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Modificazioni endoteliali e placentari e restrizione della crescita intrauterina in relazione ai valori plasmatici di PAPP-A nel I trimestre di gravidanza

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea

Modificazioni placentari ed endoteliali e restrizione della

crescita intrauterina in relazione ai livelli plasmatici di PAPP-A

nel I trimestre di gravidanza

Relatore

Chiar.mo Prof. Angiolo Gadducci Candidato

Martina Schifano

(2)

The future belongs to those who believe

in the beauty of their dreams

(3)

INDICE

RIASSUNTO

... 1

INTRODUZIONE

... 5

A

CCRESCIMENTO FETALE ... 5

R

ESTRIZIONE DELLA CRESCITA INTRAUTERINA

(IUGR)

... 7

Definizione ... 7

Incidenza ... 9

Cause ... 10

Classificazione ... 20

Diagnosi ... 22

Monitoraggio del feto IUGR ... 24

Evoluzione in utero delle condizioni del feto IUGR ... 25

Identificazione precoce delle gravidanze a rischio ... 29

SCOPO DELLO STUDIO

... 35

MATERIALI E METODI

... 36

RISULTATI

... 41

DISCUSSIONE

... 52

(4)

1

RIASSUNTO

L’accrescimento intrauterino è un processo biologico dinamico che si avvia al momento del concepimento e si svolge con modalità e cronologia diverse nelle varie epoche della gravidanza.

Ogni feto è dotato di uno specifico potenziale di crescita determinato geneticamente; la presenza di fattori che influiscono negativamente sulla gravidanza riduce la piena espressione di questo potenziale, determinando una restrizione della crescita (Intrauterine Growth

Restriction, IUGR).

Si stima che in Italia circa il 7% delle gravidanze sia complicato da IUGR, che rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità perinatale. In considerazione del maggior rischio di insorgenza di complicanze, il feto con restrizione di crescita necessita di un monitoraggio intensivo dell’accrescimento e del benessere, che viene condotto con valutazioni ecografiche seriate della biometria e studio doppler velocimetrico del compartimento vascolare materno e/o fetale.

Non esistendo ancora delle terapie efficaci nel prevenire l’insorgenza di IUGR o per trattare in utero i feti affetti, attualmente il miglior

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rischio. In questo contesto si inserisce la valutazione dei livelli plasmatici materni di Pregnancy Associated Plasma Protein-A (PAPP-A) nel I trimestre di gravidanza. Si tratta di una glicoproteina prodotta in elevate concentrazioni dalle cellule del trofoblasto che riveste la superficie dei villi di ancoraggio e rilasciata nella circolazione materna a concentrazioni crescenti sin dall’inizio della gravidanza. Il significato biologico della PAPP-A è ancora sconosciuto ma i risultati di numerosi studi supportano l’ipotesi che possa agire come importante fattore di regolazione della crescita influenzando il sistema IGF (Insuline-like

Growth Factor); si ritiene inoltre che abbia un ruolo significativo nel

controllo autocrino e paracrino dell’invasione del trofoblasto.

Partendo dall’ipotesi che la PAPP-A possa influenzare l’accrescimento fetale non solo regolando la biodisponibilità dell’IGF necessario per un corretto sviluppo somatico e per una regolare placentazione, ma anche favorendo la sua attività come vasodilatatore a livello endoteliale, questa tesi si propone di valutare la possibile correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A nel I trimestre di gravidanza, l’accrescimento fetale, le alterazioni Doppler velocimetriche a carico delle arterie uterine e la presenza di disfunzione endoteliale valutata con la Flow Mediated Dilation (FMD).

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Tra le pazienti che si sono sottoposte al test combinato per il calcolo del rischio di Sindrome di Down nel I trimestre di gravidanza presso la U.O. Ostetricia e Ginecologia I Universitaria dell’Azienda Ospedaliero- Universitaria Pisana, è stato selezionato un campione di 54 soggetti, successivamente suddivisi in gruppo Studio (n=30) e gruppo Controllo (n=24) in base ai livelli plasmatici materni di PAPP-A MoM < 0.4 e > 0.4, rispettivamente. Secondo il protocollo di studio, le pazienti sono state rivalutate in epoche gestazionali prestabilite: 19-21 settimane, 26-28 settimane e 32-34 settimane; ad ogni controllo sono stati effettuati una valutazione ecografica della biometria fetale ed uno studio Doppler del flusso nelle arterie uterine ed è stato eseguito l’FMD. Al termine della gravidanza, sono stati raccolti i dati antropometrici del neonato.

I risultati ottenuti, in accordo con la più recente letteratura, suggeriscono che bassi livelli plasmatici di PAPP-A possano essere associati ad una compromissione dell’accrescimento del feto; questa proteina potrebbe influenzare in modo diretto la crescita fetale favorendo lo sviluppo di organi ed apparati, ma potrebbe avere anche un ruolo indiretto agendo sia sulla placentazione che sulla funzione endoteliale materna.

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4

Saranno necessari ulteriori studi per determinare se la PAPP-A possa essere utile nella pratica clinica per individuare precocemente e gestire in modo appropriato le gravidanze a rischio di IUGR.

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5

INTRODUZIONE

Accrescimento fetale

La crescita è un processo dinamico che consiste nell’aumento della massa corporea e delle dimensioni di un individuo, grazie all’incremento del numero (iperplasia) e della grandezza (ipertrofia) delle cellule nonché della matrice intracellulare.

Ogni feto è dotato di uno specifico potenziale di crescita determinato geneticamente; alla piena espressione delle potenzialità di accrescimento concorrono fattori ambientali che, durante il decorso fisiologico della gravidanza, interagiscono con il patrimonio genetico. Il processo di crescita fetale, che si avvia al momento del concepimento, può essere suddiviso in tre periodi (1): la prima fase avviene tra la 4a e la

20a settimana di gestazione ed è caratterizzata da un proporzionale

aumento di peso fetale, di contenuto di proteine e di DNA (fase di iperplasia); nella seconda fase (20-28 settimane) prosegue l’aumento di crescita in peso e proteine, ma si ha un rallentamento della produzione di DNA fetale (fase di iperplasia e concomitante ipertrofia); la terza fase, che ha inizio a 28 settimane, è caratterizzata dal continuo aumento di

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6

proteine e peso fetale senza l’aumento di contenuto di DNA (fase di ipertrofia).

La velocità di crescita dell’embrione e del feto è massima all’inizio della gravidanza e diminuisce progressivamente fino al termine. Al contrario, la crescita assoluta, intesa come peso e massa corporea acquisita nell’unità di tempo, aumenta con il progredire della gravidanza, raggiunge il massimo intorno alle 37-38 settimane di gestazione, per poi diminuire nuovamente.

Quando sono presenti fattori che influiscono negativamente sulla gravidanza, riducendo la completa attuazione del potenziale di accrescimento originale, si osserva una restrizione della crescita (Intrauterine Growth Restriction, IUGR), con conseguenze diverse in relazione al periodo in cui avviene l’insulto: un danno precoce comporta una riduzione dell’iperplasia cellulare fetale e generalmente produce una restrizione di crescita simmetrica; un insulto che avviene nel III trimestre, invece, incide principalmente sull’ipertrofia cellulare comportando una restrizione di crescita asimmetrica.

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Restrizione della crescita intrauterina (IUGR)

Definizione

Il termine “restrizione della crescita intrauterina” è forse tra quelli più impropriamente utilizzati in ostetricia.

Tradizionalmente per l’identificazione dello IUGR ci si è basati sul peso alla nascita, classificando i neonati affetti da IUGR come “neonati piccoli per l’epoca gestazionale” (Small for Gestational Age, SGA). Fino agli anni Sessanta veniva giudicato “di basso peso” qualsiasi neonato con peso inferiore a 2.500 g, indipendentemente dall’epoca gestazionale al momento del parto. Con questo criterio diagnostico venivano quindi considerati sovrapponibili il neonato da parto prematuro e il neonato a termine con restrizione di crescita.

Nel 1963 fu introdotta la valutazione del peso alla nascita in relazione all’età gestazionale; Gruenwald considerò “neonati piccoli per l’epoca gestazionale” i bambini il cui peso si discostasse di 2 deviazioni standard dal peso medio per l’età gestazionale (2). Nello stesso anno, Lubchenco elaborò il primo significativo studio a riguardo proponendo l’utilizzo dei percentili ed identificando così come “neonati piccoli per

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l’epoca gestazionale” i bambini il cui peso alla nascita fosse inferiore al

10° percentile della popolazione normale (3).

Durante la vita intrauterina, la stima del peso fetale può essere calcolata, tramite complesse formule matematiche, a partire dai valori biometrici; tale stima non rappresenta però un parametro preciso ed è gravata da un margine di errore uguale o superiore al 10%. Nel corso degli anni è stato infatti dimostrato che le misurazioni biometriche fetali sono più precise e più accurate della stima algoritmica ponderale e la circonferenza addominale è stata considerata il parametro migliore per l’identificazione dell’accrescimento in gravidanza (4).

Viene quindi considerato SGA il feto con circonferenza addominale inferiore al 10° percentile per l’epoca considerata o il neonato di peso inferiore al 10° percentile alla nascita. La scelta del 10° percentile come valore di riferimento è effettuata in base al parametro che fornisca il miglior compromesso tra sensibilità e specificità nell’identificazione del feto SGA, anche se gli esiti perinatali peggiori, in termini di morbosità e mortalità, si verificano nei casi inferiori al 5° o al 3° percentile.

Tuttavia, come precedentemente illustrato, la crescita è un processo evolutivo e la valutazione della sua espressione non può quindi limitarsi ad un singolo momento (che ci permette solo di individuare il feto SGA),

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9

ma richiede una serie di misurazioni eseguite nel tempo. Solo dopo queste valutazioni seriate si può identificare il feto con restrizione dell’accrescimento che manifesta nel corso della gestazione un rallentamento della crescita rispetto al suo potenziale originale.

Risulta quindi di fondamentale importanza differenziare i concetti di SGA e IUGR dato che molti neonati con evidenza clinica di restrizione della crescita intrauterina hanno un peso alla nascita superiore al 10° percentile per quella determinata epoca gestazionale e così pure neonati con basso peso (< 10° percentile) possono essere costituzionalmente piccoli facendo parte della coda di una distribuzione normale (5).

Incidenza

Risulta difficile stabilire l’esatta incidenza della restrizione di crescita fetale; in letteratura si possono trovare valori estremamente differenti e difficilmente verificabili a causa di numerose variabili che devono essere prese in considerazione.

Sicuramente importanti sono le difficoltà classificative: le definizioni di “basso peso”, “SGA” o “IUGR” non vengono sempre usate correttamente e spesso intercambiate, ottenendo popolazioni non

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omogenee. Per di più, in diversi studi vengono utilizzati differenti criteri per identificare l’accrescimento (peso fetale, biometria della circonferenza addominale) ed anche differenti cut-off (10°percentile, 5° percentile, 3° percentile, < 1 deviazione standard, < 2 deviazioni standard, ecc.). Inoltre, gli studi riportano standard di normalità non facilmente paragonabili, essendo le curve di crescita utilizzate dai diversi Autori correlate a situazioni geografiche, socio-economiche ed etniche differenti. (5)

Si stima comunque da dati ISTAT che in Italia circa il 7% delle gravidanze venga complicato da IUGR.

Cause

Esistono numerose potenziali cause di restrizione dell’accrescimento che possiamo suddividere in tre categorie: fetali, materne e placentari. Le categorie non sono mutuamente esclusive e spesso l’eziopatogenesi è da considerare multifattoriale.

Tra le cause fetali ricordiamo le aneuploidie che risultano essere presenti in circa il 5-20% dei feti IUGR e comportano generalmente una restrizione di crescita precoce e simmetrica. Tra queste, un breve cenno meritano le disomie uniparentali, nelle quali una coppia di cromosomi

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omologhi deriva da un solo genitore anziché da entrambi; uno squilibrio nel bilancio dell’espressione paterno-materna potrebbe essere alla base di alterazioni della crescita fetale in quanto gli alleli paterni sembrano esprimere uno stimolo all’accrescimento, mentre quelli materni un’inibizione, controllando le richieste di nutrienti da parte del feto. Sono state associate a restrizioni di crescita la disomia materna dei cromosomi 6, 7, 14, 15 e 20, mentre ancora controversa risulta la

correlazione con le disomie dei cromosomi 2, 4 e 16. (6)

La restrizione di crescita associata ad anomalie del cariotipo può dipendere non solo da aneuploidie fetali, ma anche da alterazioni placentari. L’esame dei villi coriali eseguito nel primo trimestre può rilevare in circa l’1-2% dei casi condizioni di “mosaicismo intraplacentare” in cui linee cellulari normali si associano a linee con cariotipo alterato. Quando il cariotipo fetale risulta normale e quello placentare risulta aneuploide, si è in presenza di una situazione definita “mosaicismo confinato alla placenta”. Benché nella maggior parte di questi casi la gravidanza abbia un decorso fisiologico, in una piccola percentuale si possono presentare complicanze come l’aborto spontaneo o la restrizione della crescita fetale.

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Un’altra causa fetale è rappresentata dalle infezioni e, tra queste, quelle che maggiormente si associano a restrizione di crescita possono essere virali (rosolia, infezione da citomegalovirus, herpes, HIV), protozoarie (toxoplasmosi, malaria, malattia di Chagas), batteriche (listeriosi, tubercolosi) o causate da spirochete (sifilide).

Infine, un’ultima condizione che deve essere ricordata è rappresentata dalle gravidanze gemellari che, nel 15-30% dei casi, possono essere complicate da restrizione di crescita di almeno uno dei feti. La restrizione di crescita può avere un’eziopatogenesi diversa a seconda della corialità: nella gravidanza monocoriale possono influire la maggiore incidenza di inserzioni anomale del funicolo, la diversa e squilibrata distribuzione della massa parenchimale placentare tra i due gemelli e la trasfusione feto-fetale. Nelle gravidanze bicoriali, invece, i gemelli hanno diverso patrimonio genetico e possono quindi presentare un differente potenziale di crescita; inoltre, le caratteristiche dell’accrescimento possono dipendere dalla diversa sede dell’impianto placentare. (6)

È facilmente intuibile quanto lo stato di salute della madre possa influenzare lo sviluppo, la crescita e il benessere del feto; numerose condizioni materne possono infatti associarsi a restrizione della crescita

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fetale. E’ noto, ad esempio, che IUGR e pre-eclampsia possono rappresentare le due facce di una stessa medaglia costituita dalla patologia placentare. (7; 8) Le problematiche ipertensive possono anche essere correlate alla presenza di malattie autoimmuni o trombofilia che

possono comunque associarsi ad iposviluppo fetale,

indipendentemente dalle alterazioni pressorie.

Il difetto di crescita fetale può essere anche correlato a malattie materne che provochino un costante stato di ipo-ossigenazione, come patologie polmonari, gravi cardiopatie o stati di anemia severa.

Il diabete pre-gestazionale, danneggiando lo sviluppo ed il funzionamento della placenta, può compromettere il corretto accrescimento del feto, soprattutto se mal compensato e concomitante a nefropatie o patologie vascolari.

Nelle donne nefropatiche, l’azione negativa sulla crescita fetale può avvenire sia per squilibri metabolici materni da alterata funzionalità renale (aumento di metaboliti tossici circolanti a causa della ridotta filtrazione glomerulare materna, acidosi metabolica, anemizzazione) che per le eventuali complicanze della nefropatia (ipertensione, pre-eclampsia). Anche l’habitus costituzionale (grave stato di malnutrizione, anoressia

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nervosa), le abitudini voluttuarie della madre e l’esposizione a teratogeni possono avere grande influenza sulla crescita fetale; vanno quindi sempre presi in considerazione il fumo, l’abuso di alcolici e di sostanze stupefacenti e l’utilizzo di farmaci.

La restrizione della crescita intrauterina può essere infine associata ad anomalie placentari; la placenta, infatti, è un organo funzionante, che contribuisce attivamente alla crescita fetale sia attraverso il trasferimento di gas e nutrienti che attraverso proprie funzioni metaboliche ed endocrine.

La placentazione è un processo complesso che inizia con l’annidamento

della blastocisti, continua con la crescita placentare fino alla 24a

settimana circa e poi prosegue con la maturazione della placenta, durante la quale si ottiene l’incremento della superficie di scambio tra madre e feto attraverso la formazione di villi sempre più specializzati e adatti a questo scopo.

Affinché la placenta possa raggiungere un adeguato funzionamento anatomo-metabolico e la gravidanza possa decorrere in maniera fisiologica con un regolare accrescimento del feto, è necessario che si susseguano correttamente tutte le fasi dello sviluppo placentare (impianto, crescita e maturazione).

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Non sempre però questo accade e, in alcuni casi, si possono verificare difetti della modalità di impianto e/o difetti di sviluppo e di maturazione dell’albero villare della placenta, con conseguente riduzione degli scambi gassosi e dell’ apporto di sostanze nutritive al feto.

Numerosi studi hanno imputato l’aumentata resistenza vascolare placentare, riscontrabile nella restrizione della crescita, ad una riduzione del numero di arterie o arteriole (9) ed hanno attribuito l’insufficienza placentare alla ridotta capillarità. (10)

In una review del 2005, Ness e Sibai hanno ipotizzato che la condizione di IUGR possa derivare da una predisposizione materna alla disfunzione endoteliale che contribuirebbe al difettoso impianto della placenta. Nel lavoro di questi Autori viene documentata una catena di cambiamenti patofisiologici derivanti da anomalie placentari indotte dall’endotelio. Come noto, l’endotelio vascolare non è soltanto un insieme di cellule che fungono da barriera tra il sangue ed i tessuti circostanti, ma rappresenta un vero e proprio organo con funzione modulatoria sul tono vasale e sul flusso ematico in risposta a stimoli umorali, nervosi e meccanici.

In condizioni fisiologiche, l’endotelio svolge un ruolo attivo nell’interscambio cellulare, essendo capace di adattarsi funzionalmente

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e strutturalmente alle variazioni del microambiente. Rilasciando numerosi mediatori chimici, contribuisce inoltre alla mitogenesi, all’angiogenesi, alla permeabilità vasale, al bilancio della fluidità ematica e alla regolazione dell’infiammazione e dell’attivazione piastrinica.

Una delle sostanze più importanti prodotte dall’endotelio è rappresentata dall’Ossido Nitrico (NO), un potente vasodilatatore capace di inibire la crescita cellulare e l’infiammazione, nonché di agire come antiaggregante piastrinico, risultando così la molecola chiave della normale funzione endoteliale. L’NO ha un’importanza preminente nel controllo del tono delle arterie e del microcircolo, sia in condizioni basali sia dopo stimolazione di vario tipo. Il rilascio dell’Ossido Nitrico è stimolato infatti da numerose sostanze ad azione agonista sull’endotelio, quali acetilcolina, bradichinina, sostanza P, serotonina, e stimoli meccanici, come lo shear stress di parete; quest’ultimo, in particolare, attiva rapidamente i canali ionici del potassio calcio-dipendenti presenti sulla superficie endoteliale e sensibili alla forza tangenziale del flusso ematico sulla parete vasale. Prodotto per azione della isoforma endoteliale della Ossido Nitrico sintetasi (eNOS) che catalizza l’ossidazione del nitrogruppo terminale guanidinico della

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L-17

arginina, l’NO, un gas con brevissima emivita (6-7 sec), attraversa facilmente la membrana plasmatica delle cellule muscolari lisce ed attiva la guanilato ciclasi con conseguente produzione di GMP ciclico, rilasciamento della muscolatura liscia e vasodilatazione (Figura 1). Una ridotta disponibilità di NO è stata descritta in presenza di disfunzione endoteliale ed è stata associata ad una ridotta attività della eNOS.

Figura 1. Sintesi e meccanismo di azione dell’Ossido Nitrico

Nelle gravidanze complicate da pre-eclampsia e IUGR, una disfunzione endoteliale accelerata sembra essere la caratteristica principale; i livelli serici e plasmatici materni di attivatori endoteliali come VCAM-1 (Vascular Cellular Adhesion Molecule-1), ICAM-1 (Intercellular Adhesion

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Molecule-1), endotelina-1, fibronectina ed E-selettina, risultano essere aumentati e i marker di disfunzione endoteliale sono evidenti mesi prima rispetto alla manifestazione clinica di IUGR.

La disfunzione endoteliale materna comporterebbe una condizione di ipossia che stimolerebbe a sua volta la trascrizione dell’ HIF (Hypoxia

Inducible Factor); questo fattore sembrerebbe indurre la trascrizione di

una serie di geni della risposta adattativa tra cui enzimi glicolitici, NO sintetasi ed eritropoietina.

Figura 2. Predisposizione materna alla disfunzione endoteliale ed insorgenza di pre-eclampsia e IUGR

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Esso, inoltre, influenzando potentemente la produzione di fattori angiogenici della famiglia VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), tra cui il fattore di crescita placentare (PlGF), determinerebbe un aumento dei livelli di VEGF e di TGFβ (Transforming Growth Factor β) e una diminuzione di quelli di PlGF risultanti in un’inadeguata

placentazione (7) , come mostrato nella Figura 2.

Il rallentamento della crescita fetale rappresenta in questi casi la diretta conseguenza della patologia placentare: la ridotta disponibilità di substrati e l’ipossiemia portano il feto a ridistribuire il circolo per salvaguardare gli organi nobili quali il sistema nervoso centrale e il miocardio, penalizzando organi e distretti meno rilevanti durante la vita intrauterina (fegato, reni, apparato muscolo-scheletrico, polmoni); ciò comporta una riduzione dei depositi epatici di glicogeno e del pannicolo sottocutaneo fetale. Il rallentamento della crescita della circonferenza

addominale ne è la manifestazione caratteristica. (11)

È importante sottolineare che circa la metà dei casi di ritardo di crescita non ha un’eziologia ben definibile e riconducibile alle categorie precedentemente illustrate e che il maggior fattore di rischio materno è rappresentato dal pregresso IUGR.

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20 Classificazione

Sulla base di osservazioni cliniche, sono stati sviluppati ed hanno trovato ampia diffusione nella letteratura diversi sistemi di classificazione dei neonati con restrizione della crescita intrauterina. La classificazione più comunemente utilizzata distingue le forme simmetriche (o tipo I) dalle forme asimmetriche (o tipo II), rappresentanti entrambe gli estremi di un ampio spettro di condizioni (Tabella 1).

Tabella 1. Caratteristiche dello IUGR simmetrico ed asimmetrico

Lo IUGR simmetrico, anche detto “ipoplasico”, è una forma intrinseca di restrizione della crescita che si manifesta precocemente; è così definito in quanto interessa tutti i parenchimi e quindi si tratta di un iposviluppo

IUGR simmetrico IUGR asimmetrico

Incidenza (%) 25 75 Eziopatogenesi Intrinseca (infezioni, tossici, anomalie genetiche) Estrinseca (insufficienza placentare)

Epoca di insorgenza (settimane) <28 >28

Numero di cellule Ridotto Normale

Misura delle cellule Normale Ridotta

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armonico. A causa del problema intrinseco fetale, la divisione e la crescita cellulare sono limitate ed indipendenti dall’apporto di substrati. Lo IUGR asimmetrico, detto anche “ipotrofico”, si sviluppa invece quando l’apporto di ossigeno o substrati al feto si riduce a causa di una diminuita capacità funzionale della placenta. La crescita dell’apparato scheletrico e dell’encefalo sono interessate in maniera minore dal processo e quindi i neonati presentano una circonferenza cranica relativamente normale; il peso è nettamente inferiore alla norma,

mentre la lunghezza risulta adeguata. (12)

La distinzione della restrizione di crescita in simmetrica e asimmetrica può essere utile per identificare il periodo d’azione delle diverse noxae

mediante i vari meccanismi eziopatogenetici.

Si può genericamente considerare che le anomalie cromosomiche e le sindromi genetiche influenzino la crescita sin dal primo periodo di gestazione, comportando una restrizione di crescita simmetrica, mentre le cause placentari si esplicitino tardivamente comportando una restrizione di crescita asimmetrica.

Questa classificazione non va però estremizzata e il tipo di iposviluppo non può indicare in assoluto la causa sottostante: va infatti ricordato, ad esempio, che le anomalie cromosomiche possono avere una

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espressione fenotipica variabile nel tempo e in alcuni casi (come la triploidia) presentare una restrizione asimmetrica, mentre danni placentari molto gravi ed estesi possono a volte esplicitarsi precocemente con restrizione simmetrica.

Diagnosi

Per identificare correttamente i feti con restrizione di crescita è indispensabile una datazione certa della gravidanza che può essere stimata ecograficamente, nel I trimestre, mediante la misurazione della lunghezza vertice-sacro (Crown- Rump Length, CRL) al quale può essere associata, dopo le 12 settimane, quella del diametro biparietale

(Bi-Parietal Diameter, BPD).

Anche l’ecografia del II trimestre può essere utile per la datazione, se non effettuata precedentemente; in questo caso il parametro utilizzato è il BPD, eventualmente integrato con altre misurazioni (circonferenza cefalica, lunghezza del femore, diametro trasverso del cervelletto). Nell’ecografia del III trimestre, invece, si effettua una valutazione dei parametri antropometrici fetali, ma la biometria relativa a quest’epoca non deve mai essere utilizzata per la datazione della gravidanza; discrepanze rispetto ai valori biometrici attesi e rispetto ai precedenti

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controlli possono infatti indicare un deficit di crescita e devono essere

quindi adeguatamente valutati. (13)

Il parametro di riferimento per l’identificazione ecografica della restrizione di crescita è la biometria addominale: viene definito IUGR un feto con circonferenza addominale inferiore al 10° percentile o con una diminuzione di oltre 40 percentili rispetto al controllo precedente, indicativa di rallentata crescita. (14; 15)

Per una più precisa identificazione dei feti con restrizione di crescita è necessario fare riferimento a nomogrammi adeguati; recentemente è stato proposto l’utilizzo di curve di crescita personalizzate (customized) che stimino il potenziale di crescita fetale in base al sesso e ai parametri costituzionali materni all’inizio della gravidanza (altezza, peso, parità ed etnia). L’utilizzo di queste curve avrebbe il vantaggio di identificare i veri feti con restrizione di crescita, escludendo invece i bambini costituzionalmente piccoli; lavori recenti dimostrano infatti che la popolazione di feti con crescita ridotta, identificati mediante le curve di crescita personalizzate, presenta un tasso di esiti avversi (morte in utero, Apgar score inferiore a 4, ricovero in terapia intensiva, ecc.) superiore alla popolazione identificata con le curve di riferimento standard. Se si esclude, infatti, la quota di feti “costituzionalmente

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piccoli ma sani”, si ottiene la vera popolazione di feti con restrizione di crescita e veramente a rischio di esiti sfavorevoli. (16; 17)

Monitoraggio del feto IUGR

In considerazione del maggior rischio di mortalità e morbosità perinatale, il feto con restrizione di crescita necessita di un monitoraggio intensivo dell’accrescimento e del benessere.

Il monitoraggio della crescita può essere effettuato con valutazioni ecografiche seriate della biometria fetale; per ottenere un risultato attendibile, considerando l’andamento temporale della crescita fetale, il margine di errore nell’acquisizione corretta della misura e la variabilità intra- ed inter-operatore, è indicato acquisire le misurazioni antropometriche fetali a scadenze circa quindicinali.

Il difetto placentare presente nelle gravidanze con restrizione di crescita, può comportare anomalie del compartimento vascolare materno e/o fetale riscontrabili alla velocimetria Doppler.

L’alterata invasione trofoblastica e la conseguente insufficiente modificazione dei vasi uterini sono alla base dell’aumento degli indici Doppler di resistenza o della persistenza dell’incisura protodiastolica a livello delle arterie uterine.

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Le anomalie del tono vascolare e l’obliterazione dei vasi villari fetali comportano invece un aumento di resistenza a carico delle arterie ombelicali e, quindi, i parametri di valutazione del flusso dell’arteria ombelicale possono essere considerati marcatori di “funzionamento” placentare: un incremento di questi indici può infatti suggerire la presenza di resistenze placentari aumentate. In caso di Doppler ombelicale alterato, la valutazione degli indici di resistenza nell’arteria cerebrale media è un importante indicatore dei meccanismi di compenso fetale; lo stato di ipossia cronica presente in questi feti, infatti, è in grado di attivare i chemocettori comportando una ridistribuzione del circolo fetale, di cui la diminuzione delle velocità telediastoliche in arteria cerebrale media è testimonianza.

E’ importante studiare anche i vasi venosi fetali (vena ombelicale e dotto venoso) che costituiscono il ponte tra sangue ossigenato materno e cuore fetale; l’alterazione del profilo delle onde di questi vasi è più frequentemente associata ad esiti avversi.

Evoluzione in utero delle condizioni del feto IUGR

La presenza di elevate resistenze di flusso placentare e la diminuzione del trasporto di gas nutrienti hanno dei seri effetti sulla circolazione

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fetale (18; 19): alla diminuzione della velocità telediastolica dell’arteria ombelicale segue una redistribuzione dell’output cardiaco in favore del ventricolo sinistro per garantire sia la perfusione del miocardio che del sistema nervoso centrale. Questo fenomeno si manifesta con la diminuzione degli indici Doppler a livello dell’arteria cerebrale media (centralizzazione del circolo – brain sparing effect).

Gli indici di resistenza dell’arteria ombelicale peggiorano nel tempo: si passa da un flusso ridotto in diastole a un flusso assente, fino ad arrivare ad un’inversione del flusso.

Prosegue in questo periodo il tentativo di compenso fetale: centralizzazione del circolo con dilatazione dell’arteria cerebrale media, fino ad arrivare alla dilatazione del dotto venoso. Le modificazioni dei vasi venosi indicano l’incapacità dei vasi arteriosi di garantire i meccanismi compensatori e di supportare ulteriormente il cuore.

Il progressivo fallimento dei meccanismi di compenso si manifesta con alterazioni degli indici Doppler venosi: dotto venoso con riduzione dell’onda relativa alla contrazione atriale di fine diastole (onda “a”), dotto venoso con flusso invertito, fino ad arrivare alla pulsazione della vena ombelicale. La vena ombelicale è il vaso che risente per ultimo delle modificazioni pressorie nell’atrio destro e normalmente ha un

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flusso continuo; la presenza quindi di un flusso pulsatile, associato alla riduzione del flusso telediastolico nel dotto venoso, rappresenta un drammatico indice di compromissione fetale, indicativo di un imminente scompenso cardiaco destro e considerato quindi segno “preterminale”. Si può assistere contemporaneamente ad una

normalizzazione dei valori dell’arteria cerebrale media

precedentemente vasodilatata. E’ stato ipotizzato che la perdita della vasodilatazione cerebrale sia dovuta all’instaurarsi di edema cerebrale che comporta una compressione dei vasi e quindi un aumento della resistenza al flusso; tuttavia, la causa potrebbe essere ricercata nella vasocostrizione indotta da uno squilibrato rapporto tra fattori regolatori (trombossano-prostaciclina). In ogni caso, il significato di tale evento è la perdita della funzione autoregolatrice di compenso.

Parallelamente alle modificazioni circolatorie, per effetto della centralizzazione del circolo e riduzione della perfusione renale, si osserva una progressiva diminuzione del volume di liquido amniotico fino ad arrivare all’anidramnios.

Le modificazioni della tensione di ossigeno causate dall’ alterazione dei processi di trasporto si manifestano inoltre con progressiva diminuzione dei movimenti globali fetali e di quelli respiratori e con diminuzione,

(31)

28

fino all’assenza, di variabilità della frequenza cardiaca, registrata mediante la cardiotocografia. Quando le alterazioni descritte

comportano una riduzione critica della pO2 e del pH nel sangue fetale, si

verifica un grave danno d’organo e, successivamente, si arriva alla morte del feto.

Molti studi hanno cercato di definire con precisione la sequenza degli eventi e quale sia il migliore test da utilizzare per la scelta del momento del parto e la riduzione delle complicanze perinatali, ma questa scelta è tutto’oggi incerta, soprattutto in situazioni di estrema prematurità. E’ stimato che i neonati con restrizione di crescita abbiano un rischio di morte tra il 5% e il 18% in caso di flusso diastolico ombelicale assente o invertito, ma Doppler normale; il rischio raddoppia in caso di anomalie Doppler del dotto venoso.

L’utilizzo del Doppler dell’arteria ombelicale nella gestione clinica dei feti con restrizione di crescita si è dimostrato efficace nel ridurre la mortalità perinatale; questo dato è confermato da una review Cochrane nella quale sono stati analizzati 11 studi per un totale di circa 7.000 gravidanze: l’utilizzo del Doppler nelle gravidanze a rischio rappresenta un valido ausilio per il monitoraggio fetale e può influire sulla riduzione della mortalità perinatale. (20)

(32)

29

Identificazione precoce delle gravidanze a rischio

Non esistendo ancora delle terapie efficaci per prevenire l’insorgenza di IUGR o per trattare in utero i feti affetti, attualmente il miglior vantaggio si ottiene dall’identificazione precoce delle gravidanze a rischio.

La velocimetria Doppler delle arterie uterine è indicativa del corretto sviluppo placentare e delle avvenute modificazioni a livello delle arterie spiraliformi. Un processo di placentazione corretto permetterà di avere un flusso adeguato in diastole con indici di resistenza (Pulsatility Index, PI; Resistance Index, RI) ridotti e profilo dell’onda adeguato (privo di incisura protodiastolica).

L’utilizzo della velocimetria Doppler delle arterie uterine nel II trimestre di gravidanza ha una sensibilità del 60-80% nell’identificare le gravidanze a rischio di pre-eclampsia e/o ritardo di crescita grave. Pur non essendo suggerita come test di screening nella popolazione generale dalle linee-guida della Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica (SIEOG), viene comunque identificata quale valido ausilio nella predittività del ritardo di crescita (21) e, qualora questo fosse già insorto, quale strumento per l’identificazione della causa: un ritardo di crescita con velocimetria Doppler uterina nella norma non è dovuto, in genere, a patologia placentare.

(33)

30

In una gravidanza fisiologica, l’organismo materno va incontro ad importanti adattamenti della funzione cardiovascolare, quali l’aumento del volume plasmatico, la ridistribuzione del flusso ematico e l’aumento della normale funzione cardiaca, valutabili con l’esecuzione di un esame ecocardiografico.

In questi ultimi anni sono stati condotti numerosi studi riguardanti le modificazioni emodinamiche materne in relazione alla pre-eclampsia e alla restrizione di crescita e basati sull’ipotesi che l’assenza di una corretta risposta cardiovascolare materna, in caso di anormale invasione trofoblastica, possa lentamente determinare una riduzione della perfusione placentare correlata con la restrizione di crescita. Secondo i risultati riportati dagli Autori, modificazioni di frequenza, gittata, portata cardiaca e resistenze vascolari totali rilevabili all’esame ecocardiografico possono essere correlate sia con pre-eclampsia che con IUGR e sembrano poter essere identificabili già nel primo trimestre; la valutazione della funzione cardiaca materna potrebbe quindi diventare un test di screening sensibile per l’identificazione precoce delle gravidanze a rischio. (22; 23; 24)

Il crescente interesse per la stima precoce del rischio di aneuploidie mediante l’utilizzo di uno screening combinato che associa la

(34)

31

valutazione ecografica della Translucenza Nucale (NT) ed il dosaggio plasmatico della porzione libera di Gonadotropina Corionica umana (fβ-hCG) e della Proteina Plasmatica A associata alla gravidanza (PAPP-A) ha permesso di identificare, in casi con risultato del test negativo, l’associazione tra bassi livelli materni di PAPP-A nel primo trimestre e restrizione di crescita intrauterina nel III trimestre.

La PAPP-A è stata descritta per la prima volta da Lin e Halbert nel 1974 come una glicoproteina ad alto peso molecolare (800 KD) formata da

quattro subunità (25) e successivamente assegnata alla famiglia delle

metalloproteasi zinco-dipendenti. (26)

È prodotta in elevate concentrazioni dalle cellule del trofoblasto che riveste la superficie dei villi di ancoraggio ed è rilasciata nella circolazione materna a concentrazioni crescenti sin dall’inizio della gravidanza. (27)

Tuttavia, non si tratta di una proteina specifica della gravidanza dal momento che è presente fisiologicamente in circolo anche in donne non gravide e negli uomini. Inoltre, tramite studi immunologici, è stato

possibile localizzarla nel liquido follicolare preovulatorio,

nell’endometrio secretivo, nell’endotelio vascolare e nelle cellule e tessuti altamente proliferanti del feto e dell’adulto. (28)

(35)

32

Il significato biologico della PAPP-A è ancora sconosciuto ma i risultati di numerosi studi supportano l’ipotesi che possa agire come importante fattore di regolazione della crescita. È stato infatti dimostrato che la PAPP-A proteolizza in modo specifico la IGFBP-4 (Insuline-like Growth

Factor Binding Protein-4) regolando così la biodisponibilità locale di Insulin-like Growth Factor (IGF) ed i suoi effetti anabolici e mitogenici.

IGF I e II, quando legati alle IGFBPs, sono più stabili ma presentano una ridotta biodisponibilità (29); le binding protein, infatti, dopo essere state clivate a frammenti più piccoli, hanno un’affinità per gli IGF notevolmente ridotta (30). La PAPP-A contrasterebbe quindi gli effetti inibitori delle IGFBP contribuendo così all’accrescimento fetale.

Mentre risulta ormai chiarita la correlazione tra il peso alla nascita ed il peso della placenta ed i livelli ematici cordonali di IGF-I e IGF-II (31), poco si sa su come il sistema IGF influenzi la crescita della placenta umana. Numerosi studi sugli animali hanno dimostrato l’importanza cruciale del sistema degli IGF per uno sviluppo ed una crescita appropriata

dell’embrione e del feto (32; 33): sembra che esso svolga un ruolo

rilevante sia nell’invasione deciduale che nel turnover del trofoblasto. Alcuni Autori hanno focalizzato la loro ricerca sull’espressione dell’IGF-II nel trofoblasto extravilloso che invade la parete uterina e

(36)

33

sull’espressione delle IGFBP-1 e 4 sulle cellule deciduali (34; 35);

all’interazione tra IGF e IGFBP all’interfaccia materno-fetale è stato attribuito un ruolo fondamentale nel limitare l’invasione trofoblastica e la successiva migrazione del trofoblasto nelle arterie spiraliformi. È stato pertanto suggerito che uno squilibrio nel sistema dell’IGF possa portare ad una riduzione del flusso ematico placentare con conseguente restrizione della crescita di questo organo e, conseguentemente, del feto. Secondo questa visione, quindi, la ridotta crescita del trofoblasto villoso sarebbe secondaria al ridotto apporto di ossigeno e nutrienti. (36)

In uno studio condotto da Forbes et al. nel 2008 utilizzando villi coriali espiantati da placente del primo trimestre di gravidanza, gli Autori hanno dimostrato in modo convincente un effetto diretto del sistema IGF sul turnover del trofoblasto. IGF-I e II stimolerebbero la proliferazione del citotrofoblasto e la formazione del sincizio e ne ridurrebbero l’apoptosi, suggerendo un ruolo chiave del sistema IGF nel mantenimento dello strato di sinciziotrofoblasto sul versante materno. Infatti, l’IGF applicato su questa superficie, mimando l’esposizione all’IGF-I materno nello spazio intervilloso, sembra essere in grado di

(37)

34

Regolando la PAPP-A la biodisponibilità dell’IGF, bassi livelli della proteina indicano, presumibilmente, una difettosa funzione del trofoblasto e quindi placentare.

Considerando il peso alla nascita come biomarker della funzione placentare, numerosi studi, alcuni dei quali condotti anche su campioni molto ampi, hanno dimostrato una correlazione positiva tra i livelli ematici materni di PAPP-A nel primo trimestre di gravidanza e il peso del neonato. Secondo gli Autori, bassi livelli di PAPP-A possono quindi rappresentare un utile parametro per l’identificazione precoce di gravidanze a rischio di restrizione di crescita. (38; 39; 40; 41; 42; 43; 44; 45; 46; 47)

(38)

35

SCOPO DELLO STUDIO

Abbiamo ipotizzato che la PAPP-A possa influenzare l’accrescimento fetale regolando la biodisponibilità dell’IGF necessario per una corretta placentazione ma anche favorendo la sua attività come vasodilatatore a livello endoteliale e quindi garantendo un adeguato flusso nelle arterie uterine.

Ci siamo quindi proposti di valutare la possibile correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A esaminati nel primo trimestre di gravidanza, l’accrescimento fetale, le alterazioni doppler velocimetriche a carico delle arterie uterine e la presenza di disfunzione endoteliale valutata con la Flow Mediated Dilation (FMD).

(39)

36

MATERIALI E METODI

Tra le donne in gravidanza sottoposte al test combinato per il calcolo del rischio di Sindrome di Down presso la U.O. Ostetricia e Ginecologia I Universitaria della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (di seguito indicata come AUOP), da Gennaio ad Ottobre 2013, è stato selezionato un campione di 54 soggetti di razza caucasica con gravidanza singola insorta spontaneamente, non fumatori e che non seguivano alcuna terapia farmacologica.

Al momento dell’arruolamento, l’epoca gestazionale era compresa tra 11+0 e 13+6 settimane.

Secondo il protocollo previsto per lo screening, le pazienti sono state sottoposte ad un esame ecografico per la corretta datazione della gravidanza, tramite misurazione della lunghezza vertice-sacro, e per la valutazione dello spessore della Translucenza Nucale; tutte le ecografie sono state eseguite da un operatore certificato dalla Fetal Medicine

Foundation di Londra utilizzando un ecografo Voluson E8 (General

Electric, Milwaukee, Wis, USA).

E’ stato inoltre effettuato un prelievo ematico per il dosaggio della fβ-hCG e della PAPP-A che sono state esaminate in laboratorio tramite

(40)

37

saggio immunologico eseguito con l’analizzatore Kryptor (Brahms, Berlino, Germania). I livelli plasmatici di PAPP-A sono stati convertiti in multipli della normale mediana (Multiple of Median, MoM) attesa per una gravidanza della stessa epoca gestazionale utilizzando valori corretti per peso materno, riferita abitudine al fumo, etnia e modalità di

concepimento. (48)

Il campione selezionato è stato successivamente suddiviso in un gruppo Studio (n=30) ed un gruppo Controllo (n=24) in base a livelli plasmatici materni di PAPP-A < 0.4 MoM e > 0.4 MoM, rispettivamente, valori corrispondenti al 5° percentile ed utilizzati come cut-off nella letteratura più recente. (49; 50; 51)

Previo consenso informato, le pazienti sono state indirizzate alla U.O. Medicina Interna I Universitaria della AUOP per una valutazione non invasiva della funzione endoteliale tramite la Flow Mediated Dilation. Gli esami ecografici vascolari sono stati eseguiti al mattino; dopo aver fatto riposare i soggetti in posizione supina per almeno 10 minuti in una stanza silenziosa e climatizzata (22-24°C), è stata loro misurata per tre volte la pressione arteriosa con uno strumento oscillometrico automatico (Omron 705IT). Successivamente, in ogni paziente è stata ottenuta una scansione bidimensionale dell’arteria brachiale destra in

(41)

38

sezione longitudinale con sonda ecografica lineare da 10 MHz (MyLab25; ESAOTE, Florence, Italy) posta 5-10 cm sopra la piega del gomito. La sonda è stata fissata con un clamp stereotattico e mantenuta nella stessa posizione durante tutto l’esame. (52)

È stato quindi misurato il diametro basale del vaso, definito come la distanza tra il margine superiore dell’eco prodotto dall’interfaccia fra lume e parete anteriore del vaso e il margine superiore dell’eco prodotto dall’interfaccia fra lume e parete posteriore del vaso.

Sempre in condizioni basali, è stata valutata la velocità di flusso arterioso tramite Doppler pulsato con finestra (1.5 mm) posta al centro dell’arteria con un angolo di correzione di 70° rispetto all’asse longitudinale del vaso.

Il diametro dell’arteria brachiale e la velocità di flusso sono state costantemente registrate durante tutto lo studio ed analizzate con un apposito sistema automatico per l’analisi delle immagini (FMD studio; Quipu srl, Pisa, Italy).

È stato quindi posizionato intorno all’avambraccio, appena sotto il gomito, un manicotto di sfigmomanometro pediatrico, che è stato rapidamente gonfiato e mantenuto gonfio per cinque minuti ad una pressione costante di 300 mmHg. Alla fine di tale periodo, è stato

(42)

39

desufflato rapidamente determinando il fenomeno dell’iperemia reattiva.

Nei primi 15 secondi dopo il rilasciamento del manicotto, è stata valutata la velocità di flusso; successivamente è stato misurato più volte il diametro dell’arteria brachiale, ogni 20 secondi circa per tre minuti, considerando che la massima dilatazione si ottiene in media tra i 60 e i 90 secondi.

La FMD è stata calcolata come la differenza percentuale tra il massimo diametro dell’arteria brachiale raggiunto dopo iperemia reattiva e il diametro basale attraverso la formula:

FMD% = [(diametro arteria post-occlusione – diametro arteria basale)/diametro arteria basale] x 100.

Le pazienti sono state quindi rivalutate in epoche gestazionali prestabilite: 19-21 settimane, 26-28 settimane e 32-34 settimane; ad ogni controllo è stata eseguita una valutazione ecografica della biometria fetale misurando la circonferenza cranica (HC), la circonferenza addominale (AC) e la lunghezza del femore (FL) secondo le modalità indicate dalle Linee Guida SIEOG 2010 (13). È stato inoltre

valutato, seguendo i criteri della Fetal Medicine Foundation (53), l’indice

(43)

40

Le pazienti sono state seguite fino al termine della gravidanza al fine di raccogliere i dati antropometrici dei neonati ed in particolare il peso alla nascita, che è stato espresso in percentili facendo riferimento alle

tabelle antropometriche neonatali di Bertino et al. (2010). (54)

Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando Graphpad Prism 5.0 (Graphpad, Inc., San Diego, CA, USA); i dati dei due gruppi sono stati comparati con il Test t di Student e sono stati eseguiti studi di regressione lineare e correlazione tra le variabili.

(44)

41

RISULTATI

Il protocollo di studio è stato portato a termine da tutti i soggetti selezionati.

Al momento del reclutamento, il gruppo Studio ed il gruppo Controllo erano omogenei per quanto riguarda le caratteristiche ed i parametri fisiologici e clinici delle pazienti, come mostrato nella Tabella 2.

CRL, Lunghezza Vertice-Sacro; BMI, Indice di Massa Corporea; FC, Frequenza Cardiaca; PA, Pressione Arteriosa; NS, Non Significativo

Tabella 2. Caratteristiche fisiologiche dei soggetti selezionati al momento dell’arruolamento

Gruppo Studio Gruppo Controllo P value Età materna (anni) 33.77 ± 0.76 32.54 ± 1.04 NS Epoca gestazionale (settimane) 12.36 ± 0.12 12.23 ± 0.11 NS CRL (mm) 60.63 ± 1.50 58.50 ± 1.32 NS BMI (kg/m2) 24.34 ± 1.02 21.83 ± 0.59 NS FC (bpm) 75.90 ± 2.09 83.40 ± 3.15 NS PA sistolica (mmHg) 114.8 ± 2.23 117.8 ± 2.80 NS PA diastolica (mmHg) 69.5 ± 1.70 71.30 ± 2.15 NS PAPP-A (MoM) 0.631 ± 0.24 1.481 ± 0.33 <0.0001

(45)

42

Sebbene sia stato osservato un andamento della crescita fetale sovrapponibile in entrambi i gruppi, tutte le misurazioni

antropometriche, tranne la circonferenza cranica, erano

significativamente più basse nei soggetti appartenenti al gruppo Studio rispetto al gruppo Controllo (Tabella 3).

CC, Circonferenza Cranica; CA, Circonferenza addominale; FL, Lunghezza del Femore; Pi, Indice di Pulsatilità *p<0.05 rispetto a 19-21 settimane

#p<0.05 rispetto al Gruppo Studio

Tabella 3. Parametri vascolari materni e misure biometriche fetali

Gruppo Studio Gruppo Controllo

19-21 settiman e 26-28 settimane 32-34 settimane 19-21 settimane 26-28 settimane 32-34 settimane Diametro A. Brachiale (mm) 3.25±0.5 3.34±0.5 3.56±0.4* 3.02±0.0 3.16±0.3 3.34±0.4* Iperemia Reattiva (%) 383±227 254±177 213±202* 440±271 267±156 218±147* FMD(%) 6.6±2.9# 8.0±2.9# 8.3±3.1# 10.3±2.6 10.9±2.7 11.5±2.8 CC (mm) 186.3±1.6 261.5±4.5 306.8±2.5 186.3±2.5 262.2±7.6 305.6±2.0 CA (mm) 142.6±1.5 # 228.1±2.1# 291±0.7# 154.4±1.6 236.2±2.2 297.9±1.7 FL (mm) 31.9±0.3# 51.10±0.6# 63.43±0.4# 34.50±0.4 53.71±0.7 65.67±0.4 Pi A. Uterine (media) 1.290±0.4# 1.287±0.05# 1.270±0.04# 1.007±0.03 0.9633±0.05 0.9250±0.04

(46)

43

In tutte le pazienti, il diametro dell’arteria brachiale era aumentato e, parallelamente, l’iperemia reattiva era diminuita negli esami condotti nel III trimestre rispetto a quelli eseguiti nel II trimestre. Ciò nonostante, l’FMD% era significativamente ridotta in ogni trimestre nel gruppo Studio rispetto al gruppo Controllo (Tabella 3).

Il test di correlazione di Spearman ha dimostrato un’importante correlazione positiva (p<0.0001) tra i valori plasmatici di PAPP-A MoM e la circonferenza addominale fetale, come mostrato nelle Figure 3,4 e 5.

0.0 0.5 1.0 1.5 120 140 160 180 p<0.0001 PAPP-A MoM CA (1 9 -2 1 s e tt .)

Figura 3. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la circonferenza addominale fetale a 19-21 settimane di gravidanza

(47)

44 0.0 0.5 1.0 1.5 180 200 220 240 260 280 p<0.0001 PAPP-A MoM CA (2 6 -2 8 s e tt .)

Figura 4. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la circonferenza addominale fetale a 26-28 settimane di gravidanza

0.0 0.5 1.0 1.5 240 260 280 300 320 340 p<0.0001 PAPP-A MoM CA (3 2 -3 4 s e tt .)

Figura 5. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la circonferenza addominale fetale a 32-34 settimane di gravidanza

(48)

45

Risultati simili sono stati osservati per la lunghezza del femore, in particolare per le misurazioni effettuate tra le 19 e le 21 settimane di gestazione (Figure 6-8).

Non è stata riscontrata invece alcuna correlazione statisticamente significativa tra i livelli di PAPP-A MoM e le misurazioni della circonferenza cranica fetale a 19-21 (p=0.9963), 26-28 (p=0.1274) e 32-34 settimane di gravidanza (p=0.8640). 0.0 0.5 1.0 1.5 25 30 35 40 45 p<0.0001 PAPP-A MoM FL (1 9 -2 1 s e tt .)

Figura 6. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la lunghezza del femore fetale a 19-21 settimane di gravidanza

(49)

46 0.0 0.5 1.0 1.5 40 45 50 55 60 65 70 p=0.0025 PAPP-A MoM FL (2 6 -2 8 s e tt .)

Figura 7. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la lunghezza del femore fetale a 26-28 settimane di gravidanza

0.0 0.5 1.0 1.5 55 60 65 70 75 p=0.0054 PAPP-A MoM FL (3 2 -3 4 s e tt .)

Figura 8. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la lunghezza del femore fetale a 32-34 settimane di gravidanza

(50)

47

Per quanto riguarda l’indice di pulsatilità delle arterie uterine, i nostri dati mostrano una correlazione inversa (p<0.0001) tra PAPP-A MoM e questo parametro Doppler nelle tre misurazioni eseguite (Figure 9-11).

0.0 0.5 1.0 1.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 p<0.0001 PAPP-A MoM P i A tr e ri e U te ri n e (1 9 -2 1 s e tt .)

Figura 9. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A ed i valori del Pi delle arterie uterine osservati a 19-21 settimane di gestazione

0.0 0.5 1.0 1.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 p<0.0001 PAPP-A MoM P i A rt e ri e U te ri n e (2 6 -2 8 s e tt .)

Figura 10. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A ed i valori del Pi delle arterie uterine osservati a 26-28 settimane di gestazione

(51)

48 0.0 0.5 1.0 1.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 p<0.0001 PAPP-A MoM P i A rt e ri e U te ri n e (3 2 -3 4 s e tt .)

Figura 11. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A ed i valori del Pi delle arterie uterine osservati a 32-34 settimane di gestazione

L’FMD% era positivamente correlata con i livelli plasmatici di PAPP-A MoM (Figure 12-15) e risultati simili sono stati osservati per i percentili del peso alla nascita dei neonati (p<0.0001), come illustrato nella Figura 16. 0.0 0.5 1.0 1.5 0 5 10 15 20 p<0.0001 PAPP-A MoM F M D % (1 1 -1 3 s e tt .)

Figura 1. Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la Flow Mediated Dilation ad 11-13 settimane di gravidanza

(52)

49 0.0 0.5 1.0 1.5 0 5 10 15 20 p=0.0002 PAPP-A MoM F M D % (1 9 -2 1 s e tt .)

Figura 2.Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la Flow Mediated Dilation a 19-21 settimane di gravidanza

0.0 0.5 1.0 1.5 0 5 10 15 20 p=0.0001 PAPP-A MoM F M D % (2 6 -2 8 s e tt .)

Figura 3.Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la Flow Mediated Dilation a 26-28 settimane di gravidanza

(53)

50 0.0 0.5 1.0 1.5 0 5 10 15 20 25 p=0.0002 PAPP-A MoM F M D % (3 2 -3 4 s e tt .)

Figura 4.Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e la Flow Mediated Dilation a 32-34 settimane di gravidanza

0.0 0.5 1.0 1.5 5 10 25 50 75 100 p<0.0001 PAPP-A MoM P e s o a ll a n a s c it a (p e rc e n ti li)

Figura 5.Correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A ed il peso alla nascita dei neonati

(54)

51

Non vi era significativa differenza nell’età gestazionale al parto tra le

pazienti appartenenti al gruppo Studio (media = 38+4 settimane) e

quelle appartenenti al gruppo Controllo (media = 39+3 settimane).

Tra le pazienti del gruppo Studio, abbiamo riportato un caso di parto pretermine (30+5 settimane di gravidanza) ed un caso di distacco di placenta, per il quale è stata necessaria l’esecuzione di un taglio cesareo

d’urgenza a 35+2 settimane di gestazione.

Nonostante le gravidanze del gruppo Studio abbiano mostrato un accrescimento fetale ridotto rispetto ai feti del gruppo Controllo, abbiamo osservato solo un caso di IUGR.

(55)

52

DISCUSSIONE

In accordo con la più recente letteratura, i nostri risultati suggeriscono che bassi livelli plasmatici di PAPP-A possono essere associati ad una compromissione dell’accrescimento fetale. Tuttavia, come evidenziato da Crabone et al. (2012), nonostante esista una forte correlazione tra dosaggi di PAPP-A inferiori al 5° percentile e basso peso alla nascita, questo parametro non ha mostrato una sufficiente predittività per lo sviluppo di IUGR. (55)

Numerosi studi in vitro hanno mostrato come la correlazione positiva tra PAPP-A e peso alla nascita sia compatibile con la sua funzione biologica durante la crescita fetale.

La PAPP-A è infatti stata identificata e caratterizzata come una glicoproteina con attività proteasica sulle proteine leganti il fattore di crescita insulino-simile (IGFBP), attività attraverso la quale è in grado di aumentare la biodisponibilità locale dell’IGF-II che ha un ruolo

fondamentale nella crescita somatica. (28)

L’attività della PAPP-A è selettiva per le IGFBP-2 e 4; tramite esperimenti in vitro, Han et al. (1996) hanno dimostrato che l’IGFBP-4 è abbondantemente rappresentata nei fibroblasti e negli osteoblasti,

(56)

53

mentre il tessuto epatico esprime livelli più elevati di IGFBP-2. (56) Questa funzione della PAPP-A sulla crescita del tessuto osseo ed epatico potrebbe spiegare la correlazione positiva con la lunghezza del femore e la circonferenza addominale fetali mostrata dai nostri risultati e

precedentemente riportata da Leung et al. (2006). (40)

Al contrario, non abbiamo ottenuto una significativa correlazione tra i livelli plasmatici materni di PAPP-A e le misurazioni della circonferenza cranica fetale, parametro che riflette la crescita cerebrale; abbiamo quindi supposto che quest’ultima potrebbe essere regolata attraverso IGFBP non responsive alla PAPP-A.

È ormai noto che il sistema IGF esercita la sua azione anche sulla crescita placentare stimolando la proliferazione del citotrofoblasto e la formazione del sincizio e riducendo l’apoptosi del trofoblasto, come dimostrato da Forbes et al. (2008) usando villi coriali espiantati da

placente del primo trimestre. (37)

I risultati ottenuti da questi studi potrebbero spiegare la relazione tra PAPP-A e Pi delle arterie uterine emersa dai nostri risultati, supportando il ruolo della PAPP-A come indicatore della funzione placentare durante la gravidanza.

(57)

54

L’IGF svolge inoltre un’importante attività regolatrice sulla fisiologia dell’endotelio; come evidenziato da Tsukahara et al. (1994), esso stimola infatti a livello endoteliale la produzione di NO contribuendo alla regolazione del tono vascolare. (57)

Nel nostro studio abbiamo supposto che l’influenza dell’IGF sulla funzione endoteliale, in associazione con gli altri ruoli svolti da questo fattore di crescita, potesse rappresentare un importante contributo all’alterato accrescimento fetale.

Perticone et al. (2008) hanno evidenziato, per la prima volta, un’associazione tra i livelli plasmatici di IGF-I e la dilatazione

endotelio-dipendente in pazienti ipertesi (58); in accordo con questo lavoro, i nostri

dati mostrano una correlazione positiva tra i livelli plasmatici di PAPP-A nel primo trimestre e l’FMD misurata nel corso della gravidanza.

Molti studi in letteratura hanno analizzato la funzione endoteliale in gravidanze fisiologiche e complicate e alcuni di essi hanno sottolineato una relazione tra FMD e alterata crescita intrauterina. (59; 60; 61; 62; 63) Tuttavia, a quanto ci risulta, nessun lavoro precedente ha mostrato una correlazione tra PAPP-A e la disfunzione endoteliale che si verifica quando c’è perdita dell’integrità funzionale dell’endotelio con una possibile causa da ricercare nella ridotta disponibilità di NO. Questo è

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particolarmente rilevante, dal momento che la disfunzione endoteliale nelle donne gravide con bassi livelli di PAPP-A si verifica in presenza di un comportamento fisiologico del diametro dell’arteria brachiale e dell’iperemia reattiva. (59) In altre parole, bassi livelli di PAPP-A non sembrano interferire con la caduta fisiologica delle resistenze vascolari periferiche che caratterizza la gravidanza normale. Al contrario, bassi livelli di PAPP-A sembrano essere specificamente associati con un ridotto rilascio di NO conseguente ad uno stimolo durante tutta la gravidanza, indicando che la funzione endoteliale è selettivamente compromessa.

Come precedentemente suggerito da Ness e Sibai (2005) (7), la

disfunzione endoteliale potrebbe essere presente prima del concepimento nelle donne che successivamente sviluppano IUGR e marcatori di questa condizione potrebbero apparire in una fase precoce della gravidanza. Abbiamo ipotizzato che la PAPP-A potesse essere uno di questi marker a causa della sua influenza sul sistema IGF e indirettamente sulla funzione endoteliale.

In conclusione, i nostri risultati suggeriscono che la PAPP-A potrebbe avere un ruolo chiave indiretto nell’alterata crescita fetale, agendo sia

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sulla placentazione che sulla funzione endoteliale materna ed un ruolo diretto, influenzando lo sviluppo e l’accrescimento dei tessuti fetali. Saranno necessari ulteriori studi per determinare se questa proteina possa essere utile nella pratica clinica per individuare, nella popolazione generale, le gravidanze a rischio di IUGR in modo da poter pianificare, nell’attuale mancanza di terapie intrauterine, uno stretto monitoraggio della crescita ed un corretto timing del parto per ridurre la morbilità e la mortalità in questi feti.

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