INDICE
ABSTRACT...3 INTRODUZIONE...5CAPITOLO I
Lo scenario Europeo
1.1 Premessa...7 1.2 Normativa Europea in tema di sicurezza alimentare...14 1.3 Principi generali: il Regolamento 178/2002/CE...18 1.4 L’autorcontrollo e il sistema HACCP: dalla direttiva 93/43 al regolamento 178...25 1.5 Principio di precauzione...30 1.6 Autotità europea per gli alimenti (EFSA)...32 1.7 L’introduzione del Pacchetto igiene: regolamento 852/2004/ CE...36 1.8 L’allegato I del regolamento 852/2004/CE...44 1.9 I Farmer’s market una nuova realtà...50CAPITOLO II
L’agricoltura in Italia
2.1 Evoluzione dell’agricoltura in Italia...55 2.2 Normativa nazionale e applicazione del reg.852...58
2.3 La figura dell’imprenditore agricolo e il concetto di
rintracciabilità...64
2.4 Interazioni tra gli organi di controllo...73
2.5L’agricoltura nella regione dell’Emilia Romagna...76
2.6 I prodotti fitosanitari e la loro regolamentazione...78
2.7 I farmer’s markets una nuova sfida...84
CAPITOLO III
L’agricoltura in Germania
3.1 La repubblica federale tedesca...893.2 Il federalismo sta cambiando...95
3.3 Lo sviluppo della legislazione alimentare in Germania...97
3.4 Bundesministerium für Ernährung, Landwirtschaft und Verbraucheschutz (BMELV)...104
3.5 Mancata armonizzazione della Lebensmittel-und Bedarfsgegenständegesetz al regolamento 178/2002/CE e la sostituzione con la LFGB...106
3.6 La normativa sull’igiene Lebensmittelhygiene-Verordnung e il nuovo rapporto con i singoli Länder...111
CONCLUSIONI...147
Abstract
La sicurezza degli alimenti è un tema ormai di stretta attualità in relazione alla quotidiana ribalta a cui giungono i sempre più frequenti episodi di sofisticazione, contaminazione, contraffazione di sostanze alimentari. Il tema assume ancor più rilevanza in un ottica di mercato globalizzato nella misura in cui le pur rigide regole di una nazione non consentono di dare certezza sulla salubrità e qualità di produzioni alimentari provenienti da altri paesi. Le economie emergenti, in particolare, hanno fatto registrare un rilevante incremento della produzione e dell’esportazione in assenza di una normativa igienico-sanitaria che sia in linea con quella dei paesi di destinazione dei prodotti. L’esigenza di coordinare le legislazioni degli Stati aderenti all’Unione Europea si fece più forte alla luce delle potenziali conseguenze dell’apertura del Mercato Comune e con l’allargamento ad Est dell’Unione stessa, dove ad una legislazione assolutamente carente si associava una pressoché totale assenza di controlli. I regolamenti comunitari costituenti il cosiddetto “pacchetto igiene” (Regolamenti (CE) 852, 853, 854, 882/2004, e Direttiva 2002/99) sviluppano e precisano le tematiche della sicurezza alimentare nonché le modalità di applicazione del sistema HACCP. Il Regolamento (CE) 852/2004 rappresenta l’asse portante di tutto il “pacchetto igiene” poiché pone la disciplina amministrativa cui devono attenersi tutti gli operatori del settore alimentare e indica negli allegati I e II i cardini tecnici dell’igiene alimentare. Per conseguire l’elevato livello di protezione della vita e della salute umana con particolare riferimento alla sicurezza alimentare, il Reg, 852/2004 prevede la necessità di garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione primaria, stabilendo che la responsabilità primaria è degli operatori del settore alimentare i quali devono garantire, attraverso opportune strategie, il soddisfacimento dei requisiti di igiene previsti dalla normativa.
L’obiettivo delle nuove norme d’igiene è quello di garantire la sicurezza degli alimenti dal luogo di produzione a quello di commercializzazione o esportazione, attraverso una strategia integrata “a catena”. Tutta l'attenzione si focalizza dunque, sulla novità di questo regolamento ovvero l'inclusione della produzione primaria. Dopo una prima analisi generale dell’evoluzione normativa in ambito comunitario, la tesi considera la disciplina in materia di produzione primaria di due Stati dell'Unione europea, quali Italia e Germania per valutare in che modo abbiano attuato le regole ed i principi europei all'interno del proprio Stato. Questo Regolamento non si applica alla produzione primaria per uso domestico privato, nè alla preparazione e conservazione di alimenti per uso domestico privato uguale per il sistema HACCP che non si applica alla produzione primaria, né a quella domestica. Tutto questo viene riportato all'interno di questo operato, il quale dopo aver delineato un breve excursus normativo comunitario, passa a trattare il tema "produzione primaria" nei due Stati europei, Italia e Germania ponendo li a confronto.
Introduzione
Alla base di ciascuno dei grandi problemi globali, ormai tutti riconoscono che vi è l’agricoltura, destinata ad avere un ruolo di rilievo e talvolta determinante per il futuro dell’umanità.
Motivo di tanto interesse e di numerosi approfonditi studi, sono state poi, le numerose crisi alimentari e gli sconcertanti scandali che hanno accresciuto nel consumatore una sempre più forte sfiducia nel sistema e negli stessi organi di controllo.
Le innovazioni tecnologiche e l’incremento demografico, ha creato nei produttori una vera e propria corsa verso una maggiore produzione per poter soddisfare le esigenze di tutti; non si aveva più il limitato autoconsumo familiare, ma bisognava avviare un meccanismo che portasse alimenti anche in quei luoghi lontani dalle campagne di produzione proprio perchè la popolazione in forte crescita si stava spostando verso i grandi centri urbani per poter lavorare.
Tutto questo ha portato spesso a far si che i produttori ricorressero a metodi del tutto non consoni, come l’uso incondizionato di fitofarmaci o altre tecniche per poter incrementare la produzione.
A tutto questo è susseguito una forte sfiducia del consumatore verso le grandi imprese e industrie alimentari, facendo un passo indietro e ritornando a quella che era la vendita diretta dal contadino.
Con questo lavoro ho cercato di mettere a confronto due paesi facendi parte della Comuinità Europea, dei quali sempre più spesso se ne sente parlare per problemi alimentari e scandali attinenti sopratutto a quei prodotti che ancora non hanno subito alcuna trasformazione, ovvero la produzione primaria.
Con il primo capitolo ho cercato di mettere in evidenza, la normativa europea attraverso un breve excursus dei diversi regolamenti che si sono susseguiti nel tempo, ponendo particolare attenzione al regolamento 852/2004 relativo, appunto, alla produzione primaria quale argomento centrale di questo lavoro. Il secondo capitolo affronta le problematiche attinenti all’Italia e l’evoluzione legislativa che ha subito negli anni, soprattutto, dopo l’introduzione del regolamento comunitario 852/2004, al quale ha dovuto sottoporsi. Un piccolo paragrafo infine, è stato dedicato all’Emilia Romagna, regione nella quale si riscontra facilmente il funzionamento dei relativi controlli sulle diverse produzioni primarie; regione ricca di frutteti.
Da ultimo ho affrontato il medesimo tema della produzione primaria, di uno Stato particolarmente colpito da numerosi scandali alimentari, la Germania. Partendo, anche qui da un breve excursus storico della normativa tedesca, ripercorrendo l’evoluzione fino a giungere alla legge nazionale sull’igiene alimentare, LMHV.
Capitolo 1
Lo scenario europeo.
SOMMARIO: 1.1 Premessa; 1.2 Normativa Europea in tema di sicurezza alimentare; 1.3 Principi generali: il Regolamento 178/2002/CE; 1.4 L’autocontrollo e sistema Haccp: dalla direttiva 93/43/CEE al regolamento 178/02; 1.5 Principio di precauzione; 1.6 Autorità Europea per gli Alimenti (EFSA); 1.7 L’introduzione del Pacchetto igiene: regolamento 852/2004CE; 1.8 L’allegato 1 del regolamento; 1.9 I Farmer’s markets, una nuova realtà.
1.1 L’agricoltura rappresenta il principale settore economico mondiale; l’odierno impiego occupazionale per tale attività, infatti, supera l’insieme composto da tutti quelli delle rimanenti occupazioni.
Per quanto concerne il nostro paese, gli ultimi 60 anni sono stati spettatori di cambiamenti economico - sociali che hanno profondamente cambiato il suddetto settore dell’agricoltura.
L’Italia del dopoguerra era un Paese in gran parte rurale, non urbanizzato con una popolazione che traeva il proprio sostentamento dal settore primario agricolo. Ovviamente, l’organizzazione della produzione agricola fino agli anni cinquanta era ben diversa da quella che conosciamo noi oggi; infatti, all’epoca, tale produzione era in minima parte integrata con il mercato ed utilizzata, sostanzialmente, per l’autoconsumo1.
Le logiche geopolitiche dell’immediato dopoguerra, dal piano Marshall all’esorbitante fabbisogno mondiale di metallo ed altre materie prime lavorate, consentirono all’economia italiana di crescere con ritmi sempre più incalzanti.
1 Sull’argomento si veda, Luigi COSTATO, Compedio di diritto alimentare, IV Ed.,
Tale crescita è contraddistinta da carattere dualistico con prevalente concentrazione industriale e condizioni di maggiore produttività agricola e terziaria nel nord del paese.
Uno degli effetti di questa dualità economica furono i flussi migratori, interni e verso l’estero, che hanno caratterizzato in modo decisivo la distribuzione geografica della popolazione, in stretta connessione con l’evoluzione delle vicende economiche2. I termini “sicurezza alimentare” o food security, ad oggi, riassumono il complesso di atti tecnico - normativi deputati alla garanzia per l’uomo, che la copertura alimentare del proprio fabbisogno energetico avvenga con prodotti di condizioni igienico sanitarie adeguate e statificate3.
L’iniziale concezione di mercato comune europeo e il trattato di Roma del 1958, sono stati il frutto della volontà comune degli Stati membri di abbattere gli ostacoli tecnici e legislativi alla libera circolazione di merci, capitali e persone (articolo 96 TCE) senza prendere in considerazione tutti quegli elementi di politica del consumo, iniziatasi a manifestare nel 1961 in occasione della prima
2 Tali spostamenti hanno accentuato il livello di concetrazione demografica nelle città
capoluogo di provincia, a cui si contrapponeva, invece, il progressivo spopolamento delle zone agricole e montane e la conseguente, netta separazione tra il momento della produzione ed il momento del consumo dei beni agroalimentari. Una vera e propria trasformazione nella scala dell’organizzazione della società umana, che pone in relazione comunità tra loro distanti e che oggi è sfociata, a livello planetario e non più regionale, nell’intensificazione di relazioni economico sociali che collegano tra loro realtà distanti, facendo si che produzioni regionali, vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza, e viceversa. Tale fenomeno è meglio noto come “globalizzazione”.
La globalizzazione ha portato, quindi, un ulteriore evoluzione alla trasformazione dei modi di produzione, incentrati sulle imprese multinazionali, tale da integrare le diverse economie nazionali in catene globali sempre più fitte e complesse e da rendere sempre più labile il legame tra i luoghi di produzione e prodotti finali. Tra le altre cose, nascono quindi le prime problematiche attinenti la sicurezza alimentare e l’armonizzazione delle normative di produzione, conservazione e distribuzione tra paesi produttori e consumatori.
3 Sul punto si veda, Luigi COSTATO, Compendio di diritto alimenatre, Ed. IV.,
2007, CEDAM rif. pag 2-3. Si veda anche Marco GOLDONI e Eleonora SIRSI, Regole dell’agricoltura regole del cibo. Produzione agricola, sicurezza alimentare e tutela del consumatore. Atti del Convegno Pisa, 7-8 luglio 2005, Ed. Il Campano, rif. pag. 50-55 a cura di Antonio JANNARELLI, Sicurezza alimentare e disciplina dell’attività agricola.
riunione dei rappresentanti dei consumatori convocata dall’allora Commisario all’Agricoltura Sicco Mansholt.
La politica di tutela del consumatore mosse, tuttavia, i suoi primi passi a partire dal 1973 con l’approvazione, da parte dell’Assemblea consultiva del Consiglio Europeo, della risoluzione n. 543 “Carta europea di protezione dei consumatori”, circa i diritti che gli stati membri avrebbero dovuto riconoscere ai consumatori. Con tale risoluzione i paesi membri avvertirono l’esigenza di favorire il progresso economico e sociale attraverso una più stretta unione che trova forme concrete nella definizione di regole uniformi in materia di consumo.
A partire da essa s’identifica la figura del consumatore nella “persona fisica o morale, alla quale siano venduti beni o servizi per uso privato”4 e se ne provvede alla tutela attraverso l’emanazione di regole uniformi sul controllo delle condizioni generali dei contratti e dei diritti fondamentali:
•Diritto alla sicurezza, che garantisce il risarcimento da danni materiali o economici supportati dal consumatore a seguito di circolazione di beni di consumo difettosi con l’introduzione della responsabilità per il produttore per danni cagionati da beni difettosi o pericolosi;
•Diritto all’informazione e all’educazione, che prevede non solo l’acquisizione da parte del consumatore di alcune informazioni corrette sull’uso e sulla qualità dei prodotti, ma anche di talune indicazioni per l’accertamento dell’identità dei fornitori dei prodotti;
•Diritto alla rappresentanza, che sancisce il diritto a una rappresentanza dei consumatori in quegli organismi che abbiano la facoltà di esprimere direttive a livello politico e economico inerenti alla disciplina del consumatore. La Carta invita, quindi, i governi nazionali a incentivare e riconoscere l’associazionismo di categoria.
In seguito alla carta europea del consumatore del 1973, gli obiettivi Europei d’intervento nel mercato per una regolamentazione della produzione di beni e di servizio che potrebbero causare danni al consumatore si traducono nell’emanazione della risoluzione del consiglio della CEE del 1975 che da vita al primo programma d’azione quinquennale, della Comunità europea dedicato a una “Politica di tutela e d’informazione del consumatore”. Questo programma fissa gli scopi principali5 e pone le basi giuridiche per i futuri interventi degli organi della Comunità, ha riordinando e specificando i cinque obiettivi della politica comunitaria in tema di tutela dei consumatori, e più precisamente:
• Protezione e tutela per la salute e la sicurezza; • Tutela degli interessi economici;
• Predisposizione di strumenti per la consulenza, l’assistenza e il risarcimento dei danni;
• Informazione ed educazione;
• Consultazione dei consumatori e delle organizzazioni, rappresentanza dei loro interessi nell’elaborazione degli atti politici e normativi che li riguardano.
Il secondo programma, naturale continuazione di quello del 1975, consente alla comunità europea di creare condizioni di dialogo tra consumatori, distributori mediante precisi obiettivi di informazione6 ed educazione del consumatore. La tutela legale del consumatore e l’istituzione di un sistema processuale, atto a consentire l’amministrazione di una giustizia accessibile per il consumatore prende vita attraverso il terzo programma del 1984. Nel 1987 viene pubblicato “L’atto unico europeo” ad integrazione e modifica del Trattato di Roma del 1958. L’articolo 100/a, ora 95, del suddetto Atto costituisce il passo fondamentale verso il
5 Appare evidente che questi dettagli erano sostanzialmente già contenuti nella Carta
del consumatore e che pur continuando ad essere punti fondamentali, come per la risoluzione del 1973, aspettano regolamenti di attuazione e dettaglio. Regolamentazioni e dettaglio che non tardano ad arrivare con il secondo programma quinquennale del 1981.
6 Si veda per approfondimenti l’articolo, Gli obblighi informativi a tutela del
riconoscimento giuridico della politica di protezione e tutela della Comunità europea, recitando:
“la commissione, nelle sue proposte...in materia di sanità, sicurezza, protezione dell’ambiente e protezione dei consumatori, si basa su un livello di protezione elevato”.
Sanando in questo modo l’assenza di un corpus di norme speifiche sull’equilibrio tra tutela del pubblico e interessi dell’impresa; tra garanzie a salvaguardia della salute ed iniziativa economica privata, che negli anni ha consentito di trovare spesso soluzioni tendenti a limitare la responsabilità del fabbricante.
Dalla metà degli anni Settanta lo scenario giurisprudenziale cambia, vengono stabiliti oneri per il produttore e ad essere tutelato non è più l’acquirente ma l’utente, ovvero colui che fa uso del prodotto anche senza un contratto d’acquisto. Si estende dunque una tutela dei diritti del consumatore7.
La Direttiva 85/374/CEE “Responsabilità per danni da prodotti difettosi” è il dispositivo che all’interno dell’Unione Europea ha dato un contenuto sostanziale, pur nelle differenti tradizioni giuridiche nazionali, al concetto di “diritto alla salute ed alla sicurezza dei consumatori”. La direttiva obbliga dunque i produttori a immettere sul mercato solo prodotti sicuri, fornendoli delle informazioni necessarie per evitare i rischi inerenti all’utilizzo; e comunque, è solo a partire dagli anni novanta che si può parlare di una vera e propria politica europea dei consumatori, la cui struttura si è da allora tradotta in una serie di Piani di Azione, di durata triennale, aventi lo scopo di incidere realmente sulle politiche degli Stati membri nei settori riguardanti la tutela dei consumatori, per giungere ad un effettivo ravvicinamento delle legislazioni nazionali.
7 Per approfondimento, vedi articolo di Enza Maria Tripodi del 5 novembre 2005,
Consumatore e diritto dei consumatori: linee di evoluzione e codice del consumo. www.altalex.com.
Si veda, Tutela dei consumatori: storia e strumenti e tecniche di attuazione. La vendita dei beni di consumo. Tesi in dottorato in scienza politica ed istituzioni in Europa, XIX ciclo, a cura del candidato Dott. Riccardo Di Martino.
Le politiche della comunità europea riguardanti la tutela del consumatore continuano nel 1989 con il cosidetto primo programma d’azione triennale, varato per il triennio che andava dal 1990 al 1992, prevalentemente orientato al mercato interno, in osservanza del c.d. “principio di sussidiarietà”8, che vede la politica a livello europeo come completamento delle politiche nazionali dei consumatori.
Nello stesso anno viene emanato il Secondo piano d’azione triennale, 1993 - 1995 , il quale riporta quei temi che verranno successivamente tratti nel c.d. Libro Verde dedicato alla giustizia e alla risoluzione giudiziale e stragiudiziale delle controversie in materia di tutela dei consumatori nell’ambito del mercato unico. Questo piano d’azione prese coscienza degli sviluppi della politica dei consumatori definendo due priorità per il futuro: a) l’informazione dei consumatori e; b) il miglioramento della concentrazione con le parti sociali, valorizzando la funzione consultiva delle organizzazioni dei consumatori presso la Commissione.
In questo secondo piano d’azione, viene adottata un direttiva molto importante, la Direttiva (CEE) 93/43 “Sull’igiene dei prodotti alimentari”9, recepita dal nostro paese con il D.lgs. 155/1997 “Attuazione delle direttive (CEE) 93/43 e (CE) 96/3 concernenti l’igiene dei prodotti alimentari”; tale direttiva stabilisce le modalità di verifica dell’osservanza di tali norme (articolo 1); viene introdotto il metodo Haccp (Hazard Analysis Critical Control Point) che identifica un metodo di autocontrollo igienico, al fine di analizzare in ogni fase della produzione i rischi che possono influenzare la sicurezza degli alimenti, attuando in questo modo misure preventive per tutelare la salute del consumatore.
8 Articolo 3b del Trattato di Maastricht: “La Comunità agisce nei limiti delle
competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente Trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono essere realizzati a livello comunitario”.
Questa direttiva è stata inglobata nel c.d. Pacchetto Igiene (Reg. 852/2004, relativo all’igiene dei prodotti alimentari; Reg. 853/2004, sull’igiene dei prodotti di origine animale; Reg. 882/2004 e 852/2004 sui controlli ufficiali, ed infine il Reg. 183/05/CE sui requisiti igiene dei mangimi) che fornisce un quadro preciso sulle tematiche della sicurezza alimentare e sulle modalità di applicazione del sistema Haccp.
Il terzo piano d’azione triennale per il periodo 1996 - 1998, che prese avvio nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione e con l’onorevole Emma Bonino in veste di Commissario Europeo alle politiche dei consumatori, estrapola dal contesto del mercato unico la tutela del consumatore, diventando così politica autonoma e indipendente.
La priorità è quella d’informare ed educare i consumatori, in modo da metterli in grado di sfruttare appieno i cambiamenti tecnologici della società multimediale e l’esigenza di garantire agli utenti un’informazione indipendente nei confronti dei servizi finanziari. Dopo il piano d’azione del 1999, prende avvio la formulazione di un successivo Piano di Azione improntato sulla necessità di adottare un approccio più strategico alla politica europea del consumatore; l’importanza di un’effettiva integrazione del consumatore in tutte le maggiori politiche dell’Unione.
Il 7 maggio del 2002 la Commissione adotta la c.d. “Strategia per la politica del consumatore 2002-2006,” necessaria dopo l’allargamento10 a dieci nuovi Paesi e con l’imperativo di unire la difesa dei consumatori alle logiche del nuovo, allargato Mercato interno. Gli obiettivi principali riguardano un elevato livello di protezione ed un effettivo rafforzamento delle regole di protezione del consumatore, che sfociano nella strategia adottata dalla commissione europea avente il titolo di “Migliorare la salute, la sicurezza e la fiducia dei consumatori: una strategia in materia di salute e tutela dei consumatori”.
10 Sul punto per approfondire si veda, L’agricoltura alla svolta. Internazionale,
comunità europee e unione europea., a cura Gruppo di Bruges, Ed. Franco Angeli, 2003, pag. 40-45.
1.2 La Comunità Europea ha maturato una “autocoscienza” delle proprie politiche sulla sicurezza degli alimenti dapprima senza un disegno complessivo e predefinito e poi tentando, in tempi più recenti, di dare organicità al proprio sistema. Paolo Borghi ha definito i primi decenni delle politiche alimentari della Comunità, come una “fase alluvionale”11 caratterizzata da una serie di interventi normativi, spesso privi di finalità propriamente alimentari ma con incidenza sulla produzione e il commercio di tali prodotti. Il progressivo coinvolgimento dei produttori agricoli nella struttura della sicurezza alimentare, nasce dal verificarsi di eventi che hanno riportato l’attenzione proprio delle prime fasi della produzione. Di fatto, negli anni novanta ci sono state vere e proprie crisi alimentari come la ESB12 (encefalopatia spongiforme bovina) contaminazioni da diossine negli alimenti13 e diverse zoonosi; proprio il susseguirsi di questi episodi ha accelerato la presa di coscienza di tutta la problematica della sicurezza alimentare e degli strumenti necessari per poterla garantire, di fatto l’Unione Europea ha adottato strategie per fronteggiare rischi possibili.
11 Vedi, Le regole dell’agricoltura regole del cibo. Produzione agricola, sicurezza
alimentare e tutela del consumatore. A cura di Mario GOLDONI e Eleonora SIRSI, Ed Il Campano, 2005; capitolo IV a cura di Paolo BORGHI, Le politiche comunitarie per la sicurezza alimenatare, Rif. pag. 83.
12 Primo caso identificato nel Regno Unito nel 1986; la causa dell’insorgenza della
malattia fu imputata all’uso delle farine animali come supplemento proteico nell’alimentazione dei bovini. In Italia, per contrastare il fenomeno vennero presi diversi provvedimenti normativi: con il Decreto del Presidente della Repubblica il 19 ottobre 2000 n.437 di istituzione della C.D. “Anagrafe bovina” e con la legge 9 marzo 2001 n.49, che dispone per la distruzione del materiale specifico a rischio per encefalopatie spongiforme bovine e delle proteine animali ad alto rischio, e con l’etichettatura delle carni bovine che consente la tracciabilità e la trasparenza delle informazioni ai consumatori. Anche il Ministero della Sanità intervenne con l’ordinanza di marzo 2001 - con cui si vieta la vendita delle parti del bovino che interessano la colonna vertebrale e i gangli, il cervello e le frattaglie, stabilendo inoltre l’etichettature delle carni bovine.
13 Caso dei polli alla diossina 1999 (Belgio); caso Campania del 2007 dove furono
trovati nei terreni dosi di diossine e policlorobifenil a causa dei problemi relativi alla gestione dei rifiuti.
Il concetto di “sicurezza alimentare” viene dunque sempre più in evidenza e viene correlato alla definizione, precedentemente annunciata di “food safety”14 e “food security”.
Nell’epoca premoderna la food safety ha avuto un rilievo minore ma non trascurabile, rispetto alla food security; questo era dato dal fatto che in quell’epoca, la maggior preoccupazione era vincere la fame in senso stretto per poi, in un secondo momento, assicurare il pieno soddisfacimento della domanda alimentare senza però tralasciare l’aspetto qualitativo dell’alimento.
Il legame tra food safety e food security continua a persistere ancora oggi sulla base della relazione tra la problematica della qualità e quantità degli alimenti. Gli attuali problemi sanitari in materia alimentare derivano sempre dall’esigenza di aumentare i rendimenti produttivi attraverso espedienti quali il ricorso ad ormoni della crescita ovvero all’uso di farine di origine animale per l’ingrasso del bestiame. I termini food safety e food security sono appartenuti a due realtà sociali ed economiche diverse; la food security ha come punto di riferimento il settore primario dell’economia cioè l’agricoltura quindi rappresentava il cuore delle politiche agricole, mentre la food safety assume rilevanza nelle fasi successive alla produzione agricola di base.
Dal precedente excursus legislativo è facile notare che fra i primi anni sessanta fino a metà degli anni 80, l’aspetto igienico delle produzioni alimentari non godeva di un’ampia disciplina comunitaria in quanto il legislatore comunitario, considerando la materia espressione dell’attività di tutela della salute dei cittadini riservata ai singoli Stati membri, si era disinteressato dell’argomento, dedicandosi ad un intensa produzione normativa relativa agli aspetti tecnici delle produzioni alimentari che spesso erano fonte di ostacoli alla libera circolazione delle derrate alimentari per la diversità delle disposizioni nazionali in materia.
14 Definizione: “A suitable product which when consumed orally either by a human or
an animal does not cause healthrisk to consumer.” Sicurezza e salute del cibo nella società del rischio. Centro studi sviluppo relazioni per la sicurezza. Sito intenet : www.tt.security.net/.../sicurezza-e-salute.
Tale situazione ha trovato un efficace soluzione mediante l’intervento della Corte di Giustizia nel 1979 che ha introdotto, con la celeberrima Sentenza Cassis de Dijon15, il “principio del mutuo riconoscimento” in base al quale un prodotto legalmente fabbricato nel paese di origine può liberamente essere commercializzato in tutti i Paesi comunitari anche se non conforme a regole nazionali a meno di imprenscindibili esigenze imperative, come la tutela della salute dei consumatori16.
Tutto questo non fece che accentuare quegli ostacoli alla libera circolazione dei prodotti alimentari, che, comunque già esistevano. Le difficoltà incontrate dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia sono molteplici, bisognava ricorrere dunque ad un intervento normativo del legislatore comunitario che cercasse di riordinare la materia dell’igiene e della salubrità degli alimenti. La questione è oggetto di riesame nei primi anni novanta; vengono elaborate una serie di direttive verticale di settore e una direttiva orizzontale ovvero la (CEE) 93/43 dedicata specificatamente all’igiene delle produzioni alimentari. Queste direttive definiscono un’impronta ferma sull’autocontrollo aziendale a garanzia della salubrità del processo, con l’anticipazione alla fase della produzione dei controlli e dei sistemi di sicurezza. Gli operatori vengono direttamente chiamati ad una responsabilità diretta e prioritaria nei confronti dell’igiene degli alimenti prodotti attraverso l’attuazione di due distinti fattori di prevenzione:
15 Il principio Cassis de Dijon è una delle colonne portanti del mercato interno
europeo e risale a una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) del 1979. All’epoca l’amministrazione federale tedesca del monopolio delle acqueviti (la Bundesmonopolverwaltung für Branntweine) aveva proibito l’importazione di un liquore cassis francese (cassis di Digione), poiché il tenore di alcol non corrispondeva alle prescrizioni tedesche. Si è giunti a una causa legale, vinta dagli importatori. La CGCE affermò che una limitazione del libero scambio delle merci fosse giustificata solo in casi eccezionali motivati, in particolare per la tutela della salute pubblica, la protezione dei consumatori o in presenza di un interesse pubblico generale. Tale condizione non era soddisfatta dal tenore di alcol dei liquori. Per questa ragione il commercio del prodotto ha dovuto essere autorizzato in Germania senza ulteriori ostacoli. Sito internet www.bag.admin.ch/.../index.html.
16 Si veda sul punto, Stefano MASINI, Corso di diritto alimentare, Ed. II, Giuffrè
Editore - Milano, 2001. Capitolo 2 “Linee di amonizzazione delle legislazioni nella Unione Europea e formazione del diritto alimentare” par. 4, pag. 43.
l’adozione di un sistema scientifico di analisi dei rischi e monitoraggio dei sette punti critici del processo, in base al sistema Haccp e l’adozione di una serie di misure di corretta prassi igienica specificate nell’allegato 1 della direttiva (CEE) 93/4317.
Nel 1997 viene pubblicato il Libro Verde18, “Principi generali della legislazione alimentare nell’unione europea” quale primo progetto di disciplina normativa sull’evoluzione del diritto alimentare, rivolto alla tutela dei consumatori e alla necessità di garantire un piano di sicurezza alimentare che coinvolga tutti gli Stati Membri dell’Unione europea. Quanto riportato nel Libro verde è stato poi rivisto e modificato dal successivo Libro Bianco il quale è stato poi la base per successivi regolamenti comunitari come il 178/2002 “General Food Law” e per il Pacchetto Igiene.19
Il Libro Bianco del 200020, formula proposte atte a trasformare la politica alimentare dell’Unione Europea in uno strumento dinamico, coerente e completo per assicurare un elevato livello di salute umana e di tutela dei consumatori. Le oltre ottanta proposte del libro bianco operano in due diverse direzioni; la prima, quella istituzionale, che propone la riforma del sistema di consulenza scientifica vigente e la creazione di nuovi organismi in materia d’igiene; la seconda, quella normativa, che avanza proposte volta a dare coerenza organica e sistematica alla legislazione alimentare vigente.
17 Con questa direttiva però il legislatore ha assicurato l’igienicità degli alimenti
sottoposti a trasformazione industriale, quindi solo per la produzione secondaria, garantendo il superamento delle barriere tecniche alla libera circolazione delle derrate alimentari.
18 Il cosidetto Libro Verde, edito dalla Commissione nei mesi seguenti la
promulgazione del “Novel Foods,” ha l’obiettivo di compiere una disamina dell’efficacia delle leggi europee in un ottica prudenziale. Da ciò, però, ne è emersa un’eccessiva frammentazione e complessità, una disomogenea ripartizione delle competenze tra gli organi comunitari e nazionali, nonché un imperfetto equilibrio tra la tutela della salute e la competitività industriale e commerciale dell’Unione.
19 Si veda il sito internet del Ministero della Salute al tema, L’Italia e la strategia
europea per la sicurezza alimentare. Sito www.salute.gov.it
20 Sito intenet ec.europa.eu/dgs/health.../pub06_it. Libro bianco sulla sicurezza
Principio ispiratore del Libro Bianco è la politica della sicurezza alimentare, che deve basarsi su un approccio completo e integrato, che considera l’intera catena alimentare21. In tal modo la politica “dai campi alla tavola” che ricopre tutti i settori della catena alimentare, compresa la produzione dei mangimi, la produzione primaria, la lavorazione degli alimenti, l’immagazzinamento, il trasporto e la vendita al dettaglio verrà attuata, sistematicamente, in modo coerente.
Proprio in tal senso si parla di “filiera22” ovvero, quel percorso che un alimento fa prima di arrivare ad essere prodotto finito. Proprio per questo, il prodotto agricolo e il primo trasformato sono destinati a far parte di una serie molteplice di prodotti finiti, mentre il cibo finale contiene molte materie prime di provenienza diversa.
Come già accennato il Libro bianco è stato la base del regolamento (CE) 178/2002, regolamento quest’ultimo di fondamentale importanza proprio perché rappresenta il primo momento della costruzione della nuova politica di sicurezza alimentare.
1.3 Il regolamento 178/2002 del Parlamento e del Consiglio, quale fonte del diritto alimentare, stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per gli alimenti e fissa le procedure nel campo della sicurezza alimentare. Questo regolamento vuole garantire un elevato livello di tutela
21 Il ruolo di tutti i partecipanti alla catena alimentare deve essere chiaramente ben
definita: i produttori di mangimi, gli agricoltori e gli operatori dell’alimentazione hanno la responsabilità primaria per quanto concerne la sicurezza degli alimenti; le autorità competenti hanno compiti di monitoraggio e devono far rispettare tali responsabilità, ponendo in atto sistemi nazionali di controlli e di sorveglianza; la Commissione si concentra sulla valutazione delle capacità che hanno le autorità competenti di porre in atto tali sistemi per il tramite di audit e ispezioni a livello nazionale; i consumatori sono responsabili dell’adeguata conservazione, manipolazione e cottura degli alimenti.
22 Vedi sito internet www.ilfattoalimentare.it/sicurezza-controlli Testo Sicurezza e
controlli ufficiali nella filiera agroalimentare, l’ambiziosa riforma proposta dalla Commissione europea.
della vita e della salute umana23. La libera circolazione degli alimenti e dei mangimi all’interno della comunità avviene ottenendo requisiti di sicurezza degli alimenti e dei mangimi che non presentino differenze significative da un Stato membro all’altro. Nell’adozione di misure in campo alimentare da parte degli Stati membri, tali differenze possono ostacolare la libera circolazione degli alimenti, creando concorrenze non omogenee per avere, quindi, un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato interno.
L’obiettivo, quindi, del regolamento è il riavvicinamento dei diversi principi, concetti e procedure in modo da costruire una base comune per le disposizioni adottate in materia di alimenti e mangimi dagli Stati a livello comunitario.
La sicurezza degli alimenti viene garantita, considerando tutti gli aspetti della catena alimentare a partire dalla produzione primaria inclusa, passando per la produzione di mangimi fino alla vendita o erogazione di alimenti al consumatore. Si disciplinano tutte le fasi, dalla produzione alla trasformazione, passando per la distribuzione di alimenti e mangimi con l’esclusione della produzione primaria per uso domestico e personale.
Il regolamento del 2002 ha il fine di garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana dei consumatori, il quale identifica come fondamento del sistema: l’analisi del rischio24 mediante l’adozione dei principi Haccp (valutazione - gestione -
23 Recita l’articolo 1 “il presente regolamento costituisce la base per garantire un livello
elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, tenendo conto in particolare della diversità dell’offerta di alimenti compresi i prodotti tradizionali, garantendo al contempo l’efficace funzionamento del mercato interno. Esso stabilisce principi comuni e competenze, i mezzi per assicurare un solido fondamento scientifico, procedure e meccanismi organizzativi efficienti a sostegno dell’attività decisionale nel campo della sicurezza degli alimenti e dei mangimi”. Al terzo comma si definisce l’ambito di applicazione ovvero “il regolamento disciplina tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti e dei mangimi. Esso non si applica alla produzione prima per uso domestico privato o alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumi domestico privato”.
24 Analisi del rischio definito all’articolo 3 del medesimo regolamento come quel
“processo costutuito da tre componenti interconnesse: valutazione gestione e comunicazione del rischio”.
comunicazione); la responsabilizzazione primaria degli operatori; ed infine la rintracciabilità25.
Viene vietata l’immissione sul mercato di alimenti non sicuri, stabilendo le basi per l’applicazione del principio di precauzione, preoccupandosi inoltre che l’utilizzatore del mangime o alimento sia correttamente informato sull’origine e tipologia dei prodotti, facendo si che l’Autorità Sanitaria di controllo abbia la possibilità di avere le informazioni necessarie in caso di eventuale rischio sanitario al fine di permettere l’attuazione delle procedure di ritiro (quando il prodotto non è ancora nelle mani del consumatore finale) ed eventualmente il richiamo (quando il prodotto è nelle mani dell’utilizzatore finale) del mangime o alimento.
La “rintracciabilità” è lo strumento atto a rendere possibili tali obiettivi, ed è la principale novità introdotta dal Regolamento 178/2002 al suo articolo 18. Gli obblighi che vengono imposti dal regolamento alle imprese alimentari e mangimistiche in merito all’adozione di sistemi e procedure finalizzate alla rintracciabilità degli alimenti e mangimi, lasciano al singolo operatore, la scelta degli strumenti e le modalità per il raggiungimento di tali obiettivi. In tema di documentazione26, il sistema di rintracciabilità deve risultare il meno oneroso possibile per l’azienda in termini di costi; sostanzialmente il sistema di rintracciabilità deve soddisfare due requisiti: documentazione e i riscontri.
Il primo è soddisfatto attraverso la descrizione puntuale del processo produttivo e dei sistemi di controllo sul processo stesso; il secondo attraverso la registrazione puntuale, su apposita modulistica delle attività effettuate, degli esiti e delle responsabilità. Nel caso in cui un operatore del settore alimentare ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato,
25 Si veda sul punto, Luigi COSTATO, Compendio di diritto alimentare., Ed. IV,
CEDAM. Capitolo 1 “I prodotti alimentari fra diritto interno, diritto comunitario e diritto dei trattati multilaterali,” paragrafo 15 da pag. 94.
26 In ogni caso devono sempre tenere a disposizione del personale delle Aziende
sanitarie pubbliche di controllo, tutte le informazioni e documentazioni di cui dispongono contenenti: nominativo del fornitore, natura dei beni ricevuti (secondo comma), l’indicazione per individuazione delle imprese che hanno fornito i propri prodotti (terzo comma) insieme a ogni altra informazione richiesta.
prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza alimentare e l’alimento non si trova più sotto il suo controllo; esso deve attivare procedure di ritiro informandone le autorità27. A tal proposito l’articolo 14 del regolamento 178/2002 detta i requisiti di sicurezza degli alimenti sulla falsa riga dell’articolo 2 della direttiva (CE) 2001/95 sulla sicurezza generale dei prodotti. Tale articolo stabilisce che per determinare la rischiosità di un prodotto alimentare si debba far riferimento alle sue condizioni di uso normale ed alle indicazioni e avvertenze messe a disposizione del consumatore, non solo tramite le etichette e le confezioni dei prodotti28, ma anche attraverso altre fonti d’informazione normalmente accessibili al consumatore. L’articolo sancisce, inoltre, che gli alimenti a rischio, considerati dannosi per la salute umana e inadatti al consumo umano, non possono essere immessi sul mercato e dunque per determinare se un alimento sia a rischio, occorre considerare come poc’anzi riportato, le condizioni d’uso normali dell’alimento da parte del consumatore, nonchè le informazioni messe a disposizione del consumatore stesso.
Per determinare se, invece un alimento sia “dannoso,” bisogna vedere non soltanto i possibili effetti immediati e/o a breve termine e/o a lungo termine dell’alimento sulla salute umana, ma anche i probabili effetti dannosi cumulativi di un alimento29.
Quando si parla di alimento “inadatto” (quinto comma) bisogna considerare, se l’alimento sia inaccettabile per il consumo umano
27 Vedi Articolo 19 regolamento 178/2002 “obblighi relativi agli alimenti: operatori del
settore alimentare.”
28 Si veda per approffondimento, Stefano MASINI, Corso di diritto alimentare, Ed.
II, Giuffrè Editore. Capitolo 7 “Norme in materia di etichettatura dei prodotti alimentari” pag. 179.
29 Vengono così affrontati i rischi tipici che possono derivare da un prodotto
alimentare, sintomatici dell’esistenza di un difetto, quali gli effetti tossici cumulativi causati da un suo consumo prolungato, oltre ai pregiudizi che possono colpire solo una determinata categoria di consumatori particolarmente sensibile. Questi ultimi si riferiscono evidentemente al fenomeno delle allergie e delle intolleranze alimentari, che possono provocare conseguenze anche gravi alla salute delle persone che ne sono affette, imponendo un obbligo d’informazione particolarmente stringente in capo al produttore, con riguardo alla composizione degli alimenti.
secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuto da materiale esterno o altri motivi, o inseguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione30.
Quando questi fenomeni, si verificano successivamente alla fase della produzione, non comportano una responsabilità del produttore salvo che non si generano quando l’alimento è ancora nella sfera di vigilanza, per non essere ancora stato commercializzato, o in relazione ad un difetto di informazioni che dovevano essere da esso fornite per la corretta conservazione del prodotto. Il regolamento 178/2002 però, non prescrive agli operatori la c.d. “rintracciabilità interna” la ricostruzione cioè del percorso seguito all’interno dello stabilimento da ogni materia prima e sostanza utilizzata nella trasformazione con l’abbinamento delle informazioni relative alle singole forniture di materie prime con quelle dei singoli lotti di prodotto finito, integrate da quelle inerenti il controllo del processo produttivo, in modo da ripercorrere tutta la “storia del prodotto”: materie prime e sostanze utilizzate; fasi di stoccaggio, trasformazione, confezionamento, deposito, trasporto; controlli eseguiti.
Il sistema previsto dal regolamento è quello definito “a cascata” (registrazione, da parte di ogni operatore della filiera, del c.d “flusso materiali”, in entrata e uscita), non essendo previsto il c.d “sistema - passaporto” (registrazione di ogni passaggio seguito dal singolo prodotto).
Anche se non obbligatoria la rintracciabilità interna potrebbe essere adottata secondo valutazioni di opportunità dell’operatore, in quanto oltre a costituire utile strumento per ottimizzare la produzione, può contribuire al contenimento dei costi che potrebbero derivare, in situazioni critiche, dall’attivazione di procedure di richiamo dei prodotti.
Per quanto riguarda il tema di attribuzione della responsabilità, il regolamento ha accentuato l’estensione del concetto di “responsabilità” alla produzione primaria; di fatti viene introdotto esplicitamente il concetto che la responsabilità principale per la
sicurezza degli alimenti, incombe sull’operatore del settore alimentare31.
L’articolo 1732 del regolamento impone agli operatori economici, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione, che l’alimento e/o mangime soddisfi i requisiti della legislazione sanitaria. Gli operatori economici, per le attività di propria pertinenza, devono verificare che siano soddisfatti tutti i requisiti previsti dalla legislazione alimentare. Tutto questo viene spiegato chiaramente al considerando n. 30 del medesimo regolamento: “Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale, della sicurezza degli alimenti”.
Il provvedimento comunitario punta chiaramente a perseguire obiettivi rilevanti e di interesse comune, quali la tutela della salute dei consumatori, conoscenza del contenuto dei cibi, definizione di regole di prevenzione dei rischi e dei danni nella produzione, commercializzazione dei prodotti alimentari.
31 OSA: “persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle
disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo.”
32 Articolo 17 “obblighi” del regolamento 178/2002/CE :” 1. Spetta agli operatori del
settore alimenatre e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte. 2. Gli stati membri applicano la legislazione alimentare e controllano e verificano il rispetto delle pertinenti disposizioni della medesima da parte degli opeartori del settore alimentare e dei mangimi, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e della distribuzione. A tal fine essi organizzazno un sistema ufficiale di controllo e altre attività adatte alle circostanze, tra cui la comunicazione ai cittadini in materia di sicurezza e di rischio degli alimenti e dei mangimi, la sorveglianza della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e le altre attività di controllo che abbraccino tutte le fasi della produzione, della trasformazione e distribuzione.
Gli stati membri determinano inoltre le misure e sanzioni da applicare in caso di violazione della legilsazione sugli alimenti e sui mangimi. Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissausive”.
Dalla lettura degli articoli 17 e 21 del regolamento si evince la differenza tra la responsabilità d’impresa derivata dall’inosservanza delle norme concernenti il sistema di autocontrollo e la responsabilità per danni arrecati a terzi nell’esercizio dell’impresa ovvero per l’immissione in commercio di prodotti alimentari difettosi. Il primo tipo di responsabilità dipende: dalla carenza di analisi dei pericoli e dei punti critici del sistema produttivo e distributivo del prodotto alimentare (HACCP); dalle norme statuenti l’obbligo di garantirne la rintracciabilità sì da rendere possibile l’individuazione della fase della catena produttiva e distributiva nella quale dovesse verificarsi il difetto, qualunque fosse l’incidenza temporale, precedente, ovvero successiva alla produzione e alla distribuzione, presidiata dall’obbligo di provvedere al ritiro dell’alimento da mercato.
Il secondo tipo di responsabilità, ovvero per danni arrecati a terzi a causa dell’immissione in commercio di prodotti difettosi include i disposti delle direttive comunitarie (CEE) n. 374/85 e (CE) n. 34/1999, i prodotti agricoli, la produzione animale allevata, pescata e cacciata, sebbene non abbiano subito trasformazioni33. Al terzo capo del regolamento (CE) 178/2002 abbiamo il tema relativo alla “Autorità europea per la sicurezza alimentare34” che offre consulenza scientifica e assistenza scientifica per la normativa e le politiche della Comunità in tutti i campi che hanno un incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi; essa fornisce informazioni indipendenti su tutte le materie che rientrano in detti campi e comunica i rischi (articolo 22). I compiti dell’autorità vengono disciplinati all’articolo 23 del regolamento che la regola come organo consultivo, che non possiede alcun potere decisionale; le sue due funzioni - scientifica e informativa - la
33 Si tratta dei beni agricoli primari che, esclusi dall’ambito dei prodotti individuati
dalla direttiva n. 373/85/CEE, qualora non avessero subito trasformazioni in forza di trattamento tale da modificarne le caratteristiche anche mediante l’aggiunta di sostanze, vi sono stati ricompresi dalla direttiva n. 34/1999/CE.
34 In generale, l’autorità, offre consulenza scientifica e assistenza scientifica e tecnica
sulla nutrizione umana, formula pareri scientifici su altre questioni, inerenti la salute e benessere degli animali e vegetali, su mangimi riconducibili a organismi geneticamente modificati.
rendono comunque in grado di condizionare le decisioni politiche in caso di possibile gestione del rischio35.
1.4 Il sistema H.A.C.C.P. è stato inizialmente sviluppato nei primi anni sessanta nell’ambito dei programmi spaziali americani. La NASA aveva la necessità di fornire agli astronauti alimenti esenti da pericoli di tossinfezione alimentare. I metodi di controllo della qualità allora in vigore, basati su piani statistici di campionamento, non erano in grado assicurare un rischio sufficientemente basso. Per questo, la Pillsbury Company (l’azienda che produceva il cibo per i programmi spaziali) ed i U.S. Army Natick Research Laboratories svilupparono uno strumento d i c o n t r o l l o d e i p r o c e s s i c h e p o t e s s e f o r n i r e u n approvvigionamento sicuro del cibo e come verifica dell'intera catena produttiva alimentare nei centri della NASA, in modo da garantire agli astronauti alimenti esenti da contaminazioni.
Il concetto di Haccp, sviluppato allora, era basato sul principio della prevenzione, e faceva uso di un metodo basato su 3 principi essenziali:
• l’identificazione dei pericoli;
• la determinazione dei punti critici di controllo di ogni pericolo identificato;
• la preparazione di un sistema di monitoraggio dei CCP individuati;
La Pillsbury presentò tale metodologia nel 1971 in USA, alla Conferenza nazionale sulla sicurezza alimentare. Successivamente, le principali aziende, iniziarono ad adottare il nuovo sistema anche
35 Gestione del rischio: scelte politiche con lo scopo di individuare le forme e i modi di
intervento; tali misure dovranno essere in condizione di conciliare la protezione della salute dei consumatori e la libera circolazione delle merci. Recita l’articolo 3 “consiste nell’esaminare alternative d’intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del rischio e di altri fattori pertinenti e, se necessario,compiendo adeguate scelte di prevenzione e controllo”.
per la preparazione di alimenti non destinati ai voli spaziali, come ad esempio quelle produttrici di cibo in scatola. Nel 1985, il National Research Council (NRC) dell’Accademia Nazionale delle Scienze USA pubblicò una serie di articoli, che raccomandavano l’adozione della metodologia H.A.C.C.P in tutte le aziende alimentari36. A seguito delle raccomandazioni del NRC, negli Stati Uniti fu costituito il NACMCF (National Advisory Committee on the Microbiological Criteria for Foods) che sviluppò ulteriormente la metodologia Haccp, portando i principi da 3 a 7. Successivamente, verificata l’efficace del sistema, tutti i maggiori organismi internazionali per la salute dell’uomo stabilirono che il sistema HACCP è il migliore sistema di controllo disponibile al giorno d'oggi. Verso la fine degli anni 80, la Commissione Codex Alimentarius iniziò il processo che portò allo sviluppo di una norma internazionale sull’HACCP; e nel 1993 il Codex pubblicò le “Guidelines for the Application of the HACCP System”. Stesso anno in cui il Consiglio della Comunità europea emana la direttiva (CEE) 93/43 del 14 giugno 1993, sull'igiene dei prodotti alimentari e recepita in Italia con il Decreto legislativo 26 maggio 1997 n.155. Nello sviluppo della Sicurezza Alimentare, l’HACCP oggi gioca un ruolo importante e si afferma così come un nuovo metodo scientifico ed oggettivo per la prevenzione e il controllo dei pericoli connessi alla produzione di alimenti, pertanto viene applicato anche alle Aziende del settore alimentare. Con la Direttiva (CEE) 93/43, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 155/97, è entrato in vigore l’obbligo per le aziende alimentari di attivare un sistema di autocontrollo, cioè un sistema di attuazione delle misure di prevenzione dei rischi igienico sanitari. Tale sistema deve avvalersi di un metodo di analisi utile a identificare i rischi per la salute del consumatore e a impegnare le procedure di prevenzione più efficaci, individuato dalla norma stessa nel sistema HACCP. Il sistema Haccp è basato sull’applicazione di sette principi:
36 Si veda Luigi COSTATO, Compedio di diritto alimentare, Ed. IV, CEDAM.
1. analisi dei pericoli associati a ogni fase del processo; 2. individuazione dei CCP (Critical control points); 3. determinazione dei limiti critici di controllo; 4. determinazione delle attività di monitoraggio; 5. determinazione delle azioni correttive;
6. determinazione delle procedure di verifica;
7. determinazione del sistema di gestione della documentazione. Per il d.lgs 155/97 l’attivazione del sistema di autocontrollo è fondamentale, e dev’essere accompagnato da un sistema gestionale efficace e da una forte motivazione dei responsabili. Tale sistema dev’essere descritto in un manuale aziendale a uso degli operatori che lo applicano e degli organismi ispettivi che ne devono verificare l’applicazione37. Con l’introduzione da parte del decreto legislativo 155/97 del concetto di “autocontrollo” si è avuto un passaggio epocale: dall’impostazione di requisiti rigidi e da una pratica, essenzialmente sanzionatoria in base allo schema “command and control” si è passati a un sistema gestionale basato sulla responsabilizzazione dell’operatore del settore alimentare38. Il sistema H.A.C.C.P. ha modificato la concezione di controllo degli alimenti, un tempo, basata sull’analisi del prodotto finito (metodo “reattivo”), incentrandolo sull’individuazione, nell’ambito di tutta la filiera alimentare, delle possibili fonti di contaminazione e la messa a punto di misure preventive e correttive (metodo “proattivo”). Così facendo l’assicurazione degli aspetti igienico - sanitari di un alimento non derivano più soltanto da un controllo sul prodotto in fase di vendita, saltuario e limitato dalla campionatura effettuata nell’ambito delle ispezioni degli organi di controllo, ma sono correlati con una vigilanza continua (monitoraggio) sul processo produttivo. La finalità del sistema
37 SIAN -Servizio Igiene Alimenti Nutrizione - Sistemi di Autocontrollo.
www.sian.it/
38 In un primo momento tutto questo ha portato a confusione soprattutto tra gli
ispettori sanitari e gli operatori, ma alla fine questo sistema ha inciso profondamente fino a far cambiare definitivamente le vecchie abitudini aziendali.
"autocontrollo" non è più quella d’intervenire sulle non conformità rilevate, ma quella di prevenirne le cause d’insorgenza in modo da minimizzare i rischi sanitari. Le crisi alimentari degli anni novanta hanno messo a dura prova il sistema Haccp, le quali procedure sembravano insufficienti a garantire la sicurezza dei prodotti alimentari ai fini della prevenzione delle cosiddette malattie a trasmissione alimentare (mta). Con l’applicazione nel 2006 del regolamento 852/2004, è stata ampliata l’applicazione di una regola, resa obbligatoria anche alle aziende che producono mangimi per gli animali destinati alla produzione alimentare (produzione di materie prime, miscele, additivi, vendita, somministrazione). In base, all’ultimo regolamento viene riconosciuto lo strumento Haccp come un aiuto per gli operatori del settore alimentare, per conseguire un livello più elevato di sicurezza alimentare attraverso la collaborazione e l’impegno dei dipendenti, da non considerarsi però come sostitutivo dei controlli ufficiali. Tale procedura però è obbligatoria solo per gli operatori del settore alimentare che intervengono nelle fasi successive alla produzione, trasformazione, distribuzione di alimenti successive alla produzione primaria; difatti, in base al considerando n. 11, il protocollo dell’HACCP non è ancora praticabile su base generalizzata ovvero per la produzione primaria. Il legislatore ritiene opportuno che gli “Stati membri incoraggino gli operatori a livello della produzione primaria ad applicare tali principi per quanto possibile”39anche predisponendo Manuali di corretta prassi operativa. L’imprenditore agricolo in base all’articolo 5 del regolamento (CE) 852/2004 dovrà in ogni caso: a) identificare ogni pericolo che dovrà essere pervenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili; b) identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rileva essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili; c) stabilire nei punti critici di controllo i limiti critici che differenziano l’accettabilità e inaccettabilità ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi identificati; d) stabilire ed
applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo; f) stabilire procedure, da applicare regolarmente, per verificare l’effettivo funzionamento delle misure di cui alle lettere da a) ad e); g) predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare al fine di dimostrare, l’effettiva applicazione delle misure di cui alle lettere da a) ad f). Nello specificare ciò, il regolamento 852/2004 denota una certa flessibilità nell’impiego del sistema Haccp; questo è il punto più innovativo del regolamento (CE) 852/2004, che ha il fine di permettere l’utilizzo di metodi tradizionali in relazione ai requisiti strutturali degli stabilimenti e senza compromettere gli obiettivi sull’igiene. Certe aziende agroalimentari italiane di fatto, continuano a produrre, conservare e stagionare secondo gli usi consolidati da tempo, in modo da mantenere quei prodotti “tradizionali” con le singole caratteristiche organolettiche delle nostre specialità gastronomiche40. A livello nazionale, è stato istituito un Comitato con il compito di redigere una guida tecnica per la catalogazione, di ogni singola regione italiana, di produzioni e beni agroalimentari a carattere di tipicità, con caratteristiche tradizionali. Lo stesso regolamento 852/2004, nelle disposizioni finali, afferma che gli allegati 1 e 11 possono essere modificati o aggiornati nonchè possono essere concesse deroghe allo scopo di agevolare l’applicazione del sistema Haccp per le piccole imprese41 tenendo conto dei relativi fattori di rischio, purché tali deroghe non compromettano il conseguimento degli obiettivi del regolamento. Vengono, in pratica, concesse delle deroghe per consentire ad alcune imprese di mantenere i metodi tradizionali in una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione o distribuzione degli alimenti e inoltre di tener conto delle esigenze
40 Si veda sul punto, Luigi COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Ed. IV,
CEDAM; capitolo IV “Il pacchetto igiene e i controlli” par. 6, pag. 437-442.
Si veda poi per ulteriori approfondimenti, Stefano MASINI, Corso di diritto alimentare, Ed. II, Giuffrè editore; capitolo VI, par. 3, pag. 155-160.
41 Ritroviamo lo stesso interessamento nel considerando n. 15 dove afferma che “I
requisiti del sistema Haccp dovrebbero tener conto dei principi contenuti nel Codex Alimentarius. Essi dovrebbero essere abbastanza flessibili per poter essere applicati in qualsiasi situazione anche nelle piccole imprese”.
delle imprese alimentari situate in regioni soggette a particolari vincoli geografici. Il regolamento, sotto quest’aspetto, è molto flessibile e lascia grande libertà di scelta alla singola impresa circa il sistema di autocontrollo da applicare42. Quando uno Stato voglia adottare misure nazionali, attua il procedimento delle notifiche ovvero invia una notifica alla Commissione e agli altri Stati membri nella quale fornisce una descrizione particolareggiata dei requisiti che ritiene necessari adottare e la natura di tale adattamento; descrive i prodotti alimentari e gli stabilimenti interessati; espone la motivazione dell’adattamento, fornendo anche una sintesi del pericolo effettuata e indicando le eventuali misure da adottare per garantire che l’adattamento non pregiudichi gli obiettivi del regolamento. Gli altri Stati membri hanno tre mesi per inviare osservazioni scritte alla Commissione, la quale dovrà consultare tali Stati nell’ambito del comitato per la catena alimentare e la salute degli animali.
1.5 Il “Principio di Precauzione” ha radici nel diritto ambientale43. Tale principio anche se carente di una precisa definizione fu incluso negli accordi e trattati internazionali sull'ambiente; il suo primo riconoscimento è avvenuto nella Carta Mondiale della Natura, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1982. Ad oggi, il principio si applica "in tutti casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità"44. L’approccio prudenziale
42 Nello specifico, Corso di diritto alimentare, di Stefano MASINI, Ed. II, Giuffrè
editore; capitolo VI, parg. 1-2, pag. 153-159.
43 La dottrina tedesca degli anni settanta aveva elaborato il "Vorsorgenprinzip"
inserito poi, anche in alcuni atti federali di controllo dell’emissione di sostanze nell'aria, al fine di contrastare l'inquinamento ambientale.
44 Cfr. Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, 2 febbraio
da cui scaturisce tale principio evidenzia dunque, la più recente contraddizione tra il verificarsi di rischi tecnologici e il bisogno sociale di sicurezza, che richiede la definizione di strumenti di azione e di gestione a fronte delle incertezze della scienza. Il ricorso a tale principio si iscrive per tanto nel quadro generale dell’analisi del rischio e più particolarmente nel quadro della gestione del rischio che corrisponde alla fase di presa di decisione. I progressi della tecnica e della scienza offrono continuamente ai settori agricoli e industriali, la possibilità di avvalersi di moderne tecniche di produzione o di mettere sul mercato prodotti nuovi; spesso i benefici appaiono immediati, ma dietro a ciò, si celano i timori per gli effetti che potrebbero manifestarsi nel lungo periodo sulla salute dell’uomo, degli animali e sull’equilibrio ambientale. Proprio attraverso il principio di precauzione quale criterio di gestione del rischio, gli organi politici attuano le loro scelte a tutela dei consumatori e per la sicurezza alimentare. Il principio si denota di un carattere sfuggente che non deriva soltanto dall’impossibilità di tracciare con certezza le situazioni cui si riferisce, di fatto solamente temute, ma in realtà sconosciute, bensì dalla complessità di tradurre in termini giuridici un concetto che, di giuridico, sembrerebbe non aver nulla45. Il principio deve riuscire a interpretare e quindi a trasfondere in norme giuridiche vincolanti, dati che sono il risultato dell’applicazione del metodo di ricerca scientifica, governato da tutt’altro tipo di regole. Si può affermare che tale principio di precauzione, almeno nel diritto alimentare ha una definizione giuridica fornita dall’articolo 7 del regolamento (CEE) 178/2002; infatti quest’ultimo, ha espressamente previsto l’applicazione del principio di precauzione nel settore alimentare, individuandone le condizioni di applicazione in questi termini: “Nei casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o salute, ma permane una situazione di incertezza sul piano scientifico, il
45 Si veda, Francesco DE LEONARDIS, Il principio di precauzione
nell’amministrazione di rischio, Giuffrè editore, 2005.
Inoltre si veda il sito internet http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l32042.htm Principio di precauzione.
principio di precauzione costituisce un meccanismo per determinare misure di gestione del rischio o altri interventi volti a garantire il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità” (considerando n. 21 del regolamento 178/2002/CEE). Orbene il regolamento stabilisce i criteri generali secondo i quali il principio di precauzione46 dev’essere correttamente applicato sia dalle istituzioni e dalle autorità competenti europee sia dalle autorità nazionali. Pertanto soltanto una corretta applicazione di tale principio può giustificare misure europee o nazionali restrittive alla libera circolazione dei prodotti alimentari o dei mangimi. La valutazione del rischio dev’essere quanto più possibile completa identificando, in ciascuna fase il grado d’incertezza, la descrizione dei rimedi utilizzati per compensare la mancanza di dati scientifici o statistici nonchè la portata delle potenziali conseguenze dell’inazione. L’incertezza scientifica è requisito fondamentale per poter ricorrere al principio di precauzione e può riguardare tanto gli aspetti qualitativi quanto quelli quantitativi dell’analisi. L’articolo 7 del regolamento (CE) 178/2002 recita:
“1.Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d'incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.
46 L’applicazione del principio dipende, dunque, dalla presenza di una serie di
condizioni anche se il loro accertamento è rimesso al potere discrezionale dell’autorità competente. Proprio per questo, per verificare se esista un rischio effettivo, è necessario effettuare una valutazione del rischio compresa l’identificazione di effetti potenzialmente negativi per la salute derivanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento, basato sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale.