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Attivita' Fisica e Sclerosi Multipla

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE p. 3

CAPITOLO 1

SCLEROSI MULTIPLA

1.1 L’importanza della mielina p. 7

1.2 Sclerosi Multipla: aspetti generali p. 9

1.3 Epidemiologia ed eziopatogenesi p. 10 1.4 Aspetti neuropatologici p. 13 1.5 Caratteristiche cliniche p. 14 1.6 Diagnosi e prognosi p. 20 1.7 Trattamento e riabilitazione p. 24 CAPITOLO 2

SCLEROSI MUTIPLA E ATTIVITA’ FISICA: STATO DELL’ARTE

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2.2 Disturbi psicopatologici associati alla SM p. 32

2.3 L’esercizio per la gestione dei sintomi della SM p. 39

2.4 Uno studio clinico p. 43

CAPITOLO 3

SM IN BASILICATA: UNO STUDIO SPERIMENTALE

3.1 L’informazione che aiuta p. 50 3.2 Questionario esplicativo sull’attività fisica nei soggetti con SM

in Basilcata p. 56

3.3 Risultati del questionario e conclusioni p. 61

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INTRODUZIONE

La sclerosi multipla (SM) è la più comune causa di disabilità cronica nel giovane adulto. Si tratta di una malattia infiammatoria a genesi autoimmunitaria, inquadrabile nell’ambito delle malattie demielinizzanti plurifocali che interessano la sostanza bianca del sistema nervoso centrale.

Leggermente più frequente nella donna rispetto all’uomo (rapporto M:F 2:3), la SM esordisce nel 70% dei casi fra i 20 e i 40 anni. Nel mondo, ci sono circa 1,3 milioni di persone con Sclerosi Multipla e alcune zone del pianeta rappresentano dei veri e propri focolai della malattia, in particolare l’Italia è uno dei paesi a più alto rischio registrando un’incidenza significativa di circa 57.000 persone.

La SM, per le sue caratteristiche invalidanti, croniche e imprevedibili, produce una serie di mutamenti nell’esistenza dei soggetti colpiti che determinano un progressivo distacco da aspettative, speranze, progetti di vita. Tale percezione di distacco riguarda innanzitutto i problemi specifici relativi alla privazione del proprio schema corporeo che si manifestano nei deficit funzionali, nella perdita di aspetti importanti della propria autonomia, nel timore del progredire della malattia, nel dover affrontare la convivenza con la cronicità. Rilevanti risultano conseguentemente gli effetti

sull’omeostasi psicosociale dell’individuo: nell’ambito familiare, lavorativo e nel tessuto delle relazioni sociali.

Nessuna persona è uguale ad un’altra e non esiste un modo tipico di reagire alla SM, poiché ogni persona coinvolta avrà un modo unico e soggettivo di vivere questa esperienza.

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Dal punto di vista motorio, in passato, si raccomandava alle persone con SM il riposo, per non peggiorare i sintomi. In realtà, numerosi studi dimostrano che

l’esercizio fisico sia non solo sicuro, ma anche capace di produrre un miglioramento. Sono stati riscontrati miglioramenti della forza isometrica, della mobilità,

dell’equilibrio sia statico che dinamico oltre che dati positivi relativi all’umore, alla capacità aerobica e al fitness generale di questi soggetti.

In sostanza, l’esercizio fisico si è dimostrato ben tollerato dai pazienti con SM, senza nessun incremento delle esacerbazioni e senza effetti nocivi.

Le statistiche indicano che molte persone cercano informazioni sulla salute online e i numeri sono più alti della media se si tratta di SM. Chi è ben informato è più sicuro nel prendere una decisione rispetto a chi non lo è, le informazioni ci preparano e danno fiducia nell’affrontare qualunque imprevisto e non c’è da meravigliarsi dunque, che chi vive con una malattia come la SM, voglia acquisire il maggior

numero possibile di informazioni su di essa. E’ molto importante raccogliere e gestire queste informazioni, per utilizzarle al massimo nell’autogestione dei sintomi, per identificare e comunicare i bisogni e per migliorare la vita di chi ha la SM. Ogni singolo individuo può essere considerato un “esperto” da cui attingere informazioni e imparare nuove cose.

Vista l’importanza dell’informazione intesa come conoscenza acquisita con lo studio, l’istruzione o l’esperienza e la sua capacità di influenzare le prospettive e di

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di raccogliere informazioni e acquisire conoscenze riguardo l’attività fisica praticata dai soggetti con SM.

Il questionario si articola in 20 quesiti a risposta multipla ed il campione scelto per l’indagine è costituito da 38 soggetti (27 femmine e 11 maschi) con SM residenti nella città di Potenza o nella sua provincia, aventi un’età media compresa tra i 30 e i 40 anni.

I risultati mostrano che la gran parte dei pazienti con SM (28 su 38) svolge esercizio fisico, consigliato prevalentemente dai medici. Questi dati lasciano ben sperare non solo perché l’attività fisica risulta essere molto importante per molte patologie a carattere neurologico come la SM, ma anche perché sono principalmente i medici a consigliarla, e questo avvalora ulteriolmente l’efficacia dell’attività fisica dimostrata dal punto di vista scientifico. Il 95% dei soggetti intervistati che svolge esercizio con regolarità ha dichiarato che chi lo segue nei programmi di attività fisica è informato del suo stato di salute ma, il 50% di essi non ritiene che l’attività fisica svolta tenga conto della propria patologia. Da qui emerge l’importanza dell’Attività Fisica Adattata, che risulta ancora poco diffusa e praticata, infatti, da questa indagine è emerso che in Basilicata 26 persone con SM su 38 intervistate non ha mai sentito parlare di AFA, e 30 pensano che a livello collettivo non ci siano conoscenze adeguate riguardo questi protocolli.

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L’indagine svolta conferma l’utilità dell’attività fisica anche in questa tipologia di pazienti, dimostrata dal fatto che il 92% di questi ritiene che l’esercizio fisico possa apportare miglioramenti nella vita delle persone con SM.

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CAPITOLO 1

SCLEROSI MULTIPLA

1.1 L’importanza della mielina

Il neurone, unità funzionale del sistema nervoso, è composto da una superficie recettiva, costituita da un corpo cellulare o soma, e da uno o più processi ramificati detti dendriti che ricevono le sinapsi.

Dal corpo cellulare emerge anche un altro processo, l’assone, una zona di conduzione lungo la quale si propagano rapidamente i segnali generati a livello della zona di innesco, dove arrivano le informazioni in entrata.

Gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno riescono a raggiungere il SNC grazie alla comunicazione tra i neuroni, attraverso un processo chiamato “sinapsi” il quale agisce mediante il potenziale d’azione. Si tratta sostanzialmente di impulsi costituiti da cariche elettriche in movimento, che generano piccole correnti in grado di

spostarsi da un neurone all’altro.

La maggior parte degli assoni è circondata da un rivestimento isolante chiamato mielina, che ha la funzione di assicurare la trasmissione degli impulsi nervosi in tutto il corpo in maniera consistente ed ordinata e incrementare la velocità di conduzione del potenziale d’azione.

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La mielina,quindi, è una guaina che circonda la maggior parte delle fibre nervose e permette di garantire un’alta velocità di trasmissione dell’impulso nervoso all’interno del nostro corpo.

La guaina mielinica è formata da cellule della nevroglia, o cellule di Schwann, che avvolgono la propria membrana intorno all’assone, tra una cellula di Schwann e la successiva rimane un breve tratto di fibra nervosa scoperta, il nodo di Ranvier. Gli impulsi nervosi saltano da un nodo all’altro secondo un fenomeno noto come “conduzione saltatoria”.

Un’alterazione o una perdita della guaina mielinica può rallentare o addirittura bloccare l’impulso nervoso determinando, di conseguenza, l’insorgenza di tutta una serie di sintomi e segni che configurano un quadro clinico noto come malattia demielinizzante.

La più importante e frequente tra queste malattie è la Sclerosi Multipla (SM).

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1.2 Sclerosi Multipla: aspetti generali

La Sclerosi Multipla, detta anche Sclerosi a placche o Sclerosi disseminata, è la patologia demielinizzante (o mielinoclastica) più frequente.

Si tratta di una patologia cronica del SNC acquisita e multifocale, verosimilmente a patogenesi autoimmune caratterizzata da lesioni disseminate nel tempo e nello spazio. Le lesioni, che comportano una componente infiammatoria, sono essenzialmente demielinizzanti senza peraltro risparmiare gli assoni.

Leggermente più frequente nella donna rispetto all’uomo (rapporto M:F 2:3), la SM esordisce nel 70% dei casi fra i 20 e i 40 anni, prima nel 10% dei casi, più tardi nel 20% dei casi, molto raramente prima dei 15 anni o dopo i 50.

Nella sua forma classica evolve con attacchi che, almeno in parte, vanno incontro a risoluzione.

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1.3 Epidemiologia ed eziopatogenesi

Sebbene la Sclerosi Multipla possa colpire anche i bambini, la stragrande

maggioranza dei casi si riscontra in soggetti adulti tra i 20 e i 40 anni di età, con un numero relativamente ridotto di pazienti colpiti dalla malattia dopo i 60 anni. Come nella maggior parte delle malattie autoimmuni, le donne hanno una probabilità più alta di sviluppare la patologia rispetto agli uomini (3 donne ogni 2 uomini). La distribuzione della malattia non è uniforme: è più diffusa nelle zone lontane dall’Equatore e aventi un clima temperato. Nel mondo, ci sono circa 1,3 milioni di persone con Sclerosi Multipla. Alcune zone del pianeta, poi, rappresentano dei veri e propri focolai della malattia. In particolare l’Italia è uno dei paesi a più alto rischio registrando un’incidenza significativa di circa 57.000 persone. Avendo notato, tra le regioni italiane un picco di prevalenza in Sardegna (un abitante ogni 700), si è ipotizzato che nella patogenesi della malattia possa essere coinvolto un agente ambientale, come ad esempio un virus.

Sulla base di diversi studi epidemiologici si è divisa la mappa del mondo in tre zone a diversa intensità di incidenza della malattia:

- zona ad alto rischio: Nord Europa, Europa centrale, Nord America e Canada; - zona a medio rischio: regioni sud degli Stati Uniti, sud Europa;

- zona a basso rischio: al di sotto della zona temperata, cioè nelle zone tropicali come i Caraibi, Africa e Asia.

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Prevalenza globale della Sclerosi Multipla, 2013.

Nonostante l'eziopatogenesi della Sclerosi Multipla sia tutt'ora ingnota, molto probabilmente si tratta di una malattia infiammatoria immunomediata scatenata da uno o più agenti ambientali sconosciuti e insorgente in soggetti geneticamente

suscettibili.Quindi nell'insorgenza della SM sono chiamati in causa sia fattori genetici sia fattori ambientali.

Tra i fattori genetici, è stata ipotizzata la presenza di geni multipli conferenti la suscettibilità, tra i quali alcuni aplotipi HLA di classe II.

Per quanto riguarda, invece, i fattori ambientali, studi sui migranti hanno dimostrato come questi influiscano sull'insorgenza della SM solo se il soggetto vi è esposto durante l'infanzia-adolescenza.

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parotite, EBV, HHV-6, Coronavirus e virus parainfluenzali sono gli agenti più frequentemente isolati.

Tra le infezioni non virali si ricordano invece quelle da Chlamydia Pneumoniae. Il meccanismo che sta alla base è probabilmente il mimetismo molecolare per cui i linfociti T e gli anticorpi sono in grado di reagire sia contro gli antigeni virali che hanno innescato la risposta immunitaria sia contro antigeni-self della mielina ancora non ben identificati.

Qualunque sia la causa scatenante della malattia, l'aspetto fondamentale del meccanismo patogenetico è la disregolazione autoimmunitaria: i linfociti T

autoreattivi guiderebbero il processo infiammatorio con successivo coinvolgimento dei macrofagi e conseguente distruzione della mielina. I linfociti Th1 autoreattivi produrrebbero infatti delle citochine pro-infiammatorie, come il TNF e l'IFN, che a loro volta determinerebbero l'incremento dell'espressione di molecole di adesione (adesine) a livello delle cellule endoteliali della barriera emato-encefalica.

Tali adesine portano alla liberazione di enzimi litici che causano un'alterazione della permeabilità di barriera, consentendo così la diapedesi delle cellule infiammatorie. Nella sostanza bianca, cellule microgliali e macrofagi di derivazione ematica fungono da Antigen Presenting Cell (APC) e avviano la risposta autoimmunitaria diretta contro la mielina. A questo punto i linfociti T attivati, insieme agli anticorpi prodotti dai linfociti B e agli altri mediatori dell'infiammazione, innescano il danno al complesso mielina-assone determinando il rallentamento-blocco della conduzione nervosa che è la caratteristica patologica alla base della SM.

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1.4 Aspetti neuropatologici

Le tipiche lesioni della SM sono rappresentate dalle placche multifocali di demielinizzazione, situate nella sostanza bianca del SNC, con particolare

interessamento dei nervi ottici, delle aree periventricolari, del corpo calloso, del tronco encefalico, del cervelletto e del midollo spinale.

Le placche sono costituite da aree di demielinizzazione con successiva reazione gliale, aventi per lo più forma irregolare e volume variabile; colore, margini e consistenza variano col passare del tempo.

L’aspetto caratterizzante è la presenza di infiltrati infiammatori localizzati per lo più in sede perivasale, ma anche nel parenchima e rappresentati da linfociti T, macrofagi, spesso contenenti prodotti di degradazione mielinica, e rare plasmacellule.

L’elemento più tipico del quadro e che per primo si sviluppa, è costituito dalla degradazione delle guaine mieliniche delle fibre nervose comprese nella placca. La mielina dapprima si rigonfia e poi si frammenta. I frammenti vengono via via inglobati da cellule aventi funzioni fagocitarie, in particolare macrofagi e cellule di microglia attivata.

Il danno mielinico determina perdita di supporto trofico, nonché della conduzione saltatoria con conseguente blocco di conduzione o rallentamento dell’impulso nervoso, che procede per propagazione continua o cortocircuito nelle aree denudate dell’assone.

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Nelle fasi iniziali della malattia si assiste ad un recupero del deficit neurologico, legato alla risoluzione dell’infiammazione e dell’edema lesionale, ma anche alla riorganizzazione funzionale dell’assone e alla rimielinizzazione.

Solo nelle fasi più tardive della malattia si assiste alla lenta, inesorabile instaurazione dei sintomi o segni clinici irreversibili.

Ciò sembra dovuto al ripetersi del danno infiammatorio, con esaurimento delle capacità di remielinizzazione e blocco di conduzione della fibra colpita.

1.5 Caratteristiche cliniche

La SM rappresenta una malattia decisamente imprevedibile sia per decorso clinico sia per prognosi infatti è caratterizzata da una estrema variabilità focale, temporale e spaziale.

Proprio per questo motivo, per valutare nel modo più oggettivo possibile il paziente, si utilizza una scala di valutazione clinica detta EDSS (Expanded Disability Status Scale di Kurzke), che analizza i deficit dei vari sistemi neurologici e attribuisce un valore tra 0 (assenza di segni o sintomi) e 10 (decesso per SM).

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EDSS: la scala di disabilità per pazienti affetti da Sclerosi Multipla.

La SM presenta un quadro clinico molto variegato colpendo diversi sistemi funzionali neurologici:

 Funzioni visive: le anomalie del sistema visivo sono assai frequenti, in molti casi rappresentano l’unico sintomo all’esordio.

Il paziente lamenta tipicamente una sensazione di calo del visus in seguito a sforzo fisico o aumento della temperatura corporea che si manifesta con una sensazione di vedere “appannato” (fenomeno diUhthoff). Questa condizione è

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spesso legata ad un interessamento del nervo ottico denominato neurite ottica retrobulbare, spesso preceduta da dolore retro o sovraorbitario.

Nelle fasi avanzate della SM è costante l’interessamento paucisintomatico del nervo ottico che appare all’esame del fundus come un pallore nella regione temporale del disco ottico.

 Funzioni piramidali: il sistema piramidale rappresenta il sistema funzionale maggiormente interessato in corso di SM essendo possibile evidenziare anche minime alterazioni pressoché nel 100% dei pazienti.

La manifestazione più tipica è l’ipostenia, che, a seconda del distretto interessato, può manifestarsi con monoparesi, emoparesi, o paraparesi.

Spesso anche in assenza di sintomatologia clinica evidente, sono riscontrabili i segni tipici di interessamento del sistema piramidale: iperflessia con segno di Hoffman, segno di Babinski, assenza dei riflessi addominali, mioclono del piede e della rotula.

 Spasticità: è legata all’aumento del tono muscolare dovuto alla lesione delle vie cortico-spinali ed è un sintomo molto frequente e di intensità variabile, talora fluttuante nello stesso paziente. In alcuni casi possono manifestarsi degli accessi di spasmi tonici, tipicamente notturni e dolorosi.

La spasticità, oltre ad infierire con il fisiologico movimento degli arti, se grave e non trattata può rendere problematico il mantenimento della posizione

seduta; può interessare la muscolatura assiale contribuendo alle alterazioni funzionali della dinamica respiratoria e indurre il paziente ad assumere posture

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anomale, con incremento del rischio di sviluppo di polmoniti e piaghe da decubito.

Fatica: la fatica è uno dei sintomi più comuni della SM, si può definire come un senso opprimente di stanchezza, mancanza di energia e sensazione di spossatezza esagerata rispetto all’effettivo livello di attività esercitato.

Può comparire a qualsiasi stadio della malattia e non è strettamente correlata con la disabilità e con la compromissione delle funzioni piramidali.

Meccanismi diversi influiscono su questo sintomo: un umore depresso, l’aumento dell’utilizzo di energia legato alla debolezza e alla spasticità e una scarsa qualità del sonno legata alla nicturia, agli spasmi notturni o al dolore. La fatica, inoltre, è notevolmente influenzata dalla temperatura corporea: molti pazienti riferiscono un soggettivo miglioramento della loro condizione clinica con il freddo; la sensibilità alla temperatura è legata ad un blocco funzionale reversibile della trasmissione dell’impulso nervoso lungo le vie demielinizzate. E’ molto importante non sottovalutare questo sintomo, che può anche

rappresentare l’unico segno di riacutizzazione della malattia.

 Funzioni cerebellari: i penducoli cerebellari ed il cervelletto rappresentano sedi tipiche per lo sviluppo di placche di demielizzazione.

Da tempo sono noti i sintomi di interessamento cerebellare che venivano

riassunti nella classica triade: nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita. Il sintomo maggiormente frequente è l’atassia, statica e dinamica, che nelle forme più gravi interessa anche gli ari inferiori e il tronco determinando la

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caratteristica andatura atassospastica, per il coinvolgimento contemporaneo del sistema piramidale e cerebellare.

Sono spesso presenti dismetria e soprattutto tremore intenzionale, che influenza negativamente la normale gestualità del paziente e che può interessate anche gli arti e il tronco ed essere presente anche a riposo.

 Funzioni del tronco encefalico: le anomalie da danno troncale includono, oltre che i segni di interessamento delle vie lunghe ascendenti e discendenti,

l’interessamento dei nervi cranici.

Un sintomo tipico è la diplopia, per l’interessamento dei nervi

dell’oculomozione; l’oftalmoplegia internucleare viene infatti descritta come un sintomo peculiare della SM, caratterizzato da deficit dell’adduzione

nell’occhio omolaterale al fascicolo leso e da nistagmo orizzontale nell’occhio controlaterale addotto.

Altro segno caratteristico è la paralisi facciale,spesso di tipo periferico, insorgente talora all’esordio della malattia e spesso associata ad alterazione della sensibilità dell’emivolto colpito.

Nelle forme più gravi vi può essere un danno dei nervi cranici bulbari o dei tratti cortico-bulbari, con disfagia, disfonia e disartria, che in alcuni casi può assumere le caratteristiche della paralisi pseudo-bulbare, associandosi a crisi di riso e pianto spastico e deterioramento intellettivo.

E’ molto tipico l’interessamento del sistema vestibolare, che si manifesta con alterazioni dell’equilibrio in stazione eretta e durante la deambulazione.

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 Funzioni sfinteriche e viscerali: il 90% dei pazienti con SM accusa disfunzioni sfinteriche urinarie o fecali o disfunzioni sessuali nel corso della sua storia clinica. Questo deficit è correlato all’interruzione delle vie discendenti di controllo che vanno dai centri encefalici a quelli sacrali del midollo: la lesione di queste vie discendenti determina una perdita dell’inibizione sui centri sacrali che assumono piena autonomia nella regolazione dei riflessi sfinterici,

soprattutto urinari.

La manifestazione più tipica è rappresentata dalla instabilità o iperreflessia detrusoriale: il riempimento della vescica provoca instabilità della parete vescicale con conseguente contrazione detrusoriale. I pazienti avvertono tale anomalia come urgenza minzionale, talora associata ad una vera e propria incontinenza e a spasmi dolorosi della vescica.

I disturbi del tratto intestinale sono rapresentati dalla stipsi ed in minor misura da diarrea e incontinenza.

 Funzioni mentali: le manifestazioni da interessamento delle funzioni superiori sono molto frequenti, il 50% dei pazienti accusa un progressivo declino

cognitivo nel corso della malattia.

Una demenza grave, si manifesta in circa il 20% dei pazienti; le manifestazioni più tipiche sono quelle della demenza sottocorticale, con perdita della memoria a lungo termine, del mantenimento dell’attenzione e della fluenza verbale nonché riduzione della capacità critiche di astrazione.

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In altri casi si può evidenziare il quadro psico-cognitivo della demenza da interessamento prefrontale o della sindrome pseudo-bulbare.

Nel primo caso è tipicamente evidente uno stato di euforia, inappropriato allo stato di malattia, con indifferenza per l’evento morboso.

Dal punto di vista psichico è molto frequente lo sviluppo di disturbi del tono affettivo e di una vera e propria depressione. La prevalenza di questo disturbo nei pazienti con SM è stimata intorno al 60%; vi è inoltre un aumento del rischio di suicidio, pari a circa 15 volte la popolazione normale.

 Dolore: molti pazienti accusano sintomatologia dolorosa, che si riassume essenzialmente nel dolore cronico del rachide, in particolar modo a livello dorso-lombare, legato principalmente alle anomale posture assunte soprattutto dai pazienti costretti sulla sedia a rotelle.

1.6 Diagnosi e prognosi

I criteri diagnostici continuano ad evolvere man mano che migliora la comprensione dei meccanismi patogenetici in rapporto all’evoluzione delle tecniche diagnostiche. Nei casi più semplici la diagnosi può essere essenzialmente clinica, ad esempio quando l’esame neurologico evidenzi sintomi o segni di interessamento di almeno due sedi del SNC in un individuo con una storia di almeno due episodi di deficit neurologici focali tipici di SM; si preferisce tuttavia avere una conferma del sospetto con una RMN dell’encefalo patologica e un esame del Liquor; bisognerà inoltre

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eseguire una corretta diagnosi differenziale, in modo da poter escludere altre patologie.

I problemi diagnostici nascono in due principali contesti. Il primo si ha quando il paziente giunge all’osservazione in una fase precoce di malattia e non si può prevedere quanto questa possa evolvere sulla base esclusivamente dell’evidenza clinica: ciò è particolarmente importante dovendo decidere se e come trattare il paziente con terapie modificanti il decorso della malattia. Il secondo si ha quando sono presenti caratteristiche inusuali, come un esordio progressivo ab-inizio o sintomi quali afasia o epilessia. In questi casi per la diagnosi è assolutamente necessario che le indagini di laboratorio e strumentali ( liquor, RMN encefalo,potenziali evocati visivi) siano alterate in modo specifico.

Per poter effettuare la diagnosi di SM ci si avvale di diverse metodiche, queste possono essere sia strumentali che laboratoristiche.

Tra le indagini strumentali ritroviamo la TC dell’encefalo, la quale è stata soppiantata dall’introduzione della risonanza magnetica che ha una maggiore sensibilità.

Utile alla diagnosi è, inoltre, l’esame neurofisiologico rappresentato dallo studio dei potenziali evocati, nell’ambito dei quali l’alterazione più tipica è rappresentata da un aumento del tempo di conduzione centrale con incremento della latenza, talora associata a riduzione dell’ampiezza. Lo studio dei potenziali evocati si riassume essenzialmente nell’indagine dei potenziali evocati visivi, acustici, somatosensoriali e motori.

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Altre indagini neurofisiologiche possono essere rappresentate dalle prove vestibolari e dall’elettronistagmografia, che possono entrare in gioco nelle diagnosi differenziali di alcuni disturbi riferibili ad alterazioni delle vie vestibolari centrali.

Successivamente alla diagnosi, per prevedere la progressione della malattia e instaurare un’adeguata terapia, si definisce la forma clinica della SM, individuata dalla EDSS.

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Nella forma più tipica, la SM si presenta con attacchi clinici acuti (poussées) seguiti da regressione sintomatologica totale o parziale e dall’assenza di progressione della disabilità durante i periodi intercritici; questa forma è definita a riacutizzazioni e remissioni (SM-RR).

Una percentuale significativa di soggetti con forma classica di SM-RR progredisce, nei 10 anni successivi alla diagnosi, verso una forma di malattia secondariamente progressiva (SM-SP).

Essa è caratterizzata da una progressione continua della malattia, con o senza sovrapposizione di riacutizzazioni, dopo una fase di malattia descrivibile come SM-RR.

La forma progressiva con riacutizzazioni (SM-PR) è assimilabile per caratteristiche cliniche alla forma secondariamente progressiva, ma con decorso progressivo ab-initio.

Dal punto di vista della severità clinica, si riconosce nell’ambito della SM-RR, la variante benigna che viene definita come quella forma che a 15 anni dall’esordio ha determinato solo una minima disabilità del paziente.

Esistono poi rare forme maligne (5%) con decorso rapidamente progressivo ed inabilità completa nel giro di poche settimane o mesi: sono soprattutto queste forme, insieme a quelle molto avanzate di malattia con decubito supino obbligato, ad essere responsabili con le loro complicanze della morte dei pazienti.

La prognosi del paziente all’esordio della malattia è incerta infatti alcune

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sintomi monofocali ed interessamento sensitivo, troncale o del nervo ottico. Al contrario un esordio tardivo, plurisintomatico e con precoce interessamento cerebellare o piramidale è correlato con una prognosi peggiore.

Un recupero completo della sintomatologia ed un tempo intercorrente elevato tra i primi 2 attacchi sono indici prognostici favorevoli; importante risulterebbe anche l’evoluzione della malattia nei primi 5 anni, infatti un’elevata frequenza di ricadute è associata ad una prognosi peggiore.

Dal punto di vista della disabilità clinica si calcola che a 10 anni dall’esordio, circa il 30% dei pazienti presenti una disabilità moderata-grave, che influenza in modo cospicuo le normali attività quotidiane.

1.7 Trattamento e riabilitazione

Fino a pochi anni fa la terapia della Sclerosi Multipla era limitata alle terapie “sintomatiche” utilizzate per contrastare i deficit neurologici causati dalla malattia. Attualmente sono a disposizione alcune terapie che possono incidere, in misura variabile, sul decorso della malattia e sono definite pertanto agenti modificanti il decorso della malattia o immunomodulanti. Ad essi si aggiungono i più classici farmaci immunosoppressori, tra i quali ritroviamo l’interferone beta (β-IFN). Questa molecola, sintetizzata con la tecnologia del DNA ricombinante, ha

dimostrato efficacia nel ridurre il rischio di sviluppo di nuovi attacchi di malattia nella SM-RR.

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Oltre ai farmaci immunomodulanti vengono utilizzati anche farmaci

immunosoppressori tra cui il Mitoxantone, autorizzato in Italia per il trattamento di pazienti con SM-SP, con o senza attacchi, purché deambulanti e in fase attiva di malattia.

In associazione a questo tipo di terapia è fondamentale assumere farmaci che controllino la malattia dal punto di vista sintomatologico. Un farmaco utilizzato è il bolo steroideo, somministrato ad alti dosaggi, indicato in caso di attacco di

malattia. La sua efficacia si basa infatti probabilmente sull’attività antinfiammatoria, piuttosto che immunosoppressiva. Tale trattamento modifica positivamente l’evento acuto, riducendo durata e gravità della sintomatologia.

Per fare fronte ai sintomi della spasticità vengono impiegati numerosi farmaci: il blacofen, il dantrolene e la tizanidina.

La riabilitazione neuro-motoria rappresenta un importante aspetto del trattamento e della gestione del paziente con SM. Il medico riabilitativo valuta le conseguenze che la malattia determina sull’autonomia della persona, rispetto al contesto in cui essa vive, si muove e lavora definendo quindi un programma terapeutico personalizzato, attuato da varie figure professionali, che mira al mantenimento delle attività della vita quotidiana e della normale vita di relazione. Viene cioè attivato nel paziente un

processo di apprendimento di tutte quelle risorse motorie, psicologiche ed adattive atte a migliorare l’autosufficienza.

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CAPITOLO 2

SCLEROSI MULTIPLA E ATTIVITA’ FISICA: STATO DELL’ARTE

2.1 Fatica ed esercizio nella SM

La fatica è il sintomo più comune nella SM; alcuni studi lo riportano nel 95% dei

casi e può essere considerato il primo segnale della malattia in un terzo delle persone. Fino ai due terzi lo percepiscono giornalmente; il 55% delle persone con SM lo

considera uno dei sintomi più disabilitanti, il 40% quello peggiore. L’impatto della fatica sulla qualità della vita di questi pazienti è dunque considerevole ed è uno dei principali motivi di disoccupazione.

Sfortunatamente la causa di questo sintomo devastante e cronico resta oscura,

nonostante più di due decenni di ricerca. Non è nemmeno chiaro se la fatica nella SM sia una forma estrema della normale fatica fisica tipica delle persone in salute,

o invece una forma specifica.

Si ritiene che i principali meccanismi siano:

a) anomalie encefaliche strutturali provocate dalla demielinizzazione e dalla perdita di assoni;

b) attività immunitaria nell’encefalo stesso e problemi di produzione ormonale da parte della ghiandola pituitaria;

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c) problemi nel controllo dell’attività cardiaca o cambiamenti chimici a livello muscolare.

Tuttavia, nessuno di questi meccanismi è provato e le indagini condotte fino ad ora sono state complicate dall’assenza sia di una definizione chiara di fatica sia di una sua misurazione oggettiva.

Tra le definizioni tradizionali di fatica come sintomo di SM si trova: sensazione incontenibile di affaticamento, mancanza di forze o sensazione di esaurimento, difficoltà nell’iniziare o nel sostenere uno sforzo volontario, sensazione di

spossatezza fisica e mancanza di energie distinta dalla tristezza e dalla debolezza, mancanza soggettiva di forze fisiche e/o mentali percepita dall’individuo o da chi presta cure all’individuo stesso e che interferisce con le attività comuni e desiderate. Per un sintomo così complesso, queste definizioni non sempre sono esaurienti. Di recente è stato proposto un approccio più globale per descrivere le caratteristiche della fatica. Si tratta di un sintomo dinamico, ossia può andare e venire secondo i momenti e le circostanze. Per alcuni i sintomi sono deboli e poco fastidiosi, per altri devastanti.

Un altro ostacolo alla comprensione della fatica è che la si confonde con la tendenza all’affaticamento.

La fatica percepita è ciò che si intende per “fatica” quando si usa l’esperienza soggettiva per definirla mentre affaticamento ed esaurimento sono termini simili. Solitamente si misura la fatica percepita attraverso questionari strutturati o scale predisposte per valutare l’esperienza soggettiva.

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Le misurazioni possono rientrare in valutazioni globali della qualità di vita o possono essere specifiche per la fatica.

Al contrario, la tendenza all’affaticamento è definita in base a come si riduce la capacità di svolgere un compito specifico, di solito per diminuzione della

resistenza. Per esempio la tendenza all’affaticamento è rilevabile in una persona con SM e con una disabilità motoria facendola camminare per un certo periodo di tempo, velocemente senza interruzioni. All’inizio la persona parte con un passo spedito ma può stancarsi e rallentare o anche fermarsi durante l’intervallo di tempo prestabilito. Al contrario, una persona che non ha tendenza all’affaticamento motorio è in grado di camminare per lo stesso periodo con il ritmo iniziale, senza rallentare o fermarsi. Questo esempio si riferisce alla “tendenza all’affaticamento motorio” e si possono fare esperimenti simili per quello mentale ed è il tipo di misurazione che i ricercatori degli enti di regolamentazione preferiscono poiché più oggettivo. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, queste misurazioni di prestazione non hanno una

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Un fisiatra valuta la capacità deambulatoria per capire l’impatto della fatica.

Dal punto di vista motorio le persone con SM descrivono gli aspetti riguardanti la fatica come debolezza che aumenta con l’attività muscolare, il parlare si fa confuso, può diventare difficile svolgere azioni semplici e di routine, per esempio “dover pensare a mettere un piede di fronte all’altro”.

In uno studio condotto da Francois Bethoux, pubblicato sul giornale “MS in focus” della Multiple Sclerosis International Federation (MSIF)[7] , sono stati esaminati diversi tipi di esercizio fisico (esercizi aerobici, di resistenza e yoga), con

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In passato si raccomandava alle persone con SM il riposo, per non peggiorare i sintomi. In realtà, studi come questo dimostrano che l’esercizio fisico sia non solo sicuro, ma anche capace di produrre un miglioramento. Tuttavia, nella routine quotidiana è spesso difficile per le persone con SM iniziare e mantenere l’esercizio; l’accesso alle strutture e la possibilità di utilizzare i diversi tipi di attrezzatura sono limitati. Durata e intensità dell’esercizio fisico consigliato alle persone in salute non coincidono con ciò che si raccomanda per le persone con SM. In molti casi si rende necessario un regime d’esercizio individualizzato per venire incontro adeguatamente alle richieste della persona.

Quando una persona comincia un programma di esercizi, si può registrare un temporaneo peggioramento del sintomo fatica tale da non far percepire subito i benefici dell’attività svolta. Il risultato può essere l’abbandono, anche quando basterebbero aggiustamenti di durata e/o intensità.

Le fluttuazioni dei sintomi della SM possono inoltre interferire con la possibilità di mantenere una routine nell’esercizio fisico.

Vengono proposti una serie di consigli di carattere generale per l’esercizio fisico nella SM:

 Cominciare lentamente, aumentare gradualmente. Le sessioni di allenamento dovrebbero essere brevi e di bassa intensità all’inizio, con un aumento graduale (per esempio un aumento di pochi minuti ogni settimana).

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 Allenamento regolare, almeno tre volte a settimana, anche quotidiano se possibile. Alcuni scelgono esercizi diversi ogni giorno, per evitare sia la demotivazione sia l’eccessivo lavoro in ogni sessione.

 Scegliere esercizi e macchine sicuri e ben tollerati. Per esempio le persone con difficoltà deambulatorie o di equilibrio potrebbero richiedere un esercizio aerobico su una cyclette o su un tapis roulant.Le cyclette a seduta appoggiata possono essere utili per persone con dolori alla schiena o debolezza del tronco.

 Scegliere un orario adeguato ai propri programmi giornalieri e alle proprie forze. Molte persone preferiscono un allenamento mattutino, prima di altre attività, in un orario in cui le forze e la motivazione sono ottimali.

 Evitare il surriscaldamento in un ambiente climatizzato, con un ventilatore o indumenti rinfrescanti.

 Prendere in considerazione l’allenamento in acqua, poiché facilita i movimenti e migliora il comfort. La temperatura dell’acqua non dovrebbe essere troppo elevata, per esempio 27-29 gradi centigradi.

 Trovare un “compagno di allenamento” o allenarsi in gruppo può favorire la motivazione e crea un’opportunità di socializzazione. Può essere utile un assistente, per esempio per raggiungere la struttura in cui si svolge l’attività, per salire e scendere dalle macchine in sicurezza e per eseguire alcuni esercizi.

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Nonostante la crescente evidenza della loro efficacia, la riabilitazione e l’esercizio fisico sono ancora poco utilizzati per affrontare la fatica da SM e sebbene i

meccanismi alla base della fatica non siano stati chiariti a fondo, si hanno prove che dimostrano come l’esercizio e lo stile di vita aiutino.

2.2 Disturbi psicopatologici associati alla SM

Anche quando si parla di Sclerosi Multipla non è possibile prescindere dalla sua influenza sulla vita emotiva, psicologica e sociale delle persone interessate e, in modo indiretto, delle persone che stanno loro vicino.

Oltre che sul fisico, la SM può avere effetti sull’umore, sul modo di percepire la realtà e sui comportamenti di una persona. Questi mutamenti possono essere

considerati normali vista l’eccezionalità della situazione che si sta vivendo, in alcuni casi però succede che i cambiamenti si concretizzino in problematiche psicologiche più complesse dando, per esempio, origine a una depressione, a uno stato ansioso o a una condizione di stress eccessivo.

È dunque molto importante acquisire un’informazione corretta e completa anche sugli aspetti psicologici della SM: sapere cosa accade è essenziale per rafforzare, per capire e per interpretare la situazione e i bisogni del paziente, così da attivare risorse personali e sociali, ed eventualmente ricorrere all’aiuto di professionisti.

Va ricordato che solo di rado le lesioni tipiche della SM (placche) sono direttamente responsabili dei disturbi psicologici. Nella maggior parte dei casi questi disturbi derivano dalle reazioni soggettive alla diagnosi, dalla capacità di adattamento alla

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malattia, dalla risposta alle possibili modificazioni nello stile di vita e nelle relazioni con gli altri, dalla personalità, dalla propria storia, dall’ambiente in cui si vive, dal sostegno della famiglia. Esistono comunque anche dei disturbi su base organica: tra i più diffusi vi sono quelli di natura cognitiva, anche se spesso sono di lieve entità. In questo caso è la localizzazione delle lesioni a influire direttamente su alcuni processi cerebrali che permettono l’interazione con il mondo esterno, come per esempio la memoria, l’attenzione, la concentrazione.

Nessuna persona è uguale a un’altra e non esiste un modo tipico di reagire alla SM. Quando si parla di risposte emotive e psicologiche alla SM non si può mai

generalizzare poiché ogni persona coinvolta avrà un modo unico e soggettivo di vivere questa esperienza. Perciò molti riescono a trovare in se stessi e nell’ambiente circostante le risorse necessarie per far fronte emotivamente a quanto sta loro

accadendo, in altri casi invece diventa necessario mobilitare risorse aggiuntive (professionali, farmacologiche…) per facilitare il processo di adattamento. Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi per chiarire e valutare la prevalenza e le caratteristiche delle difficoltà psicologiche che si riscontrano, in aggiunta ai problemi cognitivi, nei pazienti con SM.

La review svolta da Alison K. Reynard et al.[8] ha come obiettivo quello di esaminare gli interventi di gestione dello stress utilizzati per le persone con Sclerosi Multipla e valutarne l'efficacia.

Durante tutto il corso della storia, gli scienziati hanno riconosciuto l'impatto dello stress sulle malattie croniche e fin da quando è stata identificata la Sclerosi Multipla, i

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fattori psicologici come lo stress sono stati tra i primi sintomi associati alla malattia. Jean Martin Charcot, che per primo identifico’ la SM nel XIX secolo, scrisse che il dolore, la rabbia e gli eventi negativi dal punto di vista sociale, sono strettamente connessi con l’esordio della malattia.[9]

Nel 1930, Hans Selye presentò il concetto inizialedella risposta allo stress, che continua ancora oggi a guidare le conoscenze attuali. Selye definì la risposta allo stress come "la risposta non specifica del corpo a qualsiasi richiesta,se è causata da, o provoca, piacevoli o spiacevolicondizioni" e riconobbe anche basi biologiche e

psicologiche su come il corpo risponde ad un determinatostressor. Dal punto di vista psicologico, Selye affermòche la risposta allo stress può non solo essere conseguenza di uno stress presente ma può anche essere una risposta anticipatoria ad uno stress previsto. Così, il nostro stato psicologico può anche influenzare negativamente i processi patologici.[10]

Vi è un crescente numero di interventi di gestionedello stress per le persone con SM, anche se le review che confrontano e mettono insieme questi risultati sono poche. Pertanto, lo scopo di questo studio è stato quello di esaminare e valutare l'efficacia degliinterventi di gestione dello stress per le persone con SM.

Le ricerche sono state condotte su database, tra cui PubMed, CINHAL (EBSCO Publishing, Glendale,CA), COCHRANE e PsychInfo fino alla fine di febbraio 2013, includendo nella review gli articoli che rispettavano i seguenti criteri:

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a)l'intervento doveva comprendere tecniche per ridurre lo stress o migliorare la gestione dello stesso;

b) lo studio del campione doveva essere costituito in parte o interamente da individui con SM.

Gli articoli inclusi nella review sono stati poi classificati secondo i criteri

dell’American Academy of Neurology (AAN) Quality Standards Subcommitte and Therapeutics and Technology Assessment Committees.

La ricerca ha prodotto un totale di 117 pubblicazioni, di cui 8 sono state incluse nella review. La maggioranza degli studi non presentava i gruppi di controllo ed era

costituita da misure di outcome soggettive. Solo uno studio ha soddisfatto i criteri AAN per la classe I, gli altri cinque rispettavno i criteri per la classe III e gli altri 2 per la Classe IV. I campioni di ricerca variavano per quanto riguarda le dimensioni da 7 a 121 partecipanti. L'età media dei pazienti studiati era di circa 41 anni e la maggior parte degli studi includevano pazienti ambulatoriali con SM, fatta eccezione per uno studio che utilizzava un campione di pazienti ricoverati. Solo due delle otto

pubblicazioni riportavano il tipo di SM del loro campione (recidivante-remittente). C’è stata grande varietà rispetto al quantificare la disabilità associata alla SM, che spaziava dalla descrizione del livello di mobilità o del punteggio di disabilità del paziente alla classificazione clinica di disabilità. Uno studio degli studi considerati non ha riportato, inoltre, il livello di disabilità relativo al proprio campione.

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Un diagramma del processo di recupero degli articoli in letteratura e della ripartizione per la classificazione è mostrato in Figura 1.

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Tecniche cognitivo-comportamentali, tra cui l’automonitoraggio dello stress

quotidiano, la ristrutturazione cognitiva e il problem-solving sono riportate in cinque delle otto pubblicazioni. La maggioranza degli studi includeva forme di training di rilassamento (frequentemente utilizzate assieme alle tecniche

cognitivo-comportamentali) tra cui le più comuni riguardavano la respirazione addominale e il rilassamento muscolare. Uno studio ha utilizzato come intervento una tecnica di

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meditazione. Mentre molte delle terapie di gestione dello stress negli studi inclusi nella review sono simili, non ci sono studi che hanno utilizzato le stesse strategie di intervento. La durata media degli interventi era di 10 settimane.

Varie misure sono state utilizzate per valutare l'efficacia degli interventi di gestione dello stress negli articoli inclusi tra cui, la più comunemente impiegata, consisteva in questionari self-report che misuravano il verificarsi di eventi negativi o stressanti o la percezione soggettiva dello stress.

Tra gli articoli analizzati, il lavoro svolto da Mohr et al.[11] è quello più importante, in quanto è l'unico studio condotto fino ad oggi in grado di fornire prove sulla gestione dello stress Classe I, le quali influirebbero sul processo di malattia della SM. Gli autori hanno eseguito uno studio controllato randomizzato (RCT) costituito da un programma di terapia di gestione dello stress basato sulla terapia

cognitivo-comportamentale. L'intervento ha avuto luogo per circa 24 settimane e consisteva in 16 sessioni faccia a faccia della durata di circa 50 minuti ciascuna. 121 persone con SM recidivante-remittente hanno partecipato a questo studio e sono state casualmente assegnate al gruppo di terapia (n = 60) o al gruppo di controllo (n = 61). Rispetto ai partecipanti del gruppo di controllo, i partecipanti del gruppo che eseguiva la terapia hanno sviluppato minori lesioni cerebrali nel corso delle 24 settimane. Nessuna differenza significativa tra i gruppi è stata riscontrata oltre le 24 settimane. Questo studio ha rispettato i criteri per la classificazione I dell’AAN grazie ai seguenti fattori: aveva criteri di valutazione obiettiva (risonanza magnetica [RM] per

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evidenziare le lesioni cerebrali), i valutatori clinici e tecnici erano all’oscuro dei trattamenti assegnati ai pazienti, la variabile outcome primaria era stata specificata (ovvero il numero cumulativo di lesioni Gd + durante il periodo attivo di

trattamento), i criteri di esclusione / inclusione erano chiaramente definiti, il numero dei pazienti ritirati dallo studio non era significativo.

La varietà degli interventi e delle misure di outcome utilizzate negli studi esaminati hanno reso difficile trarre ferme conclusioni riguardo l'efficacia degli interventi di gestione dello stress per le persone con SM. Inoltre, anche dal punto di vista

metodologico, gli studi variano molto e le misure di outcome sono state in gran parte limitate ai report dei pazienti, anziché utilizzare valutazioni oggettive come marker di laboratorio e /o outcome clinici. Molti di questi studi non hanno seguito i pazienti per un follow-up lungo tanto da accertare l’impatto degli interventi nel tempo. In

particolare per quanto riguarda lo studio condotto da Mohr et al. non mostra le

differenze tra il gruppo di trattamento e quello di controllo relative alle nuove lesioni cerebrali oltre la durata dello studio e cioè 24 settimane. E’ anche importante sapere se i pazienti hanno continuato ad utilizzare le competenze acquisite negli studi per osservare la loro capacità di mantenere i progressi ottenuti.

Nonostante queste limitazioni, i risultati sembrano promettenti, infatti la maggior parte degli studi ha mostrato miglioramenti nelle misure di outcome riferite dai pazienti. Inoltre, lo studio che aveva il più alto livello di qualità secondo criteri AAN ha mostrato modifiche significative. Ulteriori studi contribuiranno a promuovere e a

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definire meglio il ruolo degli interventi di gestione dello stress nel trattamento della SM cosi come ulteriori ricerche saranno necessarie per stabilire se questi benefici sono riscontrabili anche dal punto di vista biologico e clinico.

2.3 L’esercizio per la gestione dei sintomi della SM

Gli individui con Sclerosi Multipla sperimentano una serie di sintomi che rappresentano sfide significative per le attività di vita quotidiana, la mobilità, la famiglia e la partecipazione sociale. Inoltre, il declino fisico e le restrizioni riguardanti la mobilità associate alla malattia, spesso portano ad un aumento del rischio di caduta e a una riduzione della capacità di svolgere attività fisica.

Numerose prove suggeriscono che, per le persone con SM, le limitazioni dell'attività fisica sono associate con una maggiore progressione verso la disabilità e una più bassa qualità di vita.

Anche se in passato l’esercizio era controindicato per le persone con SM, la ricerca ha provato che esso è ben tollerato dalle persone con questa malattia. In quanto tale, l'esercizio fisico è ora visto come una componente importante della gestione della malattia, sia in termini di ottimizzazione del funzionamento quotidiano che aumento della partecipazione in tutti i vari contesti della vita. Poiché il decondizionamento, l'osteoporosi e le cadute sono frequenti in queste persone, l’Associazione Nazionale Sclerosi Multipla raccomanda che le persone con SM partecipino a programmi di

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esercizio individualizzati per migliorare il fitness cardiovascolare, la forza, l’equilibrio e per diminuire la fatica e la depressione.

In uno studio pubblicato sul Journal of the American Physical Therapy Association da Parminder K. Padgett and Susan L. Kasser[12], si evidenziano i risultati e le

applicazioni degli articoli del Cochrane e altre prove pertinenti la pratica dell’attività fisica. La Cochrane Library è una rispettata fonte di prove attendibili relative

all’assistenza sanitaria.

In considerazione dei potenziali benefici dell’esercizio per le persone con SM, la valutazione dell'efficacia dei regimi di esercizio specifico è importante per capire come massimizzare i guadagni funzionali e migliorare la qualità della vita di queste persone.

Per valutare l'efficacia dell’attività fisica sulle attività della vita quotidiana (ADL) e la salute, Rietberg et al.[13] hanno pubblicato una review di uno studio sistematico e randomizzato (RCT) nel database Cochrane of Systematic Reviews.

Per essere inclusi nella review, i vari studi dovevano presentare pazienti con SM che non avevano in corso alcun perieodo di riacutizzazione dei sintomi e che avevano una prognosi legata all’esercizio basata su 1 o più criteri dell’International Classification of Functioning, Disability and Health(ICF). La review ha incluso 9 RCT: 6

confrontavano un gruppo che ha eseguito regimi di esercizio con un gruppo di controllo o un gruppo che non eseguiva esercizi e 3 valutavano 2 diversi tipi di intervento basati sull’esercizio fisico.

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I risultati riguardano la potenza muscolare, la mobilità, l’alimentazione, l’umore, l'equilibrio, la stanchezza, gli aspetti cognitivi, lo stato di disabilità, le ADL, l'uso del braccio e della mano e risultati relativi alla salute e qualità della vita.

Una sintesi dei risultati è presentata nella Tabella 1.

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I risultati più evidenti riguardano i 6 studi che confrontavano gruppi che eseguivano attività fisica contro gruppi di controllo o gruppi che non eseguivano alcun esercizio, per un totale di 164 partecipanti.

La ricerca sintetizzata da Rietberg et al.[13] suggerisce la presenza di benefici dell’esercizio fisico per le persone con SM durante un determinato perieodo di decorso della malattia. Miglioramenti della forza isometrica, della mobilità e

dell’equilibrio sia statico che dinamico sono stati riscontrati in tre studi. Dati positivi relativi all’umore sono anche stati evidenziati in uno studio e tre degli studi esaminati hanno anche rivelato benefici sulla capacità aerobica e sul fitness generale di questi soggetti.

In sostanza, l’esercizio fisico si è dimostrato ben tollerato dai pazienti con SM, senza nessun incremento delle esacerbazioni e senza effetti nocivi.

In ogni caso nessuno degli studi esaminati ha stabilito una quantità specifica di

esercizio fisico necessaria per apportare significativi cambiamenti nel funzionamento fisiologico o psicologico dei partecipanti e non è emerso nessuno specifico

programma di attività che possa portare più benefici rispetto ad un altro. Inoltre la durata degli esercizi in questi studi era di circa 6 mesi, rendendo cosi difficile comprendere gli effetti a lungo termine dell’esercizio fisico sulla disabilità.

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2.4 Uno studio clinico

Il seguente studio, pubblicato sull’Iran Red Crescent Med J. da Bahram Sangelaji et al.[14], ha come scopo quello di valutare se l’esercizio fisico ha effetti positivi a lungo termine e se un periodo di attività fisica svolta con regolarità può cambiare le

abitudini dei pazienti nell’eseguire esercizi fisici quotidiani.

Si tratta di uno studio clinico, riguardante gruppi di controllo e di intervento selezionati mediante un metodo random. I partecipanti erano rappresentati da 147 pazienti con SM scelti dai neurologi della clinica fisioterapica dell’Iran's Multiple Sclerosis Society (che si trova a Teheran, Iran) per un periodo di 14 mesi a partire da settembre 2012 a dicembre 2013. La dimensione totale del campione era di 42

pazienti per ciascun gruppo di intervento e di controllo.

I partecipanti sono stati scelti in base ai seguenti criteri: soffrivano della forma

ricorrente progressiva di SM, avevano un’età compresa tra 18 e 50 anni, non avevano avuto alcun attacco di SM nel ultimi tre mesi e consumato diversi tipi di interferone per la prevenzione degli attacchi. Inoltre, questi pazienti dovevano avere un

punteggio EDSS di 0-4, punteggi più alti li escludevano dalla ricerca.

84 pazienti hanno superato questa prima selezione e sono stati divisi casualmente nei due gruppi: 42 nel gruppo di intervento e gli altri sono stati assegnati al gruppo di controllo. Dei 42 pazienti del gruppo di controllo, 30 hanno accettato di partecipare allo studio in quanto ciò li obbligava ad evitare di fare qualsiasi attività fisica o di riabilitazione prevista per 10 settimane; se i pazienti presentavano improvvisi attacchi

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o non effettuavano il numero di sessioni di allenamento richieste venivano esclusi dallo studio.

Le valutazioni sono state effettuate mediante dei test divisi in tre fasi: la prima fase si svolgeva una settimana prima degli esercizi, la seconda una settimana dopo le 10 settimane di esercizio e la terza dopo tutte le sessioni di esercizio. Questi test

includevano la misura della disabilità (EDSS), il livello di equilibrio (Test di Berg), la distanza percorsa a piedi (Six-min Walking Test), la fatica (FSS) e aspetti relativi alla qualità della vita (QOL).

I punteggi dei pazienti sono stati riportati da un neurologo e da un allenatore esperto e i risultati sono stati generati automaticamente da un computer.

Le modalità di intervento in questo studio comprendevano 10 settimane di attività fisica nelle quali venivano svolti esercizi di stretching, aerobici, di potenziamento muscolare degli arti inferiori e esercizi per il miglioramento dell’equilibrio. Per i pazienti erano previste tre sessioni di allenamento a settimana per un numero totale di 30 sessioni. All'inizio di ogni sessione, i pazienti, guidati da un professionista,

eseguivano esercizi di stretching e di mobilità articolare per il rachide, il collo, gli arti superiori e quelli inferiori, per una durata variabile da sette a dieci minuti. Poi,

seguiva la parte aerobica mediante l’utilizzo di bike e tapis roulant per una durata iniziale di 20 minuti infatti, a seconda dell’affaticamento dei pazienti, questi esercizi potevano protrarsi fino a 40 minuti in ogni sessione. Il tempo degli esercizi aerobici veniva suddiviso equamente tra bike e tapis roulant ed il livello di intensità in ogni

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sessione partiva da un livello basso e gradualmente raggiungeva il livello massimo, per poi diminuire nuovamente fino al punto di partenza. Gli esercizi aerobici, durante le prime sedute, comprendevano 20 minuti di bike e tapis roulant al 40% della

frequenza cardiaca massima (Fcmax), con un recupero di 10 minuti tra i due esercizi. Nell'ultima seduta, queste attività sono aumentate fino a 20 minuti ciascuna al 70% della Fcmax. Durante gli esercizi aerobici, ai pazienti è stato più volte raccomandato di riposarsi nel caso percepissero una sensazione di eccessiva stanchezza. Gli esercizi di potenziamento venivano eseguiti con balzi e mediante l’ausilio di elastici per il rafforzamento dei muscoli quadricipiti, glutei e gemelli. L’intensità di questi esercizi era inizialmente bassa e di durata di circa 10-15 minuti. In ogni sessione i pazienti eseguivano anche vari esercizi per il miglioramento dell’equilibrio mediante l’ausilio di tavole inclinate circolari e rettangolari . Questi esercizi inizialmente avevano una durata di 10 minuti e successivamente sono stati aumentati gradualmente fino a 20 minuti, con appoggi monopodalici e bipodalici. In questo modo, ogni sessione inizialmente aveva una durata di un’ora la quale, a seconda della resistenza dei pazienti, poteva aumentare fino a quasi 90 minuti. I pazienti potevano prendersi il sufficiente riposo tra gli esercizi per rinfrescarsi e superare la fatica; essi avevano ricevuto inoltre spiegazioni esaustive sui metodi, i principi e i benefici degli esercizi per i pazienti con SM e erano stati incoraggiati a eseguirli con regolarità e per lunghi perieodi.

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39 (15 uomini e 24 donne) su 42 pazienti del gruppo di intervento sono riusciti a svolgere con regolarità gli esercizi e ad entrare nella seconda fase della ricerca; di questi, 35 hanno raggiunto la terza fase.

22 pazienti su 30 (7 uomini e 15 donne) del gruppo di controllo ha completato i test nella fase iniziale,mentre il punteggio di 20 pazienti è stato incluso nell'analisi finale.

La tabella 1 mostra le caratteristiche dei pazienti del gruppo di intervento e di controllo.

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E’ stato osservato un significativo miglioramento nel gruppo di intervento nella seconda parte dei test il quale si è invertito nella terza parte, quando gli esercizi sono stati fermati e quasi la maggior parte dei risultati dei test sono ritornati ai livelli iniziali. Il confronto con il gruppo di controllo che aveva una riduzione sensibile almeno nella terza parte rispetto alla prima, ha portato alla conclusione che la riabilitazione e l'esercizio fisico possono aiutare i pazienti e far diminuire le complicanze correlate alla malattia, almeno nel breve termine.

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I risultati dei test di EDSS non risultano significativi mentre i cambiamenti più evidenti riguardano il test di Berg. Cambiamenti in questo senso sono stati molto significativi e i pazienti hanno mostrato un miglioramento del loro equilibrio, molto importante per la prevenzione delle cadute e delle complicanze ad esse associate.

Per quanto riguarda il test sulla fatica, i pazienti del gruppo di intervento hanno mostrato miglioramenti significativi rispetto al gruppo di controllo. E’ opportuno tenere presente due aspetti: in primo luogo, la fatica è una conseguenza del processo patologico che non può essere modificata in modo significativo con l'esercizio; in secondo luogo l’affaticamento può essere considerato nel contesto della salute

generale dei pazienti e quindi può essere migliorato in seguito al miglioramento della condizione generale del paziente.

I cambiamenti nel Six-minutes Walking Test hanno seguito la tendenza generale di questo studio e hanno mostrato un aumento nella seconda fase e una diminuzione nella terza.

Per quanto concerne la qualità della vita dei pazienti, i risultati hanno mostrato che ci sono stati cambiamenti significativi nel gruppo di intervento rispetto al controllo nella seconda fase dello studio rispetto alla prima e alla terza fase sia per quanto riguarda la salute fisica che quella mentale.

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Questo studio evidenzia come l’esercizio fisico e lo sport sono preziosi per i pazienti con SM e possono portare ad evidenti miglioramenti. Ci sono differenze significative nella qualità della vita tra i pazienti che si sono esercitati e i controlli. Nel gruppo di intervento dopo nove mesi, i punteggi dei test ritornavano al livello di base.

Confrontando questo risultato con quello ottenuto nel gruppo di controllo il quale, invece, ha avuto una notevole diminuzione dal livello di base, si può concludere che la riabilitazione può essere di fondamentale importanza nel mantenere pazienti con SM in grado di svolgere le loro attività quotidiane.

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Come risultato più importante di questa ricerca, è necessario ricordare che la cessazione di esercizio e la mancanza di follow-up provoca il ritorno evidente dei sintomi e della disabilità e questo sottolinea la necessità di fare esercizi in maniera regolare e continua.

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CAPITOLO 3

SM IN BASILICATA: UNO STUDIO SPERIMENTALE

3.1 L’informazione che aiuta

In un mondo multimediale come quello attuale si può essere sopraffatti dalle

informazioni. Sia tra coloro che hanno avuto una diagnosi recente, sia tra coloro che da lungo tempo sono al corrente della loro patologia, ci sono molte persone con SM che non sanno nemmeno da dove iniziare a cercare le informazioni. Se da un lato internet può offrire un’enorme quantità di notizie sulla SM, dall’altro può anche essere una fonte di indicazioni inesatte, di parte, ingannevoli o confuse.

Oggi le persone con SM si connettono tra loro per socializzare e darsi sostegno reciproco, ma anche con gli operatori sanitari, per condividere esperienze personali e competenze. I social media possono essere uno strumento di connessione per persone che vivono in aree remote o in paesi con risorse sanitarie limitate. Possono anche essere una risorsa per imparare di più sulla malattia e per sentirsi legati ad altre persone affette, anche senza mai incontrarsi di persona. Questo può aiutare chi si sente isolato o discriminato nella vita quotidiana a sentirsi parte di qualcosa di più grande: la comunità mondiale della SM.

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L’informazione è comunemente definita come “ la conoscenza acquisita con lo studio, l’istruzione o l’esperienza”. Questa conoscenza modifica le prospettive e influenza la vita in molti modi. Chi è ben informato è più sicuro nel prendere una decisione rispetto a chi non lo è. Le informazioni ci preparano e danno fiducia

nell’affrontare qualunque imprevisto e non c’è da meravigliarsi dunque, che chi vive con una malattia come la SM, voglia acquisire il maggior numero possibile di

informazioni su di essa.

Nel tempo, ci siamo abituati a fare affidamento su canali specializzati nel fornire informazioni come la stampa, la televisione, la radio o alcune persone. Queste fonti sono ancora importanti, ma oggi non ci affidiamo più solo a loro in quanto ogni singolo individuo può essere considerato un “esperto” da cui attingere informazioni e imparare nuove cose. Le nostre esperienze individuali e i nostri punti di vista sono preziosi per gli altri; ciò che abbiamo imparato può aiutare qualcun altro e fargli risparmiare un po’ di tempo. In realtà, siamo sempre stati nello stesso tempo fornitori e consumatori di informazioni, ma i modi in cui le nostre esperienze possono essere condivise hanno ora una portata globale, così come un impatto immediato.

I social media forniscono molte delle piattaforme su cui condividiamo informazioni, permettendo agli individui e alle comunità di tutto il mondo di conversare. Facebook ha recentemente riferito di aver raggiunto 1,15 miliardi di utenti e ha milioni di applicazioni disponibili. Più di un miliardo di singoli utenti visita YouTube mensilmente, visualizzando più di sei miliardi di ore di video al mese, il che equivale a quasi un’ora per ogni individuo sul pianeta.

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Le nostre esperienze individuali e le nostre valutazioni stanno diventando, quindi, mezzi di comunicazione di massa.

Le statistiche indicano che molte persone cercano informazioni sulla salute online e i numeri sono più alti della media se si tratta di SM. Negli Stati Uniti è emerso che il 93% delle persone con SM utilizza internet cercando informazioni mediche online con una frequenza che è più del doppio rispetto alla media di una persona con una malattia cronica.

L’informazione è la base per vivere la miglior vita possibile con la SM e le persone sono sempre più alla ricerca di risposte online.

Con le informazioni in continua evoluzione, ciascuno è ancora più attivo nel costruire il suo bagaglio di conoscenze. Cerchiamo informazioni e conoscenze per affrontare meglio ciò che ci aspetta, ovunque si trovino. Condividiamo le lezioni apprese dal passato, informando gli altri su ciò che abbiamo vissuto e imparato.

L’apprendimento attivo, sia attraverso la ricerca sia tramite la condivisione di informazioni, ci aiuta a vivere meglio preparandoci a fare ciò che possiamo e a escludere rapidamente ciò che non possiamo fare. Le informazioni ci danno la forza per affrontare ciò che si presenta sulla nostra strada, compresa l’imprevedibilità della SM, con sintomi che nel tempo variano anche in intensità, oltre che da persona a persona e l’esperienza di ognuno è quindi unica.

Di fronte a questa realtà, ciascuno può sentirsi isolato, tradito dal proprio corpo e impotente di fronte alla malattia ma l’aspetto positivo è che questo corpo unico e imprevedibile è anche fonte di informazioni di vitale importanza per aumentare la

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consapevolezza di sé e le proprie capacità; dà forza all’individuo e a chi lo cura per gestire efficacemente la malattia.

E’ molto importante raccogliere e gestire queste informazioni, per utilizzarle al massimo nell’autogestione dei sintomi, per identificare e comunicare i bisogni e per migliorare la vita di chi ha la SM.

Un diario dei sintomi può essere uno strumento prezioso per l’autogestione della patologia. Il diario è il luogo dove registrare, su base giornaliera, i propri sintomi e la loro gravità, così come le attività (livello e tipo), le emozioni, l’ambiente

(temperatura, umidità), lo stress, il sonno e la dieta.

Con l’uso regolare di un diario dei sintomi, si può cominciare a riconoscere i fattori scatenanti e altri aspetti che altrimenti potrebbero passare inosservati. Ad esempio, se i sintomi sono di natura ciclica, costante, o progressivi oppure se si alleviano dopo particolari attività come l’esercizio fisico. Si può anche imparare a conoscere i propri picchi di attività nell’arco della giornata e cercare di organizzare i propri orari e lo stile di vita in modo da risparmiare energia e massimizzare la produttività.

Si possono stimare i tempi di recupero necessari dopo attività particolarmente stressanti o intense.

Ascoltando e notando le caratteristiche del proprio corpo e della propria salute, una persona con SM può prevedere e gestire meglio i sintomi e fare piccoli cambiamenti per migliorare la quotidianità.

Un diario dei sintomi è utile anche quando si parla con gli operatori sanitari infatti, un rapido esame del diario prima di un appuntamento può aiutare a decidere i punti di

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discussione prioritari e permette di dare un resoconto più preciso della propria

condizione e delle esigenze rispetto a quando ci si affida alla sola memoria. L’analisi di un diario dei sintomi con un medico può anche contribuire a determinare

l’efficacia e i possibili effetti collaterali dei farmaci.

Le informazioni acquisite in un diario permettono quindi di determinare le esigenze più personali e possono fornire indicazioni sulle piccole modifiche che potrebbero migliorare la vita con la SM.

Un semplice quaderno per registrare i sintomi e senz’altro sufficiente, tuttavia, le persone più “tecnologiche” possono utilizzare una delle tante applicazioni per smartphone (molte sono gratuite), che consentono accesso e analisi da qualsiasi luogo. Il miglior tipo di diario dei sintomi è, quindi, quello che ognuno trova di più facile accesso e che può essere utilizzato regolarmente.

Oltre a migliorare l’autogestione dei sintomi, le informazioni raccolte in un diario sono utili per sostenere la propria salute attuale e futura.

La conoscenza è una forma di autosostegno, condividere la propira storia dà molta forza, parlare della propria vita con la SM aumenta la consapevolezza, induce gli altri a dare il loro aiuto e spesso è gratificante. Comunicare esigenze specifiche è un altro esempio di autosostegno. Le persone sono più propense a offrire assistenza se sono indicate modalità specifiche di aiuto. I singoli dovrebbero essere in grado di

comunicare in modo preciso ciò di cui hanno bisogno, quello che qualcuno può fare per essere d’aiuto e come ciò sarebbe di beneficio. È utile cercare di conformare una richiesta alle possibilità, alle competenze e agli interessi di chi aiuta. Questa

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strategia funziona con gli amici, la famiglia, i membri della comunità e del governo. Per una persona con SM, le informazioni fornite dal proprio corpo sono della

massima importanza. Queste informazioni sono il segreto per un’autogestione efficace dei sintomi, per una comunicazione con gli altri che funzioni, per una migliore interazione con i medici e per un maggior senso di fiducia.

La tecnologia può servire anche per tenere traccia delle attività, come il numero dei passi effettuati in un giorno, i dati sugli esercizi e anche i movimenti durante il sonno. Questo può essere utile per una persona con SM e per chi la cura per valutare lo

stato attuale, migliorare gli esercizi di routine e monitorare i cambiamenti nel tempo. Vista l’importanza dell’informazione intesa come conoscenza acquisita con lo studio, l’istruzione o l’esperienza e la sua capacità di influenzare le prospettive e di

modificare la qualità della vita, ho elaborato un questionario proprio con l’obbiettivo di raccogliere informazioni e acquisire conoscenze riguardo l’attività fisica praticata dai soggetti con SM.

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