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Studio e realizzazione di un robot per l'esplorazione spaziale

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Academic year: 2021

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(1)

Facoltà di Ingegneria

Laurea Specialistica in Ingegneria Aerospaziale

Tesi di laurea

Candidato:

Simone Maria Alicino

Relatori:

Prof. Antonio Bicchi

Prof. Giovanni Mengali

Ing. Adriano Fagiolini

STUDIO E REALIZZAZIONE DI UN ROBOT

PER L’ESPLORAZIONE LUNARE

(2)

Sommario

La presente tesi di laurea descrive lo studio e la realizzazione di David, un veicolo per l’esplorazione lu-nare sviluppato da un gruppo di ricercatori e studenti del Centro Interdipartimentale di Ricerca “E. Piag-gio” dell’Università di Pisa in occasione della competizione Lunar Robotics Challenge indetta dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA). In particolare vengono trattate due delle principali innovazioni del robot proposto per la competizione: il sistema di locomozione e il sistema di acquisizione del materiale campione.

Tenendo conto delle specifiche della competizione, è stato considerato un certo numero di sistemi di lo-comozione differenti, tra i quali è stato scelto un sistema di ruote semplice, robusto ed efficace. Pertanto viene fornito un resoconto della scelta tra cinque tipi differenti di ruote che sono state ideate, progettate e provate sperimentalmente in condizioni simili a quelle della competizione. Inoltre il sistema scelto è risul-tato essere molto efficiente nell’affrontare pendenze del 89% sul terreno vulcanico del Monte Teide, Te-nerife, sito in cui ha avuto luogo la competizione.

Per ridurre la distanza da percorrere su terreno sconnesso ed evitare i rischi connessi con il raggiungimen-to del fondo del cratere, il veicolo è staraggiungimen-to dotaraggiungimen-to di un innovativo sistema di acquisizione del materiale, un manipolatore a lancio. La manipolazione a lancio è una tecnica con cui l’organo terminale viene lanciato, acquisisce il materiale campione, e quindi viene recuperato per mezzo di un sottile cavo che funge da “fi-lo da pesca”. Il manipolatore a lancio sviluppato per David sfrutta una innovativa tecnica a fionda, in gra-do di effettuare lanci più lunghi e più precisi rispetto alla versione precedente che utilizzava una tecnica oscillatoria. Allo scopo di dimostrarne l’efficacia, vengono riportati l’analisi e i risultati sperimentali della fionda robotica di David.

Infine viene presentato un breve resoconto dei risultati della competizione ESA Lunar Robotics Challen-ge, durante la quale la squadra si è classificata al secondo posto su un totale di otto squadre qualificatesi per la fase finale.

(3)

Abstract

This thesis describes the design and implementation of David, a lunar vehicle developed by a team of the Interdepartmental Research Centre “E. Piaggio” of the University of Pisa for the European Space Agency (ESA) Lunar Robotics Challenge, presenting severe terrain negotiation and sample acquisition challenges. Two of the main innovative aspects of the entry to the challenge, i.e. the locomotion system and the sam-ple acquisition system, are discussed in some detail.

Motivated by the challenge specifications, a range of different locomotion system were considered, a-mong which a simple, rugged and effective wheeled system has been chosen. It is provided an account of the choice of five different types of wheels, which were designed, analyzed and experimentally tested in conditions similar to the challenge. The system eventually turned out to be very effective in negotiating 89% slopes of volcanic terrain on the challenge site, Mount Teide in Tenerife.

To reduce the distance to be traveled on the difficult terrain and avoid risks in reaching the lowest parts of a crater, the vehicle was endowed with an innovative sample acquisition system, i.e. a casting manipula-tor. Casting manipulation is a technique in which the end-effector is thrown, the sample material is acqui-red, and the end-effector is retrieved using a light tether that acts as a “fishing line”. The casting manipu-lator developed for David uses an innovative sling-like technique, capable to obtain longer and more pre-cise casts than previous oscillating versions. The analysis and experimental verification of David’s robot sling are reported, demonstrating its effectiveness.

Finally, a brief account of the outcomes of the ESA Lunar Robotics Challenge is given, where the team came in second over other eight teams that passed the final qualification phase.

(4)

Indice

Indice delle Figure ... IV

Indice delle Tabelle ... VI

Lista dei simboli ... VII

Capitolo 1

Introduzione ... 1

1.1 Obiettivo della tesi ... 1

1.2 Stato dell’arte ... 1

1.2.1 La ricerca di acqua sulla Luna ... 1

1.2.2 L’esplorazione robotica ... 2

1.3 Linee guida ... 5

Capitolo 2

Fondamenti di Robotica ... 7

2.1 Robotica... 7 2.2 Struttura meccanica ... 7 2.3 Cinematica ... 8 2.3.1 Cinematica diretta ... 8 2.3.2 Cinematica inversa ... 10 2.3.3 Cinematica differenziale ... 10 2.4 Dinamica ... 11 2.5 Attuazione e Controllo ... 12 2.6 Veicoli robotici ... 13 2.6.1 Configurazioni ... 14 2.6.2 Stabilità ... 16 2.6.3 Manovrabilità ... 16 2.6.4 Trazione ... 18

(5)

Capitolo 3

Il veicolo ... 24

3.1 La piattaforma mobile ... 24

3.2 Le ruote... 26

3.2.1 Le ruote impiegate nella competizione ... 29

Capitolo 4

Cinematica e dinamica del manipolatore ... 31

4.1 Schema concettuale del manipolatore ... 31

4.2 Cinematica ... 31

4.3 Dinamica ... 33

4.4 Problema inverso ... 35

Capitolo 5

Progetto del manipolatore... 37

5.1 Le linee guida della progettazione ... 37

5.2 Il manipolatore ... 37 5.2.1 Il primo braccio ... 38 5.2.2 Il secondo braccio ... 40 5.2.3 Il filo ... 43 5.2.4 Il gruppo frizione-rocchetto ... 43 5.3 L’organo terminale ... 44

Capitolo 6

Simulazioni ed esperimenti ... 46

1.1 Le simulazioni ... 46

1.1.1 Moto del primo giunto ... 46

1.1.2 Moto del secondo giunto ... 47

1.1.3 Moto del terzo e del quarto giunto ... 48

1.1.4 Moto del quinto giunto ... 48

1.1.5 Il modello ... 51

1.2 Gli esperimenti ... 51

1.3 Discussione dei risultati ... 59

1.4 Il problema inverso ... 59

1.5 L’impiego sulla Luna ... 60

(6)

7.1 David: il robot dell’Università di Pisa ... 64

7.2 Le altre squadre ... 65

7.3 La gara ... 69

7.3.1 La gara delle altre squadre ... 69

7.3.2 Il punteggio finale ... 69

Capitolo 8

Conclusioni ... 70

8.1 Sviluppi futuri ... 71

Appendice A

Listati ... 72

A.1 Calcolo delle equazioni simboliche della cinematica e della dinamica ... 72

A.2 Dati ... 74

A.3 Funzione che risolve la cinematica RPY del manipolatore ... 75

A.4 Funzione che determina la configurazione iniziale ... 76

A.5 Funzione che determina le condizioni iniziali delle equazioni differenziali del moto ... 77

A.6 Funzione che risolve le equazioni differenziali del moto ... 78

A.7 Equazioni differenziali del moto ... 79

A.8 Funzione evento che blocca il solutore ODE ... 81

A.9 Funzione di calcolo della matrice di massa del sistema di equazioni differenziali ... 82

A.10 Funzione di conversione delle coordinate dallo spazio dei giunti allo spazio operativo 83 A.11 Simulazione del problema diretto ... 84

A.12 Simulazione del problema inverso ... 85

A.13 Funzione argomento dell’ottimizzazione ... 86

A.14 Controllo della soluzione del problema inverso ... 87

(7)

Indice delle Figure

Figura 1.1 - Lunokhod-1 ... 3

Figura 1.2 - Lunokhod-2 ... 3

Figura 1.3 - Lunar Roving Vehicle della missione Apollo 15... 3

Figura 1.4 – Sojourner ... 4

Figura 1.5 - Mars Exploration Rover ... 5

Figura 1.6 - Particolare della ruota del MER ... 5

Figura 1.7 - Impiego del manipolatore a lancio in una missione planetaria ... 6

Figura 1.8 - Manipolatore a lancio planare ... 6

Figura 2.1 - Parametri cinematici di Denavit-Hartenberg ... 10

Figura 2.2 - Rappresentazione schematica di un encoder ... 13

Figura 2.3 - Le ruote fissa, orientabile ed eccentrica con le relative icone ... 13

Figura 2.4 - Un robot mobile a trazione differenziale ... 14

Figura 2.5 - Un robot mobile tipo triciclo ... 15

Figura 2.6 - Un robot mobile tipo automobile ... 15

Figura 2.7 - Un robot mobile omnidirezionale ... 15

Figura 2.8 - Sterzo di Ackermann ... 16

Figura 2.9 - Sterzata eplicita e sterzata per scivolamento ... 17

Figura 2.10 - La ruota Mecanum ... 18

Figura 2.11 - Rappresentazione schematica del rocker-bogie ... 19

Figura 2.12 - Sample Return Rover ... 20

Figura 2.13 - Modello di interazione ruota-terreno ... 22

Figura 3.1 - Il CompactRio... 25

Figura 3.2 - Schema elettrico del robot ... 26

Figura 3.3 - Profili delle ruote proposte e sperimentate ... 26

Figura 3.4 - Intensità di corrente in funzione dell'inclinazione ... 28

Figura 3.5 - Modello adottato per la valutazione della manovrabilità ... 29

Figura 3.6 - Ruota d ... 30

Figura 3.7 - Ruota e ... 30

(8)

Figura 4.1 - Schema concettuale del manipolatore ... 31

Figura 4.2 - Schema concettuale del manipolatore ... 31

Figura 5.1 - Il manipolatore assemblato ... 38

Figura 5.2 - Il primo braccio del manipolatore ... 39

Figura 5.3 - Particolare del supporto per l'albero verticale ... 40

Figura 5.4 - Il secondo braccio ... 41

Figura 5.5 - Particolare del moltiplicatore di giri. È visibile anche il filo guidato dalle carrucole ... 42

Figura 5.6 - Il gruppo frizione-rocchetto ... 43

Figura 5.7 - Spaccato dell'organo terminale ... 45

Figura 5.8 - Il robot durante la fase di lancio dell'organo terminale ... 45

Figura 6.1 - Caratteristica tensione-coppia della frizione elettromagnetica ... 50

Figura 6.2 - La massa da 𝟏𝟏𝟔 𝒈 ... 52

Figura 6.3 - La massa da 𝟑𝟖𝟖 𝒈 ... 52

Figura 6.4 - Andamento della velocità finale dell'organo terminale in relazione alla sua massa ... 54

Figura 6.5 - Sessione 1: simulazione ed esperimenti ... 55

Figura 6.6 - Sessione 2: simulazione ed esperimenti ... 56

Figura 6.7 - Sessione 3: simulazione ed esperimenti ... 57

Figura 6.8 - Sessione 4: simulazione ed esperimenti ... 58

Figura 6.9 - Fotogramma dell'istante di atterragio della massa. È visibile il puntatore laser ... 60

Figura 6.10 - Simulazione di un lancio con l'organo terminale da 𝟏, 𝟑 𝒌𝒈 ... 61

Figura 6.11 - Simulazione di un lancio sulla Luna ... 61

Figura 6.12 - Simulazione di un lancio effettuato dal bordo del cratere ... 62

Figura 7.1 - Il David in configurazione modificata ... 64

Figura 7.2 - Il robot Cesar dell'Università di Brema ... 65

Figura 7.3 - Il robot dell'Università di Oulu ... 66

Figura 7.4 - Il robot Moonhound dell'Università Politecnica di Madrid ... 66

Figura 7.5 - Il robot della Jacobs University ... 67

Figura 7.6 - Il robot Crabli di ETH ... 67

Figura 7.7 - Il robot Walky di ETH ... 67

Figura 7.8 - Il robot EsaPod della Scuola Superiore Sant'Anna ... 68

(9)

Indice delle Tabelle

Tabella 3.1 - Risultati degli esperimenti sulla scalata; ... 27

Tabella 3.2 - Velocità (𝑽), consumo energetico (𝑬) e slittamento (𝒔) registrati alla pendenza di 𝟐𝟎° ... 28

Tabella 3.3 - Velocità (𝑽), consumo energetico (𝑬) e slittamento (𝒔) registrati sul percorso piano ... 28

Tabella 3.4 - Deriva longitudinale e trasversale ... 29

Tabella 6.1 - Configurazione iniziale delle sessioni sperimentali ... 52

Tabella 6.2 – Coordinate in metri dei punti di atterragio simulati e sperimentali ... 53

Tabella 6.3 - Coordinate polari in gradi e metri dei punti di atterragio simulati e sperimentali ... 53

(10)

Lista dei simboli

Simboli latini

𝑎𝑖 parametro DH

𝐴 superficie di contatto ruota-terreno 𝑏 spessore della ruota

𝑩 matrice di inerzia 𝑐 coefficiente di coesione

𝑑 lunghezza del primo braccio del manipolatore 𝑑𝑖 variabile di giunto prismatico DH

𝐷 diametro della ruota 𝐸 energia cinetica 𝑓 tensione del filo 𝐹 spinta al suolo

𝐹0 spinta al suolo massima 𝐹𝑇 forza di trazione 𝑔 accelerazione di gravità

𝑕 asse del primo giunto dal terreno 𝑕1 altezza della base del veicolo

𝑕2 distanza dell’asse del primo giunto dalla base del veicolo 𝑖𝑎𝑥 disallineamento dovuto al moltiplicatore di giri

𝐼𝑖 momento d’inerzia del braccio 𝑖

𝐼2 momento di inerzia del secondo braccio 𝐼𝑅 momento di inerzia del rocchetto 𝑱 Jacobiano

(11)

𝑱𝝓 Jacobiano di orientamento

𝐾𝑅 costante del controllore PI del motore

𝑙 lunghezza della zona di contatto ruota-terreno 𝐿 lagrangiana

𝑚𝑖 massa del braccio 𝑖

𝑀 massa dell’organo terminale

𝒏 vettore degli effetti centrifughi, di Coriolis, e di gravità 𝒑𝑒 posizione dell’organo terminale

𝒑 𝑖 velocità lineare del braccio 𝑖 𝒑𝑇 posizione del bersaglio

𝑃 pressione normale alla superficie di contatto ruota-terreno 𝒒 coordinata generalizzata, variabile di giunto

𝑟 lunghezza del secondo braccio 𝑟𝑅 raggio del rocchetto

𝑹 matrice di rotazione 𝑅𝑇 resistenza all’avanzamento 𝑠 slittamento

𝑆 sforzo di taglio sulla superficie di contatto ruota-terreno 𝑻 trasformazione di coordinate omogenea

𝑇𝑁 costante del controllore PI del motore 𝒙𝑒 postura dell’organo terminale

𝑈 energia potenziale 𝑣 velocità del veicolo

𝑣0 velocità periferica della ruota 𝑉 tensione elettrica

𝑊 peso del veicolo

𝑧𝑟 affondamento della ruota

Simboli greci

𝛼 prima variabile di giunto 𝛼𝑖 parametro DH

(12)

𝛼𝑀 posizione angolare del motore del secondo braccio 𝛽 seconda variabile di giunto

𝛾 terza variabile di giunto

𝜃𝑅 posizione angolare del rocchetto 𝜗 angolo di inclinazione del manipolatore 𝜗𝑖 variabile di giunto rotoidale DH 𝜇 coefficiente di attrito della frizione 𝝃 vettore delle forze non conservative 𝜌 quarta variabile di giunto

𝜎 sforno normale, deviazione standard 𝜏 sforzo di taglio

𝜏𝛼 coppia agente sul secondo braccio 𝜏𝛽 coppia agente sul filo

𝜏𝛾 coppia agente sul filo

𝜏𝑀 coppia di attuazione del motore 𝜏𝑅 coppia resistente della frizione 𝜙 angolo di attrito

𝝓𝑒 orientamento dell’organo terminale 𝜒0 configurazione di lancio

𝜔 velocità angolare del motore del secondo braccio 𝝎𝑖 velocità angolare del braccio 𝑖

(13)

Capitolo 1

Introduzione

1.1 Obiettivo della tesi

Nel marzo 2008 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) indisse una competizione rivolta alle università dei paesi membri con lo scopo di creare un innovativo robot mobile capace di prelevare campioni di terreno da un cratere lunare. La sfida risiede nel fatto che l’ambiente di lavoro è estremamente impervio. Infatti il veicolo deve essere in grado di:

 affrontare una pendenza di 40°, circa l’89%, durante la discesa nel cratere e la successiva risalita;  agire alla luce del sole sul bordo del cratere, e al buio all’interno di esso;

 essere tele-comandato da una stazione di lavoro senza visibilità diretta. Inoltre sono imposti vincoli sulle dimensioni e sul consumo del veicolo, in particolare:

 non deve pesare più di 100 𝑘𝑔;

 non deve occupare più di 0,5 𝑚3 di volume quando stivato;  non deve consumare più di 2 𝑘𝑊 di potenza.

L’obiettivo di questa tesi è lo sviluppo di un veicolo robotico equipaggiato con un manipolatore innovati-vo basato sul concetto di manipolatore del lancio proposto in(1), (2). L’innovazione sta nell’estendere lo spazio di lavoro alle tre dimensioni, superando quindi la limitazione del manipolatore precedente di poter raggiungere solo oggetti posti nel piano di moto.

1.2 Stato dell’arte

1.2.1 La ricerca di acqua sulla Luna

Molti dei piani di esplorazione spaziale proposti includono la Luna come obiettivo principale, da usare inoltre come trampolino di lancio verso Marte. La Luna sarebbe una conveniente base per l’esplorazione planetaria per diversi motivi, uno dei quali è la disponibilità di materie prime. In particolare una delle ma-terie che sarebbe estremamente vantaggiosa è l’acqua.

(14)

Nel 1994 la sonda statunitense Clementine, in orbita attorno alla Luna, ne mappò la superficie e irradiò di onde radio alcuni crateri vicino al polo sud. Le onde riflesse, captate da antenne sulla Terra, sembrarono rivelare la presenza di materiale ghiacciato, e si ipotizzò che dell’acqua avrebbe potuto rimanere intrappo-lata nel sottosuolo, ghiacciata dalla bassissima temperatura dovuta all’ombra perenne dei profondi crateri polari.

Nel 1998 la sonda NASA Lunar Prospector rilevò, tramite uno spettrometro a neutroni, alte concentrazio-ni di idrogeno negli stessi crateri. Questa sembrò un ulteriore forte indizio della presenza di acqua.

Nel 2005 la sonda ESA SMART-1 effettuò una ricognizione completa della Luna e produsse una mappa a raggi X della sua superficie.

Tra il 2007 e il 2008 anche le agenzie spaziali di Giappone, Cina e India hanno lanciato sonde per l’esplorazione lunare con lo scopo di rilevare l’eventuale presenza di ghiaccio d’acqua.

In particolare la missione indiana Chandrayaan-1 ha permesso di capire il processo secondo cui l’acqua si formerebbe sulla superficie. I protoni emessi dal Sole rimarrebbero intrappolati negli spazi tra i granuli di regolite che compongono il suolo lunare, e reagirebbero con l’ossigeno della regolite stessa producendo ioni idrossido e acqua.

Nel 2009 l’agenzia spaziale americana ha effettuato il lancio di due sonde per l’esplorazione lunare. La sonda Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) aveva lo scopo di analizzare la superficie dei poli per rileva-re tracce di acqua nel sottosuolo e per ricavarileva-re una mappa ad alta risoluzione utile per la selezione di siti d’atterraggio. La sonda Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (LCROSS) è invece stata proget-tata per osservare l’impatto del razzo Centaur nel cratere Cabeus del polo sud della Luna e per analizzare il conseguente pennacchio di detriti in cerca di depositi di ghiaccio d’acqua nel sottosuolo. Il 13 novem-bre 2009 la NASA ha annunciato i risultati della missione: la sonda ha rilevato la presenza di una grossa quantità di acqua, circa 90 litri, sprigionatasi dall’impatto.

1.2.2 L’esplorazione robotica

Negli ultimi 40 anni sono state compiute con successo da parte di veicoli per l’esplorazione - comandati da un equipaggio, comandati a distanza o autonomi - otto missioni su Luna e Marte.

Il primo a toccare il suolo lunare è stato il veicolo russo Lunokhod-1 (Figura 1.1), la cui missione era e-splorare la superficie e scattarne fotografie. Lungo 2,3 𝑚 e di massa 900 𝑘𝑔, era composto da una piatta-forma a otto ruote con sospensioni, motore e freno indipendenti, e alimentato da batterie, mentre il con-trollo termico era effettuato tramite unità a radioisotopi. Era equipaggiato con quattro telecamere, due an-tenne, un dispositivo per analizzare il suolo e alcuni spettrometri a raggi X, e allunò nel 1970. Veniva comandato dalla Terra in tempo reale, e percorse 11 𝑘𝑚 in 11 mesi esplorando il Mare Imbrium. Il Luno-khod-2 (Figura 1.2) era una versione migliorata del predecessore, in quanto più compatto, veloce ed equi-paggiato da una telecamera aggiuntiva. Era lungo 1,7 𝑚, largo 1,6 𝑚 e pesava 840 𝑘𝑔; poteva viaggiare

(15)

alle velocità di 1 𝑘𝑚/𝑠 o 2 𝑘𝑚/𝑠. Allunò nel 1973 e percorse 37 𝑘𝑚 in 8 settimane esplorando il cratere LeMonnier.

Figura 1.1 - Lunokhod-1 Figura 1.2 - Lunokhod-2

Il Lunar Roving Vehicle (LRV), mostrato in Figura 1.3, era un veicolo elettrico della NASA progettato per attraversare la superficie lunare, estendendo così il raggio d’azione delle attività extraveicolari degli astronauti. Venne portato sulla Luna durante le missioni Apollo 15 (1971), 16 e 17 (1972). Il LRV aveva una massa di 210 𝑘𝑔 e poteva trasportare un carico utile di 490 𝑘𝑔; era lungo 3 𝑚. Era composto da un telaio in lega di alluminio e le quattro ruote indipendenti, di diametro 81,8 𝑐𝑚 e larghe 23 𝑐𝑚, erano formate da un tessuto in filo d’acciaio rivestito di zinco, mentre il battistrada presentava tasselli in titanio. Due batterie non ricaricabili argento-zinco da 36 𝑉 e con capacità 121 𝐴𝑕 fornivano la potenza necessa-ria. Il veicolo era guidato da un astronauta a bordo di esso. Durante le tre missioni percorse più di 90 𝑘𝑚 e raggiunse una velocità massima di 17 𝑘𝑚/𝑕, inoltre permise di raccogliere circa 200 𝑘𝑔 di suolo luna-re. È stato definito una macchina sicura, affidabile e flessibile, senza la quale non sarebbe stato possibile raggiungere l’attuale conoscenza dell’evoluzione del nostro satellite (3).

(16)

La missione statunitense Mars Pathfinder, del 1997, venne originariamente progettata come dimostrazio-ne di una tecnologica capace far atterrare una sonda e un veicolo robotico sul piadimostrazio-neta Marte. Il veicolo So-journer (Figura 1.4) aveva massa 11 𝑘𝑔 e dimensioni 65 × 48 × 30 𝑐𝑚. Aveva sei ruote indipendenti, di diametro 13 𝑐𝑚 e fatte in alluminio con battistrada in acciaio inossidabile, e utilizzava un sistema di so-spensioni di tipo rocker-bogie (si veda il Capitolo 2). Poteva raggiungere la velocità massima di 1 𝑐𝑚/𝑠 e allontanarsi di 500 𝑚 dalla stazione base. Scattò e inviò 550 immagini a terra e analizzò le proprietà chi-miche in 16 diversi luoghi vicino alla sonda. Il successo della missione fu maggiore delle aspettative (4).

Figura 1.4 – Sojourner

La missione Mars Exploration Rover (MER) rientra nel programma NASA di esplorazione di Marte. Uno degli obiettivi primari è la ricerca e la caratterizzazione di un’ampia gamma di rocce che nascondano tracce della passata presenza di acqua sul pianeta rosso. La missione impiega due veicoli robotici identici (Figura 1.5), Spirit e Opportunity, ciascuno con sei ruote indipendenti e con un sistema di sospensioni di tipo rocker-bogie. Le ruote, in alluminio, hanno diametro di circa 26 𝑐𝑚 e presentano una particolare configurazione a spirale (Figura 1.6) che assorbe gli urti e ne previene il trasferimento alle altre parti del veicolo. I veicoli possono viaggiare a una velocità massima di 5 𝑐𝑚/𝑠 e affrontare in sicurezza pendenze fino a 30°. Pesano 174 𝑘𝑔 e, quando stivati, hanno dimensioni di ingombro di 2,3 × 1,6 × 1,5 𝑚. All’alimentazione provvedono pannelli fotovoltaici in grado di fornire 140 𝑊 per circa quattro ore al giorno marziano, e batterie ricaricabili a ioni di litio per le attività notturne. La strumentazione può lavo-rare in un intervallo di temperatura da −40°𝐶 a +40°𝐶, e il riscaldamento è affidato a unità a radioisotopi e riscaldatori elettrici, mentre l’isolamento termico è ottenuto con una pellicola d’oro e uno strato di aero-gel di silice. Sono provvisti di un braccio robotico antropomorfo con 5 gradi di libertà, il cui organo ter-minale è composto dagli spettrometri necessari per l’analisi delle rocce e del suolo (5). Lanciati nel 2003, hanno raggiunto la superficie di Marte nel gennaio 2004. La loro missione primaria avrebbe dovuto

(17)

dura-re 90 giorni marziani1. Nonostante qualche periodico malfunzionamento, sono tutt’ora operativi, al di là di ogni aspettativa. Hanno percorso più di 25 𝑘𝑚 sulla superficie del pianeta rosso (Opportunity ha per-corso più di 18 𝑘𝑚, mentre Spirit ne ha percorsi più di 7), e inviato alla Terra più di 250 mila immagini.

Figura 1.5 - Mars Exploration Rover Figura 1.6 - Particolare della ruota del MER

1.3 Linee guida

In applicazioni robotiche come le missioni di esplorazione planetaria che implichino l’acquisizione di ma-teriale campione, la possibilità di estendere lo spazio di lavoro offrirebbe un notevole vantaggio. L’impiego di veicoli robotici equipaggiati con bracci articolati sono, allo stato attuale, praticamente l’unica soluzione per operare su distanze che sono molto maggiori delle dimensioni fisiche del robot. Come visto, i veicoli finora impiegati hanno velocità limitata e talvolta non possono allontanarsi dalla stazione base più di qualche centinaio di metri. Inoltre, l’alternativa di produrre manipolatori con bracci molto lunghi, oppure con molto bracci, sembra essere applicabile soltanto in casi molto specifici – ad e-sempio in assenza di gravità, come per il Canadarm.

Questo lavoro di tesi si basa sul concetto di manipolatore a lancio, proposto originariamente dal Dott. Hi-toshi Arisumi dell’Intelligent System Research Institute presso l’AIST di Tsukuba, in Giappone, e in se-guito ampliato dai ricercatori del Centro Interdipartimentale di Ricerca “E. Piaggio” presso l’Università di Pisa. Tale tecnica di manipolazione permette di dislocare l’organo terminale a grande distanza dal mani-polatore lanciandolo e controllandone il volo balistico per mezzo di forze trasmesse lungo un sottile cavo connesso all’organo terminale stesso. Tale cavo inoltre può essere usato anche per recuperare l’organo terminale. Le fasi operative di un manipolatore a lancio comprendono:

1 una fase di avvio, durante la quale il robot è controllato in modo tale da impartire all’organo ter-minale un’energia meccanica sufficiente a raggiungere il bersaglio;

2 una fase di controllo in volo, che inizia all’atto del lancio, e durante la quale si controlla la traiet-toria dell’organo terminale trasmettendo ad esso delle forze per mezzo del cavo cui è attaccato;

(18)

3 una fase di recupero, durante la quale il cavo viene riavvolto e l’oggetto bersaglio viene recupera-to insieme all’organo terminale.

Una possibile applicazione della manipolazione a lancio in una missione di acquisizione di materiale è mostrata in Figura 1.7.

Figura 1.7 - Impiego del manipolatore a lancio in una missione planetaria

Vari studi (1), (2), (6) hanno dimostrato l’abilità di un manipolatore a lancio planare (Figura 1.8) di rag-giungere oggetti posti in posizioni note a priori, e sono state proposte diverse tecniche atte a controllare il volo dell’organo terminale, ad esempio il controllo a frenate multiple. È stato anche dimostrato che un oggetto fermo posto nel piano di lancio può essere raggiunto con velocità e orientazione opportune dell’organo terminale. Inoltre, è stata sviluppata una tecnica per raggiungere oggetti in movimento tramite controllo visuale che agisce in tempo reale.

Figura 1.8 - Manipolatore a lancio planare

La principale limitazione di questa tecnica è rappresentata dal fatto che il bersaglio deve necessariamente giacere nel piano di lancio, e nonostante questo le incertezze intrinseche nel modello o nell’attuazione e disturbi esterni, ad esempio il vento, possono eventualmente fuorviare l’organo terminale. Per superare tale inconveniente è stato sviluppato un manipolatore in grado di operare in uno spazio tridimensionale.

(19)

Capitolo 2

Fondamenti di Robotica

2.1 Robotica

La robotica ha come obiettivo lo studio di macchine che possano sostituire l’uomo nell’esecuzione di un compito, in termini di attività sia fisica sia decisionale (7). Il termine robot, coniato dal commediografo ceco Karel Čapek, deriva dal termine robota che nelle lingue slave indica il lavoro esecutivo. Componen-te essenziale di un robot è il sisComponen-tema meccanico dotato in generale di organi di locomozione per muoversi e di organi di manipolazione per intervenire sugli oggetti presenti nell’ambiente circostante. La capacità di esplicare un’azione, sia di movimentazione sia di manipolazione, è assicurata da un sistema di attua-zione che anima le componenti meccaniche del robot. La capacità di perceattua-zione è affidata a un sistema sensoriale che sia in grado di acquisire informazioni sullo stato interno del robot e sullo stato esterno dell’ambiente. La capacità di connettere in maniera intelligente azione e percezione è affidata a un siste-ma di governo che sia in grado di cosiste-mandare l’esecuzione dell’azione nel rispetto degli obiettivi imposti da una tecnica di pianificazione del compito, nonché dei vincoli imposti dal robot e dall’ambiente. La rea-lizzazione di un tale sistema avviene secondo lo stesso principio di retroazione preposto al controllo delle funzioni del corpo umano, eventualmente avvalendosi della descrizione dei componenti del sistema robo-tico (modellistica).

La classificazione fondamentale dei robot riguarda la loro struttura meccanica. I robot possono distin-guersi in quelli a base fissa (robot manipolatori) e quelli a base mobile (robot mobili). Nel seguito verrà trattata la modellazione fisica dei robot manipolatori, in quanto di interesse per questa tesi, mentre i robot mobili verranno trattati in 2.6.

2.2 Struttura meccanica

La struttura meccanica di un robot manipolatore consiste in un insieme di corpi rigidi (bracci) intercon-nessi tra di loro per mezzo di articolazioni (giunti). Nel manipolatore si individuano una struttura portan-te, che ne assicura mobilità, un polso, che conferisce destrezza, e un organo terminale che esegue il com-pito per cui il robot è utilizzato. La struttura d’insieme forma una catena cinematica.

(20)

La mobilità di un manipolatore è assicurata dalla presenza dei giunti. L’articolazione tra due bracci con-secutivi può essere realizzata con un giunto prismatico o rotoidale. Il primo realizza un moto relativo di traslazione tra i due bracci, mentre il secondo realizza un moto relativo di rotazione. Ogni grado di libertà viene associato a una articolazione di giunto e costituisce una variabile di giunto.

Lo spazio di lavoro rappresenta la porzione dell’ambiente circostante a cui può accedere l’organo termi-nale di un manipolatore.

2.3 Cinematica

2.3.1 Cinematica diretta

Il moto complessivo della struttura è realizzato mediante la composizione di moti elementari di ogni brac-cio rispetto al precedente. La posa di un corpo rispetto a una terna di riferimento è caratterizzata dal vetto-re posizione dell’origine e dai versori di una terna solidale al corpo stesso. Pertanto, definita una terna di riferimento 𝑂𝑏− 𝑥𝑏𝑦𝑏𝑧𝑏, la funzione cinematica diretta è espressa dalla matrice di trasformazione omo-genea

𝑻𝑒𝑏 𝒒 = 𝒏𝑒𝑏 𝒒 𝒔𝑒𝑏 𝒒 𝒂𝑒𝑏 𝒒 𝒑𝑒𝑏 𝒒

0 0 0 1

in cui 𝒒 è il vettore (𝑛 × 1) delle variabili di giunto, 𝒏𝑒, 𝒔𝑒, 𝒂𝑒 sono i versori di una terna solidale all’organo terminale e 𝒑𝑒 è il vettore posizione dell’origine della terna solidale all’organo terminale ri-spetto all’origine della terna 𝑂𝑏− 𝑥𝑏𝑦𝑏𝑧𝑏, detta terna base. La terna solidale all’organo terminale, detta terna utensile, si sceglie in maniera conveniente di caso in caso. I versori 𝒂𝑒 (approccio) 𝒔𝑒 (scivolamen-to) e 𝒏𝑒 (normale) sono tali da formare una terna (𝒏𝑒, 𝒔𝑒, 𝒂𝑒) levogira.

Si consideri un manipolatore a catena aperta costituito da 𝑛 + 1 bracci connessi tramite 𝑛 giunti, ove il braccio 0 è convenzionalmente fisso a terra. Si assuma che ogni giunto fornisca un singolo grado di liber-tà alla struttura meccanica, corrispondente alla variabile di giunto. Dal momento che ciascun giunto con-nette due e solo due bracci consecutivi, è ragionevole considerare dapprima isolatamente il problema del-la descrizione dei legami cinematici tra bracci consecutivi e successivamente risolvere in maniera ricorsi-va il problema della descrizione complessiricorsi-va della cinematica del manipolatore. A tale scopo è opportuno definire una terna di coordinate solidale a ciascun braccio, dal braccio 0 al braccio 𝑛. La trasformazione di coordinate complessiva che esprime posizione e orientamento della terna 𝑛 rispetto alla terna 0 è data da

𝑻𝑛0(𝒒) = 𝑻 1 0(𝑞

1)𝑻12(𝑞2) … 𝑻𝑛𝑛−1(𝑞𝑛) (2.1) Come evidente, il calcolo della funzione cinematica diretta è ricorsivo e viene ottenuto in maniera siste-matica attraverso semplici prodotti di matrici di trasformazione omogenea 𝑻𝑖𝑖−1(𝑞𝑖) (per 𝑖 = 1, … , 𝑛), o-gnuna delle quali risulta funzione di una singola variabile di giunto.

(21)

Un altro modo di descrivere la postura del manipolatore è mediante il vettore

𝒙𝑒 = 𝒑𝑒 𝝓𝑒

ove 𝒙𝑒 è definito spazio operativo, 𝒑𝑒 è la posizione dell’organo terminale e 𝝓𝑒 il suo orientamento. Con spazio dei giunti ci si riferisce allo spazio in cui è definito il vettore delle variabili di giunto

𝒒 = 𝑞1

⋮ 𝑞𝑛

Tenendo conto della dipendenza della posa dalle variabili di giunto, l’equazione cinematica diretta può scriversi come

𝒙𝑒 = 𝒌(𝒒)

La funzione vettoriale 𝑘 è generalmente non lineare e permette il calcolo delle variabili nello spazio ope-rativo a partire dalla conoscenza delle variabili nello spazio dei giunti.

Al fine di calcolare l’equazione cinematica diretta, bisogna delineare un metodo generale e sistematico per definire posizione e orientamento relativi di due bracci consecutivi. Il problema si riconduce alla indi-viduazione di terne solidali a ciascun braccio e alla determinazione della trasformazione di coordinate che lega le due terne. In generale, le terne possono essere scelte arbitrariamente purché siano solidali al brac-cio cui si riferiscono. Esistono diverse convenzioni che possono essere seguite per determinare la trasfor-mazione tra due terne successive.

Convenzione RPY

Gli angoli RPY, ove l’acronimo sta per Roll-Pitch-Yaw, ovvero, rispettivamente, rollio, beccheggio e im-bardata, sono comunemente usati in campo aeronautico. L’angolo di rollio rappresenta la rotazione ele-mentare rispetto all’asse longitudinale (𝑥) del veicolo, l’angolo di beccheggio rappresenta la rotazione elementare rispetto all’asse trasversale (𝑦), mentre l’angolo di imbardata rappresenta la rotazione elemen-tare rispetto all’asse (𝑧) normale agli altri due e tale da rendere la terna levogira. La convenzione RPY, pertanto, risulta comoda nella descrizione della cinematica di un manipolatore che sia installato su di un veicolo, la cui terna fissa sarà disposta secondo la suddetta notazione.

Convenzione di Denavit-Hartenberg

Nella convenzione di Denavit-Hartenberg (DH), Figura 2.1, si sceglie l’asse 𝑧𝑖 giacente lungo l’asse del giunto 𝑖 + 1, che connette il braccio 𝑖 al braccio 𝑖 + 1, e l’asse 𝑥𝑖 diretto lungo la normale comune agli assi 𝑧𝑖−1 e 𝑧𝑖 con verso positivo dal giunto 𝑖 al giunto 𝑖 + 1. L’asse 𝑦𝑖 sarà scelto di conseguenza per completare una terna levogira. Una volta definite le terne solidali ai bracci, la posizione e l’orientamento

(22)

della terna 𝑖 rispetto alla terna 𝑖 − 1 risultano completamente specificati dai seguenti parametri: 𝑎𝑖 e 𝛼𝑖, rispettivamente distanza tra la terna 𝑖 e la terna 𝑖 − 1 e angolo intorno a 𝑥𝑖, sono sempre costanti e dipen-dono soltanto dalla geometria, mentre 𝑑𝑖 e 𝜗𝑖, rispettivamente coordinata su 𝑧𝑖−1 e angolo intorno a 𝑧𝑖−1, rappresentano le variabili di giunto e, a seconda che il giunto sia prismatico o rotoidale, varia soltanto 𝑑𝑖 oppure 𝜗𝑖.

Figura 2.1 - Parametri cinematici di Denavit-Hartenberg 2.3.2 Cinematica inversa

L’equazione cinematica diretta consente di definire le relazioni funzionali esistenti tra le variabili di giun-to e la posa dell’organo terminale. Il problema cinematico inverso riguarda la determinazione delle varia-bili di giunto, una volta assegnata la posa dell’organo terminale. La risoluzione di tale problema è di no-tevole importanza per tradurre le specifiche di moto, assegnate nello spazio operativo con riferimento all’organo terminale, nei moti corrispondenti nello spazio dei giunti che consentono l’effettuazione del moto desiderato. Il problema cinematico inverso risulta più complesso per le seguenti ragioni:

 Le equazioni da risolvere sono in generale equazioni non lineari di cui non sempre è possibile trovare una soluzione analitica (in forma chiusa);

 Si possono avere soluzioni multiple, infinite o non ammissibili.

2.3.3 Cinematica differenziale

La cinematica differenziale caratterizza i legami tra le velocità dei giunti e le corrispondenti velocità line-are e angolline-are dell’organo terminale. Tali legami sono descritti da una matrice di trasformazione, dipen-dente dalla configurazione del manipolatore, denominata Jacobiano. In altri termini si vogliono esprimere come vettori liberi la velocità lineare 𝒑 𝑒 e la velocità angolare 𝝓 𝑒 dell’organo terminale in funzione delle velocità delle variabili di giunto. Queste relazioni sono entrambe lineari nella velocità dei giunti, ovvero:

(23)

𝒑 𝑒 =𝜕𝒑𝑒

𝜕𝒒 𝒒 = 𝑱𝑃(𝒒)𝒒 𝝓 𝑒 =𝜕𝝓𝑒

𝜕𝒒 𝒒 = 𝑱𝜙(𝒒)𝒒

(2.2)

ove 𝑱𝑃 e 𝑱𝜙 sono matrici (3 × 𝑛) dette rispettivamente Jacobiano di posizione e Jacobiano di

orienta-mento. In forma compatta i legami (2.2) possono essere scritti come

𝒙 𝑒 = 𝒗𝑒 = 𝒑 𝑒

𝝓 𝑒 = 𝑱(𝒒)𝒒 (2.3)

che rappresenta l’equazione cinematica differenziale del manipolatore. La matrice 𝑱 (6 × 𝑛) è lo Jaco-biano del manipolatore

𝑱 = 𝑱𝑃 𝑱𝜙 che in generale risulta funzione delle variabili di giunto.

2.4 Dinamica

Con la formulazione di Lagrange, le equazioni del moto possono essere derivate con un approccio indi-pendente dal sistema di coordinate di riferimento. Si definisce lagrangiana del sistema meccanico la fun-zione

𝐿 = 𝐸 − 𝑈

In cui 𝐸 e 𝑈 sono rispettivamente l’energia cinetica e l’energia potenziale totali del sistema. La funzione 𝐿 dipende dalle coordinate lagrangiane 𝑞𝑖, le quali sono raccolte nel vettore delle variabili di giunto 𝒒. Le equazioni di Lagrange sono espresse da

𝑑 𝑑𝑡 𝜕𝐿 𝜕𝑞 𝑖− 𝜕𝐿 𝜕𝑞𝑖 = 𝜉𝑖 (2.4)

ove 𝜉𝑖 è la forza generalizzata associata alla coordinata lagrangiana 𝑞𝑖. Alle forze generalizzate daranno contributo le forze non conservative, ovvero le coppie generate ai giunti dagli attuatori, le coppie di attrito ai giunti, nonché le coppie ai giunti indotte da forze esplicate dall’organo terminale sull’ambiente in si-tuazioni di contatto. Le (2.4) definiscono la relazione esistente tra forze generalizzate applicate al manipo-latore e posizioni, velocità e accelerazioni ai giunti; esse consentono pertanto di dedurre il modello dina-mico del manipolatore, a partire dalla determinazione dell’energia cinetica e dell’energia potenziale del sistema meccanico.

L’energia cinetica 𝐸 di un sistema multi-corpo come un manipolatore è la somma della energia cinetica di ciascun singolo corpo:

(24)

𝐸 =1

2𝑚𝑖𝒑 𝑖𝑇𝒑 𝑖+ 1

2𝝎𝑖𝑇𝑰𝑖𝝎𝑖

dove 𝑚𝑖 e 𝑰𝑖 sono la massa e il tensore di inerzia del braccio 𝑖 relativo al baricentro, 𝒑 𝑖 e 𝝎𝑖 sono rispetti-vamente i vettori velocità lineare e velocità angolare del braccio 𝑖 rispetto alla terna base. In termini delle variabili di giunto, l’energia cinetica può essere scritta come

𝐸 =1 2𝑚𝑖𝒒 𝑇𝑱𝑃𝑇𝑖𝑱𝑃𝑖𝒒 + 1 2𝒒 𝑇𝑱𝜙𝑖 𝑇 𝑹 𝑖𝑰𝑖𝑹𝑖𝑇𝑱𝜙𝑖𝒒

dove 𝑹𝑖 è la matrice di rotazione dalla terna solidale al braccio 𝑖 alla terna base.

In definitiva, l’energia cinetica complessiva del manipolatore può essere espressa nella forma quadratica 𝐸 =1

2𝒒 𝑇𝑩(𝒒)𝒒 (2.5)

in cui 𝑩(𝒒) è la matrice di inerzia (𝑛 × 𝑛), che risulta simmetrica, definitiva positiva e, in generale, di-pendente dalla configurazione.

L’energia potenziale totale è data, come accade per l’energia cinetica, dalla somma dei contributi relativi a ogni braccio, e può essere scritta come:

𝑈 = 𝑚𝑖𝒈0𝑇𝒑𝑖 (2.6)

in cui 𝒈0= 0 0 𝑔 è il vettore accelerazione di gravità riferito alla terna base.

Tenuto conto delle espressioni (2.5), (2.6) che rappresentano l’energia cinetica e l’energia potenziale complessiva del sistema meccanico, eseguendo le operazioni di derivazione richieste dalle (2.4), si ottiene

𝑩 𝒒 𝒒 + 𝒏 𝒒, 𝒒 = 𝝃 (2.7)

in cui il vettore 𝒏 𝒒, 𝒒 ha dimensioni (𝑛 × 1) e contiene tutti i termini relativi agli effetti centrifughi, a-gli effetti di Coriolis e aa-gli effetti della gravità.

2.5 Attuazione e Controllo

L’attuazione dei movimenti in corrispondenza di ogni giunto è realizzata da motori mediante i quali viene imposta al sistema meccanico la legge di moto desiderata. I motori possono essere pneumatici, idraulici o elettrici. A causa delle particolari prestazioni richieste, tali motori devono avere bassa inerzia, elevato rapporto potenza/peso, capacità di sviluppare elevate accelerazioni, elevato campo di variazione di veloci-tà, elevata precisione di posizionamento. Questi requisiti sono messi in risalto dalle caratteristiche di in-seguimento di traiettoria e di regolazione di posizione, il motore pertanto deve svolgere funzioni di ser-vomotore. I motori più utilizzati nelle applicazioni robotiche sono i servomotori elettrici, in particolare quelli in corrente continua a magneti permanenti offrono una elevata flessibilità di controllo. Inoltre, ri-spetto alle altre tipologie, i servomotori elettrici hanno i vantaggi di avere disponibilità diffusa di sorgente

(25)

di alimentazione, costo contenuto, buon rendimento e facile manutenzione. Per contro, essi non sono i grado di fornire coppie molto elevate, per le quali è necessario l’impiego di dispositivi idraulici.

Figura 2.2 - Rappresentazione schematica di un encoder

Il controllo della postura e del moto è affidato a sensori. La determinazione della posizione di un organo meccanico si effettua tramite trasduttori di posizione, il cui scopo consiste nel fornire un segnale elettrico proporzionale allo spostamento lineare o angolare rispetto a una posizione di riferimento fissata. In appli-cazioni robotiche si usano prevalentemente traduttori di spostamenti angolari in quanto, anche per i giunti prismatici, il servomotore è di tipo rotante. In particolare, per la sua caratteristica di precisione, robustez-za, affidabilità ed economicità, il trasduttore più diffuso è l’encoder. Esso è costituito da un disco di vetro ottico su cui sono riportate corone circolari (tracce) concentriche; ogni traccia presenta un’alternanza di settori trasparenti e opachi. In corrispondenza di ogni traccia viene emesso un raggio di luce che viene captato dalla parte opposta del disco da un fotodiodo. Con una opportuna disposizione dei settori traspa-renti e opachi (Figura 2.2) è possibile caratterizzare un numero finito di posizioni angolari e anche il ver-so della rotazione effettuata.

Figura 2.3 - Le ruote fissa, orientabile ed eccentrica con le relative icone

2.6 Veicoli robotici

La caratteristica principale dei robot mobili è la presenza di una base semovente che consente al robot di spostarsi liberamente nell’ambiente in cui deve operare. Dal punto di vista meccanico, un robot mobile è costituito da uno o più corpi rigidi dotati di un sistema di locomozione. I veicoli su ruote, che costituisco-no la grande maggioranza dei robot mobili utilizzati nelle applicazioni, socostituisco-no generalmente costituiti da un

(26)

corpo rigido (base) e da un sistema di ruote che lo movimentano rispetto al suolo. Esistono tre tipi ruote convenzionali, mostrati in Figura 2.3:

la ruota fissa può ruotare intorno a un asse passante per il centro della ruota e normale al piano che la contiene, mantenendo costante il proprio orientamento rispetto alla base, alla quale è com-pletamente solidale;

la ruota orientabile ha due assi di rotazione: il primo è quello di una ruota fissa, mentre il secon-do è verticale e passa per il centro della ruota. Ciò consente alla ruota di modificare il proprio o-rientamento rispetto a quello della base;

la ruota eccentrica (spesso indicata con il termine inglese castor) ha due assi di rotazione, ma quello verticale non passa per il centro della ruota, da cui dista di una quantità fissa. Questa di-sposizione fa sì che la ruota non si allinei automaticamente e rapidamente con la direzione nella quale viene spinta la base. Questo tipo di ruota ha dunque la funzione di fornire un punto di ap-poggio per il bilanciamento statico senza influenzare la mobilità della base.

2.6.1 Configurazioni

In un veicolo a trazione differenziale vi sono due ruote fisse il cui asse di rotazione coincide e una o più ruote eccentriche che hanno lo scopo di mantenere il robot in equilibrio statico (Figura 2.4). Le due ruote fisse sono controllate separatamente, mentre la ruota eccentrica è passiva. Questo veicolo può ruotare sul posto se le velocità angolari delle due ruote fisse sono uguali e contrarie.

Figura 2.4 - Un robot mobile a trazione differenziale

In un veicolo tipi triciclo (Figura 2.5) vi sono due ruote fisse sull’asse posteriore e una ruota orientabile in posizione anteriore. Le ruote fisse sono comandate da un unico motore che ne determina la trazione, men-tre la ruota orientabile è comandata da un secondo motore che ne modifica l’orientamento e agisce dun-que da sterzo. In alternativa, le due ruote posteriori possono essere passive e la ruota anteriore può fornire anche la trazione.

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Figura 2.5 - Un robot mobile tipo triciclo

Un veicolo tipo automobile ha due ruote fisse sull’asse posteriore e due ruote orientabili su quello anterio-re (Figura 2.6). Anche in questo caso un motoanterio-re fornisce la trazione (che può esseanterio-re anterioanterio-re o posterio-re), e un altro varia l’orientamento delle ruote anteriori rispetto al veicolo. Per evitarne lo slittamento, le ruote anteriori devono avere un orientamento leggermente diverso quando il veicolo curva: in particolare la ruota interna è più sterzata rispetto a quella esterna. Questo è garantito dall’utilizzo di un dispositivo detto sterzo di Ackermann.

Figura 2.6 - Un robot mobile tipo automobile

Infine si consideri il robot di Figura 2.7, che ha tre ruote eccentriche disposte normalmente in posizione simmetrica. Le velocità di trazione delle ruote sono comandate indipendentemente. Questo veicolo è, a differenza dei precedenti, omnidirezionale, cioè può muoversi istantaneamente in qualsiasi direzione car-tesiana, nonché riorientarsi sul posto.

(28)

2.6.2 Stabilità

Nel progetto dei robot su ruote, il bilanciamento della struttura non costituisce di solito un problema. Il numero minimo di ruote per avere stabilità è due, a patto che il centro di massa del veicolo stia al di sotto dell’asse delle ruote (8). Nelle circostanze usuali, però, sarebbero richieste ruote con diametro eccessiva-mente ampio, quindi, convenzionaleccessiva-mente, il numero minimo di ruote è tre. In particolare, un robot con tre ruote è in equilibrio statico se il suo baricentro cade all’interno del triangolo di supporto definito dai pun-ti di contatto delle ruote con il suolo. I robot con più di tre ruote hanno un poligono di supporto, dunque è in generale ancora più semplice garantire la condizione suddetta. Si deve però osservare che, quando i punti di contatto sono più di tre, la geometria diventa iperstatica. Pertanto quando la superficie su cui si muove il robot non è perfettamente planare, è necessario dotare il veicolo di un sistema di sospensioni per mantenere il contatto di tutte le ruote.

2.6.3 Manovrabilità

Per manovrare un veicolo è necessario un meccanismo di sterzatura per orientare le ruote. Come accenna-to in 2.6.1, i veicoli tipo auaccenna-tomobile generalmente adottano un dispositivo detaccenna-to sterzo di Ackermann. Come mostrato in Figura 2.8 (9), il treno di ruote orientabili, di solito quello anteriore, è provvisto di un trapezio articolato in cui il prolungamento dei due lati obliqui converge idealmente nel centro dell’asse posteriore. In questo modo gli assi delle ruote si intersecano sempre in un unico punto, che coincide con il centro istantaneo di rotazione.

Questo tipo di veicoli ha un raggio di sterzata maggiore delle dimensioni del veicolo. Pertanto la mano-vrabilità è da considerarsi limitata, ma d’altro canto ha l’importante vantaggio di conferire al veicolo un’elevata stabilità nelle svolte ad alta velocità. L’utilizzo di questo tipo di sterzatura è limitato solo agli autoveicoli e, in robotica, ai prodotti di hobbistica che derivano dalle comuni macchine radiocomandate.

(29)

I veicoli con un numero maggiore di ruote possono essere provviste di dispositivi Ackermann per ciascun treno ad eccezione di quello posteriore. Tuttavia, generalmente l’ambiente di lavoro dei robot mobili non è provvisto di una strada con ampie curve, bensì essi hanno la necessità di muoversi in spazi limitati e ve-locemente. Per questo motivo, nella grande maggioranza dei veicoli robotici, la sterzata è ottenuta princi-palmente in due modi (10):

 dotando ciascuna ruota di un motore che ne modifichi l’orientamento, ottenendo la cosiddetta sterzata esplicita;

tramite la tecnica della sterzata per scivolamento, comunemente detta skid-steering.

Figura 2.9 - Sterzata eplicita e sterzata per scivolamento

La sterzata esplicita ha i vantaggi di essere più efficiente su terreni accidentati e su pendenze, di richiede-re bassa potenza motrice e di svilupparichiede-re basse forze laterali sulle ruote, riducendo di conseguenza le sol-lecitazioni sulla struttura di supporto. Lo svantaggio è di necessitare di più componenti e di un maggiore volume. Inoltre, in caso di guida centralizzata, la trasmissione della coppia è resa difficile dal fatto che ciascuna ruota si orienta in una propria direzione, richiedendo complessi meccanismi. È quindi conve-niente dotare ciascuna ruota di un gruppo moto-riduttore.

Lo skid-steering non necessita di orientare le ruote, ma sfrutta la generazione di una differenza di velocità frenando e accelerando le ruote ai due lati del veicolo. Questa tecnica è comunemente usata nei mezzi cingolati, e ha trovato largo impiego anche nei robot per l’esplorazione planetaria con sei o otto ruote. I motivi sono la semplicità realizzativa, la compattezza del meccanismo e l’agilità del veicolo. Il lato nega-tivo sta nel fatto che lo scivolamento causa requisiti di potenza motrice imprevedibili su terreni sconnessi. Inoltre si sviluppano alte forze laterali che agiscono sulle ruote, richiedendo una struttura di supporto più resistente.

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La più elevata manovrabilità si ottiene con i veicoli omnidirezionali. Essi possono presentare la configu-razione di Figura 2.7, oppure disporre di un particolare tipo di ruote, chiamato Mecanum (Figura 2.10). Si tratta di una ruota fissa sulla cui circonferenza esterna sono aggiunti dei rulli passivi il cui asse di rotazio-ne è inclinato (in gerotazio-nere di 45°) rispetto al piano della ruota. Questa configuraziorotazio-ne conferisce alla ruota una bassa resistenza anche nelle altre direzioni, pertanto il veicolo può muoversi lungo qualunque percor-so semplicemente azionando le ruote e indipendentemente dal suo orientamento.

Figura 2.10 - La ruota Mecanum 2.6.4 Trazione

L’efficacia della trazione di un veicolo dipende fortemente dal contatto tra ruote e terreno. Idealmente, su una superficie perfettamente piana e trascurando i carichi dinamici, le ruote possono essere connesse rigi-damente alla base, in quanto la distribuzione dei carichi su una singola ruota sarebbe costante. In realtà, la connessione rigida trova applicazione solo in veicoli con tre ruote che si muovano lentamente in ambienti interni (su superfici piane come i pavimenti). Su terreni non piani la connessione rigida provocherebbe ampie variazione dei carichi su ciascuna ruota, forti inclinazioni del veicolo e perdita di contatto con il suolo. In generale i veicoli dispongono di una connessione tra ruota e base che permetta il moto relativo sul piano verticale. Le sospensioni hanno come scopi principali (11):

 Trasferire le forze orizzontali (trazione e sterzata) e le forze verticali (peso e carichi dinamici) dalla ruota alla struttura del veicolo e viceversa;

 Mantenere il più possibile costante la distribuzione dei carichi sulle singole ruote nelle differenti condizioni di lavoro, in modo da garantire la stabilità del veicolo e ottimizzare la trazione.

Tali connessioni consistono di collegamenti incernierati con l’interposizione di sistemi elastici e smorzan-ti.

In ambienti molto impegnativi, come quelli che affrontano i robot per l’esplorazione planetaria, in cui gli ostacoli sono grandi in confronto al diametro delle ruote e si presentano forti pendenze sia longitudinal-mente sia trasversallongitudinal-mente, la soluzione suddetta non è applicabile per i seguenti motivi:

 L’escursione consentita dalla sospensione deve essere sufficientemente ampia da permettere alla ruota di scavalcare un ostacolo mantenendo il contatto tra il suolo e le altre ruote, dunque la co-stante elastica della sospensione deve essere bassa;

(31)

 Questa condizione porta ad ampie oscillazioni a bassa frequenza della base del veicolo, compro-mettendone la stabilità e la capacità di affrontare le pendenze.

Quindi le soluzioni possibili per veicoli con ruote sono:

 Sospensioni passive con particolari soluzioni cinematiche;  Sospensioni attive.

Figura 2.11 - Rappresentazione schematica del rocker-bogie Sospensioni passive

Per consentire un ampio movimento verticale delle ruote, un sistema di sospensioni passive adatto ad am-bienti impegnativi richiede meccanismi cinematicamente complessi in luogo di mezzi elastici. In questo tipo di soluzione, per distribuire equamente i carichi sono necessarie almeno sei ruote (tre per ciascun la-to). La NASA ha brevettato un sistema di sospensioni di questo tipo, chiamato rocker-bogie (12) (lette-ralmente carrello a dondolo), e utilizzato sui robot Sojourner, Spirit e Opportunity. Esso è mostrato in Fi-gura 2.11 (13): su ciascun lato due ruote sono connesse a un bilanciere (secondario), il cui perno è con-nesso con l’estremità di un altro bilanciere (principale), incernierato a sua volta a un asse trasversale col-legato, tramite un differenziale, alla sospensione sull’altro lato del veicolo. In questo modo le ruote sono libere di adattarsi al contorno dell’ostacolo, mentre il moto della base è mediato rispetto al moto degli assi delle singole ruote. I vantaggi di questo sistema sono:

 Permette di oltrepassare ostacoli di dimensioni comparabili con il diametro delle ruote e tre volte maggiori rispetto a un sistema con quattro ruote;

 La trazione su sei ruote riduce le perdite nel caso in cui una ruota incontri una superficie sdruc-ciolevole;

(32)

 La massa totale può essere bassa. Gli inconvenienti sono invece i seguenti:

 Richiede basse velocità del veicolo;

 Richiede almeno sei ruote, riducendo necessariamente le dimensioni delle ruote rispetto a quelle del veicolo;

 La configurazione non può essere modificata per adattarsi alle varie condizioni di lavoro;

 Le sospensioni devono essere progettate per resistere in ogni fase della missione (lancio, atterrag-gio, ecc.);

 Il comportamento in caso di marcia in dietro può essere diverso da quello in caso di marcia in a-vanti.

Figura 2.12 - Sample Return Rover Sospensioni attive

Le sospensioni attive sono un sistema in cui la posizione verticale delle ruote non è una funzione della geometria del veicolo e del terreno, ma è controllata e comandata secondo criteri predefiniti. Ciascuna ruota è connessa alla base del veicolo tramite un dispositivo di posizionamento con almeno un grado di libertà controllato. In Figura 2.12 (14)è mostrato il Sample Return Rover della NASA, in cui il dispositivo di posizionamento consiste in un’asta rotante (gamba). La posizione della ruota è determinata dal sistema di controllo, il quale, cercando di mantenere costante il carico su ciascuna gamba, comanda il moto della gamba stessa in modo tale che la ruota, entro i limiti imposti dalla lunghezza delle gambe, segua il con-torno dell’ostacolo e compensi sia l’inclinazione longitudinale sia quella trasversale, rendendo il terreno sempre virtualmente piano. I vantaggi delle sospensioni attive sono i seguenti:

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 Siccome la distribuzione dei carichi è mantenuta costante dal sistema di controllo, sono sufficien-ti quattro ruote, inoltre il maggior carico derivante dal minor numero di ruote è compensato dalla maggiore dimensione delle ruote stesse;

 Il maggior diametro delle ruote riduce il rapporto tra diametro della ruota e altezza dell’ostacolo, migliorando la abilità nell’affrontare un ostacolo;

 La posizione della base è mantenuta pressoché costante, non solo in media, su qualunque tipo di terreno; questo è un vantaggio notevole per il sistema di visione;

 La distribuzione dei carichi può essere modificata per migliorare la stabilità o la trazione di una singola ruota, per evitare lo sprofondamento di una ruota su un terreno sabbioso, o per aumentare la reazione durante la trivellazione;

 Può essere modificata la configurazione del veicolo per meglio adattarsi alle varie fasi della mis-sione (stivaggio, lancio, atterraggio, ecc).

Gli inconvenienti sono invece i seguenti:

 Nel caso in cui la velocità del veicolo sia elevata, gli aspetti dinamici richiedono una maggiore quantità di calcolo, elevate forze di attuazione e tempi di attuazione molto brevi; questo problema è già stato affrontato con successo in Formula 1, e nel caso di robot per l’esplorazione, essendo le velocità notevolmente inferiori, sarebbe comunque molto ridimensionato;

 La movimentazione delle gambe richiede un sistema di attuazione per ogni gamba (motore, ridut-tore, sensori), aumentando la massa del sistema di locomozione.

Ruote

La capacità di un veicolo di sviluppare una trazione sufficiente per muoversi dipende fortemente dall’interazione tra le ruote e il terreno. La grande maggioranza dei modelli sviluppati per analizzare que-sta interazione richiedono la conoscenza precisa dei parametri che caratterizzano il comportamento del suolo, ad esempio la densità, la viscosità, la coesione, l’umidità, i moduli di deformazione.

Le prestazioni della locomozione sono in genere quantificate in termini della forza di trazione 𝐹𝑇, definita come la differenza tra la spinta al suolo 𝐹 e la resistenza all’avanzamento 𝑅𝑇 (15):

𝐹𝑇 = 𝐹 − 𝑅𝑇 (2.8)

(34)

Figura 2.13 - Modello di interazione ruota-terreno

La spinta 𝐹 si determina integrando la componente orizzontale dello sforzo di taglio sulla superficie di contatto 𝐹 =𝑏𝐷 2 𝑆 𝜃 cos 𝜃 𝑑𝜃 𝜃1 0 − 𝑆 𝜃 cos 𝜃 𝑑𝜃 𝜃2 0 (2.9)

mentre la resistenza 𝑅𝑇 si ottiene integrando la componente orizzontale della pressione normale sulla su-perficie di contatto 𝑅𝑇 =𝑏𝐷 2 𝑃 𝜃 sin 𝜃 𝑑𝜃 𝜃1 0 − 𝑃 𝜃 sin 𝜃 𝑑𝜃 𝜃2 0 (2.10)

dove 𝑏 e 𝐷 sono rispettivamente lo spessore e il diametro della ruota.

Il comportamento meccanico del terreno è rappresentato dalla legge di Mohr-Coulomb

𝜏 = 𝑐 + 𝜎 tan 𝜙 (2.11)

in cui 𝜏 rappresenta la lo sforzo di taglio parallelo al piano di cedimento, 𝑐 è il coefficiente di coesione e 𝜙 è l’angolo d’attrito del materiale. Alla luce di questa relazione, la spinta massima 𝐹0 ottenibile su una superficie di contatto 𝐴 è data dall’equazione di Bernstein-Bekker (17):

𝐹0 = 𝐴𝑐 + 𝑊 tan 𝜙 (2.12)

dove 𝑊 è il peso del veicolo. Per un veicolo con 𝑛 ruote la cui superficie di contatto sia data dallo spesso-re 𝑏 e dalla lunghezza 𝑙 della zona di contatto, si ottiene facilmente

(35)

Inoltre, la presenza sul battistrada di sagomature, ad esempio palette, aumenta la spinta in quanto cambia la distribuzione della pressione normale sulla ruota, oltre che aumentarne il diametro.

Un fattore che influenza negativamente la spinta è lo slittamento delle ruote. Esso rappresenta la differen-za tra la velocità di traslazione del veicolo e la velocità di rotazione delle ruote, ed è espresso dalla rela-zione:

𝑠 =𝑣0− 𝑣

𝑣0 (2.14)

ove 𝑣 è la velocità del veicolo, e 𝑣0 è la velocità periferica della ruota. Lo slittamento comporta una dissi-pazione di energia che abbassa l’efficienza del veicolo. Pertanto, tenendo in conto questo fattore, la spinta subisce una riduzione espressa da

𝐹 = 𝐹0(1 − 𝑒−𝑠𝑙 𝜅) (2.15)

in cui 𝜅 è il modulo di deformazione a taglio del materiale.

La resistenza all’avanzamento comprende un certo numero di componenti quali: la resistenza al rotola-mento, le resistenze del terreno alla compattazione e alla movimentazione, e la resistenza allo scivola-mento. Inoltre la resistenza è fortemente influenzata dall’affondamento della ruota nel suolo (il termine 𝑧𝑟 in Figura 2.13), la cui equazione generale è

𝑧𝑟 = 𝑊 𝐴(𝑘 𝑏)

1 𝑛′

(2.16) in cui 𝑘 è il modulo di deformazione del suolo dovuta all’affondamento e 𝑛’ è un parametro empirico.

(36)

Capitolo 3

Il veicolo

La progettazione di un sistema di locomozione deve tenere in conto un certo numero di problematiche. Nell’applicazione specifica, ovvero una missione di esplorazione planetaria, i problemi di maggiore im-portanza riguardano:

il terreno: esso è composto da materiale granulare a base di silicio che varia da polvere molto fine a particelle di qualche centimetro, e presenta un comportamento simil-fluido; inoltre è estrema-mente abrasivo;

l’ambiente: il percorso dalla stazione base al cratere è molto sconnesso e disseminato di ostacoli come sassi o rocce di varie dimensioni; l’accesso al cratere è determinato da corridoi di varie pendenze il cui terreno, quando caricato, può sdrucciolare rendendo il veicolo incontrollabile;  il peso: il robot non può pesare più di 100 𝑘𝑔, inoltre è opportuno prestare particolare attenzione

alla distribuzione delle masse soprattutto durante le fasi di discesa e risalita del cratere;  le dimensioni: quando stivato, il robot non può avere un ingombro superiore a 0,5 𝑚3;

il consumo di potenza: non può essere superiore a 2 𝑘𝑊, inoltre il robot deve avere un’autonomia di 2 ore.

3.1 La piattaforma mobile

La piattaforma mobile ha lo scopo di alloggiare tutti i componenti elettronici necessari al funzionamento del veicolo. Essendo il robot progettato in forma prototipale, non sono stati impiegati materiali necessa-riamente adeguati, bensì la scelta è ricaduta su materiali economici, prontamente disponibili in commer-cio, e facilmente lavorabili anche senza macchine a controllo numerico. Pertanto la piattaforma è compo-sta da un telaio costruito con profilati di alluminio. Quecompo-sta soluzione ha il vantaggio di essere semplice, leggera, modulabile, e sufficientemente resistente. La pavimentazione, le paratie laterali e il pianale supe-riore sono state ricavate da una lastra di legno multistrato.

All’interno della piattaforma sono stati installati, come detto, i componenti elettronici predisposti al con-trollo del robot, alla comunicazione con la stazione base, all’alimentazione.

(37)

In particolare, il sistema di alimentazione di potenza è stato realizzato con 24 batterie al litio, ciascuna ca-pace di fornire una tensione di 12 𝑉.

Il componente elettronico principale è il CompactRIO della National Instruments (Figura 3.1). Esso è un sistema embedded per il controllo avanzato e l'acquisizione dati, progettato per applicazioni che richiedo-no alte prestazioni ed affidabilità. Grazie alla sua architettura e alle caratteristiche di sistema compatto, robusto e flessibile,è possibile usare hardware commerciali per realizzare velocemente sistemi personaliz-zati. CompactRIO si basa sulle tecnologie LabVIEW FPGA e LabVIEW Real-Time di National Instru-ments. Consiste sostanzialmente in un supporto dotato di processore, in cui possono essere inserite diver-se schede, ciascuna predisposta ad un compito specifico. Ad ediver-sempio la scheda di rete permettere di col-legare un dispositivo di rete tipo router per la trasmissione dei dati, mentre la scheda CAN offre l’interfaccia con la scheda PAE di controllo dei motori. Grazie all’adozione di questo componente l’intero software di controllo del robot è stato scritto in LabVIEW.

Figura 3.1 - Il CompactRio

Gli altri componenti hardware presenti all’interno della piattaforma sono la scheda PAE di controllo dei motori, il router Linksys per la connessione senza fili tra la stazione base e il robot, il componente Natio-nal Intruments CVS (Compact Vision System) per l’interfaccia con il sistema di visione.

Sopra alla piattaforma sono montati il manipolatore, il dispositivo di puntamento laser e la telecamera, installati entrambi su di un dispositivo pan-tilt che ne consente l’orientazione, l’inclinometro, la scheda di controllo dell’organo terminale e i vari interruttori.

Inoltre, siccome la specifica richiede che la missione venga compiuta nel buio per simulare le reali condi-zioni operative, il gruppo laser-telecamera è provvisto di una coppia di fari a led, mentre altre fonti di il-luminazione sono poste sulla parte anteriore della piattaforma e orientate in modo tale da illuminare il suolo antistante alle ruote e le zone laterali.

(38)

Figura 3.2 - Schema elettrico del robot

3.2 Le ruote

Durante l’evoluzione del progetto sono stati proposti diversi tipi di ruote che potessero portare a termine la missione di affrontare una pendenza di 40°. Possono distinguersi due categorie principali (18):

 Cerchio piccolo e palette lunghe  Cerchio grande e palette corte

Le ruote proposte sono mostrate in Figura 3.3.

Figura 3.3 - Profili delle ruote proposte e sperimentate

In particolare le ruote a e b presentano una differente distribuzione di pressione sulle loro superfici, la ruota c è usata solo come riferimento, la ruota d è usata per confrontare le dimensioni del cerchio, mentre la ruota e presenta una diversa distribuzione delle palette.

(39)

Allo scopo di verificarne l’efficacia, sono stati condotti diversi esperimenti in una spiaggia nel Parco Re-gionale di San Rossore. Gli esperimenti hanno riguardato sostanzialmente tre obiettivi del sistema di lo-comozione:

 Scalata su terreno sabbioso a diverse pendenze;  Locomozione sul piano;

 Manovrabilità.

Gli esperimenti riguardanti la abilità di affrontare le pendenze sono stati condotti su un percorso di 2,4 𝑚. I risultati sono riportati in Tabella 3.1. La missione si considera compiuta se il veicolo è in grado di per-correre l’intero tragitto, altrimenti è parzialmente compiuta se riesce a percorrerne una parte, infine è con-siderata fallita se il veicolo non riesce a procedere.

Tabella 3.1 - Risultati degli esperimenti sulla scalata; C: compiuto, PC: parzialmente compiuto, F: fallito.

Pendenza

Velocità [°/𝒔]

a

b

c

d

e

20° 30 C PC PC C C 60 PC F F C C 120 F F F PC C 30° 30 PF F F PC C 60 F F F PC PC 120 F F F F F 40° 30 F F F PC PC 60 F F F F F 120 F F F F F

Come si vede, le ruote con il cerchio di diametro maggiore e le palette corte hanno mostrato un compor-tamento migliore. Per questo motivo di queste due ruote si riporta in Tabella 3.2 un’analisi più dettagliata riguardante la velocità media, l’energia spesa e lo slittamento (si veda 2.6.4) registrate durante la prova a pendenza 20°. Appare evidente che, nonostante presenti uno slittamento, la ruota e è in grado di affronta-re la pendenza alle diverse velocità e con consumi di energia paragonabili a quelli della ruota d.

Inoltre in Figura 3.4 è riportato il grafico interpolato del consumo energetico in funzione della pendenza. Si può vedere che la ruota e presenta consumi inferiori ed è in grado di affrontare inclinazioni maggiori rispetto alla ruota d.

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