Una comunità immaginata.
Human relations e identità aziendale alla Falck negli anni Cinquanta
Andrea Umberto Gritti*
Il saggio intende analizzare il ruolo assunto dalla cultura organizzativa sviluppata dall’im-prenditoria lombarda nel secondo dopoguerra nel fenomeno di consolidamento della centrali-tà decisionale delle direzioni aziendali nelle dinamiche produttive che si osserva durante gli anni Cinquanta. Indagando i legami tra la riflessione dell’Unione cristiana imprenditori diri-genti — che influenza, in particolare dopo il varo del Piano Marshall, il confronto interno al-la realtà industriale italiana sul nesso tra produttivismo e human real-lations — e le innovazio-ni apportate, negli aninnovazio-ni della ristrutturazione del sistema produttivo, alle trame orgainnovazio-nizzative di fabbrica, esaminate a partire dal caso delle diverse strategie relazionali e comunicative adottate alle Acciaierie Falck, il saggio approfondisce alcuni versanti del retroterra cultura-le dal quacultura-le emergono nuove pratiche di welfare d’impresa e una nuova concezione dell’iden-tità aziendale.
Parole chiave: Acciaierie Falck, Unione cristiana imprenditori dirigenti, Cultura organizzati-va, Human relations, Welfare d’impresa, Identità aziendale
An Imagined Community. Human Relations and Corporate Identity at the Falck Steel-works in the Fifties
The essay aims to analyze the role played by the post-war organizational culture of Lombard entrepreneurial milieux in supporting industrialists’ attempts to increase their control over productivity dynamics during the Fifties. By examining the connections between the thought of Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti — which influences industrial debates on produc-tivism and human relations, in particular after the deployment of Marshall Plan — and organ-izational innovations adopted in factories during the Reconstruction, which will be studied by the example of the new managerial and communication strategies experimented at the Falck steelworks, the essay sheds light on some elements of this intellectual background and on in-novative pratices and concepts of company welfare and corporate identity that emerge from it. Key words: Falck steelworks, Unione cristiana imprenditori dirigenti, Organizational Cul-ture, Human Relations, Company Welfare, Corporate Identity
“Italia contemporanea”, agosto 2017, n. 284 ISSN 0392-1077 - ISSNe 2036-4555 Ringrazio Ilaria Pavan, che ha costantemente seguito gli sviluppi del mio lavoro, e Bruno Settis, che mi ha aiutato con i suoi suggerimenti a migliorare il testo.
Nell’ambito degli studi di storia dell’impresa, il legame tra le culture
organiz-zative delle realtà imprenditoriali e le dinamiche relazionali di fabbrica
rap-presenta un nodo ancora poco approfondito. Per quanto in tempi recenti si sia
cominciato a riservare una maggiore attenzione al ruolo delle opere
socia-li d’impresa nel consosocia-lidamento dei rapporti comunitari interni alle aziende, la
storiografia si è spesso soffermata più sulla ricostruzione puntuale delle
prati-che previdenziali prati-che sull’analisi delle coordinate culturali prati-che ne
costituisco-no il retroterra. Invece, come rileva Alberto Cova, “le opere sociali andrebbero
studiate come possibile espressione di modelli organizzativi intesi a inglobarle
espressamente”
1. In particolare, se si considera il caso milanese nella fase
del-la Ricostruzione, risulta evidente come uno studio sul rapporto tra del-la riflessione
manageriale delineatasi nel laboratorio intellettuale ambrosiano e le nuove
for-mule relazionali sperimentate negli stabilimenti produttivi appaia
“indispensa-bile […] per dare corpo a una ricostruzione la più completa possi“indispensa-bile del
mon-do della fabbrica e del lavoro”
2.
Questo saggio si propone di mettere in luce, in un primo momento, il ruolo
assunto dall’Unione cristiana imprenditori dirigenti — associazione costituita
nel maggio 1945 da esponenti di rilievo dell’imprenditoria lombarda, vicini alle
organizzazioni laicali diocesane — nella diffusione, all’interno dello scenario
industriale italiano, delle acquisizioni dello scientific management,
individuan-done i legami con il refrain produttivistico che contraddistingue la temperie
culturale successiva al varo del Piano Marshall. Benché le origini della
cultu-ra industriale dell’Ucid e le sue connessioni con la rielabocultu-razione dei principi
della dottrina sociale della Chiesa intrapresa dai “professorini”
dell’Universi-tà Cattolica abbiano ricevuto una certa attenzione in sede storiografica
3,
mino-re intemino-resse hanno suscitato le sue, pur profonde, consonanze con la sociologia
coeva. L’analisi di materiale edito e della documentazione archivistica
dell’as-sociazione intende dar conto della complessità di una riflessione che,
condi-zionata dalla portata dei transfers culturali che contribuisce a veicolare, segna
1 Alberto Cova, Le “opere sociali delle imprese” e degli imprenditori fra Ottocento e
Nove-cento. Qualche considerazione a modo di introduzione, in Luigi Trezzi, Valerio Varini (a cura di), Comunità di lavoro. Le opere sociali delle imprese e degli imprenditori tra Ottocento e No-vecento (Atti del convegno “Le opere sociali delle imprese e degli imprenditori tra Ottocento e Novecento”, Milano, 17-18 febbraio 2011), Milano, Guerini, 2012, p. 19.
2 Lorenzo Bertucelli, Nazione operaia. Cultura del lavoro e vita di fabbrica a Milano e
Bre-scia (1945-1963), Roma, Ediesse, 1997, p. 233.
3 Su questo nesso, cfr. Ada Ferrari, La civiltà industriale. Colpa e redenzione. Aspetti
del-la cultura sociale in età degasperiana, Brescia, Morcelliana, 1984; Ada Ferrari, Stato, merca-to, impresa nella cultura cattolica, in Giuseppe De Luca (a cura di), Pensare l’Italia nuova: la cultura economica milanese tra corporativismo e ricostruzione (Atti del convegno, Milano, 11-12 dicembre 1995), Milano, FrancoAngeli, 1997, pp. 433-451. I lavori indicati approfondiscono un nodo già cruciale in Agostino Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione. Tradizione e mo-dernità nella classe dirigente cattolica del secondo dopoguerra, Milano, Nuovo Istituto Edito-riale Italiano, 1982.
un’evidente cesura con la precedente impostazione paternalistica delle
relazio-ni di fabbrica, discontinuità trascurata da un diffuso paradigma interpretativo
che tende ad assimilare sbrigativamente modelli organizzativi dissimili.
Con-centrandosi sul nesso con questo sostrato, la successiva disamina del caso
del-le Acciaierie Falck mira a dimostrare come il recupero del pensiero
manage-riale d’oltreoceano abbia portato, nel corso degli anni Cinquanta, a un coerente
tentativo di contenimento della conflittualità sindacale, fondato su un
rafforza-mento dell’impronta comunitaria nelle relazioni di lavoro. Tale analisi è in
li-nea con la visione, ormai consolidata nel dibattito internazionale
sull’america-nizzazione delle società europee, che rompe con la tesi della “contrapposizione
tra un’assimilazione tecnica tutto sommato priva di resistenze e un sostanziale
rigetto della cultura industriale”
4statunitense
5.
L’enfasi con cui si insisterà sul processo di costruzione identitaria promosso
da una direzione aziendale legata all’Ucid, centrato sulla dimensione simbolica
ed emozionale dei legami d’appartenenza all’impresa, intende dar conto delle
modalità con cui il dibattito sulle human relations si sia riflesso sulle
dinami-che relazionali di uno dei maggiori complessi produttivi dell’area milanese. Il
tentativo di individuare, a partire dalle pagine del periodico aziendale “La
Fer-riera”, gli elementi salienti di questo processo di mitopoiesi identitaria vuole
es-sere funzionale alla dimostrazione dell’inadeguatezza del modello
interpretati-vo che vede nel binomio determinato dall’alternanza di pratiche repressive e di
misure assistenziali la risposta dell’imprenditoria alla stagione di intensa
mo-bilitazione sindacale che caratterizza la fase postbellica. Questa impostazione
non intende, d’altra parte, portare a una mistificazione di segno opposto, nella
quale ricade quella storiografia apologetica che, rinunciando a un’analisi critica
delle retoriche con cui vengono connotate le opere sociali aziendali, finisce per
considerarle il “frutto dell’illuminata liberalità degli imprenditori”
6, senza
in-travedervi il sostanziale carattere strumentale.
4 Duccio Bigazzi, Modelli e pratiche organizzative nell’industrializzazione italiana, in
Franco Amatori et al. (a cura di), Storia d’Italia. Annali 15. L’industria, Torino, Einaudi, 1999, p. 982.
5 Per un’analisi del carattere ibrido che prevale nel processo di adattamento dei sistemi
pro-duttivi europei al “trasferimento organizzativo” del secondo dopoguerra, cfr. Jonathan Zeitlin, Introduction, in Jonathan Zeitlin, Gary Herrigel (a cura di), Americanization and its limits. Re-working US Technology and Management in post-war Europe and Japan, Oxford, Oxford Uni-versity Press, 2000, pp. 1-50.
6 Vittorio Foa, Introduzione, in Elisabetta Benenati, La scelta del paternalismo.
Enrico Falck e la collaborazione nell’impresa
Sin dall’immediato secondo dopoguerra, nella composita fisionomia del nucleo
milanese dell’Ucid
7comincia a profilarsi una linea di politica industriale volta
ad accentuare il carattere efficientistico della ricostruzione postbellica. Questa
tendenza traduce in atto una temperie culturale nella quale le istanze
produtti-vistiche sono da più parti riconosciute come il codice valoriale sul quale
fonda-re la nuova Italia: nello scenario intellettuale ambrosiano, diffusamente
vena-to di suggestioni tecnocratiche, “la competenza e la concretezza dei tecnici” si
configurano come gli elementi più idonei a “dare un contributo decisivo al
rin-novamento [della] società […], cancellando la fase ingloriosa in cui il regime
fascista aveva imposto al paese inefficienza, corruzione e privilegi”
8.
Un elemento saliente di questo immaginario palingenetico, che ne
condizio-nerà gli sviluppi applicativi, è la sua declinazione marcatamente
aziendalisti-ca: la primazia dell’organismo aziendale nella definizione delle linee guida per
la ricostruzione è riconducibile non solo al suo ovvio ruolo di unità
elemen-tare della vita economica, ma alla rilevanza del suo carattere etico, la cui
ri-affermazione da parte dell’imprenditoria legata all’associazione denota, da un
lato, la ricezione della riflessione sociale elaborata nell’ambiente dell’ateneo
ge-melliano
9e, dall’altro, la crescente diffusione delle istanze produttivistiche; tra
i due elementi, nella contingenza postbellica, viene a crearsi una “impropria
consonanza”
10, connessa alla volontà di arginare gli effetti delle tensioni
sin-dacali sulle dinamiche produttive. È a un crogiolo ideale nel quale le tesi della
7 Per una ricostruzione del milieu socio-culturale nel quale si sviluppa la riflessione del-
l’Ucid, cfr. M. Elisabetta Tonizzi, L’Unione cristiana imprenditori e dirigenti, in Dizionario sto-rico del movimento cattolico, vol. V, Aggiornamento 1980-1995, Genova, Marietti, 1996, pp. 218-222; M. Elisabetta Tonizzi, Le origini dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti (Ucid). 1945-56, in Bartolo Gariglio (a cura di), Cattolici e resistenza nell’Italia settentrionale (Atti del convegno, Torino, 8-9 giugno 1995), Bologna, il Mulino, 1997, pp. 287-304; Francesco Morabi-to, Un caso dell’associazionismo imprenditoriale italiano negli anni della grande crescita eco-nomica: il Gruppo lombardo dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (1943-1973), in Ser-gio Zaninelli, Mario Taccolini (a cura di), Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana (Atti del convegno, Roma, 24 novembre 2000), Milano, Vita e Pensie-ro, 2002.
8 Duccio Bigazzi, “L’ora dei tecnici”: aspirazioni e progetti tra guerra e ricostruzione, in G.
De Luca (a cura di), Pensare l’Italia nuova, cit., pp. 379-380.
9 Sull’importanza assunta da alcuni docenti dell’Università Cattolica, tra i quali, accanto allo
stesso Agostino Gemelli, Amintore Fanfani, Giulio Pastore e Francesco Vito, nell’intessere — unendo, dopo la “laboriosa veglia” del ventennio, il fermento suscitato dal radiomessaggio na-talizio pacelliano del 1942, con la sua enfasi su una “proprietà privata consapevole delle proprie indeclinabili responsabilità sociali”, alle suggestioni “ambrosiane” del modello corporativo — l’ordito di un “nuovo discorso cattolico su economia e impresa”, cfr. Ada Ferrari, Una religione feriale: aspetti e momenti del cattolicesimo ambrosiano dall’Unità agli anni Settanta, in Duc-cio Bigazzi, Marco Meriggi (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Lom-bardia, Torino, Einaudi, 2001, pp. 433-477.
scuola cattolica di psicologia del lavoro, sviluppatasi attorno a padre Gemelli,
si fondono con la divulgazione dei punti nodali del pensiero manageriale
d’ol-treoceano avvenuta in Italia nell’entre-deux-guerres su impulso di figure come
Francesco Mauro
11che si richiama quell’anima del Gruppo lombardo dell’Ucid
persuasa della necessità di rinnovare la cultura organizzativa dell’imprenditoria
italiana, superando le aporie del taylorismo per uniformare i rapporti di lavoro
a una diversa visione sociale della realtà aziendale, nella quale la pregiudiziale
antisindacale venga accantonata a vantaggio di una rinnovata attitudine al
dia-logo strumentale con le rappresentanze determinate a non porre in discussione
le gerarchie di fabbrica.
Per quanto una più capillare diffusione delle nuove ideologie produttivistiche
sia successiva all’inaugurazione dell’Erp, gli elementi costitutivi della
filoso-fia delle human relations — recepita da larga parte dell’imprenditoria italiana
non nelle complesse sfumature con cui gli amministratori americani del Piano
Marshall guardano al programma di ricostruzione industriale, ma come sprone
a una, spesso generica, attenzione alla dimensione della collaborazione
all’in-terno degli stabilimenti — si possono già intravedere, in nuce, nelle tesi di una
frangia dell’Ucid convinta dell’esistenza di un nesso inscindibile tra
efficien-tismo produttivo ed attenzione al fattore umano, esemplificata dalle posizioni
di Enrico Falck
12. Recisamente ostile alle ipotesi d’integrazione della
compo-nente operaia negli organi amministrativi aziendali sostenute, in seno al
Grup-po lombardo, da Mauro e da Remo Vigorelli
13, Falck era tuttavia conscio della
necessità di porre fine alle tensioni conflittuali che minavano la stabilità
del-11 Mauro, dal 1919 al 1929 presidente dell’Associazione degli ingegneri italiani, industriale
cinematografico e deputato del Partito popolare dal 1921 al 1924, diviene membro dell’Ucid nei primi mesi del 1946, distinguendosi per il sostegno accordato ai consigli di gestione durante la fase di ristrutturazione del sistema produttivo. Sul suo ruolo pionieristico nella divulgazione in Italia dei principi dello scientific management, cfr. Giulio Sapelli, Gli “organizzatori della pro-duzione” tra struttura d’impresa e modelli culturali, in Corrado Vivanti (a cura di), Storia d’Ita-lia. Annali, vol. IV, Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1981, pp. 589-696; Paolo Viani, Pro-gettare l’impresa: Francesco Mauro e il dibattito europeo tra le due guerre, in Duccio Bigazzi (a cura di), Storie di imprenditori, Bologna, il Mulino, 1996, pp. 235-293; Alfredo Salsano, For-tuna dell’organizzazione scientifica del lavoro in Italia, “Le Culture della Tecnica”, 1997, n. 1, pp. 5-24.
12 Sulla figura di Falck, esponente di primo piano — nella fase resistenziale — del
Movimen-to guelfo d’azione, poi presidente — all’indomani della Liberazione — delle Acciaierie, dimis-sionario nel 1948, in seguito alla sua elezione a senatore nelle file della Dc, cfr. in particolare Daniele Bardelli, Enrico Falck: il realismo di un cristiano fra economia e politica nei primi an-ni del dopoguerra, “Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Ita-lia”, 2002, n. 2-3, pp. 200-231.
13 Per il resoconto puntuale del confronto interno all’Ucid sulla questione del ruolo
decisio-nale dei consigli di gestione, cfr. Claudia Finetti, La “responsabilità sociale” dell’imprenditore negli ambienti cattolici lombardi dagli anni Trenta alla Ricostruzione, tesi di dottorato in Storia e Geografia d’Europa, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, a. a. 2007-2008.
le dinamiche produttive
14in una fase di profonda ristrutturazione dell’apparato
industriale, in particolare della siderurgia
15, nella persuasione che solo la
cor-responsabilizzazione dei lavoratori avrebbe potuto erodere le basi della
vivaci-tà organizzativa delle rappresentanze operaie. Da questo punto discendeva
l’in-teresse riservato alle esperienze di compartecipazione azionaria, che avrebbero
dovuto assolvere a una funzione psicologica, volta al consolidamento del
pro-cesso di ricostruzione, fatto salvo il ruolo decisionale delle direzioni aziendali
nella ristrutturazione del sistema produttivo:
Prima di ogni cosa, dobbiamo proporci che le maestranze s’interessino concretamente all’im-presa industriale, coll’assunzione di adeguate responsabilità. E ciò, senza pregiudizio né del-la produzione dei beni né dell’unità di comando; poi che solo con del-la pacificazione del mon-do produttivo potranno arrivare dall’estero quegli aiuti finanziari e d’assistenza tecnica, che ci sono oggi più che mai indispensabili16.
Tali elementi, riconducibili agli spunti del dibattito interno al milieu
imprendi-toriale milanese
17, negli anni immediatamente successivi al 1945 iniziano, con
14 La contrarietà di Falck al coinvolgimento degli organismi consiliari nelle procedure
deci-sionali era motivata, secondo un’impostazione tecnicistica dichiaratamente mutuata dalle tesi di James Burnham, dalla loro inattitudine all’assunzione di un ruolo amministrativo, come il fra-tello Giovanni, vicepresidente delle Acciaierie, ebbe modo di chiarire nella sua deposizione di fronte alla Commissione economica dell’Assemblea costituente del 29 marzo 1946, rivendican-do per la sola direzione aziendale la facoltà di “scegliere i collaboratori senza alcun particolare suggerimento specie da parte di inferiori che del complesso andamento aziendale hanno una co-noscenza assai limitata, spesso unilaterale, e più ancora, volta a interessi immediati”, Lucio Vil-lari, Il capitalismo italiano del Novecento, Bari, Laterza, 1972, p. 543; Cfr. Giovanni Gregorini, L’Ucid e le questioni del lavoro (1943-1948), in Alberto Cova (a cura di), Il dilemma dell’in-tegrazione. L’inserimento dell’economia italiana nel sistema occidentale, 1945-1957 (Atti del convegno “L’integrazione economica italiana nel sistema occidentale: il ruolo delle istituzioni e dei soggetti sociali, 1945-1957”), Milano, FrancoAngeli, 2008, pp. 235-257.
15 Per una selezione della ricca letteratura sulla riconfigurazione della filiera siderurgica
na-zionale, cfr. Martino Pozzobon, La siderurgia milanese nella Ricostruzione (1945-1952). Ri-strutturazioni produttive, imprenditori, classe operaia, “Ricerche storiche”, 1978, n. 1, pp. 277-305; Ruggero Ranieri, Il piano Marshall e la ricostruzione della siderurgia a ciclo integrale, “Studi storici”, 1996, n. 1, pp. 145-190; Ruggero Ranieri, Remodelling the Italian steel indust-ry: americanization, modernization and mass production, in J. Zeitlin, G. Herrigel (a cura di), Americanization and its limits, cit., pp. 236-268; Francesca Fauri, Il piano Marshall e l’Italia, Bologna, il Mulino, 2010. Per il contesto aziendale, cfr. Martino Pozzobon, Roberto Mari, Le Acciaierie e ferriere lombarde Falck (1945-1948), in Luigi Ganapini et al., La ricostruzione nel-la grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel triangolo (1945-1948), Ba-ri, De Donato, 1978, pp. 83-226.
16 Enrico Falck, L’obbligazione industriale istituto da potenziare su vasta scala,
“Democra-zia”, 4 novembre 1945, ora in Enrico Falck, Saggi politici e sociali, Milano, Ambrosianeum, 1955. Gli interventi di Falck trovano largo spazio su questo periodico, fondato nel 1943 dai diri-genti del nucleo milanese della Dc.
17 La questione dell’azionariato operaio emerge già dalla corrispondenza intrattenuta da Falck
con Angelo Costa tramite Grazioso Ceriani; per il serrato confronto sui temi della comparteci-pazione, cfr. Angelo Costa, Scritti e discorsi, vol. I, Milano, FrancoAngeli, 1980, pp. 56-64.
evidenza, a intrecciarsi con i cardini del pensiero organizzativo americano,
co-me dimostra un importante intervento di Falck al primo Convegno
internazio-nale dell’Ucid, tenutosi a Genova nell’aprile 1947:
Prendo un episodio d’oltre oceano: chi lo rende noto è lo Stuart Chase […] Lo studio ven-ne fatto alla “Western Electric Company” di Chicago. Gli specialisti di organizzazioven-ne del la-voro, che determinano quale numero d’ore di lala-voro, quali metodi manuali, quali condizioni materiali sono suscettibili d’assicurare un massimo di produzione hanno scoperto che esiste pure un fattore, ancor più importante, che aumenta il rendimento dell’operaio, comunque sia il cambiamento apportato a queste altre condizioni. […] [In seguito al coinvolgimento delle maestranze nelle ricerche di psicologia del lavoro avviate negli stabilimenti] lo stato di spirito del gruppo d’inizio era totalmente cambiato. Domandando loro aiuto e concorso gli inquirenti avevano fatto sentire in quelle giovani il senso della propria importanza. Non si sentivano più ingranaggi d’una macchina, ma un gruppo omogeneo. […] Avevano trovato una stabilità, un lavoro al quale erano legate e il cui senso appariva chiaro ai loro occhi18.
L’innesto della riflessione manageriale — in particolare la ricezione del
pensie-ro di Elton Mayo — su una trama argomentativa di matrice gemelliana
19appa-re stappa-rettamente legata alle necessità delle attività produttive. L’esigenza di
sta-bilire un rapporto di cooperazione tra la direzione aziendale e le maestranze,
eliminando quelle manifestazioni di antagonismo operaio che avevano reso le
fabbriche “un’arena politica e sindacale”
20, si traduce nell’adozione di un
para-digma manageriale che, pur mantenendo il carattere organicistico desunto dalla
riflessione autoctona sul nesso tra comunità aziendale e fattore umano, si
dimo-stra calato da vicino nella contingenza presente. Infatti, l’opera di costruzione
dell’identità aziendale, funzionale a un incremento della produttività, deve
ap-parire come l’esito spontaneo del contatto tra i codici valoriali dei vertici
im-prenditoriali e dei lavoratori:
A sfatare il facile slogan che accusa di paternalismo tutta questa congerie di mezzi, simili ini-ziative siano in certo qual modo suggerite dallo stesso lavoratore, non imposte dall’alto e nep-pure richieste siccome diritto da commissioni od ancor più da partiti. Dev’essere un incontro spontaneo, epperciò non si deve gravare del fardello della riconoscenza né deve aver l’appa-renza d’esser concesso per timore21.
In altre parole, il tentativo di coinvolgimento delle maestranze, per risultare
ef-ficace, deve mostrare di essere condotto in nome della comunanza d’intenti tra
18 E. Falck, Elementi umani del costo di produzione, in E. Falck, Saggi politici e sociali, cit.,
pp. 70-71.
19 Sul ruolo di Gemelli nello sviluppo in Italia della psicologia del lavoro, cfr. Enzo Spaltro,
Storia e metodo della psicologia del lavoro, Milano, Etas, 1974; Ilaria Montanari, Agostino Ge-melli e la psicotecnica nel secondo dopoguerra. Ricerca, applicazione e divulgazione nelle car-te del Fondo Gemelli-Scolari, in Mauro Antonelli, Paola Zocchi (a cura di), Psicologi in fabbri-ca. Storie e fonti (Atti della giornata di studi, Milano, 16 maggio 2012), Roma, Aracne, 2013, pp. 129-153.
20 Giuseppe Berta, L’Italia delle fabbriche. Genealogie ed esperienze dell’industrialismo nel
Novecento, Bologna, il Mulino, 2001, p. 143.
le due parti, entrambe legate al fine supremo del bene dell’azienda, posto in un
rapporto di alterità con il senso di appartenenza a una realtà sindacale o politica.
La riflessione di Gemelli sul legame tra esigenze produttive e struttura
organiz-zativa
22viene, inoltre, integrata con una nuova concezione delle pratiche di
wel-fare aziendale, a cominciare dalle iniziative di formazione professionale, che,
di-chiarando la sua estraneità al modello paternalistico, si rifà, in relazione al ruolo
delle misure previdenziali nel superamento dei momenti anomici, al pensiero di
Mayo
23, pur rideclinato nella chiave corporativa della cultura d’impresa ucidina,
che lo legge non tanto come un tentativo di smussare le asprezze del taylorismo,
quanto come un “antidoto adeguato a neutralizzare la lotta di classe”
24.
Produttivismo e human relations
L’intelaiatura argomentativa di Falck pare anticipare la più ampia
diffusio-ne dei principi fondanti della filosofia delle human relations successiva al
va-ro del Piano Marshall. Indicata come il principale rimedio alla “questione
so-ciale” e alle resistenze opposte al processo di ristrutturazione industriale, essa
finì per configurarsi come un corollario della propaganda efficientista
sul-la quale si fondava il productivity drive
25, il “fulcro della missione
moderniz-22 Il riferimento è a Agostino Gemelli, L’operaio nella industria moderna, Milano, Vita e
Pensiero, 1945, p. 315: “Ecco la necessità di dare all’officina una organizzazione, la quale de-ve mirare non solo ad aumentare la produzione a vantaggio diretto dell’impresa, ma anche, e ciò a vantaggio indiretto dell’impresa e a vantaggio diretto dell’operaio, a far sì che l’azione dei ri-cordati fattori giovi alla esecuzione dei lavori. Si richiede cioè una organizzazione dell’attività mediante la quale l’apprendimento, l’adattamento, l’esercizio, l’azione degli incentivi, ecc., coo-perino ad aumentare e a migliorare il prodotto del lavoro ed a diminuire la fatica e il danno pro-curato dalla fatica”.
23 Sul recupero del concetto durkheimiano di “anomia” nella riflessione di Mayo, cfr.
Giusep-pe Bonazzi, Storia del Giusep-pensiero organizzativo, vol. I, La questione industriale, Milano, Franco-Angeli13, 2002.
24 A. Ferrari, Una religione feriale, cit., p. 455.
25 Sull’origine delle ideologie produttivistiche, cfr. Charles S. Maier, Between Taylorism
and Technocracy. European Ideologies and the Vision of Industrial Productivity in the 1920s, “Journal of Contemporary History”, 1970, n. 2, pp. 27-61, ora in Charles S. Maier, Alla ricer-ca della stabilità, Bologna, il Mulino, 2003 [Cambridge, 1987], pp. 29-75; sui piani di assistenza tecnica alle imprese e sulla campagna efficientistica avviata in Italia in seguito al varo del Piano Marshall, cfr. Pier Paolo D’Attorre, “Anche noi possiamo essere prosperi”. Aiuti Erp e politiche della produttività negli anni Cinquanta, “Quaderni storici”, 1985, n. 1, pp. 55-93; Luciano Se-greto, Americanizzare o modernizzare l’economia? Progetti italiani e risposte americane negli anni cinquanta, “Passato e presente”, 1996, n. 1, pp. 55-85; Sergio Chillé, Il “Productivity and Technical Assistance Program” per l’economia italiana (1949-1954): accettazioni e resisten-ze ai progetti statunitensi di rinnovamento del sistema produttivo nazionale, “Annali della Fon-dazione Giulio Pastore”, 1993, pp. 76-121; Jacqueline McGlade, Lo zio Sam ingegnere industria-le. Il programma americano per la produttività e la ripresa economica dell’Europa occidentale (1948-1958), “Studi storici”, 1996, n. 1, pp. 9-40.
zatrice dell’Erp”
26, venendo recepita con particolare interesse dagli industriali
legati all’Assolombarda
27, per i quali il “miglioramento delle relazioni sociali”
ed il “miglioramento dei metodi di lavoro”
28costituivano un dittico
inscindi-bile. Benché talora tendessero a tradursi in mere pratiche di assistenzialismo,
che attirarono le critiche degli stessi iniziatori del filone di studi di
psicolo-gia del lavoro
29, le relazioni umane rimangono un nodo centrale nella
riflessio-ne dell’imprenditoria vicina all’Ucid: riflessio-nel torno a cavallo tra gli anni Quaranta
e gli anni Cinquanta, profilatasi la necessità di coordinare la
riconfigurazio-ne del sistema economico italiano — in particolare della siderurgia, in seguito
alla dichiarazione Schuman — con il processo d’integrazione europea, il
pro-blema del superamento delle resistenze operaie ai processi di
modernizzazio-ne produttiva diviemodernizzazio-ne cruciale. Accanto all’impegno volto a organizzare corsi
di formazione rivolti ai vertici aziendali ed a favorire la selezione e
l’istruzio-ne dei dirigenti, le iniziative dell’Ucid sono tese a sviluppare un confronto
in-terno all’imprenditoria italiana riguardo al legame tra produttività e human
relations
, come testimoniano la scelta del tema “La collaborazione nella
im-presa” per il VI Congresso nazionale dell’associazione, tenutosi a Rapallo nel
gennaio 1954, ed il ruolo assunto da singoli esponenti dell’Ucid, l’anno
suc-cessivo, nell’organizzazione di un convegno internazionale incentrato sul
fat-tore umano
30.
Il tentativo di applicare i punti focali del pensiero manageriale alla realtà
in-dustriale italiana si fonda sull’assunto che, per perseguire una ristrutturazione
in senso efficientistico dell’apparato produttivo, sia necessario superare le
for-me di resistenza opposte alle innovazioni tecnologiche ed organizzative
intro-26 David Ellwood, Il Piano Marshall e il processo di modernizzazione in Italia, in Elena Aga
Rossi (a cura di), Il Piano Marshall e l’Europa, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1983, p. 160.
27 Sull’influenza esercitata, nonostante le sue dimensioni limitate, dall’Ucid sugli
orientamen-ti espressi in questa fase dall’Assolombarda, ricosorientamen-tituita nel 1945 da Giovanni Falck, cfr. Paolo Tedeschi, Nuove imprese e nuovi imprenditori per essere competitivi nella “nuova Europa”: il Gruppo lombardo Ucid e l’integrazione europea negli anni Cinquanta, “Bollettino dell’Archi-vio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia”, 2007, n. 2, pp. 227-250.
28 Paolo Tedeschi, Gli industriali lombardi e il Piano Marshall: verso un “nuovo sistema
d’impresa”, in A. Cova (a cura di), Il dilemma dell’integrazione, cit., p. 444.
29 Per la posizione di Gemelli, cfr. in particolare, Agostino Gemelli, I problemi sociali del
la-voro nella valutazione della psicotecnica, “Produttività”, 1951, n. 1, pp. 62-64.
30 Per gli atti dei due convegni, cfr. La collaborazione nella impresa, in Archivio per la
sto-ria del movimento sociale cattolico in Italia, Fondo Archivio dell’Ucid, b. 29, fasc. 8; Edoardo Abbele et al., Human Relations in Italia. Atti del Convegno internazionale sull’organizzazione umana nell’economia industriale, Milano, Consulente delle aziende, 1956. In quest’opera Lucia-no GalliLucia-no intravede “il documento più interessante per ricostruire il clima” della fase in cui “la moltiplicazione di ‘esperti’ in Relazioni umane (talora quasi digiuni di scienze sociali), di isti-tuti per l’insegnamento pratico delle medesime, e di pubblicazioni di ogni livello e periodici-tà sull’argomento fecero pensare davvero alla diffusione d’una sorta di nuovo verbo nelle azien-de italiane”, Luciano Gallino, Oggetto e funzione azien-della sociologia azien-dell’industria, introduzione a Luciano Gallino (a cura di), L’industria e i sociologi, Milano, Comunità, 1962, p. 48.
dotte negli stabilimenti, che delineano un momento anomico di allentamento
dell’ordine sociale di fabbrica e di disgregazione delle strutture sociali
fonda-mentali. Come rileva il segretario generale Vittorio Vaccari,
[Per quanto riguarda] le tendenze del mutamento sociale conseguente al cambiamento tecno-logico, […] una tendenza in atto è quella dell’indebolimento delle forme tradizionali di au-torità. Non […] tanto della autorità legale quanto della autorità effettiva della posizione gui-da, della capacità di modificare il modo di essere e di pensare della comunità. Il fatto che una parte della comunità si rivolga ad altre fonti di autorità pone il problema della qualificazione di queste fonti. […] Non mancano purtroppo le tendenze pericolose come per esempio quella della attenuazione degli elementi coesivi nelle piccole comunità, in quanto i membri delle va-rie comunità passano attraverso espeva-rienze molto differenziate31.
Il ristabilimento della tendenza alla collaborazione aziendale non appare
fun-zionale alla sola finalità produttivistica: nel processo di automazione in atto
32, i
membri dell’Ucid intravedono la definitiva soluzione alla questione sociale.
Se-condo il paradigma interpretativo della “terza rivoluzione industriale”, legato a
una rielaborazione di matrice gemelliana delle tesi di Friedmann sul legame tra
automatismo ed “umanizzazione della grande industria”
33, lo sviluppo
tecnolo-gico concorre a instaurare un “solidarismo funzionale”
34nell’ambito aziendale,
ponendo fine alla necessità di forme di mediazione di natura politica tra
l’im-prenditoria ed i sindacati, incompatibili con la pregiudiziale antideologica
insi-ta nel “capiinsi-talismo milanese”
35. La conflittualità sindacale, in particolare in una
fase nella quale la Cgil esprimeva una posizione di tendenziale contrarietà nei
confronti dei mutamenti tecnologici, interpretati come una forma
d’intensifica-zione dello “sfruttamento” cui era sottoposta la manodopera
36, rivendicando per
le organizzazioni operaie un ruolo decisionale nella definizione degli
obietti-31 Vittorio Vaccari, Caratteristiche e problemi della evoluzione tecnologica e sociale, in
Vit-torio Vaccari et al., I fattori umani dello sviluppo economico. Dalla zappa alla automazione, Roma, Ucid, 1958, pp. 49-50.
32 Si tratta, in larga parte, di suggestioni che non trovavano un corrispettivo nella realtà
ef-fettiva dell’industria italiana; sull’esiguità dei processi d’automazione avviati negli stabilimenti tra anni Cinquanta e Sessanta, cfr. Aldo Carera, Progresso tecnico e organizzazione del lavoro nell’industria italiana, “Annali della Fondazione Giulio Pastore”, 1993, pp. 29-63.
33 Georges Friedmann, Problemi umani del macchinismo, Torino, Einaudi, 1949 [Paris,
1946], p. 231.
34 V. Vaccari, Caratteristiche e problemi, cit., p. 50.
35 Sull’individuazione delle linee salienti di questa categoria interpretativa, opposta a un
“ca-pitalismo torinese” che tende, invece, a coesistere di buon grado con la realtà politica, cfr. Giu-lio Sapelli, La Edison di Giorgio Valerio, in Valerio Castronovo (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. IV, Dal dopoguerra alla nazionalizzazione (1945-1962), Roma-Bari, La-terza, 1994, pp. 521-546.
36 Per il concetto di “sfruttamento” come categoria interpretativa dominante del processo di
ristrutturazione industriale nei primi anni Cinquanta, cfr. Claudia Magnanini, Studiare il lavo-ro. L’Ufficio economico della Camera del lavoro di Milano (1948-1966), Sesto San Giovanni, Archivio del Lavoro, 2001.
vi produttivi
37, appariva all’intera Assolombarda un importante ostacolo per il
processo di riconfigurazione industriale. Essa era, infatti, ritenuta
incompatibi-le con incompatibi-le istanze di razionalizzazione rese necessarie dalla nascita del mercato
comune ed alle quali un’eventuale affermazione politica delle sinistre — a
di-scapito dell’asse centrista, fondato sull’intesa dei democristiani con il Partito
li-berale, saldamente radicata nel contesto milanese — avrebbe potuto assestare
un colpo mortale
38. L’adesione di una larga frangia delle comunità operaie
al-la confederazione socialcomunista viene considerato, inoltre, un elemento
an-tagonistico alla ristrutturazione organizzativa anche su un altro livello: il
con-solidarsi di un autonomo codice identitario di fabbrica, che conosce il proprio
acme nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra, viene
per-cepito, in una dimensione psicologica, come coesivo di un gruppo antitetico al
processo di costruzione dell’identità aziendale:
[L’operaio] entra nell’unità produttiva con un bagaglio ideologico precostituito e resta perma-nentemente esposto all’influenza di altri centri ideologici esterni. Alla comunità produttiva si intersecano altri tipi di comunità e di organizzazioni con altri ideali e interessi che complica-no il raccordo tra le volontà ed i fini, e portacomplica-no spesso fuori dall’impresa il centro di gravità dell’attenzione e degli interessi umani immediati39.
La codificazione di istanze identitarie alternative a quelle di cui le direzioni
aziendali tentano di farsi portatrici, pertanto, erode uno dei principi
fondamen-tali del processo di creazione della comunità d’impresa: il suo carattere
onni-comprensivo. La presenza di un sistema valoriale indipendente, con
un’eviden-te cogenza inun’eviden-terna
40, si traduce nello strutturarsi di un’intelaiatura organizzativa
autonoma, parallela a quella aziendale, che ostacola un rafforzamento del ruolo
direttivo dei vertici nelle attività produttive:
L’interferenza tra questi diversi tipi di stratificazione sociale rappresenta il più grave elemen-to di perturbazione della dinamica del gruppo, ed il fine che dà loro significaelemen-to nella
associa-37 Sulla discrasia tra le idealità lavoristiche presenti nella cultura degli operai qualificati e il
modello organizzativo di riferimento delle imprese, cfr. Stefano Musso, Storia del lavoro in Ita-lia dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio, 2002.
38 Sulla preoccupazione con cui il mondo imprenditoriale milanese guarda, a partire
dal-la seconda metà degli anni Cinquanta, aldal-la possibilità di una transizione del quadro politico a un orizzonte di centro-sinistra, cfr. Luigi Vergallo, Controriforma preventiva. Assolombarda e Centrosinistra a Milano (1960-1967), Milano, Unicopli, 2012.
39 La collaborazione nella impresa, cit., p. 27. Nella sezione del documento analizzata in
queste pagine è riportata la trascrizione dei due interventi “La formazione alla collaborazione” e “Gli strumenti della collaborazione”, tenuti rispettivamente da Giuseppe Macchi, presidente del-la sezione Ucid novarese, e Riccardo Bianchedi, docente presso del-la facoltà di Ingegneria dell’U-niversità di Genova e dirigente del Gruppo Emiliano-Romagnolo dell’associazione.
40 Sulla dimensione normativa, per la comunità operaia, di questo sistema, cfr. La
collabora-zione nella impresa, cit., pp. 38-39: “La dignità dell’individuo diventa la sua coerenza e armonia con questo codice taciuto del gruppo: non lavorare troppo, non lavorare troppo poco, non fare la spia, non tenere le distanze ufficiali”.
zione spontanea di base è fondamentalmente in contraddizione con lo spirito della associazio-ne formale gerarchica41.
Le forme d’opposizione alle innovazioni tecnologiche introdotte dagli
stabili-menti, in particolare, esprimendo la contrarietà delle maestranze sindacalizzate
— in larga parte coincidenti con l’élite operaia impiegata nelle industrie
mila-nesi sin da prima della guerra, e dunque ben distinta dai lavoratori
urbanizza-ti a seguito della riconfigurazione occupazionale successiva al 1945
42— a una
riorganizzazione unilaterale dei processi produttivi
43, apparivano come “una
ri-vendicazione di diritti calpestati, […] un progetto di rivincita”
44, dei quali
l’as-sociazione imprenditoriale è consapevole, intravedendovi un elemento
disgre-gativo:
È l’interferenza tra questi due tipi di associazione e tra queste due forme di spesso antiteti-che di ricerca di un significato sociale al proprio lavoro antiteti-che genera sentimenti taciuti antiteti-che di-vengono forze potenti soprattutto quando sono contraddetti, e che si trasformano in norme e simboli della vita di gruppo, capaci di incidere gravemente sul rendimento dell’attività. Que-ste norme e sentimenti hanno le loro più comuni espressioni in un codice di solidarietà pro-fessionale che definisce nella realtà, in opposizione ai calcoli della direzione, la efficienza vera del gruppo45.
La presenza di una rete organizzativa alternativa a quella aziendale si
configu-ra, pertanto, come il principale ostacolo al tentativo dei vertici aziendali di
ri-vendicare la propria primazia nella gestione dei processi produttivi, il cui
su-peramento è strettamente legato a un riorientamento in senso efficientistico del
sistema industriale: nel momento in cui la comunità operaia, “raggiunto un
for-te grado di coesione, collabora con la direzione, uno dei risultati più evidenti
può essere l’alto livello di produzione”
46. L’opera di formazione alla pedagogia
della collaborazione aziendale, tuttavia, non può prescindere da una
valutazio-41 La collaborazione nella impresa, p. 38.
42 Sui mutamenti della struttura occupazionale nelle industrie milanesi nel dopoguerra, cfr.
Luigi Trezzi, La ricostruzione industriale alla vigilia del piano Marshall nelle aziende di Sesto San Giovanni (1945-48), in Luigi Ganapini, L’Italia alla metà del XX secolo: conflitto sociale, Resistenza, costruzione di una democrazia (Atti del convegno, Sesto San Giovanni, 4-5 marzo 2004), Milano, Guerini, 2005, pp. 327-366.
43 Sulle ragioni delle resistenze operaie, cfr., per un’altra fase dell’industrializzazione, Duccio
Bigazzi, Il Portello. Operai, tecnici e imprenditori all’Alfa Romeo (1906-1926), Milano, Fran-coAngeli, 1987, p. 88: “[Il rifiuto dell’innovazione tecnologica] avviene in base a delle
‘
con-suetudini’
a cui non si intendeva derogare, ma dietro a esse stava, più che un irragionevole at-taccamento a metodi superati, la consapevolezza della funzione disgregante delle nuove norme sulla comunità operaia. Ciò che si respingeva non era quindi la modernizzazione tecnica, quanto‘
l’individualismo’ e la subordinazione al benvolere dei capi”.44 Adriano Ballone, Uomini, fabbrica e potere. Storia dell’Associazione nazionale
persegui-tati e licenziati per rappresaglia politica e sindacale, Milano, FrancoAngeli, 1987, p. 313.
45 La collaborazione nella impresa, cit., p. 38.
46 Flavia Zaccone Derossi, L’azienda come sistema sociale, in E. Abbele et al., Human
ne critica dei mutamenti determinati dalle innovazioni tecnologiche — che
fi-niscono per prefigurare la transizione a un’altra fase dello sviluppo industriale
47— nella realtà operaia, con l’erosione della componente identitaria della
specia-lizzazione professionale:
Il gruppo professionale (l’impresa) moderna […] ha quasi totalmente perduto la capacità edu-cativa che gli deriva dalla coesione di un tempo; il gruppo non dà oggi ai suoi membri […] soddisfazioni di carattere collettivo che sono lo strumento più efficace della educazione so-ciale. Dalle soddisfazioni che l’individuo deriva dalla sua appartenenza e partecipazione al gruppo è ricavato per lo più il significato sociale che ciascuno attribuisce alla propria attività e nel quale si riferisce al proprio prossimo. Oggi la comunità professionale si fonda prevalen-temente su elementi puramente organizzativi che hanno sostituito la gerarchia di qualificazio-ne; è fatale quindi che ciascuno trasferisca i propri interessi psicologici e la ricerca del signifi-cato della propria attività e delle soddisfazioni inerenti fuori del gruppo di cui fa parte48.
Il superamento del momento anomico della ristrutturazione produttiva, che si
connette in un circolo vizioso alla “tendenza a cercare soddisfazioni di
‘com-pensazione’ nelle ideologie”, deve tradursi in un disegno comunitario, nel
quale l’operaio, vedendo soddisfatto un “bisogno umano di sicurezza”, possa
“trov[are] eco ai suoi sentimenti” ed alle sue necessità “di appartenenza”. La
creazione dell’identità aziendale, dunque, si pone in antitesi alla costruzione di
senso riconducibile all’adesione alla “coscienza di classe”, concentrandosi
in-nanzitutto sulle valenze semantiche da attribuire al lavoro, nella convinzione
che “la dignità ideologica del proletario [sia] la compensazione di una mancata
dignità sociale del lavoro”
49:
Perché il proprio lavoro possa essere amato, bisogna che esso dia socialmente senso alla vi-ta nelle sue relazioni col prossimo, inserendo l’individuo in una comunità più svi-tabile di lui. […] Il senso di appartenenza al gruppo garantisce la vitalità di alcuni valori spirituali nell’in-dividuo che non possono essere sostituiti da nessun altro fattore […]. La capacità di sopravvi-venza del gruppo professionale moderno è legata alla sua capacità di ricreare nell’individuo il senso di appartenenza al gruppo, attraverso le soddisfazioni di carattere collettivo. Tali soddi-sfazioni nelle diversità delle strutture e dei fini hanno condizioni uniformi: legami stretti, fini, intonsi, esperienze comuni50.
47 Si può intravedere in questa trama argomentativa un’evidente consonanza con il
paralle-lo sviluppo della socioparalle-logia del lavoro di matrice friedmanniana, in particolare in relazione al-le ricerche di Alain Touraine sulla transizione dalla fase taylorista a quella dell’automatismo; cfr. Alain Touraine, L’evoluzione del lavoro operaio alla Renault, Torino, Rosenberg & Sellier, 1974 [Paris, 1955]; sul ruolo del milieu gemelliano nella ricezione italiana del pensiero sociolo-gico francese, cfr. Daniele Franco, Dalla Francia all’Italia: impegno politico, inchiesta e tran-sfers culturali alle origini della sociologia del lavoro in Italia, tesi di dottorato in Storia d’Euro-pa, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, a. a. 2008-2009; Daniele Franco, Studiare il lavoro industriale in Italia. Verso la nascita di una disciplina sociologica (1950-1956), “Con-temporanea”, 2012, n. 1, pp. 25-42.
48 La collaborazione nella impresa, cit., p. 35-36, corsivo nel testo. 49 La collaborazione nella impresa, cit., p. 36.
Il documento rivendica per le direzioni aziendali un ruolo nodale nella
costru-zione di senso identitaria. Alle figure dirigenziali è affidato il compito di
ren-dere l’impresa un organismo cogente, un’autentica “comunità di coscienza”
51,
nella persuasione che “l’intelligenza sociale” dei vertici costituisca “l’unico
mezzo rapido per razionalizzare la condotta sociale del gruppo, per
sottrar-re tale condotta agli impulsi occasionali della violenza e alle quotidiane
pro-ve di forza del numero”
52. La consapevolezza dell’impossibilità di disarticolare
i legami coesivi del codice valoriale antagonista con il semplice dispiegamento
dell’apparato repressivo interno
53si traduce nel tentativo di dar vita a “un
‘ide-ale aziend‘ide-ale’ che possegga la forza di una ideologia capace di muovere
armo-nicamente lo spirito e la volontà degli uomini componenti la comunità
azienda-le verso uno scopo comune”
54. Il recupero della nozione durkheimiana appare
funzionale al conferimento all’azienda di una dimensione onnicomprensiva, a
una sua risemantizzazione in chiave organicistica; l’impresa diventa “una
co-sa viva, che si sviluppa, regredisce, prospera, sogna, lotta, che chiede
devozio-ne e amore: chi comprende questo, capisce come la ‘ragiodevozio-ne d’impresa’
preval-ga su tutte le altre ragioni nei confronti di tutti i soggetti che ne fanno parte”
55.
Una costruzione di senso totalizzante, volta, a un tempo, a “cercare di
integra-re l’individuo nel processo produttivo per poterglielo far amaintegra-re” ed a
“sottrar-re l’esercizio della intelligenza all’individuo, estraniandolo al processo per
con-centrarla nel mezzo”
56, deve enfatizzare l’incidenza del lavoro dei singoli operai
sulla globalità delle dinamiche produttive, tentando di conferire forza coesiva
al meccanismo organizzativo aziendale, sino a intraprendere un “processo di
persuasione”
57fondato sui due elementi ai quali “spetta la priorità nel controllo
della dinamica di gruppo”, “i sentimenti ed i simboli”
58.
Il carattere coesivo della dimensione simbolica dipende soprattutto
dall’effi-cacia dell’istituzione dei rituali della collaborazione, ai quali è affidato un ruolo
sostanziale nella creazione dei vincoli interni alla comunità aziendale
59; in
que-51 La collaborazione nella impresa, cit., p. 19. 52 La collaborazione nella impresa, cit., p. 41.
53 Cfr. La collaborazione nella impresa, p. 42: “Il raggiungimento di questo ideale impone
[…] di fare appello a una unità e collaborazione che non può esaurirsi nell’atto di eliminazione del gruppo avverso, ma deve creare forze e sistemi capaci di sostituire quelli abbattuti”.
54 Umberto Baldini, Morale ed organizzazione, in E. Abbele et al., Human Relations, cit.,
p. 40.
55 La collaborazione nella impresa, cit., p. 82. 56 La collaborazione nella impresa, cit., p. 44. 57 La collaborazione nella impresa, cit., p. 43. 58 La collaborazione nella impresa, cit., p. 39.
59 Cfr. La collaborazione nella impresa, cit., p. 77: “La evidenza della impossibilità di
solu-zione dei problemi nello spirito di conflitto e l’evidenza che ciascuna delle due parti non può vi-vere senza l’altra conduce l’impresa all’applicazione dei nuovi criteri di collaborazione. […] Le rappresentanze trattano a tutti i livelli della gerarchia; accettato il criterio della reciproca dipen-denza passa in seconda linea il problema delle prerogative e si instaura un sistema effettivo di comunicazione; la massa accetta gli ordini e li esegue con prontezza; la direzione acquista così
sto quadro, cruciale appare il momento della comunicazione bilaterale interna
all’impresa:
Comunicazione e organizzazione diventano […] concetti perfettamente integrati, non solo, ma anche realtà naturalmente coesistenti. E realizzare la comunicazione significa perciò, automa-ticamente, avere la riprova del conseguimento di una organizzazione efficiente. Il “comunica-re” acquista, poi, un valore particolare in termini organizzativi quando la struttura deve ve-nire incontro alle esigenze psicologiche degli individui com-ponenti la comunità aziendale, cercando la eliminazione delle inadeguatezze individuali o del gruppo o della struttura orga-nizzativa medesima60.
Collocando questa riflessione all’interno dello scenario industriale italiano,
ri-sulta chiaro come l’aziendalismo immaginato dai membri dell’Ucid abbia
si-gnificativi punti di contatto con la “nuova koinè”
61d’impresa che le politiche
sociali promosse alla Fiat in quegli anni, su impulso del presidente
Vallet-ta, mirano a diffondere nei gangli dell’organizzazione di fabbrica attraverso il
“meccanismo di cooptazione psicologica”
62sulla quale si fondano —
nell’in-terpretazione che Adalberto Minucci e Saverio Vertone danno delle discipline
manageriali che vanno diffondendosi, della “fantascienza del monopolio”
63— i
tentativi di rafforzare l’ordine aziendale.
Mitopoiesi dell’identità aziendale. Il caso Falck
L’analisi del processo di risemantizzazione dello spazio della fabbrica che
vie-ne intrapreso dalla direziovie-ne aziendale delle Acciaierie Falck durante gli anni
Cinquanta permette di individuare le cifre più significative dei tentativi
impren-ditoriali di creare una costruzione di senso in grado di erodere le radici
del-la conflittualità sindacale. Il caso Falck rappresenta probabilmente un unicum
nello scenario industriale milanese, per i legami intrattenuti dai vertici
azien-dali con l’Ucid e per il ruolo assunto dalla direzione nel sostenere le politiche
efficientistiche del Comitato nazionale per la produttività
64, in particolare
nel-due strumenti di azione sulla base che sono la normale via gerarchica e la autorità della rappre-sentanza operaia, la quale mentre prima accumulava un potenziale che si sprigionava solo disor-dinatamente, acquista la possibilità di controllarsi e di dirigere la propria attività”.60 U. Baldini, Morale ed organizzazione, cit., p. 39. 61 G. Berta, L’Italia delle fabbriche, cit., p. 151. 62 G. Berta, L’Italia delle fabbriche, cit., p. 141.
63 Adalberto Minucci, Saverio Vertone, Il grattacielo nel deserto, Roma, Editori Riuniti,
1960, p. 87.
64 L’ente, dipendente dalla presidenza del Consiglio, viene costituito nel 1951, nella fase di
più capillare diffusione della nuova filosofia industriale, al fine di coordinare le iniziative di pro-paganda e formazione dei dirigenti; vengono chiamati a farne parte esponenti delle associazioni imprenditoriali, rappresentanti dei sindacati “liberi” e “tecnici”.
la fase iniziale dell’integrazione economica europea
65. L’adesione di Giovanni
Falck, presidente delle Ferriere all’indomani delle dimissioni di Enrico, ai
prin-cipi del productivity drive si traduce in una risignificazione
dell’impostazio-ne paternalistica dei rapporti con il personale che aveva caratterizzato
l’azien-da sin l’azien-dalla fonl’azien-dazione, raggiungendo il proprio acme durante la presidenza del
padre Giorgio Enrico, basata sull’applicazione della cultura delle human
rela-tions
.
Per cogliere il nucleo di questo processo è fondamentale riconoscere
l’ina-deguatezza del paradigma interpretativo della “repressione” come unico
stru-mento di opposizione alla cogenza organizzativa della comunità operaia. Il
ri-corso alle misure repressive, frequentemente richiamato dalla memorialistica
operaia, ha un ruolo decisivo nell’erosione dell’unità della comunità di fabbrica,
funzionale a una risemantizzazione
66del territorio dello stabilimento
produtti-vo: in particolare, l’istituzione dei “reparti confino”, volta a sanzionare
l’esclu-sione, anche spaziale, degli attivisti sindacali dalla realtà aziendale,
contribui-sce ad allentare i legami tra gli operai più politicizzati ed i compagni di lavoro,
diventando il simbolo — per le maestranze sindacalizzate — di una
dramma-tica dequalificazione professionale. Tuttavia, l’adozione di pratiche repressive
rivolte contro una cultura avversa a una modifica delle relazioni di lavoro
rap-presenta solo una fase preliminare del processo mitopoietico: la costruzione di
senso identitaria appare, in particolare, tesa a integrare nella comunità
azienda-le azienda-le maestranze assunte negli stabilimenti durante la ristrutturazione
occupa-zionale, in larga parte provenienti dalle aree rurali della Lombardia, soprattutto
dalla Brianza e dal Bergamasco, superando il senso di disorientamento causato
dall’inserimento nella realtà di fabbrica
67. La creazione del modello identitario
aziendale, fondato su un codice valoriale immutabile, sul quale non si
rifletto-no le continue modificazioni del circuito produttivo porta, secondo questa
in-terpretazione, all’identificazione dell’impresa con “una piccola patria con i suoi
65 Sull’intervento di Enrico Falck nel dibattito sui nodi della creazione del mercato comune,
cfr. Paolo Tedeschi, Un aspetto dell’integrazione europea: Enrico Falck e la Lece (1948-1953), in L. Ganapini (a cura di), L’Italia alla metà, cit., pp. 399-423.
66 Il riferimento al legame tra azione semantica e strategie di appropriazione spaziale è
de-sunto da Michel De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Roma, Lavoro, 2001 [Paris, 1980].
67 Sui mutamenti introdotti dalla ristrutturazione produttiva negli stabilimenti Falck, cfr.
Gior-gio Manzini, Una vita operaia, Torino, Einaudi, 1976, p. 136: “[La fabbrica] col piano Erp co-mincia a cambiar faccia. Arrivano macchine mai viste, si modificano gli impianti, si toglie la ruggine a diverse giunture che, col tempo, si erano anchilosate. […] Se prima si faceva uno ades-so si fa due, e in pochi anni raddoppia la produzione di acciaio e di laminati a caldo. La curva si inerpica, energico scatto, all’inizio degli anni Cinquanta, quando sbarcano all’Unione i primi due grossi forni elettrici americani, i Truman li chiamano gli operai, due giganti capaci di fon-dere, ciascuno, 67 tonnellate di rottame. […] Al laminatoio non sono ancora arrivati i nuovi im-pianti ma sono più potenti i motori che fanno filare i treni di laminazione, i cilindri di acciaio che sbozzano e sagomano il ferro incandescente per produrre nastro, tondino, profilati. Il lavo-ro è quasi tutto manuale, il pericolo è sempre in agguato, con quella giostra di serpi lavo-roventi che corrono, sbatacchiando, sui rulli e che, al minimo scarto, rischiano di sgusciar fuori dalle guide”.
governanti illuminati e i suoi sudditi fedeli, con la sua gloriosa storia e i suoi
valori che si trasmettono inalterabili, di generazione in generazione”
68.
A diffondere capillarmente, tra gli operai e le loro famiglie, le istanze
comu-nitarie contribuisce il periodico aziendale, “La Ferriera”, fondato nel 1952 sulla
base di altre esperienze di comunicazione d’impresa avviate nell’area
milane-se
69. La sua costituzione si colloca in una temperie nella quale le
pubblicazio-ni aziendali divengono lo strumento privilegiato con cui le direziopubblicazio-ni d’impresa
veicolano una precisa forma di autorappresentazione, funzionale tanto a
intera-gire con lo scenario culturale esterno, quanto a delineare una visione
unilate-rale delle relazioni aziendali rivolta all’attenzione dei dipendenti, a “cementare
[…] i rapporti tra il lavoratore e l’azienda”
70, come afferma in maniera più
ica-stica l’editoriale d’apertura del primo numero de “La Ferriera”.
Sebbene l’impossibilità di accedere alla documentazione societaria non
con-senta di ricostruire nel dettaglio i processi redazionali della rivista, è
tutta-via possibile metterne in luce gli elementi salienti. Del periodico, edito con
ca-denza mensile, erano tirate, alla fine degli anni Cinquanta, circa 16.000 copie,
stampate nella sede Falck di corso Matteotti a Milano e distribuite a
domici-lio alle famiglie dei dipendenti. I fascicoli presentano una veste grafica curata e
sottoposta a modifiche periodiche, che riguardano anche la foliazione,
gradual-mente accresciuta dalle otto pagine iniziali alle diciotto del 1960. Costante è il
protagonismo, in particolare nella sezione centrale, dei reportage fotografici
in-centrati sulla modernizzazione degli stabilimenti produttivi o sulle pratiche di
welfare adottate dalla direzione, affiancati da articoli nei quali si riportano
epi-sodi tratti dalla realtà della fabbrica e ci si sofferma sui piani di edilizia
abitati-va o sulle scene di vita quotidiana nelle scuole e nelle colonie aziendali.
Diretta sino al 1963 da Armando Frumento, esponente del Pli e responsabile
del centro studi della società, “La Ferriera” mirava non solo a orientare
l’infor-mazione interna all’impresa, ma a creare anche una rete comunicativa bilaterale,
68 G. Manzini, Una vita operaia, cit., p. 136.
69 Sul ruolo culturale degli house organs nella definizione delle strategie aziendali di
pu-blic relations, cfr. Carlo Vinti, Gli anni dello stile industriale (1948-1965). Immagine e politi-ca culturale nella grande impresa italiana, Venezia, Marsilio, 2007; Fabio Lavista, Fra analisi e propaganda: uffici studi e relazioni pubbliche nella seconda metà del Novecento, in Gior-gio Bigatti, Carlo Vinti (a cura di), Comunicare l’impresa. Cultura e strategie dell’immagine nell’industria italiana (1945-1970), Milano, Guerini, 2010. Per una catalogazione di queste pub-blicazioni, cfr. www.houseorgan.net/it/, che un riporta un repertorio esaustivo, curato dalla Fon-dazione Isec a partire dal 2009. Link consultato il 9 aprile 2017. Sulla connessione tra periodici aziendali e human relations, cfr. Luigi Guiotto, Produttività, ideologia, Human Relations. Li-nee di lettura, “Classe”, dicembre 1982, n. 22, pp. 273-308, per quanto datato e tendente a in-terpretare le politiche relazionali delle direzioni aziendali alla luce del paradigma paternalistico; sulla rivista delle Acciaierie, cfr. Luigi Guiotto, L’ideologia imprenditoriale tra paternalismo e repressione: il caso Falck, in Gianfranco Petrillo, Adolfo Scalpelli (a cura di), Milano anni Cin-quanta, Milano, FrancoAngeli, 1986, pp. 138-184.
favorendo l’inclusione nella fase redazionale dei dipendenti; tuttavia,
nonostan-te i reinonostan-terati appelli alla collaborazione, le letnonostan-tere invianonostan-te dai lettori rimangono
poco numerose e generalmente limitate alle rubriche a sfondo culturale o
d’ap-profondimento tecnico. La pubblicazione di questi contributi intende comunque
manifestarsi come l’esito della spontanea convergenza d’intenti della direzione e
dei dipendenti nel processo di consolidamento dell’identità comunitaria.
In particolare, mentre il tentativo di risemantizzare la retorica familiare,
fon-data sulla centralità della figura padronale, alla luce delle sue potenziali
con-sonanze con il codice valoriale operaio
71, si traduce nel ricorso a toni
marca-Fig. 172 — Dopo la consegna della medaglia d’oro, del distintivo di Fedelissimo, del diploma e della busta premio, il Presidente si intrattiene affabilmente con l’operaio Conti Giacomo: 42 anni di servizio ininterrotto71 Sulla valutazione della figura imprenditoriale nell’ambiente di fabbrica, cfr. L.
Bertucel-li, Nazione operaia, cit., p. 134: “Spesso il
‘
padrone’ è percepito come una persona franca, con la quale si può discutere anche rimanendo su posizioni diverse, le figure intermedie, al contra-rio, sono quasi sempre‘
subdole’,‘
false’, così come i capi-reparto, che hanno come unico scopo‘
quello di […] ingannare’ anche l’operaio in buona fede. Di conseguenza, il‘
padrone’ molte vol-te rivesvol-te — agli occhi degli operai — funzioni di mediazione o, quanto meno, di riequilibrio ragionevole rispetto agli eccessi di zelo dei capi”.tamente paternalistici, denunciati dagli ambienti sindacali, l’enfatizzazione dei
momenti fondanti della dimensione comunitaria appare più efficace.
Avvia-ta dai primi numeri della rivisAvvia-ta, la redazione della rubrica “Storia della
socie-tà”, la cui funzione è lontana dall’esaurirsi nella semplice finalità
documenta-ristica, si mostra funzionale alla rappresentazione di una realtà che trascende
la quotidianità: “la Falck esiste nei secoli, è il messaggio, e continuerà lungo il
suo cammino, superando episodi minimali di conflitto o difficoltà che sono
so-lo temporanee e passeggere”
73.
Nella costruzione di senso identitaria un ruolo nodale ha la fondazione, nel
giugno 1952, dell’Associazione Giorgio Enrico Falck, nella quale sono
inqua-drati gli “Anziani del lavoro”, i dipendenti impiegati nell’azienda da più di
ven-ticinque anni (fig. 1), che rappresenta un momento di consolidamento di quel
codice valoriale basato sulle valenze etiche della fedeltà aziendale e del culto
del lavoro che il presidente, nel discorso introduttivo, esalta come elementi
co-stitutivi delle dinamiche comunitarie, come precisa una nota de “La Ferriera”,
non firmata ma attribuibile al direttore:
Alla base dei rapporti tra l’Azienda ed i suoi lavoratori c’è un qualcosa di più intimo, di più vivo, di più profondamente umano che non un semplice vincolo di dipendenza. È la fiducia, la stima, la considerazione e il profondo rispetto reciproco che si sono instaurati tra dirigenti e maestranze in tanti contatti diretti sul posto di lavoro. […] I lavoratori hanno avuto la più as-soluta fiducia nella loro Azienda, così come questa, e nei momenti tristi ed in quelli prospero-si, non ha mai abbandonato i suoi lavoratori ma ha fatto leva su di esprospero-si, e massimamente sui più Anziani tra loro, per il superamento delle avverse contingenze74.
Nel corso della cerimonia, concordemente con la centralità assunta dalle
istan-ze aziendalistiche nella cultura imprenditoriale, viene più volte rimarcato il
ruolo palingenetico che il vincolo di appartenenza all’impresa riveste in
rela-zione all’intera comunità nazionale:
Una immane trasformazione sociale è in corso […]. Il nostro posto è ben segnato: noi siamo portatori di una idea antica nel tempo, ma che oggi soltanto la società ha compreso intuendo-ne la forza immensa, costruttiva: la fedeltà! Questa idea che lega in reciproco vincolo impre-sa e lavoratori al di sopra di ogni stimolo di legge o di contratto, ma come espressione, come fatto di natura; questa fedeltà che ci fa quotidianamente partecipi del processo della creazione sociale e come stringe noi all’impresa, così astringe questa a noi75.
La cerimonia di costituzione dell’Associazione non rappresenta che il primo
momento di una tentata ritualizzazione dell’identità aziendale che raggiunge il
proprio acme negli anni successivi. Le manifestazioni successive tendono a
cri-stallizzarsi in occasioni di celebrazione della comunità d’impresa, volte a
sug-73 L. Guiotto, L’ideologia imprenditoriale, cit., p. 142. 74 “La Ferriera”, giugno 1952, p. 2.
75 Il saluto inaugurale dell’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani e la solenne
Fig. 276 — Ha inizio la Messa solenne in suffragio del Fondatore della Società
gestionare l’immaginario dei lavoratori con la loro imponenza scenografica (fig.
2 e 3), nelle quali assume particolare rilevanza la dimensione estetica di una
simbologia (fig. 4) che mira a rappresentare “lo spirito di collaborazione […]
che [li] lega alla Società”
77:
Ogni presidente di sezione sale sul palco per ricevere dalle Signore Giulia e Maly Falck il se-rico drappo tse-ricolore recante su due nastri azzurri la scritta “Associazione Anziani del Lavo-ro G.E. Falck” e la denominazione della Sezione. Quando le undici bandiere sono schierate ai piedi del palco d’onore, il Presidente prende in consegna quella dell’Associazione dalle mani della Signora Camilla Falck e sotto lo scrosciare degli applausi ed il riecheggiare degli evviva
76 “La Ferriera”, giugno 1952, p. 2.
Fig. 378 — Il grande salone centrale del Palazzo dello Sport durante la colazione offerta dal-la Società a tutti gli Anziani
la agita in alto in segno di caldo saluto. Anche le bandiere delle Sezioni si protendono allora verso l’alto, verso la bandiera madre, a simbolo della solidarietà viva e sentita che lega gli an-ziani tra di loro ed alla Società79.
Le cerimonie — nelle quali la ricerca dell’enfasi emotiva è costante, come fa
emergere il resoconto della rivista aziendale, pronto a rilevare ogni reazione dei
partecipanti, dagli “applausi entusiasti” agli “occhi […] lucidi di lacrime […]
per l’intensa commozione del momento”
80— culminano nei discorsi del
presi-dente, sempre tesi a rimarcare il carattere di continuità produttiva ed etica delle
tre fasi temporali nelle quali si declina la storia dell’azienda:
Tale unione è bene continui e, se possibile, migliori, dando soprattutto voi l’esempio ai più giovani, poiché al di fuori di ogni ideologia è certo che solo collaborando reciprocamen-te, con tutte le nostre qualità intellettuali e morali, si ha garanzia per noi, e per le generazio-ni che verranno, della continuità della nostra opera e della tranquillità che possiamo dare al-le nostre famiglie nel saperci al-legati a un lavoro che non è solo di oggi, ma sarà di domani81.
78 “La Ferriera”, giugno 1952, p. 8. 79 Il saluto inaugurale, cit., p. 8. 80 Il saluto inaugurale, cit., p. 8.