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Risposta ormonale all'esercizio fisico negli ipertesi essenziali e nei pazienti con iperaldosteronismo primario.

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione.………….………..pag. 3

1. Regolazione ormonale dell’esercizio fisico….………...pag. 5

1.1. Asse ipotalamo-ipofisi-surrene..………...pag. 6 1.2. Le catecolamine………...…pag. 10 1.3. Sistema renina-angiotensina-aldosterone………...…………pag. 13

2. Risposta dell’aldosterone all’ACTH………...………….…..pag. 15

2.1. Sintesi e funzione dell’aldosterone………..pag. 15 2.2. Effetti acuti e cronici dell’ACTH………...pag. 17

3. Ipertensione arteriosa……….……….pag. 20

3.1. Definizione e classificazione dell’ipertensione arteriosa ……….pag. 22 3.2. Iperaldosteronismo primario………...…....pag. 28 3.3. ACTH ed iperaldosteronismo….……….pag. 34

4. Danno d’organo a livello cardiovascolare………….…………....pag. 36

4.1. Aldosterone come fattore indipendente di rischio CV………...…….pag. 41

4.2. Effetti dell’aldosterone sul cuore e vasi………..……..pag. 42

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6. Finalità del lavoro………...….pag. 50

6.1. Ipotesi di studio………..……….…pag. 50 6.2. Popolazione in studio.……….pag. 51 6.3. Limiti dello studio………pag. 52

7. Materiali e Metodi………...…….pag. 53

7.1. Prelievi ematici ed indagini di laboratorio………….………....pag. 53 7.2. Test al cicloergometro………...………..pag. 55 7.3. Studio ecocardiografico: parametri di riferimento………..pag. 56 7.4. Ultrasonografia bidimensionale della carotide………..……….pag. 60 7.5. Analisi statistica……….……pag. 61

8. Risultati………...…..pag. 62

9. Discussione………pag. 75

10. Conclusioni………….……….pag. 84

(3)

Introduzione

L’esercizio fisico di breve durata e di severa intensità può essere considerato un vero e proprio modello di situazione stressante; per portare a termine uno sforzo richiediamo al nostro organismo di rispondere rapidamente ad un drastico cambiamento del metabolismo basale. Poniamo il nostro corpo in una situazione in cui, per adempiere allo sforzo che stiamo affrontando, è necessaria una coordinata interazione di più sistemi, indispensabili per garantire un flusso sanguigno adeguato ai nostri muscoli e soddisfare le richieste metaboliche necessarie allo svolgimento del lavoro richiesto. È chiaro che per poter effettuare questi cambiamenti sia necessaria una risposta neuroendocrina ben precisa e coordinata, che possa fornirci le capacità di fronteggiare la situazione stressante.

In questo studio, analizzeremo come i mediatori ormonali più importanti coinvolti nella risposta ad uno stress acuto, quindi ad un esercizio fisico intenso, possano variare da uno stato di riposo ad uno stato di massima richiesta metabolica, ponendo particolare attenzione ai cambiamenti dell’ACTH e dell’aldosterone.

In letteratura è dimostrata la fisiologica risposta di questi ormoni allo stress; in particolare ci interessa valutare la loro espressione in pazienti con ipertensione secondaria ad iperaldosteronismo primario.

L’ormone ipofisario ACTH o corticotropina, attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, è il mediatore che interviene nella regolazione della risposta ad eventi stressanti.

L’ACTH è stato oggetto di alcuni studi per quanto concerne un suo ruolo secondario nella stimolazione della produzione e secrezione dell’aldosterone. Il rilascio di aldosterone è indotto da: modificazioni acute dei livelli di ACTH dovute alle fluttuazioni circadiane

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della sua secrezione, modificazioni indotte da un test di soppressione al desametasone e da infusioni esogene di ACTH sintetico.

È nostro interesse, invece, valutare la risposta dell’aldosterone all’ACTH in seguito ad uno stress fisico.

Utilizzeremo un test da sforzo al cicloergometro per far compiere a questi pazienti uno sforzo massimale ma soprattutto incrementale; ciò ci permetterà di poter monitorare l’andamento della pressione arteriosa sia durante l’esercizio che durante il recupero e ci consentirà di effettuare un prelievo venoso all’apice dello sforzo per poter misurare i livelli ormonali dei pazienti.

La letteratura è concorde nel considerare l’aldosterone come un fattore di rischio cardiovascolare indipendente. Aumentati livelli di aldosterone in pazienti con malattia cardiaca sono predittivi di un ulteriore rischio di mortalità; pazienti con iperaldosteronismo primario hanno un rischio relativo maggiore rispetto agli ipertesi essenziali di andare incontro a patologie cardiovascolari, come stroke, infarto miocardico acuto, fibrillazione atriale ed aritmie ventricolari

.

Per tal motivo, questi pazienti sono stati studiati con metodiche di imaging: ecocardiografia ed ultrasonografia dei vasi epiaortici per valutare il danno d’organo cardiovascolare indotto dalla patologia sottostante.

Abbiamo valutato attraverso l’ecocardiografia gli spessori parietali e del setto interventricolare, misurato la camera ventricolare sinistra, calcolato l’indice di massa miocardica e valutato eventuali segni di disfunzione diastolica attraverso il doppler tissutale dell’anello mitralico.

Attraverso l’ecocolor doppler dei vasi cerebro afferenti abbiamo ricercato la presenza di placche aterosclerotiche, valutato lo spessore medio intimale a livello della biforcazione carotidea e ad 1 cm dal bulbo.

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1. Regolazione ormonale dell’esercizio fisico

Il mantenimento dell’omeostasi è un prerequisito fondamentale per la vita, è necessario per assicurare la stabilità del nostro corpo in risposta a stimoli interni ed esterni.

Il nostro organismo si trova in uno stato biochimico di equilibrio dinamico, uno stato di disponibilità a reagire a qualsiasi stimolo esterno, anche quando sono richieste delle prestazioni fisiche. 1

L’esercizio fisico richiede un adattamento del nostro organismo per ripristinare un equilibrio in qualche modo alterato.

A tal fine è necessaria una coordinata interazione di più sistemi, respiratorio e cardiovascolare in primis, indispensabili per garantire un flusso sanguigno adeguato ai nostri muscoli e soddisfare le richieste metaboliche necessarie allo svolgimento del lavoro richiesto.

Per preservare l’ossigenazione cellulare e l’equilibrio acido-base durante un esercizio, la risposta metabolica, cardiovascolare e respiratoria deve rapidamente adattarsi a fronteggiare questa situazione di cambiamento2

.

La risposta neuroendocrina allo stress è un eccellente esempio di come il nostro organismo risponda alle minacce esterne: essa coinvolge principalmente le vie dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ed il sistema nervoso autonomo con i suoi mediatori molecolari3

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1.1 Asse ipotalamo-ipofisi-surrene

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è un complesso sistema di regolazione endocrina, che deriva dall’interazione di questi organi tramite feedback ormonali, ed è il principale effettore della risposta individuale allo stress.

Il primo regolatore di questa via ormonale è il corticotropin releasing hormone (CRH): è sintetizzato dalle cellule neurosecretorie del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo ed è rilasciato da tali neuroni nell’eminenza mediana dell’adenoipofisi, dove determina a sua volta il rilascio dell’ormone adrenocorticotropo ACTH. Quest’ultimo attraverso il flusso sanguigno viene trasportato alle ghiandole surrenali, dove stimola la produzione di cortisolo – il cosiddetto ormone dello “stress”- da parte della zona fascicolata della corticale del surrene. La sua produzione aumenta, appunto, in condizioni di stress psico-fisico severo, per esempio dopo esercizi fisici estremamente intensi e prolungati o a seguito d’interventi chirurgici. Con la sua azione, il cortisolo tende ad inibire le funzioni corporee non indispensabili nel breve periodo, garantendo il massimo sostegno agli organi vitali.

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ha un ruolo centrale nella regolazione di molteplici sistemi omeostatici del nostro corpo, tra cui il sistema metabolico e cardiovascolare, il sistema immunitario, il sistema nervoso ed il sistema riproduttivo1

.

Il secondo più importante modulatore della secrezione pituitaria di ACTH è l’arginina-vasopressina (AVP), prodotta dai neuroni parvicellulare del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, la quale ha un importante ruolo nella risposta allo stress.

Il rilascio in circolo di ACTH è pulsatile e presenta un caratteristico ritmo circadiano con i livelli più elevati tra le ore 06.00 e le 08.00 A.M., da cui dipende il ritmo circadiano del cortisolo.

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Figura 1 Ritmo circadiano della secrezione di ACTH e glucocorticoidi

Tranne qualche eccezione, in tutti i tipi di iperfunzione della corteccia surrenalica questo ritmo è abolito.

Durante una fase di stress, la vasopressina ed il CRH aumentano i loro valori plasmatici con il risultato di una abbondante stimolazione alla secrezione di ACTH e quindi al rilascio di cortisolo. In risposta ad uno stress cronico, troviamo una notevole differenza nella risposta ipotalamica; abbiamo un incremento di mRNA della POMC nell’adenoipofisi e del cortisolo plasmatico ma un paradosso decremento di mRNA del CRH nel nucleo paraventricolare e del CRH nel circolo portale ipofisario. È interessante notare che a ciò corrisponde un marcato incremento di mRNA dell’AVP, cosa che suggerisce un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene prevalentemente incentrato su AVP e

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Figura 2 L’asse ipotalamo ipofisi surrene e la risposta a stress acuti e cronici

Il cortisolo è un ormone essenziale per la vita: mantiene la produzione di glucosio dalle proteine, facilita il metabolismo dei grassi, sostiene la reattività del sistema vascolare, modula la funzione del SNC ed interferisce prontamente con il sistema immunitario e con le risposte infiammatorie.

I suoi effetti metabolici sono catabolici ed iperglicemizzanti; a livello muscolare contribuisce a mantenere la contrattilità e la capacità di prestazione sia dei muscoli scheletrici che del muscolo cardiaco. L’effetto positivo sulla funzionalità cardiaca è mediato da un aumento del numero delle molecole di sodio, potassio ATPasi e dei recettori beta- adrenergici presenti nel miocardio4.

L’esercizio fisico comporta un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ciò è ulteriormente confermato dal fatto che l’esercizio determini un aumento dei valori plasmatici di beta-endorfina/beta-lipotropina in soggetti normali.

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Adulti di sesso maschile, volontari, con simile attitudine all’esercizio fisico e struttura corporea, sono stati sottoposti a sforzi stressanti per l’organismo ed in questi soggetti si è evidenziato un graduale incremento della concentrazione periferica di beta-endorfina. ACHT e beta-endorfina sono entrambe molecole che derivano dalla POMC e sono secrete in quantità equimolari dalle cellule ipofisarie corticotrope5

.

In un altro studio, i valori plasmatici di ACTH, cortisolo ed acido lattico sono stati misurati in soggetti sedentari, in soggetti moderatamente allenati ed in atleti molto allenati dopo un test da sforzo al cicloergometro. La risposta di ACTH, cortisolo e lattato era elevata e proporzionale allo sforzo in tutti i gruppi in studio ma attenuata nei soggetti più allenati. Ciò dimostra che in questi soggetti l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è allenato ad innescare una risposta più lieve; dunque l’esercizio fisico acuto induce una risposta inversamente proporzionale al livello di allenamento del soggetto6

.

Normalmente il feedback inibitorio del cortisolo blocca la secrezione di ACTH; i suoi valori aumentati nonostante i livelli alti di cortisolo suggeriscono che lo stress indotto dall’esercizio ignora questo feedback ed altri effettori come la vasopressina inducono un rilascio di ACTH sinergico o addizionale al CRH con una minima influenza negativa da parte del cortisolo7

. Inoltre è stato dimostrato che l’esercizio stimola il rilascio di AVP nella circolazione sistemica in maniera proporzionale all’intensità dell’esercizio.

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1.2 Le catecolamine

La secrezione della midollare del surrene costituisce un elemento integrante della reazione di “attacco o fuga” evocata dalla stimolazione del sistema nervoso simpatico. Pertanto diverse situazioni di stress fisico e mentale possono portare ad un rapido aumento plasmatico di questi ormoni, come a in seguito a: un pericolo, un trauma, un episodio ipotensivo, temperature estreme, crisi ipoglicemiche e sicuramente un esercizio fisico intenso8

.

Il protagonista è sicuramente il sistema nervoso simpatico, le risposte vengono iniziate dall’ipotalamo e dal tronco encefalico. La via efferente è rappresentata dalle fibre simpatiche del nervo grande splancnico: quando vengono stimolate, i loro terminali nervosi rilasciano acetilcolina che depolarizza la membrana delle cellule cromaffini aumentandone la permeabilità al sodio. La depolarizzazione attiva i canali del calcio voltaggio dipendenti e questo evento stimola l’esocitosi dei granuli di secreto contenenti adrenalina, noradrenalina, ATP , la dopamina beta-idrossilasi ed altre molecole.

La maggior parte dell’adrenalina in circolo deriva dalla secrezione della midollare del surrene; al contrario gran parte della noradrenalina deriva da quella liberata dai terminali nervosi simpatici e dal cervello, che viene riversata nel sangue dopo esser sfuggita alla captazione locale. Le catecolamine hanno un tempo di azione breve che permette l’interruzione rapida dei loro effetti biologici9

.

Le azioni delle catecolamine sul metabolismo e sui vari sistemi del nostro corpo sono molteplici; durante un esercizio fisico intenso agiscono a livello cardiovascolare per permettere al nostro corpo di fronteggiare lo sforzo che gli stiamo chiedendo di effettuare. L’effetto che si vuole ottenere è di convogliare il sangue verso i muscoli in attività, mantenendo costanti il flusso coronarico e cerebrale.

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In sintesi le catecolamine rinforzano le funzioni del cuore e determinano: • Aumento della gittata cardiaca per effetto inotropo e cronotropo +; • Aumento della pressione sistolica con invariata pressione diastolica; • Vasocostrizione selettiva, arteriole del rene, milza e cutanee;

• Vasodilatazione delle arteriole muscolari.

Le catecolamine esercitano i loro effetti tramite recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule bersaglio, che sono nominati , α1, α2, β1, β2 e β3. La potenza relativa per ogni catecolamina varia per ogni sottotipo di recettore: l’adrenalina tende a reagire più intensamente con i recettori di tipo β, mentre la noradrenalina con i recettori di tipo α, ma esiste una notevole sovrapposizione.

Sito d’azione

Azione

Beta 1

Beta 2

Cuore

Aumento contrattilità

Aumento frequenza

Velocità conduzione

Automatismo ectopico

+

°

Vasi

Vasodilatazione

°

+

Bronchi

Broncodilatazione

°

+

Rene

Liberazione di renina

+

°

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Figura 3 Effetti sistemici delle catecolamine ed attivazione del sistema renina angiotensina

La midollare e la corticale del surrene, come abbiamo visto, sono deputate al controllo di due vie ormonali diverse ma che insieme aiutano il nostro corpo a fronteggiare una situazione di stress; la loro relazione non è solo anatomica ma anche funzionale.

Come visto in precedenza, lo stress viene avvertito da numerose aree del cervello che portano all’attivazione:

• dei neuroni del PVN dell’ipotalamo, determinando la secrezione di CRH e AVP ; • di neuroni adrenergici e del sistema nervoso simpatico.

Studi hanno dimostrato che l’attivazione di uno dei due sistemi potenzia l’attivazione dell’altro, in quanto le afferenze noradrenergiche aumentano la liberazione di CRH ed il CRH aumenta la scarica adrenergica.10

Un altro studio ha dimostrato che la risposta catecolaminergica da parte del surrene è ridotta in pazienti con deficienza isolata di glucocorticoidi, nonostante la terapia

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sostitutiva. Questi pazienti, che presentano una mancata responsività all’ACTH, sono stati sottoposti a diverse forme di stress acuto con vari livelli d’intensità; la fisiologica riposta allo stress ed i livelli di catecolamine circolanti sono stati monitorati durante l’esecuzione dei test. Lo studio ha dimostrato che i pazienti con deficienza isolata di glucocorticoidi presentano una severa disfunzione di risposta adrenergica della midollare del surrene, caratterizzata da una produzione minima di adrenalina a riposo ed una minima risposta allo stress; la noradrenalina risultava, invece, essere meno coinvolta da questa interazione 11

. L’adrenalina costituisce più dell’80% delle catecolamine prodotte a livello surrenalico e la sua secrezione è certamente connessa alle situazione stressanti9

.

Il neurotrasmettitore noradrenalina ed il neuropeptide CRH determinano numerose risposte adattative allo stress: l’attivazione di un maggior stato di vigilanza e l’inibizione dell’ormone della crescita e delle gonadotropine, perché presumibilmente la riproduzione e la crescita sono dei processi inutili durante uno stress.

Nel caso in cui lo stress comporti anche un trauma tissutale o un’infezione, vengono localmente prodotte alcune citochine ( IL-1, IL-6, TNFa), che stimolano la produzione di CRH,ACTH, ed infine cortisolo, per controllare tale risposta infiammatoria12

.

1.3 Sistema renina-angiotensina-aldosterone

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone è un sistema ormonale deputato al controllo della pressione arteriosa e del bilancio idrosalino.

Il mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico e un’adeguata dinamica circolatoria sono condizioni indispensabili per la normale attività dei tessuti del corpo umano, come quello cerebrale e muscolare, soprattutto qualora una situazione di stress od un esercizio fisico intenso aumenti le richieste del nostro organismo.

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Una riduzione del volume plasmatico porta ad una diminuita perfusione renale: le cellule dell’apparato juxtaglomerulare del rene recepiscono questa situazione e convertono la pro-renina in pro-renina rilasciandola direttamente nel flusso sanguigno.

La renina plasmatica converte l’angiotensinogeno rilasciato dal fegato in angiotensina I, il quale verrà convertito in angiotensina II dall’enzima angiotensin converting enzyme ACE. L’angiotensina II è un potente peptide vasoattivo, determina vasocostrizione dei vasi sanguigni con incremento pressorio. Inoltre stimola la secrezione di aldosterone da parte della zona glomerulare della corticale del surrene.

L’aldosterone è deputato al riassorbimento di ioni sodio ed acqua dal filtrato ed incentiva la secrezione di ioni potassio al livello del tubulo contorto distale. Tutto ciò incrementa il volume plasmatico e di conseguenza la pressione sanguigna13

.

Studi dimostrano che l’esercizio fisico porta ad una diminuzione della perfusione ematica renale; è stato evidenziato come il decremento del flusso sanguigno sia proporzionale all’aumento di intensità dell’esercizio fisico, tale decremento risulta essere ancora più elevato quando il lavoro muscolare viene svolto in ambiente caldo-umido .

L’ aumento della concentrazione di renina plasmatica è stato correlato con l’incremento d’intensità dell’ esercizio fisico14

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2. Risposta dell’aldosterone all’ACTH

L’aldosterone è il più importante mineralcorticoide deputato al controllo dell’equilibrio idro-elettrolitico nei mammiferi.

Le varie vie di attivazione che portano alla produzione di questo ormone non sono ancora del tutto ben identificate, nonostante numerosi studi cerchino di inquadrare le vie di trasduzione del segnale che portano alla steroidogenesi ed alla produzione dell’ormone attivo.

Sappiamo che la secrezione di aldosterone è primariamente regolata dall’angiotensina II, dai livelli sierici di potassio ed è influenzata anche dalla corticotropina ACTH, quest’ultimo elemento è quello che più ci interessa15

.

2.1 Sintesi e funzione dell’aldosterone

La biosintesi dell’aldosterone avviene a livello della zona glomerulare della corticale del surrene, deriva da una serie di passaggi enzimatici che coinvolgono tre enzimi della famiglia del citocromo p450 ed un idrossisteroide deidrogenasi.

Come tutti gli ormoni steroidei, le cellule della zona glomerulare utilizzano il colesterolo come primo precursore per la steroidogenesi; questo colesterolo proviene da diverse fonti, inclusi precursori come acetato o esteri colesterinici depositati negli adipociti.

La reazione iniziale prevede la conversione mitocondriale del colesterolo in pregnenolone; essa è strettamente controllata e rappresenta il passaggio limitante la velocità di sintesi dell’aldosterone. Questo passaggio è regolato dall’espressione e fosforilazione delle “Steroidogenic acute regulatory protein “ StAR16

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è completata nei mitocondri, dove il desossicortisone va incontro ad una 11-beta e 18-idrossilazione seguita da una 18-ossidazione.

Ci sono vari fattori che regolano la produzione di aldosterone nella zone glomerulare, in primis la selettiva espressione del gene CYP11B2. Uno studio condotto nel 2010 ha evidenziato una variabile espressione interumana di cluster cellulari esprimenti CYP11B2 a livello della zona glomerulare del surrene17

: questo fenomeno può essere correlato ad una dieta ricca di sale, come risultato di una soppressione del sistema renina angiotensina. È stato ipotizzato che queste cellule corticali esprimenti CPY11B2 possano essere i precursori di adenomi aldosterone secernenti (APA).

La regolazione della biosintesi dell’aldosterone può essere divisa in due eventi chiave fondamentali:

• Una fase acuta, dopo pochi minuti dalla stimolazione, in cui la produzione dell’ormone è controllata da rapidi passaggi mediati da un’aumentata espressione e fosforilazione delle proteine StAR;

• Cronicamente la produzione di aldosterone è regolata principalmente dall’espressione di CYP11B218

.

La principale via di segnalazione alla base della secrezione dell’ aldosterone è il sistema renina–angiotensina, che vede come ultimo messaggero l’angiotensina II, la quale legandosi ai recettori AT1 innesca una via di trasduzione del segnale specifica. Il legame con il recettore determina l’attivazione della fosfolipasi C, che cliva il fosfatidil-inositolo 4,5 bifosfato (PIP2), generando due secondi messaggeri intracellulari, l’inositolo trifosfato (IP3) ed il diacilglicerolo (DAG). L’IP3 agisce a livello intracellulare, aumentando i valori citosolici del calcio ed attivando la protein kinasi calcio/calmodulina dipendente ( CaMK); il DAG stimola la protein kinasi C ( PKC).

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L’influsso di calcio è essenziale per la continua secrezione di aldosterone, tanto che l’utilizzo di Ca antagonisti determina una riduzione della secrezione dell’ormone19

.

Come avviene per l’angiotensina II, piccoli incrementi dei valori plasmatici di potassio, attraverso la depolarizzazione della membrana, determinano un’attivazione dei canali al calcio voltaggio-dipendenti tipo T e dei canali tipo L.

L’aldosterone esplica la sua azione legandosi ai recettori per i mineralcorticoidi di tipo1 nelle cellule bersaglio con un intervallo di 1-2 ore dall’esposizione.

Il rene è la sede principale dell’attività mineralcorticoide; l’aldosterone stimola il riassorbimento attivo di sodio dal filtrato presente nel tubulo contorto distale e nei dotti collettori. Il riassorbimento di sodio richiama il riassorbimento passivo di acqua e stimolata inoltre la secrezione di potassio nelle urine da parte delle cellule tubulari. La stimolazione della pompa Na+/k+ ATPasi sul versante basale determina il passaggio di potassio dal plasma alla cellula tubulare; il riassorbimento del sodio all’apice della cellula determina elettronegatività ed il trasferimento del potassio nell’urina20

.

A livello del dotto collettore l’aldosterone esercita la sua azione stimolando l’espressione del gene per le subunità α, β e γ del canale trimerico ENaC ed è a questo livello avviene la fine regolazione dell’escrezione di questo ione21

.

2.2 Effetti acuti dell’ACTH

L’ACTH è considerato il secondo regolatore della produzione di aldosterone da parte della zona glomerulare del surrene; è chiaro da tempo che le cellule deputate alla produzione di questo ormone possono rispondere all’ACTH rilasciando rapidamente l’aldosterone. Ciò avviene attraverso il legame della corticotropina al recettore dell’ACTH ( MCR2), il quale attiva la proteina Gs e la produzione di cAMP, il secondo messaggero che stimola l’attività

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incrementare in tal modo la sintesi di aldosterone, agendo sul trasporto del colesterolo all’interno dei mitocondri per avviare le vie trattate in precedenza. Abbiamo, dunque, un incremento della produzione dell’ormone attraverso la fase acuta.

L’ACTH è anche capace di promuovere l’influsso di calcio attraverso la PKA, che può fosforilare, quindi attivare, i canali del calcio tipo L, meccanismo alla base della secrezione dell’aldosterone15

.

Infine sono stati studiati dei meccanismi relativi la secrezione di aldosterone che vedono coinvolto sempre cAMP -dunque l’ACTH- ma non la PKA; l’angiotensina II e l’ACTH stimolano la produzione di aldosterone attraverso vie simili che vedono come protagonista il calcio citosolico, tuttavia alcuni studi hanno osservato che l’attivazione mediata dall’ACTH non risulta influenzata dai valori plasmatici di calcio.

Sono stati cercati mediatori dell’cAMP ancora non ben identificati che possono regolare il complesso calcio-calmodulina CaMK senza l’attivazione dei canali del calcio. Uno degli elementi studiati è un fattore di scambio del nucleotide guanina detto Epac22

.

Gli effetti cronici di una stimolazione con ACTH sembrerebbero portare ad altri risultati: infusioni croniche con basse dosi porterebbero ad un iniziale incremento di attività renina plasmatica (PRA) e dell’aldosterone plasmatico durante le prime 12-36 h ma ad un lento declino dei valori nei giorni seguenti.

I meccanismi alla base non sono del tutto certi; un’ipotesi sostiene che i segnali innescati dal cAMP possano ridurre la sensibilità delle cellule corticali all’angiotensina II, con una down-regolazione dell’espressione dei suoi recettori15

.

Diversamente all’effetto che la corticotropina esercita sul cortisolo, la stimolazione di aldosterone è autolimitante; con una stimolazione continua da parte dell’ACTH, la secrezione di aldosterone subisce un inevitabile calo.

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Una stimolazione continua di ACTH conduce ad una stimolazione sostenuta nel tempo del cortisolo; invece l’aldosterone sembrerebbe essere più influenzato da una secrezione pulsatile.

Dato che il CRH e l’ACTH sono rilasciati con un tipico pattern pulsatile, è interessante capire le differenze che possono esserci fra un stimolazione con ACTH esogeno pulsatile (ogni 2h per 72 h) ed una continua sempre per 72h.

L’infusione continua ha portato ad un declino dei valori plasmatici dell’aldosterone fino ai valori di pre stimolazione in 72h (verosimilmente in regressione dalla 18° ora), mentre l’infusione pulsatile ha portato ad una stimolazione protratta oltre le 72h23

.

Numerose evidenze scientifiche hanno supportato la teoria di una risposta dell’aldosterone all’ACTH utilizzando dosi abbastanza elevate di ormone sintetico (Synacthen); uno studio del 2008 ha cercato di investigare meglio questa associazione utilizzando dosi molte più basse di Synacthen per valutare se anche l’aldosterone fosse sensibile a tali valori di ACTH come le altre molecole ad esso legate, quindi, il cortisolo, l’androstenedione ed il 17 idrossiprogesterone.

I risultati hanno notato un rapido incremento ed un rapido decremento dell’aldosterone, che al 30° minuto risultava quasi ai valori antecedenti la stimolazione, mentre era sicuramente superiore al 10° e 20° minuto.

In base a ciò i prelievi classici del test di stimolazione al Synacthen utilizzati in altri studi (al 0, 30°, 60° minuto) avrebbero sottostimato la risposta dell’aldosterone a basse dosi di ACTH esogeno perché il tempo di rilascio dell’ormone non è dose dipendente ma la durata della risposta incrementa significativamente con alte dosi di ACTH24

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3. Ipertensione arteriosa

L’ipertensione arteriosa è un’importante fattore di rischio cardiovascolare, raddoppia il rischio di coronaropatia, ictus ischemico ed emorragico, arteriopatie periferiche ed insufficienza renale25

.

Si tratta di un problema importante di sanità pubblica; nel Mondo le malattie cardiovascolari sono responsabili di 17 milioni di morti all’anno (circa 1/3 delle morti totali) e circa 9.4 milioni di morti sono associate a complicanze ipertensive. L’ipertensione arteriosa è responsabile del 45% delle morti dovute a malattie cardiache ed del 51% di quelle dovute ad ictus.

Circa il 28.7% della popolazione adulta mondiale può essere considerato iperteso, la prevalenza cresce con l’età passando al 65,4% oltre i 60 anni, il numero è incrementato da 600 milioni di persone negli anni 80 ad 1 miliardo nel 2008 ed è in continua crescita, il controllo è migliorato passando da un 27.3% nel 1988 ad un 50.1% nel 200825

.

Tale incremento è attribuibile: ad una aumentata crescita della popolazione mondiale, all’invecchiamento con i conseguenti fattori di rischio, ad una dieta alimentare poco sana, allo smodato uso di alcolici, alla mancanza di attività fisica, ad un eccessivo incremento ponderale e all’eccessiva esposizione a situazioni stressanti persistenti.

Se associata ad altri importanti fattori di rischio, quali fumo di sigaretta, obesità, diabete mellito e dislipidemia ( in particolare ipercolesterolemia), il rischio cardiovascolare diventa altissimo: siamo di fronte ad un serio problema di salute su cui è necessario agire su più fronti.

Negli Stati Uniti, nei giovani, la pressione arteriosa media è più alta negli uomini rispetto le donne; progredendo con l’età, la velocità di crescita dei valori è maggiore nelle donne. In età adulta la pressione diastolica cresce progressivamente con l’età fino a 55 anni, in

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seguito tende a diminuire con un aumento di quella che è definita pressione arteriosa differenziale e che riflette una diminuita compliance vascolare.

Negli adulti si osserva un continuo e crescente rischio di malattia cardiovascolare e di nefropatia sia sulla base dei livelli di pressione sistolica che diastolica: il rischio di malattia cardiovascolare raddoppia ogni 20 mmHg per la pressione sistolica ed ogni 10 mmHg per la distolica. Nella popolazione anziana la pressione sistolica e la pressione differenziale sono potenti fattori predittivi di malattia vascolare26

.

Nella popolazione over 50 la pressione diastolica fornisce scarse informazioni come fattore indipendente di mortalità, mentre è un’importante fattore prognostico di mortalità nei giovani adulti27

.

La pressione arteriosa incrementa durante un esercizio fisico, che sia dinamico o statico; l’incremento è decisamente pronunciato per quanto riguarda la componente sistolica e meno per la diastolica, che può anche restare invariata.

Un eccessivo incremento della pressione arteriosa durante lo sforzo fisico può predire uno sviluppo di ipertensione arteriosa in pazienti normotesi, indipendentemente dalla pressione a riposo. Tuttavia il significato prognostico dell’ipertensione, correlata allo sforzo, non è del tutto affidabile; può essere dovuta al fatto che durante un esercizio fisico le due componenti emodinamiche della pressione siano attive nella direzione opposta: le resistenze vascolari decrementano mentre la gittata cardiaca aumenta.

Il valore prognostico della misurazione della pressione durante un esercizio è di utilità quando dobbiamo valutare l’efficacia del controllo pressorio in pazienti ipertesi trattati28

(22)

3.1 Definizione e classificazione dell’ipertensione arteriosa

Il mantenimento di una pressione arteriosa adeguata è necessario per garantire la perfusione degli organi, in generale essa è determinata dalla seguente equazione:

Pressione arteriosa = Gittata cardiaca x Resistenza vascolare sistemica.

I principali fattori che determinano variazioni della pressione sanguigna sono il sistema nervoso autonomo, il sistema renina-angiotensina ed il volume plasmatico.

Definiamo un paziente come affetto da ipertensione arteriosa qualora presenti valori pressori ≥140/90 da riconfermare in almeno altre due misurazioni:

• Nell’arco di una settimana se la PA ≥180/110;

• Nell’arco di un mese se compresa fra 140/90 e 180/110.

Parliamo di ipertensione sistolica isolata quando la pressione sistolica è > 140 mmHg e la distolica < 90mmHg, viceversa parliamo di ipertensione diastolica isolata.

Le ultime linee guida della “European Societies of Hypertension and Cardiology “ classificano i valori pressori non patologici in : ottimali, normali, ai limiti alti.

(23)

La Figura 3 rappresenta lo SCORE ovvero “The Systematic Coronary Risk Evaluation model”; essa ci mostra come venga effettuata una stratificazione del rischio di morte per evento cardiovascolare in dieci anni in base ai valori pressori, alla presenza di concomitanti fattori di rischio e malattie associata29

.

La valutazione iniziale di un paziente con ipertensione arteriosa dovrebbe confermarne la diagnosi, cercare e riconoscere eventuali cause di ipertensione arteriosa secondaria, assegnare un rischio cardiovascolare. Per fare ciò non bisogna solo basarsi sulla misurazione dei valori pressori ma anche sulla storia familiare, anamnesi patologica, esame obiettivo ed esami laboratoristici, strumentali.

Le diagnosi di ipertensione sono aumentate negli ultimi anni anche per una migliore accortezza diagnostica; importante è l’utilizzo dell’ ABPM (Ambulatory blood pressure monitoring) che consiste in una continua misurazione pressoria per 24 h (concettualmente simile all’elettrocardiogramma dinamico secondo Holter). Può essere utile anche la misurazione dei valori pressori a casa del paziente, in assenza di medici ma con le dovute indicazioni da seguire, fornite dettagliatamente al paziente. In tal modo si cerca di evitare dei falsi positivi indotti da stati emotivi e ansiosi.

Sia l’ABPM che l’HBPM sono molti utili per fornirci i valori domiciliari del paziente non influenzati dal “camice bianco” e possono essere molto utili non solo per la diagnosi iniziale ma anche per il monitoraggio ed il follow up dei pazienti sotto trattamento farmacologico30

.

Possiamo riassumere i valori limite per far diagnosi:

• Misurazione Pressione arteriosa dal medico ≥140/90 mmHg; • Misurazione HBPM ≥135/85 mmHg;

(24)

• Misurazione ABPM :

o 24 h ≥130/80 mmHg;

o Tempo giornaliero ≥135/85 mmHg; o Tempo notturno ≥120/70 mmHg; 29

Nella gran maggioranza dei casi non siamo in grado di riconoscere una causa vera e propria dell’ipertensione; proprio per tal motivo classifichiamo l’ipertensione in tre grosse categorie:

• L’ipertensione primitiva o essenziale (90-95 % dei casi); • L’ipertensione secondaria;

• L’ipertensione correlata a cause ereditarie monogeniche.

Per quanto concerne l’ipertensione arteriosa essenziale, non è del tutto vero che le cause siano totalmente sconosciute: ci sono ipotesi che mettono in relazione fattori ambientali con fattori genetici, culturali ed altri non ben identificati.

Studi hanno dimostrato che la componente genetica svolga un ruolo fondamentale; numerosi geni coinvolti non sono stati identificati, tuttavia l’analisi di famiglie e gemelli ha portato alla luce un’ereditarietà poligenica, il che giustifica l’eterogeneità dei fenotipi ipertensivi. Sembrerebbe essere coinvolti vari meccanismi genetici che porterebbero ad un aumento della sintesi epatica di angiotensinogeno, ad aumento dei livelli plasmatici dell’enzima ACE, ad un’ aberrante risposta simpaticoadrenergica allo stress, ad un difetto di riassorbimento renale del sodio e ad un’aumentata reattività vascolare agli stimoli31

. Molto importanti sono anche i fattori ambientali che influiscono sulla pressione arteriosa; ovviamente tali fattori possono avere un impatto diverso da soggetto a soggetto in virtù del suo pattern genetico, come visto in precedenza. Sono numerosi i fattori coinvolti, tra cui l’obesità, l’insulino-resistenza, l’ assunzione smodata di alcol, una dieta con alto contenuto

(25)

di sale, l’ invecchiamento, la vita sedentaria, lo stress, la scarsa assunzione di potassio e calcio.

Il sodio è considerato un fattore importante ma è in grado di modificare i valori della pressione arteriosa solo in un 60% dei pazienti; sembrerebbe che ci siano individui più sodio sensibili ed altri resistenti.

L’obesità, specialmente quella addominale, è il maggiore fattore ipertensivo. È stato ipotizzato nello studio di Framingham che un guadagno in peso del 10% corrisponde a 6.5 mmHg di pressione sistolica; questa relazione non è solo ascrivibile agli obesi ma a tutte le persone in sovrappeso. Un aumentato BMI è associato ad un incremento del volume plasmatico e dell’output cardiaco, ad una sodio sensibilità più accentuata.

Molta attenzione è riversata anche all’insulino-resistenza e all’iperinsulinemia che ne deriva, sia nei soggetti sovrappeso che nei normopeso; le ipotesi di tale relazione sono connesse ad un aumentato assorbimento di sodio a livello renale, ad un’alterata permeabilità cellulare al sodio, ad un aumento dell’attività simpatica, ad un’aumentata sintesi di endotelina e all’ipertrofia vascolare32.

Oggetto di studio è il sistema renina angiotensina, il quale si ritiene implicato nella patogenesi dell’ipertensione essenziale; tuttavia dati suggestivi di una sua attivazione si sono ritrovati in una scarsa fetta degli ipertesi essenziali. L’attività renina plasmatica negli ipertesi essenziali è normale nel 60%, ridotta nel 25% ed aumentata solo nel 15%33

.

Anche alcuni fattori ambientali ed a alimentari sarebbero implicati nello sviluppo di ipertensione essenziale, un ruolo importante è riservato allo stress con le sue ripercussioni sul sistema simpatico-adrenergico che valuteremo nel corso di questa trattazione.

Le ipertensioni secondarie sono di più raro riscontro rispetto la forma essenziale con percentuali variabili a seconda delle diverse casistiche; nonostante ciò è importantissimo

(26)

indagare il paziente sotto questo punto di vista per escludere una possibile causa che una volta riconosciuta dovrebbe essere rimossa, cosa possibile in una buona parte dei casi.

Una forma secondaria può essere sospettata i seguito a: • una severa elevazione dei valori pressori;

• un’insorgenza improvvisa od un peggioramento repentino; • una scarsa risposta alla terapia farmacologica;

• un danno d’organo sproporzionato alla durata dell’ipertensione.

Soprattutto quando la causa dell’ipertensione è secondaria a problemi ormonali, la diagnosi ed il trattamento dovrebbero essere seguiti da centri di riferimento29

. Le principali cause di ipertensione secondaria possono essere riassunte:

• Farmaci come FANS per uso cronico, corticosteroidi, contraccettivi orali, antidepressivi, decongestionanti, eritropoietina, ciclosporina, chemioterapici e stimolanti come anfetamine;

• Ipertensione nefrovascolare; • Malattia renale acuta o cronica; • Iperaldosteronismo primitivo; • Sindrome di Cushing;

• Feocromocitoma e paraganglioma; • Apnee ostruttive notturne;

• Altri disordini endocrini, come ipertiroidismo, iperparatiroidismo; • Coartazione aortica.

L’ipertensione renovascolare è la causa più comune e correggibile d’ipertensione secondaria. È causata da una stenosi dell’arteria renale, nei giovani essa è dovuta a fibrodisplasia mentre nella popolazione anziana ad aterosclerosi.

(27)

La patogenesi dell’ipertensione è principalmente dovuta ad un’aberrante attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.

La conseguenza di questa patologia è una nefropatia ischemia, dovuta alla costante riduzione della perfusione renale che porta a disfunzione microvascolare, fibrosi e nefrite tubulo-interstiziale, con conseguente danno anche nel rene controlaterale, che va incontro ad iperfiltrazione compensatoria34

.

Il feocromocitoma è una neoplasia secernente catecolamine ad origine nella zona midollare del surrene, il suo corrispettivo extra-surrenalico è il paraganglioma secernente.

Il feocromocitoma può essere sospettato se ci troviamo di fronte a parossistici incrementi dei valori di pressione arteriosa associati ad una clinica dirimente con cefalea pulsante, palpitazione e flushing. Tutto ciò è dovuto all’azione periferica delle catecolamine che esplicano la loro azione sui recettori alfa e beta.

Pazienti che hanno un’ipertensione refrattaria alla terapia farmacologia o con una tumefazione surrenalica dovrebbero essere sempre indagati per questa patologia35

.

La sindrome di Cushing è un insieme di segni e sintomi legati ad una eccessiva esposizione al cortisolo, prodotto in maniera aberrante dalla corticale del surrene. L’eziopatogenesi può essere varia:

• Sindrome di Cushing iatrogena, dovuta ad un uso eccessivo di farmaci corticosteroidei;

• Produzione ectopica di ACTH, correlata alla produzione di peptidi ad azione simile all’ACTH da parte di cellule tumorali. Può avvenire nei tumori neuroendocrini come i carcinoidi oppure nel tumore a piccole cellule del polmone;

(28)

• Sindrome di Cushing ACTH indipendente, come i tumori carcinomi surrenalici o l’iperplasia ghiandolare che possono portare ad un’aumentata produzione di ormone36

.

La diagnosi può essere meno agevole quando siamo di fronte ad un ipercortisolismo, che può essere dovuto a diverse cause: pazienti che sono sottoposti a stress fisici intensi, come un’infezione batterica; pazienti sottoposti a stress di tipo psicologico, soprattutto con disordini depressivi maggiori; pazienti con obesità viscerale o che fanno uso ed abuso di alcol.

I pazienti trattati nel nostro studio presentavano un’ipertensione secondaria ad iperaldosteronismo. L’Università di Pisa è un centro specialistico di riferimento per questi pazienti e grazie a ciò è stato possibile sottoporre alcuni di loro ad indagini laboratoristiche e strumentali.

Vedremo ora nel dettaglio le caratteristiche di questa patologia.

3.2 Iperaldosteronismo primario

Per iperaldosteronismo primario intendiamo una forma di ipertensione secondaria, possibilmente curabile, in cui c’è una eccessiva produzione di aldosterone da parte della corticale del surrene. In questi pazienti la secrezione dell’ormone mineralcortidoide è indipendente dal sistema renina angiotensina, di fatto riscontriamo nel plasma bassi livelli di attività renina plasmatica (PRA) ma un’elevata ritenzione di sodio, ipokaliemia ed aumentato volume plasmatico, con conseguente ipertensione.

I meccanismi che regolano la sintesi e la secrezione di aldosterone sono stati discussi nel capitolo precedente.

Le forme più comuni di iperaldosteronismo sono due:

(29)

• Iperplasia surrenalica bilaterale idiopatica (IHA).

L’obiettivo del clinico è identificare i pochi pazienti che presentano queste forme morbose fra i tanti ipertesi classificati come “essenziali”-soprattutto nel gruppo degli ipertesi resistenti- ed una volta fatto ciò distinguere le malattie bilaterali da quelle unilaterali, che come vedremo avranno due diversi iter terapeutici.

Sarebbe un errore ricercare un iperaldosteronismo primario in tutti i pazienti con ipertensione arteriosa, ma ridurre lo screening a quei pazienti più sospetti può portare ad un risparmio di risorse ed ad un numero più alto di veri positivi.

Importante, dunque, focalizzare l’attenzione su: • Pazienti ipertesi con ipokaliemia; • Ipertesi resistenti;

• Ipertesi con massa surrenalica;

• Precoce insorgenza di ipertensione (prima dei 40 anni); • Familiarità positiva per ipertensione a precoce insorgenza37.

Non esistono segni e sintomi specifici per questa malattia, se non le condizioni sopra elencate: l’ipokaliemia potrebbe condurre a sintomi connessi alla deplezione di questo importante elettrolita; l’alcalosi ipokaliemica può dare poliuria, polidipsia, parestesie, crampi e debolezza muscolare.

Il più semplice test di screening è la misurazione dei valori di potassio sierico, tuttavia molti dei pazienti investigati per iperaldosteronismo risultano normokaliemici, studi dimostrano che solo la metà dei pazienti con adenoma secernente e solo il 17% delle iperplasie idiopatiche presentano valori di potassio <3.4 mmol/l38.

Circa il 20% dei pazienti con ipertensione essenziale resistente alla terapia, se indagato correttamente, può nascondere un iperaldosteronismo primario.39

(30)

Lo studio PAPY “ Primary Aldosteronism Prevalance in Italy” ha evidenziato che l’iperaldosteronismo primario è una causa abbastanza comune di ipertensione secondaria. In centri specializzati italiani sono stati analizzati circa 1180 pazienti con ipertensione arteriosa e si è riscontrato un 4.8% di APA e 6.4% di IHA, con una prevalenza totale di iperaldosteronismo del 11%38

.

Il più importante test per lo screening è il rapporto fra la concentrazione plasmatica dell’aldosterone (PAC) e l’attività renina plasmatica (PRA); normalmente questi due valori viaggiano parallelamente. Quando l’aldosterone è alto, anche la PRA dovrebbe esserlo ad indicare che la normale via del sistema renina angiotensina è stata attivata. Come possiamo immaginare se l’aldosterone plasmatico è alto e la PRA è bassa, probabilmente, ci sarà una secrezione autonoma dell’ormone.

Il test viene effettuato in ambulatorio, preferibilmente nelle prime ore della mattina con il paziente noromokaliemico. Sarebbe meglio effettuare l’esame in wash out farmacologico, in quanto potremmo avere falsi negativi o falsi positivi a seconda di come questi farmaci interagiscono con il sistema renina angiotensina aldosterone: ace inibitori, sartani, antialdosteronici, beta-bloccanti potrebbero interferire con la misurazione dei valori plasmatici di aldosterone e PRA, mentre possono essere assunti Ca-antagonisti e alfa-bloccanti40

.

Quando il rapporto fra PAC (espresso in ng/dl) e la PRA (espressa in ng/ml/h) risulta maggiore di 15, il dato è suggestivo di iperaldosteronismo.

Nella tabella 1 sono riportati i valori di PAC e PRA, il rapporto (ARR) e le possibili interpretazioni che possiamo dare ai risultati; importante prestare attenzione a quei rapporti alti dovuti a livelli bassi di aldosterone e a livelli estremamente bassi di PRA, che potrebbero essere facilmente confusi per ARR suggestivi di iperaldosteronismo37.

(31)

Nei pazienti con insufficienza renale il rapporto potrebbe essere elevato a causa di una ridotta clearance dell’aldosterone.

PAC ng/dl

PRA ng/ml/h

ARR

Interpretazione

150

15

10

Aldosteronismo secondario

15

3

5

Normale

6

<0.6

10

IA con bassa renina

6

0.1

60

IA con bassa renina

15

1

15

Possibile PA

15

<0.6

25

Possibile PA

27

<0.6

45

Molto probabile PA

Tabella 2 Interpretazione del rapporto PAC/PRA

Quando i valori sono incerti può essere utile, per la conferma della diagnosi, effettuare un test di stimolazione; se dopo l’infusione endovenosa di 2l di soluzione fisiologica 0.9% salina, nell’arco di 4h, non abbiamo una soppressione dell’aldosterone plasmatico, tale dato è dirimente per la diagnosi di malattia. Il test di stimolazione può anche essere effettuato utilizzando il captopril, farmaco ACE inibitore.

Per completare la diagnosi è fondamentale effettuare uno studio di localizzazione; come detto in precedenza possiamo avere un adenoma unilaterale (60-70% dei casi) o un’iperplasia bilaterale (iperaldosteronismo idiopatico).

(32)

In passato era utilizzata la TC per identificare gli adenomi. Il miglioramento delle macchine ha portato ad un aumento delle diagnosi di incidentaloma da un 0.35% al 5%, tuttavia queste masse surrenaliche non è detto che siano funzionati41.

Recenti studi hanno dimostrato la superiorità del cateterismo delle vene surrenaliche rispetto allo studio TC; il tasso di concordanza fra le due metodiche è solo del 54%, tale dato dimostra che circa un 45% di pazienti sarebbe stato trattato impropriamente se la terapia si fosse basata unicamente sui dati forniti dalla TC.

Il cateterismo venoso surrenalico consiste nel dosaggio dell’aldosterone e del cortisolo; come prova che sia stata cateterizzata realmente la vena surrenalica. Si confrontano i valori del cortisolo con i valori riscontrati in vena cava, che dovrebbero essere più bassi rispetto a quelli della vena surrenalica.

Il rapporto è considerato positivo nel mostrare l’unilateralità della patologia, indicando la presenza di un adenoma in uno dei due surreni, quando il rapporto aldosterone-cortisolo della vena surrenalica è significativamente maggiore del valore a livello delle vene periferiche di almeno 2.5 volte e l’aldosterone-cortisolo della vena surrenalica controlaterale non è maggiore dei valori periferici, 40

.

Solo dopo aver dosato i valori di questi ormoni dalle due vene surrenaliche e dal circolo venoso periferico, possiamo sapere con certezza se l’iperproduzione sia unilaterale o bilaterale.

(33)

Figura 5 Risultati dello studio PAPY condotto a Pisa da Rossi, Bernin ed altri.

Il grafico ci mostra i dati dello studio PAPY38. Il cateterismo surrenalico ha cambiato del

tutto l’approccio medico dell’iperaldosteronismo: ci permette di sapere con certezza se siamo di fronte ad un adenoma secernente unilaterale; se possiamo procedere con metodiche chirurgiche che, eliminando la causa scatenante, portano ad un netto miglioramento del controllo della pressione arteriosa. Un adenoma unilaterale può essere rimosso per via laparoscopica, con pochissime morbilità chirurgiche ma numerosi benefici da un punto di vista cardiovascolare.

Nel caso in cui il paziente non possa o non voglia effettuare la chirurgia, il trattamento medico consiste in farmaci antialdosteronici. I pazienti con iperaldosteronismo bilaterale idiopatico tendono a rispondere meno alla terapia medica rispetto ai pazienti con adenoma e pertanto sono richieste dosi maggiori di farmaci antagonisti dei recettori mineralcorticoidi, oppure associazioni terapeutiche.

(34)

3.3 ACTH ed iperaldosteronismo

Sono stati effettuati numerosi studi per cercare di capire come la corticotropina possa influenzare la secrezione di aldosterone in pazienti che presentano una condizione di iperaldosteronismo primitivo e quindi di ipertensione secondaria.

Un recente studio del 2014 ha cercato di capire meglio come questi pazienti possano rispondere all’ACTH endogeno, valutando il ritmo circadiano dell’aldosterone (PAC) in ipertesi essenziali con bassa renina (non-PA), in persone con iperadosteronismo idiopatico bilaterale (IHA) ed in persone con un adenoma secernente aldosterone (APA), valutando ulteriormente l’effetto della soppressione dopo infusione di desametasone, che per feedback negativo sopprime la secrezione di ACTH.

PAC è risultato soppresso più pesantemente nel gruppo APA rispetto gli altri, indicando una maggiore dipendenza della secrezione di aldosterone all’ACTH endogeno.

Lo studio ha mostrato come i tre gruppi presentino indistintamente variazioni giornaliere dei valori di PAC, senza significative differenze fra i gruppi.

I pazienti non-PA e IHA a differenza degli APA non vanno incontro ad un significativo decremento dei valori di PAC dopo somministrazione di desametasone, nonostante l’ACTH venga soppresso dal desametasone anche in questi gruppi.

Tutto ciò rende difficoltoso spiegare, in quest’ultimi, le fluttuazioni giornaliere di PAC soltanto in termini di dipendenza dall’ACTH endogeno, quindi altri fattori potrebbero essere responsabili di questo quadro. Si potrebbe pensare che uno di questi sia la renina, tuttavia sia il gruppo IHA che il gruppo non-PA possiedono bassi valori di renina.

Questo studio ha concluso che la secrezione di aldosterone è dipendente dall’ACTH endogeno maggiormente negli adenomi secernenti rispetto alle iperplasie idiopatiche bilaterali ed ai pazienti non affetti da iperaldosteronismo primario e che altri fattori

(35)

possano essere chiamati in causa in questi due ultimi gruppi per spiegare le fluttuazioni giornalieri di PAC42

.

Basandoci su questa differente risposta all’ACTH endogeno da parte delle due forme di iperaldosteronismo è possibile migliorare la sensibilità del test con cateterismo delle vene surrenaliche per distinguere le forme unilaterali da quelle bilaterali.

La sensibilità del test dipende anche dalle dimensioni del tumore secernente aldosterone: si è visto che per masse inferiori ad 1 cm quest’ultima si abbassa e diventa meno dirimente. Uno studio ha valutato il valore di PAC dopo soppressione serale con 1 mg di desametasone per eliminare influenze da parte dell’ACTH endogeno e successiva infusione al mattino di ACTH sintetico (cosyntropin) facendo prelievi ogni 30min per 120min.

Le conclusioni sono state positive: la stimolazione con cosyntropin può essere considerata una procedura valida per fare diagnosi di APA o IHA in pazienti sospetti per aldosteronismo primario43

.

Secondo le linee guida della “Endocrine society” possiamo utilizzare tre diversi protocolli per il cateterismo venoso surrenalico:

• Cateterismo senza stimolazione sequenziale o simultaneo bilaterale;

• Cateterismo senza stimolazione sequenziale o simultaneo seguito da un cateterismo con stimolazione mediante bolo di cosyntropin ;

• Cateterismo simultaneo con stimolazione continua mediante cosyntropin .

Molti gruppi suggeriscono l’impiego del cateterismo simultaneo, nonostante le difficoltà tecniche, con stimolazione continua per minimizzare le fluttuazioni della secrezione di aldosterone dovute allo stress, che inevitabilmente la procedura comporta soprattutto quando eseguita sequenzialmente40

(36)

4. Danno d’organo a livello cardiovascolare

L’ipertensione arteriosa è il maggior fattore di rischio modificabile di malattia cardiovascolare: come visto in precedenza, questa patologia è correlata ad un aumentato rischio di rimodellamento ventricolare sinistro, di scompenso cardiaco, di cardiopatia ischemica, d’ictus emorragico od ischemico ed infine di malattia renale cronica.

La figura 4 presente nel precedente capitolo ci mostra come, considerando gli altri fattori di rischio CV e correlandoli ai valori pressori, sia possibile effettuare una vera e propria stratificazione del rischio.

Il termine cardiopatia ipertensiva definisce le diverse e complesse perturbazioni della struttura cardiaca in funzione di costanti elevati valori pressori. L’ipertrofia ventricolare sinistra è una delle più facilmente riconoscibili caratteristiche della cardiopatia ipertensiva, a cui segue inevitabilmente un ingrandimento atriale sinistro ed unadisfunzione diastolica-sistolica, che potenti fattori di rischio per scompenso cardiaco e aritmie atriali44, 45

.

Oltre all’incremento di massa miocardica ventricolare, la forma e la geometria ventricolare ci forniscono informazioni aggiuntive per quanto concerne la risposta del cuore all’insulto pressorio.

Basandoci su queste osservazioni, lo schema più usato per classificare la geometria ventricolare sinistra si basa su due parametri: lo spessore parietale e la grandezza cavitaria. La geometria può essere distinta in :

• Rimodellamento concentrico, con valori di massa cardiaca normali ma aumentato spessore relativo di parete.

• Ipertrofia concentrica, in cui aumenta notevolmente la massa miocardica a discapito dell’ampiezza della cavità, con notevole spessore relativo di parete. Vi è un aumento dei sarcomeri “in serie” ed il singolo miocita cresce in larghezza.

(37)

• Ipertrofia eccentrica, in presenza di un aumento di massa miocardica ma normale spessore relativo di parete. Qui abbiamo un aumento dei sarcomeri in parallelo con il miocita che cresce in lunghezza.

Figura 6 Classificazione della geometria ventricolare46

Le differenti cause di rimodellamento cardiaco condividono, tuttavia, comuni percorsi molecolari, biochimici e meccanici. Le cellule più coinvolte da tale processo sono i miociti ma sono interessate anche altre componenti, quali interstizio, fibroblasti, collagene e parete dei vasi coronarici. Questo processo è influenzato dal sovraccarico emodinamico ma anche da un’attivazione neurormonale. Il processo d’ipertrofia miocitaria è accompagnato da una rarefazione del microcircolo coronarico, da una fibrosi interstiziale e da un aumentato numero di cellule in apoptosi: ciò predispone ad una disfunzione ventricolare, ischemia ed aritmie47.

La prevalenza dell’ipertrofia ventricolare negli ipertesi varia in accordo alle caratteristiche della popolazione in esame, pazienti che presentano fattori aggravanti la patologia come una sindrome metabolica o una nefropatia cronica hanno una prevalenza del 71% contro il 20% di coloro che non hanno una ipertensione complicata48

(38)

Anche la geometria ventricolare varia in base alla popolazione in studio: in numerosi gruppi di studio è risultata essere normale; solo nei casi in cui la popolazione in esame risultava essere composta da ipertesi con altre serie patologie sistemiche si è vista un netta prevalenza di geometrie eccentriche o concentriche. Questi dati ci dimostrano l’assenza di una risposta univoca al sovraccarico emodinamico determinato dall’ipertensione, riflettendo l’eterogeneità fisiopatologica e clinica di questa malattia46

.

L’insorgenza di una disfunzione diastolica avviene in parallelo ai cambiamenti strutturali che caratterizzano l’ipertensione; la presenza di un’ipertrofia è associata ad un alterato rilasciamento diastolico: si riduce la compliance ventricolare portando ad un aumento della pressione di riempimento telediastolica.

Le dimensioni dell’atrio sinistro riflettono questo aumento pressorio durante il riempimento ventricolare e sono considerate prognostiche negative di diverse malattie cardiovascolari, anche se pochi studi hanno consolidato un valore ben preciso49

.

La disfunzione diastolica è caratterizzata da una riduzione di compliance ventricolare sinistra; normalmente in protodiastole si verifica un gradiente di pressione attraverso la valvola mitrale, che determina un’accelerazione del flusso ematico dall’atrio al ventricolo. Questo gradiente è influenzato anche dalla pressione atriale sinistra e dal rilasciamento ventricolare che crea un vero e proprio “effetto suzione”.

La pressione atriale sinistra decresce tanto più rapidamente quanto più velocemente l’atrio si svuota nel ventricolo. L’ipertrofia ventricolare compromette lo svuotamento atriale; la ridotta distensibilità del ventricolo determina un aumento della pressione di riempimento, che si riflette in un sovraccarico pressorio atriale e di conseguenza un aumento delle dimensioni.

(39)

Fra i soggetti ipertesi ed asintomatici, la prevalenza di una disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, definita da una frazione d’eiezione <50%, è approssimativamente del 3.6%50, identificando pazienti ad alto rischio di sviluppare scompenso cardiaco.

Le anomalie strutturali associate all’ipertensione possono comunque condurre ad una iniziale disfunzione sistolica nonostante una preservata frazione d’eiezione; sarebbe idoneo utilizzare altre metodiche per valutare tale funzione come lo strain rate attraverso doppler tissutale o risonanza magnetica nucleare.

A livello dei vasi un’aumentata pressione sanguigna esplica un danno diretto: l’endotelio esercita un meccanismo compensatorio che antagonizza l’aumento delle resistenze vascolari periferiche oppure può contribuire direttamente al loro incremento attraverso un aumentato rilascio di fattori vasocostrittori.

Un endotelio malfunzionante contribuisce al mantenimento dell’ipertensione e allo sviluppo delle sue complicanze; è possibile che da ciò derivi un’accelerazione nello sviluppo delle lesioni aterosclerotiche in tutti i distretti vascolare.

L’aterogenesi ha inizio a livello endoteliale ed i suoi meccanismi patogenetici sono numerosi: importante ricordare la disfunzione endoteliale, l’alterato metabolismo lipidico con conseguente infiltrazione di LDL ossidate a livello intimale, la proliferazione di cellule muscolari lisce e la deposizione di collagene per effetto di fattori di crescita e di cellule infiammatorie.

Il danno preclinico può essere di natura funzionale, legato alla ridotta elasticità parietale e reattività delle arterie oppure strutturale, come l’ispessimento diffuso o focale delle parteti arteriose.

Lo stress emodinamico è di fondamentale importanza nella patogenesi della disfunzione endoteliale e quindi per il successivo sviluppo della lesione aterosclerotica. La rigidità

(40)

della parete vascolare che ne consegue promuove a sua volta un’alterazione dell’equilibrio fibrinolisi-coagulazione o la formazione del trombo.

La funzione endoteliale è preservata attraverso un delicato equilibrio dinamico tra:

• le sostanze con azione vasodilatante, come il monossido di azoto, la prostaciclina e fattori iperpolarizzanti di origine endoteliale;

• le sostanze con azione vasocostrittrice, quali l’endotelina ed i fattori di contrazione di origine endoteliale.

Numerosi studi hanno evidenziato una stretta associazione tra disfunzione endoteliale e i principali fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione arteriosa, l’invecchiamento, l’ipercolesterolemia, il diabete mellito ed il fumo di sigaretta51

.

Negli ipertesi, l’ispessimento medio intimale è considerato un segno di iperplasia vascolare in risposta allo stress emodinamico per aumento dello stress parietale ed è interpretato come un segno precoce di aterosclerosi52

. Studi in letteratura hanno dimostrato che lo spessore medio intimale aumenta al crescere dei valori pressori; l’insorgenza di una placca aterosclerotica può essere dovuta a fattori di rischio aggiuntivi, modificabili e non modificabili.

La valutazione ad ultrasuoni delle carotidi con la misura dell’IMT e/o la presenza di placche è in grado di predire lo sviluppo sia di ictus che di infarto miocardico, indipendentemente da altri fattori di rischio.

Questo è vero sia per i valori di IMT alla biforcazione carotidea, che riflettono primariamente l’aterosclerosi, sia per i valori di IMT a livello dalla carotide comune, che riflettono primariamente l’ipertrofia vascolare. La relazione tra IMT carotideo e rischio CV è di tipo continuo e la scelta di un valore soglia per l’elevato rischio CV è abbastanza arbitraria (< 0.9 mm)29

(41)

4.1 Aldosterone come fattore indipendente di rischio CV

Abbiamo visto come l’iperaldosteronismo possa essere una causa abbastanza comune di ipertensione arteriosa secondaria ed un numero sempre maggiore di nuovi casi, un tempo non riconosciuti, vengono diagnosticati come tale.

La letteratura è concorde nel considerare l’aldosterone come un fattore di rischio cardiovascolare indipendente: alti livelli di questo ormone inducono un danno cardiaco e vascolare indipendentemente dall’ effetto esercitato sui canali del sodio e sull’aumento della pressione arteriosa.

Aumentati livelli di aldosterone in pazienti con malattia cardiaca sono predittivi di un ulteriore rischio di mortalità53

.

Questi pazienti, dunque, presentano due tipi di danno: l’ipertensione arteriosa ed il danno d’organo multisistemico ad essa correlato; infatti la tossicità da aldosterone può direttamente arrecare danno a cuore e vasi.

I pazienti con iperaldosteronismo hanno un rischio relativo di patologie cardiovascolare maggiore rispetto gli ipertesi essenziali. Nello specifico, uno studio53

ha rilevato che questi pazienti possono presentano rischio di:

• Stroke 4 volte maggiore;

• Infarto del miocardio 6 volte maggiore; • Fibrillazione atriale 12 volte maggiore;

• Ipertrofia ventricolare sinistra accertata mediante ecografia 2 volte maggiore. L’aldosterone determina effetti sul cuore, vasi, reni ed encefalo, attraverso:

• Produzione di fattori di crescita;

• Attivazione di citochine infiammatorie;

(42)

Farmaci antialdosteronici, antagonisti del recettore dei mineralocorticoidi, come lo spironolattone, riducono la mortalità in pazienti che soffrono di scompenso cardiaco o cardiopatia ischemica: questo effetto è attribuito in parte all’effetto antifibrotico dovuto al blocco di questi recettori.55

4.2 Effetti dell’aldosterone sul cuore e sui vasi

I recettori per i mineralocorticoidi sono presenti a livello del miocardio; ciò suggerisce che l’aldosterone possa esercitare un effetto diretto su di esso56

.

Prove a favore di una produzione locale di aldosterone non sono del tutto chiare: sembrerebbe che esso possa essere prodotto nel cuore malato ma non in quello sano. Uno studio ha rilevato alti livelli di aldosterone nel seno coronarico in pazienti con scompenso cardiaco ed ipertensione essenziale senza segni di disfunzione sistolica e valori nomali nei casi controllo57

.

L’aldosterone esplica a livello cardiaco azioni dirette che possono causare instabilità elettrica e favorire il rimodellamento. Le aritmie cardiache sono una complicanza abbastanza comune in questi casi: un ruolo importante è svolto da un accumulo di ioni sodio e calcio. Alti livelli di aldosterone inibiscono l’attività della pompa Na+

/ K+

, aumentando i livelli intracellulari di sodio e ciò conduce ad un aumento degli ioni calcio per mezzo dello scambiatore Ca+2

/Na+58

. L’inibizione della pompa Na+

/ K+

comporta l’attivazione di importanti geni correlati alla crescita nei miociti59

; l’aumento del calcio intracellulare nei cardiomiociti è un fattore inducente fibrosi miocardica.

Attraverso l’utilizzo del doppler pulsato transmitralico è stato messo in luce un cambiamento nel normale riempimento ventricolare sinistro, ovvero un decremento del rapporto E/A con incremento del contributo sistolico atriale al riempimento, che sottende ad una disfunzione diastolica con fibrosi miocardica documentata. Il riempimento

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