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Struttura trofica delle comunità microbiche, caratteristiche biogeochimiche e flussi di carbonio in una porzione del Canale di Sicilia

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Academic year: 2021

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Abstract

Introduzione

1.1 Il Mediterraneo

1.2 Il Canale di Sicilia

1.3 Procarioti marini

1.4 Flussi di carbonio tra i livelli trofici

1.5 Obiettivi

Materiali e Metodi

2.1 Parametri chimico-fisici

2.2 Analisi della qualità del particellato sospeso

2.3 Stime di abbondanza e biomassa del picoplancton totale e fototrofo

2.3.1 Principio del metodo

2.3.2 Campionamento e conservazione del campione 2.3.3 Stima delle abbondanze picoplanctoniche 2.3.4 Analisi morfometrica e stime di biomassa

2.4 Clorofilla a

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2.6 Produzione eterotrofi procarioti

2.7 Saggio dell’attività ETS nell’acqua di mare

2.7.1 Fattori di conversione

2.7.2 Campionamento e conservazione del campione

2.8 Analisi statistica

Risultati e Discussioni

3.1. Struttura chimico-fisica dell’area d’indagine

3.2 Profili di Carbonio Organico Particellato and Azoto Particellato

3.3 Quantificazione delle biomasse autotrofe ed eterotrofe

3.4 Quantificazione dei flussi di carbonio

Conclusioni

Riferimenti bibliografici

Ringraziamenti

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Il presente studio è stato condotto nel Canale di Sicilia, al fine di approfondire le conoscenze sui popolamenti microbici e sul loro ruolo nel modulare i flussi di carbonio. Tale approccio, intende valutare le dinamiche tra le comunità di differenti taglie dimensionali, lungo la piramide trofica, ed ampliare le conoscenze sulle interazioni tra i diversi gruppi funzionali nel Canale di Sicilia. I microorganismi giocano infatti un ruolo primario nella modulazione dei flussi di energia e materia, nella sua trasformazione tra i comparti biotici e abiotici e nel sostentamento e lo sviluppo dei livelli trofici superiori. Relativamente pochi studi sperimentali esistono in tale ambito, in particolare nei mari italiani.

La ricerca ha avuto come obiettivi principali: il monitoraggio della rete trofica microbica attraverso la quantificazione delle biomasse nelle diverse categorie dimensionali (pico-, nano- e micro-planctoniche) e la quantificazione del flusso di carbonio veicolato attraverso la pompa biologica, mediante misure di produzione e mineralizzazione della sostanza organica.

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Introduzione

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Introduzione

Lo studio è stato eseguito presso i laboratori dell’Istituto per l’Ambiente marino Costiero di Messina (IAMC) nell’ambito del progetto RITMARE (la Ricerca Italiana per il MARE), uno dei Progetti Bandiera del Programma Nazionale della Ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, al fine di supportare la produzione di risorse alieutiche e di migliorare la gestione delle risorse marine.

L’IAMC (sedi di Mazara del Vallo e Capo Granitola) a partire dalla fine degli anni ’90 ad oggi ha effettuato delle campagne oceanografiche nel Canale di Sicilia, rivolte allo studio della distribuzione dei piccoli pelagici, in particolare di Engraulis encrasicolus (acciuga europea), e delle relazioni esistenti tra la distribuzione e il comparto abiotico e biotico. L’abbondanza di uova e larve nelle aree di spawning, nello specifico, è stata messa in relazione con la temperatura, la concentrazione di clorofilla (Basilone et al., 2006), con i fenomeni idrografici, e con i parametri biologici quali abbondanza di fito- e zooplancton (Garcìa Lafuente et al., 2002; Cuttitta et al., 2003; Grammauta et al., 2008). La scelta dello studio della specie dell’acciuga europea è stata dettata dalla grande rilevanza che essa riveste sia dal punto di vista economico che ecologico (Patti et al., 2009). L’abbondanza degli stock ittici, infatti, è spesso determinata dalle caratteristiche ambientali in cui si sviluppano i primi stadi di vita (uova, larve e giovanili), che determinano il successo del reclutamento e quindi la successiva disponibilità alla pesca.

Da questi studi è risultato che il periodo riproduttivo di questa specie è correlato sia a parametri fisici dell’ambiente marino, come temperatura e fotoperiodo, che a parametri biologici; in particolare, sembra essere collegato alle fasi del ciclo di produzione del plancton.

Dal 2012, si è deciso di allargare la ricerca anche al comparto microbico, andando ad indagare le possibili relazioni con le strutture spazio-temporali dei processi biologici relativi ai primi anelli della catena trofica.

Poiché le dinamiche ed il funzionamento degli ecosistemi sono basati sull’incanalamento dell’energia solare nelle reti trofiche e nei cicli biogeochimici, e i microbi si trovano alla base di quest’ultimi in molti sistemi pelagici, le descrizioni della struttura e dei processi delle comunità microbiche possono fornire dei contributi alla comprensione del funzionamento degli ecosistemi.

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Inoltre, il circuito microbico (microbial loop) delinea il ruolo dei batteri nelle reti trofiche marine e nei cicli dei nutrienti. Sulla base di queste conoscenze si è deciso di includere in due compagne oceanografiche nel Canale di Sicilia il prelievo di campioni per l’analisi di parametri del comparto microbico. Durante la campagna oceanografica BANSIC12 (luglio 2012) si è eseguito un campionamento intensivo della durata di tre giorni, su sei stazioni, per avere un primo screening delle dinamiche ecologiche in una porzione del Canale di Sicilia (la piattaforma Ibleo-Maltese). Nell’anno successivo, campagna BANSIC13 (luglio 2013), è stata adottata una diversa strategia di campionamento. Sono stati raccolti dati in 17 stazioni che coprono tutta l’area d’indagine da Capo Boeo a Siracusa. Quest’area, che comprende l’intero Canale di Sicilia, è stata suddivisa in base ai limiti individuati da Cuttitta et. al (2006) per l’analisi della dispersione delle uova e larve di

Engraulis encrasicolus.

Durante l’anno di internato di tesi il lavoro, svolto da me in prima persona, ha contemplato il campionamento delle 17 stazioni, durante la crociera oceanografica BANSIC13, dei seguenti parametri: carbonio organico totale, particolato e disciolto; procarioti, virus, clorofilla nelle frazioni micro-, nano e pico-planctoniche; respirazione comunitaria, microzooplancton e attività enzimatica. In più, presso i laboratori dell’IAMC-CNR di Messina ho effettuato l’analisi dei campioni, misurando la concentrazione di clorofilla delle differenti classi di taglia, l’abbondanza, i volumi e la biomassa delle cellule procariotiche, le concentrazioni di carbonio organico particellato e azoto particellato.

Il presente elaborato, essendo inquadrato in una ricerca multidisciplinare, presenterà solo parte dei parametri analizzati nell’ambito del Progetto RITMARE, ed in particolare solo quelli della prima campagna di studio del luglio 2012.

Le analisi sono state incentrate sul monitoraggio della rete trofica microbica attraverso: la quantificazione delle biomasse autotrofe ed eterotrofe nelle diverse categorie dimensionali (pico-, nano- e micro-planctoniche) e la quantificazione del flusso di carbonio particellato veicolato attraverso la pompa biologica (mediante misure di produzione e remineralizzazione della sostanza organica).

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Introduzione

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1.1 Il Mar Mediterraneo

Fig.1.1 Il Mar Mediterraneo (ODV software)

Il Mar Mediterraneo ha la peculiarità di essere un “mare tra le terre”, circondato da Europa, Asia e Africa (Fig.1.1). La sua posizione geografica è compresa nella fascia temperata dell’emisfero boreale (tra 5° W e 36° E) alle medie latitudini (32-45° N). Questo mare si estende su una superficie di circa 2.4 milioni di km2, ha un volume di circa 3,5 milioni di km3 ed una profondità media di 1500 m. Si presenta come un bacino semichiuso, in comunicazione con l’Oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra (14,5 km di larghezza e 300 m di profondità alla sella) e con il Mar Rosso e l’Oceano Indiano mediante il Canale artificiale di Suez. Lo stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e lo stretto del Bosforo mettono in comunicazione il bacino anche con le acque del Mar Nero.

Il Mediterraneo, morfologicamente, può essere diviso in due parti: il bacino occidentale e il bacino orientale. Il Canale di Sicilia costituisce il limite tra i due bacini permettendo, proprio per la sua conformazione, lo scambio delle acque superficiali ed intermedie, ostacolando, invece, il passaggio delle masse d’acqua profonde.

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Il bacino occidentale occupa l’area che va dallo stretto di Gibilterra alle coste occidentali della Penisola italiana. Esso comprende tanti mari secondari (Mar di Alboran, Canale di Sardegna, Mar di Sardegna, Mar delle Baleari, Mar Ligure, Mar Tirreno) ed è suddiviso dal Canale di Sardegna in due sub-bacini: il bacino algerino-provenzale a ovest, caratterizzato da un’ampia piana abissale che si estende al centro, presso le Isole Baleari, dove raggiunge la profondità massima di ̴ 2800m; e il bacino Tirrenico, dal fondale accidentato, dove vi sono imponenti gruppi montuosi anche di natura vulcanica e dove la piana batiale raggiunge la profondità massima di tutto il Bacino Occidentale (Fossa del Tirreno da ̴2900m a ̴3600m).

Il bacino Orientale si estende dal Canale di Sicilia alle coste di Israele e comprende mari zonali, quali il Mare Adriatico, lo Ionio, il Libico, l’Egeo e il Mar di Levante. È morfologicamente più accidentato, caratterizzato dalla presenza della Dorsale Mediterranea e presenta le profondità massime di tutto il Mediterraneo (̴ 5000m).

Il Mar Mediterraneo, per la sua configurazione di mare semi chiuso è caratterizzato da un ricco complesso di dinamiche fisiche con tratti distintivi riguardanti in maniera particolare la circolazione termoalina. Negli ultimi decenni è stato fatto oggetto di intensi studi poiché rappresenta un laboratorio naturale per lo studio, su scala ridotta, dei processi biogeochimici (Malanotti, Rizzoli et al., 1998), fisici (circolazione delle principali masse d’acqua, formazione delle acque profonde, upwelling), chimici (ciclo del carbonio e dei nutrienti) e biologici (presenza e distribuzione degli organismi, struttura e funzionamento degli ecosistemi) che, a più larga scala, avvengono negli oceani. Le sue caratteristiche facilitano, anche, la comprensione degli effetti che i mutamenti del clima e l’attività antropica possono determinare su tali processi (Astrali e Gasparini, 1992; Bethoux et al., 1999).

Il Mar Mediterraneo, grazie alla posizione geografica, gode di un clima generalmente temperato, con estati calde e asciutte e inverni miti e umidi. Questo è, però influenzato da venti caldi asiatici in estate e freddi, provenienti dal nord (Tramontana, Maestrale, Bora) in inverno. La parte meridionale è sotto l’influenza del ramo discendente della cella di Hadley, mentre la parte settentrionale (nord-occidentale) è soggetta alle variazioni delle medie-latitudini caratterizzate dalla Oscillazione del Nord Atlantico e ad altre oscillazioni su larga scala (Rodò et al., 1997). Conseguentemente, la temperatura delle acque del Mediterraneo negli strati superficiali è soggetta ad escursioni stagionali importanti (14° C in inverno, 25°-28° C in estate), mentre in profondità rimane stabile, intorno ai 13° C, tutto l’anno.

Nel periodo primaverile estivo, il settore occidentale è fortemente stratificato, presentando un termoclino stagionale a 20-50 m di profondità. In inverno, la colonna d’acqua si presenta più

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Introduzione

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omogenea, specialmente nelle acque aperte. Un’elevata concentrazione di ossigeno è presente lungo tutta la colonna d’acqua (Stanley and Wezel, 1985).

Il Mar Mediterraneo per la sua caratteristica di bacino semichiuso ha un bilancio idrico in perdita perché la forte evaporazione non viene sufficientemente compensata dall’immissione dei fiumi.

In generale, la circolazione nel Mediterraneo può essere sinteticamente indicata, su grande scala, come una cella termoalina aperta per gli strati superficiale ed intermedio e come due celle separate chiuse per lo strato profondo (Lascaratos et al., 1999).

Le correnti circolanti nel mar Mediterraneo sono causate principalmente dal notevole gradiente di densità esistente tra le acque atlantiche e quelle mediterranee dovuto principalmente alla differenza di salinità (35.9 per le acque atlantiche e 37.9 per il flusso uscente) (Béthoux et al., 1999). La differenza di densità (Béthoux et al., 1999) confina con il flusso entrante alla superficie della massa d’acqua atlantica Atlantic Water (AW) (0-200 m), mentre il flusso in uscita dell’acqua Levantina Intermedia (LIW; Levantine Intermediate Water), più densa (Lascaratos et al., 1999) scorre sul fondo (200-300m) dello stretto di Gibilterra. Questa infatti, stazionando a quote intermedie comprese in un range batimetrico tra i 300 e i 500 metri, è la massa d’acqua più profonde in grado di oltrepassare la selle del Canale di Sicilia e dello Stretto di Gibilterra (Schroeder et al., 2012).

La massa d’acqua atlantica rimanendo in superficie (circa 200m) scorre in direzione ovest-est attraversando il Canale di Sicilia muovendosi verso il Mediterraneo orientale come acqua atlantica modificata (MAW; Modified Atlantic Water) (Warn- Varnas et al., 1999). Il ramo principale di questa corrente, all’altezza del Mare di Alboran, a causa della forza di Coriolis, devia verso destra e scorre lungo la costa africana assumendo il nome di Corrente Algerina (Lascaratos et al., 1999); prosegue poi verso est, attraversato il Canale di Sicilia, dirigendosi verso il Mare di Levante. Lungo il suo percorso, scontrandosi con isole o promontori viene, in piccola parte, deviata e assume localmente andamento anticiclonico (Mar di Alboran, Golfo della Sirte, Golfo di Gabes). All’imbocco del Canale di Sicilia, si biforca: una parte risale il Tirreno proseguendo verso lo stretto di Sardegna e il Golfo del Leone, dove genera la Corrente ligure-provenzale-catalana; un altro ramo continua verso oriente e col nome di Corrente Africana, circola lungo il Mar di Levante e raggiunge Rodi (Millot, 1999; Robinson et al., 2001). Correnti minori di tipo ciclonico raggiungono anche il Mar Egeo e il Mar Adriatico.

Nel gyre ciclonico permanente di Rodi, nella parte nord-ovest del bacino levantino, avviene la formazione della LIW. Nel periodo estivo le acque incamerano maggiore calore dal sole, sono soggette ad una evaporazione più elevata per cui raggiungono progressivamente un sempre più alto

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grado di salinità, che, però, viene bilanciata dall’aumento parallelo della temperatura. Nell’inverno, poi, il raffreddamento provoca in esse un aumento di densità per cui esercitano pressione sulle acque sottostanti ed inizia il rimescolamento: la LIW che si forma inizia a circolare per tutto il Mediterraneo, dirigendosi, infine, verso lo stretto di Gibilterra che attraversa a profondità intorno ai 200-300m.

Fig.1.2 Circolazione superficiale del Mediterraneo Occidentale nello strato superiore. Figura presa da Malanotte-Rizzoli et al. 2014.

Il movimento della LIW ha, quindi, direzione est-ovest, inversa a quella della corrente superficiale, con traiettorie antiorarie nei diversi bacini. Durante il percorso si mescola con altre masse d’acqua perdendo calore e gradi di salinità (la temperatura delle acque si aggira sui 14° e il grado di salinità scende al 38,5), ma rimane ben distinta e individuabile.

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Introduzione

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Questo pattern di circolazione è tuttavia soggetto a variazioni temporali notevoli (Malanotte-Rizzoli e Bergamasco, 1991; Demirov e Pinardi, 2002; Teocharis et al., 2002; Sannino et al., 2009; Gacic et al., 2010, 2011).

Fig. 1.3: Schema della circolazione termoalina e del percorso delle masse d’acqua nel Mediterraneo centrale. Le linee

tratteggiate rappresentano il percorso delle masse d’acqua, le linee piene mostrano le correnti e i gyres. Figura presa da Malanotte-Rizzoli et al. 2014.

Nel 1987 un evento climatico eccezionale, denominato Transiente del Mediterraneo Orientale (EMT), sconvolse l’assetto normale delle correnti del Bacino del Mediterraneo Orientale. A causa del cambiamento della direzione dei venti, la MAW non si diresse verso il Mar di Levante, ma fu spinta verso lo Ionio settentrionale e il Mar Adriatico. La LIW, non ricevendo più l’apporto

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di acqua atlantica, registrò un aumento si salinità, soprattutto nel ramo secondario che penetra nel Mar Egeo. All’uscita dal Mar Egeo, a sud di Creta queste acque molto dense, sprofondarono, anche a causa della presenza di venti particolarmente freddi, e andarono a formare nuove acque intermedie (acque cretesi intermedie, CIW) che arricchirono la LIW nel suo percorso verso ovest (Schlitzer et al.,1991). Per qualche tempo si pensò che l’aumento della salinità nell’Egeo fosse stato un evento eccezionale causato dall’EMT. Studi successivi (Roether et al., 1996, 2007; Malanotte-Rizzoli et al., 1999; Klein et al., 1999, Theocharis et al., 1999, 2002), però, hanno dimostrato che l’elevata salinità nel Mar Egeo persiste sia a causa dell’evaporazione e della scarsità di precipitazioni che della possibile presenza (come negli anni 1992-1999- Lascaratos et al., 1999) di venti particolarmente freddi e, quindi, la CIW si forma regolarmente, contribuendo alla circolazione delle acque intermedie dal Bacino Orientale verso quello occidentale.

Situazione analoga è stata rilevata nel bacino occidentale, con relativa formazione di acque intermedie denominate Western Intermediate Water (WIW). Quest’ultime sono acque più calde e salate rispetto alla LIW e si formano nel bacino Occidentale per poi scorrere attraverso lo Stretto di Gibilterra (Send et al., 1999).

Le acque intermedie che non riescono ad oltrepassare la sella del Canale di Sicilia e dello Stretto di Gibilterra restano invece confinate nei rispettivi bacini (Millot 2013).

A differenza di quella intermedia, la circolazione profonda, non interessa in modo continuo tutto il Mediterraneo a causa della morfologia del fondale marino ed in particolare per la presenza della sella nella zona del Canale di Sicilia. Le aree di formazione delle acque profonde sono diverse per i due sotto bacini il Bacino Ligure-Provenzale per il bacino occidentale e il basso Adriatico e lo Ionio per quello orientale. Diversi sono anche i processi di formazione: nello Ionio l’aumento di densità, che causa lo sprofondamento delle acque superficiali, è dovuto soprattutto all’aumento di salinità dato dall’alta evaporazione. Nel Mar Adriatico e nel Golfo del Leone, la formazione delle acque profonde è data da un processo di raffreddamento causato, durante il periodo invernale, rispettivamente dalla Bora e dal Maestrale, venti freddi e secchi che spirano da Nord, questo non può prescindere dalla presenza in queste aree di un gyre ciclonico che porta in superficie acque intermedie. In occasioni di questi fenomeni, i flussi sono in grado di modificare la struttura della colonna d’acqua e provocare cambiamenti di circolazione su scala orizzontale (Winters et al., 1995; CIESM, 2009; Winters and Young, 2009), inoltre, possono rappresentare importanti vettori di acqua e sedimento tali da modificare la morfologia di canyon sottomarini ed influenzare i processi biologici che avvengono nelle acque profonde (Canals et. al.,2006, Malanotte-Rizzoli et. al., 2014).

Nel Bacino Orientale le acque superficiali dell’alto Adriatico, sotto l’azione della Bora che provoca raffreddamento ed evaporazione, diventano dense e scorrendo verso sud si mescolano con

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Introduzione

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le acque profonde dell’Adriatico meridionale formando l’Acqua densa dell’Adriatico meridionale. Questa, superato lo Stretto di Otranto, sprofonda nel Mar Ionio e mescolandosi con le acque circostanti, acquista le caratteristiche di temperatura e salinità della EMDW (Klein et al., 1999).

Nel Golfo del Leone la formazione di acque profonde (WMDW) avviene nei mesi invernali per l’azione del Maestrale, vento freddo proveniente da nord, che provoca forte raffreddamento ed evaporazione delle acque. La WMDW non si origina ogni inverno: durante inverni più miti e moderati questo processo di rimescolamento forma acqua intermedia che rimane al di sopra dei 1500 m di profondità. Le principali caratteristiche idrologiche della WMDW sono una temperature compresa tra 12.7-12.80 ° C e una salinità di 38.44-38.46, anche se si sono osservati cambiamenti che mostrano una tendenza all’incremento sia in temperatura che in salinità pari a 0.03°C/10 anni e 0.02/ 10 anni (Millot, 1999).

Nell’area egea l’elevata evaporazione e la scarsità di piogge portano all’aumento ulteriore della salinità delle acque del Bacino Levantino e alla formazione di acque dense. Queste acque salate prendono particolare consistenza a sud di Creta e lungo la costa occidentale della Grecia, dove, in presenza di venti particolarmente freddi formano oltre allo strato intermedio della CIW, anche acque profonde tra 200 e 1000m (CDW- Roether et al., 1996, Schlitzer et al., 1991). La scoperta dell’importanza che le acque del Mar Egeo possono assumere nella formazione di acque dense intermedie e profonde e, di conseguenza, nella risalita di nutrienti, è avvenuta in seguito allo studio del Transiente del Mediterraneo Orientale (EMT). Nel Mar Egeo la conseguenza più interessante dell’EMT fu il sollevamento del livello dello Strato di Transizione, caratterizzato da scarsità di ossigeno, ma da grande ricchezza di nutrienti. Gli studi condotti hanno portato a pensare che la formazione di acque dense, in questa aria, possa costituire un continuum; se il sollevamento dello Strato di Transizione, già verificatosi, persistesse e si intensificasse, si potrebbe avere una consistente e continua risalita di nutrienti che potrebbero incrementare la produttività di tutto il Bacino Orientale in specie e del Mediterraneo in generale.

Recentemente, dei fenomeni simili sono stati individuati relativamente al bacino occidentale. Significativi incrementi di salinità, uniti a decrementi di temperatura, sono stati rilevati per l’intera colonna d’acqua anche nel bacino occidentale, comparabile in termini di intensità ed effetti osservati all’EMT (Schroeder et. al., 2008). Questo evento di elevata produzione di acque profonde anomale, più fredde e salate, durante gli inverni del 2004/2005 e 2005/2006 sono ora conosciuti come Western Mediterranean Trasition (WMT) (Schroeder et. al., 2008).

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1.2 Il Canale di Sicilia

Fig.1.4 Area del Canale di Sicilia

Lo Stretto di Sicilia è un’area compresa tra la costa meridionale della Sicilia, a Nord, e la costa settentrionale africana, a Sud (Fig.1.4). Il Canale di Sicilia si estende dalla zona di mare che divide le coste di Capo Bon in Tunisia da quelle di Mazara del Vallo in Sicilia (distanza minima del Canale pari a circa 120 km) avanzando verso Est fino al Mar Ionio e raggiungendo la massima larghezza di circa 500 Km.

Il Canale di Sicilia è sostanzialmente un bacino caratterizzato da una topografia complessa, la sella divide il Mediterraneo in due settori e costituisce una barriera per la circolazione delle masse d’acqua profonde. La piattaforma continentale siciliana ad Ovest si estende fino in prossimità dell’isola di Pantelleria, nella parte centrale a sud della Sicilia si restringe terminando nei pressi dell’isola di Malta. La piattaforma continentale tunisina da Capo Bon si va estendendo verso Est e circonda l’isola di Lampedusa. All’estremo Ovest tra Capo Bon e Capo Granitola vi sono due soglie dove la profondità è massima: la “main wester sill”, che raggiunge la profondità di circa 530 m e la “secondary wester sill” dove la profondità non supera i 365 m circa. Procedendo verso est, superata Pantelleria, si trova un piccolo bacino la cui profondità raggiunge i 700-800 m circa; qui una stretta fossa segue l’asse del Canale raggiungendo profondità anche di 1700 m. All’estremo orientale il passaggio più profondo denominato “eastern sill” (540 m) è situato tra Malta e il Banco Medina, vicino al meridiano 15°E e collega lo stretto con il bacino Ionico (Gasparini et al., 2005).

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Introduzione

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La complessa morfologia del Canale di Sicilia comporta lo sviluppo di particolari dinamiche e processi fisici, chimici e biologici determinati anche dal fatto che esso mette in comunicazione i due bacini occidentale e orientale del Mar Mediterraneo (tra gli altri, Bethoux, 1980; Manzella et al., 1988 e Robinson et al., 1999). Lo studio scientifico dell’area marina del Canale di Sicilia è di primaria importanza per la comprensione delle dinamiche di circolazioni presenti e passate del Mediterraneo, poichè è la regione più adatta per osservare come la modifiche idrografiche, prodotte in un sottobacino, possono propagarsi nell'altro (Gasparini et al., 2005).

La circolazione, all’interno del Canale, può essere schematizzata con un modello a due strati che prevede, il fluire verso Est di una massa d’acqua fredda, che prende il nome di acqua atlantica modifica (Modified Atlantic Water, MAW) nello strato più superficiale (fino a 200 m), che aumenta progressivamente la propria concentrazione salina (per evaporazione), giunta nel gyre di Rodi, sprofonda generando la LIW che fluisce verso Ovest attraversando la sella del Canale di Sicilia a livello più profondo e in controcorrente rispetto alla MAW (Béranger et al., 2005).

Il modello di circolazione prevede inoltre che, in corrispondenza della parte più occidentale del Canale di Sicilia, la MAW si biforchi dando origine alla Atlantic Tunisian Current (ATC), che fluisce verso lo shelf tunisino (Lermusiaux & Robinson, 2001; Robinson et al., 1999; Beranger et al. 2004), e all’Atlantic Ionian Stream (AIS), una corrente che fluisce lungo le coste meridionali della Sicilia occupando la parte nord e centrale de canale (Poulain e Zambianchi, 2007).

Un tipico pattern di circolazione vede l'AIS entrare nel Canale di Sicilia da Ovest, a livello dell’isola di Pantelleria, e poi si biforca in due vene: la principale fluisce in direzione nord/nord-est e incontrando le acque calde presenti nel canale dà origine al fronte Maltese, un secondo flusso più debole si dirige invece verso le coste della Tunisia (Lermusiaux and Robinson, 2001) (Fig.1.5).

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Fig. 1.5 Schematizzazione delle caratteristiche della circolazione superficiale individuate da Robinson et al. (1998) nello Stretto di Sicilia. La freccia in blu traccia il percorso dell’AIS (Robinson et al., 1999). AB: Banco Avventura; MS: Shelf maltese. In nero sono riportate le principali strutture oceanografiche superficiali: ABV: Adventure Bank Vortex; IBV: Ionian Shelf Break Vortex; MRV: Messina Rise Vortex; ISFs: Ionian Shelf Fronts.

Lungo la traiettoria della vena principale, vi è la presenza di due vortici costieri di tipo ciclonico, il primo sul Banco Avventura (Adventure Bank Vortex, ABV) ed il secondo, intorno alla piattaforma maltese poco a sud di Capo Passero (Ionian Shelf Break Vortex, IBV), mentre il ramo principale della corrente descrive un pronunciato meandro anticiclonico tra questi due vortici. Un quarto vortice ciclonico, sempre derivante dal ramo di corrente principale dell’AIS, si forma talvolta lungo la costa orientale della Sicilia, tra Capo Passero a sud e lo Stretto di Messina a nord (Messina Rise Vortex, MRV). In queste aree dominate dalla circolazione ciclonica dove si verifica il fenomeno dell’upwelling si assiste alla risalita di acque ricche di nutrienti (García Lafuente et al., 2002) che fertilizzano gli strati superiori della colonna d’acqua. Studi sulle caratteristiche fisiche e biologiche dell’area hanno evidenziato il ruolo fondamentale della AIS nella produttività, abbondanza e distribuzione delle specie pelagiche (Mazzola et al., 2000 e 2002; García Lafuente et

al., 2002; Cuttitta et al., 2003). Nel Canale di Sicilia il percorso dell’AIS è in grado di influire

sull’estensione dell’area di upwelling e sulla temperatura dell’acqua. Se il percorso dell’AIS è lontano dalla terraferma, lungo la costa si ha una grande estensione dell’upwelling, che nel periodo

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Introduzione

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estivo produce drastici cambiamenti nel regime di temperatura dell’acqua superficiale. Al contrario, se l’AIS passa vicino alla costa riduce la dimensione del vortice ciclonico nel Banco Avventura (Adventure Bank Vortex - ABV) e di conseguenza le acque superficiali manterranno una temperatura maggiore nella zona costiera.

Inoltre, nel recente lavoro pubblicato da Rinaldi et al. (2014) si è sottolineata l’importanza che questa corrente ha sulla distribuzione e variabilità della concentrazione di clorofilla nel Canale di Sicilia. Come abbiamo detto l’AIS è un ramo derivato dalla massa d’acqua atlantica modificata che entrando dallo Stretto di Gibilterra nel Mar Mediterraneo, trasporta elevate concentrazioni di nutrienti e CHL. Sembrerebbe quindi che la concentrazione delle biomasse fitoplanctoniche dipenda solo in piccola parte dai flussi verticali di nutrienti portati dalla risalita di acque profonde a livello costiero.

Naturalmente, il percorso dell’AIS presenta un’elevata variabilità a causa di forzanti esterne la cui scala temporale può variare da alcuni giorni (effetti di marea e fluttuazioni atmosferiche) a periodi più lunghi di carattere stagionale (ciclo solare) o interannuale.

1.3 Procarioti Marini

I procarioti, per definizione, comprendono organismi privi di nucleo divisi in 2 domini: Batteri e Archea, sia autotrofi che eterotrofi (LI, 1995; Christaki et al, 2005). Essi, secondo la classificazione dimensionale di Sieburth et al. (1978) fanno parte del picoplancton (tra 0,2 e 2 µ). I procarioti sono organismi ubiquitari poiché, utilizzando tutte le tipologie di metabolismo possibili, riescono ad adattarsi alle condizioni ambientali più disparate, si ritrovano in tutti gli ambienti compresi quelli estremi, dalle acque polari ai thermal vents. Lungo la colonna d’acqua l’abbondanza dei procarioti generalmente decresce con l’aumento della profondità (Nagata et al., 2000; Reinthaler et al., 2006; Aristegui et al., 2009).

In passato la distinzione tra organismi autotrofi ed eterotrofi non risultava molto agevole, ma con l’avvento della nuova tecnica di indagine a microscopia ad epifluorescenza proposta da Daley e Hobbies (1975) è stato possibile individuare gli organismi autotrofi, mediante l’osservazione della fluorescenza naturale dei loro pigmenti fotosintetici, e gli eterotrofi grazie alla tecnica della colorazione.

Recentemente, inoltre, ci si rivolge alla biologia molecolare per poter meglio individuare le diversità specifiche esistenti nelle comunità batteriche e di scoprire le strategie adottate per l’utilizzo della materia organica

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14 1.3.1 Componente autotrofa

La componente autotrofa dei procarioti è rappresentata dal phylum Cyanobacteria e, maggiormente dai generi Synechoccus (Waterbury et al., 1979) e Prochlorococcus (Chisholm et al, 1994) che danno un forte contributo alla produzione primaria, superiore anche rispetto a produttori di maggiori dimensioni (Valiela, 1995). I primi vivono soprattutto nello strato più superficiale mentre i Prochlorococcus trovano il loro habitat ideale e raggiungono la massima concentrazione nell’intera zona eufotica (Christaki et al., 2001). Gli autotrofi del picoplancton corrispondono, molto frequentemente, alla componente principale di tutto il fitoplancton oceanico sia in termini di produzione primaria che come biomassa (LI, 1994). Essi possono raggiungere una concentrazione pari a 105 cellule per ml (Partensky et al., 1999; Agawin et al., 2000; Christaki et al., 2001- 2005) e possono avere una capacità riproduttiva maggiore rispetto al fitoplancton di taglia superiore (Andersson et al., 1994; Tsai et al., 2005).

1.3.2 Componente eterotrofa

I procarioti eterotrofi rappresentano la percentuale più elevata nella composizione del picoplancton e la loro biomassa può, in ambienti oceanici, superare di molto quella fitoplanctonica. La loro quantità varia col variare di parametri quali luce (Vaquher et al., 1996), temperatura ( Iriarte e Purdie, 1994) e disponibilità di nutrienti (Hall e Vincent, 1990; LI, 1994; Mann e Chisholm, 2000). Gli studi degli ultimi due decenni hanno dimostrato che i microbi planctonici sono i principali regolatori dei cicli biogeochimici marini, infatti, nel circuito microbico rivestono una forte influenza sulla distribuzione dei flussi di carbonio e dei nutrienti nell’oceano (Nagata, 2008).

Poiché i cambiamenti nella composizione della comunità batterica ricadono sui flussi del carbonio e dei nutrienti, è di fondamentale importanza conoscerne la struttura e la variabilità nel tempo e nello spazio, al fine di individuare il ruolo da essi rivestito nei cicli biogeochimici marini.

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Introduzione

15

1.4 Flussi di carbonio tra i comparti trofici

È ormai noto alla comunità scientifica il ruolo fondamentale che gli organismi microbici svolgono in tutti i più importanti cicli biogeochimici del pianeta (Sherr e Sherr, 2002), come quello dell’azoto, del fosforo e del carbonio. Lo studio di quest’ultimo risulta di fondamentale importanza per la comprensione dei flussi di energia che avvengono negli ecosistemi, sia marini che terrestri. La maggior parte delle riserve di carbonio presenti nel nostro pianeta sono immagazzinate negli strati più profondi degli oceani, all’interno dei sedimenti e in forma disciolta o particellata. In generale gli oceani contengono circa 36000 miliardi di tonnellate di carbonio, la maggior parte del quale è presente sotto forma di acido carbonico e dei suoi prodotti di dissociazione. Zimov et. al. (2006) hanno calcolato che il carbonio disciolto nelle acque marine è circa venti volte maggiore rispetto a quello presente negli ambienti subaerei.

Il comportamento di regioni oceaniche come “sorgenti” o “serbatoi” di CO2 dipende da una

serie di fattori e processi chimici, fisici e biologici e dalla loro interazione. La CO2 scambiata con

l’atmosfera viene trasportata dalle correnti e può essere trasferita in profondità attraverso i meccanismi di formazione di acque intermedie e profonde (pompa fisica). Ma può anche essere utilizzata dal fitoplancton e fissata come materia organica attraverso la fotosintesi e trasferita lungo la rete trofica o verso il mare profondo (pompa biologica), come detrito organico. La distribuzione del fitoplancton e l’entità della produzione primaria sono definite dalla disponibilità di luce e nutrienti, a loro volta regolata dai processi di circolazione, dalla dinamica dello strato superficiale rimescolato degli oceani, dall’upwelling e dalla deposizione di polveri atmosferiche. Come risultato di tutti questi processi, la distribuzione del carbonio in ambiente marino varia in maniera considerevole nello spazio e nel tempo, cosa che rende oltremodo complicata una stima accurata del sink oceanico.

Per pompa biologica si intende l’insieme di diversi processi (Longhurst, 1991; Ducklow et. al., 2001) (Fig. 1.6):

 i processi anabolici che portano alla trasformazione del carbonio inorganico in organico (fotosintesi);

 i processi di trasformazione e trasferimento del carbonio organico all’interno della rete trofica;

(19)

16

 i processi di trasporto e decantazione lungo la colonna d’acqua.

Fig. 1.6: Ciclo del carbonio oceanico. La pompa biologica (sinistra) controllata dalla rete trofica marina e la pompa di solubilità (destra) regolata da processi fisici e chimici (Chisholm, 2000).

L’effetto ultimo di questi processi è, quindi, quello di trasformare il Carbonio Inorganico Disciolto (DIC) in biomassa e successivamente “pomparla” in forma particolata o disciolta negli strati più profondi dell’oceano. Il processo ha inizio con la trasformazione di componenti inorganiche (soprattutto N e P) e CO2 in biomassa organica attraverso i processi fotosintetici operati

(20)

Introduzione

17

dalla componente fitoplanctonica dell’ecosistema marino, con successivo rilascio di sostanza organica disciolta messa così a disposizione dell’attività batterica. Il DOC viene rilasciato nell’ambiente marino con molteplici meccanismi quali: essudazione delle alghe microbiche (Alldredge et al., 1993); lisi cellulare spontanea e/o mediante infezione virale degli organismi planctonici (Bradbak et al., 1993); processi di predazione ( Eppey et al., 1981) e degradazione di faecal pellets prodotta dallo zooplancton ( Honjio e Roman, 1978).

Nel complesso dei processi che operano all’interno del meccanismo della pompa biologica, la componente procariotica planctonica risulta di fondamentale importanza, in quanto prende parte attiva e modula diversi processi di trasformazione del carbonio nelle diverse forme (Nagata, 2008). L’impatto principale dell’attività procariotica, all’interno dei meccanismi di trasformazione del carbonio, è legato soprattutto ai processi di produzione di carbonio organico disponibile per i livelli trofici superiori.

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18

L

a produzione batterica è la chiave che dà origine al flusso della DOM attraverso il microbial loop (Fig. 1.7). In questo circuito, il DOC viene utilizzato dai procarioti per la crescita e il metabolismo (Ducklow e Carlson, 1992; Azam et al., 1993; Azam e Worden, 2004; Azam e Malfatti, 2007) e solo dopo, attraverso l’attività di predazione, fluisce ai livelli trofici superiori della rete trofica classica. L’attività di conversione del DOC in biomassa batterica, ha come effetto primario quello di rendere questo carbonio, altrimenti inaccessibile, disponibile al livello trofico superiore (microzooplancton) rappresentato soprattutto da protisti, ciliati e flagellati. In modo indiretto, inoltre, i procarioti eterotrofi sono coinvolti nei processi di mineralizzazione di molecole complesse contenti elementi quali N e P, che spesso rappresentano fattori limitanti per la produzione primaria fitoplanctonica. Rendendo disponibili tali elementi, essi risultano utili nella fertilizzazione degli strati superiori e possono così incrementare in modo indiretto la produzione di carbonio organico mediante i processi anabolici degli organismi fotosintetici. Nell’operare queste trasformazioni, parte dell’energia immagazzinata nei legami chimici del substrato organico, viene utilizzato nei processi di respirazione. Un ulteriore effetto è quindi quello di reintrodurre nel sistema CO2.

Il controllo top-down sulla comunità picoplanctonica può avvenire attraverso fenomeni di predazione: i ciliati e il nanoplancton sono indicati come i principali consumatori in diversi ambienti marini (Campbell e Carpenter,1986; Caron et al., 1991; Christaki et al., 1999; Agi set al., 2007) un altro processo che agisce negativamente sui procarioti è la lisi virale (Proctor e Fuhrman, 1990; Christakiet al., 2005).

Un ulteriore ruolo dei procarioti all’interno dell’ecosistema marino è rappresentato dalla trasformazione della frazione labile della DOM nelle successive componenti semi-labile e refrattaria. Queste tre componenti della DOM possono essere classificate in base alla disponibilità biologica: labile (LDMO), semi-labile (SDOM) e refrattaria (RDOM). La frazione labile viene utilizzata dai procarioti nell’arco di ore o giorni, la componente semi-labile può persistere per mesi ed anni e rappresenta la frazione maggiore che viene veicolata dalla zona eufotica negli strati profondi. RDOM essendo resistente alla degradazione biologica, rappresenta il pool più persistente di carbonio con tempi su scale di millenni. Questo processo tramite il quale batteri e archea cambiano la disponibilità biologica della DOM è definito pompa microbica di carbonio (Jiao etal.2010). ll driver fondamentale della pompa biologica convenzionale è la produzione primaria, mentre quella della MCP è l’attività dei procarioti eterotrofi; quindi, la convenzionale pompa biologica riguarda prevalentemente la produzione nuova, mentre l'MCP per lo più la produzione

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Introduzione

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rigenerata. Inoltre, MCP può essere molto forte dove la convenzionale pompa biologica è molto debole (per esempio, in acque oceaniche oligotrofiche con forte stratificazione).

|

Fig.1.8:La pompa microbica di carboio (Jiao et al. 2010)

La parte più refrattaria della DOM viene quindi trasportata verso gli strati profondi, rappresentando un ulteriore output di carbonio del sistema dagli strati superiori. Negli strati inferiori, DOM e aggregati fecali sono consumati e respirati durante l’affondamento e vanno così ad incrementare l’enorme riserva di Carbonio Inorganico Disciolto (DIC) presente nelle acque profonde. Da studi recenti è emerso che l’attività dei procarioti è considerevole anche alle alte profondità poiché essi, riuscendo ad adattarsi a condizioni estreme di temperatura, pressione e disponibilità di nutrienti, continuano a utilizzare la DOM per costruire nuova biomassa nella zona afotica.

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20

Solamente l’1% circa delle particelle provenienti dalla superficie raggiunge il fondo e viene in parte consumato e respirato e in parte sepolto nei sedimenti (Ducklow et. al., 2001). In questo stato il carbonio è immagazzinato per milioni di anni.

L’effetto netto di tutti questi processi è quindi la rimozione del carbonio in forma organica dalla superficie e la sua trasformazione in DIC a grandi profondità. Questo stoccaggio mantiene attivo un gradiente superficie-fondo di carbonio e su scala temporale di millenni, la circolazione termoalina sarà responsabile di riportare il DIC profondo all’atmosfera.

1.5 Obiettivi

, Le caratteristiche chimiche-fisiche e la struttura trofica di un ecosistema marino influenzano la distribuzione delle specie e la relativa biodiversità. Le connessioni esistenti tra le diverse popolazioni di un ecosistema possono essere messe in evidenza dall’analisi approfondita delle reti trofiche poiché esse, fornendo informazioni sulle specie presenti, possono far conoscere i particolari della struttura di un’intera comunità (Cohen, 1989). In questo contesto, i microbi planctonici hanno un ruolo fondamentale nei flussi di materia organica tra i vari livelli trofici, regolando i cicli biogeochimici in mare, e influenzando la distribuzione dei flussi di carbonio e dei nutrienti nell’oceano (Nagata, 2008).

Il presente studio, alla luce di queste premesse, ha lo scopo di caratterizzare l’area d’indagine valutando:

- lo stato trofico del sistema;

- l’attività degli organismi autotrofi nelle diverse categorie dimensionali (pico-, nano- e micro-planctoniche);

- il ruolo della comunità eterotrofa procariotica, nel regolare lungo la colonna d’acqua i flussi di carbonio tra i differenti comparti trofici.

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Introduzione

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Materiali e Metodi

23

Materiali e Metodi

Fig. 2.1: Area d’indagine, Piattaforma Ibleo-Maltese

Durante la campagna oceanografica BANSIC12 (luglio 2012) si è eseguito un campionamento intensivo della durata di tre giorni, su sei stazioni, per avere un primo screening delle dinamiche ecologiche in una porzione del Canale di Sicilia (la piattaforma Ibleo-Maltese) (Fig. 2.1). Le quote di campionamento sono state selezionate in base alle misurazioni di temperatura e fluorescenza della clorofilla-a dai profili di CTD e di fluorescenza naturale da sonda PNF-300. Sono state scelte 5 quote in corrispondenza delle discontinuità fisiche e chimiche della colonna d’acqua (superficie, al di sotto del termoclino) e del Deep Chlorophyll Maximum (DCM), in più sono state campionate una quota al di sopra e una entro il DCM. Infine, è stata campionata la profondità massima, rappresentativa del fondo, in tutte le stazioni, fatta eccezione per la 143 in cui il fondo arriva a quota 140 m mentre il prelievo è stato effettuato alla profondità di 100m.

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24

2.1 Parametri chimico-fisici

Fig. 2.2: Nave Oceanografica N/O Urania

Le misure di temperatura, conducibilità e ossigeno disciolto, sono state effettuate utilizzando la sonda multiparametrica (CTD) in dotazione alla nave oceanografica utilizzata durante la ricerca (N/O Urania), così come in dotazione alla nave era il campionatore accoppiato al CTD utilizzato per il prelievo dei campioni di acqua lungo la verticale.

La sonda multiparametrica era la Sea Bird Electronics SBE 911plus (unità subacquea SBE 9 collegata all’unità di bordo SBE 11plusV2), con i seguenti sensori: temperatura SBE 3plus, conducibilità SBE 4c, ossigeno disciolto SBE 43.

(28)

Materiali e Metodi

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Fig. 2.3: L’immagine mostra la Rosette G.O. 1016.

Per prelevare i campioni lungo la colonna d’acqua è stata utilizzata la Rosette G.O. 1016 della General Oceanics, equipaggiata con 24 bottiglie idrologiche tipo Niskin da 10 litri di capacità cadauna. I dati idrologici sono stati quindi corretti e processati in accordo alle procedure internazionali (UNESCO, 1988). Algoritmi standard (UNESCO, 1983) sono stati usati per calcolare le quantità quali la temperatura potenziale, la salinità e la densità.

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26

2.2 Analisi della qualità del particellato sospeso

L’analisi della qualità trofica del particellato sospeso è stata eseguita attraverso la stima di TSM (Total Suspended Matter), POC (Particulate Organic Carbon) e PN (Particulate Nitrogen). A tale scopo, subito dopo il prelievo, campioni volumetrici di acqua di mare compresi fra 1500 e 2000 ml, venivano prefiltrati su rete da 200 μm, per eliminare eventuali organismi zooplanctonici. Successivamente si procedeva alla filtrazione su filtri in fibra di vetro Whatman GF/F, con porosità nominale 0.7 µm. I filtri utilizzati erano stati preventivamente calcinati in muffola (490°C per 3-4 ore), allo scopo di eliminare possibili residui organici, pesati ed incapsulati singolarmente. Subito dopo la filtrazione, i filtri venivano essiccati in stufa a 50 °C per 12 ore. All’arrivo in laboratorio, i filtri venivano pesati con bilancia analitica (precisione ±1.0 μg), per la stima del TSM (Total Suspended Matter). Il contenuto in solidi sospesi, ottenuto per differenza peso, veniva espresso in mg/l.

Per quanto riguarda il contenuto in POC e PN, i filtri venivano quindi sottoposti ad un pretrattamento con vapori di HCl concentrato per l’eliminazione del carbonio inorganico. Dopo tale trattamento i filtri venivano riessiccati a 50°C per 4-6 ore, al fine di eliminare ogni traccia di umidità dal campione, ed arrotolati in dischi di stagno di 25 mm di diametro. Si procedeva, quindi, all’analisi del contenuto in POC e PN mediante un CHN - Autoanilizzater Perkin Elmer 2400, utilizzando come standard l’acetanilide, che contiene C H ed N in percentuali simili a quelle ritrovate nell’acqua di mare. I campioni introdotti attraverso un autocampionatore nella camera di combustione (tubo di quarzo), vengono bruciati in atmosfera di ossigeno ultrapuro ad una temperatura di 980°C. I gas prodotti (CO2, NOx e H2O), spinti da una corrente di Elio a pressione costante, vengono flussati lungo una colonna impaccata con rame metallico per ridurre gli ossidi di azoto, ed avviati alla lettura effettuata per gascromatografia frontale. Questo sistema ha il pregio di consentire la lettura simultanea di C, H, N. I valori vengono restituiti in µg/l.

Dai valori di POC e PN sono stati successivamente calcolati i seguenti indici:

- C/N, derivato dal rapporto ponderale tra POC e PN, che consente di valutare l’incidenza relativa della componente biologicamente attiva su quella detritica, nonché la predominanza relativa della biomassa autotrofica e/o eterotrofica nel particellato organico (Lee and Fuhrman, 1987)

- POC/Chl-a, che dà indicazioni sull’incidenza delle biomasse autotrofe sul totale del particellato organico.

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Materiali e Metodi

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2.3 Stime di abbondanza e biomassa del picoplancton totale e fototrofo

2.3.1 Campionamento e conservazione del campione

Per la stima quantitativa del picoplancton fototrofo ed eterotrofo campioni d’acqua sono stati prelevati dalla rosette lungo la verticale. Le profondità di campionamento sono state selezionate in accordo alla struttura fisica della colonna d’acqua (temperatura, salinità e ossigeno), ai livelli di fluorescenza e contestualmente ai prelievi eseguiti per la determinazione degli altri parametri (chimici, biologici e microbiologici).

Opportune aliquote (50 ml) sono state raccolte in tubi sterili di polipropilene e le cellule picoplanctoniche fissate con 2.5 ml di formaldeide sterilizzata per filtrazione (concentrazione finale pari al 2 %). I campioni sono stati quindi conservati a 4°C al buio fino all’analisi in laboratorio (massimo 1 mese).

L’allestimento dei vetrini per il conteggio del picoplancton totale è stato effettuato secondo quanto suggerito da Porter e Feig (1980). Sub-campioni (da 1 a 4 ml) sono stati filtrati su membrane “black” in policarbonato (diametro 25 mm, porosità 0.22 µm, NTG) previa colorazione con DAPI (1’6 diamidino-2 fenilindolo) aggiunto in soluzione diluita 1:10 (100µl per ml di campione; tempo di esposizione 5 minuti).

Il conteggio della frazione picoplanctonica fototrofa è stato determinato in accordo a El Hag e Fogg (1986). Sub-campioni di volume pari a 10 ml sono stati filtrati senza aggiungere alcun fluorocromo. Per il conteggio delle due componenti picoplanctoniche i filtri sono stati montati su vetrino e conservati a -20°C fino al momento della lettura.

2.3.2 Stima delle abbondanze picoplanctoniche

Per l’osservazione del picoplancton totale (campo di eccitazione nell’UV) sono stati adoperati un filtro di eccitazione G365, un ripartitore cromatico FT395 ed un filtro di sbarramento LP420, mentre nel caso del picofitoplancton (campo di eccitazione nel blu) un filtro di eccitazione BP450-490, un ripartitore cromatico FT 510 e un filtro di sbarramento LP 515.

Il conteggio è stato effettuato utilizzando l’analizzatore di immagini AXIOPLAN 2 Imaging (Zeiss) (magnification: Plan-Neofluar 100x objective and 10x ocular; HBO 100 W lamp; filter sets: G365 exciter filter, FT395 chromatic beam splitter, LP420 barrier filter). Lo strumento corredato di Camera

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Digitale (AXIOCAM) e di software AXIOVISION 3.1 per il trattamento di immagini consente di acquisire, analizzare e archiviare un gran numero di immagini digitali. L’acquisizione è stata effettuata ad un livello di risoluzione pari a 1300x1030 pixels. La taglia del pixel nell’ immagine risultante era 0.106 µm da calibrazione automatica. Il numero di immagini acquisite per ogni vetrino dipendeva dalla qualità del campione e del preparato.

Per prevenire la caduta del DAPI, il conteggio delle cellule viene effettuato su delle fotografie e viene osservato un numero di campi compreso tra 20 e 40 per ogni campione, per avere un errore stocastico minore del 10%.

Per risalire al numero di cellule per ml di campione è applicata la seguente formula:

dove:

-N= media del numero di cellule contate in ogni vetrino -V= volume di campione filtrato

-1.05= fattore di moltiplicazione per la formalina

- Area del filtro = si intende l’area in cui è deposto il campione e non quella totale (mm2). - Area del campo = può corrispondere all’intero campo visivo o all’area di un reticolo inserito nell’oculare (mm2).

- Ai fini del calcolo un campo senza cellule va considerato come un campo esplorato.

2.3.3 Analisi morfometrica e stime di biomassa

Per la stima della biomassa si è proceduto con la misura, ottenuta manualmente, delle dimensioni delle singole cellule contenute nelle immagini acquisite. L’asse maggiore delle singole cellule è stato considerato quale loro lunghezza (L) e perpendicolarmente ad essa è stata misurata la larghezza (asse minore). La misura dell’asse centrale per i vibrioni e gli spirilli, ha comportato qualche difficoltà a causa della presenza di zone ricurve: oggetti curvi sono disegnati da curve spline. I pixels che costituivano l’alone caratteristico della fluorescenza sono stati esclusi dalla misura (Lee e Fuhrman, 1987). Il volume cellulare è stato stimato in µm3, assumendo come sferica la forma dei cocchi e

)

(

)

(

]

05

.

1

)

(

[

/

2 2

cm

V

mm

campo

del

area

mm

filtro

del

area

N

ml

cell

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Materiali e Metodi

29

cilindrica, con le estremità emisferiche, quella dei bastoncelli (Massana et al., 1997). Le cellule sono state operativamente definite come cocchi se la loro lunghezza e la larghezza differivano da meno di 0:10 micron, coccobacilli se la loro lunghezza e la larghezza differivano da più di 0:10 micron, e barre se la loro lunghezza è almeno doppio della loro larghezza, le cellule a forma di C ed S sono state definite rispettivamente vibrioni e spirille, rispettivamente; cellule superiori 4 micron di lunghezza sono stati definiti come batteri filamentosi.

Per il calcolo del biovolume è stata applicata la seguente formula (Bratbak, 1985), specifica per il morfotipo bastoncellare:

che semplificata diventa:

Per quanto riguarda i cocchi, poiché per essi L=W, la formula [1] diventa:

Il sistema è stato calibrato con biglie in lattice fluorescenti come riportato da La Ferla e Leonardi (2005).

Per ottenere un adeguato volume medio, per ogni campione sono state misurate almeno 200 cellule (Bratback, 1993).

Il contenuto di carbonio in fg C cell-1 è stato calcolato secondo relazione allometrica di Loferer-Krößbacher et al., 1998., e abitualmente adottati per le cellule con colorante DAPI in ambienti marini e limnetica (Posch et al 2001.):

CCC = 218 x VOL0.86

Assumendo che l’80% del biovolume consiste in acqua, mentre l'altra parte del peso secco (20%) è considerato come costituito da 50% di carbonio (Bölter et al. 2006).

La biomassa procariotica (PB, C mg l-1) è stata calcolata moltiplicando la PA di ogni campione con il CCC derivato dal corrispondente VOL:

PB = PA x CCC

 

1 6 4 3 2   W W L W V         

 

2 3 4 2        W L W V

 

3 6 3 L V 

(33)

30

La biomassa del picoplancton fototrofo è stata calcolata semplicemente moltiplicando l’abbondanza cellulare per il fattore di conversione 250 fg (Partensky et al., 1999). Poiché la misurazione dei volumi cellulari ha fornito equivalenti CCC.

L’abbondanza nanoplanctonica eterotrofica (classe dimensionale degli organismi planctonici con

dimensionilineari comprese fra 2 e 20 μm,Sieburth et al., 1978, rappresentata da protozoi fra i quali

prevalgonoi flagellati) ,espressa in cellule per volume di campione, è calcolata tramite la seguente

equazione:

cell. ml-1 = [(N) x Area effettiva di filtrazione del filtro (mm2)]/

[Area del campo visivo (mm2) x (DF) x (ml filtrati)] dove:

N = numero medio di cellule osservate per campo visivo DF = fattore di diluizione del fissativo

2.4 Clorofilla a

I campioni d’acqua collezionati dal campionatore (1.5 – 2.0 l) sono stati sequenzialmente filtrati su membrane di policarbonato (10 e 2 µm) e attraverso filtri in fibra di vetro Whatman GF/F per separare le tre principali classi di taglia: micro- (≤10.0 µm), nano- (<10.0 - ≤2.0 µm) and pico- fitoplancton (>2.0 - ≤0.2 µm). I filtri sono stati quindi conservati in fogli di alluminio a -20 °C fino alle analisi n laboratorio. La CHLa è stata estratta in una soluzione di acetone al 90 %, per 24 h al buio, e misurata con un spettrofluorimetro Varian (mod. Cary Eclipse) prima e dopo l’addizione di acido cloridrico. Sono state eseguite tre letture per campione, ciascuna con un tempo di integrazione di tre secondi. Le lunghezze d’onda della massima eccitazione ed dell’emissione, rispettivamente 429 nm e 669 nm, sono state selezionate dopo la standardizzazione con una soluzione di CHLa estratta da Anacistys

nidulans (prodotto da Sigma Co). La concentrazione della CHLa è stata calcolata secondo a Lorenzen

(1967).

Il carbonio fitoplanctonico (C-CHL, in µg C l-1)è stato stimato assumendo50 mg Carbonio per mg

(34)

Materiali e Metodi

31

2.5 Produzione primaria

Due campioni per ogni quota ottica selezionata, sono stati posti alla luce e al buio in bottiglie di policarbonato da 450 ml. Le bottiglie sono state inoculate con 1 ml di una soluzione di NaH14CO3

(10 µCi ml-1di attivà) e sono state incubate on deck, in acqua di mare superficiale corrente, coperte da schermi selettivi per simulare i livelli di luce dei campioni in situ. I campioni da prelevare sono stati selezionati sulla base delle caratteristiche della colonna d’acqua: superficie, massimo di ossigeno (25 m circa), termoclino, picco massimo della fluorescenza (DCM). Dopo 4 ore di esposizione alla luce (ed incubazione al buio), le tre classi di taglia fitoplanctoniche sono state isolate previa filtrazione di 150 ml come descritto sopra per l’analisi della CHLa. I fitri sono stati trasferiti in vials da 20 ml con 10 ml del cocktail di scintillazione “Ultima Gold” e la radioattività è stata determinata mediante uno scintillatore Perkin Elmer LS1440. Sono state eseguite sei letture per campione ed il conteggio è stato ripetuto fino a 4 volte per il raggiungimento della significatività statistica delle disintegrazioni per minuto (dpm).

L’alcalinità totale è stata misurata a bordo usando il metodo potenziometrico e la CO2 totale

disponibile è stata determinata dagli algoritmi UNESCO (1983).

2.6 Produzione eterotrofi procarioti (PHP)

La produzione eterotrofa procariotica, in questo studio, è stata stimata utilizzando la 3H-leucina precursore del DNA (Kichman et al., 1985) dal metodo di Smith e Azam, (1992). Incubando i procarioti in presenza di leucina marcata (3H-leucina) è possibile determinare sperimentalmente la velocità di incorporazione della molecola nel materiale proteico cellulare e stimare quindi la velocità di sintesi proteica. Quest’ultima, in base al rapporto relativamente costante tra proteine e biomassa, pari al 60% del peso secco (Simon e Azam, 1989), potrà essere convertita in produzione di biomassa totale, espressa anche in termini di carbonio.

PHP è stata misurata con incubazione triplicata di sottocampioni da 1.5 ml e due TCA (concentrazione finale 5%) e i bianchi con la L-[4,5-3H] leucina (Amersham, SA 59,0 Ci/mmol)

(35)

32

ottenendo la concentrazione finale di 20 nM. La durata dell’incubazione è stata di 90 min per i campioni epipelagiche al buio a temperatura in situ ± 1 ° C.

L’incubazione è stata arrestata con TCA (concentrazione finale 5%). I pellet sono stati lavati due volte, con il 5% di TCA e l'80% di etanolo, e infine completate con 1 ml di cocktail liquido di scintillazione (Ultima Gold MV, PerkingElmer Vita e Analytial Scienze cat. N ° 6.013.159).

La radioattività incorporata è stata misurata come disintegrazioni per minuto (DPM) e valutata tramite un contatore a scintillazione liquida (Wallac WinSpectral 1414 Liquid contatore a scintillazione, PerkinElmer Life Sciences) utilizzando la libreria interna radioisotopica e la correzione tempra. La concentrazione finale di leucina è stata precedentemente testata in tutte le crociere, con misurazione di cinque concentrazioni di 3H-leucina (da 5 a 30 nM). La produzione procariotica di biomassa in termini di carbonio è stata calcolata secondo Kirchman (1993) utilizzando determinazioni in situ della diluizione di leucina isotopica calcolato secondo Pollard e Moriarty (1984).

2.7 Saggio dell’attività ETS nell’acqua di mare

Il principio di questa metodica consiste nell’accedere al sistema respiratorio, previa rottura delle cellule, fornirgli un eccesso dei suoi naturali substrati (NADH, NADPH e sodio succinato) e collezionare gli elettroni trasferiti tramite l’utilizzo di un accettore artificiale di elettroni come il sale di tetrazolio (INT: 2-(p-iodiofenil)-3-(p-nitrofenil)-5-feniltetrazolio cloruro). La riduzione del meno colorato INT a rosso formazano è seguita usando uno spettofotometro (490 nm). Il tasso di utilizzazione di ossigeno come µl O2 h-1 l-1 è calcolato stechiometricamente sulla base della reazione

di riduzione dell’INT in INT-formazano.

Opportune aliquote d’acqua, che variano in base alla concentrazione del particellato lungo la verticale, sono concentrate a pressione ridotta (<1/3 atm) su membrane di fibra di vetro GF/F Whatmann. I filtri sono quindi conservati immediatamente in azoto liquido fino alle analisi in laboratorio a terra (<45 giorni), al fine di prevenire la degradazione enzimatica (Ahmed et al., 1976). Mediante l’equazione di Arrhenius, i valori di ETS vengono corretti per la differenza tra la temperatura in situ e la temperatura alla quale è stata saggiata l’attività (generalmente 20 °C; Packard et al., 1975).

(36)

Materiali e Metodi

33 2.7.1 Fattori di conversione

L’attività ETS è un potenziale massimo che necessita l’uso appropriato di algoritmi per convertirla nel reale tasso di respirazione in situ. Questo è il principale ostacolo all’interpretazione dei risultati di questa tecnica, e le soluzioni proposte sono due: 1) un algoritmo può essere calcolato dalla simultanea misura dell’attività ETS e dei tassi respiratori determinati in situ su popolazioni naturali (OUR); 2) alternativamente un fattore di conversione può essere derivato dalla letteratura biochimica su culture monospecifiche o su popolazioni di organismi in vitro. Nella zona eufotica qualora si è impossibilitati a fare contemporaneamente misure di ETS e OUR (questo è il caso di questa ricerca), il tipico algoritmo usato per convertire i dati di attività potenziale è log R (mg O2 m -3 d-1) = 0,357 + 0,75 log ETS, proposto da Arístegui & Montero (1995) su un dataset di ~200 campioni

proveniente da diverse regioni oceaniche. L’errore medio di predizione dell’algoritmo proposto per la zona eufotica e di ±34 %. Questo algoritmo è abbastanza robusto, ma potrebbe essere migliorato aggiungendo nel calcolo i dati OUR/ETS pubblicati negli ultimi 10 anni in altre regioni oceaniche. L’utilizzo del secondo approccio è soggetto alla critica che non c’è nessuna ragione di aspettare che lo stato fisiologico della cultura sia lo stesso della popolazione naturale. Successivamente i dati OUR sono convertiti in produzione metabolica di CO2 (CDPR) applicando la seguente equazione:

CDPR (μg C dm-3 g-1) = (OUR x 12/22,4) x (122/172)

dove 12 è il peso atomico del carbonio, 22,4 è il volume molare dell’O2, e 122/172 è il rapporto

molare tra carbonio e ossigeno proposto da Takahashi et al., (1985). L’errore associato ai fattori di conversione utilizzati per convertire l’attività ETS nella zona afotica a OUR e successivamente a CDPR, è intorno al 30 % (Packard et al., 1988).

2.7.2 Campionamento e conservazione del campione

Per la determinazione dell’attività ETS microplanctonica, opportune aliquote d’acqua sono state campionate dalla rosette lungo la verticale dalla superficie al fondo e prefiltrate utilizzando una rete da maglia di 200 µm. Le profondità di campionamento sono state selezionate in accordo alla struttura fisica della colonna d’acqua (temperatura, salinità e ossigeno), ai livelli di fluorescenza e contestualmente ai prelievi eseguiti per la determinazione degli altri parametri (chimici, biologici e microbiologici).

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I campioni d’acqua per la stima dell’attività ETS sono stati prelevati in contenitori di plastica in polipropilene (10 L) e pretrattati direttamente a bordo.

2.8 Analisi statistiche

Tramite l’analisi statistica si è valutata l’associazione tra le coppie di variabili utilizzando l’indice di Pearsonanche detto coefficiente di correlazione di Pearson (o di Bravais-Pearson), questo misura il tipo e l’intensità della relazione lineare tra due variabili X e Y. Si indica con la lettera r se viene calcolato su un campione rappresentativo della popolazione. Il coefficiente di correlazione lineare varia tra -1 e 1. Da un punto di vista matematico, il coefficiente di correlazione (Bravais-Pearson) è definito come:

r= COVXY/Sy Sx

in cui:

COV è la covarianza tra X e Y; Sx è la deviazione standard di X

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Risultati e Discussioni

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Risultati e Discussioni

3.1. Struttura chimico-fisica dell’area d’indagine

La struttura della colonna d’acqua, caratterizzata in base ai parametri chimico-fisici, mostrava una elevata stabilità e stratificazione, tipica della stagione estiva in aree temperate. In tab.3.1 sono riassunti i valori minimi e massimi e le relative deviazioni standard dei parametri chimico-fisici misurati con la sonda multi-parametrica (CTD) nelle sei stazioni campionate.

I profili della temperatura hanno evidenziato la presenza del termoclino stagionale, ad una profondità compresa tra i 9-16 m (Fig.3.1). La temperatura, in ogni stazione presa in esame, si manteneva costante al di sopra del termoclino, su valori che andavano dai 25 ai 27 °C nelle diverse stazioni. Nelle quote sottostanti al termoclino, la temperatura diminuiva lungo la colonna d’acqua, fino ad un minimo di 14.8 °C misurato alla profondità di 102 m (stazione 143). La salinità aveva anch’essa, valori costanti al di sopra del termoclino in ogni stazione (range: 37.26-38.67). A differenza della temperatura il trend mostrava un picco minimo intorno alla quota dei 25 m dove raggiungeva il valore di 37.26 (stazione 641), e da questa quota l’andamento era crescente (massimo di 38.7, registrato alla stazione 143) lungo la verticale fino al fondo

.

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I valori dell’ossigeno disciolto erano racchiusi in un range compreso tra un minimo di 6,3 mg l-1 a livello superficiale ad un massimo di 8,3 mg l-1 alla quota corrispondente ai 36 m, determinati

rispettivamente nelle stazioni 143 e 188 (Fig.3.2). Il profilo dell’ossigeno aveva un andamento simile in tutte le stazioni, con valori che tendevano ad aumentare gradualmente nei primi metri della colonna d’acqua fino al termoclino. Sotto quest’ultimo si aveva un brusco innalzamento fino alla quota dei 36 m dove si riscontrava il valore massimo, e da qui il trend aveva una tendenza a diminuire lungo la verticale.

I valori di fluorescenza avevano un profilo crescente lungo la colonna d’acqua, partendo dal livello superficiale con un minimo di 0,018 µg l-1 nella stazione 641, fino al picco massimo di 0,393 µg l-1 registrato alla profondità di 78 m nella stazione 137 (Fig.3.2). La profondità del DCM variava nelle stazioni campionate ed era compresa nello strato che va dai 53 agli 88 m. Dal DCM i valori di fluorescenza tendevano a diminuire con la profondità.

Fig. 3.2 Profili verticali di ossigeno disciolto e fluorescenza. 0 50 100 150 6 7.5 9 O2 m g/L Pr o fo n d ità st.641 st.137 st.143 st.188 st.302 st.22

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Risultati e Discussioni

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Tab. 3.1 Tabella riassuntiva dei parametri chimico-fisici.

Fig.3.3 Grafico _S

Parametri Min - Max Media ±Dev.StN°campioni

Temperatura 14,8 - 26,96 18,16 ± 4,42 29

Salinità 37,26 - 38,67 38,29 ± 0,32 29

O2 6,3 - 8,15 7,3 ± 0,6 29

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