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Assitenza domiciliare al paziente affetto da SLA - Tesi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

FOGGIA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E

CHIRURGICHE

Corso di Laurea in Infermieristica

Presidente: Prof.ssa Elena Ranieri

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TESI DI LAUREA SPERIMENTALE

“ASSISTENZA DOMICILIARE AL PAZIENTE

AFFETTO DA SLA. STANDARD

QUALITATIVI DELL’ASSISTENZA

INFERMIERISTICA”

Relatrice

Laureanda

Dott.ssa Carla Lara d’Errico Francesca Prisco

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Anno Accademico 2015/2016

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I LA PATOLOGIA

1.1 Definizione e descrizione della SLA 1.2 Incidenza e prevalenza

1.3 Eziologia 1.4 Sintomi

1.5 Esami diagnostici 1.6 Stadiazione della SLA 1.7 Trattamento

1.8 Progressione

CAPITOLO II VIVERE CON LA SLA

2.1 Vivere con la SLA 2.2 Percorso assistenziale 2.3 Le cure palliative

2.4 Disturbi correlati all’apparato respiratorio 2.5 Disturbi correlati all’apparato digerente 2.6 Problemi di comunicazione

2.7 Aspetto psicologico 2.8 Famiglia/caregiver

CAPITOLO III NORMATIVE DEI SERVIZI PER LA SLA

3.1 Linee guida Regione Puglia

3.2 Procedura per la dimissione ospedaliera protetta (DOP) “allegato D” 3.3 Normativa su ausili, protesi e ortesi

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3 3.5 Indennità economiche

3.6 Percorso richieste per l’organizzazione del Distretto

CAPITOLO IV LA GESTIONE TERRITORIALE DELLA PERSONA AFFETTA DA SLA: PROGETTO DI STUDIO 4.1 Introduzione 4.2 Obiettivi 4.3 Materiali e metodi 4.4 Obiettivo numero 1 4.5 Obiettivo numero 2 4.6 Obiettivo numero 3

4.7 Discussione degli obiettivi 4.8 Conclusione dello studio

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

ALLEGATO 1: INTERVISTA

ALLEGATO 2: SCHEDA PER LA STADIAZIONE DELLA SLA

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INTRODUZIONE

La SLA è una malattia degenerativa e porta alla completa perdita dell’autonomia risparmiando le funzioni cognitive. Solo nelle fasi iniziali della malattia le persone affette hanno la possibilità di accedere autonomamente alle strutture di riferimento. Col progredire dei deficit muscolari l’intervento a domicilio e l’assistenza sociale assume un ruolo centrale per l’aiuto alla persona nella quotidianità della propria vita infatti il trattamento si soffermerà sul miglioramento della qualità di vita, sulla riduzione delle complicanze, aumentare la sopravvivenza, migliorare lo stato funzionale e ridurre i tempi di ospedalizzazione.

L’obiettivo principale di questo lavoro di tesi sperimentale è quello di verificare il percorso di continuità assistenziale adottato per la gestione di persone con la SLA al fine di individuare i problemi e le criticità riguardanti la presa in carico, l’integrazione ospedale-territorio e i piani di assistenza individuale nelle persone affette da questa patologia.

Si è scelto di approfondire questa parte dell’assistenza perché, dall’esperienza in prima persona della dott.ssa d’Errico nel campo territoriale e della mia esperienza svolta durante il percorso di studi, si è rilevato come risulti difficoltoso garantire a queste persone la presa in carico globale, l’attuazione di dimissioni ospedaliere protette, la tempestività ma soprattutto la continuità assistenziale. La necessità di definire un nuovo e specifico percorso assistenziale deriva dal fatto che la patologia ha un forte impatto sociale, psicologico e sanitario infatti coinvolge numerose figure sanitarie in funzione della diagnosi precoce, della stadiazione, del trattamento sintomatico e dell’assistenza alla persona per garantire il miglioramento della qualità di vita. Tutto questo deve essere coordinato e gestito sul singolo caso da professionisti competenti sia ospedalieri che territoriali. Al fine di pervenire ad una procedura per la gestione della SLA in maniera omogenea e condivisa dalle varie parti, si è deciso di analizzare le fasi clinico - assistenziali ed organizzative attraverso:

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 La revisione delle leggi che disciplinano la presa in carico delle persone con SLA, la dimissione ospedaliera protetta, la fornitura di ausili/protesi/ortesi, l’indennità economiche e le agevolazioni;

 L’analisi sull’attuale procedura di dimissione protetta;

 L’analisi comparata dei piani di assistenza individuale sui pazienti affetti da SLA in carico nel distretto di San Marco in Lamis;

 La revisione di un caso specifico dalla dimissione ospedaliera alla presa in carico a domicilio.

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CAPITOLO I

LA PATOLOGIA

1.1 Definizione e descrizione della SLA

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), conosciuta anche come “ Morbo di Lou Gehrig “, “ malattia di Charcot” o “ malattia del motoneurone”, è una malattia neurovegetativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. Esistono due gruppi di motoneuroni; il primo ( primo motoneurone o motoneurone corticale ) si trova nella corteccia cerebrale e trasporta il segnale nervoso attraverso prolungamenti che dal cervello arrivano al midollo spinale. Il secondo ( 2° motoneurone ) è invece formato da cellule che trasportano il segnale dal tronco encefalico e dal midollo spinale ai muscoli. La SLA è caratterizzata dalla perdita dei motoneuroni inferiori del midollo spinale e del tronco encefalico e dalla perdita dei motoneuroni superiori che proiettano ai fasci corticospinali. Questi vanno incontro a degenerazione, muoiono e smettono di inviare messaggi ai muscoli. La morte di queste cellule avviene gradualmente nel corso di mesi o anche anni, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che per la sua sopravvivenza.

Esistono due forme principali di SLA:

 SLA tipica o comune;

 SLA in forma bulbare, che porta a degenerazione dei muscoli coinvolti nella masticazione e nella deglutizione.

1.2 Incidenza e prevalenza

L’ incidenza è di circa 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno, e la prevalenza è di circa 10 ogni 100.000 abitanti, nei paesi occidentali. Attualmente sono circa 6.000 i malati in Italia, colpisce gli uomini con una frequenza leggermente superiore rispetto alle donne e diventa clinicamente evidente nella quinta decade di vita o più tardi ( l’incidenza aumenta all’aumentare dell’età ). Mentre l’incidenza, cioè il

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numero di nuovi casi che vengono diagnosticati in un anno, rimane costante, aumenta la prevalenza, cioè il numero di persone che convivono con questa malattia in un determinato momento. Questo aumento è sostanzialmente dovuto al miglioramento dell’assistenza, al generale miglioramento delle condizioni di vita della persona malata, al cambiamento etico/culturale nei confronti delle proprie scelte di vita, di quotidianità. Pur essendo presenti aree in cui è stato riportato un eccesso di casi rispetto a quanto mediamente atteso non è associabile il presentarsi della malattia rispetto all’appartenenza di un’area geografica determinata. Dal 5 al 10% dei casi è a carattere familiare ( SLAf ), e nella maggior parte di essi si trasmette in modo autosomico dominante.

FONTE: www.aisla.it , numero stimato malati prevalenti per Regione/Numero stimato nuovi malati all’anno per Regione. Stime dati Eurals 2012

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8 1.3 Eziologia

Le cause della malattia sono sconosciute, anche se negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo sempre più importante alla genetica, come fattore predisponente, che unitamente ad altri fattori (ad esempio ambientali), può contribuire allo sviluppo della malattia. Si tratta quindi di una malattia multifattoriale; attualmente le ipotesi più accreditate per spiegare la degenerazione neuronale sono due: un danno di tipo eccito-tossico, dovuto da un eccesso di glutammato, e un danno di tipo ossidativo, dovuto ad uno squilibrio tra sostanze ossidanti e sostanze riducenti nel microambiente che circonda i motoneuroni colpiti. Mutazioni nel gene che produce la superossido dismutasi (nota anche come SOD1) erano associate con la SLA familiare.

Genetica molecolare. Un importante passo avanti verso una risposta della questione risale al 1993, quando alcuni scienziati scoprirono che quasi un quarto dei casi familiari di SLA sono causati da mutazioni nel gene che codifica per una superossido dismutasi legante rame-zinco ( SOD1 ) presente sul cromosoma 21. Questo enzima è un potente antiossidante che protegge il corpo dai danni causati dal superossido, un radicale libero tossico. I radicali liberi sono molecole altamente reattive prodotte dalle cellule nel corso del loro normale metabolismo; se tali molecole si accumulano danneggiano il DNA e le proteine presenti nelle cellule. Anche se non è ancora chiaro come questo porti alla degenerazione del motoneurone, i ricercatori ipotizzano che l’accumulo di radicali liberi possa essere fatta risalire al funzionamento difettoso di questo gene e che quindi la morte del motoneurone sia dovuta alla tossicità indotta dal SOD1. Nell’ambito di tutto il gene è stata identificata un’ampia gamma di mutazioni, quasi tutte mutazioni missense (sostituzione di una base nel filamento dell’acido nucleico che porta alla formazione di una proteina diversa da quella di partenza); la SLA sembra essere provocata da un fenotipo con acquisto di funzione sfavorevole associato alla SOD1 mutante. Una mutazione che comporta la sostituzione di un’alanina (amminoacido polare) con una valina (amminoacido apolare) nel residuo 4 è quella di più frequente osservazione negli Stati Uniti; essa si associa a decorso rapido, e soltanto in rari casi sono presenti segni di interessamento dei motoneuroni superiori. Sono stati mappati altri loci per la SLA, sebbene nessuno

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di essi sembra essere grande quanto quella correlata dall’espressione di SOD1. Tali loci mendeliani comprendono i geni che codificano per la dinactina (proteina coinvolta nel trasporto assonale retrogrado), per la proteina B associata a VAMP (coinvolta nella regolazione del trasporto vescicolare) e per l’alsina (che presenta dei domini per il fattore di scambio del nucleotide guanina ed è associata alla regolazione del traffico endosomiale mediante l’interazione con Rab5b).

Patogenesi. La patogenesi della SLA è ancora sconosciuta nonostante siano state già comprese numerose associazioni genetiche che unitamente ad altri fattori può contribuire allo sviluppo della malattia. Comunque è ormai accertato che la SLA non è dovuta ad una singola causa si tratta invece di una malattia multifattoriale, cioè determinata dal concorso di più cause.

 Predisposizione genetica: sono stati individuati ormai oltre 20 geni, le cui mutazioni sono coinvolte nello sviluppo della malattia. Tali mutazioni tuttavia sono state riscontrate anche in soggetti che nel corso della loro vita non hanno mai sviluppato la SLA per un fenomeno che viene denominato “penetrazione incompleta”. Questo significa che il ruolo delle mutazioni genetiche più note può essere considerato quello di contribuire allo sviluppo della malattia.

 Fattori tossico-ambientali: nell’ipotesi che esistessero diversi elementi (ad esempio metalli, pesticidi) in grado di portare a progressiva degenerazione sono stati effettuati moltissimi studi, a tutt’oggi non conclusivi.

La scoperta di mutazioni della SOD1 aveva inizialmente fatto ritenere che una ridotta detossificazione di radicali liberi (la funzione fisiologica della SOD) potesse rendere conto della morte neuronale che si osserva in corso di SLA. Tuttavia, tale ipotesi non è stata confermata e, attualmente, una tesi maggiormente accettata afferma che la proteina SOD1 mutata sia ripiegata in maniera anomala e sia capace di innescare una risposta lesiva nei confronti delle proteine non ripiegate. Anche la presenza di SOD1 mutata in cellule non nervose (gliali e muscolari lisce) potrebbe contribuire alla malattia. Alterazioni del trasporto assonale, anomalie dei neuro filamenti, tossicità mediata dagli aumentati livelli del neurotrasmettitore glutammato e l’aggregazione di altre proteine (come la

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TDP-43, a volte riscontrata nelle inclusioni citoplasmatiche dei neuroni in corso di SLA), sono state tutte suggerite quali possibili meccanismi che contribuiscono alla progressiva perdita dei motoneuroni. Nello specifico possiamo considerare come possibili meccanismi che causano la morte dei motoneuroni:

 Accumulo di proteine anomale all’interno della cellula: l’accumulo di proteine alterate all’interno del motoneurone contribuisce a portare la cellula a morte dovuto al danno provocato sui mitocondri con conseguenze sulla funzione cellulare. Nella maggior parte dei pazienti la proteina che si accumula è denominata TDP43 (sia nelle forme sporadiche che in alcune forme famigliari); nei pazienti portatori di mutazione del gene SOD1 la proteina anomale è la SOD1 (codificata dal gene alterato) e nei pazienti con mutazione del gene FUS è la proteina omonima.

 Meccanismi di eliminazione di proteine intracellulari: attraverso alcuni meccanismi di detersione della cellula, i motoneuroni eliminano i prodotti anomali (lisosomi, autofagia) nella SLA questi meccanismi potrebbero essere alterati.

 Infiammazione dei neuroni: oltre al motoneurone esiste una sofferenza delle cellule gliali, che si trovano in uno stato infiammatorio nocivo. È dibattuto se questo stato infiammatorio sia una concausa oppure una conseguenza del danno moto neuronale.

 Alterazione dei meccanismi di trasporto intraneuronale: alcune mutazioni genetiche rare codificano per proteine che sono implicate nel trasporto assonale (il trasporto di sostanze dal nucleo e periferia delle cellule).  Stress ossidativo: i danni dovuti ai radicali dell’ossigeno e ad altre

sostanze tossiche che si accumulano fisiologicamente all’interno della cellula, potrebbe portare alla morte di cellule limitate come i motoneuroni, con un processo simile all’invecchiamento fisiologico.  Alterazioni mitocondriali: il mitocondrio, responsabile della produzione

energetica della cellula, potrebbe essere coinvolto nei meccanismi che portano alla morte del motoneurone.

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 Carenza fattori di crescita: si tratta di sostanze, prodotte naturalmente dal nostro organismo, che aiutano la crescita dei nervi e che facilitano i contatti tra i motoneuroni e le cellule muscolari.

 Eccesso di glutammato: è una delle prime ipotesi formulate per giustificare la degenerazione dei motoneuroni. Il glutammato è un amminoacido ed è uno dei messaggeri chimici usato dalle cellule nervose come segnale chimico cioè come neurotrasmettitore; quando il suo tasso è elevato ne determina un’iperattività che può risultare nociva. Tutto ciò sembra che giochi un ruolo importante per la SLA. Il riluzolo, unico farmaco usato nella SLA, agisce riducendo l’azione del glutammato.  Causa autoimmune: alcuni studiosi ipotizzano che gli anticorpi possano

alterare direttamente o indirettamente la funzione dei motoneuroni, interferendo con la trasmissione dei segnali fra il cervello e i muscoli.

1.4 Sintomi

Caratteristiche cliniche. I primi segni della malattia compaiono quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti fino ad arrivare ad una progressiva perdita di forza muscolare, ma, nella maggior parte dei casi, con risparmio delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali, sfinteri urinari ed intestinali (anche se l’immobilità forzata e i problemi intestinali come la stitichezza richiede un idoneo trattamento), l’intelligenza, la memoria. Il controllo dei muscoli bulbari è la funzione conservata più a lungo. La SLA presenta una caratteristica che la rende particolarmente drammatica: pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi agli altri. La mente resta vigile ma prigioniera di un corpo che diventerà immobile. Occorre tuttavia precisare che in una minoranza dei casi, si possono avere alterazioni cognitive, per lo più di lieve entità, ma talora tali da configurare un quadro di demenza fronto-temporale. Questa forma di demenza è nettamente distinta dalla più frequente demenza di Alzheimer, in quanto si caratterizza prevalentemente per alterazioni del comportamento, piuttosto che compromissione di memoria o linguaggio. Questo è più comune tra i malati con una storia familiare di demenza. L’inizio della SLA può essere così subdolo che i

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sintomi vengono spesso trascurati. I sintomi precoci comprendono debolezza asimmetrica alle mani, che si manifesta con frequente cadute di oggetti e difficoltà nell’esecuzione dei movimenti fini, crampi e spasticità alle braccia e alle gambe; voce indistinta o tono nasale, con particolare difficoltà a pronunciare la lettera erre. Le parti del corpo interessate dai sintomi iniziali della SLA dipendono dai muscoli che per primi vengono colpiti. Circa il 75% presenta inizialmente sintomi ad un arto, acquisendone consapevolezza nel momento in cui si cammina o si corre, oppure una tendenza ad inciampare più spesso. Altri pazienti hanno difficoltà ad eseguire compiti semplici che richiedono destrezza o forza prettamente manuale, come abbottonare la camicia, scrivere o girare una chiave in una serratura. Con il progredire della malattia, il deficit di forza e di massa muscolare determina l’insorgenza di contrazioni involontarie di singole unità motorie, denominate fascicolazioni. Si può avere affanno anche nel compiere movimenti più semplici e gli sforzi più lievi. Segni del coinvolgimento del primo motoneurone sono il progressivo irrigidimento dei muscoli (spasticità) e la presenza di riflessi molto vivaci o di segni della via piramidale come il segno di Babinski e di Hoffmann. Segni di danno del secondo motoneurone sono la presenza di ipertrofia dei muscoli, fascicolazione (guizzi muscolari percepibili sotto cute), crampi muscolari, riduzione del tono muscolare, dei riflessi osseo tendinei e della forza. Il 15-45% dei pazienti sperimenta l’effetto pseudo bulbare conosciuto come labilità emotiva, che consiste in attacchi di riso incontrollabile o pianto. La malattia infine può coinvolgere i muscoli respirati, causando ricorrenti episodi di infezione polmonare. Il diaframma e i muscoli intercostali si indeboliscono progressivamente e così la capacità vitale e la pressione inspiratoria forzata diminuiscono. Nei pazienti con SLA bulbare si può verificare precocemente. La gravità del coinvolgimento dei motoneuroni superiori e inferiori è variabile; il termine atrofia muscolare progressiva si applica a quei rari casi in cui predomina il coinvolgimento del motoneurone inferiore. In alcuni pazienti, la degenerazione dei nuclei motori della parte inferiore del tronco encefalico si verifica precocemente e progredisce rapidamente, condizione conosciuta come paralisi bulbare progressiva o SLA bulbare. Circa il 25% dei casi di SLA sono ad esordio bulbare. I pazienti che mostrano tale sintomo notano inizialmente

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difficoltà nell’articolare parole e frasi (disartria), con un’evoluzione che porta fino alla perdita della comunicazione verbale. Può essere anche presente un problema di motilità delle corde vocali che determina a volte disfonia. Si associa anche una progressiva difficoltà ad ingoiare liquidi e/o solidi (disfagia). La lingua può presentarsi atrofica e con fascicolazioni. Spesso è presente un affaticamento dei muscoli della masticazione, che insieme alla disfagia è spesso responsabile di dimagrimento e malnutrizione. Sono quindi presenti disturbi della deglutizione della fonazione, con decorso clinico inesorabile in un periodo di uno due anni; quando il coinvolgimento bulbare è meno grave, circa la metà degli individui sopravvive a due anni dalla diagnosi. Benché sia stato ipotizzato che i motoneuroni innervanti i muscoli estrinseci dell’occhio vengano risparmiati dalla SLA, ora è chiaro che quando i pazienti sopravvivono a lungo queste cellule diventano sensibili al processo patologico. I casi familiari sviluppano i sintomi più precocemente rispetto ai casi sporadici, ma il decorso clinico è simile. Anche se la sequenza di comparsa dei sintomi emergenti e la velocità di progressione della malattia variano da persona a persona, alla fine i pazienti non sono quasi mai in grado di stare in piedi o camminare, sdraiarsi o utilizzare utensili, difficoltà a deglutire e masticare, compromettendo l’alimentazione, aumenta quindi il rischi di ab-ingestis e di malnutrizione.

1.5 Esami diagnostici

Morfologia. All’esame macroscopico, le radici anteriori del midollo spinale risultano assottigliate. Il giro precentrale può essere atrofico, soprattutto nei casi più severi. L’esame microscopico mostra una riduzione del numero dei neuroni delle corna anteriori lungo tutto il midollo spinale con associata gliosi reattiva e perdita delle fibre mieliniche delle radici anteriori. Alterazioni simili nei nuclei dei nervi cranici ipoglosso, ambiguo e motorio del trigemino. I neuroni rimanenti spesso contengono inclusioni citoplasmatiche PAS-positive, chiamate corpi di Bunina, che sembrano essere i residui di vacuoli autofagici. La muscolatura scheletrica innervata dai motoneuroni inferiori degenerati mostra atrofia neurogena. La perdita dei motoneuroni superiori comporta una degenerazione dei fasci corticospinali, determina perdita di volume e assenza delle fibre mieliniche,

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che può essere particolarmente evidente in corrispondenza dei livelli segmentari inferiori.

Diagnosi. La SLA è una malattia difficile da diagnosticare. Oggi non esiste alcun test o procedura per confermare senza alcun dubbio la diagnosi di SLA. È attraverso un attento esame clinico, ripetuto nel tempo da parte di un neurologo esperto, ed una serie di esami diagnostici, per escludere altre patologie, che emerge la diagnosi. Per essere diagnosticata come SLA i pazienti devono mostrare segni e sintomi di danno sia al primo che al secondo motoneurone, senza che essi possano essere attribuiti ad altre cause. Può essere utile, per la conferma della diagnosi, il supporto di un secondo parere specialistico. La SLA in genere progredisce lentamente e la gravità può variare molto da un paziente all’altro. Compito del medico di famiglia è quello di sospettare la SLA fin dai primi sintomi e di indirizzare subito il paziente al neurologo. Spesso al termine degli esami iniziali (tabella 1) sarà possibile solo formulare una diagnosi provvisoria, saranno state escluse alcune patologie, ma per giungere al responso definitivo occorrerà aspettare e valutare l’andamento della malattia nel tempo (tabella 2). L’incertezza, quindi, potrebbe protrarsi per diversi mesi, con conseguenze pesanti sullo stato d’animo del malato. Se la diagnosi fosse incerta o promissoria, chiedere nel frattempo al proprio neurologo di indicare un collega esperto di SLA cui rivolgersi con la documentazione clinica per avere un secondo parere. Non esiste un singolo test che fornisca una diagnosi definitiva di SLA, benché la combinazione di esami che attestino danni al primo e al secondo motoneurone sia fortemente indicativa. Uno di questi è l’elettromiografia una tecnica che rileva l’attività elettrica provocata o spontanea nei muscoli, dove in caso di SLA ci sarà una conduzione normale anche in presenza di atrofia muscolare, questo ci permette di escludere delle neuropatie motorie, nelle quali la velocità di conduzione è ridotta. Per escludere altre malattie di solito il neurologo richiede risonanza magnetica RM, dove appaiono al computer sezioni del cervello e midollo spinale secondo differenti piani. Di solito nei pazienti con SLA le scansioni sono normali o mostrano minime alterazioni dei fasci piramidali.

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Dal 2006 sono disponibili sperimentalmente marcatori biologici per la diagnosi di SLA ed hanno oltre il 90% di accuratezza. Questi marcatori sono tre proteine presenti nel liquor cefalorachidiano che nei pazienti con SLA hanno una concentrazione significativamente inferiori. Con le procedure attuali si fa diagnosi in circa 12 mesi ma i marcatori potrebbero aiutarci a fare diagnosi precoce e permettere ai pazienti di avere un trattamento tempestivo.

1.6 Stadiazione della SLA

La definizione di livelli di riferimento nel decorso della patologia risponde ad un’esigenza di razionalizzazione degli interventi assistenziali. Data la complessità dei sintomi connessi alla patologia, occorre evidenziare le quattro aree principali entro cui vanno concentrati gli interventi e identificare le possibili fisionomie di livello riscontrate nel combinarsi della sintomatologia. I livelli in tal modo definiti costituiscono un mero riferimento a fronte di un intervento che richiede sempre e comunque un’analisi dei bisogni della persona e del suo nucleo familiare, oltre ad un’attenta pianificazione degli interventi assistenziali che vanno individualizzati e sottoposti a frequenti aggiornamenti e rimodulazioni. Le aree si riferiscono alle capacità di ciascun paziente di muoversi, di respirare, di nutrirsi e di comunicare; poiché esistono numerosissime combinazioni possibili, si è scelto di studiare la malattia in riferimento all’ingravescenza dei sintomi respiratori, associando ad essi le altre difficoltà che si presentano del corso del tempo. La combinazione delle quattro aree ha identificato i quattro stadi dal meno critico A al più complesso D. Occorre tener presente che questi sono abbastanza flessibili data la particolare natura dinamica dei sintomi. Non esiste, infatti, una successione certa dei sintomi che coinvolgono tutte e quattro le aree. Il discrimine dato dal fattore R (respirazione) è stato adottato oltre che per il motivo evidente che ad esso si collega la sopravvivenza del paziente, anche dal fatto che la malattia si presenta con esiti altamente variabili (spinale, bulbare): molti sono i casi in cui la malattia insorge direttamente con difficoltà respiratorie, lasciando intatte per un lungo periodo la capacità di alimentarsi, di muoversi e di comunicare. Di fronte a una così grande variabilità di esordio, sintomi ma anche di progressione la stadiazione è stata articolata in modo tale da poter contemplare la quasi totalità delle

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combinazioni possibili e anche quando la combinazione dei sintomi non rientra in uno stadio, il criterio da considerare come prioritario è dato dal fattore R.

AREE DI BISOGNO

Respirazione R

0. Normale

1. Insufficienza restrittiva lieve (70%<CV<80%)

2. Insufficienza restrittiva con indicazione alla NIV notturna (50%<CV<70%)

3. NIV con necessità ventilazione notturna e diurna (12-18h)

4. NIV/tracheostomia con dipendenza totale dalla ventilazione meccanica (24/h)1

Motricità M

0. Normale

1. Difficoltà motorie che non interferiscono con lo stile di vita

2. Difficoltà motorie che interferiscono con lo stile di vita ma non compromettono l’autonomia

3. Difficoltà che compromettono l’autonomia senza necessità di assistenza continuativa

4. Disabilità severa, dipendenza totale con necessità di assistenza continuativa

Nutrizione N

0. Alimentazione naturale

1. Alimentazione che necessità di indicazioni nutrizionali

2. Alimentazione che necessita di supplementazione nutrizionale 3. Alimentazione artificiale

Comunicazione C

0. Normale

1. Eloquio disartrico (difficoltà nell’articolazione), ma comprensibile 2. Anartria con possibilità di usare comunicatori semplici

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3. Anartria con possibilità di usare comunicatori ad alta tecnologia 4. Anartria senza possibilità di usare comunicatori ad alta tecnologia

STADI A B C D R 0-1 2 3 4 M 0-1-2 2-3 2-3 2-3 N 0-1-2 2-3 3-4 4 C 0-1-2 0-1-2-3 1-2-3 3-4 1.7 Trattamento

Al momento non esiste una terapia capace di guarire la SLA; l’unico farmaco approvato è il riluzolo, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia intervenendo sul metabolismo del glutammato riducendone la disponibilità a livello delle sinapsi neuronali. Purtroppo questo farmaco rallenta solo la progressione della malattia senza intervenire sui danni già presenti senza migliorare il quadro clinico ed ha scarsi effetti sul decorso. Generalmente viene prescritto anche nei casi di sospettata SLA. La terapia da attuare deve coinvolgere diversi specialisti: neurologo, pneumologo, fisioterapista, psicologo, gastroenterologo, dietologo, infermiere, logopedista. Esistono anche altri farmaci per ridurre i sintomi come la fatica, crampi muscolari, saliva in eccesso, catarro, dolore, stipsi, depressione, problemi di sonno ed ausili per migliorare l’autonomia personale, il movimento e la comunicazione; è possibile intervenire per migliorare la denutrizione e per aiutare il paziente a respirare. Il team fornisce un piano individuale con terapie mediche e fisiche che dovranno essere rivalutate ogni trimestre o comunque sulla base del decorso della malattia. Negli ultimi anni le ricerche si sono moltiplicate e la speranza di trovare presto un rimedio definitivo si è fatta più concreta. Inevitabilmente la SLA comporta dei cambiamenti nello stile di vita di tutti i componenti della famiglia, ma attraverso una adeguata e corretta presa in carico, l’utilizzo di alcuni ausili tecnologici ed una completa ed

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esaustiva informazione, è possibile mantenere in ognuno una qualità di vita degna di questo nome.

1.8 Progressione

La SLA in genere progredisce lentamente e, se ben curata, consente una qualità di vita accettabile. La gravità può variare molto da un paziente all’altro, perché diversi possono essere i muscoli colpiti, la velocità del peggioramento e l’entità della paralisi. Le aspettative di vita possono variare dai 3 ai 10 anni dal manifestarsi dei primi sintomi. Nel singolo malato l’evoluzione può essere valutata solo attraverso il controllo neurologico periodico (ogni 2-3 mesi). È comunque necessario essere molto cauti nelle previsioni. In genere si osserva una progressiva perdita delle capacità di movimento, che può arrivare alla completa immobilità. Anche la masticazione, la deglutizione e la capacità di parlare possono essere compromesse. Gradualmente si manifesta nel soggetto la paralisi respiratoria, cui si può ovviare solo ricorrendo alla ventilazione meccanica. Anche nelle fasi più avanzate la malattia colpisce soltanto il sistema motorio e risparmia tutte le altre funzioni neurologiche.

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CAPITOLO II

VIVERE CON LA SLA

2.1 Vivere con la SLA

La SLA è una malattia cronica che modifica profondamente la vita. Chi ne è colpito non potrà fronteggiarla da solo: avrà bisogno degli altri per muoversi, per mangiare, per comunicare, per respirare. Normalmente questi bisogni primari non pesano sulla relazione tra persone adulte, sane e indipendenti. La SLA, però, comporta un cambiamento: la famiglia, gli amici, i colleghi, gli infermieri, i medici, lo psicologo, il personale di assistenza possono diventare risorse preziose per aiutare chi ne è colpito a superare gli ostacoli che la malattia comporta. Insieme agli altri sarà più facile trovare le cure e gli ausili capaci di ridurre i sintomi e fargli conservare la maggior autonomia possibile. Vivere con la SLA è difficile richiede una grande capacità di accettare il cambiamento, di affrontare le difficoltà che si incontrano, di guardare con coraggio e fiducia alla possibilità di mantenere uno spazio di autonomia personale anche quando aumenta la dipendenza. Avranno bisogno di un’assistenza continua; da non sottovalutare l’altissimo impatto sociale che investe tutta la famiglia, la maggior parte dei pazienti viene colpita nel pieno della loro attività lavorativa e affettiva. Si deve anche pensare a riadattare la casa alle esigenze del paziente; l’impatto psicologico è molto forte per l’incapacità di comunicare a voce o a gesti i propri bisogni e desideri. Purtroppo nel nostro Paese l’offerta di cure appropriate è ancora largamente insufficiente, i pazienti con la SLA che riescono a usufruirne sono una minoranza. Troppo spesso dopo la diagnosi prevale un clima di sfiduciato disimpegno e di rinuncia terapeutica. I pazienti e i loro familiari sono poco e male informati; non conoscendo la malattia non possono contrastarne gli effetti negativi. D’altra parte intervenire in modo appropriato e tempestivo è molto difficile. Sono necessarie competenze specifiche e diverse nell’equipe che può essere costituita dal medico di medicina generale, neurologo, neurofisiologo, fisiatra, pneumologo, rianimatore, gastroenterologo, psicologo, infermieri particolarmente informati, dietista, ortofonista, fisioterapista, personale d’assistenza e assistente sociale. In Italia gruppi di questo tipo sono rari ma ci

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dimostrano come sia possibile agire sulla malattia e migliorare la qualità di vita del paziente e dei suoi famigliari. Il paziente dovrebbe essere assistito presso la propria abitazione. Questo richiederebbe progetti finalizzati a rimuovere ostacoli culturali e strutturali quali la separazione tra servizi ospedalieri e cure domiciliari. Una maggiore conoscenza della SLA e delle sue problematiche socio-assistenziali rappresenta il primo passo per tutelare il diritto alla cura del malato.

2.2 Percorso assistenziale

La costruzione di percorsi assistenziali deve prevedere la possibilità di una presa in carico da parte del Servizio Sanitario Regionale condivisa e garantita dai centri di riferimento, dalla rete dei satelliti e dal sistema d’urgenza ed emergenza, da un’assistenza territoriale globale, che si estende dall’assistenza domiciliare alle cure intermedie (RSA, lungodegenza, Hospice). Il trattamento consiste essenzialmente nell’attivazione di piani riabilitativi individualizzati e adeguati alla fase della malattia, che contemplino non soltanto obiettivi di tipo sanitario, quali il contenimento della disabilità, ma anche di tipo sociale, favorendo quelle azioni che garantiscano al paziente la partecipazione alla vita sociale e una minore restrizione operativa a prescindere dalla gravità della menomazione. Nello specifico, gli scopi principali della riabilitazione del malato di SLA sono: limitare i danni secondari dovuti alla perdita delle funzioni motorie, attraverso l’esecuzione quotidiana di esercizi di mobilizzazione attiva e passiva (nel momento in cui la debolezza muscolare non permette più l’esecuzione degli esercizi in autonomia) per mantenere mobili le articolazioni e per preservare quanto possibile l’elasticità dei tendini e dei muscoli; educare i pazienti ad una corretta assistenza; consigliare strategie ed ausili per preservare il più possibile l‟autonomia. Con il termine ausilio si fa riferimento a tutto ciò che serve a supportare quelle attività che altrimenti sarebbero impossibili o molto difficili da eseguire. Esistono, infatti, ausili idonei per ovviare ai diversi problemi causati dalla malattia, strumenti in grado di sostituire in parte le abilità perdute; la loro scelta deve essere preceduta da un’attenta analisi delle esigenze e dei bisogni individuali. Gli ausili motori sono i più noti: deambulatori, carrozzelle, sollevatori, che restituiscono ai pazienti una certa capacità di muoversi nello spazio e ai caregiver un valido aiuto negli spostamenti del proprio caro. Accanto a

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questi esistono tutta una serie di tecniche e strumenti per la comunicazione: tavole alfabetiche, comunicatori tramite tastiera, o dotati di sintetizzatori vocali, sono tutti strumenti in grado di apportare numerosi vantaggi alla vita relazionale del paziente che, attraverso il recupero della capacità comunicativa verbale può continuare a partecipare alla vita familiare e sociale e a intervenire in prima persona nelle discussioni e scelte mediche che lo riguardano incrementando il suo senso di indipendenza e di autoefficacia. Quindi i principi ispiratori nel trattamento della SLA saranno: approccio multidisciplinare, rispetto del principio di autonomia del paziente, tempestività degli interventi, facilitazione dell’accesso ai servizi, aiuto all’utilizzazione dei servizi disponibili, formazione e informazione dei pazienti e della famiglia/caregiver e miglioramento della qualità di vita.

2.3 Le cure palliative

Punto di partenza per la costruzione di un adeguato percorso assistenziale sono le cure palliative per malattie neurodegenerative a prognosi infausta qual è la SLA. Bisogna sottolineare che le cure palliative non sono ristrette né al puro trattamento sintomatico né alla solo fase terminale della malattia; si tratta di un approccio multidisciplinare che inizia dal momento in cui la diagnosi viene comunicata e prosegue per tutta la durata della malattia fino al momento del lutto. Le cure palliative non coinvolgono solo il medico ma anche un gran numero di figure professionali diverse e naturalmente i membri della famiglia, per i quali prendersi cura dell’ammalato diventa spesso un lavoro a tempo pieno. Il termine palliative deriva dal vocabolo latino “pallium” che significa mantello, indumento usato per coprire e proteggere la persona. Intercalato nell’ambito della medicina, questo termine sta a significare tutte quelle iniziative che tendono a proteggere il malato inguaribile dalle sofferenze cui l’evolversi della malattia lo va sottoponendo. La medicina palliativa studia e applica le migliori modalità di cura, quando le terapie non sono più in grado di interrompere il procedere della malattia verso la morte. Il campo di applicazione delle cure palliative si è notevolmente ampliato recentemente, fino a comprendere, nell’ultima definizione dell’OMS: “ogni forma di assistenza attiva dei pazienti la cui malattia non risponde al trattamento curativo, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro famigliari”

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(anno 2002). Quindi se prima tale medicina veniva applicata solo a pazienti terminali, ora viene applicata a persone con patologie croniche degenerative come la SLA. Gli obiettivi principali delle cure palliative sono:

 Alleviare il dolore e gli altri sintomi disturbanti;

 Integrare gli aspetti psicologici e spirituali nella cura del malato rispettandone la soggettività;

 Promuovere la partecipazione attiva alle cure e la capacità di scelta autonoma del malato;

 Offrire al malato gli ausili più idonei a ridurre la disabilità;

 Offrire alla famiglia un sostegno per affrontare la malattia e il lutto;

 Affermare la vita e considerare il morire come un processo naturale a compimento della vita;

 Non affrettare, né posporre la morte.

Quindi, le cure palliative oltre ad alleviare la sofferenza fisica, promuovono globalmente la qualità di vita della persona malata i cui bisogni non sono solo di ordine medico ma comprendono l’ambito famigliare, sociale, lavorativo e spirituale. Porre la qualità di vita e i bisogni della persona, e non la sua malattia, al centro del programma di cura implica necessariamente che la soggettività del malato diventi la prima preoccupazione dell’equipe curante, riducendo la sua sofferenza e supportando anche la famiglia nell’assistenza. Per il paziente con SLA, le cure palliative comprendono:

 Trattamento sintomatico, ovvero l'utilizzo di farmaci in grado di curare i sintomi che gradualmente si presentano come la spasticità, i crampi muscolari, la depressione, i disturbi del sonno, la scialorrea, la stipsi e la dispnea, e nel prevenire le complicanze dell'immobilità (lesioni da decubito, dolori articolari, retrazioni..) e le infezioni polmonari.

 L'intervento nutrizionale attraverso integratori alimentari e alla nutrizione enterale attraverso gastrostomia. Riguardo la disfagia, con conseguente denutrizione e rischio di complicazioni polmonari da aspirazione di cibo nelle vie aeree, si è cercato di ricorrere tempestivamente all'adozione di

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provvedimenti atti a garantire un apporto nutrizionale sufficiente, quando l'assunzione di cibo per bocca diveniva problematica, tanto da causare sofferenza e stress sia al paziente che ai familiari.

 Riabilitazione, i cui principali scopi sono limitare i danni secondari dovuti all'immobilità, attraverso la chinesiterapia che comprende tutte quelle manovre di mobilizzazione articolare e di allungamento muscolare; consigliare l'adozione di ausili (strumenti per vivere meglio) idonei a sopperire alla menomazione motoria e alla difficoltà di comunicazione (per esempio, ortesi per il sostegno del capo e per la caduta del piede, utensili modificati, apparecchiature elettromeccaniche per il movimento e il controllo ambientale, tabelle alfabetiche, sintetizzatori vocali), e quindi atti a mantenere il più possibile l'autonomia; addestramento di familiari, amici e volontari alla corretta assistenza.

 La ventilazione artificiale per supportare o sostituire una delle funzioni vitali che la patologia compromette, ovvero la respirazione.

2.4 Disturbi correlati all’apparato respiratorio

La SLA coinvolge in maniera progressiva i muscoli della respirazione rendendo necessario prima sostenere poi supplire la loro funzione. I sintomi iniziali possono essere minimi, mascherati inoltre da una globale debolezza muscolare e dalla conseguente riduzione dell’attività motoria. Fondamentale è capire quali sono i sintomi presenti come dispnea, che insorge raramente in maniera acuta spesso manifestandosi durante uno sforzo fisico o durante il sonno, maggiormente quando il paziente assume il decubito supino, ortopnea, tosse al risveglio, affaticabilità, sonnolenza diurna, insonnia, cefalea mattutina, incubi notturni, riduzione delle prestazioni intellettuali. Per la compromissione dei muscoli respiratori ad innervazione bulbare compare respiro stertoroso e russante e chiusura delle prime vie aeree. La debolezza muscolare respiratoria legata al deficit della forza contrattile dei muscoli respiratori può determinare un’inefficiente ventilazione alveolare con conseguenti: cefalea mattutina, disturbi del sonno, con presenza di apnee centrali ed ostruttive, e frequenti episodi di ipopnee, maggiormente evidenti durante il sonno REM, fame d’aria, ipossiemia.

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Progressivamente si evidenzia un deficit di tipo restrittivo della funzione ventilatoria, con incapacità dei muscoli respiratori di generare una pressione intratoracica negativa. Le alterazioni respiratorie nella SLA coinvolgono: la funzione polmonare con alterazione della funzione contrattile dei muscoli respiratori, secondaria all’interessamento neurologico; la presenza di zone atelettasiche che riducono la compliance polmonare con evidenza funzionale di un deficit restrittivo; ricorrenti episodi di aspirazione con conseguente ostruzione delle vie aeree superiori (polmoniti acute); incapacità a produrre una tosse efficace e l’inefficiente clearance muco-ciliare. Gli interventi saranno volti a migliorare la funzione respiratoria e sono: ginnastica respiratoria, colpo di tosse indotto, ventilazione non invasiva, ventilazione mediante tracheostomia. L’inefficacia della tosse, infatti, e il conseguentemente accumulo di secrezioni, il progressivo indebolimento dei muscoli respiratori e la paralisi bulbare sono i meccanismi fondamentali con cui si realizza l’insufficienza respiratoria, la cui evoluzione può essere più o meno rapida e, quindi, al fine di diagnosticare il più precocemente possibile la comparsa di un’incapacità ventilatoria, i pazienti devono essere sottoposti periodicamente ad un continuo monitoraggio. L’insorgenza dell’insufficienza respiratoria segna l’inizio della fase di maggiore criticità sul piano assistenziale; che si aggrava in modo esponenziale soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, quando si presenta in forma ipossiemica-ipercapnica. La prima forma può essere gestita a livello domiciliare attraverso un programma di ossigeno terapia a lungo termine. La comparsa dell’ipercapnia contrassegna, invece, una fase di accelerazione esponenziale dei livelli di criticità assistenziale; in questa fase, infatti, il trattamento, sulla base di precisi criteri funzionali, si basa sul ricorso alla ventilazione meccanica non invasiva; poi, quando questa modalità risulta inefficace, diventa indispensabile l’esecuzione di una tracheostomia attraverso cui verrà eseguita la ventilazione. Oltre all’insufficienza respiratoria il problema maggiormente riscontrato è la polmonite da aspirazione favorita dall’abolizione del meccanismo della tosse, dell’azione muco-ciliare, dalla disfagia e dall’eventuale presenza di sondino naso-gastrico. L’infezione è provocata dall’impedimento alla espulsione di materiale salivare e particelle alimentari contenenti una discreta quantità della flora batterica orale costituita per

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lo più da batteri anaerobi, sia gram positivi sia gram negativi. Sul piano clinico si presenta in maniera del tutto simile alla comune polmonite alveolare, se si eccettua la produzione di un escreato dall’aspetto putrido e dall’odore fetido. Per valutare la funzionalità polmonare vi sono esami specifici come la prova di funzionalità respiratoria, serve per valutare la forza dei muscoli respiratori e se i polmoni funzionano misurando la capacità vitale. Altri esami sono l’EGA (emogasanalisi), che valuta l’ossigeno e l’anidrite carbonica a livello arterioso, e la saturimetria notturna che aiuta a capire se durante la notte c’è un calo della saturazione dell’ossigeno e alterazione del ritmo cardiaco. L’apparto respiratorio oltre all’apporto di ossigeno ha un ruolo di drenaggio delle secrezioni. Nella SLA invece si avrà una diminuzione della mobilità della gabbia toracica e rischio di accumulo secrezioni, quindi, si rende necessario una fisioterapia respiratoria con l’utilizzo della macchina per la tosse, che mobilizza le secrezioni e ne facilita la risalita e l’espulsione autonoma da parte del paziente (stimola il riflesso della tosse se ancora eccitabile) o attraverso l’aspiratore. Gli obiettivi sono: limitare il deterioramento della funzionalità polmonare e prevenire le infezioni respiratorie. Gli interventi che vengono effettuati mirano quindi ad aiutare i meccanismi fisiologici di pulizia delle vie respiratorie favorendo il drenaggio del muco e la disostruzione delle vie respiratorie, ad espandere di nuovo zone atelettasiche (collassate), migliorare la distribuzione dell’aria inspirata, mantenere la mobilità della gabbia toracica.

2.5 Disturbi correlati all’apparato digerente

Con il progredire della SLA i malati hanno sempre maggiori difficoltà ad alimentarsi e a deglutire. Studi recenti suggeriscono che la perdita di massa corporea potrebbe accelerare il decorso della malattia. Per questo fin dalla diagnosi il malato va sottoposto ad una valutazione nutrizionale ed un periodico follow-up che preveda il monitoraggio dello stato metabolico nutrizionale e l’adeguamento della terapia nutrizionale alle condizioni cliniche ed al grado di disfagia che è uno degli indicatori di progressione della malattia. Senza soluzione di continuità, il malato dovrebbe ricevere la prescrizione di una dieta per bocca regolare, oppure modificata con addensanti utilizzati per aumentare la consistenza dei cibi, o bevande gelificate, oppure integrata con integratori nutrizionali.

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Quando i pazienti avranno l’impossibilità completa di alimentarsi per bocca la nutrizione avverrà alternativamente con l’uso di sondino naso-gastrico e poi con l‟intervento di Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG). La somministrazione degli alimenti può essere intermittente, attraverso la tecnica “gavage”, cioè somministrazione attraverso una siringa da 50cc, o continua, attraverso la pompa. Grazie alla PEG il paziente assumerà una dieta bilanciata per quantità di calorie e principi nutritivi e verranno somministrati anche farmaci che dovranno essere assunti per via orale.

2.6 Problemi di comunicazione

Uno degli aspetti maggiormente devastanti nella condizione della vita del malato di SLA è quello rappresentato dalla progressiva perdita della capacità di comunicare con i propri familiari e col mondo esterno. Durante la sua progressione, priva la persona della capacità di comunicare e di interagire con l'ambiente circostante. Questo è dovuto al fatto che l'indebolimento generale della muscolatura, per lesione dei motoneuroni, si riflette sulla possibilità di parlare come anche su quella di scrivere semplicemente con carta e penna o attraverso la testiera di un PC. Gli Ausili per la Comunicazione stabiliscono un canale comunicativo tra il paziente e il mondo circostante (caregiver, familiari, amici vicini e lontani) utilizzando vie alternative. Queste vie alternative sfruttano per esempio i movimenti residui della testa, di un dito o di un piede, oppure i movimenti oculari. Nella SLA si utilizzano essenzialmente due categorie di comunicatori: quelli a bassa tecnologia e quelli ad alto contenuto tecnologico. Nella prima categorie rientrano le tavole comunicative alfabetiche o iconografiche e i pannelli trasparenti. Questi ausili richiedono sempre la presenza di un interlocutore per interpretare il messaggio che il paziente compone indicandolo manualmente sulla tabella comunicativa o attraverso l'indicazione di sguardo (fissazione oculare delle lettere, dedotta e verbalizzata dall'interlocutore). Tali ausili sono utili per trasferire informazioni di una certa urgenza, brevi frasi e richieste impellenti. Gli ausili ad alto contenuto tecnologico invece non necessitano della presenza costante di un interlocutore e si avvalgono di numerose tecnologie, sempre in evoluzione. Permettono di comunicare, per esempio, guardando in successione le lettere che compongono le parole direttamente su una

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tastiera virtuale disegnata sullo schermo di un PC. Oppure consentono di scrivere qualunque messaggio interagendo con un sensore di comando ad alta sensibilità che il paziente preme per convalidare la scelta di una lettera o di un comando evidenziato in quell'instante sullo schermo del PC. Grazie alla connessione con la rete internet permettono funzioni di comunicazione istantanea a distanza oltre all'accesso alle notizie, ai social network, alla posta elettronica e quant'altro. Data la complessità degli ausili per la comunicazione, alla loro continua evoluzione e alla difficoltà di capire quando è il momento giusto per utilizzare un determinato dispositivo, in relazione anche alla progressione e alla forma della malattia, è consigliabile sentire preventivamente il parere di uno specialista. Esiste comunque una percentuale di pazienti alla quale non risulta adattabile nessun tipo di ausilio alla comunicazione.

2.7 Aspetto psicologico

La SLA, malattia rara, degenerativa, complessa e fortemente invalidante nelle funzioni vitali dell’organismo (movimento, alimentazione, comunicazione e respirazione) modifica profondamente il vissuto della persona malata e dei suoi cari. Questa malattia obbliga ad una ridefinizione della progettualità della persona. La persona con SLA – e i suoi cari – sperimenta stati affettivi e comportamentali che passano attraverso diverse fasi che definiscono i diversi tempi della progressione di malattia; modalità reattive peculiari che possono manifestarsi con tempi e sequenze diverse in base alle caratteristiche individuali. L’impatto iniziale con questa malattia è sempre traumatico. Le reazioni più comuni alla scoperta della malattia e a seguito della graduale perdita delle capacità motorie e della conseguente diminuzione dell’autonomia e dell’indipendenza, sono: ansia e angoscia, che sono generalmente le prime reazioni emotive che emergono e sono legate al non capire che cosa stia succedendo nel proprio corpo, al crollo della propria identità come persona che fino a quel momento si è riconosciuta nel suo ruolo di lavoratore, padre/madre, marito/moglie e al non sapere quali prospettive siano possibili per la propria vita futura, nonché alla paura di essere abbandonati dai propri cari o quella di divenire un peso per loro; rabbia, che può emergere potentemente, può essere legata anch’essa al non capire cosa stia succedendo, al sentirsi impotenti perché si perde il controllo sul proprio corpo, ed in parte, sul

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modo consueto di entrare in relazione con gli altri, non ultima la rabbia può derivare dalla fatica del confronto con un mondo, quello dell’assistenza sanitaria; passività, che si presenta abbastanza frequentemente all’inizio, anche come prima modalità per sentirsi, rimanendo con la malattia senza provare ad opporsi, può diventare in seguito uno stato di resa vera e propria verso la stessa e verso la vita, con la conseguente perdita di interesse anche nella relazione con gli altri; incredulità rispetto a quello che i medici comunicano; rifiuto di una dimensione tanto tragica da non poter essere tollerata a livello mentale; negazione vera e propria per cui la persona agisce come se non stesse accadendo nulla, ignorando tutte le informazioni che confermano la presenza della malattia. A queste reazioni segue una fase depressiva di elaborazione emotiva di ciò che sta succedendo, il paziente fa i conti con quello che sente accadere nel proprio corpo, con i cambiamenti nello stile di vita e nella relazione con i propri cari, con le informazioni che gli vengono date dai medici e, quando questo percorso riesce, arriva all’accettazione della malattia, che gli consente di riorganizzare la propria vita sulla base della nuova situazione, potendo ritrovare nuovi significati al vivere, prima inconcepibili, e nuove risorse. È dunque normale che la persona abbia una momentanea, seppur lunga, reazione emotiva negativa legata al quotidiano confronto con le limitazioni in crescita, ma diventa problematico se subentra un più ampio e diffuso stato di rassegnazione, chiusura e disinteresse per il mondo circostante, che si mantiene durevolmente. Il focus dell’intervento clinico assistenziale è obbligato a passare dal tradizionale approccio di “guarigione e cura” ad un obiettivo basato sul “prendersi cura” della persona malata, dei suoi bisogni e diritti, senza dimenticare i suoi familiari o le persone che stanno al suo fianco.

2.8 Famiglia/caregiver

La Sclerosi Laterale Amiotrofica è estremamente invalidante e devastante non solo per il paziente, ma anche per chi si prende cura di lui, con un notevole impatto emotivo su tutta la famiglia. La SLA, infatti, produce una serie di cambiamenti drammatici non solo nell'ammalato: il caregiver è la figura più a rischio, anche perché spesso siamo in presenza di persone inesperte e in difficoltà di fronte alle numerose e impreviste problematiche legate all’attività di assistenza.

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Tali difficoltà non riguardano solo le competenze tecniche (spesso non si conoscono adeguatamente le tecniche di nursing per un’adeguata assistenza) o l’organizzazione (ottenere flessibilità negli orari di lavoro, una riduzione dei tempi lavorativi, possibilità di aspettative e permessi), ma comportano anche una condizione di profondo stress psicofisico che incide fortemente sullo stato generale di salute dello stesso Caregiver e influisce sulla sua qualità di vita. Per quanto riguarda la famiglia, la malattia impone una riorganizzazione e una ridistribuzione dei ruoli per supplire le funzioni del paziente non più sostenibili. La famiglia/caregiver dovrà affrontare un radicale cambiamento dei propri ritmi di vita, delle proprie priorità e a trovarsi a dover ricercare informazioni per orientarsi, scontrandosi con una mancanza di comprensione esterna di quelle che sono le esigenze del malato e del peso caricato sulle spalle della famiglia/caregiver. Il caregiver si trova a dover fare da interlocutore per il malato con l’esterno, un esterno fatto spesso di lungaggini burocratiche, di persone che non conoscono le conseguenze della malattia a livello di gestione della quotidianità e che, per queste ragioni, forniscono un servizio che non è sempre adeguato alle stesse. Solitamente all’interno della famiglia un’unica persona finisce col coinvolgersi totalmente nella nuova situazione e con il prendere in carico in prima persona la cura del paziente solitamente identificato nel coniuge (o nel partner) o, nel caso di persone anziane, nel figlio. In questi casi si verrà a creare tra paziente e caregiver un estremo coinvolgimento reciproco e dell’interdipendenza massiccia. Ai caregiver viene richiesto, in altri termini, accanto all’ingente impegno fisico per anche di far fronte all’impatto emotivo su di sé e sul proprio caro della malattia, al processo di adattamento ad essa e di riorganizzazione della propria vita in funzione dell’assistenza da prestare al paziente, assistenza che si è già consapevoli essere limitata nel tempo dalla morte che ineluttabile sopraggiungerà. Alla elaborazione delle tematiche della perdita e del fine-vita comuni a quelle del paziente, si aggiungono quelle della riorganizzazione della propria quotidianità, e dell’aumento ingente del carico di lavoro che i compiti assistenziali comportano, così come quelle del senso di colpa nel momento in cui si lascia il paziente da solo e dello stress psicologico dovuto al desiderio, spesso ambivalente, di poter fare di più per il proprio caro e alla

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frustrazione e al senso di impotenza di fronte ai propri limiti. Gli studi mettono quasi tutti in evidenza il forte impatto che la malattia ha in termini psicologici nella vita dei caregiver il crescere dei livelli di ansia e depressione e il peggiorare della qualità della vita parallelamente al progredire della malattia e al conseguente aumento del carico assistenziale. Inoltre appare indispensabile l’informazione e conoscenza dei caregiver riguardo a tutto ciò che concerne la malattia del paziente e l’adeguatezza dei loro compiti assistenziali. La scarsa conoscenza dei sintomi della malattia man mano che questa evolve e, purtroppo, la solitudine nella quale molti caregiver si trovano a dover far fronte alla situazione, conducono spesso a far sperimentare a questi soggetti un diffuso senso di incertezza e impotenza cariche di angoscia e preoccupazioni ansiose che incidono fortemente non soltanto in modo diretto sul benessere del caregiver, ma anche indirettamente su quello del paziente.

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CAPITOLO III

NORMATIVE DEI SERVIZI PER LA SLA

3.1Linee guida Regione Puglia

Allegato A all’A.D. n. 550/2012; progetto QUALIFY-CARE SLA PUGLIA linee guida alle ASL pugliesi per la presa in carico dei pazienti affetti da SLA mediante PAI ai fini dell’erogazione dell’assegno di cura SLA (2013-2014).

Con Del. G.R. n. 1724 del 7 agosto 2012 la Regione Puglia ha approvato il dettaglio esecutivo del Progetto Qualify-Care SLA Puglia, in coerenza con le finalità e gli obiettivi del programma attuativo dell’Intesa SLA sottoscritta in data 27/10/2011 tra Governo e Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni, come presentato dalla Regione Puglia e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il progetto esecutivo assolve al fine di declinare operativamente le Linee di Attività previste dal Programma attuativo, che integra e completa. Il Progetto Qualify-Care SLA Puglia è fortemente orientato ad accrescere il livello della integrazione sociosanitaria della presa in carico domiciliare delle persone affette da SLA ed altre malattie rare neuromuscolari di diagnosi affine, per supportare concretamente le famiglie nei carichi di cura che, nonostante i presidi sanitari, ricadono sulla famiglia in misura consistente. Le presenti Linee guida, approvate a seguito della riunione del Tavolo Tecnico del 27 novembre 2012 e con A.D. n. 550 del 30 novembre 2012 del Servizio Programmazione Sociale e Integrazione Sociosanitaria, intendono fissare i principi cardine e le routine necessarie per standardizzare le principali fasi della presa in carico del paziente SLA per la corretta e piena fruizione delle opportunità che il progetto Qualify-Care SLA offre alle famiglie di pazienti SLA ad integrazione, e non in sostituzione, della rete pubblica dei servizi sanitari e sociosanitari. Quanto richiamato nelle presenti Linee guida procede:

- in continuità con le procedure già sperimentate nel triennio 2010-2012 per la prima fase dell’assegno di cura per i pazienti affetti da SLA (A.D. n. 23/2009), migliorandone in particolare le connessioni con il percorso di presa in carico complessiva del paziente;

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- nel solco di quanto già determinato con Del. G.R. n. 1174 del 1 luglio 2008 per la organizzazione della rete assistenziale per la SLA, con specifico riferimento al ruolo del Distretto sociosanitario e del MMG per la presa in carico del paziente.

Si precisa, infine, che le presenti Linee Guida forniscono indicazioni puntuali alle ASL per la attuazione delle Linee 2 e 3 del Progetto, con specifico riferimento all’erogazione degli Assegni di Cura e dei contributi economici alle famiglie per i cosiddetti periodi di ricovero di sollievo in strutture sociosanitarie residenziali.

L’articolazione delle risposte di cura

Come già specificato negli atti di approvazione del Progetto, gli interventi previsti dal “Qualify-Care SLA Puglia” intendono potenziare gli sforzi già in essere in molte ASL pugliesi per strutturare una rete dedicata per la presa in carico dei pazienti SLA e, lungi dal voler sostituire prestazioni economiche dirette a prestazioni assistenziali ancora non efficienti ed omogenee sul territorio regionale, costituiscono l’occasione per mettere a regime una valutazione multidimensionale del paziente SLA e la costruzione di un progetto assistenziale effettivamente individualizzato ed integrato, capace cioè di rafforzare l’offerta di prestazioni domiciliari e di assistenza sanitaria specialistica con il sostegno economico necessario alla famiglia per affrontare i bisogni diretti connessi alla gestione del carico di cura a domicilio ovvero alla gestione di specifici periodi di criticità nel decorso della malattia. Il Progetto cerca, inoltre, di fornire risposte mirate a bisogni articolati delle famiglie di pazienti SLA che variano in relazione a:

- fase della malattia (prima diagnosi, malattia con parziale autosufficienza, malattia con parziale non autosufficienza , malattia post tracheostomia/PEG)

- composizione del nucleo familiare (pazienti soli senza supporto familiare, pazienti in nuclei familiari con ridotta capacità di cura – anziani soli, nuclei monogenitoriali, altre patologie, ecc... – pazienti in nuclei familiari con buona capacità di cura)

- situazione abitativa (abitazione accogliente/fatiscente, affitto/proprietà, priva di barriere architettoniche/con molte barriere)

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- capacità di risposta della rete dei servizi sanitari territoriali sia rispetto alla presenza di figure specialistiche di riferimento sia rispetto alla articolazione delle prestazioni ADI assicurate a ciascun paziente.

In relazione a queste diverse variabili le domande espresse dai pazienti e dalle famiglie per loro sono assai diverse:

- domande di informazione, di orientamento, di consulenza sanitaria/fiscale/legale

- prestazioni sanitarie (infermiere e medico a domicilio, terapie, riabilitazione), sociosanitarie (OSS e altre figure per la cura della persona), sociali (pasti a domicilio, taxi sociale, ecc..) coordinate tra loro e adeguate nel setting complessivo

- sostegno economico per integrare il reddito familiare in presenza di caregiver familiare ovvero in presenza di caregiver professionali

- affiancamento per il coordinamento delle diverse prestazioni e del progetto di cura a domicilio

- ricovero, anche temporaneo o “di sollievo”, in strutture sociosanitarie laddove manchi il necessario e adeguato supporto familiare

- consulenza specialistica per gli ausili, sia nella fase di scelta che in quella di apprendimento per l’utilizzo corretto.

Per tutto questo, sia pure sinteticamente riportato, è necessario che diventi effettivamente unico il punto di presa in carico del paziente e del suo nucleo familiare e di costruzione di un unico PAI, in cui l’erogazione monetaria sia raccordata con le prestazioni sanitarie e sociali, e che queste possano essere modulate in modo flessibile e capace di seguire l’evolversi della malattia, senza che le famiglie debbano richiedere continui e sempre tardivi adeguamenti.

Il percorso di presa in carico

Per l’esperienza fin qui fatta nel periodo 2010-2012 con l’erogazione dell’Assegno di Cura per i malati di SLA, nonché per quanto richiamato dalla Del. G.R. n. 1174/2008, non può che essere la ASL e il distretto sociosanitario in particolare a svolgere questo ruolo forte di coordinamento al fianco della famiglia

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e che deve seguire un percorso il più possibile “standardizzabile” su tutto il territorio regionale al fine di sottrarlo alla variabilità oggi osservabile in relazione alla maggiore o minore sensibilità, efficienza organizzativa, disponibilità di figure professionali specializzate, insistenza della famiglia, conoscenza dei propri diritti, ecc.., attraverso le seguenti macrofasi:

- valutazione del caso in UVM, con corresponsabilità di ASL e Comune, per analizzare le dimensioni sanitaria, sociale e individuale del paziente

- elaborazione di un PAI revisionabile con cadenza trimestrale, capace di attivare una volta sola le prestazioni sanitarie domiciliari, le prestazioni ADI a complemento, l’assegno di cura, l’eventuale ricovero di sollievo in via eccezionale, la prescrizione degli ausili, il monitoraggio delle terapie, senza richiedere alla famiglia l’accesso ripetuto alla rete aziendale e comunale per formulare le diverse istanze

- raccordo ospedale – territorio per il monitoraggio della terapia e l’affiancamento della famiglia nella gestione dei periodi di criticità che richiedano ricoveri di sollievo e della fase post tracheostomia/PEG e nel raccordo casa-ospedale in presenza di periodi di ricovero.

E’ necessario pertanto che ciascuna ASL individui formalmente il Referente delle cure per i pazienti SLA, che operi in seno al Coordinamento Sociosanitario e nel rispetto della organizzazione funzionale di ciascuna ASL, e che possa raccordarsi con:

- i direttori di distretto sociosanitario

- i responsabili delle cure primarie

- i responsabili delle equipe domiciliari

- i MMG di riferimento

- gli specialisti ospedalieri di riferimento di ciascun paziente.

Il Referente delle cure per i pazienti SLA promuove le Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM) in cui si valuta il singolo caso, promuove la

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