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Diritto del socio a vendere vs diritto della società alla riservatezza. La due diligence: un banco di prova.

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Diritto del socio a vendere vs diritto della società alla

riservatezza.

La due diligence: un banco di prova

La Candidata Il Relatore

Antonia Grimolizzi Chiar.mo Prof. Andrea Bartalena

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INDICE

Introduzione……….3

1. CESSIONE DI PARTECIPAZIONI E TUTELA DELL’ACQUIRENTE………8

1.1. Il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali……….8

1.2. Tutela dell’acquirente in assenza di espresse previsioni contrattuali……….………...19

1.2.1. Rimedi ex empto………...27

1.2.2. Rimedi ex contractu……….31

1.3. Rimedi elaborati dalla giurisprudenza a tutela dell’acquirente………..35

1.4. Rimedi elaborati dalla prassi a tutela dell’acquirente…………...40

1.4.1. Business Warranties………45

1.4.2. Legal Warranties………58

1.5. Meccanismi di adjustment price, clausole di earn out e deposito in escrow………..63

2. LA DUE DILIGENCE………68

2.1. Definizione e funzione………....68

2.2. Tipologie di due diligence………..…………72

2.3. Esiste un “diritto alla due diligence”?...79

2.3.1. Principio di parità di trattamento tra soci……….……....94

2.3.2. (Segue)……….……….104

2.3.3. Un caso di negata due diligence……….……….108

3. RESPONSABILITA’ DELLE PARTI IN SEDE DI DUE DILIGENCE……..114

3.1. Profili di responsabilità degli amministratori della società alienante……….……….114

3.1.1. Accordi di riservatezza……….……….133

3.1.2. Patti di rinunzia all’azione di responsabilità verso gli amministratori………..…………..141

3.2. Profili di responsabilità dell’acquirente………...147

4. LA DUE DILIGENCE NELLE SOCIETA’ QUOTATE..………..150

4.1. Le ragioni di una specifica riflessione……….……….150

4.2. Processi prolungati e obblighi di disclosure….………152

4.3. Insider trading e due diligence……….……....173

Bibliografia………183

Indice delle pronunce citate………..200

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3 Introduzione

Non molto tempo fa, sulla Harward Business Review, veniva pubblicato un articolo dal titolo “When to walk away from a deal”1, con un incipit

che sarebbe stato ripreso successivamente da molti autori: “Making

deal is glamorous, due diligence is not”. L’articolo in questione si

risolveva, per buona parte, in un monito agli operatori delle M&A nel guardare alla due diligence come a qualcosa di più che ad una semplice verifica contabile della società2.

Il presente lavoro si propone l’obiettivo di esaminare proprio questo tema, tanto importante nella prassi delle M&A quanto poco affrontato a livello giurisprudenziale e teorico: la due diligence.

Questa fase, per quanto non “attraente”, si rivela, in sede di acquisizione di partecipazioni societarie, attività quantomai necessaria per l’acquirente, trattandosi del “processo attraverso il quale viene

compiuta un’indagine volta ad accertare i contenuti di un’attività imprenditoriale, società o azienda (il target), o di alcuni suoi aspetti, al fine di rendere possibile una valutazione economica, e non solo, dell’attività stessa”3. La due diligence non trova espressa

regolamentazione nel nostro ordinamento ed è, da più parti, ritenuta

1 CULLINAN-LE ROUX-WEDDIGEN, When to Walk Away from a Deal, in Harvard Business

Review, 2004, pagg. 96 ss.

2 Ibidem; “Due diligence all too often becomes an exercise in verifying the target’s financial statements rather than conducting a fair analysis of the deal’s strategic logic and the acquirer’s ability to realize value from it”.

3 PULITANÒ, La due diligence legale, in DRAETTA-MONESI (a cura di), I Contratti di

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implicitamente incompatibile con i principi di fondo del nostro diritto societario. Obiettivo del seguente elaborato è tentare, invece, di dimostrare che non solo non esista, in senso assoluto, un “divieto di due diligence” ma che, a certe condizioni, sia possibile riconoscere in capo al socio alienante un vero e proprio “diritto alla due diligence”. La difficoltà nella trattazione del tema emerge, sicuramente, dall’assenza di una disciplina legislativa sul punto, da cui deriva una conseguente ed ovvia complessità nel dover bilanciare di volta in volta gli interessi contrapposti, quali il diritto alla riservatezza della società, da un lato, e il diritto ad alienare del socio, dall’altro, cui si aggiunge la carenza di tutela dell’acquirente di partecipazioni societarie, in base ai rimedi previsti ex lege.

Per cercare di dare una sistemazione organica alla trattazione, sarà necessario, in primis, inquadrare il contesto in cui tali interessi contrapposti si inseriscono. Per tale ragione, la prima parte dell’elaborato sarà dedicata ad un’analisi del contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, sede in cui si esplica la fase di due diligence. Sin da subito emergerà l’assente caratterizzazione di tale contratto che, pur rientrando nel più ampio genus della compravendita, coinvolge interessi non tutelabili con i classici rimedi ex empto. Si vedrà, infatti, come il contratto di acquisizione presenti un problematico gap tra il significato economico dell’operazione (non giuridicamente rilevante e che si sostanzia nell’interesse dell’acquirente ad ottenere una determinata consistenza patrimoniale della target) e quello giuridico (che mira a far acquisire, mediante quel contratto, un complesso di diritti che attribuisce solo mediatamente la disponibilità del patrimonio4). La ragione dell’assente tutela del significato economico

4 SPERANZIN, Vendita della partecipazione di controllo e garanzie contrattuali, Milano, 2006, pag. 9.

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si rinviene nell’interpretazione, pacificamente accolta, secondo cui oggetto del contratto di acquisizione sono le partecipazioni sociali (e, cioè, il significato giuridico del contratto) e i relativi diritti ad esse connessi e non una frazione del patrimonio aziendale. La conseguenza di tale assunto è che l’acquirente non potrebbe far valere i classici rimedi contrattuali, e neppure quelli specifici ex empto, per lamentare una consistenza patrimoniale della target difforme da quella promessa dal venditore.

Preso atto dell’ inadeguatezza dei dati normativi esistenti ad apprestare tutela all’acquirente, si analizzeranno i rimedi elaborati dalla giurisprudenza e, più efficacemente, dalla prassi, a tutela di quest’ultimo. Il riferimento sarà alle cc.dd. business warranties con cui l’acquirente ottiene la garanzia di una certa consistenza patrimoniale, e ai meccanismi di adjustment price che gli consentono, invece, di procedere a rettifiche al rialzo o al ribasso del prezzo a seconda delle difformità accertate. Tendenzialmente, il rilascio di tali garanzie è modulato sulla base delle peculiari caratteristiche della target e, comunque, interviene quando già sono stati evidenziati, in sede di indagine della società, potenziali o conclamati rischi. Questo ci consente di approdare alla trattazione, nello specifico, della due

diligence, fornendo prima una descrizione pratico-operativa della

stessa, e cercando, poi, di costruire un fondamento teorico.

Come già anticipato, vengono in considerazione, da un lato, l’interesse del socio a vendere e dall’altro, l’interesse della società alla riservatezza. Quanto al primo, si vedrà come, negare l’esperibilità della

due diligence significhi, di fatto, precludere al socio la possibilità di exit

dalla società, dal momento che nessun acquirente ragionevole accetterà di acquisire la partecipazione di una target di cui non conosce “lo stato di salute”. Quanto al secondo, consentire la due diligence

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significherebbe offrire dati riservati della società a soggetti che potrebbero essere – e di norma lo sono – suoi competitors.

La configurabilità di un “diritto alla due diligence” risulta, in effetti problematica, alla luce del nostro diritto societario in cui l’azionista è “strutturalmente distante dall’amministrazione”5. Ciò emerge, con

particolare evidenza, dall’art. 2422 c.c. che limita il diritto di ispezione di questi al libro dei soci e al libro dei verbali e delle adunanze. Proprio questo limitato diritto informativo del socio è ritenuto, da molti, un ostacolo alla due diligence, dal momento che – si sostiene – se neppure l’azionista ha accesso agli affari sociali non si vede come possa averlo un soggetto extraneus alla società. Pensare poi ad un “diritto alla due

diligence” risulta problematico alla luce dell’obiezione, spesso avanzata

in dottrina, secondo cui l’amministratore che consentisse l’indagine da parte dell’acquirente agirebbe in conflitto di interessi con la società. Quel che si farà sarà tentare di superare queste due principali obiezioni alla configurabilità della due diligence nel nostro ordinamento, prima dimostrando che l’art. 2422 c.c. non rappresenti, in realtà, un limite assoluto; poi tentando di adottare una nozione di interesse sociale che consenta, non solo, di escludere che il diritto del socio a vendere sia necessariamente in conflitto con l’interesse sociale ma che, anzi, quest’ultimo, possa trovare attuazione proprio nell’alienazione del socio. Questa particolare condizione si ravviserà, nello specifico, nell’ipotesi di alienazione della partecipazione di maggioranza che ci consentirà di individuare l’ipotesi in cui possa dirsi esistente un “diritto di due diligence”.

5 MORELLO, Lineamenti di una teoria e un caso di negata due diligence, in Le Società, 2018, pag. 1381.

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In seguito, ci si muoverà verso un’analisi dei profili di responsabilità delle parti in sede di due diligence e, dunque, degli amministratori della società alienante, da un lato, e dell’acquirente, dall’altro. In particolare, si analizzerà la posizione degli amministratori verso il socio (analizzando gli strumenti di tutela apprestati in favore di quest’ultimo nel caso di rifiuto della richiesta di due diligence) e verso la società (analizzando il canone di diligenza degli amministratori per andare esenti da responsabilità), per poi procedere all’analisi della posizione dell’acquirente. Quanto a quest’ultimo, destinatario di informazioni riservate della target, si vedrà come può calibrarsi l’obbligo di riservatezza per i dati ricevuti in sede di due diligence e le problematiche che sorgono ove l’acquirente sia, a sua volta, una società.

Da ultimo, si volgerà lo sguardo alla due diligence nelle società quotate in cui tale fase solleva problematiche di più ampio respiro, rivolte non solo all’interno, verso la società, ma anche all’esterno, verso i mercati. Più in particolare, si affronteranno i profili di comunicazione al mercato dei “processi prolungati” e la problematica relativa all’utilizzo di eventuali informazioni privilegiate ricevute in sede di due diligence, nella cornice normativa del Regolamento MAR.

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Capitolo primo

CESSIONE DI PARTECIPAZIONI E TUTELA DELL’ACQUIRENTE

1.1. Il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali

Il contratto di acquisizione di partecipazioni1 sociali (o di cessione, dal

punto di vista dell’alienante2) non costituisce un tipo a sé stante nel

panorama normativo italiano, ma risulta qualificabile come una species del più ampio genus del contratto di compravendita.

Un inquadramento di questo tipo suggerisce, sin dall’inizio, come l’unica disciplina normativa di riferimento sarà quella di cui agli artt. 1470 ss. c.c. Quest’ultima, tuttavia, nel corso dell’analisi, mostrerà la sua inadeguatezza rispetto ad un contratto che, pur se originato dalla compravendita, coinvolge interessi del tutto estranei a quest’ultimo

1 “Con riferimento all’oggetto della compravendita non appare invece corretta l’espressione, seppure essa sia ricorrente nella prassi, di ‘acquisto di una società’: difatti il contratto non concerne la società, ma solo la partecipazione che un socio detiene nella società. Anche se l’acquisto di azioni o quote implica, nella relativa misura percentuale, l’acquisto delle attività e passività della società, ciò avviene solo indirettamente”. SANGIOVANNI, Contratto di cessione di partecipazione sociale e

clausole sul prezzo, in Le Società, 2014, pag. 1161.

2 Come efficacemente osserva Sangiovanni, op.cit., pag.1161: “il contratto in esame può essere indicato almeno con tre diverse espressioni. Visto dal punto di vista del venditore, si parla di ‘contratto di cessione’ di partecipazioni societarie. Nell’ottica dell’acquirente si para di ‘contratto di acquisizione’ (espressione più diffusa nella prassi). ‘Cessione’ e ‘Acquisizione’ indicano lo stesso meccanismo (il trasferimento della partecipazione) visto da due prospettive diverse. Il termine più corretto per indicare il contratto di cui ci si sta occupando è allora semplicemente quello di ‘compravendita’ laddove quest’unica parola ha la capacità di esprimere sia la posizione di chi vende che di chi compra”.

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modello contrattuale e presenta un oggetto che solleva problematiche non risolvibili con i classici rimedi ex empto3.

Proprio a causa dell’assente caratterizzazione di questo tipo contrattuale, la prassi si è orientata verso accordi che mirano ad essere autosufficienti4. Si tratta di contratti sempre più dettagliati e precisi,

tendenzialmente redatti in lingua inglese5, che la prassi contrattuale

internazionale uniforma sotto il nome di “Share and Purchase

Agreement” (SPA) e che mirano a non lasciare alcun vuoto di

regolamentazione6. “Il Sale and Purchase Agreement è un contratto

3 Si veda infra par. 2.2.

4 Si veda, DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2017, pag. 8.

Vale, tuttavia, la pena di ricordare che “il contratto completamente autoregolato è un’astrazione che non corrisponde al reale” (SACCO, Il diritto non scritto, in ALPA -GUARNERI-MONATERI-PASCUZZI-SACCO,Le fonti del diritto italiano, Le fonti non scritte e

l’interpretazione, in Trattato di diritto civile, diretto da SACCO, Torino, 1999, pag. 17). Va, comunque, rilevato come, nella maggior parte dei casi, tale esigenza di autosufficienza scaturisca dal carattere internazionale di questi contratti in cui la scelta di quale diritto nazionale applicare solleverebbe non pochi problemi. “Le parti del contratto internazionale tendono infatti sempre più spesso ad attuare la c.d.

delocalizzazione del rapporto. Questa consiste nell’emancipazione del regolamento

contrattuale dal diritto dello Stato (la direzione è opposta a quella della tecnica cd. di localizzazione posta alla base delle norme di conflitto) e ciò anche (è questo, in sostanza, un passaggio obbligato) nella fase di risoluzione delle eventuali controversie che vengono deferite, quasi sempre, al giudice arbitrale”. D’ALESSANDRO,

Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, pag.

72 nt. 78.

5 È il caso di notare come, anche nell’ipotesi di parti contraenti italiane, si usi molto spesso la lingua inglese. De Nova, op.cit., pagg. 2-4, individua due ordini di ragioni alla base di questa scelta: “una prima risposta” sta nel fatto che “questo tipo di contratto non è espressamente disciplinato dal diritto italiano come autonomo tipo contrattuale” e, dunque, le parti “adottano un testo come il Sale and Purchase

Agreement”. Una seconda ragione sta “nella presenza di interessi fondamentali

anche al di fuori di un singolo paese. (…) Spesso se una società non italiana vuole acquistare una società italiana, non si renderà direttamente acquirente ma costituirà in Italia una propria società controllata. In questo modo l’acquirente della società italiana sarà italiano ma gli interessi coinvolti nel contratto si trovano anche al di fuori dell’Italia”.

6Ciò emerge con particolare riguardo in tema di garanzie dell’acquirente che, in assenza di clausole espresse, come si vedrà ampiamente oltre, risulterebbe pressoché sguarnito di tutela. Peraltro, il carattere internazionale di questi accordi impedisce, spesso, di riferirsi, per la risoluzione delle controversie sorte dal contratto, alla clausola generale di buona fede poiché, di frequente, sono coinvolti contraenti i cui ordinamenti di appartenenza non recepiscono il principio di buona fede tra privati

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fatto e pensato per non essere integrato da una disciplina legale”7 con

un approccio contrattuale totalizzante decisamente più vicino alla

freedom of contract di matrice anglo-americana8. Come vedremo,

proprio a causa della forte influenza delle categorie giuridiche di

Common Law nella redazione degli SPA e in virtù del carattere

internazionale che li caratterizza, l’approccio allo studio di questo tipo di contratto richiederà una costante rilettura degli istituti emersi nella prassi internazionale alla luce degli strumenti offerti dal panorama giuridico nazionale.

La regolamentazione così dettagliata e minuziosa che contraddistingue gli SPA si spiega, peraltro, alla luce della forte contrapposizione di interessi tra le parti contraenti9: da un lato, il seller, interessato a

vendere la propria partecipazione nella società target rivelando il minimo delle informazioni inerenti alla gestione e cercando di garantire il meno possibile all’acquirente; dall’altro, il buyer, interessato ad acquistare in maniera consapevole ed informata e ad avere garanzie per l’eventualità in cui l’effettiva consistenza patrimoniale della società non sia conforme a quanto dichiarato dal venditore.

come regola generale di condotta. Si pensi ai sistemi di Common Law in cui va tuttavia rilevata una parziale inversione di rotta sancita dai giudici nel caso “Yam Seng PTE Ltd

v International Trade Corporation Ltd [2013] EWHC 111” che ha riconosciuto un

principio di “good faith” perlomeno nei cc.dd. relational contracts. 7 De Nova, op.cit., pag. 8.

8 “Freedom of contract represents the possibility to create a general and specific contract without any government restriction; but it doesn’t mean that law promises any type of contract or a general freedom of contract about the inherent obligation: it means that any parties are able to determine their subjective interest in a concrete transaction, started by a cooperative sense of bargaining and negotiation, permeate by a common sense of right”. MUCCI, Freedom of contract, a comparative analysis

between Common Law in UK and Civil Law in Italy, reperibile su

www.academiaedu.com

9È noto che il contratto, per definizione, costituisca una regolamentazione di interessi contrapposti ma la portata degli interessi economici coinvolti in questo tipo di accordi e l’autonomia particolarmente ampia riconosciuta alle parti nella determinazione dei contenuti giustificano riflessioni più dettagliate sul “conflitto di interessi” tra i contraenti degli SPA.

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È proprio alla luce di questo “conflitto di interessi” che deve essere analizzato l’intero contratto di acquisizione così da comprendere appieno il senso di ogni singola fase in cui questo si articola.

Il processo per giungere ad un accordo di cessione di partecipazioni, infatti, è particolarmente complesso e la tradizionale sequenza bifasica precontrattuale-contrattuale si snoda, qui, in ulteriori subprocedimenti sanciti da vari accordi, non necessariamente vincolanti, che dànno conto del progressivo avvicinarsi della volontà delle parti. Per questa ragione, appare doveroso, per cercare di capire il contesto contrattuale in cui emergono le problematiche oggetto di trattazione, fare un accenno alle singole tappe che caratterizzano il procedimento per giungere al contratto di acquisizione facendosi riferimento a schemi che, pur se non normativamente, sono, senza dubbio, socialmente tipici10.

Nella maggior parte dei casi, le trattative, coinvolgendo interessi ed informazioni di un certo spessore, sono precedute da accordi volti a regolamentare il modus operandi delle parti durante la negoziazione. Particolarmente frequente è la sottoscrizione di cc.dd. confidentiality

agreement11, che, in prima approssimazione, possiamo definire come

accordi di carattere vincolante12 con cui le parti si obbligano a non

divulgare alcuna delle informazioni scambiate durante le trattative.

10 D’Alessandro, op.cit., pag. 75.

11 L’argomento sarà oggetto di specifica trattazione infra Cap. III, par. 3.1.1.

12 Efficacemente TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, pag. 97, definisce “in rapporto di complementarietà e strumentalità” questi accordi rispetto alle trattative in genere.

Più avanti l’Autore, facendo proprie le riflessioni di OESTERLE, The law of merger and

acquisitions, Saint Paul, 2012, sottolinea, peraltro, l’importanza della collocazione di

questi accordi rilevando come, benché frequente nella prassi, possa essere un errore inserire l’accordo di riservatezza nelle lettere di intenti dal momento che, molto spesso, queste non hanno affatto carattere vincolante ma “hanno la funzione principale di chiarire le intenzioni delle parti in merito alla conclusione dell’accordo”.

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Oltre alla confidenzialità delle informazioni, molto spesso il seller intende assicurarsi l’esclusività della negoziazione e, a questo scopo, potrà richiedere la sottoscrizione di un c.d. standstill agreement con cui il buyer si impegna a non entrare in trattative con terzi concorrenti per un certo periodo di tempo13.

Ancora più complesso e articolato sarà, poi, il procedimento in caso di trattative con modalità di gara poiché, in quest’ipotesi si assisterà ad una fase ulteriore e prodromica volta alla scelta del potenziale negoziatore. La negoziazione con modalità di gara prende avvio con un invito a manifestare interesse14 che consente al seller di spedire ai

soggetti “interessati” la proposta d’acquisto con un prezzo base di offerta. Meglio nota nella prassi come “preliminary process letter15”,

questo documento si rivela di particolare importanza poiché i termini d’acquisto ivi stabiliti non possono in alcun modo essere modificati. I potenziali acquirenti potranno, a partire da quella proposta d’acquisto, presentare delle offerte esclusivamente sul prezzo16.

13 Si ricordi che, in assenza di questo accordo, non sarebbero affatto vietate trattative in parallelo che avrebbero il solo limite della buona fede; limite che, peraltro, varrebbe solo negli ordinamenti che la prevedono come principio generale nei rapporti tra privati. DRAETTA, Documenti precontrattuali nei negoziati relativi a

mergers e acquisitions. Rassegna della prassi internazionale, in BONELLI-DE ANDRÈ (a cura di), Acquisizione di società e di pacchetti azionari e di riferimento, Milano, 1990, pag. 100.

14È quello che gli inglesi definiscono “teaser”, si veda GOLE-HILGER, Corporate

Divestitures: a merger and acquisition practice guide, New York, 2008, pag. 201: “The

teaser is a very brief document containing just enough information to generate interest, but which includes nothing that the selling corporation judges to be sensitive or proprietary”.

15 Ancora sul punto Gole-Hilger, op.cit., pag. 204: “The broker usually distributes a letter along with the offering document, the preliminary process letter, which describes the first round of the bidding process for the participants. In the preliminary process letter, the broker establishes a specific time deadline and other requirements for the initial round of bidding and describes how the remainder of the sale process will be conducted for the parties that are invited to participate in the second round”. 16 De Nova, op.cit., pag. 55.

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Solo in seguito a questa fase di regolamentazione più strettamente procedurale, le parti entreranno nel cuore delle trattative, nella c.d. “Negotiating of Sale and Purchase Agreement”, una fase che potremmo definire “precontrattuale” in senso lato17, in cui gli accordi,

anche quelli non vincolanti, rivestono un ruolo cruciale per la successiva regolamentazione di interessi nel signing18.

Superata la fase delle trattative che, in genere, ricopre lassi di tempo abbastanza lunghi, la formalizzazione dell’accordo si articola in due momenti ulteriori:

• signing (formale conclusione del contratto di acquisizione);

• closing (esecuzione e perfezionamento dello stesso). La sequenza signing-closing solleva non pochi problemi di inquadramento per il giurista italiano dal momento che “abbiamo sostanzialmente due vicende, di cui una, il Signing, si chiama

17 In senso lato perché, molto spesso, già in questa fase le parti si premurano di stipulare documenti “legally binding upon the parties”. In senso conforme si veda Draetta, op.cit., pag 99, il quale rileva come si chiamino convenzionalmente tali documenti “precontrattuali” solo perché logicamente precedono la stipula del contratto.

18 Gli accordi elaborati nella fase delle trattative, potranno risultare, per esempio, utile strumento nella fase di interpretazione e ricostruzione del contratto definitivo che si è stipulato. Si veda art. 1362 , co.2., c.c.: “Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”. Va pure rilevato, tuttavia, come nella prassi delle M&A, molto spesso si specifichi che il contratto costituisce “the entire agreement”. Sul punto De Nova, op.cit., pag. 41, che, prendendo ad esempio per l’analisi commentata, un contratto di SPA riporta il punto 2 della clausola 12 del contratto in esame: “Entire Agreement. Changes in writing: this Agreement constitutes the entire agreement between the Parties with respect to subject matter hereof and supersedes all prior agreements (if any) relating to the same subject matter, including the binding offer made by the Buyer and mentioned in recital E hereof”. Per un approfondimento vedasi De Nova, op.cit., pag. 76, par. 7 (‘Rilevanza delle scritture precedenti rispetto

al Sale and Purchase Agreement’).

18 Per una puntuale riflessione e distinzione con l’offerta al pubblico (art. 1336 c.c.) si veda De Nova, op.cit., par 2.3, pag. 52 (‘Invito a manifestare interesse e offerta al

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compravendita ma pare non esserlo – non avendo effetto traslativo in sé e per sé – mentre l’altra, il Closing – che per il giurista italiano non sembra nemmeno un contratto – è per contro definita come una compravendita di azioni”19.

Nel signing, infatti, le parti sanciscono obblighi20 di vario tipo a carico

di entrambi, al cui adempimento è sospensivamente condizionato l’effetto traslativo del contratto. Com’è stato osservato “per un verso, lo SPA è il momento finale della trattativa […], per altro verso, esso programma l'attività dei mesi successivi di entrambe le parti per conseguire il trasferimento”21.

Volendo inquadrare la sequenza contrattuale nelle nostre categorie giuridiche possiamo classificare il signing come un contratto preliminare22 ovvero come un contratto sottoposto a condizione

(sospensiva o risolutiva23).

19 De Nova, op.cit., pag. 10.

20 “Obblighi di fare, obblighi di cooperazione nell'attività dell'altra parte (ad es. ai fini delle autorizzazioni antitrust o in settore regolamentari), obblighi di non fare”. GIAMPAOLINO, L'esecuzione dello SPA relativo alla maggioranza delle partecipazioni e

la posizione dei terzi (Gestione interinale; earn out; drag-along), in Giur. Comm., 2018,

pagg. 976 ss.

21 Giampaolino, op.cit., pag. 977.

22Tina, op.cit., pag. 45, ritiene che sia possibile differire il momento esecutivo rispetto alla conclusione dell’accordo proprio ricorrendo alla “redazione di un preliminare, seguita, entro il termine stabilito, dalla conclusione del contratto definitivo” salvo precisare che “in questo caso, però, non si può più parlare di una scissione dello stesso contratto in due momenti essenziali, ma di due momenti relativi a contratti differenti e distinti, seppur collegati”. Per le problematiche relative alla determinazione dell’effettiva natura di un contratto definito preliminare ma che regola i rapporti in modo da non lasciare spazio ad ulteriori integrazioni, si veda ampiamente Tina, op.cit., pagg. 47 ss. In senso contrario, tuttavia, De Nova, op.cit., pag 15: “Non si può dire che il SPA sia un contratto preliminare cui debba seguire un contratto definitivo, né dire che il SPA sia un vendita definitiva e traslativa”. In senso contrario anche IUDICA, Il prezzo della vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. Soc., 1991, pag. 762, secondo il quale il contratto di compravendita delle partecipazioni sociali si configura come un contratto quadro ma definitivo.

23 È assai più frequente il ricorso a condizioni sospensive perché, come osserva Tina, op.cit., pag. 45 nt. 13, a proposito delle risolutive “non sembra che il loro utilizzo possa adattarsi perfettamente alle esigenze che vengono in rilievo nelle operazioni di acquisizioni di partecipazioni sociali” dal momento che un contratto risolutivamente

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Il criterio discretivo tra l’una e l’altra ipotesi è evidente e la scelta è interamente rimessa alle parti: in un caso, queste si impegnano, mediante un contratto meramente obbligatorio, ad una futura manifestazione di volontà24, nell’altro caso, il contratto,

sospensivamente condizionato25, per quanto non ancora efficace, è un

contratto definitivo di compravendita, che, in caso di avveramento della condizione, produce retroattivamente gli effetti della cessione. Le implicazioni di una scelta o dell’altra sono, peraltro, evidenti anche in termini di passaggio del rischio dal venditore all’acquirente (artt. 1376 e 1465 c.c.) che, nel caso del preliminare, si produce al momento del

closing, con una maggiore tutela dell’acquirente.

Quale che sia la cornice di regolamentazione scelta dalle parti per il

signing, segue la fase di perfezionamento del contratto26 in cui si

procederà ai seguenti adempimenti27:

condizionato produce immediatamente effetti che saranno tuttavia travolti retroattivamente nel caso di avveramento della condizione. L’Autore rileva l’evidenza delle conseguenze negative che si realizzerebbero dal punto di vista di gestione della società.

24 Tina, op.cit., pag. 46.

25 Peraltro, nel caso in cui si opti per un contratto sottoposto a condizione, problemi di non poco conto sorgono nell’individuazione del contenuto della stessa. Si veda ROSSI, Le condizioni del closing, in BONELLI-DE ANDRÈ (a cura di), Acquisizioni di società

e di pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990, pag. 174, solleva il problema del closing sospensivamente condizionato all’accertamento della veridicità degli

elementi essenziali del contratto. Una clausola di questo tipo sarebbe meramente potestativa ex art. 1355 c.c., perciò secondo l’Autore, per ovviare al problema, è necessario “condizionare il contratto all’ottenimento delle informazioni e dei documenti idonei a provare la veridicità e il persistere degli elementi essenziali”. Tina, op.cit., pag. 149 nt. 262 ritiene tuttavia che sia problematico stabilire quali documenti possano dirsi idonei per gli accertamenti.

26 È questa l’ accezione corretta del termine “closing” ma va dato conto del fatto che, nella prassi contrattuale italiana, il termine sia impropriamente utilizzato anche per riferirsi a quella che gli inglesi chiamano completion, ossia la data fissata dalle parti per incontrarsi e dare esecuzione alle obbligazioni derivanti dal contratto traslativo. Si veda SPERANZIN, Vendita della partecipazione di controllo e garanzie per

contrattuali, Milano, 2006, pag. 26 nt. 42.

27 “The purchase and sale of the Shares, the payment of the Purchase Price and, in general, the execution and exchange of all documents and agreements and the performance and consummation of all obligations and transactions, respectivey

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• pagamento del prezzo; • esecuzione del contratto; • acquisto/vendita di azioni28.

Il differimento dell’accordo in due momenti si spiega, ancora una volta, alla luce del conflitto di interessi sotteso ad un contratto di questo tipo: nella maggior parte dei casi, il lasso di tempo intercorrente tra signing e closing è funzionale, infatti, all’effettuazione della due diligence da parte dell’acquirente. Comportando la due diligence la divulgazione di informazioni riservate, sarà chiaramente interesse del venditore concludere perlomeno un contratto preliminare o sottoposto a condizione (c.d. signing) prima di aprire la data room della società; dall’altro, sarà interesse dell’acquirente, perfezionare il contratto solo in seguito ad un’oculata analisi e valutazione della consistenza patrimoniale (ma non solo)29 della società che gli consentirà, in caso di

difformità rilevanti rispetto a quanto attestato in sede di signing da parte del venditore, di richiedere eventualmente un adjustment

price30.

Tuttavia, altre possono essere le ragioni che spingono ad un differimento dei due momenti: per esempio si potrebbe dover richiedere la ratifica degli accordi da parte dei rispettivi consigli di amministrazione delle società interessate o, ancora, potrebbero essere

required to be executed and exchanged and performed and consummated on the Closing Date pursuant to this Agreement”. De Nova, op.cit., pag. 16.

28 Questo a riprova del fatto che in sede di SPA non avvenga un effetto traslativo. Si veda supra, in questo capitolo, Giampaolino, op.cit., pag. 10.

29 Gli ambiti di esplicazione della due diligence, come si vedrà infra Cap II, sono molteplici e si estendono ad aspetti di carattere fiscale, ambientale e soprattutto, in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, sarà particolare oggetto di indagine proprio l’adeguamento dell’ente ai modelli di organizzazione, gestione e controllo prescritti da tale decreto.

30 È necessario, tuttavia, che sia stata prevista apposita clausola in sede di signing. Si veda infra par. 1.4.

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necessarie delle autorizzazioni e approvazioni da parte di organi statali (p.e. della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)31. Il

tempo intercorrente tra signing e closing sarà chiaramente differente a seconda del tipo di condizione apposta all’accordo potendo variare da alcuni giorni a qualche mese32.

Il differimento in due momenti del contratto potrebbe, poi, rendere necessaria una pattuizione apposita che disciplini la gestione ad interim della società, proprio nelle more tra il perfezionamento del contratto e l’esecuzione dello stesso. Anche qui la contrapposizione di interessi tra le parti è evidente: da un lato, fintantoché la transazione non è completa e non si avverano le condizioni cui è sospensivamente condizionato il contratto, il buyer non può vantare alcun diritto nella gestione della società target; dall’altro lato, interesse dell’acquirente sarà quello di trovare, in sede di closing, una società nelle medesime condizioni in cui era stata descritta al momento del signing33. La

regolamentazione è rimessa alla libera scelta delle parti che potranno optare o per tenere ferma in capo al venditore la gestione della società, oppure per trasferirla all’acquirente. Nella maggior parte dei casi, com’è facile immaginare, in virtù della forza contrattuale del venditore, l’amministrazione resterà a quest’ultimo con l’ingresso, al più, nel CdA della società ceduta di un rappresentante dell’acquirente34. Ciò che si

richiede in questi casi è che la gestione, pur rimasta in capo al venditore, sia una gestione diligente e, soprattutto, limitata all’

31 Rossi, op.cit., pag 176.

32 JAEGER, Impegni relativi all’amministrazione interinale della società fino al closing, in BONELLI-DE ANDRÈ (a cura di), Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di

riferimento, Milano, 1990, pag. 120.

33 MORI, Operazioni di preparazione e pulizia del target e gestione ad interim del

target, in DRAETTA-MONESI (a cura di), I Contratti di acquisizione di società e aziende, Milano, 2007, pag. 410.

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“ordinaria amministrazione”35. Nella prassi, le clausole sulla gestione ad interim parlano di “normale gestione”, in cui “normale” è da

intendersi non come riferimento al modo di comportarsi di un imprenditore medio, ma al modo in cui quell’imprenditore si è fin a quel momento comportato nella gestione della società36.

Com’è facile intuire, già da questo primo inquadramento, ci troviamo dinanzi ad un contratto permeato da consistenti asimmetrie informative che rendono problematica la posizione dell’acquirente. In altri termini, quest’ultimo si trova a compiere un’operazione economica di entità consistente, con meno informazioni a disposizione di quel che avrebbe in una ordinaria compravendita. È chiaro che obiettivo dell’acquirente sarà ottenere quante più informazioni possibili prima di concludere il contratto ma questo, com’è ovvio, si scontrerà con le esigenze di riservatezza della società alienante. Tenendosi conto di questi due interessi contrapposti, è possibile partire dall’analisi del primo problema e cioè quale tutela possa invocare l’acquirente per far valere eventuali difformità rispetto alla res oggetto di compravendita.

35 È frequente trovare nella prassi di questi accordi tale espressione che, come sappiamo, se mantiene il suo significato in merito all’amministrazione di soggetti incapaci, assume confini ambigui ove riferita alla società.

36 Jaeger, op.cit., pag. 126. Molto spesso nella pratica la questione viene risolta tramite le representations e warranties, nel senso che il venditore garantisce che anche al momento del closing non saranno intervenute modificazioni di rilievo nella situazione patrimoniale della società. Si veda infra par. 1.4.

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1.2. Tutela dell’acquirente in assenza di espresse previsioni contrattuali

La scelta di trattare in questa sede la problematica relativa all’oggetto del contratto si spiega per il valore strumentale che la questione assume rispetto alla tutela dell’acquirente. Se è vera l’equazione “oggetto del contratto = oggetto della tutela”37 non è possibile passare

in rassegna i rimedi a tutela del compratore senza prima circoscrivere l’oggetto della tutela.

La problematica è di grande interesse dottrinale dal punto di vista della teoria generale del contratto, ma acquisisce, come vedremo, una portata pratica ancor più dirompente. L’interrogativo di fondo, da cui deriva una serie di importanti corollari, riguarda proprio ciò che l’acquirente, mediante il contratto di acquisizione, consegue.

Ci si è chiesti, cioè, se la res acquisita sia la partecipazione sociale oppure se quest’ultima sia solo rappresentativa di una quota parte del patrimonio sociale che corrisponderebbe, invece, al reale oggetto del contratto.

La scelta tra l’una e l’altra ipotesi ha implicazioni pratiche notevoli in punto di tutela dell’acquirente, dal momento che solo nell’ultima ipotesi potremmo sostenere una diretta applicabilità delle norme del codice in tema di vizi e mancanza di qualità della cosa venduta ai beni sociali38.

37 D’Alessandro, op.cit., pag 16.

38 IORIO, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni

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Dottrina e giurisprudenza maggioritaria39 sono pressoché concordi nel

ritenere oggetto del contratto le partecipazioni sociali, da considerarsi come indipendenti e autonome rispetto al patrimonio della società. Vi sono stati, tuttavia, pure Autori40 che, per cercare di meglio tutelare

l’acquirente e con attenzione rivolta più al profilo sostanziale dell’operazione di acquisizione che a quello formale, hanno sostenuto tesi che, pur se sviluppate diversamente, avevano tutte come obiettivo quello di considerare oggetto del contratto di compravendita di partecipazioni sociali, una quota parte del patrimonio della società. La teoria più risalente è quella del Mossa, che si inserisce in un’elaborazione dell’Autore di più ampio respiro volta al superamento della personalità giuridica della società nella sua accezione formale41.

L’Autore parte dall’assunto di fondo secondo cui tutte le volte che venga trasferito un pacchetto azionario tale da garantire il controllo42 39 Per la giurisprudenza, si vedano Cass., 28 agosto 1952, n. 2784, in Dir. fall., 1952, pagg. 473 ss.; Cass., 30 ottobre 1969, n. 3625, in Banca, borsa e tit. di cred. 1970, pagg.523 ss; Cass., 22 luglio 1980, n. 4783, in Dir. fall, 1980, pagg. 522 ss; Cass., 27 settembre 1999, n. 10669, in Giur. it., 2000, pagg. 980 ss.; Trib. Milano, 26 novembre 2001, in Le Società, 2002, pagg. 568 ss., con nota di PROVERBIO, Spunti di riflessione in

tema di compravendita di partecipazioni sociali; Cass. 19 luglio 2007, n. 16031, in Giur. comm. , 2008, pagg. 103 ss.; App. Milano, 9 Luglio, 2013, n.2801, in Riv. dott. Comm.,

2013, pag. 929 ss.; Tribunale Roma, 28 Settembre 2015, n.19193, in Giur. Comm., 2017, pagg. 904 ss. con nota di TINA, Clausole di garanzia, patti parasociali ed esonero

da responsabilità degli amministratori nel trasferimento di partecipazioni societarie.

Per una raccolta della dottrina sul punto si veda BONELLI,Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni, in BONELLI-DE ANDRÈ (a cura di), Acquisizioni di società e di pacchetti

azionari di riferimento,Milano,1990;spec.: FERRI, Incidenza delle obbligazioni sociali

nei rapporti tra cedente e cessionario di quota sociale, in nota ad App. Bologna, 21

Novembre 1935, in Foro it., 1936 pagg. 712 ss.; PUGLIATTI, Vendita di azioni e garanzia

per evizione, nota a App. Milano, 5 luglio 1935, in Banca, borsa e titoli di credito, 1937,

pagg. 86 ss.; DI SABATO, Manuale delle Società, Milano, 1987, pagg. 326 ss.

40 MOSSA, La vendita dell’impresa sociale, nota a Reichsgericht, 9 marzo 1928, in

Annuario dir. comp. e studi leg., 1932, pagg. 157 ss.

41 Come osserva D’Alessandro, op.cit., pag. 29, la teoria del Mossa sull’oggetto del contratto è semplicemente un corollario della tesi di fondo da cui parte.

42 D’Alessandro, op.cit., pag. 29 nt. 36, dà tuttavia conto di un cambio di dottrina da parte dell’Autore che, successivamente, in una nota a sentenza (Cass., 28 agosto 1952, n. 2784, in Nuova. riv. dir. comm., 1953, pagg. 87 ss.) scriverà: “le azioni non sono che il segno della partecipazione degli azionisti alla società, e la società per azioni è una persona giuridica titolare della sua impresa e del suo patrimonio”.

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della società, si operi un superamento della personalità giuridica della stessa. In altri termini, non si tratterebbe più di una vendita di partecipazioni sociali ma di una vendita d’azienda, con la conseguenza che l’acquirente di un pacchetto di controllo acquisirebbe la maggioranza del patrimonio e non semplicemente delle partecipazioni sociali.

È interessante notare come la teoria sia completamente ancorata all’entità della partecipazione. In altri termini, ogni trasferimento che abbia ad oggetto un pacchetto di controllo è da considerarsi come avente ad oggetto la quota parte del patrimonio corrispondente alla partecipazione trasferita43. Come è stato osservato44, restano oscure le

ragioni per cui la personalità della società dovrebbe dipendere a doppio filo dalla entità della partecipazione trasferita; non si capisce, cioè, in che modo si produrrebbero modificazioni sul regime giuridico in conseguenza dell’entità della partecipazione che, al più, assumerebbe importanza per gli assetti economici all’interno della compagine sociale.

Altra tesi di cui va fatta menzione è quella del negozio indiretto, sostenuta dal Salandra45. Per poter correttamente impostare il

problema, bisogna tenere conto della distinzione che l’Autore opera tra oggetto mediato e oggetto immediato46 del contratto di acquisizione 43 “Si può sin d’ora osservare che non appaiono chiare, nelle decisioni e negli scritti ora in esame, le ragioni in base alle quali il fattore quantitativo -vendita della maggioranza delle azioni o della totalità di esse- sia determinante del fenomeno giuridico” trasformando una vendita di partecipazioni in una vendita di azienda. “Nello stesso tempo, appare curioso il corollario che da questo orientamento deriva: la personalità giuridica ci sarebbe per le minoranze e non invece per la maggioranza, davanti alla quale il soggetto-società diventerebbe trasparente”. D’Alessandro, op.cit., pagg. 29-30.

44 Ibidem.

45 Si veda nota a Cass., 6 agosto 1935, n. 3297, in Foro it., 1936, pagg. 207 ss. 46Speranzin, op.cit., pag. 15 nt. 21, precisa che “la distinzione tra oggetto mediato ed immediato del contratto viene costantemente ripetuta in giurisprudenza, con la finalità peraltro di escludere, in difetto di esplicite garanzie contrattuali, che

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ravvisandosi nel primo una quota parte del patrimonio sociale e nel secondo le partecipazioni sociali. Ora, la rilevanza che assumerebbe l’oggetto mediato del contratto dipenderebbe dalla volontà delle parti in sede di stipulazione del contratto, nel senso che – sostiene l’Autore – “se le parti prendono immediatamente in considerazione come oggetto diretto del contratto quello che ne è ordinariamente l’oggetto mediato e considerano la vendita di azioni come mero strumento formale per conseguire la cessione della totalità o di parte notevole di un’azienda, anche questo oggetto indiretto del negozio diventa giuridicamente rilevante”47. La teoria del negozio indiretto48 ha

riscontrato alcuni consensi piuttosto minoritari49 ma giurisprudenza

più recente sembra averla rivalutata50.

all’acquirente di partecipazioni possa riconoscersi tutela in merito alla consistenza del patrimonio ai sensi degli artt. 1490 ss. c.c. (Cass., 25 Gennaio 2000, n. 804)” e vedasi

infra nt. 70 Trib. Milano 26 Novembre 2001. Più di recente si vedano Cass., 6

novembre 2014, n. 23649, reperibile su http://www.leggiditaliaprofessionale.it/; Trib. Milano, 4 agosto 2014, in I Contratti, 2014, pagg. 1035 ss.; Trib. Torino, ord.3 marzo 2014, reperibile su http://www.leggiditaliaprofessionale.it/.

47 La sentenza è citata da D’Alessandro, op.cit., pag. 30 nt. 39. In senso contrario RAVÀ,

Gli obblighi di garanzia nella vendita di quota e di azione sociale, in Scritti giuridici in memoria di Arcangeli, Padova, 1939, pagg. 387: “Ed invero, il fatto che le parti

abbiano intenzione di alienare l’azienda sociale attraverso l’alienazione delle azioni non può assolutamente avere l’effetto che essa venga realmente alienata: l’azienda sociale appartiene alla società”.

48 È appena il caso di ricordare come molti Autori abbiano sostenuto l’utilizzo improprio del nomen “negozio indiretto” dal momento che di questo si potrebbe parlare solo quando “lo scopo che si vuole raggiungere indirettamente, sia dalle parti concretamente perseguibile. Nella vendita di partecipazioni sociali, invece, il trasferimento del patrimonio sociale è uno scopo che giuridicamente non può essere raggiunto neppure in via indiretta, giacché il titolare del patrimonio sociale è la società e non il socio”. Iorio, op.cit. pagg. 48-49. In senso conforme si veda FERRI,

Incidenza delle obbligazioni sociali nei rapporti tra cedente e cessionario di quota sociale, in Foro it., 1936, pagg. 712 ss.

49 Si veda Cass., 4 Agosto 1941, n. 2736: la vicenda, analizzata da Iorio op.cit. pag. 45, aveva ad oggetto il trasferimento dell’intero pacchetto azionario di una società proprietaria di una tenuta agricola. Mediante l’analisi delle dichiarazioni rese in fase precontrattuale si accertò che l’acquirente intendeva ricorrere al trasferimento delle azioni solo come strumento formale per conseguire la proprietà della tenuta. La Cassazione, qualificò, dunque come meramente fittizia l’operazione di trasferimento. 50D’Alessandro, op.cit., pag. 31 nt. 41, cita Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059, in Le

Società, 2000, pagg. 1205 ss., con nota di FIGONE, Cessione di quote sociali ed oggetto

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Eguale negli esiti ma ancorata a presupposti diversi, è la tesi di Ascarelli che ha qualificato le azioni come “beni di secondo grado”51. Nelle

riflessioni che l’Autore fa sulle partecipazioni sociali, definisce le azioni come “rappresentative di diritti relativi a beni che, pur sempre economicamente appartengono, attraverso la collettività, di cui è parte, al titolare delle azioni stesse”52.

Quel che non convince delle tre tesi è che esse pervengano a conclusioni prescrittive a partire da un’osservazione meramente economico-fattuale delle operazioni di acquisizione.

Al di là di queste elaborazioni di cui si è voluto fare menzione per esigenze di completezza, va preso atto che, per orientamento ormai consolidato, si sostiene che il solo proprietario dei beni sociali debba considerarsi la società53 e che la stessa rimanga titolare durante ogni

volta individuato e dato rilievo all’oggetto indiretto, stabilisce, con riferimento a questo, che vi è stato inadempimento della prestazione traslativa. In un certo senso, dunque, essa sembra gettare anche un ponte dalla tesi giurisprudenziale, imperniata sulla promessa di qualità, alla concezione, prevalente in dottrina, incentrata sul cd. inadempimento della prestazione traslativa”. Si veda infra par. 1.5.

51 Per una riflessione in termini problematici della tesi di Ascarelli si veda D’Alessandro, op.cit., pag. 32 nt. 43 il quale cerca di operare una distinzione tra l’appartenenza delle azioni in senso economico e l’appartenenza in senso giuridico delle stesse ai soci, tentando di dare un’autentica interpretazione del pensiero dell’Autore a partire proprio dalla definizione di “beni di secondo grado”: “se si ammette che proprietari dei beni sociali sono i titolari delle azioni, queste non possono più essere qualificate come ‘beni di secondo grado’. Anzi, non possono affatto essere considerate beni. A ben guardare, invero, se si prescinde dallo ‘schermo’ della persona giuridica i soci sono semplicemente contitolari del patrimonio sociale, e non v’è luogo alla formazione di un’altra classe di beni”. Egli si trova tuttavia in seguito a dover constatare che la commistione tra le categorie giuridiche ed economiche operate da Ascarelli rende impossibile “impostare il problema sulla base di presupposti solidi e, soprattutto, univoci”.

52 ASCARELLI, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto

commerciale, Milano, 1955 pag. 219.

53 “Il patrimonio sociale appartiene alla società e non al socio, e questi non può in nessun modo intaccarlo: almeno finché si tiene ferma la nozione della società come persona giuridica, e la conseguente distinzione del patrimonio sociale, come proprio della società, rispetto ai patrimoni personali dei singoli soci. Tale nozione non ammette concessioni di nessun genere, ed è stato giustamente criticato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui essa dovrebbe avere o meno applicazione secondo la varietà dei casi e delle circostanze, in rapporto a discutibili ragioni di equità”.

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vicenda traslativa relativa alle partecipazioni sociali a prescindere dall’entità della partecipazione trasferita54. Come è stato sostenuto, “i

beni sociali non sono oggetto di negoziazione ed anzi non subiscono, per effetto del trasferimento del titolo, alcuna vicenda traslativa: essi appartengono alla società e non cambiano titolare”.55

Ne consegue che non è possibile parlare in termini di comproprietà del patrimonio sociale da parte degli azionisti, dal momento che la comunione sui beni sociali deve ritenersi solo potenziale per il caso in cui la società si sciolga56.

Corollario di questa tesi è la perfetta autonomia giuridica della società da cui deriva che “non può istituirsi alcun collegamento diretto tra la titolarità delle quote e la titolarità – pro quota – dei beni sociali”57 .

PUGLIATTI, Vendita di azioni e garanzia per evizione, nota a App. Milano, 5 luglio 1935, in Banca, borsa e titoli di credito, 1937, pagg. 86 ss.

54 “La circostanza che l’acquirente di un pacchetto totalitario si trovi nelle condizioni di disporre in fatto, ma pur sempre attraverso la mediazione dell’organo amministrativo, del complesso aziendale «è elemento fattuale che non consente di equiparare il mutamento di titolarità della partecipazione al trasferimento di azienda »”: così CANÈ, Cessione di partecipazioni e clausole di garanzia: brevi note a margine della sentenza della Corte di Cassazione n. 17948/2012, reperibile su

www.academiaedu.it che cita, a sua volta, MONTALENTI, Le acquisizioni societarie tra

astrattezza del titolo e patrimonio di riferimento in AA.VV., Le acquisizioni societarie,

Torino, 2011, pagg. 9 ss.

55 CAMPOBASSO, Vendita del pacchetto azionario di società in liquidazione per perdite, in Riv. dir. priv., 1996, pagg. 362 ss.

56 Iorio, op.cit., pag 39. In senso contrario Coco, Luci e ombre nella tutela

dell’acquirente di partecipazioni sociali in Contr. E Impr., 2005, pag. 1171, il quale

sostiene - citando, a sua volta, NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle

S.p.A., Torino, 1997, pagg. 611 ss. - che “Neppure la liquidazione della società

legittima i soci all’acquisizione dei beni facenti parte del patrimonio sociale, avendo essi soltanto il diritto alla distribuzione dell’attivo residuo dopo l’eliminazione del passivo e la iscrizione dell’avvenuto deposito del bilancio finale di liquidazione”. 57 Iorio, op.cit., pag 41 nt. 33, cita a questo proposito un passo di AMBROSOLI, Vendita

di partecipazioni sociali di controllo e partecipazioni dell’ente in assenza di clausole di garanzia, in I Contratti, 1996, pag. 202 secondo cui “nel caso in cui la società sia

proprietaria di un unico bene, occorre sottolineare che attribuire ad esso rilevanza, nel caso di compravendita dell’intero pacchetto azionario, non significa dire che oggetto della compravendita sia stato il bene e non la partecipazione sociale; nel caso in cui ad esempio, la società sia proprietaria di un terreno, non potranno applicarsi le norme in tema di compravendita immobiliare (artt. 1537 c.c. ss.) ma dovranno

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Va, tuttavia, pure dato atto di un’epoca giurisprudenziale piuttosto risalente in cui è stata identificata la cessione di partecipazioni come cessione dei beni sociali. Ciò è stato possibile a partire dal disconoscimento della personalità giuridica di alcuni particolari organizzazioni societarie: le società cc.dd. di comodo o «familiari» (ravvisabili in presenza di una compagine sociale ristretta e su base familiare), ritenendosi che in tali casi la società fosse stata creata per raggiungere fini particolari esterni a quelli sociali. Venendo a mancare lo schermo della personalità giuridica della società, sui beni sociali si creava una vera e propria comproprietà dei soci sui beni da sottoporsi al regime di cui agli artt. 1110 ss c.c. in luogo degli artt. 2247 ss c.c. In casi di questo tipo, all’acquisizione delle partecipazioni sociali veniva in realtà applicata la disciplina della cessione d’azienda dal momento che la vendita risultava per l’alienante un “mero strumento di smobilizzazione dei beni sociali”58.

Aver circoscritto l’oggetto del contratto ci consente ora di passare a ragionare sulla tutela dell’acquirente: nessun dubbio sussiste circa l’esperibilità dei rimedi ex empto per l’ipotesi in cui il compratore ravvisi dei vizi attinenti alla partecipazione sociale. Problematica appare, invece, la tutela dello stesso contro vizi della consistenza patrimoniale della società che, come si è visto, non è qualificabile come oggetto del contratto.

Ciò che occorre considerare, preliminarmente, è proprio il gap che intercorre tra il “significato economico dell’operazione” e la

applicarsi le norme in tema di vendita di beni mobili (le azioni), facendo operare la disciplina sulla qualità della cosa venduta”.

58 App. Milano, 24 ottobre 1933, in Riv. dir. comm., 1935, pagg. 122 ss.; Cass., 27 luglio 1933, in Riv. dir. comm., 1935, pagg. 121 ss. In realtà, la giurisprudenza successiva ha tutelato l’acquirente, in ipotesi di questo genere, semplicemente mettendo in dubbio l’esistenza stessa della società. Si veda Tina, op.cit., pag. 198 che richiama sul punto Cass., 1.12.1987, n.8939.

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“configurazione giuridica del contratto di vendita delle

partecipazioni”59. In altri termini, giuridicamente si sta perfezionando

l’acquisto di un complesso di diritti60 che, solo in via mediata,

attribuisce una quota del patrimonio sociale, mentre dal punto di vista economico la scelta dell’acquirente si fonda proprio su valutazioni relative al patrimonio sottostante alle partecipazioni sociali.

A questo punto, bisogna cercare di capire come possa preservarsi il significato economico attribuito all’operazione dall’acquirente, e, cioè, come quest’ultimo possa far valere eventuali vizi della condizione patrimoniale della società, in assenza di espresse garanzie del venditore.

59 L’espressione è utilizzata da Speranzin, op.cit., pag. 9, per mostrare la discrasia tra il significato che economicamente il compratore attribuisce a quel contratto (acquisto della partecipazione di controllo quale mezzo di acquisto dell’azienda o di un determinato bene di cui è titolare la società) e la configurazione giuridica del contratto di vendita. In quest’ultima accezione “il contratto ha l’effetto di trasferire un diritto o complesso di diritti che attribuisce solo in via mediata la disponibilità del patrimonio”. Le teorie di Mossa, Salandra e Ascarelli avevano nei fatti tutte l’obiettivo di colmare questo gap operando, proprio a partire dal significato economico attribuito dalle parti, una modificazione del regime giuridico.

60 “Questi poteri di gestione non hanno comunque alcun effetto diretto sul patrimonio che non può essere sottratto dagli organi sociali (e a maggior ragione dai singoli soci) al vincolo di destinazione attribuitogli dal contratto di società finché quest’ultima non venga posta in liquidazione con previa soddisfazione dei creditori”: così Speranzin, op.cit., pag. 10.

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1.2.1. Rimedi ex empto

Sotto la voce di rimedi ex empto raggruppiamo le tutele apprestate a favore dell’acquirente dalle norme in tema di compravendita, specificamente quelli di cui agli artt. 1490 c.c. (garanzia per i vizi della cosa venduta) e 1497 c.c. (mancanza di qualità). Il comma I dell'art. 1490 c.c. precisa che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore"61. I vizi,

per orientamento ormai consolidato, devono essere “vizi materiali”62 e

non giuridici63 e devono essere “occulti”, dal momento che se

l’acquirente li conosceva, ai sensi dell’art. 1491 c.c., la garanzia non è dovuta.

In presenza di tali vizi, l’acquirente potrà ricorrere alle cc.dd. azioni edilizie:

a) la risoluzione del contratto (azione redibitoria);

b) la riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris), previste

dall'art. 1492, co. 2, c.c.

61 BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano, 1972, pag. 840. 62 RUSSO, Le tutele legali nelle acquisizioni societarie, in DRAETTA-MONESI (a cura di), I

contratti di acquisizione di società e azienda, Milano, 2007 cfr. GAUDENZI,

Compravendita: la garanzia per vizi, reperibile sul sito www.notiziariogiuridico.it. Il requisito della materialità del vizio, secondo BUSET, Vendita di partecipazioni sociali di

“controllo” e garanzie patrimoniali: rassegna critica, in Nuova giur. civ. comm., 2015,

pagg. 355 ss., è da intendersi come “difetto materiale della cosa alienata e, anche quando si tratti di qualità promesse, deve per forza attenere ad un intrinseco ‘attributo funzionale o strutturale del bene’. Un’impostazione di questo tipo, com’è ovvio, mal si attaglia al rilievo per cui il valore economico di un bene è ontologicamente inidoneo a costituirne un siffatto attributo, esprimendo soltanto, in termini monetari, la misura in cui esso può essere scambiato con altri beni”.

63 Questi ultimi potranno eventualmente essere fatti valere con la disciplina dell’evizione.

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Nell’ipotesi sub a) si procederà alle restituzioni da ambo le parti e, dunque, il venditore dovrà restituire il prezzo e i pagamenti ulteriori eseguiti in funzione della vendita, mentre il compratore dovrà restituire la res venduta.

Nell’ipotesi sub b), invece, il rimedio si sostanzierà nella riduzione del prezzo in rapporto alla menomazione subita dalla res venduta.

Le seguenti azioni sono, peraltro, soggette a termini prescrizionali e decadenziali particolarmente brevi dal momento che il compratore ha otto giorni dalla scoperta del vizio occulto per denunciare64 e un anno

dalla consegna come termine entro cui l’azione si prescrive. Altro rimedio ex empto è quello di cui all’art. 1497 c.c.:

“Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle

essenziali per l’uso a cui destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (1453 e seguenti), purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.

Tuttavia, il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall’articolo 1495”.

L’azione apprestata a tutela dell’acquirente, in questi casi, è quella di risoluzione del contratto per “mancanza di qualità promesse”65 ed è

esperibile, nei brevi termini su menzionati, tutte le volte in cui si

64 La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato.

65Trib. Roma, 5 Ottobre 2005, massima reperibile su www.ilcaso.itLa corrispondenza o meno del valore del bene venduto al prezzo pattuito non attiene alle qualità intrinseche (essenziali o promesse) previste dall'art. 1497 c.c., in quanto la misura del prezzo pattuito è normalmente irrilevante, a meno che non siano invocati i presupposti che consentano la rescissione per lesione ultra dimidium ovvero l'errore sul prezzo è causa di annullabilità del contratto solo qualora sia consistito in errore sulla qualità del bene”.

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apprezzino carenze strutturali della res venduta che impediscano di qualificarla come appartenente alla species pattuita66.

Fatto questo brevissimo inquadramento delle azioni ex empto bisogna tentare di rispondere all’interrogativo da cui siamo partiti e, cioè, se queste siano invocabili dall’acquirente che lamenti una consistenza patrimoniale non in linea con le aspettative e che non abbia ricevuto idonee garanzie.

La giurisprudenza dominante, proprio a partire dalla ricostruzione evidenziata dell’oggetto del contratto di compravendita, nega, “ossequiando la concezione tradizionale della persona giuridica come soggetto di diritto”67, che il compratore possa ottenere una qualche

tutela sulla consistenza patrimoniale della società difforme da quella promessa, in assenza di garanzie sulla situazione patrimoniale.

Posto, dunque, che la consistenza patrimoniale non è direttamente tutelabile con i rimedi ex empto, si potrebbe tentare di invocare i rimedi codicistici indirettamente, nel caso in cui, cioè, un patrimonio difforme da quello promesso si riflettesse su un’inidoneità o mancanza di qualità della partecipazione sociale stessa.

Se il presupposto dei due rimedi ex empto visti risiede nella inidoneità della res o nella mancanza di qualità, si potrebbe tentare di dimostrare che la consistenza patrimoniale difforme abbia reso inidoneo l’oggetto di compravendita. Per capire quando ciò possa dirsi, bisogna riflettere sull’uso tipico della partecipazione sociale, e cioè “contribuzione

66 Russo, op.cit., pag. 442.

67 Si veda Buset, op.cit., pag. 359, che richiama ampia giurisprudenza sul punto: Cass., 12 giugno 2008, n.15706, in Giur. it.,2008, pagg. 2766 ss.; Cass., 18 dicembre 1999, n. 14287, in Vita notar., 2000, pagg. 347 ss.; Trib. Roma, 16 novembre 2011, reperibile su http://www.leggiditaliaprofessionale.it/; Trib. Milano, 8 novembre 2011, in

Società, 2012, pagg. 94 ss.; Trib. Milano, 18 marzo 2006, in Corr. merito, 2006, pagg.

1133 ss.; tra le più risalenti, si veda Cass., 16 febbraio 1977, n. 721, in Foro it., 1977, pagg. 2275 ss.;

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