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Al fine di una corretta classificazione clinica dei disturbi della motilità esofagea si è dimostrata fondamentale la necessità di stabilire criteri manometrici precisi e standardizzati che permettessero la definizione dei disturbi motori esofagei in maniera universale.

Con l’avvento della manometria standard uno dei primi tentativi di classificare i disturbi della motilità esofagea è stato quello degli studiosi Spechler e Castell del 2001 [107].

Nel momento in cui è stata introdotta l’HRM, si è reso necessario introdurre una nuova classificazione. Ad oggi la classificazione di riferimento per i disturbi motori in HRM è la classificazione di Chicago (CC), nata nel 2008 [108] a San Diego, aggiornata alla versione 2.0 ad Ascona nel 2011, e giunta nel 2015 alla versione 3.0 grazie agli aggiornamenti apportati dall’International HRM Working Group mediante un processo di consenso

La classificazione di Chicago, si basa sull’utilizzo dei parametri rilevati con HRM per definire i disturbi della motilità esofagea.

L’utilizzo pratico dell’HRM e l’approccio alla classificazione di Chicago prevedono il susseguirsi di più fasi volte a valutare la funzione esofagea in modo sistematico.

In una prima fase viene valutato lo studio dell’anatomia e delle pressioni di riposo: Ø Valutazione dell’anatomia:

• Punto centrale del LES (distanza dalle narici) • Punto prossimale del LES (distanza dalle narici) • Punto distale del LES (distanza dalle narici) • Lunghezza LES

• Lunghezza LES intra-addominale

• Lunghezza dell’esofago (punto centrale UES-LES) • PIP (distanza dalle narici)

Ø Pressioni di riposo del LES:

• Pressione basale respiratoria minima (v.n. 4.8-32.0 mmHg) • Pressione basale respiratoria media (v.n. 13.0-43.0 mmHg) Ø Pressioni di riposo UES:

• Pressione basale media (v.n. 34.0-104.0 mmHg) • Pressione residua media (v.n. <12 mmHg)

La morfologia dell’EGJ (Figura 21) viene classificata secondo la Classificazione di Chicago v3.0 in quattro categorie:

• Tipo I: completa sovrapposizione fra LES e pinza diaframmatica (CD); si presenta come un’onda pressoria a singolo picco a livello dell’EGJ.

• Tipo II: presenza di onda pressoria a due picchi separati da un punto minimo con valore pressorio maggiore della pressione intragastrica e distanza fra i due picchi di 1-2cm

• Tipo IIIa: presenza di un’onda pressoria a due picchi separati da un punto minimo con valore pressorio uguale o inferiore alla pressione intragastrica. Il PIP rimane a livello del CD.

• Tipo IIIb: presenza di un’onda pressoria a due picchi separati da un punto di minimo con valore pressorio uguale alla pressione intragastrica. PIP a livello del LES.

Nella seconda fase si effettua la valutazione della funzione motoria esofagea: Ø Parametri standard:

• Percentuale onde peristaltiche (velocità ≤ 6.25 cm/sec.) valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES.

• Percentuale onde simultanee (velocità ≥ 6.25 cm/sec.) valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES.

(valori normali: ≤10%)

• Percentuale onde non riuscite valutate a 3.0 e 11.0 cm dal LES (valori normali: 0%)

• Velocità dell’onda valutata a 3.0 e 11.0 cm dal LES (valori normali: 2.8-6.3 cm/sec.)

• Ampiezza media dell’onda valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 43-152 mmHg)

• Durata media dell’onda valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 2.7-5.4 sec.)

• Percentuale onde a doppio picco valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: ≤ 15%)

• Percentuale onde a triplo picco valutata a 3.0 e 7.0 cm dal LES (valori normali: 0%)

• Ampiezza onda a 3.0 cm dal LES (valori normali 41-168 mmHg) • Ampiezza onda a 7.0 cm dal LES

(valori normali 37-166 mmHg) • Ampiezza onda a 11.0 cm dal LES

Ø Parametri HRM:

• Integrale contrattile distale (DCI) medio (valori normali: 450-8000 mmHg-s-cm) • Pressione intrabolo (LESR)

(valori normali: <8.4 mmHg)

• Pressione intrabolo (media delle massime) (valori normali: <17.0 mmHg)

• Latenza distale (DL) (valori normali: > 4.5 sec)

• Pressione residua media del LES calcolata con IRP (valori normali: <15.0 mmHg)

I parametri HRM vengono analizzati per ciascuna onda peristaltica. Ognuna di esse viene classificata secondo la CC v3.0 nel seguente modo:

Ø Vigore contrattile

• Peristalsi fallita (Figura 22A-22E): se DCI < 100 mmHg-s-cm • Peristalsi debole (Figura 22B): se 100 < DCI < 450 mmHg-s-cm • Peristalsi inefficace: peristalsi fallita o debole

• Peristalsi normale (Figura 10): 450 < DCI < 8000 mmHg-s-cm • Ipercontrazione (Figura 22C): DCI ≥ 8000 mmHg-s-cm

Ø Pattern di contrazione

• Contrazione prematura (Figura 22D): DL < 4.5 sec

• Contrazione frammentata (Figura 22F): larghe interruzioni (> 5 cm) nel contorno isobarico dei 20 mmHg con peristalsi normale (DCI > 450 mmHg-s- cm)

• Contrazione intatta: assenza dei criteri sopra elencati Ø Pattern di pressurizzazione intrabolo (Figura 20)

• Pressurizzazione panesofagea: pressurizzazione uniforme maggiore di 30 mmHg estesa dal UES all’EGJ

• Pressurizzazione esofagea compartimentalizzata: pressurizzazione > 30 mmHg che si estende dal fronte contrattile all’EGJ

• Pressurizzazione dell’EGJ: pressurizzazione tra il LES e il CD • Normale: assenza di pressurizzazioni > 30 mmHg

Come discusso nel paragrafo 2.4 riguardante il protocollo di esame dell’HRM, vengono eseguite dieci deglutizione durante l’esame, mediante l’analisi complessiva delle dieci deglutizioni registrate e dei parametri medi calcolati, i disturbi della motilità esofagea vengono classificati secondo la CC v3.0 nel seguente modo:

Ø Disturbi dell’efflusso a livello dell’EGJ:

• Acalasia tipo I (acalasia classica) (Figura 23A): IRP mediano elevato (> 15 mmHg) e 100% di peristalsi fallite.

• Acalasia tipo II (con compressione esofagea) (Figura 23B): IRP mediano elevato (> 15 mmHg), 100% di peristalsi fallite e pressurizzazione panesofagea per ≥ 20% delle peristalsi.

• Acalasia tipo III (spastica) (Figura 23C): IRP mediano elevato (> 15 mmHg), assenza di peristalsi normali, contrazioni premature (spastiche) con DCI > 450 mmHg-s-cm in ≥ 20% delle peristalsi.

• Ostruzione all’efflusso dell’EGJ (EGJ outflow obstruction) (Figura 23D, 23E): IRP mediano elevato (> 15 mmHg), presenza di peristalsi normali sufficiente, tale da non rispecchiare nessuno dei criteri sopraelencati

Ø Disturbi maggiori della peristalsi:

• Assenza di contrattilità: IRP mediano normale e 100% delle peristalsi fallite. • Spasmo esofageo distale: IRP mediano normale e ≥ 20% di peristalsi

premature con DCI > 450 mmHg-s-cm. Possibile presenza di peristalsi normali.

• Esofago ipercontrattile (jackhammer): presenza di almeno due peristalsi con DCI > 8000 mmHg-s-cm.

Ø Disturbi minori della peristalsi:

• Peristalsi frammentate: presenza di > 50% di peristalsi frammentate con DCI > 450 mmHg-s-cm.

• Motilità esofagea inefficace (ineffective esophageal motility, IEM): presenza di >50% di peristalsi ineffettive.

Viene definita normale motilità esofagea quando nessuna delle condizioni sopraelencate è presente.

Il disturbo della motilità esofagea che oggi definiamo con il termine di motilità esofagea

inefficace è il risultato di una lunga analisi ed evoluzione dello studio dei disturbi della

motilità esofagea che ha origine a partire dal 1965, periodo in cui compare per la prima volta il termine “motilità atipica”. Questa espressione viene sostituita nel 1987 dal termine

“anomalie aspecifiche della motilità esofagea”, utilizzato per identificare qualsiasi tipo di

disfunzione motoria dell’esofago che non rientrasse nella definizione di condizioni come acalasia, spasmo, disfunzioni del LES o esofago a schiaccianoci. Nel 1987 sono Richter e Castel che definiscono i disordini aspecifici della motilità esofagea come difetti caratterizzati da almeno il 30% delle deglutizioni fallite o di ampiezza debole (< 30 mmHg) o almeno una tra le seguenti anomalie della contrazione: tripli picchi di contrazione, contrazione retrograda, peristalsi prolungata (> 6 sec.) o isolato incompleto rilasciamento del LES [109]. Nel 1997 Leite e Castell introducono per la prima volta il termine “Ineffective esophageal

motility” (IEM) [110] , i cui criteri (presenza di almeno il 30% deglutizioni inefficaci con

deglutizioni di boli d’acqua) verranno introdotti nel 2001 nella classificazione dei disordini della motilità esofagea di Spechler e Castell, basata sulla manometria convenzionale [111]. Vengono considerate deglutizioni inefficaci quelle con contrazione dell’esofago distale (sensori a 3 o 8 cm al di sopra del LES) di ampiezza inferiore ai 30 mmHg, oppure da onde simultanee di debole ampiezza (< 30 mmHg), onde peristaltiche non completamente propagate alla porzione distale dell’esofago o peristalsi assente [110] [111]. Il valore soglia di 30 mmHg deriva dall’osservazione che ampiezze inferiori a 30 mmHg si associavano spesso a difetti del transito del bolo e ad un’inadeguata clearance esofagea [112]. Nel 2004 il valore del 30% di deglutizioni inefficaci è stato portato al 50%. Questo perché si è visto come con la soglia del 50% di deglutizioni inefficaci si riscontrava una maggiore associazione con anomalie del transito esofageo e sintomi come disfagia e pirosi [113] [114].

di Chicago v3.0, troviamo l’IEM classificata nei disordini minori della motilità, e per definizione rappresentata dalla presenza di almeno il 50% delle deglutizioni inefficaci (DCI < 450 mmHg-s-cm), senza tenere conto della distinzione tra deglutizione debole o fallita.

Pur considerando che l’IEM è l’anomalia più frequentemente diagnosticata durante gli studi di manometria esofagea, e che la sua prevalenza è stimata su valori del 20-30% [1], il ventaglio di manifestazioni cliniche con cui questa condizione può manifestarsi da un punto di vista sintomatologico varia da paziente a paziente, arrivando in alcuni studi a discutere anche la possibile suddivisione clinica in due sottotipi dei pazienti con IEM: un primo tipo più grave (IEM-P) più frequente nell’uomo anziano, con malattia da reflusso più avanzato, un più debole LES, e una peggior risposta ai PPI, e un secondo tipo, IEM-A in cui è presente una clinica meno severa. Si ritiene che IEM-P rappresenti una manifestazione più avanzata rispetto al tipo IEM-A [2].

L’analisi di 228 pazienti affetti da IEM presso l’Università della Carolina del Sud tra il 2010-2013 ha mostrato i diversi sintomi più comuni nei pazienti con IEM (Figura 25). Tra i pazienti con disfagia (25% dei pazienti), l’alterazione del passaggio del bolo era presente nell’89% [114]. Si deduce, da quanto descritto, come i test provocativi, nello specifico in caso di IEM il multiple rapid swallow (MRS), sia un utile supporto durante lo studio manometrico, permettendo di identificare quei pazienti clinicamente rilevanti tramite la valutazione del vigore della riserva esofagea post-MRS [3].

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