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Alessandro De Cesaris alessandro.decesaris@gmail.com

Aim of this paper is to investigate contingency and totality as the ontological conditions of possibility of improvisation. Through a critical analysis of Quentin Meillassoux's argument about the necessity of contingency and the impossibility of totality, I will try to show that Hegel's logic is actually able to show some limits of Meillassoux's theory, and to prove that totality is also necessary in order to properly think improvisation.

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Itinera, N. 10, 2015. Pagina 64

Contingenza della necessità e necessità della contingenza

Ragione, sistema e libertà in Meillassoux e Hegel

di Alessandro De Cesaris alessandro.decesaris@gmail.com

Aim of this paper is to investigate contingency and totality as the ontological conditions of possibility of improvisation. Through a critical analysis of Quentin Meillassoux's argument about the necessity of contingency and the impossibility of totality, I will try to show that Hegel's logic is actually able to show some limits of Meillassoux's theory, and to prove that totality is also necessary in order to properly think improvisation.

Indagata nelle sue condizioni di possibilità, la questione dell'interpretazione sembra presentarsi in prima analisi come un paradosso. L’obiettivo di pensare un agire che sia al tempo stesso imprevedibile e razionale, infatti, richiama una contrapposizione tra due elementi – il sistema e la libertà – la cui tensione va sciolta a partire da una fondazione ontologica prima ancora che pratica. Più specificamente, infatti, occorre pensare le condizioni di possibilità di un ente che sia al tempo stesso indeducibile da un insieme di dati, ma che si integri con esso in modo organico. Ciò corrisponde alla sfida di pensare un non-ancora1, qualcosa che non sia già da sempre determinato da

un sistema di condizioni preesistenti, ma che allo stesso tempo entri a far parte di quel sistema come qualcosa di non semplicemente indifferente.

Mi sembra che a fondamento di questo problema, dunque, ci sia non tanto il rapporto tra necessità e libertà, bensì quello tra necessità e contingenza; infatti, al di là di qualsiasi tentativo – più volte intrapreso – di concepire la libertà in accordo o in coincidenza con la necessità, l’improvvisazione sembra richiedere in senso forte il darsi di una condizione negativa, ossia del non necessario, di qualcosa che avrebbe potuto essere altrimenti da come è: il problema dell’improvvisazione è anche il problema paradossale dell’identità, di una totalità non satura che possa permanere se stessa pur essendo altro

1 Cfr. S. Žižek, Fare i conti con il negativo. Kant, Hegel e la critica dell'ideologia, Il Nuovo Melangolo, Genova 2014, p. 200.

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da ciò che è. È importante sottolineare, dunque, che la questione dell’improvvisazione non può essere ridotta a un problema epistemologico: affinché essa si dia, non è sufficiente che il prodotto dell’agire sia fattualmente non previsto, o imprevedibile solo a causa dell’effettiva limitatezza delle nostre conoscenze e competenze, o della costitutiva limitatezza della nostra ragione; piuttosto, esso deve essere qualcosa di nuovo dal punto di vista oggettivo, un incremento originale di ciò che esiste nel mondo.

Il problema dell’interpretazione è quindi strettamente collegato al problema di un futuro autentico, che non sia già da sempre passato in quanto originariamente destinato a verificarsi. E tuttavia, così come il futuro deve mantenere una certa relazione organica con il passato da cui si origina, anche l’improvvisazione, pur avendo come condizione un non-essere, una certa relazione con il nulla, non è una creazione dal nulla2: richiede piuttosto

l’accordo tra un insieme strutturato dato e un nuovo elemento, a quest'ultimo non riducibile ma nemmeno estraneo. Alla condizione negativa della non-necessità si aggiunge quella positiva del sistema, o della totalità: l’improvvisazione avviene sempre a partire da un contesto, da una situazione o ancora da una regola, a partire cioè da un molteplice unificato o da un principio capace di unificare il molteplice stesso.

Contingenza, necessità, totalità appaiono dunque come i tre elementi fondamentali per una fondazione delle condizioni di possibilità ontologiche dell’improvvisazione.

Che l'improvvisazione, in prima analisi, presupponga in qualche modo la possibilità ontologica dell’altro non sembra essere controverso, ma semmai solo bisognoso di un’ulteriore riflessione sulla natura di questa alterità. Più difficile e problematico, invece, è affermare che affinché vi sia improvvisazione c’è bisogno di un sistema, di una necessità e di una totalità a partire dalla quale pensarla.

La proposta teorica di Quentin Meillassoux può essere un punto di partenza particolarmente fecondo per la discussione di questa tesi. Il suo

2 Non è un caso che nel pensiero di Meillassoux, in ultima analisi aporetico sul e della libertà, la questione della creazione dal nulla giochi invece un ruolo fondamentale. Cfr. P. Gratton, “Creatio ex nihilo”, in P. Gratton e P. J. Ennis (ed. by), The Meillassoux Dictionary, Edin-burgh University Press 2014, p. 50.

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pensiero, che culmina nell’affermazione della contingenza di ogni ente come unica verità necessaria, arriva a sottolineare con grande precisione questo nesso necessario tra contingenza e totalità, ma nel segno opposto rispetto a quanto appena suggerito. Secondo il filosofo francese, infatti, è solo negando la totalità in quanto tale che sarebbe possibile affermare radicalmente il contingente.

In questo saggio tenterò di mostrare che la posizione di Meillassoux, apparentemente utile al fine di pensare coerentemente la libertà e l'improvvisazione, finisce invece per negare le condizioni di possibilità almeno di quest'ultima. A tal fine, si tenterà di analizzare alcune delle tesi del filosofo francese, contenute nella sua opera principale3, evidenziandone in seguito la

natura aporetica alla luce della logica di Hegel, interpretabile – a dispetto delle interpretazioni classiche, e in accordo con alcune letture recenti – come la fondazione di un vero e proprio sistema della contingenza, in cui il nesso essenziale tra contingenza, totalità e libertà emerge nella sua forma più radicale.

1. Meillassoux, Hegel e il problema ontologico della contingenza.

Nella ricostruzione di Meillassoux il problema fondamentale della filosofia contemporanea va riconosciuto nell'esigenza di uscire dall'alternativa tra dogmatismo e scetticismo, di rivendicare la propria natura argomentativa forte, recuperando al tempo stesso un dialogo proficuo con le scienze naturali. Quest’obiettivo può essere raggiunto elaborando una proposta teorica che egli definisce «materialismo speculativo», e il cui punto di avvio consiste nel tentativo di recuperare alcuni elementi del razionalismo precritico, in particolare di quello cartesiano.

L’elemento materialista della filosofia di Meillassoux consiste essenzialmente nell’ammissione dell'esistenza di un mondo materiale

3 Q. Meillassoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza (2006), tr. it. di M. Sandri, Mimesis, Milano-Udine 2012. L’opera, pubblicata con una prefazione di Alain Ba-diou, ha avviato immediatamente un dibattito piuttosto acceso, soprattutto in Inghilterra, consacrandosi come uno dei testi fondamentali del cosiddetto Speculative Realism. Per un’analisi comprensiva del realismo speculativo vedi P. Gratton, Speculative Realism. Prob-lems and prospects, Bloomsbury, London-New York 2014.

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indipendente da qualsiasi coscienza, pensiero o vita umana. Questa posizione è, per usare un altro termine di Meillassoux, una radicale alternativa al correlazionismo, ossia alla tesi – che accomunerebbe kantismo, hegelismo, filosofie del linguaggio, scetticismi e filosofie dell’esistenza – secondo la quale la sfera soggettiva e quella oggettiva non possono essere considerate indipendentemente l’una dall’altra4. A partire dal correlazionismo, dunque, il

mondo sarebbe tale solo in quanto correlato noetico, empirico, linguistico di un soggetto strutturato come un ente capace di pensiero, linguaggio, essere-nel-mondo5.

Meillassoux definisce speculativa ogni forma di pensiero che rivendichi il compito di trovare una verità assoluta, ossia libera da qualsiasi forma di soggettivismo e relativismo. In un primo senso è proprio il mondo materiale, in quanto liberato dal nesso correlazionale, a essere un assoluto. Inoltre, a partire da questo elemento inizia a trasparire il sostanziale sospetto di Meillassoux per il pensiero trascendentale, soprattutto nella sua formulazione kantiana6. Nella lettura del filosofo francese, infatti, l’elemento

trascendentale non può che ridurre ogni assoluto a un relativo, in cui la verità è sempre verità per qualcuno, e in cui non è dunque possibile affermare una verità ulteriore rispetto al dominio del soggetto7.

L'aspetto principale di questa proposta, tuttavia, è il rifiuto perentorio di ogni forma di metafisica8. Metafisico è per Meillassoux ogni discorso che

ammetta – in modo più o meno argomentato – l’esistenza necessaria di un qualche ente. In questo senso, dire che il mondo è assoluto – ossia indipendente dal nesso correlazionale – non significa dire che il mondo è

4 Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 18.

5 In questo, Meillassoux sembra tenere molto stretta la relazione tra il pensiero di Heidegger e quello di Kant. Cfr. ivi, p. 21.

6 Per quanto la principale forma di correlazionismo discussa da Meillassoux sia proprio quella kantiana, il discorso del filosofo francese sulle filosofie della correlazione è molto più com-plesso, soprattutto a partire da un’interessante distinzione tra correlazionismo forte e debole, che in questa sede non è il caso di approfondire.

7 Questa interpretazione non è certo nuova, ma ha acquistato un rinnovato interesse a partire dalle ricerche di numerosi pensatori afferenti alla corrente del cosiddetto “realismo specula-tivo”, di cui Meillassoux è senz’altro uno degli esponenti di maggior rilievo. Sul trascenden-talismo kantiano, cfr. anche M. Gabriel, Transcendental Ontology. Essays in German Idea-lism, Continuum, London 2011, p. IX.

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necessario. Non solo non è necessario che il mondo sia così come esso è, ma non è nemmeno necessario che il mondo sia, o meglio che esista alcuno degli enti che lo compongono9.

L’aspetto peculiare del pensiero di Meillassoux è esattamente l’accentuazione di questo divario tra pensiero speculativo e pensiero metafisico. Affermando la non-necessità degli enti, la filosofia sta apparentemente rinunciando alla pretesa di affermare una verità necessaria, o si sta dichiarando incapace di raggiungerla. Al contrario, tuttavia, la tesi di Meillassoux è che nonostante non si dia alcun ente necessario, anzi proprio perché esso non si dà, esiste una verità necessaria, ovvero che nessun ente necessario può darsi. Il non-sapere se alcunché nel mondo sia necessario o contingente, ignoranza che viene Meillassoux definisce «fatticità», si converte nel sapere positivo dell’impossibilità che si dia un ente necessario. Eccoci dunque alla verità assoluta affermata da Meillassoux: l’assoluto è la contingenza di ogni ente, l’unica necessità è la necessità della contingenza.

Questa posizione viene ulteriormente chiarita distinguendo la contingenza da altre nozioni che con essa verrebbero spesso confuse: il contingente non è il precario, ossia ciò che può essere sempre altrimenti da come è, ma all'interno di un sistema dato, in base a leggi che lo sovrastino; in un secondo senso il contingente non è il fattuale, ciò che si dà ma sulla cui necessità o contingenza la ragione non è capace di esprimersi10.

La vera contingenza, invece, consiste nell’assoluto e indiscriminato poter-essere altro di tutto ciò che c’è, senza distinzioni di sorta. Ancora una volta, occorre specificare che questo poter-essere altro non è affatto un principio epistemologico, riguardante cioè una presunta finitezza della nostra conoscenza del mondo, ma piuttosto un principio ontologico, valido per le cose in sé indipendentemente dal loro rapporto con noi. Meillassoux nomina questo sapere positivo principio di irragione, una legge che lui stesso intende come

9 Ibidem.

10 Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 82. Meillassoux ha approfondito questa distin-zione in una brillante pubblicadistin-zione recente, in cui rimarca ancora una volta la differenza tra il dilemma di Hume e il falsificazionismo popperiano, il quale pone la questione sul piano epistemologico ma mai ontologico. Cfr. Q. Meillassoux, Science Fiction and Extro-Science Fic-tion (2013), translated by A. Edlebi, Univocal, Minneapolis 2015, pp. 11-17.

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esatto inverso del principio di ragion sufficiente11. Ogni cosa è senza ragione,

non si dà un motivo, una causa, una spiegazione per cui ciò che è sarebbe così e non altrimenti. Ciò significa non solo che ogni ente intramondano potrebbe non essere, o essere altrimenti, ma che le stesse leggi che governano il nostro universo potrebbero repentinamente cambiare. L’irragione è una proprietà ontologica assoluta12, come Meillassoux chiarisce in termini piuttosto lirici

quando scrive che

tutto ciò può realmente collassare su se stesso – gli alberi come le stelle, le stelle come le leggi, le leggi fisiche come quelle della logica. E ciò non per via di una legge superiore che destinerebbe ogni cosa a perire, ma in virtù dell’assenza di una legge superiore che sia in grado di preservare una cosa qualsiasi.13

Qui emerge l'interesse fondamentale del pensatore francese, ovvero il problema humiano della validità assoluta delle leggi di natura. La critica di Meillassoux all’impostazione correlazionista si configura innanzitutto come una critica alla risoluzione trascendentale del problema di Hume. Il problema viene posto a partire da un fattore denominato ancestralità, ovvero lo statuto degli enunciati scientifici riguardanti il mondo prima della comparsa dell'uomo sulla terra14. Senza ripercorrere nel dettaglio le sue

argomentazioni, la conclusione cui egli arriva è che da un punto di vista correlazionista gli enunciati ancestrali – ad esempio quelli riguardanti la formazione della terra – appaiono come controsensi, dal momento che, pur essendo accettati come veri in quanto enunciati universali e intersoggettivamente validi, sono dotati di un contenuto che presuppone il darsi di qualcosa di precedente al darsi della correlazione presuntamente originaria tra soggetto e oggetto.

11 In questa sede non è possibile ricostruire l’argomento con cui Meillassoux intende dimo-strare questo principio. Per un’analisi critica cfr. P. Gratton, Speculative Realism, cit., pp. 52-56, e G. Cesarale, “The ‘Not’ of Speculative Realism”. Pubblicato in data 19 febbraio 2014, consultato in data 26 agosto 2015. Disponibile all’indirizzo: http://www.metamute.org/edito-rial/articles/%E2%80%98not%E2%80%99-speculative-realism.

12 Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 72: «Dobbiamo capire che l’assenza ultima di ragione – ciò che chiameremo l’irragione – è una proprietà ontologica assoluta, e non il segno della finitudine della nostra ragione. Il fallimento del principio di ragion sufficiente, in questa prospettiva, deriva molto semplicemente dalla sua falsità (anche in senso assoluto): perché niente, in verità, ha una ragione per essere e restare com'è invece che in un altro modo. Ciò vale tanto per le cose del mondo quanto per le sue leggi».

13 Ibidem. 14 Ivi, pp. 22-25.

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In questo senso, Meillassoux interpreta la frattura tra scienza e filosofia come un prodotto della svolta kantiana, accostata alla rivoluzione copernicana per via di un semplice fraintendimento. Se, infatti, la direzione fondamentale delle scienze moderne ha condotto l’attenzione sempre più verso il mondo e sempre più lontano dall’uomo come soggetto di quel mondo, la filosofia kantiana si riduce a un’operazione tolemaica di accentramento della realtà a partire da un soggetto capace di esperirla e pensarla15. L'unica

soluzione possibile per il correlazionismo, a questo punto, sarebbe quella di ammettere l'esistenza di un super-soggetto eterno – un dio, ad esempio – capace di garantire la coestensività del nesso correlazionale (soggettivo-oggettivo o di altra natura16) rispetto alla durata dell'universo. Eppure, nota

Meillassoux, questa soluzione è impraticabile perché nel profondo le filosofie della correlazione sarebbero animate da uno spirito anti-metafisico, e nascerebbero anzi come critica all’atteggiamento dogmatico della metafisica classica.

Proprio qui interviene tuttavia la prima obiezione da muovere a Meillassoux: indipendentemente dal mero dato della validità delle leggi fisiche nel nostro mondo o in uno prossimo, come interpretare lo statuto di queste leggi? Da un lato, sembra che Meillassoux voglia salvare il valore oggettivo della scienza moderna, riconsegnandoci un mondo indipendente dalla coscienza e dal pensiero. Dall’altro, invece, sembra che in ultima analisi le leggi fisiche siano una nostra escogitazione dovuta all’abitudine, un’induzione a partire da osservazioni ripetute. Concentrandosi sul problema dello statuto degli enunciati ancestrali, a partire dalla prospettiva correlazionista, Meillassoux non sembra definire a sufficienza lo statuto della legge di natura in quanto tale, offrendo un processo argomentativo in cui ontologia ed epistemologia si incontrano costantemente e talvolta si confondono.

In breve, l’alternativa è questa: o le leggi fisiche sono solo un nostro modo di rapportarci alle cose che accadono, e allora il mondo altro non è che un susseguirsi sconnesso di eventi in cui ogni tentativo di “rendere ragione”

15 Ivi, pp. 145-146.

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consiste essenzialmente in un errore, per quanto utile; oppure queste leggi sono oggettivamente valide, e allora il principio di irragione è valido solo in ultima analisi, ma lascia al principio di ragion sufficiente una validità locale. La distinzione, introdotta da Meillassoux, tra stabilità e necessità17 delle

leggi di natura, non toglie il problema del significato della loro validità: che significa per una legge essere vera, pur temporaneamente, ma non necessaria?

Il secondo problema riguarda lo statuto della contingenza all’interno del pensiero di Meillassoux. Pur fornendo delle utili precisazioni sulla distinzione – già richiamata – tra precarietà, fatticità e contingenza, sembra che il filosofo francese rimanga ancorato a una nozione intuitiva, o comunque filosoficamente poco elaborata, di contingenza, necessità e possibilità. Nella misura in cui il contingente è determinato, da un lato, come non necessario, e dall'altro come “ciò che può essere altro da ciò che è”, la domanda fondamentale riguarda il chiarimento del senso di questo poter essere altro. In breve, il discorso di Meillassoux sulle categorie modali non può ridursi alla contingenza, poiché ogni categoria è legata alle altre da nessi logici indissolubili.

2. Hegel e il problema della contingenza.

La contingenza come poter-essere-altro rappresenta il significato più comune del termine all'interno della tradizione filosofica. Anche nel pensiero hegeliano, d'altronde, lo Zufällige è innanzitutto ciò che può essere altro da ciò che è, ciò il cui destino consiste nel non essere mai identico a se stesso18.

Eppure, al di là di questa prima accezione del termine, nella filosofia di Hegel la categoria della contingenza acquista un significato tecnico, divenendo oggetto di una analisi che tenta al tempo stesso di ricostruire i vari sensi del contingente ereditati dalla tradizione, e di evidenziarne il valore in modo del

17 Ivi, p. 116.

18 Da questo punto di vista, la riflessione hegeliana sulla contingenza fa entrare radicalmente in gioco il problema della non-identità del finito, al contrario di ciò che Meillassoux scrive nel suo testo, liquidando sbrigativamente Hegel come un filosofo dell'identità assoluta. Cfr. F. Perelda, Hegel e il divenire. Ontologia e logica della contraddizione, Cleup, Padova 2007, in particolare pp. 218-223.

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tutto originale. Infatti, al contrario di quanto avveniva nella metafisica classica o nel criticismo kantiano, la contingenza ha un ruolo costitutivo all’interno del processo logico che guida lo sviluppo della discussione sulla modalità nella Scienza della Logica.

Al di là di qualsiasi interpretazione generale della filosofia hegeliana, l’analisi del rapporto tra necessità e contingenza contenuta nella Logica dell’Essenza aiuta a comprendere molto bene i limiti della proposta teorica di Meillassoux, ma anche gli aspetti del pensiero hegeliano che si prestano a una vera e propria radicalizzazione teorica del discorso proposto dal filosofo francese. Un primo aspetto da sottolineare è che in Hegel – come in Meillassoux – la discussione delle categorie modali ha un significato ontologico, esplicitamente rimarcato attraverso il confronto con quanto Kant aveva scritto nella prima Critica. Infatti, per Hegel, la modalità non si limita più ad esprimere una particolare relazione del soggetto con l’oggetto esperito, ma esprime piuttosto un momento oggettivo dello sviluppo della realtà effettuale [Wirklichkeit], ossia quella sezione in cui la dualità tipica della Logica dell'Essenza viene finalmente superata. Ancora di più, sembra che le categorie modali siano al centro del processo che porta la realtà effettuale al culmine della Logica oggettiva – di ciò che Hegel descriveva come «la vecchia metafisica» - superando finalmente la distinzione tra essere ed essenza e conducendo il pensiero su un piano logico del tutto inedito, quello del concetto. Se quindi, da un lato, il valore ontologico-metafisico delle categorie modali è innegabile, al tempo stesso la critica di queste categorie permette di illustrare la loro limitatezza, la loro parziale inadeguatezza a esprimere il vero19.

La successione dei tre momenti categoriali, quello formale, quello reale e quello assoluto, rendono perfettamente il passaggio da una concezione imperfetta delle categorie modali a un discorso capace di esprimere concretamente l’assoluto. Nei primi due momenti l’interesse di Hegel è proprio quello di portare l'attenzione su un dato fondamentale per l’esercizio dell’autentico pensiero speculativo: pensare la possibilità, la necessità o la

19 Questa inadeguatezza, oltretutto, è al tempo stesso inadeguatezza a esprimere l'Assoluto. In quanto sempre relative le une alle altre, le categorie modali non possono riferirsi a qual-cosa di assolutamente indipendente, se non nel momento finale, in cui si identificano le une con le altre e trapassano quindi necessariamente in qualcosa d’altro.

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contingenza è difficile20. Ciò accade proprio perché le categorie modali, nella

loro forma finita, tendono inesorabilmente a collassare l’una sull’altra, a essere negate nel proprio costante riferimento esteriore reciproco. Non è possibile in questa sede ripercorrere l’intera analisi hegeliana21; tuttavia è

sufficiente soffermarsi su alcuni punti di quest’ultima al fine di problematizzare l'’apparente semplicità del discorso di Meillassoux.

In un primo momento, prendendo in considerazione la modalità dal punto di vista più immediato, o solo formale, Hegel nota come le categorie modali rivelino una natura ancipite22: la realtà, al fine di distinguersi dalla semplice

esistenza, si caratterizza come l’unione di esterno e interno, ovvero come l’attualizzazione di un possibile. Eppure la possibilità, in quanto interiore, risulta al tempo stesso indipendente – essa è un in sé, una pura essenzialità libera – e dipendente, in quanto essa è tale solo in rapporto alla propria attualizzazione23. È per questo che Hegel afferma che in questo frangente la

possibilità è attraversata dalla dimensione del Sollen24: essa è al tempo stesso

definita dal proprio riferimento alla realtà, eppure, in quanto possibilità, è tale solo in quanto non si realizza. Per questa ragione il possibile si rivela, di fatto, un impossibile. Allo stesso modo, la contingenza emerge da questa tensione irrisolta tra possibilità e realtà: il contingente viene definito al tempo stesso come un reale che è simultaneamente possibile – ossia che può essere altro da ciò che è – e come un possibile la cui realtà, pur essendo un riferimento esteriore necessario al proprio statuto di possibile, non è affatto necessaria in quanto tale25. È per questa ragione che il contingente ha uno

statuto duplice in quanto tale: in quanto immediato, esso non ha ragion d’essere, si sottrae cioè al principio di ragione così come era stato formulato da Leibniz. In quanto, tuttavia, esso consiste proprio in questa costante tensione di possibile e necessario, esso è al tempo stesso un condizionato,

20 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. La scienza della logica (1830), a cura di V. Verra, UTET, Torino 2010, p. 361.

21 Per una analisi completa della sezione cfr. J. W. Burbidge, Hegel's Systematic Contingency, Palgrave MacMillan, New York 2007, pp. 16-47.

22 G.W.F. Hegel, La Scienza della Logica (1812-16), a cura di C. Cesa, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 614. Cfr. J.W. Burbidge, Hegel's systematic contingency, cit., pp. 16-29.

23 G.W.F. Hegel, La Scienza della Logica (1812-16), cit., pp. 611-612. 24 Ivi, p. 613.

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qualcosa che ha la propria ragione sempre in altro da sé. Da questo collasso reciproco di possibilità e realtà, allo stesso modo, emerge la necessità stessa, che in questa prima fase si rivela come un’altra faccia della contingenza: così come quest’ultima è la tensione tra possibile e reale, la necessità è invece la risoluzione di questa tensione in un’identità immediata, cosicché Hegel può affermare che «il necessario è perché è». Ciò significa che, pur in assenza di un fondamento, il semplice essere di ciò che è fa sì che la sua possibilità sia «assolutamente tolta e posta come essere»26. In questo primo frangente quindi

Hegel argomenta a favore della necessità del contingente più che della contingenza, ossia in una direzione inversa rispetto a quella seguita da Meillassoux: il contingente è già necessario in quanto è, in quanto esso è stato. Il suo poter-essere-altro non toglie la necessità del suo essere-qui-e-ora, del suo eterno dover-esser-stato-qui-e-ora.

In un secondo momento, quello della modalità reale27, il problema sembra

essere in qualche modo invertito. La possibilità infatti, nella misura in cui viene caratterizzata in base a un contenuto, ossia sulla base delle condizioni di attualizzazione di ciò che è possibile, arriva a essere sempre più di se stessa. Il possibile è davvero possibile solo nel momento in cui tutte le sue condizioni di realizzazione sono attualmente presenti; eppure, nel momento in cui tutte le condizioni sono presenti, il possibile è già di fatto attualizzato, esso è già reale28. Di nuovo, possibilità e realtà sembrano collassare l’una

sull’altra, e lo stesso avviene per la necessità. Quest'ultima, tuttavia, rimane formale, in quanto non dipende dal proprio contenuto specifico: il necessario stesso ad essere contingente, in quanto il suo esser-necessario deriva semplicemente dalla totalità delle condizioni che lo rendono tale. Esso «ha cioè una presupposizione da cui comincia; ha nell’accidentale il suo punto di partenza»29. La contingenza della necessità, in quanto necessità reale ma

legata a fattori esterni, potrebbe essere proprio quella degli eventi naturali determinati da leggi fisiche ma non eterne, e nondimeno valide. Insomma, se

26 Ivi, p. 615. Cfr. J. W. Burbidge, Hegel's Systematic Contingency, cit., pp. 29-40.

27 Il termine «reale» [real] è piuttosto ambiguo, e assume diversi significati. Nella Scienza della Logica il reale non è in prima analisi ciò che è attuale [wirklich], bensì ciò che è dotato di un contenuto positivo. Cfr. G.W.F. Hegel, La Scienza della Logica, cit., p. 106.

28 Ivi, p. 618 e sgg. 29 Ivi, p. 619.

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è vero che gli oggetti mondani obbediscono a leggi fisiche, che queste leggi fisiche ci siano non è di per sé un qualcosa di necessario.

Entrambi i corni dell’alternativa, la contingenza della necessità o la necessità della contingenza, rappresentano il risultato di un corto-circuito logico che Meillassoux non sembra prendere in considerazione. Nel primo caso, ammettendo il dato dell'immediata necessità del contingente in quanto esistente, il suo mondo assumerebbe le sembianze di un insieme sconnesso di eventi, in cui ogni cosa è necessariamente tale per il solo fatto di esserci, segnando una somiglianza paradossale rispetto ad alcune dottrine filosofiche di marca radicalmente determinista30. Nel secondo caso, invece, l’attenzione

viene posta sulla contingenza della necessità, ovvero sulla possibilità di pensare una necessità relativa ma nondimeno effettiva, cosa che imporrebbe a Meillassoux di specificare la propria posizione riguardo lo statuto delle leggi di natura, e di reintrodurre il necessario all’interno di un sistema che non lo ammette se non relativamente a una sola proposizione.

3. Da Meillassoux a Hegel: la totalità come condizione di possibilità del contingente.

Al di là degli elementi critici sottolineati, è possibile individuare diversi punti in comune tra il pensiero di Hegel e quello di Meillassoux. Soprattutto, entrambi i filosofi rimarcano esplicitamente la connessione essenziale tra il problema della contingenza e quello della totalità, specificando al tempo stesso l'importanza del nesso ai fini di una comprensione concreta della possibilità dell'agire pratico. Proprio in quest’aspetto, tuttavia, le loro posizioni divergono radicalmente.

Meillassoux ha ben presente l'obiezione kantiana contro l'eventualità di un'assoluta contingenza dell'apparire fenomenico: se gli eventi nel mondo non hanno nessuna ragione, è estremamente improbabile che essi mostrino una coerenza, e ciò renderebbe impossibile tanto la conoscenza teoretica quanto l'agire pratico. Senza approfondire questo passaggio, la mossa di Meillassoux

30 Un esempio eminente è il pensiero di Emanuele Severino, secondo il quale le leggi fisiche sono oggetto di una fede, e non è filosoficamente lecito affermare l’esistenza di un legame più che logico tra gli enti che appaiono.

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consiste nel disinnescare il discorso probabilistico attraverso ciò che egli chiama Principio di intotalità: non si dà un tutto dei possibili, l'insieme di tutti i possibili è un insieme impossibile, così come in matematica lo è l'insieme di tutti gli insiemi transfiniti. Ma se non si dà il tutto dei possibili, non è possibile fare alcun calcolo probabilistico, e diventa quindi possibile affermare con ragionevolezza che il mondo rispetti un’apparente coerenza pur essendo intimamente privo di qualsiasi ragione31.

La necessità della contingenza ci ha così condotto alla negazione della totalità e del sistema: il principio di irragione determina che nulla abbia una causa, che quelle che noi chiamiamo leggi fisiche e logiche siano in sé contingenti come tutto il resto. Il principio di intotalità, dall'altro lato, afferma che il tutto non si dà che nominalmente, ma che in realtà è impossibile: questi due punti, la necessità e la totalità, rappresentano proprio le due critiche fondamentali di Meillassoux a Hegel. Questi avrebbe sì pensato la necessità della contingenza, ma solo a partire dalla necessità e dal tutto: la contingenza in Hegel sarebbe solo un momento, un finito necessariamente subordinato al Tutto e alla necessità dell'automanifestazione del lògos32.

Eppure, la soluzione di Meillassoux sembra richiedere proprio la correzione hegeliana: infatti il principio di intotalità ci permette solo di immaginare che il mondo abbia un senso e una coerenza, ma esclude che ne possieda davvero una33. All’interno di questa prospettiva abbiamo un

31 Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., pp. 116 e sgg. Anche qui, occorre sottolineare, il discorso di Meillassoux non si libera completamente di una certa confusione tra l’aspetto on-tologico e quello epistemologico della questione. Non è ben chiaro, infatti, quale statuto egli assegni al concetto di probabilità, ma soprattutto di quale natura sia l’impossibilità di effet-tuare un discorso probabilistico.

32 Ivi, pp. 90, 101.

33 In realtà, che la totalità non si dia è un aspetto piuttosto controverso del pensiero di Meil-lassoux. Affinché non si dia una totalità, infatti, occorre che manchi un principio unificatore del molteplice, qualcosa che permetta di individuare l’identità del non-identico. Il principio di non contraddizione, che Meillassoux riconosce come unica legge dall'assoluto valore onto-logico, è più che sufficiente a raggiungere quest’unità del molteplice. La questione della tota-lità è in ogni caso decisiva per le problematiche legate al rapporto tra contingenza e libertà. Non è un caso che Markus Gabriel abbia più volte posto il concetto di “mondo” al centro della propria riflessione ontologica sul contingente. Cfr. M. Gabriel, Transcendental Ontology, cit., p. 119 sgg., e Id., Warum es die Welt nicht gibt, Ullstein, Berlin 2013, pp. 27-32. Nel caso di Hegel tuttavia il problema della totalità si articola in un senso più originario rispetto alla questione kantiana del mondo. Sul problema del rapporto tra libertà e totalità cfr. anche G. Cesarale, “Hegel: totalità e libertà in un mondo trasformato dalla prassi”, Consecutio, VII,

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aggregato, ma non un organismo: sussiste la possibilità dell'arbitrio, ma non quella di gesto significativo e armonico all’interno di un contesto oggettivo: la filosofia di Meillassoux cade, dal punto di vista della prassi, nel soggettivismo che aveva cercato di combattere dal punto di vista dell’ontologia34. La volontà

di garantire lo spazio necessario per il darsi della libertà scade in una forma di atomismo deterministico, in cui il susseguirsi degli eventi può essere attestato ma non interpretato, né spiegato. In un mondo del genere non è la possibilità dell’agire pratico a essere messa in discussione, ma il senso dell’agire pratico stesso, l’idea stessa cioè che il darsi di qualcosa come l’agire sia più di una ricostruzione soggettiva del semplice darsi di una molteplicità di fenomeni.

La soluzione hegeliana, invece, parte dalla categoria della necessità assoluta [absolute Notwendigkeit]35, che consiste precisamente nell’unione di

necessità e contingenza: se il necessario deve essere assolutamente necessario, allora esso non può avere il contingente fuori di sé. Il risultato è che da un lato il necessario consiste nella relazione reciproca tra una serie di contingenti; dall’altro lato, questo necessario stesso, inteso come totalità, replica la figura del Grundloses, di ciò che in quanto incondizionato è senza ragione: la contingenza di tutto proposta da Meillassoux trapassa nella

Novembre 2014. Consultato il 26 Agosto 2015. Disponibile all'indirizzo: http://www.consecu-tio.org/2014/12/hegel-totalita-e-liberta-in-un-mondo-trasformato-dalla-prassi/. Il fatto stesso che Meillassoux ammetta la validità del principio di non contraddizione, ma contesti la ne-cessità delle leggi logiche, è un aspetto piuttosto controverso del suo pensiero, soprattutto a partire dallo statuto poco chiaro che egli assegna al dominio del logico.

34 Si noti bene che il problema non è la mancanza di garanzie sul fatto che il mondo continui a comportarsi come si è comportato finora, ma la mancanza stessa del concetto di legge: ciò che noi denominiamo legge è una regola, qualcosa di necessario che segna il punto di riferi-mento a partire dal quale pensare alcunché. Se la legge denota una semplice regolarità em-pirica, il semplice “andar così” delle cose, ciò che continua a mancare è il senso di questa coerenza, la norma a partire dalla quale pensarla: il mondo diventa l’Iliade risultata miraco-losamente dalla battuta casuale di lettere su un foglio, un testo il cui significato non corri-sponde ad alcuna norma, il cui senso è assente e producibile solo a partire dall’illusione ottica di un soggetto che ve lo inserisce.

35 G.W.F. Hegel, La Scienza della Logica, cit., p. 623: «Quello che è assolutamente necessario è soltanto perché è: non ha nessun'altra condizione né ragion d’essere. […] Ma questa acci-dentalità è anzi l’assoluta necessità; è l’essenza di quelle realtà libere, in sé necessarie».

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contingenza del tutto36, non nel senso che il tutto sia qualcosa di arbitrario,

ma nel senso che esso non ha alcuna ragione al di fuori di sé37.

Il rapporto tra contingenza e necessità trapassa dunque immediatamente nella questione del Tutto, e si sviluppa come problema del rapporto tra singolare e universale in un percorso che dall’analisi della sostanza spinoziana arriverà fino allo sviluppo del processo teleologico come principio animatore della categoria della Vita. Soprattutto, l’analisi categoriale della Scienza della Logica riesce là dove l’analisi di Meillassoux fallisce: restituire una dialettica assoluta, in cui la possibilità di un agire razionale ma imprevedibile è fondata al di là di qualsiasi istanza meramente soggettiva38.

All’interno di questa dialettica la totalità non esclude la possibilità del nuovo e dell'imprevedibile proprio perché la razionalità del reale è sempre intesa come qualcosa di a posteriori39: il regno dello spirito, in tutte le sue forme –

dalla storia all’arte, dalla filosofia al linguaggio – non obbedisce a regole, ma produce regole.

La possibilità della libertà, di un futuro autenticamente tale, dell’improvvisazione stessa, è dunque radicata nella stretta relazione che lega il problema della contingenza alla questione della totalità intesa come risultato di un’attività, e non come un semplice fatto40. Attraverso questo

36 Questa distinzione è particolarmente importante nell’opera d'arte: se essa, in quanto tale, è un prodotto singolare contingente di uno spirito finito, al suo interno – in quanto prodotto organico e aderente a una legge propria – non tutto è contingente. Data l’opera, ne segue una necessità.

37 Questa precisazione è necessaria per allontanare quelle interpretazioni che possano leg-gere nella logica hegeliana la semplice affermazione della “contingenza del tutto”, l'idea che la domanda fondamentale della metafisica – perché c’è qualcosa e non il nulla? – non trovi in ultima analisi risposta. Ad esempio si veda il saggio di M. Gabriel, The Contingency of

Neces-sity, in M. Gabriel e S. Žižek, Mythology, Madness and Laughter. Subjectivity in German

Idealism, Continuum, London 2009, pp. 81-94. Stephen Houlgate ha sottolineato che la con-tingenza di tutto non trapassa nella concon-tingenza del tutto in quanto tale. Cfr. S. Houlgate, “Necessity and Contingency in Hegel’s Science of Logic”, The Owl of Minerva, XXVII, 1, 1995, p. 46.

38 Cfr. R. Padui, “Hegel’s two senses of contingency”, Idealistic Studies, XL, 3, 2010, p. 247; S. Žižek, Fare i conti con il negativo, cit., p. 196.

39 Cfr. F. Zander, “Die Logik des Zufalls. Über die Abschnitte A und B des Kapitels ‘Wirklich-keit’ der Wesenslogik”, in A. F. Koch, F. Schick, K. Vieweg, C. Wirsing (hrsg. v.), Hegel – 200 Jahre Wissenschaft der Logik, Meiner, Hamburg 2014.

40 In questo senso si può parzialmente concordare con la celebre posizione di Dieter Henrich, secondo il quale la totalità presente al culmine della sezione sulla Wirklichkeit possiederebbe un significato eminentemente pratico. In disaccordo con la sua analisi, tuttavia, in questo saggio si è tentato di rimarcare il carattere profondamente ontologico del discorso hegeliano,

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passaggio a un’ontologia pratica (e non della prassi) la proposta teorica hegeliana – come è stato notato – teorizza la possibilità di un contingente che non sia escluso dal dominio della ragione e dal sistema, ma che al contrario concretizzi la totalità e la produca come un qualcosa di razionale ma non saturo, coerente ma non già da sempre esaurito41.

anche e soprattutto in riferimento a questa dimensione pratica. Cfr. D. Henrich, Hegels The-orie über den Zufall, in Id., Hegel im Kontext, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 1971. 41 R. Padui ha giustamente evidenziato l'esistenza di due sensi del contingente nel pensiero di Hegel: da un lato un senso pre-categoriale, che mira semplicemente ad affermare “l'impo-tenza” della ragione sul dominio della natura, intimamente caotico e asistematico. Dall'altro, il contingente come giustificato all’interno del sistema, e anzi necessario al suo sviluppo logico e alla sua realizzazione effettuale. Cfr. R. Padui, “Hegel’s two senses of contingency”, cit., p. 249. Catherine Malabou è tra gli studiosi che maggiormente si sono sforzati di rivalutare il significato della contingenza nel pensiero hegeliano, oltretutto sottolineando – pur sbrigati-vamente – il nesso costitutivo tra la questione della contingenza e quella della singolarità. Cfr. C. Malabou, The Future of Hegel. Plasticity, temporality and dialectic, translated by L. During, Routledge, London-New York 2004.

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