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Il diritto alla salute prevale sui vincoli di bilancio

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Academic year: 2021

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Il diritto alla salute prevale sui vincoli di

bilancio

Francesco Pallante

Il Consiglio di Stato inizia il 2020 nel segno della tutela dei diritti. La sua prima sentenza di quest’anno è, infatti, rivolta alla tutela della salute di un ragazzo disabile che, pur riconosciuto non autosufficiente al cento per cento dalle strutture del Sistema sanitario regionale veneto, ha dovuto attendere molti mesi prima di essere ammesso alla frequenza del Centro Diurno per disabili.

Può sorprendere che lo stesso Servizio sanitario riconosca la condizione di malattia (nel caso specifico, tanto grave da far ritenere inefficace il percorso scolastico con insegnante di sostegno) e, nel contempo, rifiuti o rinvii a tempo indeterminato la presa in carico della persona malata. Può sorprendere, ma è oramai prassi diffusa con riguardo ai malati non autosufficienti: paradossalmente, coloro che necessiterebbero di ricevere più attenta tutela. Cambiano, nelle diverse regioni, le modalità (l’Umbria, per esempio, predetermina illegittimamente la durata massima annuale dei ricoveri, a prescindere dalla guarigione), ma la motivazione addotta è sempre la stessa: il diritto alla salute è, sì, tutelato, ma nei limiti dei vincoli di bilancio. Come a dire che i diritti, pur proclamanti dalla Costituzione, dipendono dalla scelta del legislatore di destinare risorse adeguate alla loro attuazione nella legge di bilancio. Con il che, è inevitabile domandarsi quale sia la fonte davvero sovraordinata nel nostro ordinamento: la Costituzione o la legge di bilancio?

Nel caso in commento, l’Azienda Ussl n. 6 del Veneto non avrebbe potuto essere più chiara: nel respingere la richiesta di presa in carico avanzata dai genitori del ragazzo, si dichiara «tenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci» (provvedimento del 25 ottobre 2017). Insomma: finiti i soldi, finito il diritto.

Dopo il ricorso presentato al Tar Veneto dai genitori, il ragazzo era stato finalmente ammesso a frequentare il Centro Diurno per cinque giorni alla settimana e anche per questa ragione, ma soprattutto ritenendo che «anche il diritto alla salute deve essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come, nel presente caso, l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale)», i giudici di primo grado avevano respinto la richiesta di risarcire i danni patiti per il periodo di mancato ricovero.

Diversa la risposta del Consiglio di Stato, che non ha avuto esitazioni nel bollare «il mancato inserimento nel Centro Diurno laddove ne sia stata valutata la necessità terapeutica e assistenziale per la totale disabilità accertata» come «contrario a tutte le norme nazionali e internazionali» in materia, essendo la salute e la dignità delle persone disabili «valori essenziali da tutelare nel nostro ordinamento».

Quanto alla questione economica, i supremi giudici amministrativi escludono che i vincoli di bilancio abbiano pari rango costituzionale rispetto al diritto alla salute e al diritto all’assistenza e che, dunque, possano valere come giustificazione per il diniego di presa in carico. Aggiungono che il diritto alla salute ha natura di diritto «pieno e incondizionato», pur nei limiti e secondo le modalità di attuazione stabiliti dal legislatore, e che eventuali carenze di risorse – in ogni caso non proclamabili in astratto, ma da dimostrarsi in concreto come ostative all’erogazione della prestazione – non possono ledere il nucleo essenziale del diritto alla salute: com’è in tutti i casi in cui ricorrono esigenze terapeutiche indifferibili. Di qui la condanna dell’azienda sanitaria veneta a risarcire i

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danni derivati dall’illegittimo diniego di ricovero nel Centro Diurno.

Moltissimi sono i casi analoghi in Italia. Con la sua pronuncia, il Consiglio di Stato dimostra che la normativa vigente – gli artt. 2, 3, 32 e 38 Costituzione e le leggi n. 833/1978 e n. 104/1992 – è più che idonea a tutelarli. Come spesso accade, anche per la non autosufficienza non serve una nuova apposita legge: basta applicare quelle esistenti.

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