• Non ci sono risultati.

Confronto fra test provocativi durante la manometria esofagea ad alta risoluzione per lo studio della riserva funzionale dell'esofago: studio prospettico in pazienti affetti da motilita esofagea inefficace

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Confronto fra test provocativi durante la manometria esofagea ad alta risoluzione per lo studio della riserva funzionale dell'esofago: studio prospettico in pazienti affetti da motilita esofagea inefficace"

Copied!
80
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea

Confronto fra test provocativi durante la manometria esofagea

ad alta risoluzione per lo studio della riserva funzionale dell’esofago:

studio prospettico in pazienti affetti da motilità esofagea inefficace

Relatore: Candidato:

Chiar.mo Prof. Santino Marchi

Alberto Marchese

Correlatore:

Dr. Nicola de Bortoli

(2)

INDICE

Pagina

Introduzione _________________________________________________ 1

1. Fisiologia della deglutizione ___________________________________ 4

1.1 Fasi della deglutizione _________________________________________________ 4

Fase Preparatoria e Fase Orale __________________________________________ 4

Fase Faringea ________________________________________________________ 4

Fase Esofagea ________________________________________________________ 6 1.2 Inibizione deglutitoria e refrattarietà muscolare _____________________________ 8 1.4 Generatore di programma centrale (CPG) ________________________________ 12 1.5 Meccanismo neurale e miogeno della peristalsi ____________________________ 14

2. Manometria esofagea _______________________________________ 19

2.1 Manometria standard a perfusione d’acqua _______________________________ 19 2.2 Manometria ad alta risoluzione a stato solido (HRM) _______________________ 21 2.3 Indicazioni manometria ad alta risoluzione a stato solido (HRM) ______________ 23 2.4 Protocollo di esecuzione manometria esofagea ____________________________ 27 2.5 Parametri rilevati e calcolati ___________________________________________ 32

3. Classificazione di Chicago (CC) v3.0 __________________________ 38

4. Ineffective Esophageal Motility (IEM): Patogenesi _______________ 48

4.1 Sclerodermia e altre connettiviti ________________________________________ 48 4.2 Malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) ______________________________ 50 4.3 Diabete Mellito _____________________________________________________ 51

(3)

5. Studio clinico ______________________________________________ 54

5.1 Scopo _____________________________________________________________ 54 5.2 Materiali e Metodi ___________________________________________________ 54 5.3 Risultati ___________________________________________________________ 59 5.4 Discussione ________________________________________________________ 63 5.5 Conclusioni ________________________________________________________ 66

Bibliografia _________________________________________________ 67

(4)

Introduzione

La deglutizione è un processo che quotidianamente una persona attua circa una volta ogni minuto, arrivando quindi nell’arco delle 24h ad effettuare fino a 1400 deglutizioni.

Dietro questo apparentemente semplice atto, c’è un complesso sistema fisiologico, che richiede per una corretta funzione, integrità e sinergismo tra le sue diverse componenti anatomiche: miogene, osteocartilaginee e nervose.

Nonostante la motilità esofagea possa essere valutata mediante diverse modalità di registrazione quali tecniche radiografiche, scintigrafia e monitoraggio dell’impedenza elettrica intraluminale, ad oggi lo studio con la manometria a stato solido ad alta risoluzione (HRM) rappresenta il gold standard per la valutazione della funzionalità motoria esofagea.

Il ruolo della manometria esofagea è quello di consentire la registrazione della pressione endoluminale dell’esofago al fine di analizzare i pattern motori fisiologici ed eventuali disturbi dovuti ad una loro alterazione.

La manometria ad alta risoluzione utilizza una strumentazione costituita da un sistema di acquisizione e uno di rappresentazione. Il sistema di acquisizione è costituito da un sondino dotato di 36 estensimetri elettrici a resistenza, ravvicinati fra loro e sensibili circonferenzialmente alle variazioni di pressione. Il sistema di rappresentazione si avvale di un meccanismo di interpolazione tra i rilevatori che permette di ottenere un plot pressorio topografico (esophageal pressure topography plot, EPT). L’EPT è visualizzabile su un monitor, sul cui piano le ascisse indicano il tempo, le ordinate indicano la distanza lungo il sondino e quindi lungo l’esofago, e la differente colorazione del plot indica i diversi valori pressori su una scala cromatica che varia dal blu per valori pressori bassi al rosso/viola per valori pressori alti.

(5)

Al fine di una corretta classificazione clinica dei disturbi della motilità esofagea si è dimostrata fondamentale la necessità di stabilire criteri manometrici precisi e standardizzati che permettessero la definizione dei disturbi motori esofagei.

Tramite l’esecuzione di un protocollo standardizzato e internazionalmente riconosciuto è possibile analizzare i parametri che ci permettono di diagnosticare e classificare i disturbi della motilità esofagea.

La classificazione di Chicago V3.0 permette di classificare i disturbi della motilità esofagea in maniera universale.

Il disturbo definito come motilità esofagea inefficace (IEM) è classificato all’interno dei disturbi minori nella CC V.30 e rappresenta una delle diagnosi più frequenti durante gli studi con HRM, arrivando ad una prevalenza stimata su valori del 20-30% [1]

L’ IEM è definita dalla presenza del 50% o più di onde che risultano fallite (DCI, <100 mmHg-s-cm) o deboli (DCI <450 mmHg-s-cm) durante il protocollo standard della manometria ad alta risoluzione (HRM).

Il ventaglio di manifestazioni cliniche con cui questa condizione (IEM) può manifestarsi da un punto di vista sintomatologico varia da paziente a paziente, arrivando in alcuni studi a discutere anche la possibile suddivisione clinica in due sottotipi dei pazienti con IEM: un primo tipo più grave (IEM-P) più frequente nell’uomo anziano, con malattia da reflusso più avanzato, un più debole LES, e una peggior risposta ai PPI, e un secondo tipo, IEM-A in cui è presente una clinica meno severa. Si ritiene che IEM-P rappresenti una manifestazione più avanzata rispetto al tipo IEM-A [2].

Da quanto descritto si evince come vi possa essere la necessità di ottenere ulteriori informazioni tramite l’esecuzione dei test provocativi e come questi risultino utili come supporto durante lo studio manometrico, permettendo di identificare quei pazienti clinicamente rilevanti tramite la valutazione del vigore della riserva esofagea post-MRS [3].

(6)

Nello studio clinico di questa tesi sono stati proposti entrambi i test provocativi: sia il test a basso volume (10 ml) Multiple Rapid Swallow (MRS), sia il test ad alto volume (200ml), Rapid Drinking Test (RDT) per analizzare la riserva peristaltica esofagea.

I dati emergenti suggeriscono che l'uso di test provocativi durante lo studio con HRM, come il Multiple Rapid Swallow (MRS) o il Rapid Drinking Test (RDT), aumenti la sensibilità per l'individuazione di anomalie della motilità esofagea [4] [5]. In particolare, studi precedenti hanno dimostrato che l’MRS è un semplice test provocativo che permette la valutazione della riserva peristaltica dei muscoli lisci esofagei [6] [7].

Quale test potrebbe rappresentare meglio la riserva peristaltica esofagea è ancora una questione di discussione. Lo scopo di questo studio è quello di confrontare il valore diagnostico del MRS e RDT nei pazienti con IEM, e individuare quale dei due test sia più affidabile per la valutazione della riserva funzionale esofagea.

(7)

1. Fisiologia della deglutizione

La deglutizione è l’atto fisiologico che permette il passaggio del bolo dalla cavità orale fino allo stomaco. Questo atto può essere suddiviso in quattro fasi: preparatoria, orale, faringea, esofagea. Ognuna di queste fasi richiede per una corretta attività un preciso coordinamento tra diverse componenti anatomiche: neurali, osteocartilaginee e miogene.

1.1 Fasi della deglutizione

Una deglutizione può essere suddivisa in quattro fasi: • Preparatoria

• Orale • Faringea • Esofagea

Fase Preparatoria e Fase Orale

Durante la fase preparatoria, il bolo alimentare rimane nella cavità orale, masticato e mescolato con la saliva, ridimensionato, modellato e posizionato sul dorso della lingua.

Nella fase orale la contrazione sequenziale o peristaltica della lingua contro il palato duro e molle genera un’onda di pressione peristaltica che spinge il bolo nella faringe.

Fase Faringea

Con la fase faringea inizia la fase involontaria della deglutizione. L’elevazione del palato molle durante la fase orofaringea sigilla la nasofaringe per prevenire il rigurgito nasale. La contrazione del muscolo sopraioideo causa l’elevazione e il movimento in avanti della laringe, della faringe e dello sfintere esofageo superiore (UES) che provocano l’avvicinamento della laringe contro l’epiglottide. Allo stesso tempo, la contrazione dei muscoli laringei intrinseci comporta la chiusura dell’ingresso laringeo per fornire un

(8)

La chiusura della laringe è di fondamentale importanza durante la deglutizione. Esiste un sistema a tre livelli per la protezione delle vie aeree durante l’atto di deglutizione. Il sistema di protezione è costituito da: (1) adduzione delle corde vocali vere e delle cartilagini aritenoidi, (2) avvicinamento verticale delle cartilagini aritenoidi chiuse alla base dell’epiglottide, e (3) la discesa dell’epiglottide per coprire la glottide chiusa, chiudendo il vestibolo laringeo [9]. La laringe è elevata da 2 a 3 cm durante una deglutizione e si trova sotto la base della lingua all’altezza della sua escursione, un passo chiave nel meccanismo di protezione delle vie aeree. Una normale fase orofaringea è costituita dal trasferimento completo del contenuto orale nell’esofago senza altri ingressi all’interno della laringe.

Il movimento della testa del bolo nella faringe e la peristalsi della faringe sono due eventi distinti e separati. La spinta causata dalla peristalsi della lingua spinge rapidamente la testa del bolo nella faringe. D’altra parte, la peristalsi faringea che segue la coda del bolo elimina lo stesso dalla faringe in maniera relativamente lenta (circa 1 secondo). La chiusura della nasofaringe e della laringe è già avvenuta quando la testa del bolo entra nella faringe. Il muscolo miloioideo è il primo ad attivarsi quando si deglutisce [10], e viene seguito dalla contrazione di altri muscoli sopraioidei [11] [12]. Lo sfintere esofageo superiore (UES) si rilassa 0.3 secondi dopo l’inizio della contrazione muscolare miloioidea e prima dell’arrivo della testa del bolo. Bisogna ricordare che non tutte le parti della cascata della deglutizione sono programmate in maniera stereotipata, infatti l’aumento del volume del bolo determina un aumento della durata dell’apertura UES, dell’escursione dell’osso ioide [13] [14], e dell’ampiezza della peristalsi faringea [15].

Con l’arrivo del bolo nella faringe c’è un piccolo aumento della pressione faringea, che probabilmente fornisce la forza che distende e apre l’UES. Un volume di bolo da 1 a 20 ml aumenta la pressione del bolo da 5 a 17 mmHg [16].

(9)

La peristalsi faringea segue la coda del bolo e rappresenta la parte più lenta del meccanismo di trasporto del bolo attraverso la faringe. La velocità della peristalsi è di circa 15 cm/sec nella faringe e l’onda di contrazione richiede 1 secondo per passare dalla cima della faringe all’UES. L’ampiezza della contrazione faringea nei soggetti normali varia da 100 a 150 mmHg.

Fase Esofagea

I primi studi sui meccanismi della deglutizione esofagea risalgono al 1883 con Kronecker ed il suo studente Meltzer. I due studiosi ritenevano che l’esofago fosse principalmente un condotto che passivamente trasportava il bolo verso lo stomaco [17].

Ingelfinger [18] nel 1958 evidenziò, con uno studio di fluoroscopia, la presenza di un’onda peristaltica esofagea in volontari sani che deglutivano un bolo di bario in posizione antigravitaria. Successivi studi fluoroscopici [19] [20] evidenziarono come in realtà entrambi i meccanismi siano presenti. Infatti, in posizione eretta, la testa del bolo e la maggior parte del “corpo” vengono trasportati per gravità, ma la coda viene spinta verso il basso da una contrazione peristaltica. In posizione antigravitaria anche il corpo del bolo è spinto dall’onda peristaltica. Le conoscenze attuali descrivono la peristalsi esofagea suddividendola in un pattern motorio aborale e uno orale: il primo porta il bolo verso lo stomaco tramite la peristalsi primaria e secondaria, il secondo, cioè l’orale, trasporta i contenuti dello stomaco verso l’esofago e la bocca. Il pattern motorio orale è rappresentato da atti come l’eruttazione, rigurgito o vomito. Per quanto riguarda il pattern motorio aborale è costituito da:

• Peristalsi primaria: dopo la propulsione del bolo tramite il UES da parte dell’onda peristaltica faringea, ha inizio un’onda di inibizione che si diffonde rapidamente e in maniera progressiva lungo tutto l’esofago, seguita da una

(10)

contrazione sequenziale della muscolatura esofagea che permette il passaggio di gran parte del bolo attraverso l’esofago fino a farlo passare attraverso il LES rilassato.

• Peristalsi secondaria: questa onda peristaltica è provocata da un eventuale residuo di cibo nel canale esofageo. A differenza della peristalsi primaria non è associata a peristalsi faringea e rilassamento del UES. Il controllo nervoso della peristalsi secondaria è centrale per quanto riguarda la porzione di muscolatura striata, come nella peristalsi primaria [21], mentre per la porzione liscia del muscolo è un riflesso locale, mediato dal sistema neurale intrinseco e dal vago. Il trigger per l’inizio di tale peristalsi, quindi, è la distensione della parete esofagea: essa determina tramite il plesso mienterico e le fibre afferenti del vago, una stimolazione a livello bulbare che si espleta in uno stimolo vagale efferente con l’attivazione di neuroni inibitori secernenti ossido nitrico a valle del punto di dilatazione [22].

Nello stato di veglia, un soggetto normale deglutisce una volta al minuto e la sequenza degli eventi deglutitori si ripete in maniera monotona. Bisogna ricordare però, così come precedentemente citato nella peristalsi secondaria e come avviene nella peristalsi faringea, che la peristalsi può non coinvolgere l’intero apparato di deglutizione. Se si infondono piccole quantità d’acqua direttamente nella faringe, l’onda di contrazione inizia nella faringe senza la componente orale e si propaga attraverso l’esofago come nella peristalsi primaria. La peristalsi secondaria in condizioni fisiologiche è osservata o con il bolo trattenuto nell’esofago o con la distensione associata al reflusso gastroesofageo.

(11)

In entrambe queste condizioni, l’onda di contrazione inizia sopra il bolo e procede distalmente spingendo il bolo nello stomaco senza coinvolgere interamente la parte dell’esofago prossimale al bolo, la faringe o la cavità orale.

1.2 Inibizione deglutitoria e refrattarietà muscolare

Da quanto detto fino ad ora, si evince come una corretta fase esofagea necessiti di un corretto sinergismo tra la componente inibitoria e quella contrattile. Due importanti processi, insieme a quella che è la contrazione esofagea, che verrà descritta nel paragrafo 1.3, sono rappresentati dall’inibizione deglutitoria e dalla refrattarietà muscolare.

Ogni deglutizione induce una contrazione peristaltica che attraversa l’intera lunghezza dell’esofago in circa 6-10 secondi. Tuttavia, se il soggetto deglutisce per la seconda volta, prima che la contrazione dovuta alla prima deglutizione abbia la possibilità di completare il proprio percorso attraverso l’esofago, cioè entro 4-6 secondi, la seconda deglutizione inibisce la contrazione che sarebbe stata prodotta dalla prima deglutizione. Più deglutizioni in rapida successione, cioè ad intervalli strettamente distanziati, generano solo una contrazione peristaltica che segue l’ultima deglutizione [23] [24] [25] e che rappresenta quella che viene chiamata riserva contrattile esofagea. Questo meccanismo viene valutato nell’esame diagnostico effettuato con HRM durante i test provocativi e discussi in dettaglio nel capitolo 2. Quello che succede durante tutto il periodo delle deglutizioni multiple è che l’esofago rimane silenzioso e il LES rimane rilassato. Questo fenomeno rappresenta l’inibizione deglutitoria e permette di bere fluidi velocemente in quanto la laringe rimane elevata, lo sfintere esofageo superiore rimane aperto, la faringe può o meno contrarsi e l’esofago e il LES restano rilassati [26]. L’esofago diventa in questo modo un semplice condotto per il trasferimento del liquido spinto dall’orofaringe nello stomaco. Se una persona deglutisce per la seconda volta (entro 10 secondi) subito dopo la conclusione della prima

(12)

inferiore rispetto alla prima deglutizione, questo avviene per il fenomeno della refrattarietà del muscolo esofageo [24] [25] (Figura 1).

Figura 1: Inibizione deglutitoria (A) e refrattarietà muscolare esofagea (B) registrata con tecnica HRM

L’inibizione della deglutizione nell’esofago caratterizzato da muscolatura scheletrica può essere spiegata sia attraverso l’inibizione delle scariche neuronali provenienti dal tronco encefalico sia tramite un meccanismo periferico. Studi dimostrano che in maniera analoga alle deglutizioni rapide e ripetute in un breve lasso di tempo, la stimolazione elettrica ad alta frequenza dell’estremità periferica del nervo vago e la stimolazione intramurale delle fibre muscolari lisce in vitro inducono un periodo di inibizione durante la stimolazione e la contrazione si verifica dopo l’ultimo stimolo. La stimolazione a bassa frequenza del vago, invece, induce contrazione in seguito al primo e all’ultimo stimolo, generando delle onde di contrazione di tipo “on” “off”. Lo stesso è stato osservato negli esperimenti su fibre muscolari striate. Il verificarsi di contrazioni “on” “off” è spiegato attraverso l’inibizione e la refrattarietà muscolare. Durante la stimolazione ad alta frequenza si ha una forte inibizione iniziale, infatti il secondo stimolo, subito dopo il primo, inibisce la contrazione indotta da quest’ultimo; mentre durante la stimolazione a bassa frequenza la refrattarietà del muscolo dovuta al primo stimolo, ne impedisce la contrazione derivante dal secondo.

Lungo tutto l’esofago sono presenti gradienti di refrattarietà e di inibizione che risultano maggiori a livello dell’esofago distale [27], questo permette una corretta propagazione dell’onda peristaltica in direzione cranio-caudale [28] [29] [30]. Il meccanismo neurale alla base dell’inibizione verrà approfondito nel paragrafo 1.5.

(13)

1.3 Peristalsi esofagea

Prima di trattare la peristalsi esofagea bisogna innanzitutto descrivere l’anatomia delle strutture muscolari che compongono quest’organo, in modo da poter delineare con più facilità come quest’ultime si comportano durante la fase peristaltica.

Simile al resto del tratto gastrointestinale, l’esofago è costituito da diversi strati: mucosa, a sua volta costituita da (epitelio di rivestimento pavimentoso stratificato non

cheratinizzato, tonaca propria e muscolaris mucosae), sottomucosa, tonaca muscolare e

tonaca avventizia. La muscolaris mucosae è sottile, con spessore da due a tre cellule, e orientata sull’asse longitudinale. La tonaca muscolare, chiamata anche muscolare esterna è costituita da uno strato muscolare organizzato in strati muscolari più interni circolari e quelli più esterni longitudinali, ognuno dei quali ha uno spessore di alcune cellule. Sia gli strati muscolare circolari che longitudinali, sulla base delle immagini a ultrasuoni, sono circa 0.75 mm di spessore nelle condizioni di riposo nell’uomo [31] [32]. Il muscolo circolare si continua all’estremità craniale con il muscolo cricofaringeo e con il costrittore faringeo inferiore e all’estremità caudale con i muscoli del LES. Lo strato muscolare longitudinale deriva dai margini dorsali, superiori e laterali della cartilagine cricoidea sotto forma di due fasci chiamati tendini cricoesofagei, lasciando uno spazio triangolare nella sua faccia più craniale e posteriore (triangolo di Laimer). Mentre le fibre procedono caudalmente, circondano completamente il muscolo circolare e all’estremità inferiore continuano nei muscoli circolari del LES. Lo strato muscolare longitudinale è più spesso del muscolo circolare nella sua parte prossimale, ma i due strati sono uguali nella loro estensione distale.

Gli studi istologici mostrano che le fibre muscolari sono disposte a spirale nella parte prossimale. Grazie all’imaging con tensore di diffusione in risonanza magnetica, si è visto come le fibre assumano disposizione, nell’esofago bovino, a spirale nella parte prossimale, ma distalmente sono disposte lungo l’asse longitudinale e circolare [33] (Figura 2).

(14)

L’esofago è unico, diverso da qualsiasi altro organo del corpo. È costituito da muscoli parzialmente scheletrici e parzialmente lisci. La parte superiore è interamente composta da muscolatura scheletrica, la parte centrale è una miscela di muscoli scheletrici e lisci, e la parte inferiore, 11 cm di lunghezza, è completamente costituita da muscolatura liscia. Lo sfintere esofageo superiore è composto da muscoli scheletrici, mentre lo sfintere esofageo inferiore da muscoli lisci.

Nella peristalsi, gli strati muscolari, longitudinali e circolari si contraggono in modo preciso e coordinato [34] [35]. La contrazione prossimale al bolo interessa entrambi gli strati [36] così come entrambi gli strati sono sottoposti ad inibizione sulla parte caudale del bolo, come evidenziato dai cambiamenti di distanza dei marcatori radio-opachi impiantati lungo la lunghezza dell’esofago (utilizzati per misurare la contrazione muscolare longitudinale) (Figura 3) [37].

Figura 2: Trattografia DSI che dimostra la microarchitettura tridimensionale dell'esofago

Figura 3 Schema di contrazione e distensione durante la peristalsi causata dalla deglutizione. Si può notare come la pressione e la contrazione degli strati muscolari (MCSA), precedano la distensione distale.

(15)

Il motivo per cui i due strati muscolari si contraggono insieme è dovuto ad una serie di vantaggi che questo sinergismo comporta. Se da un lato l’azione della muscolatura circolare è responsabile della propulsione del bolo, dall’altro la contrazione degli strati muscolari longitudinali compatta gli anelli dei muscoli circolari nel sito della contrazione, ciò aumenta la massa muscolare e l’efficienza della contrazione muscolare circolare [38] [39]. Inoltre, l’aumento dello spessore muscolare nel punto di contrazione riduce lo stress parietale esofageo impedendo un effetto “aneurisma” dell’esofago.

1.4 Generatore di programma centrale (CPG)

Studi su animali decerebrati [10] [40] hanno dimostrato come una deglutizione possa essere indotta da una stimolazione meccanica della faringe o tramite stimolazione elettrica del nervo laringeo superiore; ciò ha permesso di capire che un insieme di impulsi programmato, localizzato a livello del tronco encefalico, coordina gli eventi connessi alla deglutizione. Tale insieme di impulsi viene indicato con il nome di generatore di programma

centrale (CPG) [41] o generatore di programma di deglutizione (SPG) [42].

Le strutture del CPG comprendono due gruppi principali di neuroni localizzati nel midollo allungato: un gruppo dorsale (DSG) situato all’interno del nucleo del tratto solitario (NTS) adiacente alla formazione reticolare e un gruppo ventrale (VSG) localizzato nel midollo ventrolaterale (VLM) adiacente al nucleo ambiguo (Figura 4). Il DSG contiene i neuroni generatori coinvolti nell’innesco della forma e della temporizzazione del pattern di deglutizione sequenziale. Il VSG contiene i neuroni di commutazione, che distribuiscono il comando di deglutizione ai vari pool di neuroni motori coinvolti nella deglutizione (V, VII X e XII nervo cranico). I neuroni di questi nuclei oltre alla funzione di deglutizione sono coinvolti anche nei processi respiratori, nei riflessi cardiovascolari e in altre funzioni. Inoltre

(16)

grado di modificare l’ampiezza delle contrazioni, la velocità della peristalsi e persino la polarità della contrazione esofagea (peristalsi o antiperistalsi) [43].

Al NTS giungono le proiezioni sopra midollari ascendenti e midollari locali, oltre a ricevere proiezioni discendenti dai centri sopramidollari e corticali. I siti sopramidollari possono influenzare il CPG [44] [45], costituendo quello che è il controllo volontario corticale della deglutizione. Gli input provenienti dalla periferia possono modulare la peristalsi: ad esempio le deglutizioni liquide rispetto alle deglutizioni secche provocano una maggiore ampiezza delle contrazioni e una minore velocità di peristalsi [46] [47]. La viscosità del bolo riduce la velocità di peristalsi [48]. Anche la temperatura del bolo ha effetti significativi: il bolo caldo aumenta l’ampiezza della contrazione e il verificarsi della peristalsi [49] [50] [51].

Il nucleo del tratto solitario non è però solo una semplice stazione di relè del vago e degli afferenti simpatici, ma è in grado di esercitare un controllo tonico inibitorio sui neuroni premotori del nucleo motorio dorsale del vago [52] [53].

(17)

1.5 Meccanismo neurale e miogeno della peristalsi

I principali attori della peristalsi, come descritti in parte nei paragrafi precedenti, sono la corteccia, il generatore di programma centrale (CPG), il nucleo dorsale motorio del nervo vago nel tronco cerebrale, il nervo vago, il plesso mioenterico con neuroni inibitori e eccitatori, e la componente miogena, costituita dagli strati muscolari circolari e longitudinali. Tutte queste strutture agiscono secondo un preciso meccanismo neurale e miogeno, che possiamo suddividere in centrale e periferico.

Prima della descrizione di questi meccanismi è opportuno, ai fini di una miglior comprensione degli argomenti seguenti, descrivere brevemente l’innervazione dell’esofago.

L’innervazione dell’esofago è costituita da un sistema intrinseco e uno estrinseco.

Il sistema nervoso intrinseco è costituto dal plesso mioenterico di Auerbach, con i

neuroni eccitatori contenenti acetilcolina e sostanza P e neuroni inibitori contenenti ossido nitrico e VIP, e dal plesso di Meissner, responsabile della regolazione di secrezione e motilità della muscolaris mucosae [54] [55]. Inoltre troviamo le cellule interstiziali di Cajal (ICC), presenti in un numero crescente dall’estremità cranica a quella caudale dell’esofago [56] [57] [58]. Le ICC fungono da intermediari tra neuroni e muscoli lisci nella trasmissione neuromuscolare [59] [60].

Il sistema nervoso estrinseco è costituito da nervi simpatici e parasimpatici. Il nervo vago è il nervo motore principale dell’esofago, provvedendo anche all’innervazione secreto-motoria delle ghiandole. I corpi cellulari si trovano nel nucleo motore dorsale del vago (DMN) e nel nucleo ambiguo. Le fibre provenienti dal nucleo ambiguo sono responsabili dell’innervazione della parte muscolare striata dell’esofago. Le fibre proveniente dal DMN vanno invece a innervare la porzione muscolare liscia dell’esofago. A livello del DMN

(18)

eccitatori postgangliari del plesso mienterico, e fibre a breve latenza che creano sinapsi con i neuroni postgangliari inibitori nitrergici del plesso mienterico. Il vago inoltre permette anche la percezione afferente meccano-sensoriale della parete esofagea [61].

I nervi simpatici provengono dalla colonna intermedio-laterale del midollo spinale da T1 a T10, e modula la contrazione dei vasi sanguigni, il tono dello sfintere esofageo, rilassamento della parete muscolare e anche secrezioni ghiandolari.

Il meccanismo centrale della peristalsi è mediato attraverso il tronco encefalico, anche se sia la deglutizione volontaria sia la deglutizione faringea (riflessiva) sono associate all’attivazione di diverse aree corticali. Queste includono la corteccia motoria e sensitiva, il giro cingolato anteriore, la corteccia insulare, il cuneo e la regione precuneale [44]. Queste aree corticali sono correlate alla fase orale volontaria, all’aspetto sensoriale della deglutizione e non al rilassamento dello sfintere esofageo superiore e inferiore e alla genesi della peristalsi. Il nervo vago, i cui corpi cellulari si trovano nel nucleo motore dorsale del vago e nel nucleo ambiguo rappresenta il nervo motore principale dell’esofago. È necessaria l’attività coordinata di entrambe le fibre vagali, a breve e a lunga latenza, per una corretta peristalsi esofagea, infatti, come già accennato nel paragrafo 1.3, una corretta deglutizione necessità di una attivazione, prima delle fibre nitrergiche brevi inibitorie, che inibiscono l’attività motoria dell’esofago, e successivamente dei neuroni eccitatori colinergici [62].

L’importanza del nervo vago è evidenziata da come la vagotomia cervicale bilaterale elimina la peristalsi nell’esofago, permettendo di capire anche come, sia il tronco cerebrale, sia il centro di deglutizione che il generatore del programma centrale (CPG) abbiano ruoli cruciali nella genesi della peristalsi, e già discussi nel paragrafo 1.3. La peristalsi secondaria indotta dalla distensione della muscolatura scheletrica, è anch’essa mediata attraverso il tronco encefalico e il nervo vago [63].

(19)

Diverse osservazioni sostengono che i meccanismi della peristalsi risiedano perifericamente, nello specifico nella parete esofagea.

In primo luogo, stimolando elettricamente l’estremità cervicale del nervo vago, che senza dubbio sappiamo stimola tutte le fibre efferenti vagali contemporaneamente ed elimina la possibilità di attivazione sequenziale di fibre efferenti vagali, è in grado di determinare la contrazione peristaltica a seconda dei parametri di stimolo elettrico [43] (Figura 5A).

In secondo luogo, l’esofago muscolare liscio rimosso dall’animale e collocato in vitro (primo di innervazioni estrinseche) dimostra la peristalsi secondaria, con contrazioni ascendenti e rilassamento discendente [64].

In terzo luogo le strisce muscolari circolari studiate in vitro mostrano un gradiente di latenza crescente dalla direzione craniale a quella caudale [65] [66] (Figura 5B).

Quindi, quando i muscoli di diversi livelli dell’esofago vengono stimolati nello stesso momento, questi si contraggono in tempi diversi al termine dello stimolo elettrico. Si parla di periodo di latenza, che è in grado di determinare la formazione di una contrazione

Figura 5: Meccanismo di peristalsi nell'esofago muscolare liscio. (A) Peristalsi ottenuta tramite stimolazione del nervo vago. (B) Stimolazione elettrica contemporanea delle fibre muscolari dei diversi livelli dell’esofago che permette di osservare i diversi tempi di latenza.

(20)

muscolari, prive di innervazioni estrinseche, hanno un periodo di latenza più lungo nell’esofago distale rispetto alla parte prossimale. Inoltre sia la pinzatura meccanica che la distensione dell’esofago in vitro evocano la peristalsi del muscolo liscio, suggerendo come il meccanismo periferico risieda nella parete esofagea [67] [68].

Durante il periodo effettivo di stimolazione (elettrica – vagale/intramurale o meccanica) o il periodo di latenza, le registrazioni intracellulari dei muscoli lisci mostrano iperpolarizzazione seguita da depolarizzazione e spike [69] [70]. L’iperpolarizzazione è equivalente all’inibizione o al rilassamento muscolare e la depolarizzazione con spike è l’equivalente della contrazione muscolare. Il periodo di latenza così come l’iperpolarizzazione sono indotti dall’attivazione dei nervi inibitori attraverso il rilascio di ossido nitrico [71]. D’altra parte non è chiaro se la depolarizzazione e gli spike siano dovuti a un fenomeno di rimbalzo passivo dall’iperpolarizzazione o dal rilascio di un neurotrasmettitore eccitatorio (acetilcolina). Si ritiene che la depolarizzazione indotta dal nervo dipenda dalla produzione di eicosanoidi. Con un aumento della frequenza degli stimoli elettrici, il periodo di latenza diminuisce nell’esofago prossimale ma aumenta nell’esofago distale. Inoltre, il periodo di latenza nell’esofago prossimale è più suscettibile all’atropina (anticolinergica) rispetto all’esofago distale [72]. Sulla base di queste osservazioni, si ritiene che l’innervazione colinergica sia più presente nell’esofago prossimale, mentre quella nitrergica lungo l’esofago distale [72]. In realtà anche se questa osservazione sembra coerente con la dimostrazione anatomica dei gradienti di densità del plesso mioenterico lungo la parete esofagea, i numeri dei neuroni positivi all’acetilcolinesterasi non differiscono nella struttura dell’esofago [73].

(21)

Per quanto riguarda i meccanismi di controllo della muscolatura longitudinale, questi si differenziano da quelli della muscolatura circolare.

La stimolazione del vago induce la contrazione dell’esofago muscolare longitudinale che dura per l’intera durata dello stimolo, al contrario delle risposte “on” “off” della muscolatura circolare descritte nel paragrafo 1.3.

La stimolazione della terminazione centrale del nervo laringeo superiore induce una contrazione peristaltica indotta dai muscoli longitudinali e circolari [74].

Allo stesso modo, la peristalsi causata da una deglutizione induce la contrazione peristaltica in entrambi gli strati muscolari, suggerendo che la peristalsi nel muscolo longitudinale viene mediata all’interno del generatore di programma centrale.

A differenza dei muscoli circolari che mostrano l’iperpolarizzazione con la deglutizione, i muscoli longitudinali mostrano depolarizzazione, suggerendo l’assenza di meccanismi inibitori periferici nel muscolo longitudinale [70]. Tuttavia, gli studi dimostrano il rilassamento del muscolo longitudinale distale al sito di distensione esofagea in vivo [36], in vitro e con deglutizioni ripetitive [75], suggerendo la possibilità che vi sia effettivamente un meccanismo periferico di inibizione dei muscoli longitudinali.

I muscoli lisci del LES e i muscoli scheletrici del diaframma crurale sono stati anche definiti sfinteri esofagei inferiori interni ed esterni [76] [77].

Il LES è sotto il controllo dei nervi autonomi, del plesso mioenterico e del suo tono miogeno. D’altra parte, il diaframma crurale, come tutti gli altri muscoli scheletrici, non ha tono miogeno e si contrae attraverso scariche neurali proveniente da nervi somatici (nervo frenico).

(22)

2. Manometria esofagea

Nel corso dei decenni, le tecniche di registrazione e di analisi della funzionalità motoria esofagea sono notevolmente migliorate. Il progresso tecnologico ottenuto è sorprendente: nel 1846 il primo macchinario ad essere utilizzato in tale ambito è stato il chimografo, un apparecchio in grado di registrare le variazioni di pressione su un foglio affumicato con nerofumo, successivamente siamo passati alla manometria a perfusione d’acqua con registratore su carta, fino ad arrivare alla manometria esofagea ad alta risoluzione a stato solido (HRM), che rappresenta, ad oggi, il gold standard per la valutazione della funzionalità motoria esofagea.

Bisogna tener presente che la motilità esofagea può essere valutata anche mediante altre modalità di registrazione quali tecniche radiografiche, scintigrafia e monitoraggio dell’impedenza elettrica intraluminale.

Il ruolo della manometria esofagea è quello di consentire la registrazione della pressione endoluminale dell’organo al fine di analizzare i pattern motori caratteristici dell’esofago ed eventuali disturbi dovuti ad una loro alterazione.

La manometria esofagea può essere eseguita con due metodiche, la manometria standard a perfusione d’acqua e la più recente manometria ad alta risoluzione a stato solido.

2.1 Manometria standard a perfusione d’acqua

La manometria standard a perfusione di acqua utilizza un sondino multilume della lunghezza di almeno 100cm, graduato, e che presenta aperture laterali (side hole) disposte distalmente in numero di 3 o 4, necessarie per la registrazione delle pressioni della giunzione esofago gastrica (EGJ), e altre 3 o 4 side hole disposti lungo l’asse longitudinale del sondino e prossimalmente rispetto ai precedenti con distanziamento di almeno 5cm (Figura 6b). Una pompa di perfusione permette un costante flusso (0,5-1 ml/min) di acqua degassificata

(23)

all’interno del sondino [78] (Figura 6a). Infine, un trasduttore, che è collegato a ciascun canale di perfusione, genera un segnale elettrico, a sua volta inviato ad un sistema di acquisizione (Figura 6c) che amplifica e invia il segnale ad un registratore analogico su carta o ad un sistema di rappresentazione e registrazione digitale (Figura 6d).

La manometria standard è quindi una metodica in grado di registrare le variazioni pressorie lungo l’esofago mediante la rilevazione delle variazioni nella resistenza al flusso dai canali di perfusione. La pressione registrata aumenta quando il flusso di acqua attraverso un side hole è ostacolato dalla contrazione circonferenziale della parete esofagea.

Per la valutazione dello sfintere superiore e inferiore è necessario l’utilizzo di una tecnica detta pull-through che consiste nell’inserire il catetere fino allo stomaco e successivamente ritirarlo in modo lento e costante fino a ottenere il posizionamento dei side hole radiali a livello dello sfintere.

(24)

Tra i principali svantaggi della manometria standard troviamo un’instabilità dei macchinari che comporta una maggiore necessità di manutenzione; difficoltà sia nel posizionare in maniera corretta il sondino sia nell’esecuzione dell’esame per via delle manovre di pull-through necessarie per la valutazione degli sfinteri. Inoltre la minor capacità del sistema in termini di risoluzione temporale e spaziale, associata a dei tracciati lineari convenzionali, comporta da una parte una riduzione delle informazioni acquisite e dall’altra una complessa valutazione dei dati ottenuti.

2.2 Manometria ad alta risoluzione a stato solido (HRM)

La manometria ad alta risoluzione utilizza una strumentazione costituita da un sondino e da un sistema di acquisizione e rappresentazione. Il sondino è dotato di 36 estensimetri elettrici a resistenza, ravvicinati fra loro e sensibili circonferenzialmente alle variazioni di pressione (Figura 7b). Quando la pressione aumenta, induce una variazione di lunghezza dell’estensimetro che si traduce in una variazione della resistenza, questa viene registrata dal sistema di acquisizione (Figura 7a) sotto forma di variazione della tensione. Tali trasduttori attraversano tutta la lunghezza della faringe, dell’esofago e dello stomaco prossimale garantendo un’osservazione simultanea di tutte le componenti lungo il percorso del sondino. Il sistema di acquisizione ha il compito di ricevere il segnale elettrico generato dagli estensimetri, di amplificarlo in maniera opportuna e infine di elaborarlo per permetterne la sua rappresentazione grafica (Figura 7c, 7d). Per la visualizzazione dei dati, tale sistema si avvale di un meccanismo di interpolazione tra i rilevatori che permette di ottenere un plot pressorio topografico (esophageal pressure topography plot, EPT) (Figura 7c, 8c) [79] sul cui piano le ascisse indicano il tempo, le ordinate indicano la distanza lungo il sondino e quindi lungo l’esofago, e la differente colorazione del plot indica i diversi valori pressori su una scala cromatica che varia dal blu per valori pressori bassi al rosso/viola per valori

(25)

pressori alti. L’EPT è visualizzabile anche in 3D (Figura 9) dove risultano più evidenti i gradienti e le variazioni regionali di pressione assunte durante lo svolgimento dell’esame; tuttavia nella pratica clinica la visualizzazione tridimensionale nell’ambito esofageo non ha un’importanza rilevante.

Figura 7: Strumentazione e plot di una HRM

Figura 8: Funzionamento HRM (A) Sondino con 30 rilevatori posizionato in esofago. (B) Output dei dati ottenuti dai vari trasduttori durante una deglutizione. (C) Rappresentazione dei dati elaborati su EPT

(26)

L’HRM offre diversi vantaggi rispetto alla manometria standard. Il posizionamento del sondino risulta essere più semplice in quanto la sua localizzazione può essere valutata in tempo reale osservando il grafico sul monitor; in tal modo si evitano posizionamenti errati dello stesso [80]. Inoltre durante l’inserimento e posizionamento del sondino è possibile valutare simultaneamente la pressione dell’intero esofago senza necessità di ricorrere alle manovre di pull-through necessarie nella manometria standard come precedentemente descritto. Tutto ciò fa si che la procedura venga eseguita in un tempo più breve rispetto alla manometria convenzionale [81] [82]. Il numero e la vicinanza dei sensori sul sondino impediscono la perdita di informazioni utili garantendo una maggior risoluzione dei dati ottenuti, questo permette di ottenere una valutazione più dettagliata e oggettiva dei valori pressori e al contempo una miglior capacità diagnostica dei disturbi della motilità esofagea [83] [84] [85] [80] [86]. Infine, la visualizzazione grafica nell’HRM e gli algoritmi informatici, rispetto ai tracciati lineari della manometria standard, permettono un’interpretazione più intuitiva e più semplice dei dati ottenuti, favorendo un più rapido e miglior apprendimento sia per gli esperti sia per i tirocinanti che si interfacciano per la prima volta a questa tecnica.

2.3 Indicazioni manometria ad alta risoluzione a stato solido (HRM)

La manometria esofagea è una tecnica diagnostica considerata di secondo livello, spesso viene impiegata dopo l'esecuzione di metodiche come l'esame radiologico od endoscopico volte a stabilire l'esistenza e/o la severità di lesioni organiche a carico dell'esofago o della giunzione esofago-gastrica. Essa viene solitamente richiesta dallo specialista al quale viene inviato il paziente con un quesito diagnostico preciso nel quale si configura l'ipotesi di una patologia motoria esofagea. È opportuno descrivere le indicazioni all'impiego clinico della manometria esofagea, allo scopo di sottoporre all’esame manometrico solo quei pazienti che

(27)

effettivamente necessitano di questo esame, in modo da ricavarne il maggior vantaggio in termini diagnostici, ridurre i tempi di attesa e i costi sanitari.

Indicazioni alla manometria esofagea:

1. Pazienti con disfagia, (dopo aver escluso l'esistenza di patologia organica e avere eseguito una prova con inibitori di pompa protonica (PPI) in pazienti con dolore al torace di origine non cardiaca e sintomi da reflusso gastroesofageo) per formulare diagnosi di patologia motoria esofagea come causa della disfagia.

La disfagia, cioè la sensazione di ostacolo al passaggio del cibo dalla cavità orale allo stomaco, in stretta relazione temporale con l'atto della deglutizione, è un sintomo altamente specifico. Il primo passo in presenza di un paziente che riferisce disfagia è l’esclusione di cause organiche, come stenosi peptiche o caustiche, malattie infettive e neoplastiche. Per questo motivo l’indagine di primo livello è di solito un esame endoscopico, che permette non solo di escludere lesioni ostruttive nel lume dell’organo, ma tramite delle biopsie è possibile escludere anche l’esofagite eosinofila correlata a disturbi della motilità esofagea [87]. Una volta escluse le cause organiche di disfagia, la manometria esofagea, che quindi non rappresenta l’approccio di prima linea, è l’esame più indicato per la valutazione dei disturbi della motilità esofagea.

2. Pazienti con dolore toracico, dopo aver escluso l'origine cardiopolmonare, neuropatica, muscoloscheletrica [88] e dopo aver effettuato indagini morfologiche esofago-gastriche (RX, endoscopia).

Si ritiene che in circa il 60% dei pazienti con dolore toracico similanginoso, in cui siano state escluse cause cardiache, l'esofago sia responsabile di tale sintomatologia. Inoltre, in circa il 50% dei pazienti in cui viene dimostrata l'origine esofagea del dolore vengono documentate anomalie della motilità associate al sintomo e quindi responsabili dello stesso.

(28)

Il dolore toracico di origine esofagea può essere causato da malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), da disturbi motori come acalasia o spasmo esofageo diffuso (DES) o alterazione della sensibilità. Tra queste cause, MRGE è di gran lunga considerata la causa più comune di dolore toracico. Il dolore toracico è comunemente riferito dai pazienti con sintomi tipici di reflusso (37%) [89].

3. Pazienti con malattie sistemiche (es. connettiviti) in cui si voglia stabilire l'esistenza di un interessamento esofageo (patologia multiorgano).

Anomalie della funzione motoria esofagea sono frequentemente associate con la presenza di malattie sistemiche ed in particolare con le connettiviti. Si calcola che fino al 90% dei pazienti [90] in cui è stata posta diagnosi di sclerodermia presentano alterazioni manometriche rappresentate da peristalsi ridotta o assente nella metà distale del corpo esofageo e da una o più o meno marcata ipotonia dello sfintere esofageo inferiore. Tali anomalie sono considerate tipiche della sclerosi sistemica ma non possono essere considerate patognomoniche, anche se con frequenza minore sono riscontrabili in altre connettiviti (sindrome CREST, polimiosite, dermatomiosite). Inoltre la manometria non può essere utilizzata come strumento diagnostico di connettiviti dal momento che l'esistenza di quest'ultima viene confermata in non più del 40% dei pazienti con anomalie manometriche tipiche. La manometria ha quindi il ruolo di valutare il grado di compromissione dell'esofago nei pazienti in cui è stata accertata l'esistenza di una connettivite. Il valore clinico di tale riscontro risiede soprattutto nell'ausilio che esso può dare ai fini di una scelta terapeutica, conservativa o chirurgica, nei pazienti con malattia da reflusso complicato. L'esito della terapia chirurgica in questi pazienti sembra infatti essere meno soddisfacente e gravato da una maggiore frequenza di complicanze (disfagia post-operatoria).

(29)

4. Pazienti con MRGE, come completamento delle indagini in previsione dell'intervento chirurgico antireflusso.

Nei pazienti con MRGE la manometria non viene utilizzata a scopo diagnostico. Essa viene proposta come strumento per valutare il ruolo patogenetico dei disordini della motilità esofagea in questi pazienti (difetto di peristalsi, disfunzioni dello sfintere esofageo inferiore). Pertanto l'esame manometrico va eseguito nei pazienti che non rispondono alla terapia medica con PPI ed in previsione dell'intervento chirurgico; questo permette di escludere condizioni come acalasia e grave ipomobilità dell’esofago, condizioni che possono rappresentare una controindicazione alla fundoplicatio chirurgica a 360° secondo Nissen, ma che possono trovare indicazione a interventi come la fundoplicatio a 270° secondo Toupet con minor rischio di disfagia nel post-operatorio [91]. Per la valutazione del miglior trattamento chirurgico, è stato suggerito come l’utilizzo del test provocativo MRS (multiple rapid swallow) rappresenti un test utile e semplice per prevedere il rischio di disfagia dopo l’intervento chirurgico. In particolare si è visto come pazienti con MRGE con una anormale riserva esofagea al termine dell’MRS sono più a rischio di sviluppare disfagia nel post-operatorio [7] [92].

5. In caso di acalasia, l’esecuzione della manometria esofagea permette il miglior approccio terapeutico per il paziente in base al pattern motorio analizzato, infatti nell’acalasia di tipo 1 o tipo 2 è indicata la dilatazione pneumatica, mentre negli altri tipi di acalasia è indicata la miotomia secondo Heller/POEM.

6. Pazienti in cui è necessario posizionare un sondino intraesofageo (es. sonda pH-metrica) che necessiti di una precisa allocazione rispetto alle aree sfinteriali.

Lo studio pH-metrico del reflusso gastro-esofageo viene eseguito posizionando l'elettrodo in una posizione "convenzionale" situata 5cm al di sopra del margine prossimale

(30)

pH-metrico, endoscopia, fluoroscopia, manometria) la manometria rappresenti quello più accurato e di più pratica esecuzione. Ciò non di meno si ritiene comunemente che, in assenza di varianti anatomiche (ernia jatale), vi sia una discreta correlazione tra i diversi metodi di posizionamento e che variazioni della posizione dell'elettrodo inferiori a 2cm non influenzino significativamente il valore diagnostico della pH-metria. La manometria diviene, invece, assolutamente necessaria nei casi in cui l'elettrodo debba essere posizionato in prossimità dello UES (subito al di sotto o subito al di sopra) per valutare l'esistenza di un reflusso prossimale responsabile di sintomi a carico del distretto oro-faringeo o delle prime vie aeree. In tali casi, infatti, il risultato della pH-metria può essere notevolmente influenzato dal posizionamento dell'elettrodo rispetto allo sfintere crico-faringeo.

2.4 Protocollo di esecuzione manometria esofagea

L’esame manometrico viene eseguito seguendo un protocollo standardizzato internazionalmente riconosciuto. Il paziente deve mantenere il digiuno da almeno sei ore per i solidi e due ore per i liquidi. Inoltre bisogna accuratamente valutare nell’anamnesi del paziente eventuali terapie farmacologiche attualmente in corso, e nel caso i pazienti assumano farmaci potenzialmente in grado di influenzare la motilità esofagea, ne è indicata, quando possibile, la sospensione almeno tre giorni prima dell’esame manometrico (calcio antagonisti, nitrati, procinetici, antidepressivi triciclici, anticolinergici, etc.).

Nel momento in cui il paziente giunge nell’ambulatorio, dopo una breve compilazione dei moduli contenenti i dati anagrafici e l’anamnesi del paziente, a quest’ultimo viene illustrata la procedura dell’esame, in questo modo, oltre ad informare il paziente, si ottiene anche un maggior coinvolgimento dello stesso, necessario in quanto l’esame richiede una collaborazione attiva del paziente ai fini di un corretto procedimento.

(31)

Vengono inoltre presentati quelli che sono eventuali disagi e rischi che durante l’esame possono presentarsi, spiegando come la maggior parte di questi risulterebbero, oltre che temporanei, totalmente e facilmente gestibili dal personale medico e non pericolosi per il paziente. I principali rischi che si possono presentare sono ad esempio: dispnea, bradicardia, dolore nasale e faringeo, nausea, vomito o sanguinamento nasale. Presentare i possibili rischi al paziente è necessario non solo ai fini del consenso informato, ma anche per non far allarmare eccessivamente il paziente nel caso dovessero comparire, in quanto precedentemente abbiamo rassicurato il paziente sulla facile gestione e risoluzione del quadro.

Invitato il paziente ad accomodarsi in posizione seduta sul lettino, si procede al posizionamento del sondino e alla rilevazione dei valori di riposo. Il sondino viene inserito per via trans-nasale. Per un più facile inserimento si chiede al paziente se ha una narice da cui respira meglio, si valuta un eventuale deviazione del setto in modo da scegliere la narice più adatta. Lubrificato il sondino si procede all’inserimento dello stesso e alla visualizzazione del monitor fino ad ottenere due zone di alta pressione, e che rappresentano il UES e l’EGJ e che indicano il corretto posizionamento del sondino.

Il paziente viene invitato ad assumere la posizione supina e a non deglutire per almeno 30 secondi, questo permette di rilevare la pressione del UES e dell’EGJ. Al termine dei 30 secondi si invita il paziente ad effettuare un’inspirazione profonda, in questo modo è evidenziabile il punto di inversione pressoria (PIP) che rappresenta il punto di passaggio tra porzione toracica e addominale dell’esofago.

A questo punto inizia lo studio della peristalsi esofagea, che ci permette non solo di valutare il vigore della funziona motoria esofagea, ma anche di valutarne il pattern. Si procede alla somministrazione di dieci boli da 5 ml di acqua, opportunamente graduati con una siringa, e somministrati temporalmente a distanza di 20-30 secondi l’uno dall’altro,

(32)

analizzando il pattern motorio derivante (Figura 10). È importante che il paziente deglutisca l’acqua in una singola deglutizione e che non deglutisca una seconda volta subito dopo aver ingoiato il bolo di acqua, questo infatti, come spiegato nella fisiologia della deglutizione, indurrebbe un’inibizione della prima deglutizione e per il principio della refrattarietà una riduzione di ampiezza della seconda (Figura 1), pertanto in caso di doppia deglutizione, bisogna eseguire nuovamente la somministrazione di 5ml di acqua e ripetere la singola deglutizione.

Figura 10: Visualizzazione di una deglutizione di 5ml di acqua e fisiologico pattern esofageo

Diversi autori suggeriscono come l’aumento del carico di lavoro esofageo nei protocolli manometrici aumenterebbe la sensibilità delle indagini [84]. I test aggiuntivi, simulando deglutizioni di consistenza e quantità sempre più simili a quelle dei pasti, permettono di valutare con maggior precisione i pattern esofagei, determinando una miglior sensibilità e capacità diagnostica. I test aggiuntivi sono fondamentali nei casi in cui durante lo studio della peristalsi con le 10 deglutizioni da 5ml non si evidenzi nessuna alterazione del pattern motorio esofageo, pur trovandoci di fronte ad un paziente sintomatico. In casi dubbi, o per valutare disturbi della motilità minori i test aggiuntivi sono un valido complemento.

(33)

I test aggiuntivi nello studio manometrico esofageo sono:

• Multiple rapid swallows (MRS) (Figura 11): paziente in posizione supina, somministrazione di cinque boli di acqua da 2ml in rapida successione nell’arco di 10 secondi. Questo test permette di valutare non solo l’inibizione esofagea ma anche la riserva esofagea al termine della quinta deglutizione. Nello studio di Fornari del 2008 è interessante notare come, tra i soggetti esaminati sottoposti a manometria convenzionale, il 70% di coloro che presentavano sintomi esofagei non mostrava anomalie alla manometria standard mentre all’esame con deglutizioni multiple ripetute a basso volume (MRS) erano presenti anomalie. Tramite l’esecuzione dell’MRS è possibile osservare: una risposta normale, con inibizione del corpo e rilasciamento del LES durante le cinque deglutizioni con successiva contrazione del corpo esofageo (riserva esofagea) e ripristino del tono del LES (Figura 11A); mancata inibizione del corpo esofageo e insufficiente rilassamento del LES (Figura 10B); una corretta inibizione del corpo esofageo, seguita da una peristalsi fallita post-MRS (Figura 11C).

Figura 11: Risposte del corpo esofageo e del LES a stimolazione con MRS a basso volume. A: risposta normale con inibizione del corpo e rilasciamento del LES durante le 5 rapide deglutizioni e successiva contrazione robusta del corpo esofageo con ripristino del tono del LES. B: mancata inibizione del corpo esofageo e insufficiente rilasciamento del LES durante le deglutizioni rapide. C: peristalsi fallita dopo MRS.

(34)

• Rapid drinking test (RDT) (Figura 12): paziente in posizione seduta, si invita il paziente a bere una quantità di 200ml di acqua senza interruzione. Questo test permette di valutare non solo l’inibizione deglutitoria e la contrazione che si crea al termine dell’ultima deglutizione, ma permette di valutare la capacità di distensione esofagea, le condizioni di aumentata resistenza al deflusso e la presenza di eventuali ostruzioni.

Figura 12: Rapid drinking test (RDT)

• Viscous Swallow (Figura 13): Rappresenta un test adiuvante. Si somministra al paziente 5ml di purea di mela per 5-10 volte a distanza di 30 secondi. Questo test permette di valutare il vigore della peristalsi in condizioni simili ai pasti della vita quotidiana e di permettere la visualizzazione di possibili pressurizzazioni sopra l’EGJ.

(35)

• Solid Swallow (Figura 14): si somministra al paziente in posizione supina o eretta, 4 cm2 di alimenti solidi (cracker, tortina di yogurt), ripetibili ogni 30 secondi. Questo test permette la valutazione del vigore della peristalsi nei confronti di alimenti solidi e l’eventuale presenza di pressurizzazioni a livello dell’EGJ.

Figura 14: Solid swallow

2.5 Parametri rilevati e calcolati

I parametri utilizzati nella manometria ad alta risoluzione possono essere suddivisi in due gruppi che analizzano rispettivamente lo stato di riposo e lo stato di attività peristaltica dell’esofago.

Ø Riferimenti anatomici (parametri statici):

• Localizzazione degli sfinteri: sia il UES che il LES sono facilmente individuati tramite un netto cambio di pressione lungo il piano assiale [5]. • Morfologia dell’EGJ: la distinzione delle zone di aumentata pressione

generate dal LES e dalla pinza diaframmatica permettono la valutazione della morfologia dell’EGJ. La separazione del LES dalla pinza diaframmatica

(36)

• Segmenti di contrazione: La contrazione esofagea può essere suddivisa in quattro segmenti visualizzabili sull’EPT in quanto delimitati da tre punti di minimo (prossimale,medio e distale) [83] nel contorno isobarico. Il primo segmento di contrazione è in diretta continuazione con la contrazione faringea e del UES, l’ultimo segmento corrisponde al LES, il secondo e terzo segmento appartengono al corpo esofageo e talvolta non sono distinti. • Punto di transizione: questo parametro, rappresenta il punto di minor

pressione fra il primo e secondo segmento contrattile, e rappresenta il passaggio dalla muscolatura striata a quella liscia dell’esofago [94].

• Contractile deceleration point (CDP): Punto in cui si riscontra la maggior decelerazione dell’onda peristaltica situata entro 3cm dal marine superiore dell’EGJ [95]. Questo punto viene individuato mediante l’intersezione fra due tangenti al contorno isobarico dei 30 mmHg: una che si estende distalmente dalla zona di transizione e l’altra che si estende prossimalmente dall’EGJ una volta che questa ha ristabilito la sua normale posizione post-deglutitoria. Dal punto di vista fisiologico tale punto rappresenta il passaggio dalla clearance esofagea del bolo allo svuotamento dell’ampolla frenica [95].

(37)

Figura 15: Punti di riferimento anatomici in HRM. (a) Segmenti di contrazione.

(b) Contractile deceleration point. (c) Sfinteri esofagei e punto di transizione.

Ø Parametri di analisi della funzione motoria esofagea:

• Integrated relaxation pressure (IRP): questo parametro misura la resistenza al passaggio del bolo attraverso l’EGJ [96]. Una volta individuati i margini dell’EGJ viene selezionata una finestra di 10 secondi che ha inizio nel momento in cui avviene il rilasciamento del UES. In questa finestra viene misurata la pressione lungo 6 cm a cavallo del LES mediante un sistema chiamato eSleeve. Tramite un algoritmo si calcola la media dei 4 secondi in cui si registrano i valori pressori minimi all’interno della finestra di 10 secondi.

(38)

Figura 16: Integrated relaxation pressure (IRP)

• Distal latency (DL): questo parametro permette di valutare la tempistica della contrazione peristaltica, ed è influenzato più che dalla velocità della peristalsi, dall’inibizione deglutitoria [97]. Questo valore viene misurato prendendo come estremi, il rilassamento del UES e il CDP.

Figura 17: Distal Latency (DL) e Contractile front velocity (CFV)

• Distal contractile integral (DCI): questo parametro permette la valutazione della forza della contrazione peristaltica a livello dell’esofago distale. La valutazione di questo parametro avviene in un lasso di tempo che va dal punto pressorio minimo prossimale a quello distale, comprendendo quindi il secondo e terzo segmento di contrazione [98]. Il calcolo del parametro viene

(39)

effettuato moltiplicando ampiezza per durata per lunghezza (mmHg-s-cm) delle pressioni eccedenti la linea isobarica dei 20 mmHg nel lasso di tempo sopra descritto. I valori al di sotto dei 20 mmHg vengono eliminati per ridurre artefatti vascolari e respiratori. Il DCI è fondamentale per classificare il vigore della contrazione peristaltica. Il parametro può essere riportato come valore medio delle 10 deglutizioni o come valore singolo di ogni deglutizione al fine di analizzare singolarmente ogni deglutizione.

Figura 18: Distal contractile integral (DCI)

• Integrità della peristalsi (PI): questo parametro valuta l’eventuale presenza di interruzioni nel contorno isobarico dei 20 mmHg della contrazione peristaltica. Si classificano come piccoli difetti quelli compresi tra 2 e 5 cm di lunghezza, difetti ampi quelli con lunghezza superiore ai 5 cm.

(40)

• Contractile front velocity (CFV) (Figura 17): questo parametro permette di caratterizzare la velocità dell’onda peristaltica. Il valore viene calcolato ricercando la tangente che meglio si adatti al contorno isobarico dei 30 mmHg nel tratto che va dal punto di transizione al CDP.

• Pattern di pressurizzazione: Questo parametro non numerico, rappresenta la presenza di pressurizzazione nel bolo dovute all’intrappolamento di questo tra due aree ad alta pressione. Per definire la presenza di tali fenomeni si utilizza il contorno isobarico [85]. I possibili pattern sono: pressurizzazione panesofagea, quando si estende dal UES al LES [99]; pressurizzazione compartimentalizzata, quando si estende da una contrazione del corpo esofageo ad una ostruzione dell’EGJ; pressurizzazione limitata all’EGJ.

Figura 20: Pattern di pressurizzazione: panesofagea, compartimentale e dell’EGJ

Le soglie di normalità di questi parametri sono influenzate da diversi fattori: demografici, posizione del corpo durante il test, lunghezza dell’esofago, consistenza del bolo durante la deglutizione. Inoltre in commercio sono presenti diversi sistemi HRM (Medtronic, Sierra, Data, Covidien, etc.) che determinano a seconda del sondino utilizzato una variazione delle soglie di normalità.

I valori di normalità di tutti questi parametri sono stati calcolati mediante vari studi [100] [101] [102] [103] [104] [105] [106] basati sull’utilizzo dei diversi sistemi di rilevazione, i cui valori sono riportati nella tabella 1.

(41)

Tabella 1: Valori di normalità dei parametri utilizzati in HRM in diversi studi

3. Classificazione di Chicago (CC) v3.0

Al fine di una corretta classificazione clinica dei disturbi della motilità esofagea si è dimostrata fondamentale la necessità di stabilire criteri manometrici precisi e standardizzati che permettessero la definizione dei disturbi motori esofagei in maniera universale.

Con l’avvento della manometria standard uno dei primi tentativi di classificare i disturbi della motilità esofagea è stato quello degli studiosi Spechler e Castell del 2001 [107].

Nel momento in cui è stata introdotta l’HRM, si è reso necessario introdurre una nuova classificazione. Ad oggi la classificazione di riferimento per i disturbi motori in HRM è la classificazione di Chicago (CC), nata nel 2008 [108] a San Diego, aggiornata alla versione 2.0 ad Ascona nel 2011, e giunta nel 2015 alla versione 3.0 grazie agli aggiornamenti apportati dall’International HRM Working Group mediante un processo di consenso

(42)

La classificazione di Chicago, si basa sull’utilizzo dei parametri rilevati con HRM per definire i disturbi della motilità esofagea.

L’utilizzo pratico dell’HRM e l’approccio alla classificazione di Chicago prevedono il susseguirsi di più fasi volte a valutare la funzione esofagea in modo sistematico.

In una prima fase viene valutato lo studio dell’anatomia e delle pressioni di riposo: Ø Valutazione dell’anatomia:

• Punto centrale del LES (distanza dalle narici) • Punto prossimale del LES (distanza dalle narici) • Punto distale del LES (distanza dalle narici) • Lunghezza LES

• Lunghezza LES intra-addominale

• Lunghezza dell’esofago (punto centrale UES-LES) • PIP (distanza dalle narici)

Ø Pressioni di riposo del LES:

• Pressione basale respiratoria minima (v.n. 4.8-32.0 mmHg) • Pressione basale respiratoria media (v.n. 13.0-43.0 mmHg) Ø Pressioni di riposo UES:

• Pressione basale media (v.n. 34.0-104.0 mmHg) • Pressione residua media (v.n. <12 mmHg)

(43)

La morfologia dell’EGJ (Figura 21) viene classificata secondo la Classificazione di Chicago v3.0 in quattro categorie:

• Tipo I: completa sovrapposizione fra LES e pinza diaframmatica (CD); si presenta come un’onda pressoria a singolo picco a livello dell’EGJ.

• Tipo II: presenza di onda pressoria a due picchi separati da un punto minimo con valore pressorio maggiore della pressione intragastrica e distanza fra i due picchi di 1-2cm

• Tipo IIIa: presenza di un’onda pressoria a due picchi separati da un punto minimo con valore pressorio uguale o inferiore alla pressione intragastrica. Il PIP rimane a livello del CD.

• Tipo IIIb: presenza di un’onda pressoria a due picchi separati da un punto di minimo con valore pressorio uguale alla pressione intragastrica. PIP a livello del LES.

(44)

Nella seconda fase si effettua la valutazione della funzione motoria esofagea: Ø Parametri standard:

• Percentuale onde peristaltiche (velocità ≤ 6.25 cm/sec.) valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES.

• Percentuale onde simultanee (velocità ≥ 6.25 cm/sec.) valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES.

(valori normali: ≤10%)

• Percentuale onde non riuscite valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES (valori normali: 0%)

• Velocità dell’onda valutata a 3.0 e 11.0 cm dal LES (valori normali: 2.8-6.3 cm/sec.)

• Ampiezza media dell’onda valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 43-152 mmHg)

• Durata media dell’onda valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 2.7-5.4 sec.)

• Percentuale onde a doppio picco valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: ≤ 15%)

• Percentuale onde a triplo picco valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 0%)

• Ampiezza onda a 3.0 cm dal LES (valori normali 41-168 mmHg) • Ampiezza onda a 7.0 cm dal LES

(valori normali 37-166 mmHg) • Ampiezza onda a 11.0 cm dal LES

(45)

Ø Parametri HRM:

• Integrale contrattile distale (DCI) medio (valori normali: 450-8000 mmHg-s-cm) • Pressione intrabolo (LESR)

(valori normali: <8.4 mmHg)

• Pressione intrabolo (media delle massime) (valori normali: <17.0 mmHg)

• Latenza distale (DL) (valori normali: > 4.5 sec)

• Pressione residua media del LES calcolata con IRP (valori normali: <15.0 mmHg)

I parametri HRM vengono analizzati per ciascuna onda peristaltica. Ognuna di esse viene classificata secondo la CC v3.0 nel seguente modo:

Ø Vigore contrattile

• Peristalsi fallita (Figura 22A-22E): se DCI < 100 mmHg-s-cm • Peristalsi debole (Figura 22B): se 100 < DCI < 450 mmHg-s-cm • Peristalsi inefficace: peristalsi fallita o debole

• Peristalsi normale (Figura 10): 450 < DCI < 8000 mmHg-s-cm • Ipercontrazione (Figura 22C): DCI ≥ 8000 mmHg-s-cm

(46)

Ø Pattern di contrazione

• Contrazione prematura (Figura 22D): DL < 4.5 sec

• Contrazione frammentata (Figura 22F): larghe interruzioni (> 5 cm) nel contorno isobarico dei 20 mmHg con peristalsi normale (DCI > 450 mmHg-s-cm)

• Contrazione intatta: assenza dei criteri sopra elencati Ø Pattern di pressurizzazione intrabolo (Figura 20)

• Pressurizzazione panesofagea: pressurizzazione uniforme maggiore di 30 mmHg estesa dal UES all’EGJ

• Pressurizzazione esofagea compartimentalizzata: pressurizzazione > 30 mmHg che si estende dal fronte contrattile all’EGJ

• Pressurizzazione dell’EGJ: pressurizzazione tra il LES e il CD • Normale: assenza di pressurizzazioni > 30 mmHg

Riferimenti