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La ricostruzione storica della biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova

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(1)

Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Storia e gestione del patrimonio

archivistico e bibliografico

Tesi di Laurea

La ricostruzione storica della

biblioteca dei Carmelitani

Scalzi di Padova

Relatore

Ch. Prof. Dorit Raines

Laureando

Mattia Aresu

Matricola 850830

Anno Accademico

2014 / 2015

(2)
(3)

INDICE GENERALE

Introduzione……….………...1

Capitolo 1. La storia dell’ordine dei Carmelitani Scalzi….………...3

1.1 Dalla nascita all’espansione europea……….3

1.2 Gli Scalzi nella Serenissima………...………....7

1.3 L’arrivo degli Scalzi a Padova……...………..14

Capitolo 2. Le vicende delle biblioteche monastiche durante le soppressioni

napoleoniche………..………..17

2.1 Analisi del territorio Veneto………...…..17

2.2 I libri nell’ex convento di S. Anna di Padova………...22

Capitolo 3. La biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova…...………….27

3.1 Ricostruzione della biblioteca e del suo funzionamento.……...27

3.2 Analisi dei libri conservati nella Biblioteca Universitaria e del

Seminario Maggiore di Padova………...33

Appendici……….39

Appendice 1………...40

Appendice 2………...41

Appendice 3………...46

Appendice 4………...74

Appendice 5……….……..85

Appendice 6……….166

Appendice 7……….173

Appendice 8……….174

Appendice 9……….175

Appendice 10………..….176

Appendice 11………...177

Bibliografia………178

(4)
(5)

1

INTRODUZIONE

Questa tesi di laurea nasce dalla volontà di descrivere e fare luce sulle

vicende connesse alla biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova, ubicata al

primo piano dell’edificio attiguo alla chiesa di San Girolamo situata in contrada

dell’Arzere, partendo dalle sue origini fino alla soppressione, avvenuta nel 1810

tramite decreto napoleonico.

La ricerca delle fonti sulla storia dell’Ordine in Italia, soprattutto in terra

veneta, è risultata piuttosto difficoltosa a causa dell’esiguo numero di fonti

bibliografiche disponibili e dalla scarsa consistenza di documenti d’archivio.

Attualmente, risultano presenti a livello nazionale un esiguo numero di studi

approfonditi sulla storia dell’Ordine, e sono totalmente assenti quelli relativi alla

ricostruzione dell’antica biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova, di cui appaio

il primo studioso.

Ho inizialmente compiuto un’analisi prettamente storica dell’Ordine, a

partire dalla sua nascita in territorio ispanico fino all’arrivo in terra veneta,

volgendo un particolare occhio di riguardo sulle città di Venezia e Padova. La mia

attenzione si è focalizzata sulle vicende legate a quest’ultima città, della quale

tuttavia non sono risultate rintracciabili molte fonti d’archivio. A questo scopo ho

effettuato una ricognizione della documentazione conservata presso l’Archivio di

Stato di Padova, luogo in cui ho rinvenuto scarse fonti significative, ma che ho

comunque riportato nel corpo della tesi.

Ho poi proseguito nella mia analisi storica ricostruendo le vicende che

subirono le collezioni delle biblioteche degli ordini monastici soppressi nel

territorio veneto per mezzo dei vari decreti napoleonici, con particolare interesse

nei confronti della sorte dei volumi che, a seguito della requisizione dei beni

monastici ad opera del Governo Italico, furono ammassati nell’ex monastero di S.

Anna di Padova, adibito a deposito.

Successivamente, ho tentato di ricomporre l’unitarietà della collezione

originaria facendo espressamente riferimento al catalogo antico della biblioteca

dei Carmelitani Scalzi di Padova, trascrivendolo personalmente. Ho inoltre

cercato di ricostruire la disposizione dei volumi sulle scaffalature grazie

all’elaborazione dei dati riscontrati in una griglia situata in testa al catalogo

(Regestum litterarum iuxta Armariorum Ordinem).

(6)

2

Grazie all’articolo di La Cute su “Le vicende delle biblioteche monastiche

veneziane […]”, ho rinvenuto cinque ulteriori cataloghi, stavolta relativi alle

opere presenti nel deposito di Sant’Anna; per mezzo di questi strumenti

1

e alla

schedatura delle opere che sono riuscito a individuare tramite Opac presso la

Biblioteca del Seminario Maggiore e quella Universitaria di Padova, ho potuto

ricostruire il percorso che hanno visti protagonisti i volumi ad oggi residui della

collezione originaria.

Mi auguro che con le informazioni contenute nella mia tesi, e specialmente

con la messa a disposizione dell’intero catalogo settecentesco, come anche le

immagini delle note di possesso poste sui frontespizi, altri studiosi potranno essere

in grado di identificare altri libri appartenuti alla Biblioteca dei Carmelitani Scalzi

di Padova.

(7)

3

CAPITOLO 1. La storia dell’ordine dei carmelitani scalzi

1.1 Dalla nascita all’espansione europea

L’ordine mendicante dei C. S. nacque a seguito della cosiddetta Riforma Scalza la

quale, avviata nel 1562 da S. Teresa D’Avila, prescriveva il ritorno alle origini

fondative dell’ordine dei Carmelitani: ciò che intendeva difendere e per certi versi

recuperare non era tanto l’eccezionalità delle esperienze dei profeti eremiti,

quanto l’atmosfera di intimità nel rapporto con Dio. Per questo la Santa

s’impegnò affinché i membri dell’ordine adottassero nella loro vita una perenne

comunione con Dio.

L’ordine dei Carmelitani sorto sul monte Carmelo in Palestina nel XI secolo come

ordine eremitico contemplativo, si basava sulla regola carmelitana che prevedeva

di vivere nell’ossequio di Gesù Cristo, il quale doveva essere servito con cuore

puro e con buona coscienza.

S. Teresa fondò l’Ordine Scalzo a seguito della modifica della regola originale da

parte del Papa Eugenio IV nel 1432, avvenuta attraverso la promulgazione della

“Bolla di mitigazione”, la quale a causa della peste che imperversava alcune

regioni d’Europa, prevedeva un minor rigore nell’osservanza delle regole più

austere. Di conseguenza, non v’era più l’obbligo di clausura, rendendo quindi

incompatibile la vita nel monastero con i principi originari dell’ordine.

2

La Riforma promossa dalla Santa incontrò, a primo impatto, lo sfavore

dell’Ordine dei Carmelitani e della comunità d’Avila, primo fra tutti del suo

governatore Garcia Suarez de Carvajal, i quali vennero tuttavia messi a tacere da

Pietro Ibanez, uno dei più insigni teologi dell’epoca, che appoggiò le idee della

Santa.

Il 7 febbraio 1562 giunse da Roma il Breve apostolico che autorizzò Teresa ad

intraprendere la sua Riforma e a fondare il monastero, sotto l’obbedienza del

Vescovo D’Avila, Alvaro de Mendoza; il 24 agosto 1562 le prime suore Scalze

entrarono nel monastero, ma solo dall’anno seguente le controversie con l’Ordine

dei Carmelitani e la città di Avila si placarono.

3

2 A. SICARI, L’itinerario di Santa Teresa d’Avila, Milano, 1994, p. 165.

(8)

4

Nel 1567, a seguito della visita del Priore Generale dell’Ordine carmelitano,

Giovanni Battista Rossi di Ravenna, a S. Teresa venne concesso di fondare due

conventi in Castiglia.

Essa riuscì nell’impresa grazie all’incontro, tra i mesi di settembre e ottobre dello

stesso anno, con quelli che diventeranno i primi due frati Scalzi: Antonio de

Heredia, Priore di Medina, e Giovanni della Croce, allora studente da poco

sacerdote. Il 9 agosto 1568, infatti, Giovanni partì assieme a Teresa alla volta di

Valladolid, città nella quale fondarono il primo convento delle Carmelitane

Scalze; in seguito, nel mese di novembre, dopo essere stato mandato a Duruelo, il

giovane sacerdote vi fondò il primo convento dei Carmelitani Scalzi.

4

La Santa fece visita al “portichetto di Betlemme” (nuova definizione del convento

di Duruelo) all’inizio della Quaresima del 1569, fissando in questa occasione

le

linee essenziali del nuovo ordine; “un accentuato e insieme equilibrato spirito di

mortificazione e di ritiro, avevano il fine, secondo il pensiero di S. Teresa, di

facilitare il conseguimento dell’ideale della perenne comunione orante con Dio,

che, secondo lei, è al cuore della vocazione Carmelitana e, di conseguenza,

rendere più feconda l’azione apostolica.”

5

Divenuto troppo piccolo per poter ospitare tutti i religiosi, il piccolo convento di

Duruelo venne trasferito nel 1570 a Mancera de Abajo (Salamanca).

Nell’anno precedente venne aggiunto un secondo convento maschile a Pastrana,

sotto il consenso del principe Rui Gomez, Signore della città, e che sarebbe

dovuto diventare il noviziato classico della Riforma. Nel novembre 1570 si aprì

ad Alcalà un terzo convento (il primo collegio della Riforma) con la funzione di

Casa studio; voluto fortemente da S. Teresa per l’assistenza culturale delle sue

figlie Scalze, esso doveva rendere le novizie intellettualmente preparate.

6

A seguito di alcuni attriti fra l’Ordine scalzo e il Priore Generale dei Carmelitani,

Gian Battista Rossi, a causa dei continui dinieghi sull’autorizzazione all’apertura

di nuove case, si creò un clima teso fra i due Ordini. Per questo motivo nel

maggio del 1575 si indì a Piacenza il Capitolo generale dell’Ordine dei

Carmelitani, nel quale vennero prese severe misure contro i Carmelitani Scalzi

4 Dizionario degli istituti di perfezione, Vol.2, Cambiagio – Conventualesimo, a cura di Guerrino Pelliccia e Giancarlo

Rocca, Milano, 1975, p. 523.

5 Ibid., p. 524.

(9)

5

considerati disobbedienti, contumaci e ribelli.

7

Il 4 dicembre 1577 Giovanni della

Croce venne incarcerato nella prigione convittuale di Avila, ma dopo nove mesi

riuscì a fuggire. Nel mentre, la Riforma passava dei momenti critici anche a causa

dell’avversione verso i Carmelitani Scalzi da parte del nuovo Nunzio Apostolico,

Filippo Sega, il quale, nel luglio 1579, richiese la separazione degli scalzi dai

calzati per mezzo di un memoriale al re Filippo II.

Il 22 giugno 1580 Papa Gregorio XIII, attraverso la Pia Consideratione, concesse

tale separazione e diede pieno riconoscimento alla Riforma inaugurata da Teresa.

8

All’epoca della sua morte, avvenuta il 4 ottobre 1582, facevano ormai parte della

provincia dei Carmelitani Scalzi 15 conventi di padri e 17 monasteri di religiose

con circa 200 monache e 300 frati.

Lo sviluppo dell’ordine proseguì sotto il segno di Giovanni della Croce e di

Girolamo Gracian (visitatore subdelegato), i quali, ispirandosi alle direttive date

loro dalla Santa, plasmarono al meglio le prime generazioni dei Carmelitani

Scalzi.

Nel 1584, ad opera del Padre Nicolò Doria, venne fondato a Genova il primo

convento Scalzo fuori dalla Spagna. Nel 1587 egli ottenne da Papa Sisto V il

breve Cum de statu, il quale erigeva l’ordine previsto dalla Riforma teresiana in

Congregazione con un proprio Vicario generale, al cui ufficio venne eletto Doria

stesso circondato da sei consiglieri generali, destinati a governare col nome di

Consulta.

Le monache, sentendosi sottomesse al nuovo organo, ricorsero alla S. Sede

appoggiate da Gracian; tuttavia, a seguito del processo a suo carico avvenuto nel

1592, egli venne espulso dall’ordine, cosicché non poterono più contare sul suo

appoggio.

Nel 1593 Doria riuscì ad ottenere dal Capitolo generale di Cremona la separazione

giuridica dalla Congregazione dei Carmelitani; il voto positivo venne ratificato da

Papa Clemente VIII attraverso al bolla Pastoralis officii, nella quale venne

deliberato che il capo della nuova congregazione si chiamasse “Preposito generale

dell’Ordine degli Scalzi”.

7 Dizionario degli istituti di perfezione, op. cit., p. 525. 8 T. D’AVILA, Cammino di perfezione, Milano, 2005, p. 10.

(10)

6

Il 13 novembre 1600 lo stesso Papa, attraverso il breve In apostolicae dignitatis,

divise l’Ordine in due congregazioni, di Spagna e d’Italia, garantendo a

quest’ultima gli stessi privilegi e garanzie concesse alla congregazione spagnola.

9

In Italia vennero eretti tre conventi, due di frati (Genova e Roma) e uno di

monache (Genova), con la facoltà concessa al Padre Pietro della Madre di Dio di

erigerne altri due.

I Carmelitani Scalzi d’Italia redissero proprie costituzioni, completamente diverse

da quella spagnola, organizzando altresì una forma di vita alquanto diversa.

Tutto questo non fu ben visto dalla Congregazione originaria, dal momento che

ritenevano che al di fuori della penisola iberica non si sarebbe potuto rispondere

agli ideali di fedeltà, ai principi di orazione e penitenza ormai divenuti norma di

vita.

Ciò che caratterizzava, ma soprattutto diversificava la Congregazione di S. Elia

(italiana) da quella spagnola, fu il particolare carattere missionario.

A partire dal 1605, anno della prima missione, entrò all’interno della legislazione

un Capitolo sulla casa-seminario, la quale doveva preparare i missionari ad agire

in sintonia con il Capitolo generale.

La Costituzione della Congregazione venne rinnovata più volte, fino alla forma

finale raggiunta nel 1626 ed approvata da Papa Urbano VIII nel 1631;

10

in base a

questa Costituzione tutti i superiori, compreso il Priore generale, cambiavano ogni

tre anni.

Un ruolo molto importante nell’incremento della fondazione di monasteri e

conventi in Italia venne svolto anche da un fedele gruppo di carmelitani scalzi

spagnoli, i quali ne promossero gli insediamenti e l’attuazione materiale. Fra

questi si ricordano Pedro de la Madre de Dios, eletto Preposto dell'Ordine e diretto

responsabile degli insediamenti romani di Santa Maria della Scala e di San

Giuseppe a Capo le Scale, della prima casa di Napoli e quella di San Silvestro a

Montecompatri, e Domingo de Jesus Maria, legato alle vicende di Santa Maria

della Vittoria a Roma e a Praga, come anche alla fondazione della prima casa di

Palermo.

11

9 R. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai giorni nostri…, Vol. 10, Venezia, 1841,

pp. 65 - 66.

10 Dizionario degli istituti di perfezione, op. cit., pp.533 - 534.

11 E. MARCHETTI, “Venezia e Santa Maria di Nazareth: tappe significative nello sviluppo culturale e nella diffusione

della realtà scalza”, in La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014, p. 104.

(11)

7

Nel frattempo, la storia della Congregazione conobbe un ulteriore sviluppo: nel

1626 vennero erette le province di Napoli e Colonia; nel 1632 quelle di Sicilia e

Parigi; nel 1638 quella d’Irlanda; nel 1641 quella di Aquitania; nel 1643 quella del

Piemonte. Alla metà del XVII secolo la Congregazione contava 14 province con

149 conventi e 2326 frati professi, oltre ad un centinaio di frati missionari sparsi

nel mondo.

All’inizio del XVIII secolo i religiosi si contavano in 3855 unità; i conventi erano

181 e le missioni arrivarono fino a toccare l’India.

Nel corso del’700 vennero costituite le province: di Austria nel 1701; di Romagna

nel 1723; di Lituania nel 1734; di Lotaringia nel 1740; di Baviera nel 1740 e di

Fiandra nel 1761. Fu questo il periodo di massima espansione e fervore

dell’ordine: gli studi proseguivano a buon ritmo, in onore allo spirito di orazione,

e non mancavano le buone vocazioni missionarie. Tuttavia si cominciavano a

percepire dei malumori in più di una provincia: l’ozio tra i frati dilagava e i

contatti all’esterno scarseggiavano. Nonostante la Congregazione avesse cercato

in tutti i modi di porvi rimedio, provvedendo anche all’aggiornamento delle

Costituzioni nel 1740, essa non poté evitare che in alcuni casi, come in quello

della Repubblica Veneta nel 1767, venissero proibite le ammissioni alla

professione, il che comportò la diminuzione del numero dei religiosi nei

conventi.

12

1.2 Gli scalzi nella serenissima

L’arrivo dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi a Venezia si può collocare verso la

metà del XVII secolo.

Grazie agli ottimi rapporti instaurati con alcune nobili famiglie veneziane, essi

riuscirono ad inserirsi al meglio nel contesto cittadino.

Agli eccellenti legami fra il Papato e l’Impero spagnolo, destinato ad imporre nel

Regno l’ortodossia religiosa, si contrapponeva il difficile rapporto fra lo Stato

della Chiesa e la Repubblica di Venezia, la quale si dimostrava frammentata al

suo interno a causa della pluralità di clan familiari membri del patriziato, i quali

(12)

8

promuovevano diverse linee politiche ecclesiastiche attuando proprie strategie in

conflitto con quelle deliberate dai pubblici consigli.

13

A seguito della conquista della terraferma da parte della Serenissima, gli attriti

con il Papato aumentarono: il nuovo possesso di territori prima non disponibili

garantì al patriziato veneziano un serbatoio di impieghi e rendite inediti.

Questi mutamenti comportarono la profonda rimodulazione dei sistemi di

designazione ai Benefici della Terraferma veneta, con il conseguente

peggioramento del rapporti fra i due Stati.

Questa situazione, infatti, portò ad una serie di conflitti tra la Serenissima e la

Santa Sede: basti pensare che fino al 1650 solo sei cardinali veneziani furono

ammessi al Sacro Collegio.

Tuttavia, a partire dalla seconda metà del XVII secolo, ovverosia non appena i

dissidi terminarono, i porporati lagunari aumentarono notevolmente nel numero

14

.

Al contrario, nel corso del XVI secolo si assistette al rafforzamento del rapporto

fra la chiesa locale in senso stretto (ovvero quella lagunare) e il patriziato

veneziano: in virtù di ciò Papa Clemente VII riconobbe e ampliò il diritto di

giuspatronato, permettendo l’elezione dei titolari degli uffici ecclesiastici cittadini

da parte dei parrocchiani.

Si affermò inoltre a Roma un principio non scritto secondo il quale venivano

designati - di fatto esclusivamente - i membri del patriziato ai maggiori benefici.

Proprio a Roma, grazie a questa mossa, la curia romana riuscì ad ottenere una

serie di notevoli vantaggi che le consentì di mantenere sempre il controllo sulla

diocesi veneziana.

In particolare, i patrizi venivano gravati dalla sistematica imposizione di pensione

sui benefici a livello di rendite, che potevano arrivare fino al 50%.

Tutto ciò comportò la contrapposizione netta tra la Curia e l’oramai grave

fragilità

delle famiglie più eminenti della città veneta, le quali, almeno in questa fase,

accettavano qualsiasi compromesso pur di accedere ad uno status privilegiato.

Di

fronte a questa situazione, la società veneziana si spaccò al suo interno: da una

parte ci furono quelli che si dimostrarono disposti al compromesso con la Santa

Sede, dall’altra gli intransigenti.

13 I. MENNITI, “Il papato, la Repubblica e la chiesa di Venezia”, in La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la

spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014, pp. 35 - 36.

(13)

9

Attorno al 1620 si cercò di rendere ereditari i vescovati attraverso il diritto di

successione (nei confronti di un parente o un solidale), tuttavia grazie alle

perplessità del Papa e di ampi settori della nobiltà cittadina questa idea sfumò.

15

Appare interessante notare come, nel corso del Seicento, circa il 40% dei patrizi

veneziani chiamati ai benefici ecclesiastici non possedevano i requisiti canonici

necessari alla loro elezione.

A partire dal 1629, il Nunzio pontificio cercò di escludere dalle candidature per

l’elezione ai benefici ecclesiastici i patrizi laici che avessero già messo il piede

nell’organo del Maggior Consiglio, poiché ritenevano che essi stessi sarebbero

potuti essere stati condizionati dal pubblico veneziano.

L’idea del nunzio però non fu però accolta e si continuò a prestare poca attenzione

alle propensioni spirituali dei prescelti, finendo così per incrementare il problema

del loro scarso rendimento nell’ambito delle funzioni ecclesiastiche loro spettanti.

Il corpo ecclesiastico così selezionato, sentendo assai poco la necessità di essere

fedele sia Venezia che alla Santa Sede, tendeva ad agire per un proprio

tornaconto, diventando così una figura autonoma all’interno della società

veneziana.

16

Tornando alle vicende connesse all’arrivo dei Carmelitani Scalzi a Venezia nel

1633, questa rappresenta per l’intero Ordine riformato, una tappa tanto

significativa quanto peculiare. Il ramo veneziano dell’ordine, infatti, fa parte della

Provincia Veneta, un distaccamento dalla Provincia Lombarda già nata nel 1617.

17

Nel 1620 Padre Angelo di Gesù Maria, Provinciale della provincia di Sant’Angelo

Martire (Lombardia), si recò in terra veneta per predicare durante la Quaresima,

cercando di creare un terreno fertile per l’espansione dell’Ordine dei Carmelitani

Scalzi nella Serenissima.

Ma è grazie al Padre Agatangelo di Gesù Maria (Provinciale della Liguria),

recatosi a Venezia nel 1633 per predicare durante la Quaresima, che gli Scalzi

s’insediarono a Venezia: il 6 maggio 1633, dopo la risposta positiva data dal

Senato all’istanza di fondazione presentata dal Padre, i Carmelitani Scalzi

affittarono una casa vicino alla chiesa di San Canciano.

15 I. MENNITI, “Il papato, la Repubblica e la chiesa di Venezia”, in La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la

spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014, p. 38.

16 Ibid., pp. 40-41.

17 Storia della provincia veneta

(14)

10

Nel 1635 si trasferirono presso una casa alla Giudecca; successivamente, nel

1647, alcuni padri iniziarono a predicare nell’abbazia di San Gregorio.

18

La concessione ai Carmelitani Scalzi per l’istituzione di un convento venne

accordata dal Senato il 23 agosto 1649, data nella quale essi

acquistarono da

Vincenzo Venier un terreno presso il convento di Santa Lucia.

Gli Scalzi commissionarono al celebre architetto veneziano Antonio Longhena il

progetto della chiesa e del convento, i quali vennero completati nel 1654.

19

Egli progettò di arricchire l’interno della chiesa per mezzo di un ricco stile

romanico, risplendente di marmi colorati nei pilastri corinzi in marmo rosso scuro

che delimitano lo spazio della navata.

Nel 1672, grazie alla donazione di 74 mila ducati da parte del patrizio Gerolamo

Cavazza agli Scalzi, fu possibile erigere, su progetto di Antonio Sardi, l’imperiosa

facciata marmorea della chiesa intitolata a Santa Maria di Nazareth.

20

All’arrivo a Venezia, nel 1633, i Carmelitani Scalzi dovettero cercare di

assicurarsi importanti appoggi al fine di potersi radicare nella città anche da un

punto di vista logistico.

Per evitare un’aggressiva penetrazione in città, allacciarono legami soprattutto con

un particolare gruppo patriziale, quello cioè che, per diverse ragioni, non aveva

ancora stretto rapporti con altri Ordini monastici.

Il territorio lagunare si presentava spartito fra le ricche famiglie veneziane tramite

una gerarchia d’importanza interna per ogni Sestriere; la chiesa parrocchiale ne

era il centro nevralgico e l’insediamento dell’ordine religioso sul territorio stesso

veniva approvato dalle famiglie che lo controllavano.

21

18 E. MARCHETTI, “Venezia e Santa Maria di Nazareth: tappe significative nello sviluppo culturale e nella diffusione

della realtà scalza”, in La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014, pp. 104 - 105.

19 E. SVALDUZ, “Un sito strategico: l’area degli Scalzi nella storia della città”, in La chiesa di Santa Maria di

Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014,

pp. 52 - 54.

20 A. HOPKINS, “Venezia e il suo dominio”, in Storia dell’architettura italiana: il Seicento, a cura di Aurora Sotti

Tosini, Milano, 2003, p. 409.

21 D. RAINES, “La lobby cittadina dei Carmelitani Scalzi nella Venezia secentesca”, in La chiesa di Santa Maria di

Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, a cura di Giacomo Bettini e Martina Frank, Venezia, 2014,

(15)

11

Gli Scalzi tentarono di “imporsi” in uno scenario ormai saturo dal punto di vista

delle reti sociali già preesistenti, in cui i rapporti tra i grandi Ordini e le famiglie

patrizie apparivano ormai già consolidati da secoli.

Nel corso del Cinquecento la saturazione di tipo socio-insediativa di alcune

porzioni del territorio veneziano incise sempre di più sulla politica urbanistica

adottata dalla Serenissima, la quale si espanse, a causa dell’aumento della

popolazione, verso le zone paludose della terraferma, a scopo residenziale: di

fondamentale importanza fu, a questo proposito, l’area a nord-ovest della città,

attorno al rio di Cannaregio.

Attraverso l’esame delle mansionarie, ovverosia le donazioni fatte all’ordine di

Teresa a partire dal 1647, si riscontra come per mezzo della prima di esse,

risalente proprio al 27 giugno di quello stesso anno da parte di Giovanni Battista

Mora, i Carmelitani Scalzi potessero contare su un’entrata di 1000 ducati all’anno,

per cinque anni consecutivi.

Tale Giovanni Battista Mora apparteneva ad una famiglia di salumieri, residente a

Venezia a San Marcuola, a pochi passi dal luogo dove successivamente verrà

costruita l’attuale chiesa degli Scalzi.

Un’altra mansionaria venne fatta dai Tasca, famiglia commercianti di ciambellotti,

molto ricca, ma anche piuttosto desiderosa di tradurre tale ricchezza in prestigio

sociale; a questo scopo essi pensarono bene di lasciare ai Carmelitani una somma

di 200 ducati nel 1655, e due partiti del valore di 217 e 166 ducati nel 1660.

22

A partire dal 1648 ci furono un susseguirsi di mansionarie in favore dei padri

carmeli, tra cui quelle della famiglia Lumaga (1648), di Maria Flangini (1654),

cognata del Padre fra Bernardo dell'ordine dei Carmelitani Scalzi e quella di

Aurelio Rezzonico; quelle della famiglia Cavazza Lione (1657), di Onorio Curti

(1659), di Pietro Martire (1666), ed infine quella della famiglia Gussoni (1664).

23

Alle donazioni di queste famiglie si assommavano quelle di un nutrito gruppo di

patrizi: Andrea Corner, Vienna Contarini Morosini, Sebastiano Venier, Bianca

Valier Mocenigo, Laura e Battista Nani, Antonio Priuli, Carlo Contarini, Andriana

Dolfin Foscari, Pietro Giustinian, Chiara Duodo Barbarigo, Lucrezia Lando

Foscarini.

22 D. RAINES, “La lobby cittadina dei Carmelitani Scalzi nella Venezia secentesca”, op. cit., pp. 79 - 84. 23 Ibid., pp. 84 - 88.

(16)

12

Tutte queste donazioni, però, non bastano a giustificare la rapida ascesa dei

Carmelitani Scalzi in città: probabilmente giocarono un ruolo molto importante

anche le proposte spirituali fatte dall’ordine.

Attraverso una ricostruzione fatta dalla Dott.ssa Raines, si evince infatti che,

attraverso una serie di trame familiari, un ruolo chiave in queste vicende venne

giocato da un patrizio membro dell’antica famiglia dei Badoer: Angelo.

La famiglia Badoer fungeva da “reclutatrice” alle donazioni in favore degli Scalzi,

operando sulle retrovie e senza farsi mai avanti in prima persona: saranno infatti

Sebastiano Venier, figlio di Maria Badoer (cugina di Angelo) e Lorenzo Venier, a

fare la mansionaria del 1668.

La prima mansionaria in assoluto operata da parte di una famiglia patrizia fu

invece quella di Andrea Corner della Regina nel 1656; i legami tra le due famiglie

Venier e Corner risalgono al 1583 quando il secondo cugino del padre di Andrea,

Marco Zorzi Corner, sposò Pisana Badoer.

24

Questi sono solo due esempi di tanti

legami parentali che formavano il tessuto dove gli Scalzi si appoggiavano.

Ad un’analisi più capillare delle mansionarie, si nota come molte di esse vennero

istituite da figure femminili, come Vienna Contarini Morosini, Lucrezia Lando

Foscarini, Bianca Valier Mocenigo, le quali venivano presumibilmente attratte e

stimolate dalle novità contenute nella Vita di santa Teresa d’Avila, opera che

iniziò a circolare fra i tipografi veneziani a partire dal 1603.

25

Attraverso lo studio delle edizioni italiane delle opere sulla Santa è stato possibile

verificare che, nella penisola italiana, le fondazioni carmelitane e la pubblicazione

dei testi di Teresa procedevano di pari passo.

Venezia ricoprì in questo senso il ruolo di assoluta protagonista nel campo

dell’editoria italiana nel XVII secolo, favorendo in questo modo l’affermazione

del carisma teresiano nella Repubblica, specialmente in seguito alla

canonizzazione della Santa avvenuta nel 1622.

26

Volgendo uno sguardo più approfondito alle famiglie citate in precedenza, quelle

cioè che avevano operato le mansionarie in favore degli Scalzi, si nota come quasi

tutte appartenessero al corpo diplomatico della Serenissima, soprattutto nelle corti

24 D. RAINES, “La lobby cittadina dei Carmelitani Scalzi nella Venezia secentesca”, op cit., pp. 89 - 94. 25 Ibid., pp. 98 - 99.

26 E. MARCHETTI, “Venezia e Santa Maria di Nazareth: tappe significative nello sviluppo culturale e nella diffusione

(17)

13

di Francia e Spagna, impegnate com’erano nel consistente numero di contatti a

livello europeo fra le alte file internazionali durante quegli anni della nascita

dell’ordine e della sua penetrazione in Italia a partire dal 1584.

Gli Scalzi poterono avvalersi quindi di una sorta di protezione, che permise loro di

limitare i tentativi di blocco della “diffusione” del loro Ordine fuori dalla Spagna

e di avere maggiore popolarità all’interno della Serenissima, il che consentì loro di

presentare, nel 1646, una supplica al Senato finalizzata all’istituzione di un

convento proprio nella città lagunare.

27

In pochi anni, all’insediamento veneziano si aggiunsero una serie di nuovi

conventi, i quali, partire dal 1677, andranno a costituire la Provincia veneta

dell’ordine: tra questi ricordiamo l’insediamento di Brescia nel 1660, affidato al

padre Simone di San Paolo (primo priore dell’abbazia di San Gregorio a Venezia);

quello di Verona, in cui i Carmelitani Scalzi giunsero solo pochi anni dopo

(1664), a Padova, dove nel 1669 acquistarono il convento dei Gerolamiti ed infine

a Vicenza, dove, nello stesso anno, i figli di Teresa subentrarono ai gesuiti nella

chiesa di San Girolamo Dottore Massimo.

L’ingente numero degli insediamenti portò il Capitolo Provinciale di Lombardia

ad accogliere, il 21 aprile 1673, la richiesta dei padri di origine veneta di

costituirsi in Provincia.

L’anno successivo, la richiesta venne riportata anche al Capitolo Generale, il

quale decise di staccare tali conventi sopra citati dalla provincia lombarda e di

metterli sotto alla giurisdizione del Commissario generale, nella persona del padre

Antonio Maria dell'Ascensione.

28

Pochi anni più tardi, nel 1677, al raggiungimento di un numero sufficiente di

religiosi sufficienti, venne formalmente istituita la Provincia veneta dell’ordine,

intitolata a San Giovanni della Croce.

29

27 D. RAINES, “La lobby cittadina dei Carmelitani Scalzi nella Venezia secentesca”, op. cit., p. 97.

28 E. MARCHETTI, “Venezia e Santa Maria di Nazareth: tappe significative nello sviluppo culturale e nella diffusione

della realtà scalza”, op. cit., pp. 102 - 103.

29 Storia della provincia veneta

(18)

14

1.3 L’arrivo degli Scalzi a Padova

I Carmelitani Scalzi s’insediarono a Padova nel 1669 dopo l’acquisto di un

soppresso monastero degli eremiti di San Girolamo da Fiesole situato in contrada

dell’Arzere (attuale via Beato Pellegrino ai numeri 192-194): qui vi erano il

convento e la chiesa.

30

I figli di Teresa acquisirono la proprietà dell’edificio grazie ad un’asta fatta a

Venezia sotto la vigilanza del Nunzio apostolico e di tre deputati del Senato:

Alvise Foscarini, Alvise Contarini e Andrea Pisani. All’aperura delle buste, i 3015

ducati offerti dai padri scalzi superarono i 2050 ducati offerti dalle “terese” del

ramo femminile dell’Ordine.

Per potersi permettere di acquistare il lotto, gli Scalzi ottennero un primo prestito

dalle madri romite di San Marcuola, poi un secondo dagli eredi di Angelo

Giustinian, ed infine ricavano altri 1000 ducati dal lascito di Andrea Corner, il

quale in cambio richiese la celebrazione di quattro messe settimanali.

31

L’altare maggiore della nuova chiesa venne costruito successivamente grazie al

lascito del mansionario della cattedrale patavina, Giulio Antonelli, il quale

dichiarò nel proprio testamento come suoi eredi i padri teatini e gli Scalzi di

Padova: 1200 ducati venivano così riservati alla realizzazione dell’altare maggiore

(o quello dedicato a Giovanni della Croce).

32

Al fine di riqualificare la ex chiesa di San Girolamo, i Carmelitani decisero di

acquistare nel 1682-83 una casa ed un orto attigui al loro monastero di proprietà

dei Gesuiti di Venezia.

33

Nel maggio 1683, poi, grazie all’autorizzazione papale, vennero demoliti la

Cappella Maggiore e il vecchio Campanile per costruirvici una Cappella e

costituire una “Choro et Campanile” di maggiore grandezza.

34

I lavori poterono prendere avvio grazie al testamento del cappellano della

cattedrale, Piero Angeli, che nominò anch’esso gli Scalzi come propri eredi, con

30 L. PUPPI, G. TOFFANIN, Guida di Padova: arte e storia tra vie e piazze, Trieste, 1993, p. 371.

31 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 1, Catastico 1668 - 1750, c. 23. 32 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 3, Mazzo 1, foglio sciolto

“Relatione di quanto è pervenuto nel nostro convento di Padova dell’Eredità Antonelli”.

33 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 1, Catastico 1668 - 1750, c.

106.

34 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 1, Catastico 1668 - 1750, c. 4.

(19)

15

l’obbligo di “spender tutto il valor di tutto questo in fabbrica di detto

monastero”.

35

Per meglio conoscere la struttura originaria del complesso edilizio prima degli

interventi strutturali fatti apportare dagli Scalzi, è sufficiente osservare attraverso

la mappa Patavium nobilissima del 1617, la quale attesta che la chiesa di San

Girolamo si trovava in una posizione di molto arretrata rispetto alla strada e che il

campanile era situato alla sua destra.

Incrociando queste informazioni con i documenti relativi alla prima ricostruzione

del convento risalente al 1686 emerge che i Carmelitani hanno mantenuta intatta

l’aula della chiesa, concentrando invece i lavori sul corpo di fabbrica minore a

ridosso del vano principale del tempio e spostando il campanile sul lato opposto.

36

Figura 1. Patavium nobilissima.

A partire dal 1692 vennero eseguiti nuovi dei nuovi lavori di riqualificazione.

I documenti relativi a questi nuovi interventi operati dai Carmelitani Scalzi

conservati presso l’Archivio di Stato di Padova non appaiono utili a spiegare

questa decisione dei padri scalzi, visto che solo 6 anni prima la chiesa era stata

ristrutturata e ampliata.

Il nuovo progetto, datato 9 luglio 1692 ed affidato all’architetto Giuseppe Pozzo,

prevedeva di conformare la chiesa alla parte di coro e presbiterio già ricostruita in

35 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 14, Mazzo XI.

36 M. FRANK, “Architetture di Giuseppe Pozzo per la provincia veneta dei Carmelitani Scalzi: San Girolamo a

(20)

16

precedenza. A distanza di un anno dall’approvazione del progetto si nota come,

attraverso una ricevuta del muratore Francesco Ratti datata 20 ottobre 1696,

alcuni lavori sono infine stati effettivamente eseguiti.

Fra questi si segnalano sostanziali interventi sulla definizione funzionale degli

ambienti, in particolare sul corpo di fabbrica posteriore, il quale era destinato ad

ospitare nel pian terreno un corridoio, la sacrestia e la sala del capitolo e al piano

superiore, il coro dei frati e la biblioteca.

Il fatto che il muratore nella ricevuta sopra citata, dichiari di aver abbattuto la

scala a chiocciola accanto al presbiterio, nella parte terminale dell’ambulacro a

fianco della sacrestia, autorizza a pensare che la nuova chiesa avrebbe dovuto

essere spostata verso la strada.

37

Il 5 giugno 1700, circa otto anni dopo il primo progetto, Giuseppe Pozzo informò

il priore del convento degli Scalzi di Padova di aver corretto il progetto iniziale e

di averlo consegnato al direttore dei lavori, tagliapietra Pietro Fasolato.

38

Questa revisione colpì molto le autorità dell’Ordine, le quali, anche grazie al

lascito di Olimpia Avanzi, vedova Gionta

39

, il 12 giugno 1700 poterono far partire

i lavori per la costruzione del nuovo San Girolamo.

40

37 M. FRANK, “Architetture di Giuseppe Pozzo per la provincia veneta dei Carmelitani Scalzi: San Girolamo a

Padova”, op. cit., pp. 329 – 331.

38 ASPD, Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, Carmelitani Scalzi, b. 18, Mazzo 36/1 carte sciolte. 39 Tale lascito di 6500 ducati era vincolato alla costruzione della nuova chiesa.

40 FRANK M., “Architetture di Giuseppe Pozzo per la provincia veneta dei Carmelitani Scalzi: San Girolamo a

(21)

17

CAPITOLO 2. Le vicende delle biblioteche monastiche durante

le soppressioni napoleoniche: analisi del territorio Veneto

2.1. Analisi del territorio veneto

La battaglia di Montenotte del 12 aprile 1796 fu la prima delle tante vittorie di

Napoleone nella “Campagna d’Italia”.

Dotata di eccezionali capacità militari, l’Armata d’Italia guidata da Napoleone

avrebbe dovuto conquistare il nord Italia in breve tempo per poi unirsi nella zona

del Tirolo all’esercito degli altri ufficiali francesi, Jourdan e Moreau con

l’obbiettivo finale di marciare su Vienna.

41

Con il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 finì la trionfale campagna

napoleonica: la Francia ottenne l’annessione della Renania, del Belgio e il

riconoscimento della Repubblica Cisalpina, mentre l’Austria ricevette l’oramai

decaduta Repubblica di Venezia, compresa la Dalmazia ed altre isole adriatiche.

42

Nei pochi mesi passati nella Serenissima, i commissari francesi, a titolo di

contributo di guerra, requisirono e trasferirono alla Biblioteca Imperiale di Parigi

470 codici miniati provenienti dalla Biblioteca di S. Marco e da altre biblioteche

monastiche di Venezia, Padova e Treviso.

A Padova, in particolare, la Biblioteca di S. Giustina venne saccheggiata dei libri

più preziosi: queste prime perdite furono solo il preludio di quelle che saranno le

successive sottrazioni operate durante soppressioni napoleoniche.

43

Questo episodio non rappresentò il primo caso in questo senso nel Veneto:

quando, ad esempio, nel 1782 venne soppresso l’ordine dei Canonici Regolari, la

Serenissima decise di destinare alla biblioteca di S. Marco 587 codici provenienti

dalle biblioteche di S. Giovanni di Verdara in Padova, S. Leonardo in Monte

Donico, S. Bartolomeo di Vicenza, S. Michele di Candiana e dai monasteri dello

stesso ordine in Treviso e Verona.

44

41 G. GEROSA, Napoleone: un rivoluzionario alla conquista di un impero, Milano, 2010, pp. 85 - 86. 42 G. GULLINO, G. MUTO, E. STUMPO, Il mondo moderno, Bologna, 2007, pp. 349 - 350.

43 L. PROSDOCIMI, “Sulle tracce di antichi inventari e note manoscritte” in Splendore nella regola: codici miniati da

monasteri e conventi nella Biblioteca universitaria di Padova, a cura di Federico Toniolo e Pietro Gnan, Padova, 2011,

p. 53.

44 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche monastiche veneziane dopo la soppressione napoleonica, S.l., 1929, pp. 4

(22)

18

A seguito della Pace di Presburgo del 26 dicembre 1805, i francesi costrinsero

l’Austria a cedere loro i territori delle Venezie e dell’Istria, i quali vennero annessi

al Regno Italico con il Decreto del 30 marzo 1806.

Nei territori dell’ex Serenissima vennero dunque estese le leggi napoleoniche con

le quali si prevedeva la riduzione delle corporazioni religiose e il passaggio al

demanio dei beni loro appartenenti, tra cui le biblioteche.

Il principe Eugenio, viceré imperiale, demandò al Direttore Generale della

Pubblica Istruzione il compito di scegliere i libri di maggior pregio dalle suddette

biblioteche per poi trasferirli a Milano, che rappresentava il centro nevralgico del

Regno d’Italia.

Questo Direttore ebbe il compito di selezionare tra i libri ritenuti di minor pregio

quelli che avrebbero potuto formare una biblioteca adatta ai licei ed alle scuole

secondarie del regno; i volumi non scelti e quindi considerati di scarto, dovevano

essere venduti nei modi più comuni.

45

Il rischio rappresentato dalla perdita di cotanti libri allarmò l’allora custode della

Biblioteca di S. Marco di Venezia, Jacopo Morelli, che scrisse al Magistrato

Civile poiché intercedesse presso il Viceré a favore della Marciana.

46

Lo stesso bibliotecario sottolineò la necessità che tutti i volumi restassero in città,

e che la Marciana si sarebbe fatta carico quantomeno di quei volumi che si

sarebbero presentati utili agli studiosi.

In questo modo il Morelli stava tentando di far diventare la Marciana la migliore

biblioteca di Venezia, incrementandone il proprio patrimonio librario e

completando in questo modo le serie, rendendo fornite le classi considerate fino

all’ora incomplete.

47

Le proteste del Morelli indussero il Generale Miollis, rappresentante del Governo

a Venezia, a scrivere al Principe Eugenio, intervenendo in favore della Marciana e

riconoscendo i diritti che la città lagunare aveva nel conservare almeno quel che

rimaneva delle opere ivi conservate dopo le precedenti depredazioni.

Tale intervento, accompagnato dalla supplica al trono vicereale del Magistrato

Civile, fu però vano. Beuharnais non intendeva rinunciare ai tesori di Venezia:

45 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche…op. cit., p. 7.

46 L’allora Biblioteca di S. Marco di Venezia corrisponde alla Biblioteca Marciana. 47 Ibid., pp. 8 - 9.

(23)

19

libri, codici, quadri, statue e cimeli d’ogni sorta dovevano confluire alla Galleria e

Libreria Brera di Milano.

Venne dunque presa la decisione di concentrare tutti i libri nell’ex monastero di

Sant’Anna, luogo in cui essi dovevano essere catalogati, selezionati, distribuiti ed

infine venduti. Tutto ciò venne stabilito con lo scopo di limitare le spese di

trasporto ed evitare alla biblioteca Brera l’onere di effettuare la cernita dei libri e

gli scarti.

La nuova disposizione dettata dalla modifica del decreto iniziale del 10 giugno

1806 prevedeva che, dopo aver scelto i libri di maggior pregio da inviare alla

capitale del regno, la restante parte sarebbe dovuta confluire a Padova,

probabilmente allo scopo di arricchire il patrimonio della Biblioteca

Universitaria.

48

Memori delle spogliazioni del 1797, i vari ordini religiosi alla notizia del secondo

arrivo dei francesi in Città si affrettarono a nascondere o a vendere i libri di

maggior pregio, lasciando sugli scaffali le sole opere di scarto.

In questa occasione non tutte le corporazioni religiose vennero soppresse; alcune

si salvarono mentre altre vennero accorpate. Il 28 luglio 1806 infatti venne

pubblicato il decreto per la riduzione delle corporazioni religiose negli Stati ex

Veneti, cosicché ben quindici corporazioni vennero cancellate da Venezia

49

.

Inoltre, più di quaranta conventi vennero soppressi fra le province di Venezia,

Padova, Belluno, Udine, Treviso e Vicenza.

S’incominciarono a catalogare i libri delle più importanti librerie veneziane,

facendo un sommario delle opere più pregevoli, e si operò una semplice ma

ordinata numerazione e classificazione per formato delle restanti opere.

L’ampio numero di biblioteche, la loro ricchezza bibliografica, ma soprattutto il

gran disordine che vi regnava, comportò il passare di parecchi mesi prima che si

eseguissero dei lavori e si compisse il trasferimento del materiale.

50

48 L. PROSDOCIMI, Sulle tracce di antichi inventari e note manoscritte, op. cit., p. 54.

49 Nello specifico quelle dei Minori Conventuali di S. Nicoletto dei Frari, gli Agostiniani di S. Cristoforo in Isola, i

Domenicani di S. Pietro Martire di Murano, di S. Domenico di Castello e di S. Secondo in Isola, i Serviti di S. Giacomo della Giudecca, i Minimi di S. Francesco di Paola, i Carmelitani Calzati dei Carmini, i Benedettini di S. Giorgio Maggiore, gli Olivetani di S. Elena in Isola, i Minori riformati di S. Francesco del Deserto, i Minori osservanti di S. Giobbe e S. Spirito in Laguna, i Carmelitani Scalzi di S. Giorgio in Alga e i Certosini di S. Andrea della Certosa.

(24)

20

Nel periodo tra il 19 novembre 1806 e il 7 marzo 1807 i libri delle biblioteche di

S. Giobbe, S. Giorgio in Alga, S. Domenico di Castello, S. Nicoletto dei Frari,

San Francesco di Paola, S. Giorgio Maggiore, S. Elena, S. Secondo, i Carmini, S.

Giacomo della Giudecca e S. Pietro Martire di Murano furono inviati a Padova: in

questo modo la città di Venezia venne derubata di 17363 volumi. Gli scarti librari

consegnati al demanio furono venduti a peso.

51

Un nuovo decreto vicereale, datato 28 novembre 1806, ordinò la soppressione e

relativa requisizione dei locali delle corporazioni veneziane di SS. Giovanni e

Paolo, S. Stefano, S. Salvatore e S. Francesco della Vigna. I frati vennero

immediatamente assegnati a case demaniali o trasferiti in conventi, appartenenti

allo stesso ordine, di altre città, impedendo così il trasporto del materiale librario

in altri luoghi a causa dell’immediatezza dello spostamento.

I libri vennero ammassati alla rinfusa nelle otto stanze dell’ex Monastero

dell’Umiltà, alla Salute, e successivamente venduti; tra questi, 555 libri vennero

trasportati a Padova.

52

Nel mentre, nonostante nel 1806 venisse formata la quarta coalizione largamente

sovvenzionata dall’Inghilterra alla quale avevano aderito anche la Svezia, Russia e

la Prussia, Napoleone continuava ad avere la meglio contro gli eserciti di mezza

Europa sconfiggendo ripetutamente gli avversari a Jena, Auerstadt, Eylau e

Friedland.

Nel 1809 il Bonaparte riuscì ancora ad avere la meglio sulla quinta coalizione,

formata da Inghilterra e Austria, nella città di Wagram, costringendo il re

austriaco Giuseppe II a firmare il Trattato di Schönbrunn (meglio conosciuta come

Pace di Vienna) il 14 ottobre 1809.

All’apogeo del suo regno, Napoleone decise di volgere il proprio sguardo verso

Papa Pio VII, reo di non aver mai voluto accettare il blocco continentale con il

quale il re francese chiudeva tutti i porti europei alle navi inglesi, bloccandone il

commercio.

53

Il 25 aprile 1810 venne emesso un decreto con il quale «eccettuati i vescovati, i

seminari, i capitoli cattedrali, quelli delle collegiate più insigni, le parrocchie, gli

ospitalieri, le suore della carità, e le altre case per l’educazione femminile che con

51 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche… op. cit., p. 14. 52 Ibid., pp. 17 - 18.

(25)

21

decreti speciali [che Napoleone] avrebbe giudicato di conservare, tutti gli altri

stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunità ed associazioni ecclesiastiche

di qualunque natura e denominazione [avrebbero dovuto] essere soppressi e i loro

beni passare alla Cassa di ammortizzazione del Monte Napoleone».

54

A Venezia solo gli Armeni di S. Lazzaro si salvarono, in quanto forestieri sudditi

di uno Stato estero; 14 biblioteche passarono invece al demanio.

55

Giunto il momento della distribuzione dei volumi delle biblioteche soppresse,

Leopoldo Cicognara, Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia per il

tramite del Prefetto, inviò al Morelli (allora delegato alla selezione dei volumi

preliminare alla distribuzione) una nota di quelli selezionati dalla collezione della

Biblioteca dei Gesuati.

Grazie al diritto di prelazione accordatogli pochi mesi prima dalla Direzione

Generale tramite il dispaccio del 7 marzo 1811, il bibliotecario della Marciana,

poté usufruire del potere di selezione dei libri utili alla propria biblioteca.

Fu cosi che 2336 volumi, di cui 1581 a stampa, 268 opuscoli miscellanei e 477

manoscritti andarono alla biblioteca di S. Marco, mentre solo 208 volumi attinenti

all’arte passavano all’Accademia.

56

Tuttavia, al giugno 1811, i libri dei conventi soppressi nell’anno precedente

ancora non erano stati distribuiti, se non quelli dei Gesuiti, di S. Michele di

Murano ed altri venticinque volumi dalla biblioteca di SS. Giovanni e Paolo.

Dal momento che, di conseguenza, i locali delle biblioteche non risultavano

ancora disponibili all’esercito napoleonico, la Direzione Generale della P.I. decise

di scegliere velocemente i libri migliori tra le collezioni e di spostarli dai Gesuiti

per deciderne poi in seguito la destinazione finale. Tuttavia, l’ingente mole di

volumi scoraggiò le autorità.

Il Morelli, proponendo di separare i libri destinati al demanio da quelli che

sarebbero stati utili agli stabilimenti pubblici, riuscì ad assicurare in tal modo un

ingente numero di opere alla Biblioteca Marciana.

54 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche...op. cit., p. 21.

55 Nello specifico quelle dei Camaldolesi di S. Michele di Murano, Somaschi a S. M. della Salute, Serviti, Cappuccini

del Redentore alla Giudecca, Minori Conventuali di S. M. dei Frari, Filippini alla Fava, Carmelitani Scalzi di Santa Maria di Nazareth, Teatini di San Nicola da Tolentino, Riformati di S. Bonaventura, Eremitani di S. Clemente, Domenicani di SS. Giovanni e Paolo, Camaldolesi di S. Mattia di Murano, Domenicani alle Zattere, Girolamini di S. Sebastiano.

(26)

22

All’approvazione della proposta avanzata dal Morelli, il Dirigente Generale

appuntò però che venissero separate le opere scientifiche richieste dal Collegio

Borromeo di Pavia da quelle più classiche destinate alla Direzione Generale.

La Marciana ricevette dunque 2637 volumi, che si andavano a sommare agli altri

1455 volumi ricevuti a seguito delle precedenti soppressioni.

Un'altra porzione dei volumi andò al Collegio della Marina e alla Società Medica,

mentre, prima che le altre opere - circa 73 mila - giungessero al Demanio, il

Governo accontentò i vescovati donando loro 316 volumi da distribuire ai

seminari.

I rimanenti libri considerati di poco valore ed importanza ed i doppioni di qualche

opera di pregio vennero messi in vendita attraverso una serie aste pubbliche.

57

2.2. I libri nel deposito di Sant’Anna

Il monastero di Sant’Anna rappresentò un luogo chiave nelle vicende che

interessarono i libri requisiti dai conventi degli ordini monastici soppressi.

In questo luogo vennero ammassati, oltre ai 17 mila volumi giunti nel 1807 da

Venezia, anche quelli provenienti dai monasteri soppressi in epoca napoleonica da

ogni parte del Veneto, per un totale di 96 mila volumi.

Figura chiave di queste vicende fu l’allora custode dello stabile, l’abate Daniele

Francesconi, il quale, grande erudito e bibliofilo, nonché bibliotecario della

Biblioteca Universitaria di Padova, viene anche ricordato come una persona di

grande negligenza, disordine e superficialità.

58

Con il rapporto che stilò al Direttore Generale della Pubblica Istruzione nel quale

giudicava i libri presenti a S. Anna come opere utili, ma non rare e preziose, il

viceré Eugenio abbandonò l’idea di arricchire con queste opere la biblioteca Brera

di Milano, lasciandole in stallo presso il magazzino.

Nel 1814, alla caduta del Regno Italico, a causa della gran confusione e

trascuratezza del materiale e dell’assenza di cataloghi, venne ordinata la revisione

dei volumi presenti presso il magazzino di S. Anna; di fronte all’ammanco di

alcune opere, l’abate Francesconi venne preso di mira per le sue simpatie

57 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche...op. cit., pp. 26 - 28. 58 L. PROSDOCIMI, Sulle tracce…op. cit., p. 54.

(27)

23

napoleoniche ed accusato di aver volutamente ceduto una serie di volumi ai

principali personaggi del precedente governo.

Si ritiene che egli abbia scelto circa 4 mila volumi, dei quali 790 finirono alla

Biblioteca Universitaria di Padova

59

, mentre la restante parte venne trasportata

presso la Sala Carmeli nel convento di San Francesco Grande a Padova.

60

Dei 92 mila volumi residui, il Francesconi qualificò ben 72 mila volumi come di

scarto e non li catalogò, forse perché ipotizzava che il materiale di maggior pregio

era già stato requisito durante la prima occupazione o che comunque i monaci

avessero fatto sparire quei libri al sentore di un’ennesima occupazione. Dei

rimanenti 20 mila volumi ne risultavano però mancanti 1850.

Intervenne l’Imperatore Giuseppe I affinché si trovasse un responsabile

dell’ammanco e nel 1818 nominò una commissione formata dal pro-bibliotecario

della Biblioteca Universitaria di Padova Fortunato Federici, dal sotto-bibliotecario

Meneghelli, dal vice-bibliotecario Latino e dal coadiutore Dondi affinché venisse

fatta chiarezza sui fatti.

Di fronte alla commissione il Francesconi dichiarò che, per sua espressa

disposizione, tra il 1809 ed il 1813 provvedette all’invio dei 1850 volumi a sei

istituti culturali del Regno.

61

Il Governo Generale di Venezia si consultò dunque e chiese informazioni a quello

di Milano per sapere se ciò che aveva detto il Francesconi corrispondeva al vero: i

libri, effettivamente, erano stati mandati nei luoghi da lui indicati, ma non se ne

conoscevano né la quantità né le tipologie di opere che erano state distribuite. La

questione dunque rimase irrisolta.

L’incarico di custodia dei volumi conservati presso S. Anna passò nel 1813 al

bibliotecario Giuseppe Dainese e, a partire dal 1817, all’abate Giuseppe Gnocchi.

Dei 72 mila libri ritenuti di scarto dal Francesconi il Gnocchi ne selezionò 19925,

attribuendogli un qualche pregio o ritenendoli perlomeno utili a seminari e

stabilimenti di pubblica istruzione, compilandone un catalogo nel 1817.

62

59 Nel 1818 l’abate Giuseppe Gnocchi, nuovo custode dei libri di S. Anna decise di redigere un catalogo dei 790 libri

che il Francesconi mandò all’Universitaria. Si veda l’appendice n. 1.

60 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche…op. cit., pp. 29 - 30.

61 La parte relativa alla storia geografica trovò spazio alla Libreria della Direzione Generale della Pubblica Istruzione in

Milano; tutti i libri relativi alla musica al Regio Conservatorio di Milano; tutti i libri di storia naturale (ma non mancanti all’Universitaria di Padova) alla Libreria del Consiglio delle Miniere in Milano; le rare e preziose edizioni del ‘400 alla biblioteca dei Brera; le opere di belle arti all’Accademia di Venezia; infine altri libri vari donati alla Libreria del Seminario di Chioggia.

(28)

24

Nel frattempo, iniziarono le prime distribuzioni del materiale librario, mediante le

quali vennero assegnati alla Libreria Brera i migliori manoscritti e gran parte delle

edizioni del Quattrocento.

Negli anni 1818-19, la necessità di liberare i locali di Sant’Anna, da destinarsi a

Casa di Ricovero, comportò lo spostamento dei volumi rimanenti presso la

biblioteca Carmeli, situata all’ex convento di San Francesco; essa infatti era stata

risparmiata dalla soppressione grazie al suo carattere di biblioteca pubblica.

63

Nei primi mesi del 1821 si tentò di dare una destinazione a quest’ultima porzione

di libri: quelli ritenuti di scarto dovevano essere venduti, mentre la restante parte

doveva essere distribuita ai licei e seminari del Veneto.

Tuttavia questi 44 mila volumi circa rimasero stoccati presso la gran sala della

Pubblica Biblioteca di Padova almeno fino al 1840, momento in cui circa 8 mila

volumi vennero inviati al Seminario Patriarcale di Venezia. Nell’anno successivo,

poi, i 19925 volumi scelti e catalogati dall’abate Gnocchi vennero inviati alla

Biblioteca Universitaria di Padova.

Dei circa 20 mila volumi sopra citati trasportati all’Universitaria l’I.R.

Commissione degli Studi trovò un ammanco di ottomila libri: il suo bibliotecario,

tal Petrattini, ne venne ritenuto responsabile e quindi licenziato.

64

Si tornò a parlare dei dodicimila volumi rimasti solo nel 1861, quando l’I.R.

Luogotenenza del Regno Lombardo-Veneto decise di metterli a disposizione del

Vescovo di Padova affinché li distribuisse fra i conventi ed istituti religiosi

d’istruzione.

Questa operazione venne fatta solamente dopo aver concesso al locale Liceo

classico Tito Livio di prelevarne una parte, costituita da 792 volumi e

documentata al Governo Locale per mezzo di un catalogo.

65

Dopo aver incontrato l’ex bibliotecario del liceo, tal Leo Citelli, ho potuto

constatare che i volumi presenti nel catalogo non sono ordinati per possessore, e

che quelli rimasti (una parte dei volumi è stata trafugata dagli ufficiali inglesi

durante la seconda guerra mondiale) non sono stati catalogati; per questo non ho

ritenuto opportuno proseguire nell’analisi di questa porzione di libri, dal momento

63 L. PROSDOCIMI, Sulle tracce…op. cit., p. 55.

64 P. LA CUTE, Le vicende delle biblioteche...op. cit., pp. 31 - 34.

65 Tale catalogo, datato settembre 1861, non presenta un ampia descrizione dei libri, limitandosi al solo autore, titolo e

(29)

25

che avrebbe rappresentato un approfondimento superfluo rispetto al corpo della

mia ricerca.

In ultima istanza, va segnalato come i restanti volumi vennero trasferiti nel 1862

al Seminario di Padova: 2000 volumi restarono conservati presso la sua biblioteca,

mentre i rimanenti 6000 volumi vennero distribuiti fra i Camaldolesi di Rua,

Benedettini di Praglia, Cappuccini di Padova, Minori Osservanti di Monselice e

Barbarano, Carmelitani Scalzi di Verona e le Case dei Gesuiti di Padova, Venezia,

Vicenza, e Chioggia.

(30)
(31)

27

CAPITOLO 3. La biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova

3.1. Ricostruzione della biblioteca e del suo funzionamento

Si presume che la biblioteca possa essere sorta nell’arco temporale compreso fra il

1669, anno di acquisizione del convento da parte dei Carmelitani Scalzi di

Padova, e l’anno 1696, data del suo primo riscontro all’interno di un documento

d’archivio

66

, secondo il quale essa si trovava al primo piano dell’edificio attiguo

alla chiesa.

Queste sono le uniche informazioni certe che sono emerse dalla mia ricerca presso

l’archivio storico dell’ordine, conservato all’Archivio di Stato di Padova.

Per mezzo dell’analisi del catalogo manoscritto della biblioteca, redatto nel 1742 e

conservato presso la Biblioteca antica del Seminario maggiore di Padova, ho

tentato di ricostruire la consistenza della collezione originaria e le vicende

connesse alla sua dispersione, verificando l’appartenenza dei volumi ritrovati

nella biblioteca del Seminario e in quella Universitaria di Padova alla biblioteca

dei Carmelitani Scalzi di Padova.

Prima di procedere con la schedatura dei volumi ho proceduto all’analisi della

forma e del contenuto del catalogo, tracciandone la descrizione ed avanzando

ipotesi relativamente alla collocazione originaria dei libri.

Il volume si presenta in formato in folio, con assi lignee e coperta in pelle marrone

decorata ad impressione; questa appare piuttosto rovinata, soprattutto a causa

dell’usura del tempo, in particolare sul dorso e sul taglio di piede.

Sui piatti anteriore e posteriore si nota la presenza di otto borchie, quattro per

piatto; sul piatto anteriore, in corrispondenza del taglio anteriore si trovano due

contrograffe in metallo; le bindelle originariamente connessevi risultano mancanti.

66 Vedi nota n. 39.

(32)

28

Figura 2. Catalogo antico della biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova.

Il frontespizio, il quale rivela che il catalogo è stato redatto nel 1742, è diviso in

due parti: la prima formata da un catalogo per autore, la seconda da un catalogo

per tematiche scientifiche ed artistiche (una sorta di catalogo semantico).

Figura 3. Frontespizio del catalogo antico della biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Padova.

La riflessione che sorge spontanea da una prima analisi del frontespizio riguarda

la data di redazione del catalogo, in particolare il fatto che esso sia stato prodotto

almeno cinquant’anni dopo la presunta epoca di fondazione della biblioteca.

(33)

29

Una prima ipotesi consiste nel fatto che, a mano a mano che i libri venivano

acquisiti dalla biblioteca, gli stessi venivano poi segnati dal bibliotecario che

formava così un catalogo non ordinato.

La redazione del catalogo per come lo vediamo oggi potrebbe derivare dal fatto

che, con l’arrivo di una mole sempre maggiore di libri, si fosse resa necessaria la

produzione di uno strumento più completo, organizzato non solo per autori, ma

anche in modo semantico.

Un’ulteriore ipotesi, invece, troverebbe spiegazione dall’acquisto, ad opera degli

Scalzi, di nuova scaffalatura per la libreria, la quale avrebbe comportato la

necessaria ricollocazione dei volumi.

Venendo ora al catalogo, nella quinta carta si trova il Regestum litterarum iuxta

Armariorum Ordinem, ovvero una griglia nella quale viene schematicamente

esplicitata l’organizzazione delle collezioni negli armadi

67

.

Figura 4. Regestum litterarum iuxta Armariorum Ordinem.

Le segnature contenute negli Armaria sono così riportate:

- Armarium I: A, B, C, D, E, F, G, H, I

- Armarium II: K, L, M, N, O, P, Q, R, S

- Armarium III: T, V, X, Y, Z, AA, BB, CC, DD

67 Vedi fig. 4.

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