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Morire vivendo: la segregazione dei lebbrosi nel Medioevo

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Academic year: 2021

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PIFFARETTI GABRIELE

MASTER OF ARTS

IN INSEGNAMENTO DELLA STORIA NELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

MORIRE VIVENDO

LA SEGREGAZIONE DEI LEBBROSI NEL MEDIOEVO

RELATORE

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Indice

1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel Medioevo? ... 1

2. Inserimento dell’itinerario didattico nella programmazione annuale ... 4

3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo complesso ... 5

4. Il caso del Pays de Vaud ... 9

5. Il percorso didattico ... 11

a) Struttura dell’itinerario didattico ... 11

b) Scelta dei materiali ... 11

c) Modalità didattiche ... 11

6. Presentazione delle attività ... 13

a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra ... 13

b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima ... 14

c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati ... 15

d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario ... 17

e) Lezione 5: laboratorio storico ... 18

f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione ... 19

g) Verifica sommativa ... 20

7. Conclusioni ... 22

8. Bibliografia ... 24

9. Allegati ... 27

1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra ... 2) Malattia del corpo e dell’anima ... 3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati ... 4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani ... 5) Le fonti ... 6) Laboratorio storico ... 7) Documenti ... 8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti ... 9) Gli emarginati nell’Occidente medievale ... 10) Verifica sommativa ... 11) Testi degli studenti ...

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1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel

Medioevo?

L’itinerario didattico, progettato e proposto in una classe di II liceo, vuole promuovere negli studenti la riflessione critica su una categoria umana che nel corso dei secoli ha visto mutare la propria condizione sociale in un’ambigua oscillazione tra atteggiamenti repressivi e iniziative assistenziali. Perché riflettere quindi sugli emarginati del Medioevo con gli studenti liceali?

Credo che la risposta vada ricercata nei bisogni profondi della nostra società, spesso distratta e disinteressata del proprio passato, ammiccante di fronte al riemergere di pericolose demagogie. Teorie che s’insinuano anche nel mondo scolastico, come sta accadendo negli ultimi anni in Italia a proposito dei tentativi revisionisti sulla Resistenza: chi la vorrebbe “riscrivere” non aspira alla conoscenza storica, rifiuta la complessità e attinge di volta in volta alle diverse interpretazioni a dipendenza dell’uso che si necessita e delle aspettative del pubblico. Il Piano di formazione degli studi liceali (2008) dichiara invece di voler “offrire ai propri allievi la possibilità di acquisire solide conoscenze di base e di favorire la formazione di uno spirito d’apertura e di un giudizio indipendente” (Piano degli studi, p. 11). Una finalità educativa irrinunciabile, infatti, è proprio quella di “privilegiare una formazione ampia, equilibrata e coerente che dia all’allievo la maturità necessaria per intraprendere studi superiori e per svolgere un ruolo attivo e responsabile nella società” (p. 11). Le scienze umane, e in questo particolare caso lo studio della storia, sono in grado di promuovere negli studenti una riflessione profonda e una maturazione consapevole dei propri interessi e dei propri bisogni. François Bergier (2004, p. 155) sottolinea come nella società, e di conseguenza anche nella scuola, emerga un bisogno crescente della storia non come “evasione” ma come “invasione”, come necessità per comprendere il presente e per prefigurare o preparare il destino futuro. Si può facilmente intuire quanto sia urgente tale sentimento negli adolescenti. La storia diventa quindi uno strumento conoscitivo molto ampio, in grado di orientare i ragazzi nel loro percorso liceale e personale.

Cosa significa riflettere sugli esclusi del Medioevo? Vuol dire considerare queste categorie come vittime del pregiudizio, obbligate a farsi carico di colpe infamanti e di angosce collettive insidiose. Un approfondimento didattico sulla lebbra nel Medioevo comporta quindi una riflessione sulle dinamiche che conducono all’emarginazione e all’esclusione di alcune categorie di individui. Deve trattarsi tuttavia di un percorso organizzato con metodo, nel senso letterale del termine: méta hodòs, cioè “la via che conduce oltre, il tragitto più efficace per raggiungere un obiettivo” (D’Orsi, 2002, p. 55). Come suggerisce a sua volta Giuseppe Sergi (2008, p. 93), bisogna evitare di insegnare solo ciò che è considerato “utile”, ma occorre aiutare gli studenti a costruire schemi interpretativi privi di

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qualsiasi preconcetto, affinché lo studio del passato avvenga nel modo più rigoroso e rispettoso possibile. Solo così sarà possibile promuovere la crescita di cittadini consapevoli, in grado di partecipare attivamente alla vita della comunità. Charles Heimberg (2008, p. 53) osserva infatti che “un’opinione comune piuttosto diffusa ritiene sufficiente, ai fini dell’insegnamento della storia, il limitarsi ad un racconto lineare di eventi, che contribuisca alla costruzione di un’identità attorno a qualche grande figura emblematica”. Tale approccio è però discutibile, poiché “resta da vedere […] se poi questi stessi studenti, nelle pratiche scolastiche attuali, imparino realmente a costituire e comprendere l’organizzazione collettiva delle società umane del passato, così come del presente, nella loro dimensione materiale, sociale e o culturale” (2008, p. 54). Insomma, essendo le finalità

educative della scuola media superiore1 volte a promuovere la crescita e la formazione di cittadini

consapevoli e attivi, l’insegnamento di una storia puramente evenemenziale, “piatta e lineare” (Heimberg, 2008, p. 57), difficilmente consentirà di raggiungere l’obiettivo prefissato. Jacques Le Goff afferma (1991, pp. 21-22):

[…] Il lavoro dell’insegnante di storia deve essere fondato sulla critica dei fatti e dei documenti storici. Insegnando storia si deve – per quanto gli alunni siano capaci di seguire – suscitare in loro lo spirito critico, atteggiamento fondamentale in storia. Il fatto storico non è dato, bensì costruito. Gli alunni vanno perciò sensibilizzati alla fabbricazione della storia. Bisogna mostrare loro che il lavoro dello storico non consiste nel ricomporre la storia, ma nel fare storia.

Studiare la lebbra nel Medioevo significa quindi costruire con gli studenti un percorso conoscitivo e analitico strutturato e ragionato, superando l’insegnamento evenemenziale della storia: si invita lo studente ad interrogare le fonti, a cercare in esse le chiavi di lettura del mondo che li circonda, rispondendo così “alle finalità di formazione alla cittadinanza democratica […]” (Heimberg, 2008, p. 55).

I lebbrosi non costituiscono tuttavia una figura ricorrente nell’immaginario collettivo del Medioevo. Generalmente, quando si discute di emarginazione in un contesto come questo, di per sé già permeato di luoghi comuni, si palesa una grande confusione: c’è chi pensa erroneamente alle streghe, chi alla terribile epidemia del 1348, qualcun altro agli Ebrei… Difficilmente si evoca la categoria dei lebbrosi. Eppure quest’ultima rappresenta una classe emarginata per eccellenza. In ambito accademico sono state promosse alcune ricerche (non tantissime, a dire il vero) alle quali sono poi conseguite un certo numero di pubblicazioni. Una in particolare, Histoire des lépreux au

1 Questi principi sono condivisibili e perseguibili già nella scuola media che, essendo un settore scolastico obbligatorio,

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Moyen Âge, di Françoise Bériac, ha conosciuto un discreto successo di pubblico nel mondo

francofono alla fine degli anni Ottanta. Credo che sia molto importante offrire agli studenti della scuola media superiore progetti didattici che attingano direttamente dai lavori dei ricercatori, affinché l’insegnante possa avventurarsi con i propri studenti in nuovi e stimolanti percorsi, permettendo così “l’accesso al gusto del sapere e alle conoscenze attraverso le quali sia possibile volgere uno sguardo critico sul mondo” (Heimberg, 2008, p. 57).

Concludo questa introduzione sostenendo che sarebbe errato considerare la segregazione dei lebbrosi durante il Medioevo un fenomeno avulso dall’attualità. Operando le dovute distinzioni, non è difficile scorgere le costanti con le dinamiche emarginatrici attuali. Come scrive Hanna Zaremska (2003, p. 629) a proposito del concetto di marginalità nella storia, “[…] nella maggiror parte dei casi, l’emarginazione, volontaria o involontaria, ha come causa principale il declassamento. L’emarginato non partecipa ai privilegi materiali e sociali, alla divisione del lavoro e delle funzioni sociali, alle norme e all’etica sociale condivisa”.

Un declassamento che, a mio avviso, può essere letto come il risultato di profonde irrequietudini

sociali. Le lettere aperte sui quotidiani o i risultati delle ultime votazioni2 sono indicatori evidenti

delle paure che la popolazione sviluppa nei confronti di quelle categorie che non rispettano le aspettative e le regole della società. Françoise Bériac, nell’introduzione alla sua opera, scrive (1988, p. 9):

[…] les réactions face au SIDA peuvent donner une idée de la façon dont on considérait les lépreux. Maladie qui terrorise, punition de transgressions morales, la lèpre garde une sourde prégnance dans notre culture […].

Che si tratti di sieropositivi, clandestini, omosessuali, richiedenti l’asilo, prostitute, rom, poco importa. Anche la nostra società ha i suoi esclusi in carne ed ossa, vittime di angosce e miopie collettive, insidiose e antiche. Ecco perché, a mio avviso, occorre affrontarle sui banchi di scuola.

2 Si pensi per esempio all’iniziativa cantonale sul divieto di dissimulazione del volto (22 settembre 2013) e alla

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2. Inserimento dell’itinerario didattico nella

programmazione annuale

L’itinerario didattico sulla lebbra è stato proposto in una classe di II liceo durante l’ultima parte di novembre ed il mese di dicembre 2013. Il capitolo trattato precedente ha avuto per oggetto la crisi del Trecento e ha permesso di focalizzare l’attenzione su tre aspetti: la crisi demografica, la crisi economica, i disordini politici e sociali.

L’analisi di fonti letterarie evocanti le conseguenze delle carestie e l’avvento della peste ha consentito una riflessione seria sull’angoscia collettiva della società medievale di fronte alla morte. Tali paure, testimoniate anche da numerose opere d’arte (trionfi della morte, danze macabre, eccetera), hanno offerto lo stimolo per proporre una prima discussione su chi, nella società del XIV secolo, potesse essere considerato pericoloso per la sopravvivenza della comunità e quali potessero essere le misure adottate nei confronti di tali categorie. Nell’ambito di questo prima discussione libera gli allievi hanno quindi portato alla luce alcune possibili figure di “esclusi” e tra questi, appunto, sono stati evocati i lebbrosi. Il percorso didattico sulla percezione e la rappresentazione della lebbra si è quindi inserito in maniera naturale nella programmazione ed è stato presentato agli studenti come un’occasione di approfondimento di un argomento poco conosciuto ma decisamente rilevante nella storia dell’Occidente medievale. Ho quindi deciso di ideare l’itinerario tenendo conto di quanto espresso nel Piano degli studi del liceo di Lugano 1 (2003, p. 64):

[…] lo studente dovrà essere progressivamente introdotto alle procedure che stanno alla base del lavoro di storico, portato a sviluppare capacità di analisi, di lettura, di smontaggio di documenti, fornendogli adeguati strumenti analitici e critici che lo avvicinano agli “strumenti” del mestieri di storico”. L’insegnante farà spazio perciò a momenti dedicati al “laboratorio storico” […].

Ritengo fondamentale proporre agli studenti occasioni di approfondimento e di laboratorio: quando si toccano temi inerenti il Medioevo, infatti, si corre spesso il rischio di accontentarsi di interpretazioni un po’ superficiali o di visioni obsolete. Come afferma Giuseppe Sergi (2005, pp. 24-25) è invece fondamentale liberarsi del “Medioevo inventato: quello che si è consolidato attraverso i secoli nell’immaginario collettivo [….] che funziona come un altrove (negativo o positivo) o come una premessa”. […] Il Medioevo dell’odierna cultura diffusa risente infatti ben poco delle ricerche degli storici […]”.

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3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo

complesso

Mi si conceda un piccolo prologo a questo capitolo. Sarebbe presuntuoso, da parte mia, voler sintetizzare in poche pagine il dibattito storiografico a proposito della lebbra nel Medioevo in quanto le ricerche e le pubblicazioni su questo argomento meriterebbero di essere esposte in tutta la loro complessità. Penso in particolare all’encomiabile lavoro di Françoise Bériac, riferimento fondamentale in questo lavoro di didattica della storia. Nelle prossime pagine esporrò quindi una lettura diacronica della lebbra nel Medioevo e una panoramica generale sulla malattia e sulle rappresentazioni ad essa connesse. Questa non vuole, e non può, essere una dissertazione storica esaustiva e puntuale, pur facendo riferimento al lavoro di storici seri, bensì una presentazione generale che tenga conto delle interpretazioni più autorevoli.

Nel Medioevo la lebbra è una malattia temuta e imprevedibile: le lacerazioni del corpo suscitano disgusto e angoscia. Non si tratta però solo dell’umana e comprensibile inquietudine di fronte ai sintomi devastanti di un male incurabile, per cui poco o nulla possono le conoscenze mediche dell’epoca. Un insieme di significati e simboli condiziona pesantemente la relazione tra malati e sani, nonché la vita quotidiana degli individui contagiati. Come scrive Robert Delort (2006, p. 40):

[…] le malattie che incidono più profondamente nella vita di tutti i giorni sono le malattie endemiche il cui microbo, vero e proprio parassita dell’uomo, ha perduto la sua virulenza: determina assuefazione nel portatore o lo uccide molto lentamente. Il caso più tipico del Medioevo è la lebbra […]. I malati marciscono un po’ alla volta nel loro universo chiuso, tenuti rigorosamente separati dall’umanità normale […]. Dall’1 al 5% degli Occidentali furono colpiti nei secoli XII e XIII da questo male che scomparve in seguito in modo sorprendente, cacciato forse dalla tubercolosi, di cui si è provato che il bacillo ostacolava il portatore della lebbra.

La medicina medievale è incapace di comprendere e curare. Da un lato questa malattia è concepita come il risultato di uno squilibrio umorale, in linea con gli insegnamenti di Galeno, dall’altro si crede che il contagio possa avvenire anche per via aerea, per trasmissione ereditaria e, soprattutto, attraverso rapporti sessuali. Gli uomini e le donne percepiscono quindi questa patologia come una conseguenza immediata del peccato. Non un peccato qualsiasi, bensì quello carnale: esiste infatti una stretta correlazione tra lebbra e lussuria. La sfera della sessualità diventa oggetto di attenzione sempre maggiore, che porta a una spaccatura non solo tra il mondo laico e quello ecclesiastico (quest’ultimo dovrebbe essere infatti esente dal rischio di contagio), ma pure tra l’ordine dei cavalieri e quello dei lavoratori, soprattutto contadini. In alcuni scritti teologici medievali, l’origine

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peccaminosa della lebbra trova conferma nel fatto che le categorie delle élites sono toccate solo marginalmente dal fenomeno, mentre le classi popolari, incapaci di resistere alle pulsioni, si uniscono carnalmente in modo del tutto scriteriato. L’atteggiamento scellerato di alcuni, quindi, porta a conseguenze terribili, trasmissibili addirittura ai propri figli, “poiché la carne trasmette il peccato originale, i figli pagano le colpe dei genitori” (Le Goff, 2011, p. 135).

La diffusione dei testi arabi, nel corso del XII secolo, mescola via via le conoscenze antiche con le diverse rappresentazioni della lebbra che vedono nella malattia l’allegoria dei peccati. La lebbra è immagine del peccato originale, ma non solo. Accanto a tale rappresentazione si delinea progressivamente un panorama interpretativo sempre più variegato, ai cui estremi troviamo il lebbroso dilaniato nella carne perché colpevole di bassezze immonde e dall’altro il “buon lebbroso”, fatto a immagine di Lazzaro, lui stesso immagine di Cristo, che non espia solo un peccato personale ma soffre per l’intera comunità cristiana.

Essendo incapaci di fornire risposte univoche e razionali, ci si affida quindi a Dio e si cerca di tutelare la comunità dei sani, escludendo progressivamente i lebbrosi dalla società. Proprio a causa delle interpretazioni ambigue che mutano nel corso dei secoli e che condizionano la percezione della malattia, non si riesce a comprendere con chiarezza chi siano i lebbrosi e come relazionarsi con loro: da un lato li si evita e li si perseguita, poiché impuri e marcati da Dio nel corpo e nell’anima, dall’altro si manifesta un certo timore e rispetto, evitando così il rifiuto totale di coloro che sembrano incarnare il peccato ma che, tuttavia, sembrerebbero essere stati scelti da Dio per invitare gli uomini alla conversione. Geneviève Pichon (1984, p. 356) a questo proposito afferma:

[…] Au bas Moyen Âge, à la suite d’un lent processus de maturation, l’accent sera mis non plus sur la chute mais sur le rachat. Le réseau figuratif s’enrichira alors et se diversifiera, le lépreux deviendra une figure ambivalente du pécheur et de l’élu de Dieu. Pour la souffrance corporelle subie dans le repentir, il pourra vivre sur terre le châtiment de ses fautes et accéder ensuite à la vie éternelle. De l’exégèse biblique aux écrits profanes en passant par les exempla et les récits légendaires, tous le textes seront marqués de façon explicite ou latente par cette ambivalence devenue constitutive du signe lèpre.

La percezione e la rappresentazione dei malati muta quindi nel corso del millennio medievale e occorre altresì tener conto non solo dell’evoluzione temporale, ma anche dei diversi contesti sociali, politici e geografici. In linea generale, è possibile affermare che le testimonianze sui lebbrosi e sulla malattia compaiono con maggior frequenza nel corso del basso Medioevo. Infatti, come afferma sempre Pichon (1984, p. 334),

[…] des textes médiévaux, relativement peu nombreux du VIe

au Xe siècle et très nombreux

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témoignent avant tout d’un système de pensée et d’une mentalité. Les représentations issues de ce système ont bien sûr évolué tout au long des siècles, une étude diachronique se révèle donc particulièrement intéressante.

Oltre alle ambivalenze interpretative dei testi, in particolare delle Sacre Scritture, ciò che nel corso del basso Medioevo implica un deterioramento delle condizioni sociali dei lebbrosi è la sistematica segregazione degli individui contagiati. Il Concilio Lateranense III (1179) decide norme rigorose, disciplinando la costruzione di cappelle e di cimiteri all’interno dei lazzaretti, nonché obbligando i malati ad indossare particolari capi d’abbigliamento e a portare segni distintivi. Si tratta evidentemente di un marchio d’esclusione che vuole tutelare la comunità dei sani, esacerbando allo stesso tempo l’angoscia collettiva per un possibile contagio. Tuttavia, l’isolamento dei lebbrosi comincia ben prima del 1179, infatti, come scrive Zaremska (2003, p. 638)

[…] le prime tracce della segregazione dei lebbrosi, o più precisamente di individui segnalati come leprosi, si trovano nell’editto del re longobardo Rotari dell’anno 643: Se qualcuno è

colpito dalla lebbra e se la verità del fatto è riconosciuta dal giudice o dal popolo e il lebbroso è espulso dalla civitas o dalla dimora affinché viva isolato, non ha il diritto di alienare le sue proprietà e di donarle a chicchessia perché dal giorno in cui è espulso dalla propria casa è come se fosse morto”. L’editto autorizza anche ad abbandonare una fidanzata

che sia diventata cieca, folle o lebbrosa, perché ciò è conseguenza dei suoi gravi peccati e

della malattia che ne deriva.

Il rituale della separazione dalla comunità dei sani, attraverso una cerimonia religiosa che sancisce l’abbandono della società, si trasforma in consuetudine nel corso degli ultimi secoli del basso Medioevo. Sempre Zaremska (2003, p. 639) a tal proposito scrive:

[…] un ordo del XV secolo ordina al prete di recarsi dal malato nel giorno della cerimonia, di benedirlo, poi di accompagnarlo in chiesa con una processione, cantando il Libera me. Giunto davanti alla chiesa, il malato si inginocchia, se possibile sotto un catafalco. Si celebra la messa. Il malato si confessa, il prete lo benedice e lo raccomanda alla benevolenza dei parrocchiani. Questi ultimi formano una processione e riaccompagnano il malato cantando di nuovo il Libera me. Il prete lo mette in guardia contro il peccato, poi getta ai suoi piedi un pugno di terra dicendo: Sii morto per il mondo ma vivo per Dio. Infine, in lingua volgare, gli impartisce le istruzioni per non contaminare gli altri.

Va però detto che questi individui, nella realtà quotidiana, non scompaiono nel nulla. A volte i lebbrosi sono obbligati a “mischiarsi” con i sani, per esempio quando si spostano alla ricerca dell’elemosina: da qui la necessità di rispettare rigide norme di comportamento, come le

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prescrizioni del Concilio Lateranense III, che vogliono rendere i contagiati immediatamente riconoscibili ed evitabili.

Gli storici individuano nel XIII secolo “una netta cesura nella storia dell’ostracismo medievale”, arrivando addirittura a parlare di “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629). Gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non aderiscono alle esigenze della società, diventano oggetto di provvedimenti di esclusione. Tra queste categorie ritroviamo, appunto, i lebbrosi.

Il rigido disciplinamento, tuttavia, non sempre è sufficiente per contenere e gestire le paure della popolazione. Il 1321, in questo senso, è un anno emblematico. Dopo la carestia del 1315-1318, in Europa serpeggia un forte disagio popolare e un atteggiamento sempre più sospettoso nei confronti di Ebrei e lebbrosi, ritenuti colpevoli di aver avvelenato deliberatamente, attraverso un complotto, pozzi e fontane. Berlioz (2003, p. 438) sottolinea come i lebbrosi diventino “i capri espiatori, vittime innocenti che servono da sfogo alle disgrazie della maggioranza. Nel 1321, le disgrazie che colpiscono il regno furono attribuite ai lebbrosi, che avrebbero tentato, secondo voci venute dal Poitou, di avvelenare i pozzi e le fontane di tutta l’Aquitania”. Le Goff (1999, p. 346) aggiunge che “Filippo V, degno figlio di Filippo il Bello, fece istruire processi contro i lebbrosi in tutta la Francia e, dopo confessioni strappate con la tortura, molti furono bruciati”.

In conclusione, è quindi possibile affermare che i lebbrosi, nel corso di tutta l’epoca medievale, vivono una situazione ambigua e fragile, oscillando tra la carità cristiana che li tutela, pur allontanandoli dalla comunità dei sani, e l’oppressione più brutale.

La medicina non è in grado di guarire questi malati, in parte perché mancano completamente le conoscenze scientifiche in grado di suggerire terapie adeguate, ma anche perché “nel Medioevo il corpo in sé non esiste. È sempre compenetrato dall’anima, ed è alla salvezza eterna di questa che si pensa in primo luogo. La medicina è quindi principalmente una medicina dell’anima che passa attraverso il corpo ma sempre andando oltre di esso” (Le Goff, 2005, p. 101).

I lebbrosi rappresentano un pericolo per la comunità dei sani e per questo vanno allontanati: l’ossessione della malattia e del corpo, luogo di incarnazione del peccato, fanno dei contagiati un pericoloso veicolo di trasmissione del morbo e la rappresentazione vivente della dannazione eterna. La repulsione di fronte alla carne putrida si mescola all’ansia di garantire alla propria anima la salvezza eterna. Eppure i lebbrosi, seppur cacciati e segregati, non scompaiono nel nulla, infatti “la società medievale ha bisogno di questi paria messi al margine perché pericolosi, ma visibili, perché, grazie alle cure che essa dispensa loro, possa formarsi una buona coscienza; e più ancora proietta e fissa in loro, magicamente, tutti i mali che essa allontana da sé” (Le Goff, 1983, p. 172).

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4. Il caso del Pays de Vaud

Il certosino lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde: Les lépreux dans le Pays de

Vaud (XIIIe – XVIIe siècle), pubblicato nel 1992 nella collana dei Cahiers lausannois d’histoire

médiévale, ha costituito un vero e proprio “scrigno” per la raccolta documentaria da proporre nel laboratorio storico in classe.

La ricercatrice dell’Università romanda ha repertoriato tutti i lebbrosari del territorio vodese a cui è riuscita a risalire. Si è trattato di un lavoro complesso in quanto i documenti si sono rivelati spesso imprecisi o lacunosi. Borradori ha così categorizzato i comuni recensiti:

- comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie conosciute e verificate; - comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie poco attentibili;

- comuni in cui è sopravvissuto solo un toponimo (per esempio maladière, maladrerie, ecc.). In generale, i lebbrosari repertoriati rispettano tre condizioni geografiche. Innanzitutto si situano ai margini degli agglomerati urbani, sui confini del comune o della signoria. In secondo luogo le costruzioni sorgono nelle immediate vicinanze di una via di transito, in quanto la raccolta dell’elemosina presso i viandanti era un’attività fondamentale. Da ultimo, per ogni lebbrosario è attestata la vicinanza ad una fonte d’acqua (nel caso in cui si tratti di una fontana è esplicitato ai malati l’obbligo di utilizzare un mestolo).

Secondo Borradori (1992, p. 18), per quanto concerne la costruzione dei lebbrosari vodesi, è possibile distinguere due periodi principali: i secoli XII-XIII e il XVI secolo:

[…] Les fondations des XIIe

-XIIIe siècles sont aussi certainement liées à l’essor du

mouvement de charité dans tout l’Occident chrétien – essor qui se concrétise, par exemple, par de nombreuses créations d’hôpitaux – et la fondation des maladières. Par contre, les fondations plus tardives pourraient être liées à la reconstruction des institutions charitables après la Réforme […].

Dalla ricerca emerge un numero impressionante di luoghi adibiti all’alloggio dei malati: se ne contano quasi una settantina il Pays de Vaud. Questo non vuol però dire che il territorio fosse esposto ad un maggior rischio di contagio. La ragione è piuttosto da ricercare nella tendenza all’isolamento comunale e al frazionamento politico, vale a dire alla mancanza di un coordinamento regionale. Borradori sottolinea con vigore il fatto che “on ne peut pas en aucun cas évaluer le nombre de malades en fonction du nombre de léproseries” (Borradori, 1992, p. 20).

Oltre al complesso lavoro di classificazione dei lebbrosari, ad un’approfondita ricerca sull’organizzazione (prima ecclesiastica e poi laica) degli stessi e sui diritti e i doveri dei malati, lo studio di Piera Borradori offre un ricco apparato di fonti documentarie. Attraverso l’analisi di

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quest’ultime è possibile ricostruire le vicende personali di individui che, in momenti diversi della vita, si ritrovano a dover abbandonare la comunità dei sani per entrare a vivere in quella dei malati. Si tratta di documenti redatti in presenza di pubblici ufficiali che confermano la diagnosi di lebbra e decretano le diverse fasi di abbandono dalla comunità. In essi sono talvolta riportate le volontà del malato (ad esempio lasciti testamentari e vincoli patrimoniali), le modalità che hanno portato al “sospetto di lebbra” (denuncia da parte della comunità, auto-denuncia), le diagnosi dei chirurghi e dei barbieri, i divieti imposti ai malati, i diritti di cui possono beneficiare, eccetera.

Il lettore, anche se estraneo all’ambito della ricerca accademica, non può sottrarsi al coinvolgimento dato dalle vicende umane che, una dopo l’altra, ci portano a conoscere i nomi e le storie personali di ciascun individuo sospettato di lebbra. È emblematico il caso di Christine, denunciata dalla comunità di Assens. L’ufficiale della corte di Losanna, il 18 settembre 1405, decreta (Borradori, 1992, p. 192):

[…] Pour cette raison, nous vous chargeons d’annoncer publiquement que cette Christine est lépreuse et infectée de lèpre, et qu’il faut la séparer et chasser de la compagnie des bien portants.

A volte, addirittura, intere comunità vengono sottoposte al controllo dei medici. È il caso di Claude Chastellet, medico inviato dal principe Carlo di Savoia nella parrocchia di Constantine, che il 18 settembre 1541 scrive (Borradori, 1992, p. 224):

[…] j’ai visité et palpé dans la paroisse de Constantine tels etc. que j’ai constatés lépreux, d’abord parce qu’ils ont les marques des quatre lèpres (la léonine, l’alopicia, l’éléphantia et la tyriasis), ensuite à cause de la perte des sourcils, de leurs enflures et rondeurs, des ulcères internes, des difficultés réspiratoires: c’est comme s’ils parlaient du nez. Leur teint est pâle, cadavérique et jaunâtre; leur visage aussi est terrible avec ses teintes jaunâtres et brunâtres, avec les paupières et les oreilles rongées, ainsi que le muscle qui se trouve entre le pouce et l’index, aux pieds comme aux mains […]. Ce sont-là des signes manifestes qui attestent que ces patients doivent être séparés de la population.

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5. Il percorso didattico

a) Struttura dell’itinerario didattico

Il percorso didattico dedicato allo studio della lebbra nel Medioevo è stato articolato sull’arco di sette lezioni, cioè 14 ore, così strutturate:

- introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra (2 ore); - la lebbra: una malattia del corpo e dell’anima (2 ore);

- i lebbrosari e la rappresentazione dei malati (2 ore); - l’entrata nel lebbrosario (1 ora);

- laboratorio storico (4 ore);

- discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione (1 ora); - verifica sommativa (2 ore).

b) Scelta dei materiali

Le quattro lezioni preliminari sono state elaborate partendo dalla lettura delle pubblicazioni riportate nella bibliografia allegata a questo lavoro. È senza dubbio fondamentale l’opera di Françoise Bériac, Histoire des lépreux au Moyen Âge, ancora oggi studio di riferimento sul tema della lebbra nel Medioevo.

Per quanto concerne il laboratorio storico, gli studenti hanno lavorato su alcuni documenti scelti dal lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde. La scelta dei materiali, tradotti in italiano per l’occasione, ha voluto offrire agli studenti lo spunto per indagare e mettere in luce, attraverso un metodico lavoro di analisi delle fonti, una serie di elementi emersi nel corso delle lezioni preliminari, sviluppando ed approfondendo così il tema della segregazione dei lebbrosi.

c) Modalità didattiche

Nell’arco delle 14 ore dedicate a questo itinerario ho proposto agli studenti attività e modalità didattiche variate. Mentre nelle prime ore si è resa necessaria una presentazione più cattedratica degli argomenti, durante le lezioni successive gli alunni, appropriatisi degli strumenti e delle conoscenze di base indispensabili alla comprensione del tema, hanno potuto lavorare individualmente e, in occasione delle ore dedicate al laboratorio storico, in gruppi di tre o quattro. Tutti gli incontri sono stati animati con l’ausilio di dossier (distribuiti di volta in volta) e di presentazioni power-point, intese non come attività di copiatura da parte degli allievi, ma come ausilio per facilitare la presa di appunti. Nel corso di tutto l’itinerario non sono mancate le discussioni plenarie, importanti occasioni di confronto, chiarimento e dibattito. Infatti, pur

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concernendo un’epoca storica molto lontana, il tema della segregazione dei lebbrosi ha saputo fornire interessanti riferimenti con il presente: gli allievi si sono mostrati attenti osservatori ed interpreti dell’attualità, proponendo connessioni e confronti tra quanto studiato in aula e quanto vissuto o visto nel quotidiano.

Il laboratorio storico merita, da parte sua, qualche precisazione in più avendo richiesto un investimento importante di tempo ed energie da parte degli studenti (quattro ore-lezione in classe e una riunione al di fuori dell’orario scolastico). Le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere questa modalità didattica sono di triplice natura: didattica, pedagogica e storiografica.

Le motivazioni di natura didattica, come suggerisce Paolo Bernardi (2006), si prefiggono la progettazione di percorsi in grado di promuovere un sincero coinvolgimento ed una reale comprensione degli argomenti, evitando che questi scivolino nell’oblio nell’arco di poche settimane. Il fatto di lavorare ad un progetto comune in modo differenziato consente infatti ai ragazzi di dare un valore positivo alla relazione tra pari, promuovendo l’ascolto reciproco e svolgendo quindi un “attivo apprendistato alla democrazia” (Bernardi, 2006, p. 25). Le ragioni pedagogiche si fondano invece sul fatto che “ricerca e gruppo sono un binomio inseparabile che rivoluziona i processi cognitivi ed emotivi dell’apprendimento” (Bernardi, 2006, p. 26). Promuovere questo binomio, a mio avviso, è una strategia vincente sia per lo studente che per l’insegnante, permettendo un dialogo ed un confronto tra tutte gli attori in scena. Infine, per quanto concerne le motivazioni storiografiche, ritengo altamente formativo avvicinare gli alunni al lavoro che lo storico compie negli archivi, affinché questi possano progressivamente appropriarsi degli strumenti per acquisire un metodo rigoroso, promuovendo così un atteggiamento critico ed un miglior orientamento nella realtà.

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6. Presentazione delle attività

a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra3

Obiettivo della lezione: offrire agli studenti una panoramica generale delle conoscenze mediche nel Medioevo, al fine di poter comprendere in seguito le diagnosi di lebbra e la sintomatologia descritta nelle fonti.

La prima fase della lezione si propone di illustrare le principali caratteristiche della teoria umorale così com’è concepita nel mondo antico e sistematizzata da Galeno, ponendo l’accento sul fatto che ogni malessere fisico viene interpretato come uno squilibrio tra i diversi umori ed elementi. In questa fase introduttiva gli studenti si rendono immediatamente conto che le conoscenze della medicina medievale si basano essenzialmente su principi filosofici e non su fondamenti scientifici. La seconda parte della lezione offre una concisa lettura diacronica della storia della medicina. Pur trattandosi di una sintesi particolarmente succinta, emergono i punti fondamentali, quali l’eredità delle teorie antiche (in particolar modo di Ippocrate e Galeno), il ruolo primario giocato dalla diffusione dei testi arabi per la trasmissione dei testi antichi, la medicina conventuale dell’alto Medioevo e il lento sviluppo della medicina occidentale con l’avvento della scuola salernitana. La terza fase della lezione concentra l’attenzione sul morbo della lebbra. Dopo una presentazione delle conoscenze scientifiche attuali sulla malattia, gli studenti scoprono quali sono le

interpretazioni mediche medievali, di Oribasio di Pergamo4 prima e di Ali Abbas5 in seguito. In

questo modo è possibile identificare i quattro tipi di lebbra e gli umori ad essi connessi: elephantia (bile nera), tiria (flemma), leonina (bile gialla), vulpina (sangue). Infine, si esemplifica la sintomatologia affinché gli allievi siano poi in grado, durante il laboratorio, di riconoscere le principali caratteristiche della patologia.

La lezione si conclude con la presentazione di due figure professionali molto importanti nella diagnosi della malattia e nelle pratiche mediche sui malati: chirurghi e barbieri. Questo approfondimento è inserito nell’ottica di una migliore comprensione dei documenti che verranno analizzati in seguito nel laboratorio storico.

3

Vedere allegato 1.

4 Oribasio di Pergamo (325-403), è considerato uno dei medici più illustri della scuola bizantina. Dopo aver studiato ad

Alessandria, svolge la professione di medico ad Atene e nel 355 diventa medico personale dell'imperatore Giuliano l’Apostata. È stato un entusiasta promotore dell'opera di Galeno, considerandola fondamentale per il progresso della medicina.

5 Ali Abbas, vissuto nel X secolo, è considerato uno dei più grandi medici della cultura arabo-islamica del suo tempo. È

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Fonti iconografiche Salasso, illustrazione tratta dal Codex Schürstab, 1472; Lebbroso con la campanella, manoscritto del XIV secolo; Intervento di cauterizzazione anale, trattato di medicina, 1326; Trapanazione del cranio, miniatura, 1346.

Fonti scritte Bernard de Gourdon, medico francese del XIII secolo, Lilium Medicine.

Testi storiografici di riferimento

Bériac, F. (1998). A propos de la fin de la lèpre: XII – XV siècles. In A. Paravicini-Bagliani & F. Santi, The Regulation of Evil. Firenze: Micrologus’Library, pp. 159-173.

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Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions Imago.

Delort, R. (1972). La vie au Moyen Age. Lausanne: Edita S.A. Trad. it. La

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Moyen-Âge, Paris: Seuil. Trad. it. Il sano e il malato. Storia della cura del corpo dal Medioevo a oggi. Venezia: Marisilio, 1996.

b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima6

Si tratta di una lezione cruciale, infatti l’obiettivo è quello di rendere consapevoli gli studenti del complesso panorama interpretativo di cui bisogna tener conto quando si parla di lebbra nel Medioevo. Una complessità che evolve nel corso dei secoli e che porta progressivamente alla comparsa di una “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629).

Partendo dalle sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento), passando poi dai testi dei Padri della Chiesa alle opere agiografiche, gli studenti comprendono come il nesso tra la lebbra e il peccato originale assuma connotazioni vieppiù complesse, attraverso tentativi di categorizzazione e regolamentazione. Il passaggio al basso Medioevo porta ad un irrigidimento della percezione dei

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lebbrosi: gli allievi, concentrandosi sulle norme del Concilio Lateranense III (1179) e sui drammatici eventi del 1321, si rendono conto della progressiva marginalizzazione dei lebbrosi, segregati all’interno dei lazzaretti.

Fonti iconografiche San Martino bacia un lebbroso, miniatura, Vita Sancti Martini, XIV secolo.

Fonti scritte Vangelo di Luca 16,19-31;

Descrizione di un lebbroso soccorso da San Martino, Fortunato (vescovo di Poitiers), VI secolo:

Vita di San Martino di Tours (estratto), Venantius Honorius Clementianus Fortunatus, VI secolo;

Chronica del monastero di Santa Caterina (estratto), XIV secolo; Genealogia Comitum Flandrae.

Testi storiografici di riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions Imago.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale.

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Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.

c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati7

La terza lezione focalizza l’attenzione sulle norme introdotte dal Concilio Laterano III (1179) e IV (1215) e sulla rappresentazione iconografica dei malati. L’obiettivo è quello di comprendere le modalità con cui vengono erette barriere protettrici tangibili da parte della comunità sana, con il risultato di “aumentare le distanze psicologiche tra fedeli ed emarginati, e di esacerbare paure ed insicurezze” (Zaremska, 2003, p. 643).

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Gli studenti riflettono dapprima sui contenuti delle norme conciliari, quali le direttive per l’edificazione di lebbrosari, cimiteri e cappelle, o ancora le regole inerenti l’abbigliamento e i distintivi da mostrare alla comunità dei sani. In seguito, il docente illustra brevemente le caratteristiche dell’apparato assistenziale medievale e il ruolo egemonico della Chiesa nella gestione dei luoghi d’accoglienza (controllo economico e spirituale). L’ultima parte della lezione prevede l’analisi iconografica di due immagini raffiguranti i lebbrosi. Attraverso l’osservazione minuziosa del primo documento è possibile individuare alcuni elementi caratteristici della rappresentazione degli individui contagiati dal morbo, come il lungo mantello, il cappello, la bisaccia, la battola, le pustole e il bastone. I diversi elementi non sono ritratti casualmente ma riflettono precise e rigide regole di comportamento. Ad esempio, la battola dev’essere scossa e far rumore affinché i sani siano allertati del passaggio del malato e possano quindi allontanarsi. Il lungo mantello, dal canto suo, oltre ad impedire la vista di un corpo orrendamente mutilato, funge da filtro contro il contagio.

L’analisi della seconda immagine contenuta nel dossier permette invece di porre l’accento sull’allontanamento spaziale delle categorie neglette, in questo caso i lebbrosi e gli storpi. L’autore ha posto i due individui al di fuori delle mura: anche in questo caso si tratta di un’evidente barriera spaziale e psicologica.

Fonti iconografiche Cura dei lebbrosi, miniatura tratta da La Franceschina, codice del XV

secolo, Parigi;

Immagine di lebbroso, tratto dal Miroir territorial di Vincent de Beauvais, XIV secolo;

Il lebbroso e lo storpio, miniatura, Vincent de Beauvais, XIV secolo. Testi storiografici di

riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions Imago.

Berlioz, J. (2003). Flagelli. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 430-444.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale.J.

Le Goff, J. (1985). L’imaginaire médiéval, Paris: Gallimard. Trad. it.

L’immaginario medievale. Roma-Bari: Laterza, 2011.

Le Goff, J. (1994). L’homme médiéval, Paris: Seuil. Trad. it. L’uomo

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Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie.

Europe: Revue littéraire mensuelle, pp. 63-71.

Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.

d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario8

Questa lezione, di una sola ora, vuole mettere in luce i diversi momenti che caratterizzano l’entrata del lebbroso nel lazzaretto e i divieti a cui il malato deve sottostare. Anche in questo caso non ci si vuole limitare allo studio delle tecniche di allontanamento, bensì promuovere negli studenti una riflessione sulle implicazioni sociali e psicologiche del processo segregativo.

Grazie al lavoro di ricerca di Françoise Bériac è possibile ricostruire le diverse tappe di una cerimonia che ricalca, sia nella gestualità che nei contenuti, la liturgia funebre. Gli allievi, avendo già visto le norme sancite dai Concili del 1179 e del 1215, sono inoltre in grado di analizzare con cognizione di causa un regolamento del XV secolo contenuto nell’opera del 1736 De antiquis

ecclesie ritibus (in F. Bériac, 1988, pp. 193-194). Il documento è proposto agli allievi nella versione

originale: l’attività di traduzione collettiva e di commento offre interessanti spunti di riflessione, anche di natura etimologica, impossibili da proporre in una versione tradotta. Ad esempio, il termine ladre, che in italiano non assume il significato di lebbroso, deriva da la(z)aros. Questo consente agli allievi di stabilire riferimenti pertinenti con la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone (Vangelo di Luca, 16), analizzata precedentemente in classe.

Fonti scritte Martène E. (1736). De antiquis ecclesie ritibus (estratto). Vol. II: Anversa.

Testi storiografici di riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions Imago.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale.

Le Goff, J. (1963). La civilisation de l’Occident médiéval, Paris: B. Arthaud. Trad. it. La civiltà dell’Occidente medievale. Torino: Einaudi, 1999, pp. 345-346.

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e) Lezione 5: laboratorio storico9

L’attività di laboratorio, svolta in piccoli gruppi, è articolata su quattro ore di lavoro in aula e su alcuni momenti al di fuori dell’orario scolastico. L’obiettivo è quello di promuovere negli studenti il piacere dell’indagine e della scoperta seguendo un metodo di lavoro rigoroso.

L’attività è pensata partendo dal presupposto che “l’apprendimento della storia avviene attraverso le operazioni che lo stato dell’arte consente, con materiali e strumenti di tipo storiografico, considerando gli allievi e le allieve non passivi destinatari, ma costruttori di un percorso di storia” (Bernardi, 2006, p. 21). Per questa ragione, gli studenti sono chiamati a coordinarsi all’interno di un gruppo, a cui viene affidato un documento tradotto in italiano.

La prima parte della lezione introduce brevemente il contesto vodese e il lavoro di Piera Borradori,

Mourir au monde. In seguito vengono presentati i materiali e le modalità di analisi, ponendo come

fase conclusiva del lavoro la presentazione orale del documento e della sua indagine da parte di ogni gruppo.

I gruppi (stabiliti dal docente in accordo con gli studenti) ricevono i materiali seguenti: Gruppo 1: Losanna (1396) - Jean Giliet;

Gruppo 2: Assens (1406) - Christine Masseleir;

Gruppo 3: Colovray (1423) - Guillaume Quiblet e Aymara Sougay; Gruppo 4: Saint-Prex (1424) - Mermette Bulliod con la figlia; Gruppo 5: Colovray (1491) - Guillaume Alliod;

Gruppo 6: a) Constantine (1541) - rapporto del medico Claude Chastellet;

b) Yverdon (1520) - rifiuto da parte di alcuni appestati di accogliere una lebbrosa. I primi cinque documenti riguardano l’allontanamento degli individui sopracitati dalla comunità d’appartenenza. L’analisi prevede quindi la ricostruzione della vicenda personale del lebbroso, portando alla luce tutta una serie di elementi studiati nel corso delle settimane precedenti, quali la cerimonia di abbandono della comunità, la diagnosi da parte di chirurghi e barbieri, eccetera.

L’ultimo gruppo lavora invece su due documenti che offrono interessanti spunti di approfondimento e indagine. Il primo consente, attraverso le parole del medico Claude Chastellet, di comprendere in cosa consiste una diagnosi di lebbra e qual è la sintomatologia rilevata nei malati. Ciò porta gli studenti a fare le dovute relazioni con i principi della medicina medievale, in particolare con la teoria umorale. Il secondo documento mette in luce il caso di una lebbrosa rifiutata da alcuni malati di peste propter suum malum. Si tratta di un prezioso passaggio che porta gli allievi a comprovare e

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approfondire la particolare percezione della lebbra, in quanto malattia non solo del corpo ma anche dell’anima.

I gruppi sono quindi chiamati ad indagare i documenti con l’ausilio di una semplice tabella (in cui vanno riportati l’autore, la data, il luogo, gli attori sociali e il contenuto di massima) che funge da base su cui costruire l’analisi.

Ogni gruppo ha il compito di elaborare una presentazione di circa quindici minuti durante la quale si espone il documento analizzato e si ricostruisce la storia personale del protagonista. Trattandosi di un lavoro di quattro ore, in cui sono da includere le presentazioni, i gruppi sono invitati a ritrovarsi almeno una volta tra una lezione e l’altra per discutere i dettagli organizzativi (mappe concettuali da scrivere alla lavagna, schede da distribuire ai compagni, documenti power-point, eccetera).

Fonti scritte Documenti tratti e tradotti da P. Borradori, Mourir au monde:

- Losanna (1396); - Assens (1406); - Colovray(1423); - Saint-Prex (1424); - Colovray (1491); - Constantine (1541); - Yverdon (1520). Testi storiografici di riferimento

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale.

Coutaz G. (2013), Vaud in Dizionario storico della Svizzera, www.hls-dhs-dss.ch.

f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione10 L’obiettivo della lezione conclusiva si prefigge di riflettere con gli studenti sul percorso intrapreso, mettendo a fuoco alcuni punti nodali riguardanti la percezione e la rappresentazione dei lebbrosi nel Medioevo.

Una sintesi del percorso, coadiuvata dalla lettura (assegnata come compito a casa) Gli emarginati

nell’Occidente medievale, tratta dall’opera Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidentale di

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Jacques Le Goff (1983), stimola nei ragazzi una riflessione più generale sui concetti di marginalità ed esclusione. Al termine della discussione gli studenti sono ormai consapevoli del fatto che occuparsi di marginalità nel Medioevo significa riflettere sulle radici della nostra società, per poter indagare e comprendere così anche l’attualità. Rimando al capitolo conclusivo alcune considerazioni sulla chiusura ed il relativo bilancio dell’itinerario didattico.

g) Verifica sommativa11

Al termine dell’itinerario è possibile verificare negli studenti l’acquisizione degli obiettivi perseguiti nel corso delle lezioni.

La verifica sommativa, della durata di due ore, prevede tre fasi:

- riflessione argomentativa sulla lebbra intesa come malattia del corpo e dell’anima; - analisi iconografica di un’immagine di Vincent de Beauvais;

- analisi di una fonte scritta relativa al contesto del Pays de Vaud.

Attraverso questo lavoro si vuole verificare le capacità degli studenti di esporre in modo chiaro e adeguatamente argomentato i seguenti ambiti:

- ambiguità e complessità del panorama interpretativo connesso alla rappresentazione e alla percezione della malattia;

- riconoscimento e descrizione dei principali motivi iconografici rappresentanti i malati nel basso Medioevo;

- analisi di una fonte scritta, contestualizzazione storica e connessioni con gli approfondimenti visti in classe.

Commento alla verifica sommativa

I risultati ottenuti si sono rivelati più che soddisfacenti, infatti quasi tutti gli studenti hanno raggiunto gli obiettivi prefissati:

11 Vedere allegato 10. Testi storiografici di riferimento

Le Goff, J. (1979). Le marginaux dans l’Occident médiéval. Paris: U.G.E. Trad. it. Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale. Roma-Bari: Laterza, 1983.

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Figura 6.1: risultati della verifica sommativa

La correzione delle verifiche mi ha consentito di sondare l’effettiva comprensione degli argomenti trattati in classe da parte degli studenti. Parecchi allievi hanno saputo cogliere ed argomentare le complesse sfumature interpretative sulla lebbra e le principali caratteristiche del processo segregativo che portano alla reclusione dei malati nei lazzaretti. Nel capitolo in cui sono contenuti

gli allegati12 è possibile leggere alcune elaborazioni scritte degli studenti.

12 Vedere allegato 11. 0 1 2 3 4 5 6 7 3,5 3,75 4 4,25 4,5 4,75 5 5,25 5,5 Numero di studenti Vo to

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7. Conclusioni

Riflettere, progettare e costruire le differenti tappe di questo itinerario ha richiesto parecchio tempo e non poca fatica: entusiasmo e dubbi si sono alternati e combinati tra loro nel corso di tutte le fasi del lavoro, consentendomi tuttavia di ritrovare il piacere dell’indagine minuziosa, della problematizzazione, degli slanci alla ricerca di questo o quel dettaglio. L’insegnante, nella pratica quotidiana, rischia infatti di lasciarsi prendere nel vortice delle diverse scadenze, accantonando, almeno temporaneamente, quelle letture che hanno la capacità di stimolare e aprire la mente a nuovi orizzonti.

Proporre a ragazzi di sedici anni un itinerario didattico sui lebbrosi, individui emarginati e vituperati per secoli, mi ha consentito di promuovere alcuni aspetti a mio avviso vitali nell’insegnamento della storia e di riflettere sul mio percorso professionale.

Innanzi tutto credo che lo studio della storia medievale non sia un altrove indefinito, ma un passato reale e una possibile chiave di lettura del presente. Come scrive giustamente Guarracino (2006, p. 3), “[…] l’insegnamento non si limita alla storia contemporanea o a quella che in qualunque modo le è correlata o le fa da premessa, ma si estende anche a quel che è fortemente altro da noi e che dobbiamo sforzarci di comprendere nella sua storicità”. Promuovere negli allievi il senso storico e la percezione della storicità nella realtà è un compito cui nessun docente di storia dovrebbe sottrarsi: il rischio, altrimenti, è quello di un insegnamento pensato a compartimenti stagni, in cui ciò che è accaduto appartiene a una dimensione chiusa e avulsa da qualsiasi connessione con il presente. Studiare la lebbra nel Medioevo non è quindi un esercizio finalizzato ai tecnicismi della ricerca, bensì un’occasione per portare alla luce “questioni socialmente vive” (Heimberg, 2008) in grado di suscitare negli studenti un sincero interesse e coinvolgimento. Le modalità d’emarginazione e d’esclusione applicate ad individui ritenuti pericolosi per la comunità cristiana medievale non possono ad esempio esimersi dal portare tra i banchi di scuola le vicende di coloro che oggi vivono ai bordi del nostro presente, additati come pericolosi perché diversi.

L’aula scolastica, in questo senso, consente di sondare e affrontare le questioni sociali che “si formano in maniera latente e rischiano di riaffiorare a seconda delle circostanze. È proprio in queste circostanze che è più facile che gli studenti arrivino in classe con delle rappresentazioni e delle conoscenze costruite al di fuori del contesto scolastico” (Heimberg, 2008, p. 58). Un’occasione preziosissima, quindi, per smentire i pregiudizi e sviluppare uno spirito critico e consapevole. Ritengo che questo itinerario, seppur perfettibile e bisognoso di aggiustamenti, abbia comunque saputo intercettare la motivazione dei ragazzi, promuovendo in loro la consapevolezza che la scrupolosità e il rigore scientifico sono strumenti fondamentali e imprescindibili per la lettura del

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passato ed una miglior comprensione del presente. Il laboratorio storico, in particolare, ha favorito un lavoro dinamico, analitico e minuzioso. Come ricorda Verrastro (2009, p. 9) “ogni intervento didattico deve mirare a non svendere i contenuti specifici delle discipline (mediante semplificazioni o pericolose revisioni) ma partire dalla scoperta dello studente per giungere alle sue emozioni e ai suoi interessi […]”.

Il lavoro dello storico è quindi un’esigenza sociale e non un virtuosismo intellettuale ad appannaggio di pochi. Un’indagine rigorosa e onesta del passato, malgrado i “vorticosi processi di conoscenza che sempre meno inducono alla ricerca, alle analisi approfondite” (Verrastro, 2009, p. 7) deve essere difesa strenuamente. A questo proposito, Eric Hobsbawm giudica severamente le nostre generazioni (2006, pp. 14-15):

La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.

Gli sforzi didattici degli insegnanti di storia cercano costantemente di coniugare il sapere con le metodologie affinché le generazioni contemporanee si dimostrino meno prede del “presente permanente” e maggiormente consapevoli (e riconoscenti) delle eredità fornite dal passato. I docenti, attraverso percorsi didattici ragionati e scientificamente fondati, hanno la preziosa possibilità di favorire concretamente la crescita intellettuale ed emotiva degli studenti, futuri cittadini e attori del mondo.

Sarebbe certamente più comodo considerare ormai estinti comportamenti segregativi secolari: il rumore della battola non risuona più nelle vie dei quartieri, non si praticano funerali ai vivi o processi sommari per “corruzione dell’anima”, nessuno teme il contagio lungo la strada. Tuttavia, a ben guardare, questo Medioevo lontano non sembrerebbe esser svanito completamente nel nulla.

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8. Bibliografia

Volumi:

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions Imago.

Bériou, N. & Touati, F. O. (1991), Voluntate Dei Leprosus: les lépreux entre conversion et

exclusion aux XIIème et XIIIème siècles. Spoleto: Centro italiano di studi sull’alto medioevo.

Bernardi, P. (2006), Insegnare storia. Guida didattica al laboratorio storico. Torino: Utet. Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale. D’Orsi, A. (2002), Piccolo manuale di storiografia. Milano: Mondadori.

Ginzburg, C. (1989), Storia notturna. Torino: Einaudi.

Pasche, V. (1989), Pour le salut de mon âme. Lausanne: Cahiers lausannois d’histoire médiévale. Sergi, G. (2005), L’idea di Medioevo. Roma: Donzelli.

Verrastro, D. (2009), Ricerca e didattica tra prassi consolidate e nuovi approcci. Soveria Mannelli: Rubbettino.

Volumi tradotti:

Delort, R. (1972). La vie au Moyen Age. Lausanne: Edita S.A. Trad. it. La vita quotidiana nel

Medioevo. Roma-Bari: Laterza, 2006.

Hobsbawm, E. J. (1994). Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-1991. New York: Vintage Books. Trad. it. Il secolo breve. Milano: BUR, 2006.

Le Goff J. & Schmitt, J. C. (1999), Dictionnaire raisonné de l’Occiden médiéval. Paris: Fayard. Trad. it. Dizionario storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi.

Le Goff, J. (1963). La civilisation de l’Occident médiéval, Paris: B. Arthaud. Trad. it. La civiltà

dell’Occidente medievale. Torino: Einaudi, 1999.

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Saggi:

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Guarracino, S. (2006). Le questioni dell’insegnare storia. In P. Bernardi, Insegnare storia, Torino: Utet, pp. 3-7.

Le Goff, J. (1991). Dalla ricerca all’insegnamento: il caso del Medioevo. In A. Santoni-Rugiu,

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Articoli:

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storico ticinese, 137, pp. 147-160.

Heimberg, C. (2008). Le questioni socialmente vive e l’apprendimento della storia. Mundus, 1, pp. 53-61.

Pichon, G. (1984). Essai sur la lèpre du Haut Moyen Âge. Revue d’histoire et de philologie, 90, pp. 331-356.

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Histoire au présent, 13, pp. 25-30.

Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie. Europe: Revue littéraire

mensuelle, pp. 63-71.

Sergi, G. (2008). L’histoire et ceux qui la transmettent dans l’espace culturel. Le cartable de Clio,

8, pp. 92-95.

Touati, F. O. (1988). Histoire des maladies, histoire totale? L’exemple de la lèpre et de la société au Moyen Âge. Revue de l’Association Histoire au présent, 13, pp. 3-14.

Documenti:

Liceo cantonale di Lugano 1 (2003), Piano degli studi dell’Istituto.

Pagine Web:

Coutaz, G. (2013), Vaud in Dizionario storico della Svizzera, www.hls-dhs-dss.ch. Ministère de la culture et de la communication, www.culturecommunication.gouv.fr. Repubblica e Cantone Ticino (2008), Piano degli studi liceali, www.ti.ch/DECS. Università degli studi di Parma, www.itinerarimedievali.unipr.it.

(29)

9. Allegati

1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra 2) Malattia del corpo e dell’anima

3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati

4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani 5) Le fonti

6) Laboratorio storico 7) Documenti

8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti 9) Gli emarginati nell’Occidente medievale 10) Verifica sommativa

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  1  

 

La  medicina  nel  Medioevo  

 

 

 

 

 

               Allegato  1  

 

Nel  Medioevo,  il  concetto  di  salute  veniva  associato  a  quello  di  equilibrio  tra  gli  umori,   basato  sulla  dottrina  di  Ippocrate  e  Galeno,  secondo  cui  esisterebbero  quattro  qualità  e   quattro  umori,  rispettivamente  caldo,  secco,  freddo,  umido,  e  sangue,  flegma,  bile  gialla,  

bile  nera.  

Si  riteneva  che  l’organo  specifico  in  cui  risiede  ciascun  umore  fosse  il  fegato  per  il  sangue,   il  polmone  per  il  flemma,  la  cistifellea  per  la  bile  gialla  e  la  milza  per  la  bile  nera.  A  monte   di   questo   sistema   stava   la   dottrina   dei   “quattro   elementi”   :   fuoco,   aria,   terra   e   acqua,   connessi  alle  quattro  entità  cosmiche,  il  Sole,  il  Cielo,  la  Terra  e  il  Mare.  

Secondo   la   medicina   classica   e   medievale   il   principio   essenziale   del   corpo   umano   è   il   calore,  a  sua  volta  temperato  dal  freddo.  Nell’età  dell’uomo  e  nelle  stagioni,  tra  loro  in   reciproco   rapporto,   esisterebbe   una   netta   prevalenza   nel   complesso   equilibrata,   di   qualità,   per   cui   nell’adolescenza   (0-­‐30   anni   di   età)   e   nella   primavera,   prevale   il   caldo   e   l’umido,   nella   giovinezza   (30-­‐40   anni   di   età)   e   nella   estate   il   caldo   e   il   secco,   nella   vecchiaia,   sinonimo   di   maturità   (40-­‐60   anni)   e   nell’autunno   il   freddo   e   il   secco,   nella   decrepitezza  (dai  60  anni  in  su)  e  nell’inverno  il  freddo  e  l’umido.    

L’effetto  o  il  difetto  (disequilibrio)  di  raffreddamento  si  percuotono  sugli  umori  e  causano   la  malattia.    

 

“Il  corpo  ha  quattro  membra  principali:  il  cuore,  da  cui  escono  le  arterie;  il  cervello,  sede   dell’anima,  che  emette  dei  nervi  che  fanno  muovere  il  corpo;  il  fegati,  da  cui  provengono   le  vene;  e  gli  organi  genitali,  che  sono  al  servizio  della  specie.  L’anima  è  la  vita  dell’uomo;   creata  da  Dio  non  ha  fine,  e  la  sua  facoltà  di  distinguere  il  vero  dal  falso  altro  non  è  se  non   la  ragione,  che  ci  differenzia  dagli  altri  animali”.    

 

Robert  Delort,  Vita  quotidiana  nel  Medioevo,  p.  65.  

 

Partendo   dall’idea   in   base   alla   quale   la  

malattia   nasce   come   alterazione  

dell’equilibrio  tra  i  quattro  umori  essenziali,  i   medici   ritenevano   necessario   operare   interventi   che   ristabilissero   tale   equilibrio.   Dunque,   non   solo   c’era   un’attenzione   maniacale   a   ogni   fenomeno   di   espulsione   di   sostanza  organica,  ma  si  tendeva  a  provocare   l’emissione   di   liquidi   in   modo   artificiale,   sia   inducendo  il  vomito  sia  praticando  il  salasso.   Quest’ultima   pratica,   che   è   rimasta   in   voga   per   secoli,   era   ampiamente   utilizzata,   non   solo   durante   il   malanno,   ma   anche  

periodicamente,   come   strumento   di  

prevenzione   di   qualsiasi   alterazione   degli   umori.  

 

Salasso,  illustrazione  tratta  dal  Codex  Schürstab  (1472),  Zentralbibliothek,  Zurigo.  

   

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