, mentre per evidenziare la PrPc abbiamo utilizzato un anticorpo secondario coniugato con Cy3 (Chemicon) alla diluizione di 1:150.

WESTERN BLOT SU STRIATO E CELLULE PC12

Per valutare l’espressione della PrPc e PrPsc mediante analisi di western blot, campioni di striato e cellule PC12, sono stati sottoposti a lisi per estrazione di proteine.

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In particolare, gli striati sono stati omogenati in un tampone contenente 50 mM Tris-HCl (pH=7.5), 150 mM NaCl, 1 mM EDTA, 1 mM PMSF, 0.5% NP-40, 0.25% SDS e 10µg/ml di inibitori delle proteasi (leupeptina, pepstatina, aprotinina) per 45 minuti a 4°C. Successivamente sono stati centrifugati a 5.000g per 5 minuti e il sovranatante ulteriormente centrifugato a 30.000g per 30 minuti a 4°C. Cellule PC12 sono state lisate in tampone TEN buffer costituito da 50 mM Tris, 2 mM EDTA, 150 mM NaCl, 1% NP-40 a pH 7.6, contenente 0.1 % di PMSF e 10 µg/ml di inibitori di proteasi per 45 minuti e centrifugate a 15.000g per 20 min a 4°C. Un’aliquota di sovranatante dai campioni striatali e dalle PC12 è stata usata per determinare la concentrazione totale di proteine per mezzo di un kit per dosaggio proteico basato sul metodo di Lowry (Sigma).

Per determinare la forma di PrPsc, resistente alla proteinasi-K, in striato e cellule PC12 ottenute sia da controlli che dopo trattamento con MA, aliquote prelevate da ogni campione sono

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state incubate con proteinasi K (Sigma, St. Louis, MO) ad una concentrazione finale di 50 µg/ml a 37°C per 1 ora.

40 µg totali di proteine da omogenati sia trattati con proteinasi K che non, sono stati separati mediante un gel di poliacrilamide (SDS-PAGE) al 12%. Le proteine così separate, venivano trasferite ad una membrana di PVDF (Millipore). Allo scopo di bloccare i siti aspecifici, la membrana era incubata con una soluzione di bloccaggio (5% not fat dried milk in 20 mM Tris, 137 mM NaCl a pH 7,6 contenente 0.05% Tween-20) a 4°C per 3 ore. Successivamente la membrana è stata incubata overnight a 4°C con l’anticorpo monoclonale anti-PrP (1:1000 o 1:500 per PrP e PrPsc rispettivamente, Inalco). La membrana è stata poi lavata e incubata con anticorpo secondario legato alla perossidasi (1:2000 e 1:1000 rispettivamente per 1 ora a 4°C) e le bande immunoreattive corrispondenti alla PrPc e alla PrPsc sono state visualizzate esponendo successivamente tale membrana a luminolo che le perossidasi legate alla proteina trasformano in sostanza chemioluminescente, rilevata

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esponendo la membrana ad una lastra fotografica. Contemporaneamente, aliquote da ogni campione trattato con Proteinasi K e non, sono state sottoposte ad elettroforesi sullo stesso gel di poliacrilamide (12%). Dopo l’elettroforesi, il gel è stato colorato per 3 ore con blue di Comassie per visualizzare il pattern di proteine e per verificare le differenti proteine contenute nei campioni trattati con Proteinasi K rispetto ai non trattati.

ATTIVITA’ DEL PROTEASOMA SU PC12 E SU COLTURE PRIMARIE

I campioni di cellule PC12 ovvero di cellule GABAergiche striatali sono stati analizzati 72 h dopo la somministrazione rispettivamente di MA o DA. I campioni sono stati omogenati in 100 µl di Tris-HCl 10 nM/Lm pH 7.8, contenente 1 mM/L di EDTA. Il contenuto proteico di ogni campione è stato determinato mediante il metodo di Lowry (Lowry et al. 1951).

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33

L’attività chimotripsinica del protasoma è stata misurata mediante il kit 20S Proteasome Activity Assay (Chemicon); l’attività PGPH (peptidyl-glutamyl-peptide hydrolyzing activity) è stata misurata mediante CBZ-Leu-Leu-Glu-AMC (Sigma); l’attività tripsinica è stata misurata mediante Boc-Leu-Ser-Thr-Arg- AMC (Sigma).

In tutti i casi l’attività enzimatica del protasoma è stata misurata mediante la rilevazione del fluoroforo 7-amido-4-methylcoumarin (AMC) dopo scissione dai vari peptidi sintetici fluorogenici.

La curva di inibizione è stata quindi messa in relazione con i livelli di espressione di PrPsc rilevati mediante la conta di cellule positive effettuata mediante microscopia ottica nelle PC12 e mediante microscopia elettronica nelle cellule GABAergiche.

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RISULTATI

Studi in vivo

In seguto a trattamento con proteinasi K, l’elettroforesi di proteine su gel di poliacrilamide mette in evidenza un’unica banda corrispondente a proteine di peso molecolare pari a 30 KDa. Tale peso molecolare corrisponde al frammento di proteina prionica resistente alla proteinasi K. Sembrerebbe pertanto che la quasi totalità di proteine è stata degradata, ad eccezione proprio della PrP. L’analisi di western blotting è stata effettuata per verificare che tale banda corrisponda effettivamente alla PrP, e per discriminare la PrPsc dalla PrPc. Tale analisi dimostra che il frammento di 30 KDa corrisponde effettivamente alla proteina prionica e che in seguito ai trattamenti con MA si ha un significativo aumento di espressione striatale della forma cellulare della proteina prionica, già dopo 24 h dal trattamento. Contemporaneamente

(36)

35

si osserva un aumento della PrPsc, assente nel controllo, che risulta più marcato dopo 72 h dal trattamento (Fig. 1).

Fig 1. Espressione striatale di PrPcand PrPsc dopo MA

30KDa C 24h 72h 168h PrPc C 24h 72h 168h PrPsc 30KDa

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L’analisi immunoistochimica in striato correla con l’analisi di immunoblotting, in quanto mostra un incremento di espressione di PrPc e PrPsc in animali trattati con MA (Fig. 2) a 168 h dal trattamento.

Fig. 2 La MA induce un incremento di espressione di PrPce PrPsc nello striato. CONTROLLO MA 168h PrPc PrPsc CONTROLLO MA 168h PrPc PrPsc

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Studi in vitro su cellule PC12

Negli studi in vitro, le analisi di western blot e immunocitochimica su cellule PC12 hanno mostrato analoghi risultati rispetto a quelli ottenuti in vivo. Anche in questo caso si ha un incremento di espressione della PrPc e della PrPsc, quest’ultima non presente inizialmente nel controllo, in animali trattati con MA (Fig. 3).

Fig. 3 In PC12, la MA induce un incremento nell’espressione di PrPc e di PrPsc.

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38

I risultati ottenuti mediante western blotting sono stati confermati dall’indagine immunocitochimica sulle cellule PC12 (fig. 4).

Fig. 4 Immunocitochimica su PC12: la MA induce un incremento di proteina prionica

CONTROLLO MA 72h PrPc PrPsc CONTROLLO MA 72h PrPc PrPsc

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39

La conta delle cellule al microscopio ottico dopo immunocitochimica per la PrP mostra un incremento significativo delle cellule PrPsc positive, che risulta massimo dopo 72 h dal trattamento.

Al microscopio elettronico le immagini mostrano che il numero di inclusioni per cellula nelle cellule PC12 dopo esposizione a 1 µM di MA, risulta elevato dopo 72 h dall’esposizione. Pertanto ci siamo messi in queste stesse condizioni sperimentali per condurre l’analisi immunocitochimica, allo scopo di verificare se in tali inclusioni è presente la proteina PrP. Abbiamo così verificato, come

0 2 4 6 8 100 MA CONTROLLO ce ll u le P rP sc -p o si ti v e (% ) 24 h 72 h 168 h * * *

(41)

40

evidenziato in Fig. 5, che negli inclusi citoplasmatici indotti da MA sono presenti entrambe le forme della proteina prionica.

Fig. 5 Microscopia elettronica su PC12: immunocitochimica

PrPsc PrPc

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41

Studi in vitro su colture cellulari primarie di striato

L’analisi di immunofluorescenza sulle colture cellulari primarie di cellule GABAergiche striatali mostra un aumento dopo esposizione a DA, sia della Prpc che dell’ubiquitina.

Inoltre, come si vede in fig. 6, si ha co-localizzazione, dopo esposizione a DA, di ubiquitina e PrPc.

Fig. 6 Immunofluorescenza: co-localizzazione di ubiquitina e PrPc in colture cellulari striatali trattate con DA

C O N T R O L L O D A Ubiquitina PrPc Sovrapposizione

(43)

42

L’analisi ultrastrutturale al microscopio elettronico ha mostrato, in cellule esposte alla DA, un aumento di espressione di PrPc (Fig. 6). Tale proteina viene espressa sia a livello citoplasmatico che a livello nucleare.

Fig. 6

Microscopia elettronica: espressione di PrPc dopo somministrazione di DA

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43

La conta delle cellule positive alla PrP ha dato i risultati mostrati in fig. 7

Fig. 7 Conta delle cellule contenti PrP

PrPc PrPsc * 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * CONTROLLO DA (10µµµµM) PrPc PrPsc * 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * CONTROLLO DA (10µµµµM) * 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * CONTROLLO DA (10µµµµM) * * 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * CONTROLLO DA (10µµµµM) 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * 0 25 50 75 100 C el lu le P rP -p o si ti v e (% ) * CONTROLLO DA (10µµµµM) CONTROLLO DA (10µµµµM)

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44

Attività del protasoma

La MA produce un’inibizione dose-dipendente della attività proteasomica in cellule PC12, come dimostrato in fig. 8

Tale inibizione della attività proteasomica risuta correlata all’incremento di PrPsc, indotto da MA.

Fig. 8

Allo stesso modo la misurazione dell’attività proteasomica nella coltura striatale di cellule GABAergiche rivela la medesima correlazione tra la presenza della PrPsc e l’inibizione della

PC12

In ib iz io n e d el l’ a tt iv it à p ro ta so m ic a ( % )

0

0.001 0.01 0.1 1 10 0 20 40 60 80 100 0 20 40 60 80 100 UP-inibizione PrPsc ce ll u le P rP sc p o si ti v e (% ) MA (µµµM) µ

*

*

*

*

*

(46)

45

attività proteasomica dopo somministrazione di DA. La drastica diminuzione della presenza di PrPsc osservata a dosi di DA superiori a 10 µM è da attribuire alla morte cellulare che tali dosi inducono in un sistema cellulare. In tali condizioni, anche l’attività del proteasoma, di conseguenza, risulta minore. (Fig 9)

Fig. 9

Colture striatali

In ib iz io n e d el l’ a tt iv it à p ro ta so m ic a (% ) ce ll u le P rP sc p o si ti v e ( % ) 0 0.1 1 10 100 1000 0 20 40 60 80 100 0 20 40 60 80 100 DA (µµµµM) M o rt e ce ll u la re * * * * UP-inibizione PrPsc

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46

DISCUSSIONE

Le malattie prioniche determinano neurodegenerazione spongiforme, gliosi e la formazione di aggregati di proteina prionica alterata nel sistema nervoso centrale.

La metanfetamina, una delle droghe d’abuso più diffuse, è in grado di indurre danni neurologici in parte analoghi a quelli tipici delle malattie da prioni, quali neurodegenerazione nigrostriatale e formazioni di inclusi all’interno dei neuroni. Nel nostro studio abbiamo quindi indagato se la MA possa avere tra i suoi effetti quello di indurre accumulo di proteina prionica.

Gli studi con la MA sono stati effettuati in 2 diverse condizioni sperimentali: in vivo, su campioni di striato, e in vitro su linee cellulari dopaminergiche PC12. I risultati ottenuti in entrambi i sistemi sperimentali sono analoghi, dimostrando che la somministrazione di MA produce sia un aumento dei livelli di

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PrPc che di PrPsc. Questo avviene in assenza di mutazioni del gene per la proteina o di infezioni da prioni.

Era già stato osservato che la somministrazione di MA provoca la formazione di inclusioni nelle cellule dopaminergiche PC12 [13]. Nel presente studio abbiamo dimostrato, mediante analisi di immunocitochimica, che all’interno di tali inclusioni è presente la proteina prionica, sia in forma cellulare che in forma alterata.

Gli effetti neurotossici della MA sono mediati dalla DA, che in ultima istanza determina sui neuroni uno stress ossidativo, che può essere responsabile della saturazione del sistema ubiquitina-proteasoma e quindi dell’accumulo di PrPc. Questo fenomeno è stato confermato dai risultati ottenuti sulle cellule PC12 le quali, essendo dopaminergiche, in seguito alla somministrazione di MA aumentano il livello di DA citosolica. Questo determina uno stress ossidativo nella cellula che ha come conseguenza un’inibizione dell’attività del sistema ubiquitina-proteasoma e un accumulo di PrP.

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48

Allo scopo di verificare che effettivamente la dopamina sia il mediatore che determina gli effetti finali della MA, abbiamo esteso i nostri studi ad un modello in vitro di colture primarie di neuroni GABAergici striatali, i quali rappresentano il target, in vivo, dei neuroni dopaminergici. Tali neuroni pur non producendo DA, esprimono recettori dopaminergici. Pertanto sono stati sottoposti a trattamento con DA.

I risultati delle indagini di immunofluorescenza e di microscopia elettronica, hanno dimostrato, anche in questo contesto sperimentale, l’accumulo di proteina prionica a seguito di somministrazione di DA. Inoltre l’osservazione che la PrPc e l’ ubiquitina co-localizzano all’interno delle medesime strutture cellulari, indica, come avevamo ipotizzato, un coinvolgimento del sistema ubiquitina-proteasoma. L’ ubiquitina, proteina appartenente a tale sistema, risulta costantemente presente all’interno di inclusioni tipiche di malattie in cui l’attività del sistema ubiquitina-proteasoma risulta alterata [2,12, 20]

Nelle nostre condizioni sperimentali, abbiamo infatti misurato una diminuzione dell’attività catalitica del proteasoma sia su

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49

cellule PC12 che GABAergiche. Tale inibizione correla con l’incremento di PrP, indotto da MA o da DA rispettivamente.

Nell’insieme questi risultati dimostrano ulteriormente che la modulazione del sistema ubiquitina-proteasoma può avere un importante ruolo nell’accumulo di PrPc nel citoplasma, evento che sembra essere responsabile della formazione della PrPsc e quindi della neurotossicità [16,30].

Questi dati, in accordo con recenti studi [17, 18, 27], indicano che la neurotossicità dovuta alla proteina prionica può non dipendere dalla infezione di PrPsc esogena, bensì può derivare da un accumulo di PrPc all’interno del citoplasma.

Tale accumulo può essere quindi dovuto ad una alterazione del processo metabolico della PrPc, fisiologicamente mediato dal sistema ubiquitina-proteasoma. Questa alterazione può derivare da una riduzione dell’attività del complesso ubiquitina-proteasoma ovvero da un eccesso di substrato che, saturandone

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50

la capacità catalitica, può causare un aumento dei livelli citosoplasmatici di PrPc.

In alternativa, alti livelli citoplasmatici di PrPc potrebbero essere anche determinati da una over-espressione della proteina stessa, oppure da un’alterazione del sistema di trasporto cellulare che guida la PrPc nel raggiungere la propria posizione sulla membrana cellulare.

In ogni caso, gli aggregati neuronali rappresenterebbero quindi l’espressione finale di un processo patogenetico consistente nell’accumulo di PrPc nel citoplasma derivante da fattori diversi, che a vari livelli interferiscono sulla sintesi o sul metabolismo della PrPc. Riassumendo, quindi, è possibile individuare tre diverse modalità che mediano l’accumulo di PrPc nel citoplasma:

1. Fattori genetici: una mutazione puntiforme del gene Prpn potrebbe generare la proteina prionica alterata; alternativamente, una eccessiva trascrizione del gene Prpn potrebbe produrre un eccesso di substrato per il sistema di degradazione ubiquinina-proteasoma. In

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51

questo modo, la PrPc si accumulerebbe a livello citoplasmatico dando inizio al processo di formazione della proteina alterata. Molti dei casi di Malattia di Creutzfeld-Jacob e tutti i casi di malattia di Gertsmann-Strausser-Scheinker sono legati ad una mutazione sul gene della PrP [15,22]

2. Processo infettivo: la “contaminazione” con la forma esogena alterata PrPsc determina un accumulo citoplasmatico della PrPc dell’ospite e successivamente induce la PrPc a modificare la propria struttura secondaria in PrPsc [25].

3. Fattori ambientali che interferendo con i processi metabolici della proteina prionica ne determinano un accumulo, come nel caso dell’inibizione del sistema ubiquitina-proteasoma.

E’ possibile attribuire, quindi, a questi tre meccanismi la causa dell’insorgenza delle malattie prioniche. Queste , infatti, possono avere una triplice insorgenza, ereditaria,

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52

infettiva e sporadica, ciascuna delle quali avrebbe alla base un diverso meccanismo patogenetico (Fig. 10).

Fig. 10

Molti aspetti legati alla tossicità da PrPc rimangano tuttora oscuri, in particolare quale possa essere il meccanismo mediante il quale la PrPc acquisisce la conformazione alterata.

Attività proteolitica Degradazione lisosomiale PrPc PrPc Sistema Ubiquitina proteasoma Proteine alterate PrPc 2 3 Aggregati di PrPsc PrPsc 4

mutazioni del gene Prpn o sovraespressione Fattori ambientali 1 PrPsc 5 Attività proteolitica Degradazione lisosomiale PrPc PrPc Sistema Ubiquitina proteasoma Proteine alterate PrPc 2 3 Aggregati di PrPsc Aggregati di PrPsc Aggregati di PrPsc PrPsc 4

mutazioni del gene Prpn o sovraespressione

Fattori ambientali 1

PrPsc 5

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53

A tale proposito sono state avanzate diverse ipotesi. Una di queste propone che la conversione da PrPc a PrPsc possa avvenire spontaneamente, mediante l’addizione di monomeri di PrPc a preesistenti polimeri composti da PrPsc [6].

Una seconda teoria ipotizza che tale alterazione possa essere mediata da chaperonine, in assenza delle quali il processo di conversione della proteina prionica cellulare risulta avvenire molto più lentamente. E’ stato infatti osservato che la chaperonina del lievito Hsp104 e la chaperonina batterica GroEL possono determinare un aumento di PrPsc [10], indicando un loro possibile ruolo nella modulazione del processo di conversione della proteina prionica.

(55)

54

CONCLUSIONI

In conclusione i risultati di questo studio riportano per la prima volta come un fattore ambientale, quale una sostanza d’abuso come la metanfetamina, già nota per indurre neurodegenerazione a livello di sistema nervoso centrale, possa determinare un aumento di PrP. Pertanto possiamo riassumere che, sia in vivo e in vitro:

• la somministrazione di MA produce un aumento dei livelli striatali di PrPc;

• la somministrazione di MA induce la comparsa di PrPsc nelle cellule striatali;

• l’aumento di PrPsc è massimo a 3 giorni dal trattamento con MA e rimane inalterato a 7 giorni;

• l’aumento di PrPsc è stato documentato mediante analisi di immunoblotting, immunoistochimica e immunoelettromicroscopia;

(56)

55

• questi risultati sono stati riprodotti in vitro somministrando MA a colture di cellule dopaminergiche PC12;

• Effetti simili sono stati riprodotti in vitro in colture di cellule striatali non contenenti DA, mediante somministrazione di DA esogena.

Nel loro insieme questi dati dimostrano che, in assenza di mutazioni del gene per la proteina PrP o di infezioni da prioni, trattamenti con MA possono causare un transitorio accumulo di PrPsc all’interno del sistema nervoso centrale.

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56

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(63)

62

INDICE

INTRODUZIONE

PrPc e PrPSc……… 6

Processo di degradazione delle proteine prioniche……… 8

La metanfetamina ……… 12

Metanfetamina e sistema UP ………. 15

Scopo dello studio ………. . 16

MATERIALI E METODI

Approcci metodologici……….. …. 17 Studi in vivo………. 18 Studi in vitro………. 19 Colture cellulari PC12……….. 19 Trattamenti su PC12………. 20

Colture primarie striatali……… 21

(64)

63

Immunoistochimica……….………….. 23

Immunocitochimica……….. 24

Microscopia elettronica………..………….. 25

Immunocitochimica in microscopia elettronica ………… 26

Immunofluorescenza su cellule GABAergiche……… 28

WESTERN BLOT SU STRIATO E CELLULE PC12……….. 29

ATTIVITA’ DEL PROTEASOMA SU PC12 E COLTURE PRIMARIE……….. 32

RISULTATI

Studi in vivo……….34

Studi in vitro su cellule PC12………. 37

Studi in vitro su colture cellulari primarie di striato…… 41

Attività del protasoma………. 44

DISCUSSIONE……….. 46

CONCLUSIONI……….………….…. 54

Figura

Fig. 2 La MA induce un incremento di espressione di PrPc e PrPsc nello striato.  CONTROLLO MA 168h PrPc PrPsc CONTROLLO MA 168hPrPcPrPsc
Fig.  3  In  PC12,  la  MA  induce  un  incremento  nell’espressione di PrPc e di PrPsc
Fig.  4    Immunocitochimica  su  PC12:  la  MA  induce  un  incremento  di proteina prionica
Fig. 5 Microscopia elettronica su PC12: immunocitochimica
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