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Il Processo devolutivo in Scozia

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laurea in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni Tesi di laurea

IL

PROCESSO DEVOLUTIVO IN SCOZIA

La Candidata La Relatrice

Alessia Gitto Prof.ssa Elettra

Stradella

(2)

i

INDICE

Indice ... i

Introduzione ... ii

Capitolo 1: Premessa Storica ... 1

1.1 L’impresa di Darién (1698-1700). ... 1

1.2 L’Unione (1707). ... 2

1.3 Unione per incorporazione ... 5

1.4 Lo Scottish Office e la questione della Home Rule in Scozia……….7

1.5 Origini dello Scottish National Party………...10

1.6 Commissioni Costituzionali degli anni 1960-70………...14

1.7 Scottish Costitutional Convention del 1989……….16

1.8 White Paper Scotland’s Parlament del 1997……….18

Capitolo 2: Le origini della Devolution e le sue prime realizzazioni ... 20

2.1 Il processo devolutivo nel Regno Unito ... 20

2.2 Devolution ... 21

2.3 Il Parlamento di Edimburgo ... 25

2.4 Lo Scotland Act del 1998: analisi del testo, parte generale ... 26

2.5 Lo Scotland Act del 1998: l’esecutivo scozzese. ... 29

2.6 Lo Scotland Act del 1998: la materia finanziaria ... 31

2.7 Calman Commission ... 31

2.8 Fase antecedente lo Scottland Act 2012…….……….33

2.9 Lo Scotland Act del 2012……… 34

Capitolo 3 Il processo devolutivo scozzese in fase avanzata: tra indipendenza e “devomax” ... 37

3.1 Il dibattito pre-referendario ... 37

3.2 L’Accordo di Edimburgo ... 40

3.3 La campagna referendaria ... 41

3.4 L’indipendent Bill: la rilevanza della proposta di una costituzione scritta 43 3.5 Le ragioni finaziarie: in particolare le problematiche scaturenti dalla moneta………...46

3.6 L’incidenza sul referendum dell’adesione all’Unione Europea…………48

3.7 La “devomax”………...49

3.8 Il referendum del 18 settembre 2014………..51

3.9 La “Enghlish Question”………52

3.10 La “Smith Commission”………..54

3.11 Lo Scottland Act 2016………..56

Capitolo 4: L’impatto a livello costituzionale della devolution scozzese nella fase antecedente alla Brexit………...59

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ii

4.1 Il processo devolutivo come motore e chiave interpretativa del

cambiamento……… ..59

4.2 Centralità scozzese dei diritti sociali: l’acquisizione di un differente status ………...60

4.3 Influenza sui sistemi parlamentare ed elettorale………...61

4.4 Impatto della devoluzione sul concetto di sovranità parlamentare………64

4.5 Assenza di una Costituzione scritta: la portata della flessibilità………… .66

4.6 Il ruolo delle Corti britanniche nel processo devolutivo………...68

Capitolo 5: La relazione tra devolution scozzese e Brexit………72

5.1 La Brexit: i rapporti tra Regno Unito e Unione europea………. ..72

5.2 Il referendum del 23 giugno 2016………75

5.3 Le ragioni scozzesi del “remain”……….77

5.4 Le elezioni scozzesi del 5 maggio 2016………78

5.5 L’intervento della “Hight Court”………....81

5.6 Segue la pronuncia della Corte Suprema………..86

5.7 La Corte Suprema in merito al coinvolgimento delle amministrazioni devolute nel processo di Brexit……….91

5.8 Segue analisi della Dottrina……….94

5.9 Le elezioni dell’8 giugno 2017: necessità di un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni devolute a causa dell’indebolimento del Parlamento Centrale………..……..100

5.10 Da Theresa May a Boris Johnson………...102

5.11 L’intervento delle Corti: la sentenza Miller 2/Cherry case………..105

………96

5.12 Le reazioni della Scozia: l’impatto della crisi politica sull’integrità territoriale………...108

5.13 Mancata Brexit il 31.10.2019: possibilità di un nuovo referendum indipendentista per la Scozia……… 110

5.14 Il sondaggio del 3 novembre 2019……… 111

5.15 Conclusioni……… 112

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iii

INTRODUZIONE

La devolution introdotta in Scozia, Galles ed Irlanda del Nord ha apportato profonde modificazioni nei rapporti centro periferia i cui esiti sono ancora incerti anche a causa del processo di Brexit1 dall’Unione Europa che sta modificando gli

equilibri preesistenti.

La devolution scozzese, in particolare, non può essere considerata riduttivamente un avvenimento accaduto negli anni novanta dello scorso secolo con l’adozione dello “Scottland Act 1998”, ma deve essere interpretata, piuttosto, come un lungo processo ancora in corso iniziato nel 1707, quando i Parlamenti di Inghilterra e Scozia si fusero, ma la Scozia volle “rimanere differente”.

Per comprendere la centralità della devolution scozzese, infatti, occorre partire dall’analisi storica, che ci mostra come nel complesso quadro devolutivo britannico, essa si distingua per la peculiarità del suo quadro istituzionale, definito da parte della dottrina un sistema politico del tutto sui generis ovvero un sistema di governo coerente e separato rispetto a quanto è comunemente noto a proposito della forma costituzionale “inglese” del Regno Unito ed anzi in grado di produrre modificazioni dei suoi assetti costituzionali, agendo come un motore interno di cambiamento.

1Cfr. Brexit: composto dai termini "Britain" ed “exit”, questo termine contraddistingue l’evento riguardante la potenziale

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C a p i t o l o 1

PREMESSA STORICA 1.1 L’impresa di Darién (1698-1700).

La fine del XVII secolo rappresentò per la Scozia un periodo molto complesso. Le carestie, i blocchi inglesi alle esportazioni verso il continente, gli anni di guerre e violenze portarono a ritenere l’espansione coloniale verso Darién l’unica soluzione per risollevare le finanze scozzesi2.

Il tentativo di espansione coloniale verso Darién, sull’istmo di Panama, fu volto a mantenere un certo grado di indipendenza economica dall’Inghilterra, condizione imprescindibile per il mantenimento dell’autonomia nazionale.

Le motivazioni che portarono al fallimento dell’impresa furono molteplici: malattie tropicali, scarse provviste, incapacità di anticipare la risposta militare della Spagna e mancanza di appoggio da parte degli inglesi.

La disastrosa spedizione, esauritasi in soli due anni, unitamente alla crisi economica che nè conseguì, esasperò ancora di più i già tesi rapporti tra Scozia ed Inghilterra, ma al tempo stesso contribuì a indebolire le mire indipendentiste scozzesi e a

2Cfr. H. Brown, A short history of Scotland, nuova edizione a cura di H. W. Meikle, Edinburgh, Oliver and Boyd LTD, 1951,

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ritenere l’unione l’unica soluzione possibile per la sostenibilità economica della Scozia stessa3.

1.2 L’Unione (1707).

Alla fine del XVII secolo tra le élite inglesi riemerse il problema dell’unione tra Scozia e Inghilterra, per due motivi fondamentali: in primo luogo, il futuro della monarchia era incerto, in quanto la regina Maria, moglie di Guglielmo III, non aveva un erede, ciò rendeva la sorella Anna l’ultimo Stuart protestante ancora in vita; in secondo luogo, era necessario scongiurare ogni tentativo di ripresa cattolica, sia in Scozia sia in Inghilterra, essendo ciò possibile solamente unendo le forze protestanti di entrambi i regni.

L’unico ostacolo al progetto di Unione era la Scozia: un regno fortemente legato alla dinastia Stuart, unito alla Francia dalla Auld Alliance, ma soprattutto un regno che aveva la possibilità di eleggere autonomamente il proprio monarca. Il rischio era quindi che il Parlamento scozzese scegliesse un sovrano diverso da quello scelto dall’ Inghilterra, mettendo fine al periodo di “unione personale” iniziato nel 1603 con Giacomo VI. Gli scozzesi non accettarono molto facilmente l’Unione, nonostante la difficile condizione finanziaria in cui versava la loro economia.

3Cfr. N. Davies, Isole. Storia dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, Milano Bruno Mondadori, 2004, pp.

544-555.

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3

Durante l’ultimo anno di regno di Guglielmo III e durante l’intero regno della regina Anna, succedutagli nel 1702, Scozia e Inghilterra emanarono atti legislativi che perseguivano obbiettivi contrastanti.

Nel 1701 il Parlamento inglese votò l’“Act of Settlement”, che trasferì i diritti di successione al trono inglese dagli eredi Stuart alla dinastia protestante degli Hannover, nella persona della duchessa Sophie, nipote di Giacomo VI Stuart. Tale atto fu un’iniziativa unilaterale inglese approvata da re Guglielmo III.

Nel 1703 la Scozia rispose con l’approvazione dell’“Act of Security” del 1703, che al pari dell’”Act of Settlement” inglese, disciplinava i diritti successori, decretando che venti giorni dopo la morte della regina Anna, il Parlamento avrebbe dovuto individuare un erede protestante della dinastia.

Il rischio che l’Inghilterra voleva scongiurare, cioè la fine dell’”unione personale” dei due regni, era divenuto una concreta possibilità. Nel 1705 Westminster approvò allora l’”Aliens Act”, che inasprì ancora di più i rapporti. L’atto prevedeva, infatti, che se la Scozia non avesse accettato lo stesso successore scelto dagli inglesi tutti gli scozzesi non residenti in Inghilterra sarebbero stati considerati stranieri e tutte le loro principali merci da esportazione non sarebbero più state ammesse nel Regno.4

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4

A peggiorare la situazione ci fu un episodio che può considerarsi come una sorta di rivalsa per il contegno tenuto dagli inglesi durante il tentativo scozzese di colonizzare Darién. Nel porto di Leith fu catturata una nave inglese, la Worcester, il cui capitano e due ufficiali furono accusati di pirateria per aver affondato lungo la costa indiana la nave scozzese Speedy Return, una delle navi mandate a soccorrere i coloni. Non c’erano prove della loro colpevolezza, ma gli accusati furono ritenuti responsabili ed impiccati.

Nonostante le forti ostilità, in entrambi i regni si ritenne che un unico Parlamento fosse divenuto necessario per salvaguardare gli interessi di entrambe le nazioni5.

Nel 1706 il Parlamento inglese redasse unilateralmente l’”Act of Union” che prevedeva anche la promessa di un’ingente somma di denaro da destinare alla Scozia. Nonostante la grave crisi finanziaria, il Parlamento scozzese impiegò tre mesi per deliberare l’accettazione delle condizioni proposte dall’Inghilterra. Nel 1707 la Scozia accettò l’”Act of Union”; lo stesso anno venne sottoscritto un nuovo “Act of Security” che dichiarava che la Chiesa di Scozia sarebbe rimasta di fede presbiteriana.

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1.3 Unione per incorporazione.

Il Regno Unito di Gran Bretagna nasceva, quindi nel 1707, dall’unione parlamentare dei due Regni di Inghilterra e Scozia. Le modalità in cui ciò avvenne e alcune condizioni pregresse che rimasero inalterate sono utili per comprendere la genetica predisposizione scozzese verso il processo devolutivo.

La novazione formale della statualità, attuata attraverso l’Unione, passava attraverso la fusione di due organi Legislativi, attraverso quella che è stata definita “union by incorporation”. Essa apriva la strada sia a un nuovo ordine politico-istituzionale, sia allo sviluppo del parlamentarismo post-rivoluzionario, entrambi posti sotto l’egemonia delle istituzioni di Westminster6.

L’elemento caratteristico di tale processo di unificazione risiedeva nel fatto che le istituzioni scozzesi, dopo una prima fase di violenta repressione del primo separatismo che contestava l’Unione e dei sollevamenti armati dei lealisti stuartiani, si sottraevano a quella “forzosa uniformazione costituzionale della statualità” che avrebbe caratterizzato altri processi di unificazione nel continente europeo, dando vita ad un assetto che è stato considerato da molti di fatto quasi-federale. L’enfatizzazione della natura “semi-federale” del rapporto che lega la Scozia alla Gran Bretagna è un tipico argomento interpretativo con cui alcuni giuristi

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nazionalisti hanno inteso dare risalto ai caratteri fortemente autonomi e coerenti del sistema istituzionale scozzese e volto a motivarne la naturale separazione dal Regno Unito7.

La Scozia, dopo il 1707, ha conservato pressoché indenni alcune fondamentali istituzioni sociali quali la Banca di Scozia istituita nel 1696 e tuttora battente moneta; il sistema educativo regolato dal pre-unitario “Education Act” 1696 e le quattro potenti istituzioni universitarie che diventeranno culla dell’Illuminismo di A. Smith, A. Ferguson, T. Reid, D. Hume; la confessione nazionale basata dal 1690 sul Presbiterianesimo e sulla Chiesa Stabilita di Scozia; quell’embrione di strutture assistenziali che in seguito, nel welfare state novecentesco, si trasformeranno in un efficiente sistema di servizi sociali8.

Perfino sul piano dei diritti il Popolo scozzese mantenne un proprio “Claim of Right” risalente al 1689. Ciò implicava l’estraneità giuridica scozzese dalle grandi carte delle libertà prodotte in Inghilterra dalla Magna Carta fino al “Bill of Rights”, ed – a devolution entrata nella sua fase avanzata – ha proiettato dubbi circa l’automatica applicabilità in toto alla Scozia di quell’Human Rights Act 1998 che

7Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pp. 8. 8 Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pagg. 8, 9.

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7

tanto impatto ha sempre sviluppato sull’intero ordine costituzionale del Regno Unito9.

Vi erano, inoltre, una rete di radicate istituzioni amministrative di governo locale, distinte dalla tipica contea anglo-gallese, e un sistema giuridico di Scots law, prevalentemente codificato e con ben riconoscibili radici romanistiche, dotato di fonti solo parzialmente influenzate dal diritto inglese di common law (che invece si imponeva forzosamente in Galles fin dal medioevo e in Irlanda nell’età moderna), che permasero anche dopo l’unificazione dei due Regni10.

1.4 Lo Scottish Office e la questione della Home Rule in Scozia.

Nel corso del XIX secolo, in Scozia, le funzioni amministrative erano esercitate da un “Lord Avocate” unitamente ad alcuni “pubblic boards”.

Nel 1885, il Parlamento di Westmister approvò il “Secretary for Scotland Act” con il quale istituì lo “Scottish Office”, presieduto da un “Secretary”, con il compito di rappresentare il governo inglese in Scozia e contemporaneamente di farsi portavoce delle istanze scozzesi a Londra. I diversi “boards”, che prima esercitavano le funzioni amministrative, in una prima fase rimasero in attività.

9Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pagg. 8, 9. 10 Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pagg. 8, 9.

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L’istituzione dello “Scottish Office” rispose solo parzialmente alla questione della “Home Rule” emersa intorno alla fine del XIX secolo.

Nel 1886 venne istituita la “Scottish Home Rule Association”, ma questa organizzazione non fu in grado di stimolare alcun provvedimento legislativo in seno al Parlamento britannico. Solo nel 1919 fu costituita, all’interno della Camera dei Comuni, la “Conference on Devolution”, presieduta dallo “Speaker” con il compito di delegare a parlamenti territoriali competenze in materie specifiche.

Nel 1920, la “Scottish Home Rule Association” approvò un progetto con il quale si voleva promuovere la costituzione di un Parlamento scozzese unicamerale, a cui fece seguito, nel 1924, la presentazione in Parlamento di un “bill” che però venne respinto11.

Nonostante i progetti di “Home Rule” risultarono fallimentari, il Governo britannico decise di valorizzare la specificità scozzese elevando al rango di ministro lo “Scottish Secretary”, denominandolo “Secretary of State for Scotland”: dicastero del Governo britannico, dotato di ampi poteri nella gestione amministrativa, sottratti ai “boards”, nonché di potere di iniziativa legislativa nelle materie riguardanti la Scozia.

11 Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, Jovene Editore, 2017, pp. 13-14.

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Nel 1939, venne istituita una sede dello “Scottish Office” anche ad Edimburgo, pur rimanendo in attività l’ufficio di Londra, quest’ultimo avente prevalentemente funzione di coordinamento con gli altri ministeri. Esso venne suddiviso in quattro settori: agricoltura, istruzione, affari interni e salute; materie, queste, successivamente devolute al Parlamento di Edimburgo.

E’ interessate rilevare come l’istituzione dello “Scottish Office” si ponesse in contrasto con la politica britannica fondata su un’articolazione del Governo incentrata soprattutto su “functional, rather then territorial basis”, propendendo invece per la Scozia una visione incentrata su “both functional and territorial”12.

Dal secondo dopoguerra le competenze dello “Scottish Office” vennero ulteriormente ampliate, assorbendo settori prima di competenza di altri ministeri.

Tra il 1960 ed il 1970 la struttura dell’”Office” divenne più complessa per rispondere più adeguatamente all’ampliamento delle sue funzioni: dotato di quattro dipartimenti, nuovi “boards” e commissioni, assunse per alcuni esponenti della dottrina le sembianze di un vero e proprio Organo esecutivo, con Primo Ministro il Segretario, e con un Consiglio di Gabinetto costituito dai suoi Sottosegretari. Questa interpretazione collideva però sia con il fatto che il Ministro per la Scozia

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fosse fondamentalmente espressione degli elettori britannici e non di quelli solamente scozzesi, sia con la gestione centralizzata di Londra13.

Nel corso del XX secolo l’istituzione dello “Scottish Office” ha rappresentato un fattore decisivo per l’introduzione del processo devolutivo. Il Parlamento Centrale dava spesso delega allo “Scottish Secretary” di attuare politiche specifiche per la Scozia attraverso la “secondary legislation”, interpretata come una devoluzione di fatto di poteri esecutivi. A sostegno di ciò basti osservare come, con lo “Scottland Act 1998”, ci sia stato il passaggio di molte delle responsabilità dello “Scottish Office” in capo al Governo Scozzese.14

1.5 Origini dello Scottish National Party.

Centrale per la comprensione del processo devolutivo scozzese è il ruolo ricoperto dal principale partito nazionalista scozzese lo “Scottish National Party” (dagli anni ’60 del XX secolo abbreviato con la sigla SNP).

Nato nel 1934 dopo la fusione tra il “National Party of Scotland” e lo “Scottish Party”, lo Scottish National Party, registrò il suo primo successo elettorale nel 1945, vincendo un seggio contro il partito Laburista: fu il primo segnale che il Labour Party avrebbe dovuto lottare per mantenere i suoi storici seggi in Scozia. Solamente ventun anni dopo sarà eletto un altro membro dell’SNP; nel frattempo, però, il

13Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, cit., pp. 15-16. 14 Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, cit., pp. 16.

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sentimento nazionalista continuò a diffondersi nel Paese senza mai accusare battute d’arresto15.

Caratteristica saliente di questo partito, di matrice regionale, è l’aver elaborato sin dal principio un nazionalismo di tipo civico, i cui temi economici e politici, piuttosto che etnici e linguistici, hanno costituito la base di legittimazione per il perseguimento dei suoi obbiettivi, attualizzando nel tempo, come vedremo, i suoi progetti territoriali, giungendo ad includere anche la dimensione europea ed internazionale16.

Nel 1950, quattro studenti dell’Università di Glasgow, membri del giovane partito, attuarono un’azione dimostrativa: il furto, il giorno di Natale, della Pietra del Destino, custodita nell’Abbazia di Westminster dal 1296. Tra i responsabili del furto figurava un futuro candidato al Parlamento scozzese, Ian Hamilton. La “Stone of Destiny” danneggiata fu recuperata e ricondotta a Londra17.

Nel 1953, Ian Hamilton fu tra i promotori, tre anni dopo il furto del prezioso cimelio, di un’azione legale volta a rimarcare la volontà scozzese di non

15 Cfr. N. Davies, Isole. Storia dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, cit., pp. 783-785.

16 Cfr. E. Massetti, V. Tarditi, Quale futuro per la Scozia? L’SNP e il progetto indipendentista nel contesto europeo, Perugia, intervento al XXVIII Convegno Società Italiana di Scienza Politica, 11 – 13 settembre 2013, web www.sisp.it.

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conformarsi al sistema costituzionale britannico (caso MacCormick v. The Lord Advocate).

Con questa eversiva azione legale si contestava l’utilizzo del nome Elisabetta II da parte della Regina, dato che non vi era mai stata una Elisabetta I nel Regno Unito di Gran Bretagna, ma “solamente” in quello d’Inghilterra all’epoca in cui la Scozia era del tutto indipendente; dunque l’ordinale “II” sarebbe stato costituzionalmente illegittimo. Tale illegittimità finiva per coinvolgere, secondo i ricorrenti, anche la stessa sovranità del Parlamento di Wesmister, la cui attività veniva di fatto disconosciuta a nord del confine anglo-scozzese18.

La Corte adita considerando l’atto del 1707 un Trattato, con la propria pronuncia, respinse l’istanza, sostenendo che l’atto del 1953, come legge parlamentare, avesse la forza di modificare un trattato e che, in ogni caso, nel Trattato in questione, non fosse proibito in alcun modo l’utilizzo del numerale oggetto di causa. La Corte evidenziò, inoltre, come mancasse l’interesse ad agire da parte degli istanti19.

Questi eventi dimostrativi ebbero un forte impatto sul sentimento nazionalista scozzese.

18 Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pp. 12.

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Il nazionalismo si diffuse anche attraverso il mezzo radiofonico: nel 1956 nacque Radio “Free Scotland”, una radio “pirata” le cui trasmissioni si aprirono dichiarando come la lotta per l’indipendenza scozzese fosse seria. Fino al 1965 questa radio trasmise messaggi e programmi a sostegno della causa indipendentista. Uno dei conduttori fu Gordon Wilson, futuro leader dello Scottish National Party20.

Altro evento rilevante fu la scoperta nel 1971 di giacimenti petroliferi nel Mare del Nord, fatto che rese maggiormente significativo esercitare il controllo sull’economia scozzese.

La scoperta di giacimenti petroliferi nel Mare del Nord divenne così uno dei temi più influenti della campagna politica del partito nazionalista, sotto l’egida “It’s Scotland Oil”. Da quel momento la tesi che sosteneva che alla Scozia fosse stato sottratto il beneficio economico derivato dal petrolio divenne una delle rivendicazioni fondamentali della causa indipendentista.

Questa campagna ebbe un ruolo considerevole nel successo dell’SNP alle “General Elections” (le elezioni nazionali del Regno Unito) del febbraio e dell’ottobre 1974, nelle quali ottenne il 30,4% dei voti scozzesi. Fu in seguito a queste elezioni che il Partito Laburista, pressato dallo Scottish National Party e dall’opinione pubblica,

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cedette sul tema della “devolution”, che non aveva mai trovato collocazione nella sua programmazione politica.21

1.6 Commissioni Costituzionali anni 1960-1970

A partire dagli anni ’60 del XX secolo la questione scozzese divenne centrale nelle discussioni e nei programmi politici a seguito di alcuni eventi.

Significativo fu il lungo dibattito iniziato con la pubblicazione degli scritti di J.P. Mackintosh sulla “devolution of power”, che evidenziarono come fosse necessario un livello di governo intermedio tra quello locale e quello nazionale, e la creazione di assemblee regionali elette direttamente.

Altro evento rilevante fu, come già evidenziato in precedenza, la scoperta nel 1971 di giacimenti petroliferi nel Mare del Nord, fatto che rese maggiormente significativo il controllo esclusivo della Scozia su tali risorse.

Si formarono così Commissioni Costituzionali, di opposti schieramenti politici.

Nell’Aprile del 1969 il Governo laburista Wilson istituì la “Royal Commission on the Costitution” presieduta prima da Lord Crowther (fino al 1972) e

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successivamente (1972-1973) da Lord Kilbradon, con l’intento politico di focalizzarsi sulla questione del decentramento.

La soluzione proposta non alterava in maniera significativa il sistema unitario di governo vigente nel Regno; infatti, secondo tale rapporto, l’Assemblea scozzese, doveva rimanere legata al Parlamento di Westminster con il compito, coincidente con quello di un ordinario Comitato parlamentare, di esaminare tutti i “bills” riguardanti la Scozia, mentre l’approvazione finale degli stessi sarebbe rimasta di competenza del Parlamento centrale.

Nel 1973 i lavori della “Royal Commission on the Costitution” si conclusero con la pubblicazione del rapporto di maggioranza, in cui venivano ritrovate le cause dei nazionalismi e dell’insoddisfazione popolare nell’eccessiva centralizzazione del potere e nella conseguente alienazione dei fondamentali principi democratici.

Il contributo della Commissione fu importante, anche se venne considerato un mezzo utilizzato dai laburisti per delegare ad una autorità esterna al Governo la complessa soluzione della devolution22.

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Occorre evidenziare per altro che negli anni di attività della Commissione, il partito laburista si trovò all’opposizione ed il Governo conservatore preferì concentrare i suoi sforzi sulla riforma del governo locale.

Da questo fermento politico si originò il primo tentativo di consultazione referendaria a carattere devolutivo, tenutasi il 1 marzo 1979, fallito a causa del mancato ottenimento del quorum richiesto, pari al 40% degli aventi diritto al voto.

1.7 Scottish Costitutional Convention del 1989.

La salita al potere nel 1979 della destra conservatrice di marca thatcheriana, nota per la sua particolare ostilità verso le istanze di autogoverno delle aree celtiche, non arrestò del tutto le rivendicazioni scozzesi per una maggiore autonomia, di cui si resero interpreti principalmente i Laburisti, che nell’area godevano di posizioni maggioritarie, in senso devoluzionistico, e i Nazionalisti, transitati verso opzioni esplicitamente indipendentiste, che gradualmente si affermavano come secondo partito.

Nel 1989 la “Scottish Constitutional Convention” dava forma a più precisi programmi riformatori, riunendo intorno ad essi i deputati laburisti e liberaldemocratici eletti nei collegi scozzesi, altre formazioni della sinistra e dell’ecologismo, diverse organizzazioni sindacali, la Chiesa presbiteriana, molte autorità del governo locale. Non parteciparono alla “Convention” né i rappresentanti dell’SNP né i conservatori.

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La “Covention” si proponeva l’obbiettivo di offrire per la Scozia un modello parlamentare più rappresentativo e di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della “devolution”, al fine di condurre il Governo centrale su questa linea, concentrando le proprie attività sulla questione dell’autonomia finanziaria e sul sistema elettorale23.

La produzione di una serie di documenti e di rapporti fu per la Convenzione un’occasione molto propizia per affermarsi come assoluta protagonista della progettazione costituzionale.

Nel 1995, in particolare, a seguito delle attività della “Convention” venne pubblicato “Scottland’s Parlament Scotland’s rights”, documento volto a suggerire un modello di “devolution” centrato su un Parlamento scozzese dotato di potere legislativo primario e di una seppur limitata autonomia fiscale.

Tale documento è di fondamentale importanza, poiché ha dato voce alla società civile costituendo il fondamento della “devolution” scozzese24.

La “Convention” presentava un progetto devolutivo che offriva un nuovo modello parlamentare più equamente rappresentativo, più prossimo ad una società civile da cui provenivano forti istanze di partecipazione e volto, a devolution compiuta, a

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rinnovare il senso della cittadinanza politica25. L’introduzione di originali regole

parlamentari (tra cui l’esclusione dello scioglimento anticipato), la piena copertura televisiva delle sedute, la creazione di un metodo elettorale misto volto a bilanciare il tradizionale “first-past-the-post system” con componenti di carattere proporzionale imperniate sull’”additional member system” (volto a garantire maggiore rappresentatività e partecipazione) sono tra le proposte più significative che hanno, poi, caratterizzato la fisionomia del Parlamento scozzese26.

L’idea cardine emersa dalla “Convention” è stata quella secondo cui la sovranità Parlamentare dovesse trovare nella sovranità popolare e nel riconoscimento del diritto di autodeterminazione della nazione scozzese i limiti naturali alla sua esplicazione.

1.8 White Paper Scotland’s Parlament del 1997

Tornati al potere, i laburisti, guidati da Tony Blair (primo ministro britannico dal 2 maggio 1997 al 27 giugno 2007) si fecero promotori di un innovativo programma di riforme costituzionali, contenenti specifici programmi di decentramento per Scozia, Galles ed Irlanda del Nord.

25 Cfr. A. Torre, Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pp. 2. 26 Cfr. A. Torre, Cfr. A. Torre, Scozia: devolution, quasi federalismo, indipendenza?, cit., pp.12.

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Nel luglio del 1997, pubblicarono, sulla base dello “Scottland’s Parlament Scotland’s Rights”, l’“White Paper” per la Scozia, “Scotland’s Parlament”, che costituisce un importante riconoscimento politico all’istanze devolutive scozzesi. Si trattava di un documento di particolare rilievo poiché conteneva il riconoscimento da parte del Governo britannico di una specifica identità nazionale scozzese.

Con questo documento si proponeva la creazione di un Parlamento scozzese dotato di poteri legislativi primari, di potestà impositiva fiscale, nonché di un esecutivo politicamente responsabile nei confronti del proprio Parlamento. Tony Blair, nel suo discorso introduttivo, giunse ad affermare come il Governo scozzese non risultasse imposto da Westmister ma trovasse “le sue radici nel suolo scozzese”.

Il partito laburista capovolse la procedura referendaria seguita nel 1979, sottoponendo a referendum consultivo i differenziati progetti di autonomia di Galles e Scozia prima di presentare i relativi “bills” ai Comuni, ottenendo una rilevante maggioranza (del 60% degli aventi diritto al voto che si recarono alle urne il 74,3 rispose positivamente al primo quesito, riguardante l’istituzione di un Parlamento scozzese, ed il 63,5% a favore del secondo, concernente la capacità di variazione fiscale del Parlamento scozzese )27.

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C a p i t o l o 2

LE ORIGINI DELLA DEVOLUTION E LE SUE PRIME REALIZZAZIONI

2.1 Il processo devolutivo nel Regno Unito.

Il Regno Unito è stato interessato da un’ondata di riforme in senso devolutivo a partire dal biennio 1997-98. Nel periodo precedente si parlò già di “Union of State” per evidenziare come esso fosse nato a seguito degli atti di unione di Inghilterra e Scozia nel 1707 e, poi, di Gran Bretagna ed Irlanda nel 1800. Tale assetto aveva, comunque, lasciate impregiudicate e autonome le tradizioni culturali, linguistiche e giuridiche di Scozia, Irlanda, Galles e Inghilterra.

Le riforme avviatesi nel biennio 1997-98 formalmente hanno mantenuto Westmister come unico Parlamento sovrano, considerando gli ordinamenti devoluti come derivati e senza poteri originari di sovranità; tuttavia, sul piano sostanziale, hanno inciso profondamente sull’ordine costituzionale del Regno, mettendo in discussione l’interpretazione stessa del principio di sovranità parlamentare28.

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Le motivazioni che hanno condotto alla definizione di “union of state”, sono da ricercarsi nelle seguenti caratteristiche del Regno Unito: i) assetto costituzionale e territoriale formatesi in maniera graduale e provvisorietà nei rapporti centro-periferia, ascrivibili all’assenza di una costituzione scritta; ii) asimmetria nella distribuzione del potere, dovuta alla particolare situazione dell’Inghilterra, rimasta esclusa dalla devoluzione di poteri, e alle diverse caratteristiche storiche, nazionali, culturali, presenti nelle singole nazioni componenti; iii) differenze interne tra i vari sistemi giuridici vigenti nei territori e assenza di coordinamento generale tra gli stessi; iv) assenza di una definizione formale e univoca delle competenze; ciò ha favorito l’estensione su tutto il territorio di modalità di governo simili e di una cultura politica comune, legate dal forte potere centrale e dall’assenza di un Governo regionale, intermedio tra quello locale e quello centrale29.

2.2 Devolution.

La devolution, come evidenziato, è un lungo processo cominciato nel 1707, quando i Parlamenti di Scozia ed Inghilterra si fusero, e la Scozia, “fu incorporata ma rimase differente”30, cercando in ogni modo di mantenere la sua specificità. Il concetto di

devolution deve molto a quanto è stato realizzato in Scozia, dove, sotto le influenze congiunte del pensiero nazionalista e del riformismo laburista, aveva trovato nel

29Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, cit., pp. 4. 30Cfr. G. Poggeschi, Il Processo di devolution: una storia che parte da lontano, da La Scozia nella Costituzione Britannica, a

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secondo dopoguerra le condizioni più propizie alla propria formulazione. La Scozia, infatti, per le particolarità che la distinguono, è stata l’alveo del devoluzionismo e il principale luogo d’origine delle correnti neo-autonomistiche che, a partire dagli anni Settanta del XX secolo, hanno influito sul diritto pubblico britannico, fino a informare delle proprie istanze le riforme avviata nel 1997-8 e a fornire le basi di forti innovazioni nel tessuto costituzionale del Regno Unito31.

Tony Blair, infatti, appena insediatosi, forte dell’approvazione popolare, presentò in Parlamento, il 17 dicembre 1997, lo “Scottland Bill” che ricevette il “Royal assent” il 19 novembre del 1998 divenendo lo “Scottland Act”; tale provvedimento legislativo delineò, in primis, il contenuto della devolution scozzese.

La riforma devolutiva attuata dal partito laburista era centrata su un nuovo modello parlamentare, in cui le funzioni attribuite al Parlamento scozzese solo apparentemente, coincisero con quelle riconosciute alle Assemblee rappresentative degli altri Paesi democratici.

Il Parlamento di Edimburgo esercitò, infatti, sino dal 1998 potere legislativo, tributario e di inchiesta; tuttavia, le competenze assegnategli furono sottoposte a

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pesanti vincoli che indussero a definire l’Assemblea di Scozia “a subordinate legislature”32.

Lo “Scottland Act 1998” riconobbe al Parlamento di Edimburgo il potere legislativo solo nelle materie non riservate alla competenza di Westminster.

Nell’identificazione degli ambiti riservati si preferì riferirsi a settori organici, all’interno dei quali vennero precisate sia le materie riservate, sia quelle non riservate. La ratio di questa distinzione è da ricercarsi nell’esigenza di chiarezza e nel tentativo di ridurre i possibili spazi di conflitto tra le istituzioni centrali e quelle regionali33.

Restarono riservati al Parlamento nazionale: gli ambiti di rilevanza istituzionale, quali la Corona (comprese le leggi di successioni e quelle sulla reggenza), l’unione dei Regni di Inghilterra e di Scozia, il Parlamento, l’esistenza della “High Court of Judiciary”, come Corte criminale di prima istanza e di appello ed anche della Court of session come Corte Civile; la costituzione e registrazione dei partiti politici; la politica estera (incluse le relazioni internazionali e con l’Unione europea); la sicurezza e la difesa nazionale, le forze armate e l’alto tradimento “treason”.

32Cfr. A. Vedaschi, La devolution of powers in Scozia e Galles, Rivista Diritto Pubblico Comparato ed Europeo 1999-I, pp. 97.

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In ambito finanziario ed economico, rimase riservato al Parlamento centrale il controllo generale della politica monetaria, inoltre furono devolute le tasse per i fondi spese delle autorità locali. Venne riservata la capacità di battere moneta. Furono, inoltre, specificate le materie riservate agli “home affairs”, così come le norme sulle elezioni; sull’immigrazione e la cittadinanza; sull’estradizione; sulle armi; sull’abuso di droga, sulla privacy; sullo spettacolo e le arti; i giochi, le lotterie e le scommesse.

Westmister ha mantenuto la competenza a legiferare su varie attività economico industriali, quali la disciplina della concorrenza; la pesca; la protezione dei consumatori; il diritto d’autore; la gestione dell’energia elettrica e dei trasporti.

Sono rimaste di competenza del Parlamento centrale la disciplina delle professioni, del lavoro e delle pensioni; la sanità; i media; la cultura; la ricerca scientifica.

L’Atto del 1998, al fine di garantire flessibilità al sistema, consente alla Regina con “order in Council” di modificare l’elenco delle materie riservate.

2.3 Il Parlamento di Edimburgo.

Il Parlamento di Edimburgo è stato disciplinato come un Parlamento devoluto privo di sovranità: lo “Scotland Act 1998”, infatti, è una legge ordinaria, propria del Parlamento centrale.

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Esso è un Assemblea unicamerale; questa, così come altre significative differenze rispetto al sistema centrale, sono derivate dalla volontà di dare vita ad una forma di governo che nascesse dalle riflessioni riguardanti l’intero sistema britannico; dove la Camera dei “Lords” svolge compiti di minore rilevanza.

Il Parlamento di Holyrood è composto da 129 membri: 73 eletti tra i “Costituencies Members”, con un sistema elettorale maggioritario di tipo “plurality” il “first past the post” utilizzato dal Parlamento centrale, e 56, su base regionale, con il sistema proporzionale “additional member system”34.

Il sistema elettorale, identico per Scozia e Galles, prevede che gli elettori dispongano di due voti: il primo individua il candidato del singolo collegio, il secondo voto, il partito e, di conseguenza, i candidati presenti nelle liste regionali.

Il secondo voto permette di compensare parzialmente le distorsioni del “plurality”; infatti, dopo l’attribuzione dei seggi ai “constituencies members”, i seggi delle circoscrizioni regionali sono assegnati dividendo i voti ottenuti dalle singole liste per il numero, aumentato di uno, del totale dei seggi vinti con il “plurality” dal partito in ogni circoscrizione regionale. Da ciò deriva che maggiore è il numero dei

34Cfr. Scotland Act 1998 (Sezioni 1-43); G. Caravale, A Family of Nations Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra devolution e Brexit, cit., pp. 36.

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candidati eletti con il primo voto, minore sarà la possibilità di conseguire un seggio con il secondo.

Tale sistema, rispetto a quello britannico, rende più difficoltoso l’ottenimento della maggioranza assoluta dei seggi dell’Assemblea.

La legge istitutiva ha stabilito che il Parlamento di Edimburgo avrebbe potuto comunque discutere di tutte le questioni giudicate di suo interesse, anche se rientranti in quelle di competenza esclusiva del Parlamento di Londra.

Per rispettare il principio di sovranità parlamentare Westmister ha conservato il potere di approvare leggi anche nelle materie devolute. In proposito vige una convenzione tra i due parlamenti, la “legislative consent convention”, nota come “Sewel Convention”. Questa convenzione prevede che il Parlamento di Edimburgo possa votare una mozione con la quale consentire al Parlamento centrale di legiferare anche su materie devolute. Tale convenzione è stata inserita nello “Scottland Act 2016”.

2.4 Lo “Scottland Act 1998”: analisi del testo, parte prima.

Il provvedimento legislativo in oggetto è costituito da 132 sezioni, costa di 9 allegati, ed è articolato in 6 parti. Tale complessità di struttura è sorta dall’esigenza di raccogliere al suo interno convenzioni, tradizioni, e prassi costituzionali consolidatesi nel corso dei secoli in Gran Bretagna.

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Lo “Scotland Act 1998” non si pone l’obbiettivo di disciplinare interamente l’articolazione dei rapporti tra gli organi costituzionali, ciò nonostante, tenendo in considerazione le problematiche effettivamente presenti nell’esperienza istituzionale del Regno Unito, si propone di arrivare ad una razionalizzazione della forma di Governo.

Questo atto normativo delinea una particolare forma di governo, la quale pur discostandosi dalla tradizione britannica, non si pone come fonte esaustiva dell’ordinamento costituzionale scozzese; tanto che, dove la norma non dispone espressamente, sembra rinviare alla normativa, alle convenzioni e alle prassi riguardanti il concreto funzionamento della forma di governo vigente nel Regno Unito35.

La legge, come sopra evidenziato, si apre con la parte dedicata al Parlamento scozzese (Sezioni 1-43). In essa è stabilito che le elezioni si indicano in via ordinaria ogni quattro anni, il primo giovedì del mese di maggio. Tale disposto è stato modificato in seguito all’approvazione del “Fixed Term Parliament Act 2011” che ha portato la durata attuale della legislatura a 5 anni36.

35Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Assimetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, cit. pp. 31. 36Cfr. Scotland Act 1998 (Sezioni 1-43); G. Caravale, A Family of Nations Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra

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E ’interessante rilevare come nella tradizione britannica, lo scioglimento della Camera dei Comuni sia sempre stato un atto della Corona, su proposta del Governo, ed in particolare del “Premier”, il quale sceglieva il momento più propizio per procedere a nuove elezioni a seconda delle sue strategie politiche.

Lo “Scottland Act 1998” ha disposto che questa circostanza si possa verificare tassativamente solo in due ipotesi: la prima, nel caso in cui “The Parliament resolves that it should be dissolved and, if the resolution is passed on a division, the number of members voting in favour of it is not less than two-thirds of the total number of seats for members of the Parliament”; il secondo caso, si verifica quando “any period during which the Parliament is required under section 46 to nominate one of its members for appointments as First Minister ends without such a nomination being made”.

Nel caso in cui una di queste due opzioni si verifichi spetterà al “Presiding Officer”, lo “Speaker”, non al Governo, rivolgersi alla Corona per chiedere lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni; in questo modo non è stata assegnata al primo ministro scozzese e al suo Governo alcuna competenza in merito alla “dissolution”.

Con il citato “Fixed-term Parliaments Act” del 2011 questa modalità operativa è stata mutuata dal Parlamento Centrale; la legge ha previsto, infatti, che anche lo scioglimento della Camera dei Comuni possa avvenire in ipotesi tassative e ha

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sottratto questo potere al Primo Ministro britannico. Questo è solo uno degli esempi in cui è possibile riscontrare la profonda e incessante contaminazione esistente tra i sistemi giuridici componenti il Regno Unito.

L’Atto disciplina, poi, l’elezione del “Presinding Officer”, carica particolarmente rilevante: oltre a presiedere il Parlamento e a sciogliere la Camera nelle ipotesi previste, egli riveste il delicato compito di valutare per ogni “bill” la corrispondenza della materia disciplinata con le competenze delegate al Parlamento di Edimburgo.

2.5 Lo Scottland Act del 1998: l’esecutivo scozzese.

La seconda parte dello “Scottland Act” riguarda “The Scottish Administration” e disciplina i compiti dell’esecutivo scozzese e i rapporti con gli altri organi costituzionali. La legge del 1998 faceva riferimento al Governo Scozzese come “Scottish Executive”. A partire dal settembre 2007 esso è stato, invece, definito Scottish Government, nome formalmente modificato solo con lo “Scottland Act 2012”.

L’esecutivo scozzese è composto da un “First Minister”, dai ministri, il cui numero non è precisato, dal “lord Advocate” e dal “Solicitor General for Scotland”.

Il “First Minister” è nominato formalmente dalla Corona tra i membri del Parlamento di Edimburgo, in recepimento di una decisione spettante a quest’ultimo organo. Nell’atto in oggetto vengono elencate le quattro ipotesi tassative in cui si deve procedere a tale operazione, concedendo il termine di 28

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giorni dalla verificazione di una delle ipotesi statuite affinché la scelta venga effettuata e si realizzi la presentazione del designato alla Corona da parte del “Presinding Officer”. In caso di mancato rispetto, si procede all’indizione di nuove elezioni. Il Primo Ministro è tenuto a dimettersi qualora perda la fiducia del suo Parlamento.

Al Primo Ministro spetta, (secondo la sezione numero 47), la nomina degli altri membri del Governo, ministri scozzesi, responsabili collegialmente di fronte al Parlamento di Edimburgo, i quali non possono essere sfiduciati singolarmente, ma risultano essere responsabili nei confronti dell’Assemblea, come avviene nel Parlamento centrale37.

La struttura del Governo Scozzese si basa sul modello di Westmister, per cui i ministri risultano essere responsabili nei confronti dell’Assemblea.

Una differenza importante rispetto al sistema centrale è da rinvenirsi nel fatto che la struttura, le competenze ed i rapporti con gli altri organi si fondano principalmente su regole scritte, in primis lo “Scottland Act 1998”.

Il ruolo del “Secretary of State” per la Scozia del Governo nazionale risulta solo parzialmente disciplinato dall’atto normativo in oggetto, dato che il 1 luglio 1999

37 Cfr. Scotland Act 1998 (Sezioni 47); G. Caravale, A Family of Nations Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra devolution e Brexit, cit., pp. 39.

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tutte le sue competenze legislative sono state trasferite al Parlamento scozzese e gran parte dei poteri esecutivi al suo esecutivo. Il passaggio di consegne ha riguardato anche l’intero apparato amministrativo.

La ri-nascita di un Governo scozzese non ha comportato l’abolizione dello “Scottish Office”, bensì un naturale ridimensionamento del suo ruolo, sottolineato dal cambio di nome, “Scottland Office”. Il compito principale, rivestito da quest’ultimo è quello di rappresentare gli interessi dell’esecutivo nazionale in Scozia e quelli della Scozia a Londra, in particolare nelle materie riservate, le quali necessitano di un’attuazione comune su tutto il territorio nazionale.

2.6 Lo “Scottland Act 1998”: la materia finanziaria.

L’atto del 1998 ha attribuito alla Scozia una limitata capacità impositiva assegnandole: i) un capitolo della spesa di bilancio nazionale alimentato annualmente dalle entrate del Regno Unito secondo la così detta “Burnett Formula”, (Scottish Consolidate Fund); ii) il potere di imposizione diretta sui suoi cittadini, attraverso l’aumento dell’aliquota sull’imposta dei redditi fino ad un massimo di un 3% rispetto a quanto stabilito da Londra.

Tale normativa è stata poi modificata dagli atti devolutivi successivi del 2012 e 2016 che hanno ampliato i poteri della Scozia in campo economico e fiscale.

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2.7 “Calman Commission”.

Nel 2007 dopo due legislature (1999-2003; 2003-2007) di governi laburisti, in coalizione con i liberal democratici, le elezioni sono state vinte, per un seggio, dallo “Scottish National Party”.

L’SNP ha insediato un Governo di minoranza ed ha istaurato, per la prima volta, un assetto partitico di “colore” differente rispetto a quello centrale.

Il Primo Ministro, Alex Salmond, favorevole all’indipendenza, fin dall’inizio del suo mandato, attraverso le “National Conversations” ha provato a sensibilizzare in tal senso l’opinione pubblica. L’SNP ha però ritenuto opportuno rimandare il referendum indipendentista alla legislatura successiva non ritenendo i tempi maturi.

Nel 2008 il Governo britannico, contrario all’indipendenza scozzese, istituì la “Commission on Scottish Devolution”, presieduta da Sir Kenneth Calman, un “independent body” con l’obbiettivo di rivedere il disposto dello “Scottland Act 1998” e proporre eventuali modifiche, dopo i suoi primi 10 anni di operatività.

La Commissione pubblicò due rapporti: il primo nel 2008 ed il secondo nel 2009; in entrambi i rapporti la Commissione valutò positivamente il processo devolutivo, manifestando la propria contrarietà all’indipendenza. La Commissione, inoltre, si era mostrata contraria al conferimento di una completa autonomia finanziaria.

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Il secondo rapporto della “Calman Commission”, con voce unanime, si pronunciò favorevolmente sia nei confronti dell’attività posta in essere fino a quel momento dal Parlamento scozzese, sia verso un rafforzamento della devolution, individuando specificatamente quattro ambiti di intervento: i) fiscale; ii) cooperazione; iii) “devolution settlement”; ed infine iv) parlamentare.

Tale rapporto è stato oggetto di osservazione da parte dei Governi centrale e periferico: il primo aveva accolto in maniera favorevole le valutazioni ed i consigli della Commissione indipendente, diversa, invece, è stata la reazione del Governo

sub centrale.

Il Governo scozzese, infatti, pur apprezzando il tentativo di modifica dello status

quo, non era risultato soddisfatto dalle conclusioni a cui era giunta la Commissione,

evidenziando la necessità di ottenere una completa autonomia in materia fiscale e ribadendo la volontà di bandire un referendum avente ad oggetto l’indipendenza della Scozia.

2.8 Fase antecedente lo “Scotland Act 2012”.

Il programma elettorale presentato dal partito nazionalista scozzese, SNP, in occasione delle elezioni del 2011 era incentrato sulle aspirazioni indipendentiste e sulla conseguente volontà di indizione di referendaria.

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Come rilevato in precedenza, l’SNP ottené la maggioranza assoluta. Questo esito elettorale spinse il primo ministro Salmond ad attivare il meccanismo costituzionale necessario all’indizione dell’agognato referendum indipendentista.

Il Governo britannico, pur confermando la sua contrarietà, riconobbe il diritto di autodeterminazione del popolo scozzese; Cameron, il primo ministro conservatore britannico, quindi, decise di riconoscere il diritto di scelta agli scozzesi, dichiarando: “the future of Scotland’s place within the United Kindom is for people in Scotland to vote on”.

Gli eventi descritti ci fanno capire come il meccanismo devolutivo fosse ormai elemento caratteristico dell’ordinamento giuridico britannico, percepito, nonostante le spinte secessioniste, come elemento di forza del sistema istituzionale britannico, segno della sua flessibilità.

Le problematiche, quindi non sorsero sull’an del referendum ma sul quomodo, generando tensioni tra i governi centrale e periferico su modalità di indizione, data e formulazione del quesito.

2.9 “Scotland Act 2012”.

Durante questa accesa fase dibattimentale il Parlamento di Westmister ha approvato lo “Scottland Act 2012”, presentato il 30 novembre 2010.

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Tale normativa ha recepito quanto suggerito dai rapporti della “Calman Commission” del 2009 ampliando i poteri di imposizione fiscale dell’Assemblea scozzese (a partire dal 2016), assegnandole la gestione del 35% delle sue entrate e incrementando alcuni ambiti devolutivi secondo il progetto “devo more”38.

Sin dal 1998 i Governi centrali che si sono susseguiti hanno cercato di garantire che fossero rispettate dal Parlamento di Edimburgo sia il diritto comunitario, sia la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU).

Nello “Scottland Act 1998” si disponeva che atti e omissioni, in tal senso, da parte dell’Esecutivo scozzese fossero ultra vires se incompatibili con il disposto CEDU.

Il successivo “Scottland Act 2012”, modificando il precedente Atto del 1998, ha disposto che il “Lord Advocate”, vertice della magistratura inquirente, violando la normativa CEDU, con un suo atto, all’interno di un procedimento penale, ponga in essere una “devolution /compatibility iussue”, in quanto membro dell’Esecutivo scozzese.

Preme rivelare, inoltre, come la legge del 2012 abbia ridefinito le competenze della Corte Suprema in tema di “devolution ius”. Una novità introdotta, in questo senso, in ambito penale, riguarda l’interazione tra le pronunce della Corte Suprema e

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quelle delle Corti scozzesi nel caso in cui insorgano questioni di compatibilità con la normativa CEDU e il diritto comunitario. La Sezione 36, della legge del 2012, ha modificato, infatti, lo “Schedule 6” dello “Scottland Act 1998” identificando le “compatibily issues” come questioni, sorte all’interno dei procedimenti penali scozzesi, riguardanti la compatibilità con il diritto comunitario e la CEDU; ciò prova come, anche successivamente all’entrata in vigore dell’Atto del 2012 permanessero, le mere “devolutions issues” che potevano insorgere qualora il Parlamento scozzese approvasse leggi nell’ambito delle materie riservate al Parlamento di Westmister39.

In ossequio alla “legislative consent motion” l’approvazione da parte del Parlamento Centrale dello “Scottland Act 2012” è stata preceduta dal voto favorevole dell’Assemblea scozzese.

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C a p i t o l o 3

IL PROCESSO DEVOLUTIVO SCOZZESE IN FASE AVANZATA: TRA INDIPENDENZA E “DEVOMAX”

3.1 Il dibattito pre-referendario.

L’acceso confronto politico che ebbe inizio con la vittoria del Partito nazionalista scozzese alle elezioni del 2011 e l’apertura del Governo centrale, in merito alla richiesta di indizione del referendum indipendentista, spostarono il dibattito su le modalità e i contenuti che tale istituto giuridico avrebbe dovuto rivestire.

Nel 2012 il Governo britannico chiarì la propria posizione attraverso un “consultation paper” del Segretario di Stato per la Scozia “Scotland’s Constitutional Future. A Consultation on Facilitating a Legal, Fair and Decisive Referendum on whether Scotland should leave the United Kingdom”, con il quale contemplò tre diverse soluzioni in merito alla corretta modalità di indizione, cercando di ovviare al fatto che la normativa vigente non attribuiva al Parlamento scozzese tale potere. La prima soluzione prospettata, preferita dal Governo centrale, in applicazione della “section 30” dello “Scotland Act 1998”, prevedeva l’approvazione da parte di entrambi i Parlamenti di un “order” che conferisse al Parlamento sub centrale il potere di indire referendum; la seconda ipotizzava una modifica da parte di Westminster dello “Scotland Act 1998”; la terza proponeva, infine, l’indizione diretta del referendum da parte del Parlamento di Londra.

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Il Governo britannico, come sopra accennato, prediligeva la prima soluzione, poiché maggiormente rispondente alle sue esigenze di chiarezza costituzionale e celerità del procedimento.

Il Governo scozzese, all’opposto, aveva interesse a ritardare l’indizione di tale referendum; un lasso di tempo superiore, infatti, gli avrebbe permesso di organizzare meglio la campagna referendaria, facendo leva sul valore simbolico del settecentesimo anniversario della battaglia di Bannockburn40, il cui anniversario si

celebrava nell’ultima parte del mese di giugno; il Governo scozzese, in tal modo, sperava che la concomitanza delle celebrazioni, alimentando il sentimento nazionalista, avrebbe favorito la propria vittoria.

In relazione, poi, al contenuto del quesito il Governo scozzese preferiva un “multi option referendum” che, oltre al voto per il “Sì” o il “No” in merito all’indipendenza, prevedesse un’opzione intermedia, volta all’ottenimento di una maggiore autonomia finanziaria. Questa soluzione, secondo i sondaggi effettuati all’epoca, avrebbe ottenuto la maggioranza dei consensi.

Rilevanti, in questa fase caratterizzata da un acceso dibattito, sono state le raccomandazioni dei Comitati delle Camere componenti il Parlamento di

40La battaglia di Bannockburn (23 giugno, 1314 – 24 giugno, 1314) fu una significativa vittoria scozzese durante la prima

guerra d'indipendenza scozzese (1296–1328). Lo scontro fu decisivo per le sorti del conflitto e produsse, come conseguenza, la restaurazione de facto dell'indipendenza della Scozia dall'Inghilterra, proclamata poi de jure, nel 1328, con la firma del trattato di Edimburgo-Northampton.

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Westminster. In particolare lo “Scottish Affairs Committee” della Camera dei Comuni, fin dal 2011, promosse un’inchiesta relativa al Referendum “on Separation for Scotland”, adiuvandosi della consulenza dei principali costituzionalisti britannici.

Il menzionato Comitato cercò di chiarire quali fossero le procedure necessarie per l’indizione del referendum e di individuare le questioni prodromiche allo svolgimento dello stesso; particolare attenzione, in questo senso, fu prestata alle questioni economiche, ai rapporti internazionali e alla difesa militare, esaminando anche altre tematiche, quali la corretta formulazione del testo referendario e la possibilità di un “multi option” referendum.

A tal fine, si dimostrò utile anche l’apporto fornito dalla “Select Committee on the Constitution” della Camera dei Lords, la quale contribuì a chiarire, già con il rapporto “Referendum on Scottish Independence” pubblicato nel 2012, quali dovessero essere auspicabilmente le procedure da adottarsi.

Il Comitato dei Lords sottolineò, in particolare, come la Costituzione britannica, fondandosi sul principio della “rule of law”, impediva di fatto alla Scozia di indire un referendum autonomamente, non potendo quest’ultima muoversi al di fuori dei poteri delegati.

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Lo stesso Comitato chiarì, inoltre, che il rispetto del principio della sovranità parlamentare rendeva tutti i referendum “advisory (rather than binding)”, quindi, come tali, necessitanti, per la loro effettività, di complesse fasi successive.

3.2 L’Accordo di Edimburgo.

In seguito all’acceso dibattito sopra riferito, nella capitale scozzese venne stipulato il 15 ottobre 2012 un accordo volto a disciplinare le modalità e i tempi del referendum indipendentista. Tale accordo, denominato “Accordo di Edimburgo”, venne sottoscritto, da una parte, dal premier britannico David Cameron e dal ministro per gli Affari scozzesi Michael e per la Scozia, dall’altra parte, dal primo ministro Alex Salmond e dalla sua vice ministro, Nicola Sturgeon.

Entrambe le parti optarono per il conferimento di una delega legislativa “eccezionale”, sulla base di uno strumento giuridico ad hoc, la “Section 30 Order”, attraverso cui il Parlamento centrale conferì al Parlamento scozzese i poteri per indire il referendum, stabilendo che il quesito da sottoporre agli elettori fosse unico e che la consultazione fosse effettuata entro il 31 dicembre 2014.

La soluzione adottata, preferita dal Parlamento centrale, si basa su un’interpretazione costituzionalmente restrittiva dei poteri del Parlamento di Holyrood.

L’adozione di un unico quesito e non la “multi option solution” tuttavia danneggiava il Governo scozzese, precludendogli, in caso di esito negativo del

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quesito indipendentista, il quasi certo premio di consolazione, consistente in maggiori poteri in ambito fiscale.

L’Accordo in esame specificava inoltre i limiti di spesa consentiti, che sarebbero dovuti restare a carico del Governo di Edimburgo, se la consultazione si fosse svolta in concomitanza delle elezioni politiche e locali scozzesi.

Il referendum scozzese venne sottoposto al vaglio della Commissione Elettorale, indipendente ed imparziale, istituita nel 2000 con l’atto “Political Parties, Elections and Referendums Act 2000”, nata con il compito precipuo di sottoporre a controllo ogni quesito referendario presentato a Westmister.

La Commissione elettorale modificò il contenuto del quesito per renderlo più neutrale rispetto alla versione originaria, raccomandando inoltre ai due governi di trovare un accordo sulle questioni aperte prima dello svolgimento del referendum; tali indicazioni vennero poi recepite dall’Accordo di Edimburgo41.

3.3 La campagna referendaria.

La campagna per il referendum, svolta in un clima pacifico ed inclusivo, ha rivestito un enorme importanza, essendo riuscita a focalizzare l’attenzione pubblica, anche europea, sul tema dell’indipendenza.

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Il fronte del “SI”, cappeggiato dall’SNP e riunito sotto la sigla “Yes Scotland”, vide, inoltre, schierati gli “Scottish Green” e altri gruppi minori. Il Gruppo del “NO” all’indipendenza vide insieme, già dal 2012, i laburisti, i liberal democratici e i conservatori, con lo slogan “Better Together”. Quest’ultimo gruppo sostenne con forza l’idea che la Scozia fosse più forte se parte integrante del Regno Unito42. Il

loro slogan, inizialmente “better together”, venne successivamente mutato in “No thanks”, per familiarizzare i votanti con il concetto del “No” all’indipendenza.

In accordo con quanto richiesto dalla “Electoral Commission”, il Governo centrale, durante la campagna referendaria, pubblicò molti documenti (“Scotland analysis”) volti ad approfondire le tematiche legate al referendum e alle modalità realizzative dell’indipendenza.

Nell’ultimo documento, risalente al 2014, il Governo britannico dichiarò in particolare che la scelta di rimanere parte integrante del Regno Unito avrebbe avuto, tra gli altri vantaggi, quelli di poter mantenere la sterlina, garantire minori tasse ed avere maggiori risorse da rivolgere alla spesa pubblica, ambito molto rilevante in Scozia.

Il Governo scozzese sintetizzò le ragioni del “No” in un documento politico, pubblicato a novembre 2013, il “White paper Scotland’s Future. Your Guide to an

42 Cfr. G. Caravale, A Family of Nations, Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra Devolution e Brexit, cit.,

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Indipendent Scotland”43. Tale documento, manifesto elettorale della campagna,

conteneva i progetti che il fronte del “SI” avrebbe voluto realizzare in caso di vittoria. Particolarmente significativi sono i passaggi del testo nel quale si afferma la volontà di dotarsi di una Costituzione scritta, di mantenere la Corona come capo dello Stato, un'unica moneta e di rimanere membro dell’Unione Europea.

Il dettagliato documento aveva utopisticamente individuato una data precisa per la futura indipendenza, il 24 marzo 2016, ignorando il carattere “advisory” dell’istituto referendario in oggetto, che avrebbe necessitato, in quel caso, di complesse trattative non sottoponibili a così strette scadenze.

La campagna per il “SI”, a marzo 2014, era data intorno al 31-32% dei consensi, ma successivamente iniziò la sua ascesa, per poi rallentare in estate e crescere di nuovo in maniera vertiginosa tra la fine di agosto e i primi di settembre del 2014: il 6 settembre, il “SI” è stato per la prima volta in vantaggio nei sondaggi44.

3.4 L’Indipendent Bill: la rilevanza della proposta di una costituzione scritta.

Uno dei temi che accesero maggiormente il dibattito fu la proposta del fronte del “SI” di dotare il futuro stato scozzese di una Costituzione scritta, in contrasto con la tradizione britannica. Per l’attuazione di questo progetto ci si sarebbe avvalsi di

43 Cfr. The Scottish Governament, White paper Scotland’s Future. Your Guide to an Indipendent Scotland,

Edimburgo, 26 novembre 2013.

44 Cfr. F. La Barbera, Arrivederci Indipendenza, Scozia, Regno Unito e UE dopo la vittoria del no, sito web

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44

una “Costitutional Convention”, di cui peraltro la Scozia aveva già avuto esperienza come osservato in precedenza.

Nel rappresentare tale progetto, contenuto nel “White Paper-Scotland’s Future”, si fece esplicito riferimento ad altre esperienze simili in cui tale opzione si era rivelata efficace, quali la British Columbia (2004), l’Olanda (2006), l’Ontario (2007), e l’Islanda (2010).

Attraverso tale documento programmatico il fronte indipendentista sottolineò la necessità di aderire alla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, in merito alle garanzie previste in tema di tutela di diritti, e di voler rimanere all’interno del “Commonwelth”, mantenendo il Capo dello Stato e la Corona Britannica.

Tale progetto, sostenuto anche da Neil MacCormick, insigne costituzionalista aderente all’SNP, prese forma concretamente con la presentazione, il 16 giugno 2014, del “The Scottish Indipendent Bill: a consultation on a interim Costitution for Scotland”, una proposta di costituzione ad “interim”, che, in caso di vittoria del “SI”, sarebbe stata approvata entro la data prevista per l’indipendenza45.

Tale “draft”, di chiaro intento propagandistico, avrebbe necessitato per la sua approvazione della complessa realizzazione di diversi presupposti tra cui: i) la vittoria del “SI”; ii) l’approvazione popolare; iii) l’effettiva delega da parte di

45 Cfr. The Scottish Governament, The Scottish Indipendent Bill: a consultation on an iterim Costitution for

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Westmister al Parlamento scozzese, in merito al potere di approvare un testo eccedente le competenze previste dalla normativa vigente ed infine iv) il passaggio parlamentare, con i suoi inevitabili emendamenti.

Il disegno di legge, inoltre, analizzò le tappe necessarie alla realizzazione del progetto indipendentista post referendario.

Tale atto riveste interesse anche per essere stato strutturato come una legge di rango costituzionale, in un ordinamento, quello britannico, dove la distinzione tra leggi ordinarie e costituzionali è assente. Per realizzare tale scopo la legge sarebbe stata “rinforzata” da un “certification system”, secondo il quale ogni successivo disegno di legge in contrasto con essa avrebbe dovuto dichiarare se ne rispettava o meno i contenuti.

Altro aspetto rilevante di tale proposta di legge è rappresentato dal fatto che il medesimo sancì la supremazia del popolo scozzese, concetto già affermato nel “White paper Scotland Future” dal governo scozzese stesso.

A seguito di tale affermazione, parte della dottrina vide lo “Scottish Indipendent Bill” come un ponte tra un ordinamento giuridico, come quello britannico, caratterizzato dalla centralità e supremazia del Parlamento ed una tipologia di Stato caratterizzata, invece, dalla centralità di una Costituzione scritta e tutelata dalla presenza di una Corte Suprema con il potere di invalidare le leggi parlamentari in caso di contrasto con essa.

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