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Voci di genitori e figli dall'età antica

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Voci di genitori e figli dall’età antica

Emiliano Macinai*

Il presente contributo intende trattare il tema della testimonianza au-tobiografica in relazione ad un periodo storico in cui non sono ancora maturate le basi culturali, sociali e psicologiche sulle quale il genere let-terario dell’autobiografia si sviluppa e cresce durante l’epoca moderna, per affermarsi definitivamente in quella contemporanea come pratica conoscitiva e pedagogica. Parlare di autobiografia in relazione all’età antica può generare rischi di fraintendimento, se pensiamo che gli anti-chi si impegnassero in questo tipo di scrittura con le stesse motivazioni a noi più familiari ed impiegando i mezzi espressivi di oggi. Vale la pena, pertanto, compiere una breve riflessione preliminare, prima di entrare nel merito dello studio di alcune testimonianze significative circa il rap-porto genitori/figli nell’età antica.

Tanto nella tradizione greca quanto in quella romana, l’autobiogra-fia è un genere letterario che resta affine alla cronaca storica, non può essere ancora il luogo e il momento nei quali ripercorrere la propria esperienza esistenziale, il tragitto che ha portato alla formazione del-la propria personalità, un dialogo intimo e privato con sé stessi, retro-spettivo ma che, al tempo stesso, apre alla dimensione del futuro. In un contesto sociale e culturale dove ancora non è sorta la distinzione tutta moderna tra la sfera pubblica e la dimensione privata dell’esisten-za, che non potrà evidentemente essere riconosciuta e realizzarsi fino al XVIII secolo con l’Illuminismo; e dove pertanto non può emergere con pienezza la categoria centrale della contemporaneità, quella di in-dividuo, che dell’Illuminismo e del pensiero romantico è l’elaborazione più rivoluzionaria sul piano dell’esperienza umana; l’autobiografia, pur rappresentando un genere molto frequentato, soprattutto nell’ambito della letteratura romana, non si sviluppa nella direzione dell’introiezio-ne personale e dell’indagidell’introiezio-ne sul senso del Sé, ma resta piuttosto giocata

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sul piano esteriore, pubblico della cronaca storica dei fatti, inquadrati in una cornice particolare, ma che di personale ha soltanto il punto di vista e l’occasione per il racconto ai lettori. Come sostiene Duccio Demetrio: «Nell’antichità greco-latina le memorie, le lettere, i commentari, le ora-zioni, pur costituendo la dimora originaria del pensiero autoreferenzia-le, sono molto lontane dallo scopo primario dell’autobiografia»1.

A questo proposito, in tutta l’età antica vi è probabilmente un so-lo esempio di testo autobiografico che possa essere considerato tale nel senso pieno del termine e che, come tale, per la sua modernità, si colloca per certi versi fuori del proprio tempo: si tratta delle

Confes-sioni di Agostino, opera sinceramente e con sofferenza autobiografica,

nella quale il dialogo è invece tutto interiore ad una coscienza agitata dal dubbio e dal rapporto tormentato di un’esistenza umana finita e imperfetta con l’essere supremo2. Sostiene Franco Cambi: «Anzi, con

Sant’Agostino nasce, possiamo dire, l’autobiografia in senso proprio, come confessione di sé, come scandaglio nella propria coscienza e nei propri vissuti personali […]. Sant’Agostino è, così, la prima, grande svolta nell’autobiografia occidentale nella direzione di un fare-autobio-grafia tipicamente, poi, moderno, che ruota intorno al ‘cuore messo a nudo’ e all’autovigilanza del soggetto su sé stesso»3. Ma oramai siamo

già entrati nel V secolo.

Tuttavia, fatta questa premessa, è altrettanto certo, da un punto di vista storico-pedagogico, che molti testi autobiografici risalenti all’epo-ca antiall’epo-ca offrano preziosi elementi per arricchire le nostre conoscenze circa interessanti aspetti della vita materiale e non sono rari gli indizi che si nascondono tra le righe dello scritto i quali, una volta rinvenuti, sviluppati e interpretati, permettono di fare luce sui fenomeni umani più difficili da ricostruire per lo storico, quelli riguardanti le relazioni interpersonali. Molte informazioni preziose possono così essere rintrac-ciate sul tema del rapporto genitori/figli, sulle dinamiche familiari, sulle strategie educative, sul contesto sociale più ampio e sullo sfondo stori-co-culturale sul quale tutto ciò si inserisce e si muove.

1 D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, 1995, p. 63.

2 Augustinus Hipponensis, Confessiones, 397-401. Il testo integrale nella traduzione italiana a cura di Roberta De Monticelli è scaricabile dal sito www.filosofico.net/coago. htm.

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In Roma, secondo una mentalità molto diffusa, alla riuscita esisten-ziale del primogenito maschio si lega la reputazione dell’intera famiglia4.

Questa è una molla tra le più potenti che possono spingere padri illustri a preoccuparsi molto da vicino dell’educazione del figlio maschio.

Cicerone, per fare un esempio tra i più celebri, è uno di questi pa-dri e nelle Lettere ad Attico, siamo qualche anno dopo il 50 a.C., dà testimonianza di essere interessato e attivamente partecipe all’educa-zione superiore del figlio. Non soltanto affida ad insegnanti professio-nali e specializzati il compito di provvedere alla formazione del figlio, ma sovrintende personalmente all’educazione del suo Marco, al punto di dedicargli l’opera De officiis, «per propinargli – scrive Rosella Fra-sca – consigli e insegnamenti di ordine morale, etico, civico»5. Tutta la

preoccupazione del genitore emerge nello scambio epistolare con l’ami-co Pomponio Attil’ami-co, soprattutto quando, sel’ami-condo la moda del tempo diffusa tra le classi privilegiate, il giovane Marco sarà inviato dal padre in Grecia per completare gli studi. Nella seguente epistola paiono emer-gere l’orgoglio del padre per i progressi del figlio, ma anche la preoccu-pazione per la sua condotta, non sempre all’altezza del cognomen che il ragazzo porta6:

Da mio figlio ho avuto una lettera veramente ben rifinita in stile antico e discretamente lunga. Il profitto nelle altre materie può anche essere simulato, ma la rifinitura in stile è chiara dimostrazione di una cultura migliorata. Ora ti chiedo vivamente, argomento già trattato con te poco tempo addietro, di provvedere a che non gli manchi nulla. È questa una cosa che rientra nei miei doveri, ma riguarda anche la mia reputazione e la mia dignità: e ho capito che le tue vedute coincidono con le mie. Se poi, come è mia intenzione, andrò in Grecia nel mese di luglio, tutto sarà assolutamente più facile; ma essendo i tem-pi tali che non si può essere sicuri di niente, di che cosa sia onorevole per me, che cosa possibile, che cosa risolutivo, occupati tu – per cortesia – di quel che mi serve per potergli assicurare un dignitoso e generoso tenore di vita.

4 Cfr. su questo punto R. Frasca, Saranno famosi. Destini pedagogici di piccoli roma-ni eccellenti, in: C. Covato, S. Ulivieri (a cura di), Itinerari nella storia dell’infanzia.

Bam-bine e bambini, modelli pedagogici e stili educativi, Milano, Unicopli, 2001, pp. 22 e ss.

5 Ivi, p. 22. Cfr. Marcus Tullius Cicero, De officiis, 44 a.C. L’opera ntegrale in lingua latina può essere consultata sul sito www.filosofico.net/deofficiis.htm.

6 Marcus Tullius Cicero, Epistulae ad Atticum, 14, 7: Cicerone ad Attico. L’epistola-rio integrale di Cicerone in lingua latina può essere consultato sul sito www.filosofico. net/ciceronepistolario.htm.

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Di qualche settimana più tardi è una lettera del giovane Marco Ci-cerone indirizzata a Tirone, servo e segretario del padre, in cui appren-diamo dei suoi studi e del suo rapporto coi maestri, ma anche della guida che il padre continua da lontano a mantenere sulla formazione del figlio7:

Sappi che sono legatissimo a Cratippo, non come scolaro, ma come figlio. Ascolto volentieri le sue lezioni, ma sono anche particolarmente affascinato dal-la sua personalità: passo giornate intere in sua compagnia e spessissimo anche delle sere, giacché gli chiedo come un grande favore di cenare con me quante più volte può. Da quando questa abitudine si è consolidata, succede spesso che senza che io me ne renda conto e durante la stessa cena egli mi faccia la sorpresa di raggiungermi, metta via la sua faccia austera da maestro di filosofia e scherzi con me con una affabilità straordinaria. Dovresti fare di tutto per conoscere appena puoi un uomo così simpatico e veramente eccezionale. [...] Quanto a quello che mi scrivi di Gorgia, mi era molto utile per la pratica giornaliera di declamazione: ma ho messo da parte tutto pur di obbedire alle sollecitazioni di mio padre, che in effetti mi ha scritto senza mezzi termini di lasciarlo perdere immediatamente. Non ho voluto tergiversare, per evitare che un mio eccessivo interesse potesse in qualche modo insospettirlo. E poi mi sopravveniva anche il pensiero che sarebbe stato pesante da parte mia sindacare il giudizio di mio pa-dre. Accetto però con gratitudine e come prova di affetto sincero i suoi consigli. Nelle Satire, in maniera squisitamente poetica, Orazio ci consegna in-vece il proprio ricordo dell’infanzia e ci offre degli spunti interessanti sul suo rapporto con il padre. Siamo sempre intorno al 45 a.C., in un periodo di trasformazione socio-culturale oltre che politico per Roma, che inve-ste anche i costumi educativi delle classi elevate. L’educazione scolasti-ca, che Cicerone vedeva con una sorta di diffidenza, è ancora una prassi educativa che in un certo senso rompe con la tradizione e quindi urta la sensibilità aristocratica dell’epoca, ma ben presto, nel giro di una gene-razione, diverrà la regola anche per i figli maschi delle buone famiglie8.

Talvolta, come nel caso in questione, riguarda anche figli delle classi meno agiate9:

7 Marcus Tullius Cicero, Epistulae ad familiares, 16, 21: Marco Cicerone figlio al suo

carissimo Tirone.

8 Per approfondimenti su questi ed altri aspetti riguardanti l’istruzione e l’educazio-ne scolastica in Roma, si rimanda a H.I. Marrou, Storia dell’educaziol’educazio-ne l’educazio-nell’antichità, Roma, Studium, 1971.

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Se la mia indole, per il resto retta, è intaccata solo da pochi e trascurabili difetti, come nèi che tu biasimassi in un corpo perfetto; se nessuno in buona fede può rinfacciarmi avidità, sordidezza o pratica di bordelli; se io vivo, tanto da darmi lode, immune da colpe e caro agli amici; di tutto questo ha merito mio padre, che, pur con le magre risorse di un piccolo podere, non solo non volle mandarmi alla scuola di Flavio, che frequentavano, con borse e taccuini sotto il braccio, i figli illustri dei più illustri centurioni, pagando otto assi alle Idi d’ogni mese, ma ebbe il coraggio di portarmi a Roma, poco più che fanciullo, per farmi impartire quell’istruzione, che cavalieri e senatori fanno impartire ai propri figli.

[…] E lui stesso, pedagogo impeccabile, mi accompagnava da un maestro all’altro.

Che vuoi di più? Col mio ritegno, che è prima condizione di virtù, mi tenne lontano non solo da ogni azione, ma da ogni calunnia infamante, senza temere che gli si ascrivesse a colpa, se un giorno io banditore o, come lui, esattore avessi dovuto tirare una paga un po’ magra; né io mi sarei lamentato. Ora per questo gli si deve lode e gratitudine maggiore.

Altri elementi interessanti che suggeriscono spunti di analisi peda-gogica in merito alle trasformazioni sociali che riguardano i costumi educativi della società romana tra I e II secolo li troviamo nelle Epistole di Plinio il Giovane, personaggio illustre per la buona società del suo tempo, che godeva tra l’altro di una riconosciuta autorità in campo pe-dagogico, per cui molti conoscenti si rivolgevano a lui in cerca di un consiglio per meglio gestire il rapporto coi figli.

In una lettera indirizzata alla figlia di un suo amico scrive10:

Poiché non saprei se fosse maggiore l’ammirazione o l’amore che io ho nu-trito per tuo padre, uomo di grandissima austerità e integrità di vita, e poiché ho sempre provato nei tuoi confronti una speciale benevolenza sia per il ricor-do di lui che per le tue ricor-doti di ricor-donna onesta e saggia, è naturale che desideri e, anzi, per quel che sarà in me, che mi sforzi affinché tuo figlio diventi simile al nonno.

[…] Egli crescerà simile a lui, se il suo animo sarà coltivato attraverso nobili insegnamenti, ed assume massima importanza chi ne sarà il maestro.

Fino ad ora le esigenze della puerizia lo hanno tenuto a stretto contatto con

La versione integrale dell’opera nella traduzione italiana a cura di Mario Ramous è con-sultabile sul sito /www.rodoni.ch/busoni/bibliotechina/orazio/satire.htm.

10 Gaius Plinius Caecilius Secundus, Epistularum Libri Decem, III, 3: Plinio alla sua

Corellia Ispulla. La versione integrale dell’opera in lingua latina si trova sul sito www.

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te fra le mura di casa, dove ha avuto precettori, dove ci sono pochi stimoli che spingono a commettere errori.

Ormai però i suoi studi devono spaziare oltre. […]

Perciò, col favore degli dei, mettilo sotto la cura di un maestro dal quale pos-sa imparare prima i buoni costumi e poi l’eloquenza, la quale certo si impara malamente senza i buoni costumi.

Finalmente il valore dell’educazione scolastica si è definitivamente imposto a Roma, come precedentemente era successo anche ad Atene, tant’è che si assiste al fiorire di numerose scuole pubbliche finanziate dalle municipalità e sovvenzionate da cittadini facoltosi, dove i ram-polli dell’alta società romana apprendono e coltivano le virtù pubbli-che indispensabili per il successo nella vita11. Una volta soddisfatte le

esigenze della prima infanzia, per le quali «basta» la madre (oppure, in aggiunta o in alternativa, una nutrice e una balia) è necessario che il figlio sia inviato a scuola, per essere posto sotto la guida esperta di un maestro.

Sempre Plinio il Giovane, in un’altra lunga epistola, racconta ad un conoscente l’evento drammatico della morte della figlia prediletta del-l’amico Fundano. Si coglie una sostanziale differenza di atteggiamento nei confronti della figlia femmina; il dolore per la perdita della bambina è indubitabile; eppure i principi educativi e i valori di riferimento per l’educazione femminile appaiono qualitativamente ben diversi rispetto a quelli riguardanti l’educazione dei figli maschi e in questo breve fram-mento emergono i tratti di una mentalità educativa ancorata a modelli prescrittivi e tradizionali, pesantemente condizionati dalla lettura ideo-logica dell’appartenenza di genere12:

Con enorme tristezza che ti scrivo queste cose: la figlia minore del nostro amico Fundano è morta […]

Non aveva compiuto ancora quattordici anni e già mostrava la prudenza di una donna anziana e la dignità di una matrona e ciononostante una bellezza puerile unita a modestia verginale […]

Con quanto impegno e con quanta intelligenza soleva studiare! Con quanto senso della misura si dedicava al gioco!

11 Cfr. su questo argomento W.V. Harris, Lettura e istruzione nel mondo antico, Ro-ma-Bari, Laterza, 1991.

12 Gaius Plinius Caecilius Secundus, Epistularum Libri Decem, V, 16: Plinio al suo

Efulano Marcellino. La versione integrale dell’opera in lingua latina si trova sul sito

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Con quale compostezza, con che pazienza, persino con quale coraggio, ha sopportato l’estrema malattia! […]

Era già stata promessa ad un bravo giovane, già era stato scelto il giorno delle nozze. Questa gioia in quale dolore si è trasformata!

Non posso esprimere a parole la profondità della ferita che provo nel mio cuore, nell’udire Fundano in persona – quante maniere trova il dolore per dare sfogo alla propria angustia – dare disposizioni perché si impiegasse in incenso, in aromi e in profumi quanto era stato messo in conto per vesti, perle e gemme […] tutto si abbandona al dolore paterno.

Lo capirai, anzi lo elogerai, se rifletterai su quanto ha perduto. Ha perduto infatti una figlia, che riproduceva non meno il suo carattere che i lineamenti del suo volto e che era un ritratto del padre di straordinaria somiglianza.

Tra i testi di carattere autobiografico più noti vi è il diario epistolare del futuro imperatore Marco Aurelio. Un carteggio che rappresenta una fonte preziosa per lo storico. Siamo intorno al 140 e il giovane ci offre molte informazioni interessanti nelle lettere scritte al maestro Frontone, riguardanti per esempio il suo impegno nei compiti, ma anche i gesti semplici e quasi banali della vita in famiglia13:

Salve, mio carissimo maestro.

[…] dalle cinque alle nove ho letto un po’ dal De agri cultura di Catone, un po’ ho scritto, con risultato meno infelice di ieri.

Poi dopo aver salutato mio padre, sorbendo e risputando acqua con miele mi sono sciacquato la gola […].

Dopo che ebbi curato la gola andai da mio padre e lo assistetti mentre faceva sacrifici14. Poi andammo a fare merenda. […]

Ho studiato un po’ ma senza risultato.

Poi ho chiacchierato a lungo con la mia cara mamma che se ne stava seduta sul letto. Le dicevo questo: «Cosa pensi che stia facendo adesso il mio caro Frontone?» […]

Mentre così chiacchieravamo e bisticciavamo su chi di noi ama di più l’uno o l’altro di voi, suona il gong, cioè, viene annunciato che mio padre si è trasferito nel bagno.

13 Marcus Cornelius Fronto, Epistulae, IV, 6: A Marco Cesare et inv. La versione in-tegrale dell’opera in lingua latina si trova sul sito http://epistol.georgehinge.com/fronto. html.

14 Colui che Marco Aurelio chiama «padre» è lo zio Antonino Pio, dal quale era sta-to adottasta-to dopo essere stasta-to nominasta-to erede al trono imperiale. Per approfondimenti sulla pratica delle adoptio in Roma, cfr. R. Frasca, Educazione e formazione a Roma.

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Pertanto, dopo che abbiamo fatto il bagno, abbiamo cenato nel frantoio e con gusto abbiamo ascoltato i battibecchi dei contadini.

La raffigurazione di semplici scene di vita quotidiana che l’impera-tore designato ci consegna in questo breve frammento sono in qualche modo sufficienti per permettere al lettore di scorgere, come in contro-luce pur nel clima di idilliaca serenità che pervade la cronaca, tutta l’au-torevolezza della figura paterna, di quel pater familias vero dominatore della scena e al quale il figlio si rivolge con rispetto e deferenza; una relazione più intima, meno distante pare essere quella con la madre, con cui il giovane Marco Aurelio può ridere e scherzare, fintantoché il capofamiglia non riporta l’ordine, imponendo ai gesti e ai tempi della relazione madre/figlio i precisi limiti sanciti dal rigore che la figura pa-terna incarna e pretende.

Precedentemente, si è accennato di passaggio alla situazione che si era già verificata in Atene, e vale la pena concludere proprio con un passo indietro di qualche secolo, cambiando di scenario storico e culturale.

Siamo, dunque, nella polis del V secolo così come ce la descrive Pla-tone nei suoi dialoghi ed insieme a Socrate incontriamo Liside, un bam-bino di 10-11 anni che, incalzato dalle domande dell’anziano maestro riflette sulle dinamiche dei rapporti con i propri genitori15.

Liside si domanda se davvero i genitori gli vogliono bene, dato che gli impediscono di fare quello che vorrebbe, come, per esempio, gui-dare il cocchio del padre o usare il telaio della madre. Liside è portato ad ammettere che i propri genitori, sottoponendolo costantemente alla propria autorità e limitando in questo modo la sua libertà, si compor-tano in maniera contraria a quanto ci si potrebbe aspettare se davvero volessero la sua felicità. Addirittura gli hanno affiancato un pedagogo, uno schiavo, che lo sorveglia durante tutta la giornata, che controlla i suoi movimenti lungo il tragitto che da casa lo conduce a scuola e che gli impedisce di trattenersi a giocare per strada con i suoi coetanei. Tutto lascia apparentemente supporre che i genitori non vogliono che Liside sia felice e, pertanto, non vogliono il suo bene.

Lo scambio si conclude, però, in maniera imprevista.

C’è un caso particolare in cui il rapporto genitori/figlio si ribalta com-pletamente; vi è, infatti, un’occupazione che Liside non soltanto è libero di gestire in maniera totalmente autonoma dal controllo e dalla volontà

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di suo padre e di sua madre, ma per la quale essi gli riconoscono un’au-torità che essi non possono avere. Il fatto è che Liside, a differenza dei suoi genitori, sa leggere e scrivere e questa abilità lo rende più libero di loro, perché, per una volta, sono loro che si trovano a dover dipendere da lui e non viceversa16:

«Ma per qual motivo così stranamente ti impediscono di essere felice e di fare ciò che vuoi, e per tutto il giorno ti allevano sempre come uno schiavo di qualcuno e, in una parola, senza che tu faccia quasi nulla di ciò che deside-ri?[…]»

«Non ho ancora l’età, Socrate.»

«Non è questo, o figlio di Democrate, che ti è di impedimento, perché alme-no c’è un’altra cosa che sia tuo padre che tua madre ti affidaalme-no e alme-non aspettaalme-no che tu abbia l’età. Infatti quando vogliono che qualcuno legga o scriva per loro, sei tu per primo fra tutti quelli che sono nella casa che incaricano di questo compito, non è così?»

«Certamente.[…]»

«Quale mai potrebbe essere la causa, Liside, perché in questi casi che abbia-mo detto ora non ti impongono divieti mentre in quelli che dicevaabbia-mo poco fa te li impongono?»

«Perché, credo, queste cose le so fare, quelle no.»

Liside, di famiglia agiata, ha appena scoperto insieme a Socrate perché i suoi genitori insistono tanto per mandarlo a scuola contro la sua volon-tà: attraverso l’istruzione sarà in grado di arrivare ad una autonomia che essi, nonostante le ricchezze e la posizione sociale che occupano, non possono più sperare di raggiungere, essendo pressoché analfabeti.

Nell’arco di una generazione, l’affermazione dell’istruzione scolastica in Atene ha ribaltato i rapporti di dipendenza all’interno delle famiglie, così come ha mutato gli scenari politici e sociali. Il potere non si eredita più insieme al sangue; in una società che da aristocratica si sta trasfor-mando in senso democratico, per avere successo in ogni campo della vita è necessario dimostrare di essere migliori degli altri e la formazione diventa una questione di importanza decisiva.

Qualcosa di simile succede sempre, in ogni tempo e in ogni socie-tà, nel momento in cui la formazione si impone come valore nuovo: la generazione dei figli scopre di avere qualcosa da insegnare a quella dei genitori.

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Fonti letterarie

Augustinus Hipponensis, Confessiones, 397-401. Marcus Tullius Cicero, Epistulae ad Atticum, 65-43 a.C. Marcus Tullius Cicero, Epistulae ad familiares, 62-43 a.C. Marcus Tullius Cicero, De officiis, 44 a.C.

Marcus Cornelius Fronto, Epistulae, 143-171.

Quintus Horatius Flaccus, Saturae o Sermones, 35-30 a.C. Platon, Lysis, 396-388 a.C.

Gaius Plinius Caecilius Secundus, Epistularum Libri Decem, 96-109.

Riferimenti bibliografici

Becchi E. (1994): I bambini nella storia. Roma-Bari: Laterza.

Cambi F. (2002): L’autobiografia come metodo formativo. Roma-Bari: Laterza. Covato C,. Ulivieri S. (a cura di) (2001): Itinerari nella storia dell’infanzia.

Bam-bine e bambini, modelli pedagogici e stili educativi. Milano: Unicopli.

Delgado B. (2002): Storia dell’infanzia. Bari: Dedalo.

Demetrio D. (1995): Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé. Milano: Cor-tina.

Frasca R. (1996): Educazione e formazione a Roma. Storia, testi, immagini. Bari: Dedalo.

Harris W.H.: Lettura e istruzione nel mondo antico. Roma-Bari: Laterza. Macinai E. (a cura di) (2005): Platone – Liside. Pisa: ets.

Marrou H.I. (1971): Storia dell’educazione. Roma: Studium.

Pancera C. (2003): La formazione dell’uomo in Socrate. Bologna: Clueb. Seveso G. (2007): Ti ho dato ali per volare. Pisa: ets.

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