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Esposizione professionale alle radiazioni ionizzanti in ambito sanitario. Valutazione delle patologie radioinducibili in una popolazione di una grande Azienda Ospedaliero-Universitaria

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA A CICLO UNICO IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Esposizione professionale alle radiazioni ionizzanti in

ambito sanitario

Valutazione delle patologie radioinducibili in una popolazione di

una grande Azienda Ospedaliero-Universitaria

RELATORE

CHIAR.MO PROF. Alfonso Cristaudo

CANDIDATO

SIG. Guido Malventi

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INDICE GENERALE

1. RIASSUNTO DELLA TESI ………..………. 2

2. INTRODUZIONE ………...……… 4

2.1. Storia delle radiazioni ionizzanti ………..………..………. 4

2.2. Radiazioni ………. 6

2.2.1. Radiazioni non ionizzanti ……….………..…….. 8

2.2.2. Radiazioni ionizzanti ………. 8

2.2.3. Le principali tipologie di radiazioni ionizzanti ………... 10

2.3. Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti ………..….. 12

2.3.1. Iniziazione, promozione e progressione della cellula neoplastica … 17 2.4. Effetti delle radiazioni ionizzanti sull’uomo ……….………. 19

2.4.1. Danni somatici deterministici ………..………. 19

2.4.2. Danni somatici stocastici ………..………… 22

2.4.3. Danni genetici stocastici ………..………. 23

2.4.4. Irradiazione a embrione e feto ……….……… 24

2.5. Fondo naturale di radiazione ……….………. 25

2.6. Radioprotezione………..………. 27

2.6.1. Il problema delle basse dosi in Medicina del Lavoro ………. 31

2.6.2. Danni stocastici e modello lineare senza soglia ………..…. 32

3. OBIETTIVO DELLO STUDIO ……….…….. 34

4. MATERIALI E METODI ………..……... 35

4.1. Protocollo ………..……….. 36

4.2. Sviluppo dello studio ………..………. 38

4.3. Analisi statistica dei risultati ………..…. 39

5. RISULTATI ………..… 40

5.1. Patologia maligna ………..………. 43

5.2. Noduli mammari ………..………... 49

5.3. Cataratta e opacità del cristallino ……….……….. 51

5.4. Noduli tiroidei ………... 52

5.5. Riepilogo dei risultati ……… 58

6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ……… 61

7. BIBLIOGRAFIA ………. 70

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1. RIASSUNTO DELLA TESI

Un’importante scoperta della fisica, alla fine dell’800, ha determinato un intenso e profondo mutamento della nostra società: la radioattività. Essa ha modificato concetti della fisica fino ad allora conosciuta, ha trasformato molte delle attività umane e ha fatalmente deviato il corso della storia. La radioattività, o meglio le radiazioni ionizzanti (RI), sono energie capaci di strappare un elettrone dal proprio atomo, determinando ionizzazione; esse possono provocare gravi alterazioni alle cellule modificando molte molecole al suo interno, tra cui il Dna. L’utilizzo delle RI è cresciuto negli ultimi anni e proporzionalmente sono aumentate le esposizioni professionali, soprattutto in ambito sanitario. Sappiamo, attraverso i dati sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, che alte dosi di RI provocano la comparsa di numerose patologie, mentre invece, non sono ancora del tutto chiari i danni provocati da lunghi periodi di esposizione a basse dosi.

L’obiettivo principale del presente studio è stato quello di valutare il rapporto tra l’esposizione a basse dosi di RI e l’induzione di patologie a carico di operatori sanitari di una grande azienda ospedaliera-universitaria toscana.

Lo studio è stato svolto con una metodologia di tipo epidemiologico/descrittivo, sulla base dell’eventuale eccesso dei casi nella popolazione radioesposta in rapporto alla prevalenza dei casi nella popolazione di controllo. La ricerca si è basata sui dati dei rilievi e della classificazione effettuati dall’Esperto Qualificato dell’Azienda studiata e dei dati sanitari rilevati dalla lettura dei Documenti Sanitari personali, redatti a cura del Servizio di Sorveglianza Medica della stessa Azienda.

La popolazione dello studio in totale era costituita da 6140 operatori sanitari dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa (AOUP), di cui 4233 donne e 1907 uomini; il periodo di osservazione è stato compreso tra il 1° Gennaio 2010 e il 31 Giugno 2017.

Fra i risultati più rilevanti dello studio si sottolinea l’evidenza del riscontro di un aumento statisticamente significativo di noduli tiroidei nei lavoratori radioesposti in

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confronto alla popolazione di controllo. Nella tesi viene discussa inoltre, l’inferenza fra l’esposizione alle RI degli operatori indagati e molte altre patologie radioinducibili.

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2. INTRODUZIONE

2.1. Storia delle radiazioni ionizzanti

La sera dell’8 novembre del 1895, Wilhelm Konrad von Roentgen, fisico cattedratico tedesco, fece della mano che gli era stata concessa in sposa, la mano più celebre del mondo. Egli, mentre stava sperimentando una valvola

termoionica, scoprì l’esistenza di una radiazione in grado di penetrare la materia. Lo scienziato, utilizzando questi stessi raggi, definiti “X” qualche giorno dopo, immortalò l'immagine della mano di sua moglie, in cui si identificavano in maniera inequivocabile le ossa e la vera al dito anulare. Roetgen inviò questa “radiografia”, assieme ad una breve relazione, a tutti i più noti scienziati del periodo e la notizia fece il giro del mondo. Molti studiosi ne percepirono subito le enormi potenzialità e i raggi X, in poco tempo, cambiarono il corso della storia e il destino del mondo. La radiografia della mano della signora

Berta resterà negli annali per essere la prima fotografia a raggi X della storia, e soprattutto una immagine destinata a inaugurare, non solo un metodo d'indagine, ma tutta una scienza. I nuovi raggi innescarono una reazione a catena scientifico-culturale, i cui capisaldi furono la scoperta di Becquerel della radioattività naturale dell'uranio (1896) e l'identificazione del radio da parte dei coniugi Curie (1898). Venne messo in discussione il modello cosmologico newtoniano, fino a quel momento ritenuto in grado di spiegare tutti i fenomeni naturali; si aprì così la strada al modello atomico di Rutherford, ai quanti di Plancke infine alla relatività ristretta di Einstein. Un mondo ancora inesplorato fatto di sensazionali scoperte e inebrianti teorie era dietro l’angolo. Ma come accade spesso nelle novità scientifiche, il rovescio della medaglia doveva ancora presentarsi. Dopo un mese dall’annuncio della scoperta dei raggi X, un costruttore di tubi sotto vuoto, mostrò lesioni alla cute delle mani, derivanti da alte dosi di radiazioni ionizzanti assorbite Figura 1 Wilhelm Konrad von Roentgen

Figura 2 Radiografia della mano della Signora Berta

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durante il proprio lavoro. Le osservazioni cliniche di questo tipo si moltiplicarono rapidamente. Henri Becquerel, nel 1901, mostrò un eritema della cute in corrispondenza della tasca dove spesso teneva una fiala contenente sali di radio per i suoi esperimenti. Nel 1903 si capì che l'esposizione a raggi X poteva

indurre sterilità negli animali di laboratorio e successivamente fu annunciato che, gli embrioni di uova di rospo fertilizzate con sperma irradiato, presentavano anormalità. Negli stessi anni furono segnalate le prime alterazioni del sangue (anemie e leucopenie) e venne riscontrato un carcinoma cutaneo, sviluppato su precedente dermatite da

raggi. Circa dieci anni dopo le scoperte di Röntgen e di Becquerel erano stati riconosciuti e sommariamente descritti gli effetti patologici di questo tipo di radiazioni. Negli anni venti, furono descritte le prime lesioni da incorporazione di sostanze radioattive, quando le operaie addette a dipingere orologi con vernici luminescenti, contenenti sali di radio, manifestarono necrosi e tumori ossei alla mascella; esse ingerivano piccole quantità di sostanza facendo la punta al pennello con le labbra, un gesto che ripetevano frequentemente durante le lunghe giornate di lavoro. Sempre negli stessi anni, il genetista H. J. Muller mostrò che i raggi X e i raggi γ producevano mutazioni geniche nel moscerino dell'aceto, trasmissibili ai discendenti secondo le leggi dell'ereditarietà biologica. Tutto questo alimentò sempre di più la voglia di comprendere meglio queste sostanze radioattive e soprattutto capire il loro possibile potenziale offensivo; i progetti scientifici, sovvenzionati dalle nazioni più potenti, si moltiplicarono con l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale. Apripista di tutto ciò, furono gli esperimenti e le scoperte di Fermi con i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, i quali misero inconsapevolmente a punto la prima fissione nucleare artificiale di un atomo di uranio. Nel 1942, a guerra avviata, lo scienziato italiano realizzò quella che fu chiamata “pila di Fermi”, ovvero la prima reazione a catena controllata in una pila atomica, invenzione che spianerà la strada

Figura 3 I coniugi Curie

Figura 4 Enrico Fermi (primo da destra) e i "Ragazzi di via Panisperna"

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all’energia nucleare. Da lì il passo fu breve; gli Stati Uniti, attraverso il cosiddetto “Progetto Manhattan” dedicato allo sviluppo del nucleare in ambito militare, arrivarono alla realizzazione delle prime bombe atomiche utilizzate nelle tristi vicende Giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Negli anni successivi, la questione “lesioni da irraggiamento” ha imperversato il dibattiti scientifico e si approfondì così l’aspetto medico relativo agli effetti tardivi comparsi nelle persone esposte a dosi non mortali. Alla International conference on pacific uses of atomic energy (Ginevra, 1955) Tzuzuki riportò la notizia che tra i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki era stato osservato un numero più elevato di casi di leucemia, rispetto a quello atteso in base alle caratteristiche endemiche della malattia. Successivamente vennero resi noti i risultati di indagini epidemiologiche sull'incremento di tumori maligni e leucemia nelle cause di morte in pazienti trattati con röntgenterapia per dolori artrosici vertebrali e si capirono così gli effetti a lungo termine.

Tutto ciò fa capire che la scoperta delle radiazioni ionizzanti, oltre agli aspetti puramente teorico-scientifici, ha portato con sé tutta una serie di nuove problematiche di tipo medico. La loro applicazione è in molteplici campi, e numerose sono le persone che ogni giorno ne vengono esposte professionalmente. Importante è comprendere il reale impatto sulla popolazione e principalmente capire il rapporto, più o meno stretto, esistente tra alcune patologie e tali radiazioni. Essenziale è, a questo punto della storia della medicina, verificare quanto incidano le esposizioni a basse dosi sulla salute di molti lavoratori tra i quali un elevato numero di operatori sanitari.

2.2. Radiazioni

Radiazione è un termine utilizzato in fisica per descrivere il fenomeno in cui c’è trasporto di energia nello spazio, non richiedente alcun supporto (mezzo), caratterizzato da una cessione di energia alla materia. La fisica moderna ha dimostrato che ogni radiazione presenta indifferentemente un comportamento sia corpuscolare che ondulatorio a seconda del fenomeno fisico con il quale si cimenta: un’interpretazione coerente di questa “duplice natura”, che non può mai estrinsecarsi simultaneamente è possibile nella Meccanica quantistica. Come descrive De Broglie “il duello tra onda e corpuscolo non avviene mai

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perché solo uno degli avversari è presente”. La radiazione elettromagnetica è un fenomeno ondulatorio dato dalla propagazione nello spazio del campo elettromagnetico e determinato dalla contemporanea presenza di un campo elettrico e di un campo magnetico, oscillanti in piani tra loro ortogonali. I suddetti campi si propagano nello spazio sotto forma di onde che sono caratterizzate da tre parametri: ampiezza, lunghezza e frequenza. Le radiazioni dal punto di vista ondulatorio sono caratterizzate da una velocità nel vuoto costante, finita, pari a circa 299792 km/s (valore arrotondato spesso in 3,0 x 108 m/s), indicata con c, da una particolare frequenza e dalla sua lunghezza d'onda, indicata con il simbolo λ. La frequenza v è definita come il numero di lunghezze d'onda che passano in un secondo per un determinato punto dello spazio e la relazione che intercorre tra lunghezza d’onda e frequenza è inversamente proporzionale: tanto più alto è il valore della frequenza dell'onda e tanto minore sarà la sua lunghezza d'onda. Esistono diversi tipologie di radiazioni caratterizzate da una diversa lunghezza d’onda.

Tabella 1 Tipi di radiazioni e lunghezza d'onda specifica

Quando un’onda elettromagnetica incontra un ostacolo cede ad esso parte della sua energia, determinando così una serie di effetti che dipendono dalla frequenza della radiazione e dalla natura dell’ostacolo stesso. Interagendo con gli atomi dei diversi

Tipologia di radiazione Lunghezza d'onda

Onde Elettriche Tra 106 e 104 m

Onde Radio Tra 104 e 10−2 m

Microonde Tra 10 e 10−3 m

Raggi Infrarossi Tra 10−4 e 10−6 m

Luce Visibile Tra 7,60 e 3,80 x 10-7 m

Luce Ultravioletta Tra 3,80 x 10-7 e 10−8 m

Raggi X Tra 10−8 e 10−10 m

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materiali attraversati, a seconda che l’energia della radiazione incidente sulla materia sia sufficiente a ionizzare o meno gli atomi, possiamo suddividere le radiazioni in ionizzanti e non ionizzanti.

2.2.1. Radiazioni non ionizzanti

Il termine “Radiazioni non ionizzanti” o “NIR” (Non-Ionizing Radiations) si riferisce a qualunque tipo di radiazione elettromagnetica che non trasporta sufficiente energia per ionizzare atomi o molecole, in grado cioè di rimuovere completamente un elettrone da un atomo o da una molecola. In questo caso, la radiazione elettromagnetica, attraversando la materia, invece di produrre ioni carichi, ha sufficiente energia solo per eccitare il movimento di un elettrone ad uno stato energetico superiore. Il parametro critico dell’onda elettromagnetica, dal quale dipende l’energia, è la frequenza ν, ed è quindi questa a determinare il livello di interazione fra la radiazione e la materia attraversata. Per convenzione si usa suddividere i campi delle Radiazioni non ionizzanti in due regioni principali: la regione ottica e la regione detta convenzionalmente elettromagnetica. La

radiazione ottica si suddivide in radiazioni ultraviolette (UV), luce visibile e radiazioni

infrarosse (IR); la regione elettromagnetica viene suddivisa a sua volta in Microonde, Radiofrequenze (tra cui anche gli ultrasuoni), Campi elettromagnetici a frequenze estremamente basse e Campi elettrici e magnetici statici. L’interazione delle radiazioni non ionizzanti con la materia è dovuta essenzialmente alla polarizzazione delle molecole del mezzo ed al loro successivo rilassamento. Anche se l’energia trasportata da questo tipo di radiazioni è molto bassa, è però sufficiente a provocare modifiche termiche, meccaniche e bioelettriche (effetti biologici) nella materia costituente gli organismi viventi.

2.2.2. Radiazioni ionizzanti

Si definiscono ionizzanti quelle radiazioni che, grazie al loro elevato contenuto energetico, sono in grado di ionizzare la materia con cui vengono a contatto, ossia liberare elettroni da atomi o molecole (elettricamente neutri) e trasformare questi in particelle

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cariche, dette ioni. Questo tipo di radiazioni sono in grado di modificare la struttura chimica delle sostanze su cui incidono e, nel caso più specifico, possono produrre effetti biologici a lungo termine, soprattutto interagendo con il DNA contenuto nelle cellule, alterandolo.

Le radiazioni ionizzanti possono essere suddivise in:

corpuscolari, costituite da particelle subatomiche dotate di carica elettrica. Le più

comuni comprendono le particelle alfa (α) e le particelle beta (β). Altre particelle subatomiche ionizzanti che esistono in natura sono i muoni, i mesoni, i positroni, e le particelle che costituiscono i raggi cosmici.

non corpuscolari, costituite da onde elettromagnetiche dell’estremità più

energetica dello spettro elettromagnetico. Queste sono i raggi X e i raggi gamma (γ).

Anche la porzione ad alta frequenza degli ultravioletti nello spettro elettromagnetico è da considerare radiazione ionizzante, mentre la parte più bassa è considerata radiazione non ionizzante. Le radiazioni ultraviolette rappresentano una specie di demarcazione tra i due tipi di radiazione e i raggi X con energie superiori a 124 eV, sono sicuramente sempre ionizzanti. Il confine che esiste nell'ultravioletto tra radiazioni elettromagnetiche ionizzanti e non ionizzanti non è nettamente definito, dal momento che i diversi atomi e molecole vengono ionizzati a energie differenti. Convenzionalmente si colloca il confine a un'energia del fotone tra 10 eV e 33 eV. Quest’ultima è l'energia che viene utilizzata mediamente per ionizzare una molecola d'acqua, creando una coppia di ioni e tale energia cade nella regione di transizione con i raggi X. Per questo tale parte dello spettro elettromagnetico viene chiamata “estremo ultravioletto” e pertanto da un punto di vista biologico solo questa parte di spettro può essere considerata a tutti gli effetti una radiazione ionizzante. Da rilevare la diversa tipologia di ionizzazione tra le due categorie: le radiazioni corpuscolari hanno la capacità di ionizzare direttamente la materia, mentre le onde elettromagnetiche sono indirettamente ionizzanti.

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10 2.2.3. Le principali tipologie di radiazioni ionizzanti

Particelle alfa - Le particelle alfa, dette anche elioni, sono particelle costituite da

due protoni e due neutroni legati insieme dalla “forza forte”, come fossero del tutto identiche ad un atomo di elio che manca dei suoi due elettroni. Le particelle alfa vengono emesse da nuclei radioattivi di elementi pesanti come uranio, torio e radio durante il processo chiamato “decadimento alfa”, caratterizzato dal fatto che uno o più atomi instabili si trasformano in altri elementi a numero atomico inferiore con il rilascio di tali particelle. A causa della loro massa, le particelle alfa hanno un elevato potere di ionizzazione ma al tempo stesso una bassa capacità di penetrazione. Tali particelle possono essere arrestate facilmente dagli urti con altre molecole, in un percorso di pochi centimetri in aria (circa 7 cm) o da un foglio di carta. Non superano quindi la barriera della cute e, pertanto, la loro pericolosità per l’organismo resta legata ad un eventuale irraggiamento interno derivante da sostanze ingerite, inalate o penetrate attraverso soluzioni di continuo. In questo caso possono creare gravissimi danni ai tessuti biologici per la enorme forza di ionizzazione posseduta. Le particelle alfa costituiscono il 10-12% dei raggi cosmici, e hanno energie maggiori di quelle emesse nei processi nucleari; tuttavia questo tipo di radiazioni è notevolmente attenuato dall'atmosfera terrestre, che costituisce uno schermo equivalente a circa 10 metri d'acqua.

Particelle beta - Le particelle beta sono elettroni o positroni di grande energia cinetica,

emessi da alcuni nuclei radioattivi e la loro produzione deriva dal processo chiamato “decadimento Beta”. Ci sono due forme di decadimento Beta, β− e β+, che danno origine

rispettivamente all'elettrone e al positrone. Nella prima un neutrone si trasforma in un protone (con carica positiva) e in un elettrone che viene espulso dal nucleo. Affinché il processo sia fisicamente possibile viene espulso anche un antineutrino. Qui il numero di protoni aumenta e quindi l’atomo si trasforma in un elemento diverso, ossia con un numero atomico aumentato. Nel secondo invece un protone si trasforma in un neutrone (con carica neutra) e in un positrone che viene espulso dal nucleo, e affinché il processo sia fisicamente possibile viene espulso anche un neutrino. Il numero di protoni in questo caso diminuisce e quindi l’atomo si trasforma in un elemento con un numero atomico maggiore. Le radiazioni beta hanno energie inferiori a quelle delle radiazioni alfa, ma

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Esse possono essere fermate da barriere di modesta entità, come può essere un foglio di alluminio e il loro percorso in aria è più lungo di qualche metro. Per quanto riguarda i tessuti biologici, le particelle beta hanno un potere di penetrazione di alcuni millimetri.

Positroni - Il positrone, detto anche “antielettrone”, è una particella avente massa uguale

a quella dell’elettrone e carica positiva uguale in valore assoluto a quella negativa dell’elettrone. Questa è un’antiparticella e come tale, incontrando la particella corrispondente (in questo caso un elettrone) subisce il fenomeno dell’annichilazione che comporta la scomparsa simultanea della particella e dell’antiparticella, con conseguente trasformazione della loro massa in energia formando due fotoni gamma, che si allontanano lungo la stessa direzione ma in verso opposto. I positroni possono essere generati da un decadimento nucleare, attraverso interazioni deboli o dalla produzione di coppia prodotta da un fotone sufficientemente energetico.

Raggi X - I raggi X, scoperti dal fisico tedesco Röntgen nel 1895, sono radiazioni

elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa tra i 10-9 m e 10-11 m. Vengono

suddivisi in “raggi X molli” quelli con una lunghezza d’onda superiore a 0,1 nm e in “raggi X duri” quelli minori a tale limite. Affinché una sostanza possa emettere raggi X, è necessario che un elettrone sia strappato da uno dei livelli energetici dell'atomo; lo spazio che rimane vuoto viene colmato successivamente dall’arrivo di elettroni a livelli energetici superiori, rilasciando così questo tipo di onde elettromagnetiche. I raggi X, a causa della loro elevata frequenza (inversamente proporzionale alla loro lunghezza d’onda) hanno un potere di penetrazione molto elevato: solo spessori dell'ordine di centimetri di piombo o di decine di centimetri di calcestruzzo possono fermarli. I raggi X normalmente hanno energia inferiore rispetto ai raggi gamma, e con una vecchia convenzione si definiva il confine tra i due ad una lunghezza d'onda di 10−11 m o a un'energia di 100 keV. Questa soglia è stata dettata dalle limitazioni dei vecchi tubi a raggi X, ma adesso le tecnologie e le scoperte moderne hanno portato ad una sovrapposizione tra le energie dei raggi X e dei raggi gamma. In molti campi sono funzionalmente identici, differendo per gli studi terrestri solo per l'origine della radiazione.

Raggi gamma - I raggi gamma sono una forma energetica di radiazione

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processi subatomici, come l'annichilazione elettrone-positrone. Questi sono più penetranti della radiazione prodotta dalle altre forme di decadimento radioattivo (decadimento alfa e beta), a causa della minor tendenza ad interagire con la materia. I raggi gamma sono composti da fotoni e ciò ne determina una differenza sostanziale dalle radiazioni corpuscolari. I fotoni non essendo dotati di massa sono meno ionizzanti ma al tempo stesso sono molto più penetranti. Proprio per questo, per una eventuale schermatura da tali radiazioni occorrono materiali di massa notevole; basti pensare che per arrestarli servono alcuni centimetri di piombo o cemento. I raggi gamma si distinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni nucleari o comunque subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizione energetiche dovute ad elettroni in rapido movimento. Poiché è possibile per alcune transizioni elettroniche superare le energie di alcune transizioni nucleari, i raggi X più energetici si sovrappongono con i raggi gamma di minor energia.

2.3. Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti, attraverso il trasferimento della loro energia, hanno la capacità di ionizzare gli atomi e le molecole della materia con cui interagiscono, e potenzialmente di modificarne la struttura. Un atomo ionizzato avrà un comportamento chimico molto diverso rispetto a quello di un atomo neutro; nella molecola esso tenderà a rompere vecchi legami chimici e produrne di nuovi, alterando le proprietà biochimiche del mezzo. Se questo è rappresentato da materiale biologico, la cessione di energia può creare un danno alle strutture cellulari degli organismi viventi e perciò si possono compromettere le funzioni della cellula. Se la molecola danneggiata ha un importante ruolo nel funzionamento cellulare si può determinare la sua morte. Da un semplice danno molecolare si può produrre un danno cellulare che, può diventare, se amplificato, un danno d’organo.

Gli effetti chimici e biologici delle radiazioni ionizzanti dipendono dalla dose assorbita dai tessuti irraggiati e viene definita come l’energia assorbita in rapporto alla massa:

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Maggiore è l’energia assorbita e maggiore sarà il numero di ionizzazioni prodotte, e a parità di dose, il danno biologico può variare, in quanto quest’ultimo dipende dalle ionizzazioni subite per unità di cammino percorso (LET) e dalla presenza di ossigeno nei tessuti (OER). Le radiazioni ionizzanti quando interagiscono con la materia depositano una certa quantità di energia lungo tutto il tragitto: questa è l’energia media depositata per unità di cammino percorso, denominato LET (Linear Energy Transfer). Anche la qualità delle radiazioni è importante poiché ne esistono di diversi tipi: quelle elettromagnetiche (Raggi X, γ), Particelle cariche (α, β, protoni ecc.) e Particelle Neutre (neutroni). Tutte queste radiazioni sono diverse per massa, carica ed energia e questo determina diversi modi di cedere energia al tessuto biologico. Proprio per questo le radiazioni possono essere classificate in funzione della loro capacità di trasferire energia durante il percorso nel materiale attraversato:

 Radiazioni a Basso LET. Sono i Raggi X e i Raggi gamma, i quali determinano azione indiretta, con danni al DNA spesso riparabili.

 Radiazioni ad Alto LET. Sono le particelle alfa, protoni e neutroni che determinano azione diretta producendo ioni.

Dal punto di vista del meccanismo con cui le radiazioni ionizzanti possono interagire con le molecole, causando quindi effetti biologicamente significativi, si possono distinguere due modalità di azione:

Azione diretta: si intende quando la radiazione, attraverso il trasferimento di

energia, crea ionizzazione negli atomi che costituiscono le macromolecole cellulari (come per esempio il DNA), danneggiando direttamente la cellula così da avere un effetto biologico osservabile.

Azione indiretta: si intende invece quando il danno è prodotto dai radicali liberi

prodotti dalla ionizzazione delle molecole d’acqua che costituiscono la maggior parte dell’ambiente interno ed esterno della cellula.

Nel secondo caso, i radicali liberi sono dovuti al processo di radiolisi delle molecole d’acqua presenti nelle cellule e alla fine del processo si ha la formazione di perossido d’idrogeno e idroperossido, molecole molto reattive e instabili dal punto di vista chimico che possono determinare la rottura dei legami chimici preesistenti. Si stima che almeno

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2/3 di tutti i danni da radiazione siano dovuti ai radicali liberi e che questi possano causare danni a grandi distanze dalla loro zona di origine. Si è riscontrato inoltre il cosiddetto “Effetto ossigeno” (OER), cioè l’amplificazione del danno biologico, determinato dai radicali liberi, a seconda della presenza o meno di ossigeno.

I danni biologici dovuti alle radiazioni ionizzanti possono essere a carico di uno o più punti della cellula:

 rottura della membrana mitocondriale;

 rottura di un complesso DNA-membrana;

 rottura della membrana nucleare;

 rottura del filamento di DNA.

Inoltre, i radicali liberi prodotti dalle radiazioni possono anche interagire con le membrane plasmatiche, attraverso i processi di perossidazione dei lipidi e di ossidazione dei gruppi sulfidrilici delle proteine. Più in generale, si può dire che le radiazioni inducono sulle membrane cellulari una diminuzione della fluidità: a basse dosi (1-50 Gy) si manifesta una variazione della permeabilità cellulare agli ioni, ad alte dosi (100-200 Gy) si ha, invece, un aumento della permeabilità passiva. Da ricordare comunque, che non esistono molecole all’interno di una cellula più o meno radiosensibili, ma esistono molecole più o meno importanti per la funzione e vitalità della cellula; il DNA, in quanto presente in una sola copia e portatore dell’informazione genetica, è un bersaglio molto critico e le sue lesioni possono riguardare la struttura primaria (sequenza delle basi sull’elica), la secondaria (doppia elica) e le funzioni biologiche (replicazione, trascrizione ed espressione genica). In generale, per quanto riguarda i danni al DNA, si distinguono due tipi di effetti, a seconda che le radiazioni inducano eccitazione elettronica o ionizzazione. Alla prima categoria appartengono le radiazioni ultraviolette (UV), che a una lunghezza d'onda di 260 nm determinano dimerizzazione di due timine adiacenti sullo stesso filamento di DNA, provocando la formazione di legami covalenti. Il danno indotto da questo tipo di radiazione coinvolge principalmente le basi pirimidiniche. Alla seconda categoria appartengono le radiazioni ionizzanti, che provocano invece il distacco e l'eliminazione delle basi azotate, con la formazione di siti privi di purine e/o pirimidine. Altri tipi di lesioni indotte per ionizzazione nella struttura primaria sono:

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15  rotture a singolo filamento (SSB) (Single Strand Break);

 rotture a doppio filamento (DSB) (Double Strand Break);

 legami crociati tra due filamenti di DNA o anche fra DNA e proteine.

Le rotture a singolo filamento, SSB, avvengono in seguito all'idrolisi del legame fosfodiesterico e all'eliminazione di un gruppo fosfato attraverso un meccanismo che coinvolge i radicali liberi. L'energia della radiazione a basso LET, che provoca le rotture SSB è mediamente di 10-20 eV. Al contrario, per ottenere rotture a doppio filamento, DSB, è necessario che l'energia delle radiazioni sia maggiore, compresa tra 1000 e 1800 eV. Queste rotture consistono nell'interruzione dei due filamenti complementari di DNA, localizzate nello stesso sito o distanti poche paia di basi; in alcuni casi ci possono essere lesioni più complesse con perdita di intere informazioni genetiche. Anche se con bassa frequenza, si possono riscontrare anche legami crociati tra due filamenti di DNA, o tra DNA e proteine, determinando un'alterazione a livello della struttura secondaria. Ricapitolando le alterazioni maggiormente osservate a livello del DNA sono:

 rottura dei legami tra basi;

 danneggiamento di una base azotata;

 danneggiamento di uno zucchero;

 rottura di un filamento singolo (SSB);

 rottura di entrambi i filamenti (DSB);

 siti con danni multipli (cluster);

 intercalazione (introduzione di un frammento tra i due filamenti);

 legame crociato lungo il filamento (intra-strand cross link);

 legame crociato tra filamenti (inter-strand cross link);

 legame crociato tra DNA e proteina.

Come abbiamo detto, il danno più grave che la cellula può ricevere è a carico del materiale genetico nucleare (DNA) contenuto nei cromosomi. Le sue alterazioni possono causare diverse possibilità:

 Se il danno al DNA è su uno solo dei due filamenti di zuccheri e ortofosfati che lo costituiscono, allora il danno è riparabile e la cellula può riprendere la sua attività dopo la riparazione.

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16  Se il danno al DNA è su entrambi i filamenti, allora si possono avere due situazioni differenti: nel primo caso la cellula muore subito o quando tenta di riprodursi; nel secondo la cellula non muore, ma ha una perdita di informazioni che si traduce in un blocco della replicazione o in una mutazione genica che potrebbe dare inizio ad un processo neoplastico.

Un organismo sano è generalmente in grado di rimediare ai danni potenzialmente cancerogeni provocati dalle radiazioni ionizzanti, sia immediatamente a livello molecolare con la riparazione del DNA danneggiato, sia successivamente attraverso l’eliminazione, da parte del sistema immunitario, di cellule recanti mutazioni genetiche e potenzialmente neoplastiche. Questi meccanismi di difesa e sorveglianza funzionano continuamente nel nostro organismo in condizioni normali. L’abbassamento delle difese immunitarie, un cattivo stile di vita, e altri fattori possono compromettere queste difese naturali e diminuire il livello di sorveglianza, contribuendo allo sviluppo di effetti clinici rilevabili solo dopo anni. Questi sono i cosiddetti “effetti tardivi”, che determinano un accorciamento dell’aspettativa di vita: la fibrosi tardiva da radiazioni, i danni all’apparato cardiocircolatorio e soprattutto l’induzione di tumori.

Per quanto riguarda la radiosensibilità di un tessuto, intesa come risposta acuta all’irraggiamento, essa è direttamente proporzionale all’attività proliferativa delle sue cellule ed è inversamente proporzionale al suo grado di differenziazione. Il motivo di ciò è il fatto che le cellule con un’alta attività replicativa sono spesso in fase di mitosi, momento in cui la cellula madre, per potersi duplicare in due cellule figlie, divide la doppia elica del DNA in due filamenti singoli. Ed è proprio in questo momento, che un eventuale irraggiamento, anche di bassa energia, può creare danni molto elevati alla cellula, dato che i filamenti, presi singolarmente, sono molto più fragili. Per tale motivo le popolazioni cellulari più radiosensibili sono quelle della cute, del midollo osseo, dell’intestino e delle gonadi; sono invece definiti radioresistenti i tessuti con cellule che hanno scarsa capacità proliferativa, come il sistema nervoso, l’apparato osteo-muscolare, i reni ed il fegato. Lo studio degli effetti delle radiazioni in cellule di mammifero coltivate in vitro ha permesso di conoscere, anche, la relazione fra radiazioni, ciclo cellulare e riparazione. I risultati più interessanti circa gli effetti delle radiazioni sul ciclo cellulare sono stati ottenuti quando sono state utilizzate cellule sincronizzate, mediate idrossiurea

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che, inibendo la ribonucleotide reduttasi, sincronizza le cellule nella fase S. Si è visto che le fasi M e G2 risultano le più sensibili e che la fase S è la più radioresistente. Le radiazioni causano anche un ritardo nella progressione del ciclo cellulare; infatti è possibile osservare una riduzione dell'indice mitotico in cellule irradiate nella fase G2, che viene chiamato ritardo mitotico. Una conseguenza di questo fenomeno è che le cellule sono bloccate temporaneamente nella fase G2, determinando una sincronizzazione della popolazione cellulare. Per quanto riguarda il danno prodotto alle cellule, c’è una diversa implicazione a seconda che le cellule siano di tipo somatico o di tipo germinale; infatti il danno alle cellule germinali (ovociti e spermatozoi) potrebbe introdurre una mutazione genica che potrebbe essere trasmessa all’individuo figlio, mentre il danno alle cellule somatiche rimane a carico del corpo di cui queste fanno parte.

2.3.1. Iniziazione, promozione e progressione della cellula neoplastica

L’elemento cardine del danno cellulare, riscontrato sia a livello somatico che genetico, è rappresentato dalle alterazioni degli acidi nucleici, che determinano la morte della cellula o la sua trasformazione. Nel caso di irradiazioni a dosi elevate sarà più eclatante il primo effetto, che sfocerà in una sintomatologia sul piano clinico da correlare all’organo/sistema maggiormente colpito o più radiosensibile. Il secondo effetto, che ha un periodo di latenza molto più lungo e non è correlabile ad una soglia ben precisa, è in qualche modo responsabile della carcinogenesi. Le radiazioni ionizzanti, come tutti gli agenti cancerogeni, possono agire da soli o, come molto spesso accade, agire in maniera sinergica nel processo che porta alla formazione della neoplasia, operando su punti diversi di tale processo. La trasformazione neoplastica per unanime consenso del mondo scientifico è un fenomeno complesso, lungo nel tempo, dimostrata nei modelli sperimentali e caratterizzata da diversi stadi, dove la lesione a livello del DNA rappresenta la prima e più importante tappa del procedimento. Si riscontrano almeno tre stadi:

 iniziazione: l’iniziazione deriva dall’esposizione delle cellule ad una dose sufficiente di un agente carcinogeno (iniziante), ed è la fase nella quale si ha la produzione di una mutazione genetica stabile, cioè trasmissibile alle cellule figlie.

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Una cellula iniziata è una cellula alterata, il che la rende potenzialmente capace di dare origine ad una neoplasia; tuttavia, la sola iniziazione non è sufficiente per la formazione di un tumore.

 promozione: gli agenti promuoventi possono indurre tumori nelle cellule iniziate, ma non sono di per sé oncogeni. Inoltre, i tumori non si sviluppano se l’agente promuovente è applicato prima dell’agente iniziante. Questo indica che, diversamente dagli effetti degli agenti inizianti, le alterazioni cellulari dovute all’applicazione degli agenti promuoventi non coinvolgono direttamente il DNA e sono reversibili. Ciò è dimostrato dal fatto che i tumori non si sviluppavano in cellule iniziate se l’intervallo di tempo tra le successive applicazioni dell’agente promuovente è sufficientemente ampio. Quindi gli agenti promuoventi hanno la capacità di aumentare la proliferazione delle cellule iniziate, effetto che può contribuire allo sviluppo di ulteriori mutazioni in queste cellule. La promozione è un processo che si protrae nel tempo e richiede un’esposizione prolungata e ripetuta a questi agenti, che spesso lavorano in associazione o in sinergia con altri agenti, tra i quali possiamo annoverare le radiazioni ionizzanti. La loro azione consiste nell’indurre la proliferazione cellulare attraverso una delle varie vie che interferiscono con i normali sistemi di controllo del ciclo di riproduzione cellulare. Ciò in ultima analisi si traduce, all’interno del nucleo, in una inibizione dei geni soppressori e/o in una attivazione dei geni promotori. In questa fase si viene a determinare una modificazione dello stato di differenziazione della cellula, con una inibizione o addirittura una regressione della sua specializzazione (dedifferenziazione), fatto questo che può far assumere alla cellula le caratteristiche totipotenti tipiche della fase ontogenetica, cioè del periodo di formazione degli organi;

 progressione: questo terzo passaggio può essere distinto a sua volta in fase di conversione, e una fase più propriamente di progressione. La conversione è la fase nella quale una o più cellule, che ormai si riproducono rapidamente, trasformano il loro fenotipo da precanceroso a maligno. Qui sembrano giocare un ruolo importante i processi di amplificazione di alcuni protoncogeni (come il gene c-ras) o l’inattivazione di alcuni geni soppressori (come il gene p53). In questa fase il processo di malignità va avanti ulteriormente con l’acquisizione di invasività e

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metastatizzazione, caratteristiche dovute all’insensibilità del contatto con altre cellule e alla secrezione di enzimi litici. Tutte caratteristiche che, sommate alla neoangiogenesi, determinano invasività e sopravvivenza della massa neoplastica. In ognuno di questi stadi l’organismo sa difendersi in maniera appropriata, attraverso vari meccanismi come l’arresto mitotico, l’apoptosi e anche l’attivazione del sistema immunitario. Tutto ciò attuato per rendere molto più difficile il processo di formazione di cellule neoplastiche. In tutto questo, le radiazioni ionizzanti si inseriscono all’interno del processo neoplastico sia come agenti inizianti che come agenti promuoventi, attraverso l’induzione di alterazioni geniche sul DNA cromosomico.

2.4. Effetti delle radiazioni ionizzanti sull’uomo

Gli effetti biologici prodotti dalle radiazioni ionizzanti (irradiazione esterna, irradiazione interna) sono espressione dell’energia ceduta al corpo intero o ai singoli organi e tessuti. I possibili danni sull’uomo possono essere distinti in tre principali categorie:

 Danni somatici deterministici;

 Danni somatici stocastici;

 Danni genetici stocastici.

Si parla di danni somatici per quelli che si manifestano nell’individuo irradiato, di danni genetici per quelli che si manifestano nella sua progenie.

2.4.1. Danni somatici deterministici

Per danni somatici deterministici si intendono quei danni che si manifestano nell’individuo stesso dopo l’irradiazione, la cui frequenza e gravità variano con la dose, e per i quali è individuabile una dose-soglia e al tempo stesso si può fare una prevenzione totale del danno. Questi tipi di danni hanno le seguenti caratteristiche:

 compaiono solamente al superamento di una dose-soglia caratteristica per ogni effetto;

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20  il superamento della dose-soglia comporta l’insorgenza dell’effetto in tutti gli

irradiati, sia pure nell’ambito di una diversa suscettibilità individuale;

 il valore della dose-soglia è in funzione della distribuzione temporale della dose (per le esposizioni protratte la soglia si eleva);

 il periodo di latenza è normalmente breve (giorni/settimane), in alcuni casi l’insorgenza è tardiva (mesi/anni);

 la gravità delle manifestazioni cliniche aumenta con l’aumentare della dose.

I danni somatici deterministici si riscontrano più facilmente nell’irraggiamento dei seguenti tessuti:

 cute, attraverso la comparsa lesioni cutanee;

 ovaio e testicolo, inducendo infertilità;

 cristallino, attraverso la cataratta e l’opacità del cristallino;

 midollo osseo, determinando la morte dei precursori delle cellule ematiche con la comparsa di anemia, leucopenia, pancitopenia.

Per quanto riguarda le lesioni cutanee causate da esposizione acuta (breve e intensa) alle radiazioni ionizzanti, è possibile descrivere quadri clinici diversi di alterazioni come epilazione, eritema, epidermite secca ed essudativa, ulcerazione cutanea, necrosi cutanea. Invece l’irradiazione cronica della cute, anche a piccole dosi per mesi od anni, può portare a quella che veniva definita come “cute del radiologo”, descritta già nella fase “eroica” della radiologia, negli anni successivi alla scoperta dei raggi X e della radioattività, rispettivamente nel 1895 e 1896. Le lesioni maggiori erano a carico delle mani, in quanto i materiali venivano maneggiati speso senza protezione, dato che non erano ancora conosciuti i possibili danni indotti sui tessuti dalle radiazioni ionizzanti e il concetto di radioprotezione era ancora lontano dallo svilupparsi pienamente. La lesione cutanea cronica radioindotta è caratterizzata da cute secca e sottile, con verruche, ispessimenti irregolari dello strato corneo (ipercheratosi), dilatazione dei capillari venosi (teleangectasie), alterazione delle unghie (onicopatia) e stentata riparazione delle ferite cutanee; in alcuni casi può comparire un tumore (epitelioma) nell’ambito delle suddette alterazioni cutanee.

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Per quanto riguarda le lesioni a carico degli occhi, viene chiamata cataratta una qualsiasi opacità del cristallino sufficiente a provocare una diminuzione della vista, e rappresenta un tipico effetto deterministico tardivo delle radiazioni ionizzanti (la latenza è in genere di alcuni anni per dosi non elevate). Le opacità della porzione posteriore del cristallino oltre ad essere indotte da tali tipi di radiazioni, possono essere causate, come precedentemente descritto, da altri fattori come le radiazioni infrarosse, radiofrequenze, ultrasuoni e sorgenti luminose ad alta intensità.

Qualora l’irradiazione acuta avvenga al corpo intero o a larga parte di esso, viene a determinarsi, per dosi sufficientemente elevate, la cosiddetta sindrome acuta da irradiazione. Questa sindrome è caratterizzata da tre forme cliniche progressivamente ingravescenti che sopravvengono in funzione delle rispettive dosi-soglia, e sono:

- Forma emopoietica 1-10 Gy - Forma gastrointestinale 10-20 Gy - Forma neurologica > 50 Gy

Nella fase iniziale della sindrome acuta da irradiazione si riscontrano sintomi come nausea e vomito: la brevità della latenza, l’intensità e la persistenza dei sintomi sono indicative della gravità della prognosi; in genere tali sintomi si manifestano tra i 20 minuti e le 3 ore dopo l’esposizione. In tale fase possono comparire anche iperemia congiuntivale per dosi maggiori a 1,5 Gy ed eritema cutaneo per dosi maggiori a 5 Gy.

La diminuzione delle cellule linfocitarie nel sangue circolante (linfopenia) rappresenta un indicatore particolarmente attento della gravità dell’irradiazione che spesso ci serve per intuire la quantità effettiva di radiazioni assorbite dal soggetto, dato che spesso, non siamo oggettivamente in grado di misurare. L’improvviso e breve aumento delle cellule granulocitarie (punta ipergranulocitaria) osservabile nelle prime 24-36 ore, per quanto utile sul piano diagnostico, non riveste la stessa importanza clinico-dosimetrica della linfopenia.

Il quadro clinico della forma ematologica è dominato da stato febbrile, infezioni dovuta alla neutropenia, ed emorragie dovute all’intensa piastrinopenia. Nella forma gastrointestinale prevalgono febbre, vomito, diarrea, squilibrio elettrolitico ed emorragie

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digestive. La forma neurologica è caratterizzata da disorientamento, obnubilamento del sensorio e convulsioni.

2.4.2. Danni somatici stocastici

In questo caso i danni si manifestano nell’individuo a seguito di esposizione a radiazioni ionizzanti, anche di bassa entità, ma a differenza dei danni deterministici, nei danni stocastici l’incidenza è caratterizzata da una relazione dose-probabilità. Qui solamente la possibilità d’accadimento, e non la gravità è in funzione della dose ed è cautelativamente esclusa l’esistenza di una dose-soglia.

I danni di questo tipo hanno le seguenti caratteristiche:

 non richiedono il superamento di una valore-soglia di dose per la loro comparsa (ipotesi cautelativa ammessa per gli scopi preventivi della radioprotezione);

 sono a carattere probabilistico;

 sono distribuiti casualmente nella popolazione esposta;

 sono dimostrati dalla sperimentazione radiobiologica e dall’evidenza

epidemiologica (associazione causale statistica);

 la frequenza di comparsa è maggiore se le dosi sono elevate;

 si manifestano dopo anni, talora dopo decenni dall’irradiazione;

 non mostrano gradualità di manifestazione con la dose ricevuta, quale che sia la dose;

 sono indistinguibili dai i tumori indotti da altri cancerogeni.

Per i danni stocastici è ammessa in radioprotezione, in via cautelativa, una relazione dose-effetto di tipo lineare; la sua elaborazione è avvenuta nel corso degli anni sulla base di osservazioni epidemiologiche che riguardavano esposizioni a dosi medio-alte: sopravvissuti giapponesi alle esplosioni atomiche, pazienti sottoposti a irradiazioni per scopi medici ed esposizioni lavorative.

I danni somatici stocastici comprendono le leucemie e i tumori solidi; per quanto riguarda questo tipo di tumori i dati epidemiologici sono abbastanza numerosi per le medio-alte dosi, ma sono invece piuttosto scarsi per le basse dosi. L’assenza di evidenza

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epidemiologica alle basse dosi di questi tumori, può essere correlata alla possibile inesistenza degli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti, ma può essere dovuta anche e soprattutto al mascheramento degli stessi effetti, che se pur presenti, non si rendono evidenti sul piano epidemiologico perché compresi nelle normali fluttuazioni statistiche dell’incidenza spontanea dei tumori.

Dopo l’irradiazione è necessario considerare un periodo di latenza in cui il tumore è clinicamente silente, seguito da un periodo a rischio dove è attesa la comparsa a livello diagnostico dei tumori radioindotti. Per tutte le forme di leucemia e per il cancro osseo i dati epidemiologici indicano che l’incidenza clinica (tumore clinicamente diagnosticabile) ha un andamento temporale ad onda con inizio dopo circa 2 anni dall’esposizione, con un picco dopo i 5-8 anni, seguito da un lento decremento con il ritorno verso valori di incidenza naturale entro 30 anni dall’irradiazione. Per le restanti sedi tumorali è stato calcolato un tempo di latenza di 5 anni, seguito da un graduale lento incremento della probabilità di comparsa fino a 10 anni. Successivamente c’è un decremento costante della probabilità di incidenza dei tumori, anche se il periodo di rischio è cautelativamente considerato esteso a tutta la comune durata della vita.

2.4.3. Danni genetici stocastici

I danni genetici stocastici sono alterazioni di tipo probabilistico che investono il DNA delle cellule riproduttive e per questo motivo possono essere trasmessi alla progenie. In realtà, tutt’oggi, non è stato possibile rilevare, in maniera statisticamente significativa, un eccesso di malattie ereditarie nella progenie dei soggetti esposti a radiazioni ionizzanti, rispetto alla progenie di soggetti non esposti; non è chiara quindi l’esistenza di una relazione stretta tra irradiazione dei genitori e patologie o malformazioni nei figli. Lo studio radioepidemiologico più importante, pubblicato nel 1981 e confermato nel 1988, è stato quello sui discendenti dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, dove è stato effettuato un confronto tra 30.000 bambini di cui almeno un genitore era stato irradiato e 40.000 bambini i cui genitori non erano stati irradiati. Nessuna differenza statisticamente significativa è comparsa tra i due gruppi per quanto riguarda lo sviluppo psicofisico, le malformazioni di origine genetica ed alcuni indicatori di natura citogenetica e biochimica.

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Il rischio genetico per l’uomo viene, pertanto, dedotto da studi sperimentali effettuati su modelli vegetali ed animali. Infatti per quanto non dimostrato che le radiazioni ionizzanti possano produrre danni ereditari nell’uomo, studi su piante ed animali indicano che tali danni possono di fatto insorgere. I dati sperimentali, notevolmente numerosi soprattutto per quanto riguarda gli animali, che per caratteristiche biologiche sono molto più vicino all’uomo rispetto alle piante, sono stati ottenuti in condizioni di irradiazione perfettamente definite e pertanto il rischio genetico nell’uomo viene calcolato per estrapolazione su tali dati. I danni genetici stocastici in tali sperimentazioni consistevano in mutazioni geniche e/o aberrazioni cromosomiche.

2.4.4. Irradiazione a embrione e feto

L’embrione e il feto sono sensibili alle radiazioni ionizzanti e, come avviene anche per l’esposizione ad agenti fisici e chimici, questa sensibilità è variabile in funzione dello stadio di sviluppo.

Prima dell’impianto dell’embrione (entro il 9°giorno dalla fecondazione) gli effetti di una irradiazione possono portare alla morte dell’embrione o, in alternativa non avere conseguenze sullo sviluppo e sulla sopravvivenza postnatale. Questo perché la morte di poche cellule non ancora differenziate può essere prontamente sostituita da altre cellule e perciò non determinare alterazioni morfologiche del bambino.

Nel periodo di morfogenesi (tra il 9° giorno e la fine del 2° mese di gravidanza) si ha la formazione degli abbozzi dei vari organi e i tessuti sono particolarmente radiosensibili. In questa fase una irradiazione può indurre facilmente la comparsa di malformazioni. Durante la fase fetale (dall’inizio del 3° mese fino al termine della gravidanza) la frequenza e la gravità delle malformazioni diminuiscono, mentre risulta rilevante il rischio di un alterato sviluppo del sistema nervoso centrale. I dati di Hiroshima e Nagasaki dimostrano che la sensibilità alle radiazioni ionizzanti di questo apparato è massima tra l’8a e la 15a settimana dal concepimento. Durante questo periodo i neuroblasti si

moltiplicano in maniera esponenziale e migrano verso la corteccia cerebrale, loro sede definitiva. Una irradiazione in questo stadio può interferire con questi complessi

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meccanismi evolutivi e quindi determinare nel bambino un ritardo mentale. La sensibilità del sistema nervoso è molto minore tra la 16a e la 25a settimana dal concepimento ed è trascurabile o assente dopo la 25a settimana.

Nel periodo compreso tra la terza settimana dal concepimento e la fine della gestazione c’è la probabilità che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti possa determinare effetti stocastici con l’aumento della probabilità di neoplasie in epoca postnatale (soprattutto leucemie). I dati disponibili, provenienti soprattutto da studi sulle madri sottoposte ad esami radiodiagnostici in gravidanza, non sono univoci e sussistono notevoli incertezze interpretative.

2.5. Fondo naturale di radiazione

Per “Fondo naturale di radiazione” o “Radiazione di fondo” si intende quella parte di radiazioni ionizzanti che esistono in natura alle quali gli esseri viventi sono soggetti nel corso della loro vita. Queste radiazioni derivano da due tipi di fonti naturali: la prima fonte è una radiazione prodotta dalla crosta terrestre per decadimento di nuclidi primordiali; la seconda è di tipo extraterrestre e deriva dalla radiazione cosmica, i cosiddetti “raggi cosmici”. Sebbene poco noto, questo tipo di esposizione è costantemente presente e molto variabile, soprattutto per la diversa costituzione geologica dei luoghi. Infatti, secondo le stime dell’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation), la popolazione mondiale è esposta in media ad una dose efficace annua di circa 2,4 mSv, valore che può variare considerevolmente a seconda dei luoghi. Si tenga presente che nel solo territorio italiano ci sono ampie variazioni: sono da esempio Napoli e Roma che, con dosi rispettivamente di 2,13 mGy e 1,58 mGy, hanno un fondo naturale di radiazione molto più alto di Milano (0,82 mGy), Venezia (0,77 mGy) o Aosta (0,49 mGy).

Per quanto riguarda le fonti terrestri, i maggiori implicati sono il potassio 40 (isotopo 40K) e il radon. Il primo è uno dei tre isotopi del potassio riscontrabili in natura il quale decade in Argon (11,2%), tramite emissione di positroni (decadimento 𝛽 +), e in 40Ca (88,8%) con perdita di elettroni (decadimento 𝛽-). Il 40K ha una emivita di 1,25 × 109 anni ed è

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dato che il potassio è un elemento essenziale per la vita. Il 40K è circa lo 0,01% di tutto il potassio presente in natura e quindi abbastanza abbondante da renderlo una sorgente di radiazioni ionizzanti presente all'interno del corpo umano.

Il Radon invece è un gas “nobile”, scoperto nel 1898 dai coniugi Curie, generato dal decadimento progressivo dell’uranio-238 in radio-226 che, a sua volta, si trasforma in radon-222 attraverso il rilascio di particelle alfa, con tempo di dimezzamento di 3,82 giorni. Tale elemento è sprigionato sia da minerali radioattivi presenti sulla crosta terrestre, sia da alcuni materiali da costruzione come il tufo, graniti e porfidi, i quali contengono una quota di uranio, progenitore del radon. Se tale gas, prodotto dal suolo e dalle rocce, fuoriesce e si diluisce nell'atmosfera, la sua concentrazione risulta talmente bassa da non costituire un rischio per la salute; se invece il gas radon penetra in un ambiente confinato, per esempio attraverso le fondamenta della casa, tenderà ad accumularsi raggiungendo livelli tali da rappresentare una fonte di emissione di particelle alfa. Il radon può entrare nell’organismo tramite inalazione, determinando un possibile danno ai tessuti; questo tipo di inquinamento viene detto “Radon indoor”.

Invece per quanto riguarda le fonti extraterrestri bisogna ricordare che le stelle e le loro esplosioni provocano la produzione dei cosiddetti “Raggi Cosmici”. Questi non sono altro che particelle energetiche provenienti dallo spazio, alle quali sono esposti qualunque corpo celeste, compresa la Terra e i suoi abitanti, costituendo una parte significativa della dose di radiazione di fondo. I “Raggi Cosmici primari” sono costituiti da protoni (per circa il 90%) e da nuclei di elio (quasi il 10%), ma anche in piccolissima parte da elettroni, neutrini e da altri nuclei leggeri. Tali particelle, giunte nell'atmosfera terrestre, interagiscono con i nuclei delle molecole d’aria, formando così un processo a cascata, dove nuove particelle vengono prodotte, prendendo il nome di “Raggi cosmici secondari”. Per questo motivo più si va in quota e più la radiazione cosmica aumenta, dato che si assottiglia lo strato di molecole che assorbono la maggior parte di tali raggi; già a 5500 metri di altitudine la dose annuale assorbita sale a circa il doppio di quella a livello del mare.

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27 2.6. Radioprotezione

La radioprotezione, fin dalla sua nascita come disciplina, ha avuto come intento quello di tutelare la salute e il benessere delle persone esposte, per vari motivi, a radiazioni ionizzanti. A seconda del periodo storico, questa disciplina si è evoluta ed ha cambiato, via via, i suoi obiettivi e i suoi principi, modificandoli attraverso le conoscenze, che nel tempo, si sono fatte più approfondite. Negli anni venti del secolo scorso, quando gli effetti patologici ben conosciuti erano solamente quelli con una dose soglia, l’obiettivo cardine era la realizzazione di schermature fisse e mobili che potessero proteggere gli operatori esposti contro gli effetti non stocastici delle radiazioni ionizzanti. Si pensava allora che esistesse una “dose tollerabile” da non superare in un determinato intervallo di tempo, così da evitare qualsiasi effetto lesivo sulla persona, ammettendo che, le piccole dosi potessero dare solo alterazioni transitorie, funzionali, reversibili, e non lesioni organiche irreversibili. Naturalmente questa dose raccomandata di “tolleranza” non riguardava i pazienti, soprattutto quelli sottoposti a terapia radiante, dove il trattamento poteva comportare la comparsa di lesioni in tessuti sani, accettate come male transitorio minore, rispetto ai benefici della cura intrapresa. Negli anni quaranta, con l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale, gli studi sulle radiazioni proliferarono, per fini bellici, e tali studi riconobbero le radiazioni ionizzanti potenzialmente dannose nell’indurre mutazioni genetiche. Fu così ammessa l’ipotesi che potessero esistere effetti stocastici somatici e genetici senza una dose soglia e quindi l'obiettivo della radioprotezione cambiò totalmente, aprendo la strada a criteri più vicini a quelli esistenti tutt’oggi. Si comprese, infatti, che non era possibile mirare alla sicurezza assoluta (a meno di non togliere del tutto le attività con radiazioni ionizzanti) e si doveva puntare al grado di prevenzione più elevato possibile. L’idea di fondo era che il rapporto rischio/beneficio, derivante l’utilizzo di tali radiazioni, fosse nettamente a favore dei benefici o comunque che il pericolo sanitario per la società e gli individui fosse molto basso. L'evoluzione della radioprotezione accelerò nel secondo dopoguerra, dovuto agli studi condotti su animali da laboratorio, e soprattutto agli studi inerenti le cause di morte nei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. Si iniziò a fare le prime stime sulla probabilità di ammalarsi di patologie maligne derivanti da radiazioni, ipotizzando che vi fosse proporzionalità semplice tra dose e probabilità di effetti tardivi. Si comprese inoltre, la difficoltà a livello

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epidemiologico, di esplorare pienamente gli effetti stocastici derivanti da piccole dosi di radiazioni ionizzanti; questo perché si capì che gli studi in tal senso, avrebbero dovuto avere un numero estremamente alto di individui in osservazione. Comunque, con un acceso dibattito e molti dubbi, si arrivò ad affermare che la relazione tra dose ed effetti stocastici, nel campo delle piccole dosi (per quanto inesplorabile), fosse lineare e senza soglia, cioè il rapporto tra dose ed effetti era una retta passante per l’origine; ciò fece accantonare quasi del tutto che esistesse una dose di tolleranza. Veniva anche affermato che le patologie maligne ed anche le mutazioni geniche erano indistinguibili, sia per caratteristiche che per comportamento, in confronto al tipo di patologie presenti spontaneamente nella popolazione; veniva riconosciuto pure il carattere stocastico dell'insorgenza di queste patologie, mediante la sperimentazione su mammiferi di laboratorio. I modelli teorici degli effetti stocastici non contraddicevano l'ipotesi che anche piccole dosi potessero provocare, con piccolissima probabilità, l'insorgenza di tali patologie, e non contraddicevano nemmeno il fatto che non esistesse una dose soglia sotto la quale non vi fossero rischi di tipo stocastico. In questo periodo, si affermò sempre di più l’idea che dovessero essere posti dei principi che guidassero la radioprotezione. Tra questi il “principio di limite”, che consisteva nel riconoscimento d'un rischio accettabile di effetti stocastici (e dunque d'un limite di dose) e il “principio di tendenza” cioè eliminare l’esposizione a qualsiasi dose non motivata e non necessaria. Con le pubblicazioni del 1965 e del 1972 la ICRP (International Commission on Radiological

Protection) forniva una sistemazione soddisfacente a questi due principi “storici” che col

tempo diventeranno i cardini della radioprotezione. Un'ulteriore elaborazione di questi concetti ha portato in tempi più recenti alla formulazione dei tre principi cardine della radioprotezione, che si applicano in tutte quelle attività dove c’è esposizione a radiazioni ionizzanti con rischio di indurre patologie maligne o mutazioni ereditarie.

I tre principi di carattere generale della radioprotezione sono:  Il principio di giustificazione.

Esso richiede, per ogni pratica con impiego di radiazioni, la valutazione preventiva dei rischi e dei benefici e che, questi ultimi siano nettamente superiori ai primi. Occorre sempre porsi la questione se un'attività umana (industriale, medica, di ricerca, ecc.) possieda adeguata giustificazione, argomentata mediante

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un'analisi dei benefici e dei costi totali. Se l'analisi si conclude con un giudizio di prevalenza dei benefici sui costi, l'attività proposta è “giustificata”, e la sua introduzione o realizzazione è possibile. “Nessuna attività umana con radiazioni ionizzanti deve essere accolta a meno che la sua introduzione produca un beneficio netto e dimostrabile" (ICRP).

 Il principio di ottimizzazione.

Esso consiste nell’adozione di tutte le metodiche adeguate a ridurre, per quanto possibile, l’esposizione alle radiazioni, secondo alcuni parametri di protezione come: la distanza dalla sorgente di radiazioni, all’aumentare della quale il rischio si riduce generalmente come l’inverso del suo quadrato; il tempo di esposizione, che deve essere ridotto il più possibile compatibilmente con le esigenze lavorative; l’adozione di adeguate schermature, che devono essere progettate in considerazione del tipo e dell’intensità delle radiazioni da schermare; il controllo della contaminazione radioattiva, che deve essere mantenuta entro livelli molto contenuti. ‟Ogni esposizione alle radiazioni deve esser tenuta tanto bassa quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a considerazioni economiche e sociali” (ICRP).

 Il principio del limite di dose individuale

L'ottimizzazione, in radioprotezione, è una operazione di sanità pubblica con il fine di tutelare la società intera, tralasciando però la tutela del singolo individuo. Potrebbe accadere che, per il principio di ottimizzazione, alcuni lavori con rischio di elevata esposizione a radiazioni ionizzanti possano essere fatti da un esiguo numero lavoratori estremamente specializzati, che riceverebbero dosi troppo grandi. Questa situazione è contraria alla tutela dei lavoratori e la ICRP pertanto ha introdotto il terzo principio della radioprotezione, dove si afferma che la dose individuale non deve superare i limiti raccomandati nelle varie circostanze. Questi limiti sono scelti e fissati dalla Commissione, per qualsiasi lavoratore o individuo della popolazione, e il limite di dose per le singole persone deve assicurare una protezione adeguata, specialmente quando i benefici non sono così evidenti in rapporto ai rischi. Si assume cioè che ogni singola persona (come può essere un

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operatore sanitario) possa accettare dose e rischio senza pretendere un beneficio per sé, perché si considerano più importanti i benefici generali apportati alla società, ma tutto fino a certi limiti. Questi sono imposti dalla normativa nazionale vigente, sia per i lavoratori esposti che per gli individui della popolazione e corrispondono a quelli raccomandati in ambito internazionale dalla ICRP.

Oggi che i principi sono tre (giustificazione, ottimizzazione, limite di dose individuale) i destinatari sono molteplici. Il principio di giustificazione è rivolto a coloro che sono preposti a decidere sull'adozione o sul rifiuto di un'attività umana con radiazioni o d'un programma che comporti l’esposizione di persone. Il principio di ottimizzazione è rivolto agli operatori (per esempio sanitari) e agli incaricati di radioprotezione con l'impegno di ricercare e di attuare la protezione ottimale. Il principio del limite di dose individuale è rivolto soprattutto, a coloro che provvedono alla protezione degli operatori sui luoghi di lavoro. Queste, sono ad oggi, le posizioni e gli obiettivi della radioprotezione: la Commissione Internazionale per le Protezioni Radiologiche (ICRP) nelle sue più recenti raccomandazioni dichiara che ‟la radioprotezione si occupa della protezione sanitaria degli individui, della loro progenie e del genere umano nel suo insieme, pur consentendo le attività umane di carattere necessario dalle quali potrebbe derivare un'esposizione alle radiazioni". Precisa anche che ‟lo scopo della radioprotezione dovrebbe essere la prevenzione degli effetti dannosi non stocastici (che hanno una dose soglia) e la limitazione a livelli considerati accettabili degli effetti stocastici" per i quali è formulata l'ipotesi della mancanza di una soglia di dose. C’è da ricordare inoltre che mentre le “tecniche” della radioprotezione sono specifiche, i “principi” hanno validità molto generale e possono esser considerati tra le costruzioni concettuali di rilievo, in questo secolo, della medicina del lavoro, dell'igiene pubblica e della prevenzione in generale. C’è però da rilevare a riguardo, che negli ultimi 20-30 anni, le radiazioni a cui è mediamente esposta la popolazione generale, sono più che raddoppiate. Nel 1980 un qualsiasi soggetto era esposto per circa l’80% a radiazioni di tipo naturale, cioè provenienti dall’ambiente: sole, raggi cosmici, radon e solo per il 20% da radiazioni di tipo medico. Queste percentuali, nel giro di pochi decenni, sono completamente cambiate, con l’aumento esponenziale delle radiazioni utilizzate in ambito clinico, che oggi toccano quasi il 50% del totale. Sembra che il cambiamento significativo risieda nell’aumento

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dell’esposizione a fini sanitari; la colpa di tutto ciò è da additare in parte agli strumenti diagnostici sempre più precisi, ma decisamente più potenti (TC) e in parte della così detta “medicina difensiva” che ha fatto lievitare l’uso di tali tecniche di imaging. A dirlo è un report americano realizzato dal National Council on Radiation Protection and Measurements (Ncrp), che ha confrontato i dati attuali con quelli di un precedente lavoro dei primi anni ’80. Secondo gli esperti la dose individuale cumulativa stimata da tutte le fonti sarebbe passata dai 3,6 millisievert (mSv) dei primi anni ’80 ai 6,2 mSv del 2006. In ciò si inserisce la direttiva europea 2013/59/Euratom, a tutela della radioprotezione sia in ambito medico che in campo industriale e di ricerca. Obiettivo della normativa sulla radioprotezione è infatti ridurre l’esposizione delle persone (addetti ai lavori o pazienti) per i possibili effetti collaterali. Questa direttiva-quadro mette insieme tutte le tipologie di radiazioni, mediche, industriali, nucleari, aerospaziali, ed è indirizzata a tutte le figure che vanno incontro a esposizione radioattiva come operatori sanitari, pazienti, lavoratori e popolazione in generale. Ciò rappresenta un passaggio cruciale per la radioprotezione in ambito medico con l’obbligo di registrare il valore dell’esposizione per ogni esame radiologico e di inserire tale informazione nel referto. Ci sono inoltre novità anche nelle esposizioni dei lavoratori e della popolazione, come per esempio, nuovi limiti di dose sul cristallino e nuovi limiti per il radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro. Questa nuova direttiva europea sulla radioprotezione non è stata ancora stata recepita dall’Italia.

2.6.1. Il problema delle basse dosi in Medicina del Lavoro

Gli effetti deterministici (non stocastici), a causa della loro evidente e ben individuabile soglia, non costituiscono oggetto di particolari modelli ai fini della radioprotezione: è sufficiente limitare i livelli di esposizione al di sotto dei valori soglia, per avere la garanzia della loro impossibilità a manifestarsi. Conseguenza diretta di ciò, è il fatto che sia possibile attuare una protezione totale ed efficace per questo tipo di danni. La stessa impostazione, purtroppo, non può essere messa in atto nei confronti degli effetti stocastici, derivanti da esposizioni a basse dosi; questo perché, se da un lato la correlazione tra radioesposizione e danni stocastici è stata messa in risalto in più lavori dall’altro le evidenze epidemiologiche sono, ad oggi, limitate solo agli studi su

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