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Sergio Atzeni, la Storia e l'invenzione veridica

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Academic year: 2021

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SERGIO ATZENI

E LE VOCI DELLA SARDEGNA

a cura di

Giuseppe Ledda e Gigliola Sulis

(2)

Tutti i contributi qui pubblicati sono stati sottoposti a double-blind peer review.

Bononia University Press

Via Ugo Foscolo 7 – 40123 Bologna tel. (+39) 051 232 882

fax (+39) 051 221 019

© 2017 Bononia University Press ISBN 978-88-6923-263-3 www.buponline.com info@buponline.com

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adat-tamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.

Immagine di copertina: foto Giovanni Giovannetti (per gentile concessione) Progetto grafico e impaginazione: DoppioClickArt (San Lazzaro, Bologna) Prima edizione: dicembre 2017

Volume pubblicato con il contributo di:

DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA CLASSICA E ITALIANISTICA - FICLIT

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SOMMARIO

Per lo studio di Sergio Atzeni, oltre l’anniversario 7 Giuseppe Ledda e Gigliola Sulis

CONTESTI, INTERPRETAZIONI, ALLEGORIE

Sergio Atzeni nella letteratura sarda 31 Marcello Fois

Lo scrittore che ha cambiato il modo di raccontare la Sardegna 35 Paola Soriga

Dispositivi allegorici e esiti fiabeschi nei romanzi di Sergio Atzeni 41 Duilio Caocci

L’allegoria urbana de Il quinto passo è l’addio 61 Paolo Maninchedda

Sergio Atzeni postcoloniale: una verifica 69 Mauro Pala

DIALOGHI, TEMI, LINGUAGGI

Politica e letteratura nella formazione di Atzeni: la lettura di Amado 95 Giuseppe Marci

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 103 Roberto Puggioni

Scuola e Sardegna. Atzeni fra impegno e comicità, dalla pubblicistica alla narrativa 119 Giulio Iacoli

Musica e scrittura: Racconti con colonna sonora 143 Filippo Milani

Che lingua fa nel nuovo cinema sardo? Analisi di due film atzeniani 159 Myriam Mereu

LETTURE, ANALISI, MODELLI

Sotto il segno della luna. Una lettura mito-poetica dell’Apologo del giudice bandito 177 Birgit Wagner

“Con chiarezza e concisione”. Processi correttori nella stesura dell’Apologo

del giudice bandito 189

Gigliola Sulis

Atzeni e la ri-scrittura della Storia inabissata 229 Aldo Maria Morace

Sergio Atzeni e il romanzo di fondazione 251 Ilaria Puggioni

“Sapeva la Commedia a memoria”: strutture autobiografiche e modello profetico

in Passavamo sulla terra leggeri 269 Giuseppe Ledda

(5)

1. Il richiamo al “nesso fortissimo” tra memoria storica e invenzione nella narrativa di Sergio Atzeni induce Giulio Ferroni a ricordare il Discorso sul

romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione, il saggio

di Manzoni che costituisce il fondale teorico della tradizione del romanzo storico italiano. Benché Ferroni lasci cadere questa traccia, rubricandola in nota come una suggestione che fatalmente affiora nei “vecchi studiosi di letteratura italiana”,1 il riferimento alla riflessione manzoniana e il rimando

al novecentesco “motivo ben noto” del confronto tra storia e invenzione lette-raria appaiono in tutto pertinenti, anche alla luce del cosiddetto “ritorno alla realtà”2 che connota un filone cospicuo del romanzo contemporaneo a partire

dagli anni Ottanta, quando Atzeni si affaccia sulla scena editoriale.

A proposito delle rifrazioni tra le posizioni manzoniane e l’ibridazione storia/invenzione nella narrativa degli ultimi decenni, ha suscitato una mossa coda di polemiche un intervento di Paolo D’Angelo, il quale – rapportandosi ai problemi posti dalla cosiddetta non-fiction novel – rileva come “alcuni svi-luppi della letteratura più recente sembrano riproporli con forza e in termini

1 G. Ferroni, Sergio Atzeni tra cronaca, storia e invenzione, in S. Cocco, V. Pala, P.P.

Argiolas (a cura di), Sergio Atzeni e l’arte di inanellare parole, Cagliari, Aipsa, 2014, pp. 17-33, a p. 19: “Tutti noi, naturalmente, vecchi studiosi di letteratura italiana, ricordiamo sempre Manzoni e il discorso Del romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia e

d’invenzione”.

2 Tra le diverse indagini sul fenomeno, si segnala R. Donnarumma, G. Policastro (a

cura di), Ritorno alla realtà? Narrativa e cinema alla fine del postmoderno, in “Allegoria”, 57 (gennaio-giugno 2008), pp. 7-93.

Roberto Puggioni

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non poi troppo dissimili da quelli codificati dal nostro massimo romanziere”.3

Non senza discutibili generalizzazioni, lo studioso confronta il meditato com-miato manzoniano dal romanzo con la diffusa frequentazione del “genere” tra gli autori contemporanei, giudicando l’adozione del romanzo storico non tanto una formula di ponderata vitalità e di consapevole elaborazione lette-raria del “vero”, quanto una scorciatoia per il successo editoriale.4 D’Angelo

si rivolge alla scena odierna in un capitolo-postilla, in conclusione di un ben documentato volume sui rovelli teorici manzoniani, nel quale tuttavia non si precisa che lo scrittore milanese abiurò l’impianto misto del romanzo storico, non la possibilità che la letteratura divenga una forma di rappresentazione del “vero”, per estenderne “effettivamente la cognizione”, e rivelare “aspetti novi di cose note”.5

È forse proprio la proiezione su quest’ultimo orizzonte di senso a offrire una delle chiavi di lettura dell’esperienza intellettuale di Atzeni, dalle cui pagi-ne traluce l’idea di una realtà sommersa risarcita e restituita dall’elaboraziopagi-ne letteraria, ri-generata dalle risorse immaginative e linguistiche di una narrativa che si fa strumento di conoscenza “veridica” di quanto la storia non ha saputo o non ha voluto raccontare; al di là delle coordinate formali del romanzo sto-rico di vecchio e nuovo conio, che incrociano solo marginalmente la poetica dell’autore.

Sembra, infatti, improprio includere Atzeni nel flusso corposo, variamente declinato, delle “narrazioni spurie”6 riconducibili alla rinnovata affermazione

contemporanea di questa “specie” letteraria. Né l’opera dello scrittore – per

3 P. D’Angelo, Le nevrosi di Manzoni. Quando la storia uccise la poesia, Bologna, Il

Mulino, 2013, p. 197.

4 Ibidem: “se si escludono eccezioni vistose, ma che restano pur sempre tali, come

Vassalli o Scurati, nessun dubbio che il genere appaia praticato oggi, in modo quanti-tativamente preminente, da divulgatori ben attrezzati dal punto di vista narrativo, da specialisti del pittoresco, da capaci confezionatori di prodotti d’evasione”. Un estratto dell’ultimo capitolo-postilla, a cui si fa riferimento, è stato pubblicato nel giugno 2013 su <www.leparoleelecose.it/?p=10816>, con una nutrita coda di accesi interventi di replica.

5 Cfr. A. Manzoni, Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione (1845), a cura di S. De Laude, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani,

2000, p. 40.

6 Mutuo la definizione dal convincente intervento di R. Palumbo Mosca, Narrazio-ni spurie. Letteratura della realtà nell’Italia contemporanea, in “MLN”, 126 (2011), pp.

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 105 molti aspetti organico alla tradizione narrativa sarda, scritta e orale, otto-novecentesca – risulta inquadrabile nell’alveo del romanzo storico isolano, che pure vanta una robusta, persistente linea evolutiva, dalle prove ottocentesche di genere7 a diversi testi deleddiani, dal romanzo “palinsesto”8 di Dessì alle

felici sperimentazioni di autori odierni quali – tra gli altri – Giulio Angioni e Marcello Fois.

Nondimeno, la riflessione sulla storia, quella della Sardegna in particolare, sembra costituire per Atzeni un paradigma operativo ineludibile, secondo un orientamento già tangibile negli anni dell’attività giornalistica, specie negli articoli in cui le istanze della modernità vengono intrecciate alle tradizioni culturali, identitarie e linguistiche dei sardi.9

Ma la riprova più diretta e perspicua dell’interesse per le radianze della storiografia sul testo letterario affiorano in Atzeni in un’altra forma discorsiva, per lui meno consueta, quella dell’intervento nelle aule universitarie nelle vesti del conferenziere, che intreccia lo sguardo critico sui rapporti tra storia e letteratura alle proprie tensioni programmatiche.

2. Nell’aprile del 1995, pochi mesi prima della sua scomparsa, lo scrittore tiene due “lezioni” gemelle di un certo rilievo per il tema qui affrontato: la prima all’Università di Verona, su invito di Stefano Tani, pubblicata con il titolo Letteratura e storia, riprodotta con obbligate approssimazioni sul nume-ro monografico de “La gnume-rotta della vipera” dedicato allo scrittore;10 la sede del

7 Sulla tradizione del romanzo storico ottocentesco in Sardegna si legga il ricco e

prezioso contributo di A.M. Morace, Il romanzo storico in Sardegna. Da Varese a Calvia, in F. Atzeni, A. Mattone (a cura di), La Sardegna nel Risorgimento, Roma, Carocci, 2014, pp. 997-1042.

8 Sulla connotazione, cfr. S. Maxia, Prefazione a G. Dessì, Paese d’ombre, Nuoro, Ilisso,

2003, pp. 7-35.

9 In riferimento all’esperienza giornalistica di Atzeni, si vedano i puntuali, pregevoli

commenti di G. Marci, Dal giornalismo alla narrativa, in G. Marci, G. Sulis (a cura di),

Trovare racconti mai narrati, dirli con gioia, Convegno di Studi su Sergio Atzeni (Cagliari,

25-26 novembre 1996), Cagliari, Cuec, 2001, pp. 41-63; e di G. Sulis, Introduzione a S. Atzeni, Scritti giornalistici (1966-1995), a cura di G. Sulis, Nuoro, Il Maestrale, 2005, pp. XXV-XLIV.

10 S. Atzeni, Letteratura e storia, a cura di R. Cagliero, in “La grotta della vipera”, XXI,

72/73 (1995), pp. 34-36. La riproduzione del testo è l’esito dell’assemblaggio di appunti raccolti dagli studenti presenti. D’ora in poi lo si citerà con (V).

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secondo intervento, Storia e romanzo, è l’Università di Parma, dove l’autore è ospite di Roberto Cagliero.11 Specie questo secondo contributo costituisce

il testo atzeniano più articolato sulla forza conoscitiva e sul valore “etico” dei due ambiti. Si tratta di discorsi proposti con il consueto understatement, scevri di ogni albagia erudita, nel riconoscimento della “grande difficoltà” e “del grande interesse” del tema, dice Atzeni, che anzi premetteva di non sen-tirsi all’altezza di parlarne con gli studenti, giacché altro era il suo “mestiere”, ovvero “stare chiuso in una stanza, con la macchina da scrivere, a scrivere una storia o a tradurre” (P).

Atzeni esordiva con l’assunto “la storia è la narrazione ‘veridica’ della vicenda dell’uomo su questo pianeta”, ma faceva seguire l’asserzione da una coordinata dubitativa: “si presume che la storia debba raccontare la verità” (P). Dopo avere alluso ad Aristotele e alla Fenomenologia dello spirito hegeliana, per meglio precisare “il senso del termine ‘veridico’”, lo scrittore transitava nelle pagine di alcuni dei più celebri storici dell’antichità, dove esplorava l’inverosimiglianza di certe cronache, l’incongruenza e l’incertezza delle fonti.

Veniva citato Tabarî, il grande annalista musulmano (IX sec. d.C.), ben noto ad Atzeni che ne aveva curato una traduzione italiana;12 quindi

Erodo-to e poi Tucidide, leggendo in particolare, di quest’ultimo, un passo della celeberrima descrizione della peste che colpì Atene intorno al 430 a.C.: qui Atzeni poteva proporre con agio due possibili visioni dell’opera storiografica di Tucidide. Da una parte denunciava l’evidente indeterminatezza dei dati più propriamente documentaristici:

Tucidide non ci dice quanti abitanti aveva Atene né quanti morirono, non ci dice quanti sopravvissuti si ammalarono di peste e sopravvis-sero, e quanti invece sopravvissero senza ammalarsi di peste, non ci dice assolutamente nulla su quello che fecero i governanti della città del tempo, non ci dice chi morì e perse la fortuna, e chi si impadronì della fortuna di chi: non ci dà alcuna notizia precisa. (P)

11 S. Atzeni, Storia e romanzo, conferenza tenuta all’Università di Parma, 20 aprile

1995, a cura di R. Cagliero, “Bollettino della società letteraria”, Verona, dicembre 1996, ora in <www.sergioatzeni.com>, sezione Risorse. Sarà citato con (P).

12 M. Ibn Garir al-Tabari, I profeti e i re. Una storia del mondo dalla creazione a Gesù,

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 107 Dall’altra, esprimeva un vivo apprezzamento per il pathos evocativo e l’au-tenticità antropologica, universale del racconto, per la maestria del “ritratto morale” (V) di una società colpita dal flagello della peste:

Se rileggete con calma questa descrizione, vi rendete conto che pre-senta un tratto di una società umana: che cosa succede in una società umana quando arriva una pestilenza, una malattia che colpisce o anche, per esempio, nei momenti durante un assedio, durante una guerra. Queste cose succedono e la società umana, di fronte alla morte collettiva, reagisce così come Tucidide ci dice, non solo ai tempi di Tucidide ma anche ai tempi moderni. (P)

La storia, dunque, nella interpretazione atzeniana, diviene “veridica” quando assume la forma di descrizione “attenta della vita umana, attenta e precisa”, un pregio diffusamente riconosciuto a Tucidide, tanto da imporre questa sua prosa come la fonte privilegiata – si sottolineava – di ogni narrazione della peste: “come se chi ha visto la peste successiva non avesse notato nient’altro da ricordare oltre quello che, a suo tempo, aveva detto lui. Anche uno scrittore inglese, mi pare si chiami Defoe, ha narrato della peste; le sue pagine sono tutte tratte da Tucidide” (P).

Seppure dichiarata incerta per ragioni retoriche, la citazione del Journal of

the Plague Year di Defoe – che Atzeni ben conosceva, giacché è senz’altro una

delle fonti del proprio Gli anni della grande peste –13 sostanziava l’idea di una

storiografia inaffidabile nel metodo d’indagine, e tuttavia archetipo potenzia-le delpotenzia-le forme narrative che illuminano non una presunta esattezza storica, ma una rappresentazione del reale persuasiva nella forma e “autentica”, alla maniera delle migliori prove letterarie.

Ne conseguiva, paradossalmente, che l’affinamento metodologico della ricerca storica contemporanea non costituisse una garanzia di valore etico-conoscitivo: Atzeni – come Antonio Setzu in Passavamo sulla terra leggeri – ribadiva che “la storia talvolta non è il campo della verità”,14 perché di norma

si configura come dispositivo di potere legato a specifici interessi politici.15

13 S. Atzeni, Gli anni della grande peste, Palermo, Sellerio, 2003.

14 S. Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, Milano, Mondadori, 1996, p. 116, p. 128. 15 Importante al riguardo il volume di E. Scarano, La voce dello storico: a proposito di un genere letterario, Napoli, Liguori, 2004.

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E per confutare uno dei più clamorosi casi di mistificazione storiografica del Novecento – il revisionismo sui campi di sterminio nazisti – suggeriva agli studenti che avevano sete di “verità”, e intendevano “sapere che cosa è vera-mente successo”, di leggere un classico moderno della letteratura italiana, il Primo Levi di Se questo è un uomo.

Perché i romanzi e non la storia? Nei tempi antichi e in quelli moder-ni, la maggior parte della storia (ad esempio di questo secolo) è falsa, scritta da potenze vincitrici di guerre per dimostrare la legittimità della guerra. (P)

Prevenendo il rischio di apparire come un narratore “che pretende di dire la verità sulla storia”, Atzeni echeggiava allusivamente il dibattito storiografico degli ultimi decenni legato al suo discorso. Veniva citato dapprima Carlo Ginzburg e – con qualche semplificazione – il suo ricorso al paradigma indiziario: “uno storico italiano che lavora attraverso un sistema indiziario, cioè non documentario; non prende il documento, non basa la sua storia su documenti ma su indizi, ovvero non si comporta come uno storico bensì come un investigatore privato”.16 Poi, si suggeriva la lettura de Le molte morti

di Simon Schama – tradotto tre anni prima in Italia da Paola Mazzarelli –17

uno storico che “per raccontare la verità scrive romanzi”. E, per altro verso, lo scrittore raccomandava, non a caso, il modello virtuoso della Storia della

colonna infame (V), uno dei capolavori della nostra tradizione, un testo il cui

grande impatto etico deriva anche dalla perfetta ibridazione tra la più avan-zata storiografia liberale del primo Ottocento e la calibrata misura stilistico-narrativa adottata da Manzoni.

16 Atzeni si riferisce in tutta evidenza al saggio di C. Ginzburg, Spie. Radici di un para-digma indiziario (1979), in Id., Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi,

1986, pp. 158-209. La citazione, forse per ragioni di chiarezza argomentativa, semplifica i presupposti metodologici di Ginzburg, che non sostiene certo la rinuncia all’indagine condotta sui documenti, affermando nondimeno la necessità di rivolgersi, alla maniera di un investigatore, al dettaglio rivelatore, al marginale, all’anomalo per accedere a verità profonde altrimenti inattingibili.

17 S. Schama, Le molte morti del generale Wolfe. Due casi di ambiguità storica (1991),

trad. it. di P. Mazzarelli, Milano, Mondadori, 1992. Paola Mazzarelli era all’epoca la compagna dello scrittore sardo; si può presumere che Atzeni abbia potuto meditare non cursoriamente sulle suggestioni offerte da quel testo.

(11)

Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 109

La storia è una costruzione fatta dall’uomo tanto quanto il romanzo […] Credere che la storia dica verità e che il romanzo dica falsità è peri-coloso […] Bisogna convincersi che spesso gli storici non dicono la veri-tà; mentre i romanzieri, a volte, raccontano più verità degli storici. (V)

L’epilogo compendiava toni e principi di due “lezioni” sostanzialmente ana-loghe, caratterizzate dal registro colloquiale, con passaggi argomentativi sem-plificatori, incardinati sullo scetticismo intorno alle verità ufficiali della Storia e al potenziale valore “veridico” del racconto letterario. Rilevante appare, in tale approdo discorsivo, la scelta atzeniana di coniugare la vitale esemplarità, insieme etica e analitico-narrativa, della Storia della colonna infame alle spie di un interesse per il dibattito su metodi, fini e modalità espressive della sto-riografia contemporanea.

Risulta problematico sapere quanto lo scrittore isolano governasse que-sto dibattito che attraversava in quegli anni, e attraversa oggi, la cultura occidentale, né è forse così importante stabilirlo. Certa invece sembra la sua attenzione per le contiguità e le sovrapposizioni tra le forme di rappresenta-zione del reale nei testi storici e in quelli letterari. Per inciso, si può notare l’oscillazione atzeniana tra posizioni significativamente difformi: da un lato, si registra l’assimilazione delle prospettive “testualiste”, sulla scia della

Meta-history di Hayden White,18 autore intento – come è stato detto – a “seguire

la sperimentazione letteraria per trovare nuove forme di narrazione della storia”,19 con l’orientamento a vedere il passato coincidente con la sua mera

rappresentazione, come anche il romanzo di Schama pareva indicare. Su un altro versante, Atzeni – lo si è visto – considera un punto di riferimento gli studi di Carlo Ginzburg, il quale, già nella Postfazione (1984) a Il ritorno di

Martin Guerre di Davis, aveva dichiarato la sua avversione alla “tendenza

dello scetticismo postmoderno a sfumare il confine tra narrazioni di finzione e narrazioni storiche”, e concepiva “il rapporto tra le une e le altre come una contesa per la rappresentazione della realtà”, un conflitto fatto “di sfide, prestiti reciproci, ibridi”.20

18 H. White, Retorica e storia (1973), I-II, Napoli, Guida, 1978. Cfr. inoltre Id., Forme di storia. Dalla realtà alla narrazione, a cura di E. Tortarolo, Roma, Carocci, 2006.

19 G. Benvenuti, Il romanzo neostorico italiano. Storia, memoria, narrazione, Roma,

Carocci, 2012, p. 13.

20 C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 8-9.

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Come è chiaro, non si intende qui valutare impropriamente la competen-za dello scrittore isolano nei diversi orientamenti della storiografia; può invece risultare di qualche rilievo valorizzare anche questa non marginale sensibilità intellettuale atzeniana, la quale in certa misura guida la sua erranza letteraria nelle opacità della storia, e costituisce uno dei fondamenti ideologici del suo operare artistico.

Nei testi narrativi di Atzeni, il confronto con la storia della Sardegna si configura come un’operazione complessa e appassionata, mai incline – anche per la formazione politica dell’autore, dall’impegno giovanile nella FIGC, al disincanto, all’avvicinamento alla sfera religiosa – ad assorbire acriticamente, e nelle modalità del realismo, rivendicazioni militanti di chiusura autono-mistica o la linea della “costante resistenziale sarda” cara a Giovanni Lilliu.21

Una visione della storia sarda, quest’ultima, semmai recuperata da Atzeni come pulsione mitopoietica,22 secondo una lucida ottica interpretativa già

delineata da Umberto Cardia, per diversi anni sponda intellettuale privilegiata per il giovane autore;23 lo stesso Cardia che non poco contribuì a sollecitare

Finto. Sul metodo della ricostruzione storica. Carlo Ginzburg e Hayden White. Riflessioni su due modi di intendere la storia, in “Engramma. La tradizione classica nella memoria

occi-dentale”, n. 55 (marzo 2007) (<http://www.engramma.it/engramma_revolution/55/055_ saggi_pisani.html>).

21 Come è ben noto, l’insigne archeologo, tra gli anni Sessanta e Settanta, elaborò una

rappresentazione delle vicende millenarie dell’isola come caratterizzate dall’“aggressione di integrazioni di ogni specie”, da una “confusione etnica e culturale”, che non avevano tut-tavia intaccato la fedeltà dei sardi “alle origini autentiche e pure”. Cfr. G. Lilliu, La costante

resistenziale sarda, a cura di A. Mattone, Nuoro, Ilisso, 2002.

22 In proposito, si veda G. Sulis, Dalla resistenza anticoloniale alla condizione post-coloniale. La Sardegna di Sergio Atzeni, in S. Contarini, M. Marras, G. Pias (a cura di), L’identità sarda del XXI secolo tra globale, locale e postcoloniale, Nuoro, Il Maestrale, 2012,

pp. 77-95, a pp. 86-91.

23 Nel suo importante recente contributo sul rapporto tra Atzeni e Cardia,

inclusi-vo del carteggio tra i due, Giuseppe Marci definisce il loro legame come “un singolare incontro fra esponenti di due generazioni che non confliggono, anzi stranamente si incontrano, a dispetto dell’apparente distanza. L’adulto razionale e pacato, autorevole per prestigio intellettuale e rango sociale, ma che aveva scelto di abbracciare la causa dei subalterni e dei più deboli; il giovane preso dalle emozioni e dai sogni, sperimentatore di devianze, incerto sui singoli atti della personale esistenza, ma forte di una passione che ne orientava l’agire, dandogli senso”. Cfr. G. Marci, Caro Umberto, Sergio carissimo.

Gramsci, comunismo e religione nelle lettere tra Sergio Atzeni e Umberto Cardia, Cagliari,

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 111 nello scrittore l’idea di un paradigma identitario rinvenibile nella lezione di Gramsci, volta al “pieno recupero dei valori autonomistici […] storicamente costituiti”, fondati “sulla coscienza dei connotati distinti e peculiari del popo-lo sardo”, ma nel contesto di una partecipazione “alla vicenda e alla storia della nazione italiana”.24

Anche su queste basi, si profila nel laboratorio letterario dello scrittore, sin da un articolo del 1979, una predisposizione a esplorare i meandri di una “contro-storia”, preferibilmente concepita come tragicommedia umana, vocata a illuminare le stratificazioni etno-antropologiche e culturali delle genti sarde; tra antico e moderno, in un diagramma narrativo scalare, regio-nale e globale,25 in cui l’“etica” del narratore non deve preoccuparsi “di quale

immagine dell’isola passi […] attraverso le opere letterarie dei sardi”. È una sorta di dichiarazione programmatica a favore di una letteratura “che si ciba dei vizi, delle malattie e delle deturpazioni del corpo sociale. Una letteratura veramente grande non ha pietà, né necessità encomiastiche”.26

Molti anni più tardi, nel 1994, quasi a ridosso delle due conferenze citate, si confermava anche nel lungo periodo, nello scrittore quasi al

ter-24 S. Atzeni, Identità di popolo o nazione sarda, in “Altair”, anno 1, n. 5 (1977), ora in

Id., Scritti giornalistici, cit., pp. 925-928.

25 Sull’apertura al “globale” nel quadro della letteratura postcoloniale, si veda il

sempre illuminante contributo di M. Pala, Sergio Atzeni, autore post-coloniale, in G. Marci, G. Sulis (a cura di), Trovare racconti mai narrati, cit., pp. 111-132, e l’“ag-giornamento” odierno del saggio nel presente volume; per l’interpretazione in chiave neocoloniale dello scrittore, si leggano, inoltre, G. Sulis, Dalla resistenza anticoloniale alla

condizione postcoloniale, cit., e R. Onnis, La sardità postcoloniale di Sergio Atzeni: contro una concezione purista ed essenzialista delle nozioni di popolo e nazione, in S. Contarini, M.

Marras, G. Pias (a cura di), L’identità sarda del XXI secolo tra globale, locale e postcoloniale, cit., pp. 58-75. Se è possibile parlare di un “culto identitario” affiorante nella visione narrativa atzeniana della Sardegna, questo appare quanto mai connesso a una dimensio-ne spaziale e antropologica che esula dall’arroccamento locale, come ha sottolidimensio-neato di recente Giulio Angioni, in I. Palladini, Occhi da incantamondo. Un ritratto critico e tredici

dialoghi su Sergio Atzeni, Milano, Franco Angeli, 2015, p. 52: “La mia impressione è

che Sergio partisse dalla identità specifica, senza mai arroccarsi nel suo prezioso, quanto inane, culto, per maturare una comprensione universale dell’uomo nelle sue varie mani-festazioni”.

26 S. Atzeni, Come un carro fantasma nella città inesistente, in “La Nuova Sardegna”,

8 aprile 1979 (recensione a Il giorno del Giudizio di Salvatore Satta), ora in Id., Scritti

(14)

mine della sua pur breve esperienza letteraria ed esistenziale, l’inclinazione a poggiare su una inventio prensile che si alimenta, senza pregiudizi, delle risorse narrative offerte dalla propria terra, là dove scaturisce l’autenticità di una visione del mondo:

Chi […] voglia con onestà narrare, non ha che da guardare la propria nazione, in diretta o nella memoria. Troverà infiniti spunti per intrecci e vicende di romanzo, e nella propria identità nazionale un terreno fertile di immagini, modi di dire e costumi che colano e svelano una visione del mondo.27

3. Basti il richiamo, qui cursorio, ad alcune sue opere per rinvenire una piena testimonianza di tale inclinazione, con la “messa a punto di un sistema narrativo che figga acuto lo sguardo sulle stratificazioni storiche e sulle sue mistificazioni”.28

In Passavamo sulla terra leggeri, ultimo ambizioso progetto letterario atze-niano, la riscrittura della storia ufficiale di lungo periodo – la “strana cucina savoiarda della verità storica” – è incardinata sulla custodia, la rivelazione e infine la trascrizione delle antiche memorie orali, deposito di un’autenti-cità paradossalmente garantita dal cortocircuito tra ricostruzione storica e impianto epico-mitico puntellato dall’invenzione della Urlingua sarda.29 È

un romanzo modulato su un accumulo di tessere mnestiche, lucide e traso-gnate al contempo, che albergano nella figura di Antonio Setzu, narratore e interprete dalla robusta valenza simbolica, capace di unire il docere al

delec-27 S. Atzeni, Nazione e narrazione, in “L’Unione Sarda”, 9 novembre 1994, ora in Id., Scritti giornalistici, cit., pp. 990-993, a p. 992.

28 Cfr. I. Palladini, Occhi da incantamondo, cit., p. 29.

29 Su questo romanzo rimangono fondamentali le riflessioni di G. Cerina, Prefazione

a S. Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, a cura di G. Cerina, Nuoro, Ilisso, 2000, pp. 7-28. Sulla peculiare natura di romanzo di “fondazione” del testo si vedano i contributi di I. Puggioni, Il percorso epico-storico di Sergio Atzeni: dai primi esperimenti letterari al

racconto di fondazione, in S. Cocco, V. Pala, P.P. Argiolas (a cura di), Sergio Atzeni e l’arte di inanellare parole, cit., pp. 49-62; Ead., Sergio Atzeni e il racconto di fondazione, Tesi di

dottorato in Scienze dei sistemi culturali, Indirizzo Filologico-Letterario, Ciclo XXIV, Università di Sassari, A.A. 2011-2012.

(15)

Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 113

tare – ha notato Giovanna Cerina – “come si conviene a un maestro e al suo

impegno etico”.30

L’erranza atzeniana nelle opacità della storia produce una varietà di proie-zioni, frammenti percettivi, angolature deformanti che partecipano, di volta in volta, a una verisimiglianza declinata – come è stato scritto – espungendo l’illusione di una “verità unica”, rifiutando il “reale” come “unico razionale concepibile”,31 per rivolgersi semmai alle risorse dell’inchiesta aperta,32 della

polifonia, del mistero, del grottesco e del mito.

Quando Atzeni si cimenta con il piacere della demistificazione più diretta, non imbastisce una contro-storia, piuttosto ridicolizza, con umana bonomia, le fandonie raccontate sull’isola, nella fattispecie quelle dei viag-giatori sette-ottocenteschi stranieri, con un rovesciamento ermeneutico, gestito mediante la chiosa ironica, la quale smonta al contempo stereotipi e ambizioni letterarie degli autori che si sono distinti in un improbabile ritrat-to dei costumi sardi. Così, in Raccontar fole,33 l’attribuzione ai viaggiatori

narratori di una propensione alla fiaba è puntellata da una caustica analisi dei “pregi” stilistici rintracciabili nella prosa di taluni scrittori. Sarà suffi-ciente ricordare la focalizzazione della pagina di Gustav Jourdan sui Baron-celli, i barraBaron-celli, segnalata non solo per le incongruenze documentarie e logiche quanto, soprattutto, per le abitudini interpuntive del narratore fran-cese: “questa breve e brillante demolizione dei Baroncelli è un’orgia di punto e virgola. Vanità letteraria di Jourdan?”.34 Mentre l’inverosimile descrizione

del fenomeno del banditismo sardo da parte del tedesco Von Maltzan viene

30 G. Cerina, Prefazione a S. Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, cit., p. 9.

31 M. Coser, Sergio Atzeni e Manuel Scorza, storiografia e tradizione popolare, in S.

Cocco, V. Pala, P.P. Argiolas (a cura di), Sergio Atzeni e l’arte di inanellare parole, cit., pp. 81-90, a p. 89.

32 Sostiene acutamente G. Ferroni, Sergio Atzeni tra cronaca, storia e invenzione, cit.,

p. 19: “In realtà, gran parte della narrativa di Atzeni si pone come inchiesta – come ho detto una prospettiva giornalistica vi si intreccia sempre con storia, invenzione, cronaca – sulla storia della Sardegna: inchiesta-romanzo, nell’incertezza della storia e della sua verifica”.

33 S. Atzeni, Raccontar fole, Palermo, Sellerio, 1999. La curatrice Paola Mazzarelli,

nella seconda di copertina, lega l’operazione di smascheramento sistematico e ironico al “disincantato amore per la propria terra e quell’ansia di verità oltre l’apparenza che costi-tuiscono la cifra più genuina dell’Autore”.

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commentata in questi termini: “Una considerazione marginale: pio e ladro, secondo il tedesco, sono termini che possono incontrarsi soltanto nel caso in cui la mediazione venga svolta da un terzo termine: ingenuo. Per lui, il pio ladro furbo non esiste. Beata ingenuità…”.35

Gli anni della grande peste, racconto del 1987, poi riedito in una raccolta

nel 2003, allinea nell’esordio la filiera genetica delle fonti quasi obbligate (Tucidide, Defoe, Boccaccio e Manzoni), ma, sullo sfondo di episodi storici quali la peste algherese del 1582 e l’epidemia diffusasi nell’isola alla metà Seicento, affiora un racconto che valorizza tratti antropologici caratterizzanti, difformi da quelli espressi nella prosa di tutti coloro che “avevano solo ripetu-to Tucidide”, con l’ironia amara che accende una luce sull’indolenza dei sardi, sulla loro atavica accettazione silente delle sciagure:

Nessuno disse che il male era figlio di stelle comete, nessuno inventò untori, nessuno accusò il vicino di casa di avvelenare l’acqua dei con-dotti. Fatti simili accadevano, quando appariva la peste, dappertutto, ma non in Sardegna, dove si moriva senza teorie.36

Nell’Apologo del giudice bandito, la grande Storia dell’anno 1492 è lo scenario disatteso di un affollato carnascialesco37 quadro narrativo di vita cagliaritana,

il cui germe ideativo è verosimilmente desunto da una notizia in nota – lo ha rilevato Gigliola Sulis – rintracciata in un testo storico:38 un processo, in

contumacia, contro le cavallette che avevano invaso l’isola provocando una devastante epidemia. Intorno a questo evento Atzeni raggruma una reticolare messa in scena di vicende e di figure della bassa e alta società cittadina, tra vicoli e palazzi nobiliari, nei dissidi tra i potenti, accomunati dalla sistematica distorsione onomastica che connota la ridicola alterigia della feudalità

sardo-35 Ibidem, p. 107.

36 S. Atzeni, Gli anni della grande peste, cit., p. 44.

37 G. Ferroni, Sergio Atzeni tra cronaca, storia e invenzione, cit., p. 23, sottolinea

opportunamente la cifra rappresentativa dell’affollamento brulicante, che ha un riscontro nell’“accumulo di immagini e di figure con una prevalenza dello stile nominale, di elen-cazioni seriali”.

38 Si veda l’Introduzione di G. Sulis, in G. Marci, G. Sulis (a cura di), Trovare rac-conti mai narrati, cit., p. 19. Il testo storico a cui si fa riferimento è F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, I, Gli anni 1478-1720, a cura di G. Todde, Sassari, Gallizzi,

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 115 ispanica. Ne scaturisce una deformazione allegorica dei referenti storici, con libero ricorso ad asincronie e incongruenze conclamate, in una rappresenta-zione che nondimeno penetra e rivela – come è stato scritto – “un clima”, una “temperatura”, “una materia umana non dissimili da quelle della Sardegna e del Mediterraneo di fine Quattrocento”.39

Questo primo romanzo atzeniano è forse il più prossimo alle modalità del romanzo storico, ma anche nell’Apologo l’autore tende a un recupero obliquo e visionario di nuclei di memoria storica, più che a una meditata proposta di adesione alla formula narrativa riconoscibile e consolidata. Qui, come in altri testi, la vocazione fabulatoria sembra originare da un’operazione di scavo immaginativo, per quanto documentato, nelle pieghe della storia; qui scaturisce l’invenzione dell’“autentico”, da intendersi nell’accezione classica di

inventio, di invenire, di un ritrovare luoghi, gesti, attitudini, parole, che

ani-mano un mondo inscritto nel pregresso, da interpretare e porre in relazione col presente.

“Mi cerco le storie, non le invento”,40 ha più volte ripetuto Atzeni. Si

trattava per lui di combinare – nella fucina del talento narrativo e del proprio singolare artigianato linguistico – la sua percezione “carnale”41 della vita alla

esigenza di ascolto e rievocazione delle voci del passato. Specie nei testi citati, sembra emergere una tensione alla “magia”42 del rappresentare affine ad alcune

tendenze del neostoricismo o della “post-historia”, secondo la definizione di Vattimo:43 aleggia nelle pagine dell’autore sardo il riverbero di una “pulsione

negromantica” – secondo la formula di Mario Domenichelli44 mutuata da

Greenblatt –; un “fenomeno trasversale”, come ha scritto Giuliana Benvenuti,

39 B. Anatra, L’invenzione della storia, in G. Marci, G. Sulis (a cura di), Trovare racconti mai narrati, cit., pp. 81-86, a p. 82.

40 S. Atzeni, Il mestiere dello scrittore, testo della conferenza tenuta a Cagliari nel 1991

e curato da V. Gerini, ora in Id., Sì…otto!, a cura di G. Marci, Cagliari, Condaghes, 1996, pp. 79-93, a p. 79.

41 Cfr. G. Marci, Introduzione a S. Atzeni, Sì…otto!, cit., p. 3.

42 R. Copez, in I. Palladini, Occhi da incantamondo, cit., p. 56, ipotizza che la presenza

del magico nelle pagine atzeniane sia ascrivibile alle frequentazioni dei grandi autori suda-mericani o alla “seduzione della tradizione orale e popolare” sarda.

43 G. Vattimo, La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1985.

44 M. Domenichelli, La storia obliata e la magia delle rappresentazioni. Il romanzo stori-co, il neostoricismo: infrastoria, “post-historia” e controstoria, in “Moderna”, VIII, 1/2 (2006),

pp. 73-91, e Id., Lo scriba e l’oblio. Letteratura e storia: teoria e critica delle rappresentazioni

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che investe la letteratura come la storia, nella ricerca di un contatto con le voci dei morti, attraverso indizi documentari e metodo di scrittura, le quali diven-gono fonti prioritarie di “una istanza di emancipazione nei confronti delle vicende e delle identità che la storia ha sottaciuto e, così, progressivamente negato”.45 Con intenti analoghi, talvolta con interferenze nei percorsi del

romanzo storico, ma nel misturo di generi e registri che gli è proprio, Atzeni pare rivolgersi a queste “voci fantasma”,46 ammutolite dalla storia ufficiale, per

rileggere e rivelare il passato.

In fondo, la figura di Itzoccor Gunale, il giudice bandito dell’Apologo, diviene emblema della coscienza collettiva dei sardi anche in rapporto al suo colloquio con gli antenati morti, dal fondo della fossa-tomba in cui è impri-gionato. Mentre nelle Conclusioni di Raccontar fole, al termine dell’ironico sbugiardamento delle bizzarre immagini dell’isola proposte dai viaggiatori stranieri, l’autore manifesta il desiderio di interrogare le voci di quegli stessi scrittori defunti per ricavare altre visioni intorno alla vita di una sua lontana fiabesca ava. È uno scarto ambiguo, come una disponibilità divertita ad ascol-tare nuove fandonie oppure, al contrario, come una verifica di una possibile ritrovata attendibilità di quelle voci passate a miglior vita:

In quel paese viveva la nonna della nonna di mia nonna. A volte mi è sembrato di intravedere delle ombre…

Com’era?

Per saperlo interrogherei i cadaveri… perché no?… e chiederei con voce ferma: “Dite, alla fine: che vita ha vissuto quella donna?”.47

L’esito è una scombinata ridda responsiva, un accumulo di voci dell’assurdo, che dissolvono in una danza macabra di “morti sotterrati”, sino ad arrestarsi sulla beffarda fulminante epifania dell’autore, in cui l’indagine nell’oltretom-ba aggancia la grande Storia del mondo: “In Francia, intanto, facevano la Rivoluzione”.48

Quanto poi alla Storia, quella scritta degli storici di professione, Atzeni non disdegnerà in assoluto di offrire un suo contributo: una sua

collaborazio-45 G. Benvenuti, Il romanzo neostorico italiano, cit., p. 7.

46 M. Domenichelli, La storia obliata e la magia delle rappresentazioni, cit., p. 74. 47 S. Atzeni, Raccontar fole, cit., p. 115.

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Sergio Atzeni, la Storia e l’invenzione “veridica” 117 ne a un volume di Storia di Sardegna a fumetti49 testimonia che era possibile

compromettersi anche con la scrittura storiografica, ma solo quando tempe-rata e piegata alle peculiari modalità espressive del fumetto, una passione e un genere per lui tutt’altro che marginali.50

49 S. Atzeni, P. Murgia, Crisi e lotte interne della feudalità sarda: Sigismondo Arquer. La congiura di Camarassa, intr. storica di L. Ortu, Storia di Sardegna a fumetti, vol. 7, Cagliari,

Altair, 1982.

50 In proposito si veda G. Marci, Dal giornalismo alla narrativa, cit., pp. 49-50. In

rapporto all’attenzione atzeniana per il linguaggio e le forme espressive del fumetto, I. Palladini, Occhi da incantamondo, cit., p. 24, rileva che si tratta di “una passione, quella per i fumetti, non certo coltivata come interesse a latere, estrinseco alla pratica di scrit-tura, ma che, al contrario, anima il testo”.

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