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Un confronto fra le "Trachinie" di Sofocle e l' "Ippolito" di Euripide

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di laurea specialistica in Filologia e Storia dell’Antichità

Tesi di laurea magistrale, a. a. 2012/13

Un confronto letterario fra le Trachinie e l’Ippolito

RELATORI

Prof. Guido Paduano

Prof. Alessandro Grilli

Candidato

Francesco DALL’OLIO

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RIASSUNTO

La tradizione degli studi sulla tragedia ha sempre avuto la tendenza a considerare Sofocle ed Euripide due autori in costante contrapposizione fra loro. Un tale giudizio era basato sull’attaccamento a immagini consolidate dei due autori fin dall’antichità, le quali prendevano in considerazione solo certi aspetti superficiali della loro opera. Questo studio è un tentativo di dimostrare, nel caso specifico del confronto fra due tragedie della prima fase delle loro carriere, quanto i due autori possano rivelarsi molto simili fra loro, sia dal punto di vista dell’ideologia sia da quello più tecnico della costruzione di una tragedia. Le Trachinie e l’Ippolito sono due tragedie che presentano al loro centro una tematica importante quale quella dell’oikos, e del problema che pone, all’interno di questo, la relazione fra un personaggio femminile (Fedra e Deianira) rappresentante dei valori della vita comunitaria, e un personaggio maschile (Eracle e Ippolito) che invece si situa fuori dalla polis e dai suoi valori. L’azione dell’uomo scatena una serie di eventi, che condurrà la donna a doversi confrontare, e a venire schiacciato, dalla forza preponderante dell’eros, diventando così strumento della punizione dell’infrazione al kosmos universale rappresentato dall’elemento maschile. Lo studio analizza questo schema drammatico illustrando le somiglianze nel modo in cui Sofocle ed Euripide costruiscono i propri personaggi e li fanno interagire. Viene anche approfondita la somiglianza nel linguaggio poetico dei rispettivi autori, attraverso un’analisi dell’imagery delle tragedie. Particolare attenzione viene anche data a un tema importante affrontato sia da Sofocle sia da Euripide, quello dell’ambiguità del logos come strumento che, invece di garantire la comunicazione interpersonale, contribuisce alla risoluzione tragica creando ambiguità e falsificando il modo in cui vengono trasmesse le notizie.

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INDICE

INTRODUZIONE

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CAP. 1: Mogli sull’orlo di una crisi di nervi

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1.1 Da assassine a vittime

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1.2 La vana lotta del noos

1.3 Due in uno: l’azione distruttrice dell’eros

1.4 Conclusioni

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CAP. 2: Parole, parole, parole

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CAP. 3: L’uomo, questo sconosciuto

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3.1 Quale eccellenza?

3. 2 Tali padri, tali figli

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CAP. 4: L’uomo, misura di tutte le cose?

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CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

D’un autre côté, s’il arrive à Euripide de refaire, même de façon différente, une scène d’Eschyle, c’est qu’une telle scène pouvait trouver place dans sa proprie tragédie, donc que sa conduite de l’action ne s’éloignait pas tellement de celle d’Eschyle. Si, au contraire, on ne trouve guère chez lui de scènes qui semblent reprendre et transformer une scène de Sophocle, n’est ce-pas parce que l’occasion de la faire se présentait rarement? Cela amène a penser qu’Euripide, dans la conception de ses tragédies, se sentait moins proche de Sophocle que d’Eschyle.1

Il passo che ho appena citato si ritrova all’interno della prefazione a Euripide héritier d’Eschyle, più precisamente nel punto in cui Rachel Aélion, nel tentativo di dichiarare l’originalità della sua ricerca nei confronti della tradizione di studi sul teatro, metteva in discussione la consolidata visione del rapporto fra Eschilo ed Euripide soltanto in termini di contrasto. La studiosa sosteneva invece fosse possibile, grazie a un’analisi ampia e dettagliata delle tragedie di entrambi, dimostrare che in realtà esistono considerevoli punti di somiglianza fra Eschilo ed Euripide, in ogni aspetto della loro produzione (scelta e cambiamento dei miti, lessico utilizzato, strutture dei drammi), contribuendo così a fornire una visione assai più fluida e variegata del rapporto del poeta più giovane con quello più anziano. Nel momento stesso in cui sosteneva la possibilità di una simile ricerca, la Aélion, come abbiamo visto, affermava anche, in funzione di contrasto, l’impossibilità, o la poca fruttuosità, di fare una cosa simile fra Euripide e Sofocle, visto che nella produzione tragica di Euripide sembrava non esserci nulla che indicasse la possibilità di un’ispirazione del tragediografo ai drammi del collega.

La posizione dell’Aélion non è un caso isolato: in oltre un secolo di studi sul teatro, quasi tutti gli studiosi che si sono occupati dei due tragediografi si sono comportati come se i due massimi eredi di Eschilo fossero vissuti in due città parallele, nel migliore dei casi. Nel peggiore, la loro è stata considerata una “difficile coesistenza” (come recita il titolo dell’ultimo articolo di Umberto Albini2), si è cioè pensato che fra loro si rinnovasse la contrapposizione manichea fra tradizione e innovazione, in apparenza già esistente fra Eschilo ed Euripide. Complici, in questo, le tradizionali immagini dei due poeti che, a partire da Aristofane, sono riuscite ad arrivare più o meno immutate fino a noi: da un lato, il “classico”, “equilibrato”, “sereno” pius Sophocles, rispettoso degli dèi, legato a un codice etico-morale le cui radici affondano nell’epica omerica, nonché uomo politico,

1 R. Aélion, Euripide héritier d’Eschyle, Les Belles Lettres, Parigi 1983, 10. 2

ALBINI 2006, 4a ser. 4 (1), 105-108. C’è da dire che l’articolo è più interessato a dare un sommario rapido delle testimonianze sui possibili rapporti storici fra i due, piuttosto che fare una vera e propria analisi letteraria dei loro drammi, quindi ai fini di questo studio risulta abbastanza inutile.

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anche detentore di cariche ufficiali3; dall’altro, Euripide l’ateo, il sofista, l’iconoclasta, assassino della tragedia e creatore di un nuovo teatro, estraneo alla vita politica, premiato poche volte ma con un seguito molto folto di ammiratori. Anche quando questi stereotipi, soprattutto nella seconda metà del Novecento, hanno iniziato a sfumarsi in ritratti sempre più articolati di artisti dalle molte facce, a volte contraddittorie, gli studiosi non sono però mai riusciti a superare del tutto una certa sensazione di imbarazzo, nel momento di avventurarsi su una strada che sembrava non poter garantire risultati: col risultato che, spesso, sono ripiombati nei vecchi stereotipi.

Emblematica, a questo proposito, la questione delle due Elettre, l’unico caso in cui si è avuta una tradizione consistente di studi di confronto tra i due autori, per un motivo facilmente intuibile. Di per sé, un simile confronto potrebbe produrre risultati interessanti: non solo è l’unico caso in cui possiamo direttamente vedere Sofocle ed Euripide impegnati nella rielaborazione dello stesso mito, ma abbiamo anche la possibilità di allargare il confronto ad Eschilo, visto che entrambi si ricollegano direttamente all’Orestea. Sarebbe stato estremamente degno d’attenzione vedere in che misura i due tragediografi più giovani si siano rifatti al grande modello, quanto si siano differenziati fra loro nei rispettivi approcci, ma anche quanto potrebbero avere in comune. Questo, in teoria; nella pratica, gli studi sulla questione hanno finito spesso per arroccarsi sul dibattito abbastanza sterile su quale delle due tragedie preceda l’altra; dibattito a sua volta ispirato al solito manicheismo di vedute esposto sopra, che vedeva il dramma considerato posteriore come una risposta al precedente, nell’ambito di una sorta di polemica interna fra i due tragediografi in cui, prevedibilmente, Sofocle faceva la parte del tradizionalista ed Euripide quella dell’innovatore. E se per le due Elettre, che pure hanno almeno il mito di appartenenza in comune, gli studi hanno finito per bloccarsi così, per il resto dei corpora una ricerca simile non è nemmeno partita, e si è dovuta limitare a qualche sporadico riconoscimento di somiglianze in qualche commento o in qualche articolo dedicato o all’uno o all’altro. Ad esempio Easterling, all’inizio della sua edizione delle Trachinie, riconosce che nel dramma di Sofocle l’eros “is treated […] with an insight that rivals that of Euripides in Medea and Hippolytus”4. Senza dubbio una notazione esatta, peccato che però a nessuno studioso delle due tragedie, fino a tempi molto recenti, sia venuto in mente di studiare in che misura Sofocle ed Euripide, nel loro trattamento dell’eros, abbiano tra loro punti di somiglianza o di differenza. Un altro esempio: l’invocazione al Sonno di Oreste nell’omonima tragedia di Euripide (Or. 211-24), al suo risveglio, è stata spesso messa in rapporto con la preghiera del Coro del Filottete (Phil. 827-32 e 877-78), in cui i marinai invocano il Sonno perché conceda

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L’ha ben dimostrato, di recente, G. UGOLINI, Sofocle e Atene: vita politica e attività teatrale nella Grecia classica, Roma, Carocci, 2000.

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riposo al povero esule malato; nessuno però si è mai sentito spinto a superare questa notazione in fondo abbastanza banale (in tutte le scene di malattia nel teatro tragico c’è quasi sempre un riferimento al Sonno) per fare invece un serio e articolato confronto tra i due personaggi5. E questi sono solo due di tanti esempi che si potrebbero portare per suggerire che, ove si fosse voluto andare a vedere con una mentalità meno rigida, sarebbe stato possibile vedere come Sofocle ed Euripide siano molto più vicini l’uno all’altro di quanto si creda.

E’ quindi mia opinione che sia venuto il momento di cercare le tracce di due strane creature, due mostri che fino a qualche decennio fa sarebbe stato impossibile persino immaginare esistessero, il Sofocle ‘euripideo’ e l’Euripide ‘sofocleo’. Ovvero, fuor di metafora, credo valga la pena, tramite l’analisi delle opere dei rispettivi corpora, mettersi a indagare come e in che misura Sofocle ed Euripide siano effettivamente simili o diversi, considerandoli non più due monadi leibiniziane in contrasto fra loro o indifferenti l’una all’altra, ma due facce della stessa, triplice medaglia teatrale a noi rimasta di questo periodo della storia ateniese (la terza faccia della medaglia essendo Aristofane, la cui inclusione nel confronto sarebbe interessante, ma è impossibile per comprensibili motivi, sia di spazio che di metodo: il confronto con l’autore comico richiederebbe, infatti, un tipo di studio che dovrebbe tenere conto della diversità dei generi teatrali di appartenenza). La cosa sarà ancora più facilitata dal fatto che la situazione degli studi su entrambi è arrivata a un punto tale, che i vecchi stereotipi ormai sono quasi del tutto scomparsi: nessuno studioso serio di storia letteraria antica, dopo gli studi di Di Benedetto, Knox, Segal, Winnington-Ingram, potrebbe ancora sostenere l’antica visione del Sofocle placido, classico, sereno, epitome della grandezza e della nobiltà del genere tragico nella sua perfezione; allo stesso modo, dopo gli studi sempre di Di Benedetto, Michelini, Aélion, Pippin Burnett, l’antica visione dell’Euripide ateo, razionalista e iconoclasta ha conosciuto una tale inversione di tendenza, che ha reso chiaro a tutti come, se di “modernità” di Euripide si può parlare, ciò non fa del tragediografo un drammaturgo moderno, da Seicento o Settecento, ante litteram.

Una simile impostazione della ricerca si scontrerebbe con il problema dell’assenza di materiale su cui lavorare, ma in realtà questo problema è più apparente che reale. Sofocle ed Euripide, dopotutto, hanno vissuto nello stesso periodo di tempo, al di là della differenza di vent’anni di età. Hanno cominciato entrambi la propria carriera teatrale nel periodo del predominio di Pericle, a cui tutti e due, in misura diversa, erano molto legati (Sofocle anche da un punto di vista personale, Euripide

5 Parziale eccezione l’articolo di C. FUQUA, Studies in the Use of Myth in Sophocles’ “Philoctetes” and the “Orestes” of Euripides, “Traditio” 32 (1976), 29-95. Parziale perché, dopo una prima parte interessante in cui lo

studioso espone come il personaggio di Neottolemo, nel Filottete, sia ispirato alla raffigurazione omerica di Telemaco, nella seconda poi cade nell’usuale teoria-trappola della polemica interna fra i due autori.

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invece dal fatto più semplice, ma ugualmente profondo, di essere stato giovane all’epoca). Si saranno perciò confrontati tutti e due con i profondi cambiamenti della società ateniese del tempo: il passaggio all’imperialismo, la diffusione della sofistica accanto alla sapienza tradizionale, la creazione di una mitologia laica nazionalista basata sul vero e proprio mito delle guerre persiane (a questo proposito, è noto come Sofocle avesse rapporti con Erodoto6), i profondi conflitti sociali ed etici che solo la grande personalità di Pericle riuscì per un certo periodo ad arginare.

E infatti, se andiamo a considerare le tragedie più da vicino, notiamo come, ad esempio, quelle ambientate nel periodo precedente alla guerra del Peloponneso, o nel primo periodo di questa, siano tutte basate sulla crisi dei tradizionali modelli di vita. Antigone, Trachinie, Alcesti, Medea, Ippolito e Andromaca possono essere considerate un sottoinsieme di drammi tutti incentrati, ognuno con le proprie diversità, sulla crisi dell’oikos (e nel caso dell’Antigone anche della polis), dove l’autorità maschile viene sempre più minacciata e anzi soppiantata dall’azione ambigua della donna, la cui azione è in grado di sollevare problemi etici e politici importanti che la coscienza della società (maschile) non avrebbe il coraggio di porsi se non fossero posti dall’esterno (appunto, da una figura femminile)7. Anche Aiace è coinvolto in una crisi per certi aspetti simile, anche se nel suo caso i termini del problema sono profondamente diversi: ad es., nel suo caso, la controparte femminile rappresentata da Tecmessa non è l’avversaria diretta con cui confrontarsi.8

Questo è già un dato indicativo del fatto, centrale, che Sofocle ed Euripide, al di là della scelta – in fondo basata su scelte e considerazioni del tutto personali – dei miti su cui basare i propri drammi, hanno comunque affrontato, attraverso questi ultimi, tematiche comuni.

Dopo la morte di Pericle, Sofocle ed Euripide hanno in seguito assistito alla guerra del Peloponneso e alla sua sempre più preoccupante evoluzione, attraversando prima il predominio dei demagoghi dello stampo di Cleone, poi la fase di tregua conclusasi con la spedizione in Sicilia, e infine gli ultimi, tormentati anni di Atene. Ancora una volta, non credo sia un caso che proprio in questi ultimi anni i loro teatri si avvicinino l’uno all’altro anche dal punto di vista della forma. E così, il

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In Plut. Mor. 51, 3, abbiamo il frammento di un componimento poetico di Sofocle dedicato allo storico, e inoltre sono state già notate alcune somiglianze fra i drammi tebani di Sofocle e alcune delle storie di Erodoto, vd. A. J. PODLECKI, Creon and Herodotus, TAPhA 97 (1966), 359-71; C. CATENACCI, Edipo in Sofocle e le “Storie” di

Erodoto, in P. ANGELI BERNARDINI (a cura di), Presenza e funzione nella città di Tebe: atti del convegno internazionale, Urbino 7-9 luglio 1997, 195-202; S. WEST, Sophocles’ Antigone and Herodotus Book Three, in J.

GRIFFIN (a cura di), Sophocles Revisited, Oxford University Press, 109-36.

7 Questa l’opinione di H. P. FOLEY [inserire dati del libro], ma sulla questione del ruolo della donna nella tragedia

molte sono stati i pareri della critica. In questo senso, peraltro, tutte le figure femminili sopra elencate derivano dall’azione di Clitemestra in Eschilo, con la differenza però che la moglie di Agamennone rimane sempre, nell’Orestea, una figura negativa, mentre le altre ricoprono parti eroiche, o comunque ambigue.

8 Credo però che un eventuale confronto fra Aiace ed Admeto potrebbe rivelarsi interessante: in fondo, si tratta sempre

di due uomini che hanno perso tutto ciò in cui credevano, e la cui autosufficienza maschile, loro riconosciuta dalla società, viene messa in crisi dall’azione, o dalle parole, di una figura femminile (per quanto Tecmessa non abbia nulla della grande presenza di Alcesti).

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Filottete di Sofocle prende nel proprio sviluppo molti aspetti delle tarde opere euripidee, come

l’inganno, il travestimento, la peripezia, mentre Euripide sembra a poco a poco recuperare quel mondo tradizionale che aveva criticato, dapprima rievocandolo per contrasto con la degradata realtà politica attuale come nell’Oreste, poi resuscitandolo in un opus per molti versi estremo come le

Baccanti, che ha tanto dell’Edipo re nel rappresentare la lotta impari fra l’azione onnipotente delle

forze sovrumane (nelle Baccanti la volontà esplicita di un dio, nell’Edipo l’azione di un destino impersonale) e la disperata volontà dell’uomo di affermare la propria volontà. Anche le tematiche restano molto simili: se le due Elettre si pongono sulla stessa linea di rielaborazione in chiave umana e privata dell’Orestea, Filottete mette al proprio centro la tematica della salvezza e della fuga, centrale almeno per tre drammi euripidei, Ifigenia fra i Tauri, Elena e Oreste. E l’Edipo a

Colono, ultimo opus sofocleo, condivide con le Baccanti l’allontanamento dalla città, la decisione

di ritirarsi in un mondo naturale popolato da dei, infinitamente più forte di quello umano, non più giusto ma almeno eterno e stabile.

In altre parole, la mancanza della possibilità di fare, nella maggior parte dei casi, un confronto diretto sull’utilizzo dello stesso mito (motivo di base che aveva spinto Rachel Aélion a negare una possibile ispirazione di Euripide da Sofocle), è in realtà una difficoltà del tutto superabile. Ai fini del mio studio, risulta anzi secondaria di fronte alla più importante notazione che le tragedie di Sofocle e di Euripide hanno in comune in larga parte le tematiche, al trattamento delle quali entrambi hanno riformulato i rispettivi miti d’appartenenza. Ed è anche da notare come, spesso, dietro la superficie del mito diverso, si presenta in realtà un tipo di strutturazione della materia drammatica analogo, così che le rielaborazioni operate dai tragediografi su diversi miti finiscono per avvicinare fra loro i personaggi e le loro relazioni, attraverso le quali vengono espressi i temi portanti delle tragedie. Il mio studio è incentrato sull’analisi di questo tipo di vicinanza, che può essere definita da un lato strutturale, perché analizza l’organizzazione del discorso poetico, e dall’altro contenutistica, in quanto mira a rintracciare, sotto la superficie della diversità dei miti di partenza, la somiglianza (o la differenza) nel modo in cui, attraverso i drammi, Sofocle ed Euripide hanno affrontato gli stessi problemi, dando qualche volta le stesse risposte o, più spesso, riconoscendo le stesse aporie.

Sono consapevole che questo indirizzo di ricerca presenta il fianco a grandi obiezioni. Innanzitutto, mi si potrebbe argomentare che i temi comuni rintracciati nelle tragedie non indicano che vi fosse un qualche interesse particolare e personale dei due tragediografi, ma solo che fossero temi di preoccupazione generale nel momento storico in cui Sofocle ed Euripide operavano. Il che, a parer mio, costituisce però semmai un ulteriore motivo d’interesse: se davvero Sofocle ed Euripide

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organizzavano i propri drammi per affrontare e dibattere, nel proprio teatro, tematiche e problemi sentiti come di comune interesse, a maggior ragione è interessante e fruttuoso andare a vedere in che misura sono stati simili o diversi nel farlo. Una seconda obiezione è che le somiglianze che potrebbero essere trovate, nella struttura del dramma e nella costruzione dei personaggi, potrebbero non essere somiglianze specifiche fra Sofocle ed Euripide, ma elementi comuni a tutto il teatro tragico: non nego una possibile verità di quest’affermazione, ma affermo anche l’impossibilità di una verifica, visto che non ci sono giunti altri drammi di altri autori dell’epoca.

Un’obiezione più seria, invece, è quella che afferma che, qualora il confronto dimostrasse che vi sono dei punti di somiglianza fra i drammi presi in esame, tuttavia questo non vorrebbe dire che Sofocle ed Euripide abbiano agito ispirandosi l’uno all’altro. Potrebbero, invece, aver compiuto la stessa operazione in modo del tutto indipendente, forse senza ignorare del tutto la posizione dell’altro, ma senza nemmeno considerare prioritaria la necessità di una risposta proprio al dramma specifico del concorrente. Questa obiezione merita una risposta più curata, perché è sostanzialmente vera. Nell’analisi che farò, non cercherò prove dirette di una ispirazione da Sofocle ad Euripide o da Euripide a Sofocle, né mi affannerò a trovare a tutti i costi un rimando testuale che giustifichi le mie ipotesi.9 Il fatto è che l’idea stessa di un’ispirazione diretta mi sembra inutile: di sicuro Sofocle ed Euripide avranno tenuto conto l’uno dell’opera dell’altro, ma questo non significa che, nello scrivere i propri drammi, abbiano consapevolmente voluto rispondersi l’un l’altro in positivo o in negativo. Il solo fatto di affrontare le stesse tematiche, con l’utilizzo delle stesse strutture drammatiche, costituisce, a parer mio, un termine di confronto più che sufficiente per uno studio approfondito. Che poi, nel farlo, Sofocle ed Euripide avessero di mira quello che l’altro aveva fatto, volessero rispondergli polemicamente oppure dichiararsi d’accordo, questo è del tutto ininfluente. Credo anche di aver chiarito, in questo modo, perché ho assunto come dato di fatto che la rivalità per lungo tempo immaginata fra i due drammaturghi sia solo un mito di alcuni studiosi che hanno letto troppo le Rane di Aristofane e i trattati di estetica classico-romantica. Di questa presunta rivalità, infatti, non troviamo traccia in nessuna fonte antica. I frammenti che Albini riporta nel suo articolo10 come prove della “difficile coesistenza” si lasciano, infatti, facilmente ricondurre in una conversazione civile, fatta di amabile ironia sulle rispettive inclinazioni sessuali o artistiche, il che, però, è ben lungi dal fornire una base consistente all’ipotesi della presenza di una vera e propria polemica. Quanto poi alla frase di Sofocle riportata da Aristotele nella Poetica (Σοφοκλῆς ἔφη

9 Ciò non significa che, quando vi sarà un effettivo rimando testuale, non lo farò notare. 10

ALBINI 2006, 105-07. Nell’ordine, si tratta di (1) uno scolio al v. 1 delle Fenicie, (2) Soph. fr. T 75 Radt, (3) Soph. fr. T 57 Radt, (4) Soph. fr. 58a Radt. Non ho considerato, per ovvi motivi, le testimonianze di età ellenistica, visto che lo stesso Albini riconosce come quelle siano frutto di falsificazioni autoriali.

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αὐτὸς μὲν οἵους δεῖ ποιεῖν, Εὐριπίδην δὲ οἷοι εἰσίν, Poet. 1460b 33), potrebbe o essere anche questa una pointe polemica un po’ spiritosa, oppure una semplice affermazione di poetica diversa, ma anche in questo caso non garantisce che siamo di fronte a una vera e propria rivalità artistica, implicante il rifiuto dell’estetica rappresentata dall’altro poeta. Più chiaro di tutti parla il ruolo ricoperto da Sofocle nelle Rane, che lo situa completamente fuori dalla polemica interna alla commedia fra la tradizionalità di Eschilo e l’iconoclastia di Euripide11

: se davvero il poeta di Colono fosse stato impegnato in una polemica aperta contro il collega di Salamina, non credo che Aristofane, attento com’era a recepire e rappresentare gli umori del popolo ateniese medio, avrebbe mancato di raffigurarla in qualche modo. D’altra parte, la stessa notizia dell’onore reso da Sofocle a collega, del Coro vestito a lutto per la sua scomparsa, parla ben più di ogni testimonianza sull’ammirazione del drammaturgo più anziano verso il collega più giovane.12

Inoltre, se perfino uno come Aristofane era costretto a riconoscere ad Euripide la sua grandezza, considerandolo degno di gareggiare con Eschilo (pur in posizione di perdente), a maggior ragione doveva sentire tutta l’importanza del lavoro di Euripide un suo collega diretto. Per quanto il pubblico ateniese potesse forse amare di più Sofocle, non ci furono mai dubbi sul posto di primo piano tenuto da Euripide nell’evoluzione del teatro tragico, e un drammaturgo attento e consapevole, quale si è sempre riconosciuto, a ragione, essere Sofocle, non poteva non tenerne conto: potevano piacergli o no, questo probabilmente non lo sapremo mai, ma ben difficilmente Sofocle sarebbe riuscito a mantenere il suo posto nel cuore degli Ateniesi se fosse stato ciecamente legato alla tradizione, come si è per lungo tempo creduto che fosse. Anche per questo mi sentirei di suggerire di fare un tentativo di pensare, per una volta, che Sofocle ed Euripide in realtà si ammirassero e rispettassero, guardassero attentamente l’uno le tragedie dell’altro, non fossero nemmeno poi così lontani dal pensarla allo stesso modo su alcune questioni, e mettessero in scena tragedie, e personaggi organizzati in modo molto simile.

Prenderò a esempio di questa somiglianza le Trachinie e l’Ippolito, due tragedie su cui, proprio in anni recenti, è iniziato a esserci un certo studio nella direzione da me esposta. Già lungo la seconda metà del XX secolo, numerosi studiosi hanno riconosciuto fra le due tragedie una notevole somiglianza di contenuto, dovuto al fatto che entrambe, assieme alla Medea, trattano della distruttiva forza dell’eros (caso praticamente unico nel teatro di Sofocle), ed entrambe si servono

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Non ignoro l’ipotesi di alcuni studiosi, secondo cui Sofocle sarebbe morto quando le Rane erano già in avanzato stato di composizione, e questo avrebbe impedito ad Aristofane di inserirlo in modo più attivo nella commedia: plausibile, ma non sufficiente a spiegare l’assenza di Sofocle dalla competizione.

12

A cui si aggiunge, in particolare, il fr. T 57 Radt riportato da ALBINI 2006, 106, in cui Sofocle lamenta la morte di Euripide dicendo che “è morta la cote su cui affilavo le mie opere”. Chi si lamenta in questo modo della morte di un uomo, ben difficilmente l’ha osteggiato apertamente da vivo.

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per rappresentarle soprattutto di un personaggio femminile.13 E proprio nei primi anni del nostro secolo, è uscito, in Germania, un libro di Markus Janka, Dialog der Tragiker. Liebe, Wahn und

Erkenntnis in Sophokles’ Trachinai und Euripides’ Hippolytos (Munchen 2004), che costituisce il

primo esplicito tentativo a me noto di studio di confronto fra Sofocle ed Euripide sulla base della struttura drammatica e del contenuto, e non sulla tradizionale uguaglianza del mito d’appartenenza. Nel libro, Janka, dopo una prima parte dedicata a un’analisi critica delle tradizionali categorie che hanno presieduto allo studio del teatro classico, tutte riviste nel proprio contesto storico e culturale di appartenenza, conduce poi un’analisi attenta delle due tragedie come esempio di due tragedie ‘unklassiche’, cioè strutturate in modo differente dallo standard riconosciuto di entrambi gli autori. Per farlo, lo studioso mette a confronto proprio la struttura drammatica delle due tragedie, riconoscendo ai due drammi lo svolgimento di una vicenda analoga attraverso lo stesso percorso di trama, cioè attraverso un inganno e una scoperta dell’inganno da parte della figura femminile. Il lavoro che io intendo fare in questo studio è analogo a quello di Janka, ma è organizzato in modo diverso. Janka parte dall’analisi della struttura organizzativa delle due tragedie, ovvero dal modo in cui Sofocle ed Euripide hanno disposto i vari ‘pezzi’ che compongono la storia della tragedia: prologo, parodo, stasimi, episodi, etc. Poi, per ogni episodio analizza il contenuto, e così mette in relazione le singole parti della tragedia a seconda del ‘pezzo’ di trama contenuto. Il mio studio, invece, si focalizza sulla struttura drammatica, cioè sul modo in cui sono state organizzate la relazione fra i personaggi e le istanze da loro rappresentati, in due sensi: come questi stessi personaggi sono stati costruiti e caratterizzati, e come – nel rapporto fra loro – sono stati inseriti e affrontati i vari temi della tragedia.

Trachinie e Ippolito, quindi: due tragedie appartenenti alla prima fase dell’opera dei rispettivi

autori,14 quella immediatamente precedente alla guerra del Peloponneso, in cui l’interesse della

polis, a giudicare dall’insieme di tragedie rappresentate negli anni ’40-’30 del V secolo, era

incentrato su problemi che potremmo, con una notevole approssimazione, chiamare ‘privati’, vale a dire andavano a rappresentare i problemi della società del tempo tramite la messa in scena del rapporto uomo/donna all’interno dell’oikos (già di per sé sottoposto a notevoli cambiamenti). Entrambe le tragedie in questione hanno al centro proprio la crisi di questa struttura tradizionale, travolta dalla forza numinosa dell’eros, la quale si incarna e agisce attraverso l’azione dell’elemento

13

C. WHITMAN, Sophocles. An interpretation, Cambridge 1951, 112; A. LESKY, Vom Eros der Ellenen, 1976, 60 s.; P. .E. EASTERLING 1982, 5 (vd. supra); MICHELINI 1987, 288, 290; M. ALTMEYER, Unzeitgemäßes Denken bei

Sophocles, Stuttgart 2001, 74. 14

L’Ippolito, risalendo al 428, per noi appartiene senza dubbio alla prima parte dell’opera di Euripide che ci è rimasta; quanto alle Trachinie, dopo quasi un secolo di discussione, questa è l’opinione che ha trovato d’accordo la maggioranza degli studiosi, e ci atterremo a questa.

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femminile, che in tal modo acquista un’autonomia consistente e nuova all’interno dell’universo tragico, e minaccia direttamente la supremazia dell’elemento maschile. Anche perché le donne, per quanto ‘possedute’ da una forza sovrumana che agisce anche contro la loro volontà (cosa che in Fedra è messa bene in evidenza, ma che non manca nemmeno in Deianira, ingannata e delusa), esprimono, durante la tragedia, motivazioni del tutto umane e personali per le rispettive azioni, a volte persino onorevoli, ma inguaribilmente ‘corrotte’ dalla forza dell’eros: così che la forza che distrugge l’oikos e provoca la tragedia venga ad essere una mescolanza di motivazioni del tutto umane e di interventi di forze divine.

Da una parte della tragedia abbiamo sia nelle Trachinie sia nell’Ippolito una figura femminile, perfettamente integrata nelle dinamiche relazionali dominanti (né Deianira né Fedra presentano mai espliciti desideri di ribellione alla supremazia maschile), che però viene portata ad agire in modo esattamente opposto a quanto desidererebbe dall’azione di una forza più potente, quella dell’eros. Nell’altra parte del campo relazionale, opposta e complementare a queste figure femminili di donne ‘normali’ , sta una figura maschile che è, invece, caratterizzata in entrambe le tragedie come ‘particolare’, cioè in possesso di qualità e di caratteristiche che la distinguono all’interno del proprio sesso. Eracle, l’eroe civilizzatore ma ancora con forti tratti di bestialità, e Ippolito, il cacciatore vergine, costituiscono, infatti, due esempi di rapporto sregolato, rispettivamente in positivo e in negativo, con la sfera dell’eros15, e si pongono per questo entrambi al di fuori delle normali relazioni umane, non solo nel campo erotico. In un certo senso, si potrebbe dire che le donne costituiscono il lato ‘terreno’, umano, della tragedia, mentre i due eroi ad essa contrapposti ne costituiscono il lato ‘divino’, ‘mitico’: dalla loro interazione, dalla loro comune incapacità di fronteggiare l’eros e di convertirlo nella regolarità benefica di un oikos tradizionale, nasce la tragedia.

Sarebbe in realtà più corretto dire ‘dalla mancata interazione’, perché in entrambe le tragedie queste due categorie di personaggi non riescono a comunicare tra loro, ed è questo che le condanna. Anche per questo, numerosi studi si sono concentrati sulla dimensione ‘razionale’ e ‘linguistica’ di queste due tragedie16, ovvero sul modo in cui, nel fare interagire i personaggi, Sofocle ed Euripide trovino il modo di inserire nelle rispettive tragedie anche una discussione sulle nuovi risultati sul tema che la ricerca dei sofisti stava facendo in quel periodo. Da un lato, la ragione assume rilievo centrale

15

Non si conta in questa sede Teseo, non solo perché nella dinamica dell’Ippolito il re di Atene è in pratica completamente avvolto nella personalità di Fedra e non ha vita poetica autonoma, ma anche perché nelle Trachinie non esiste un personaggio con cui egli possa essere messo a confronto.

16 Per quanto riguarda le Trachinie, si vedano S. E. LAWRENCE, The dramatic epistemology of Sophocles’ Trachiniae,

Phoenix 32 (1978), 228-304; DI BENEDETTO 1983, 142-49; HEIDEN 1989. Per l’Ippolito, TURATO 1974; C. A. E. LUSCHING, Time Holds the Mirror, Oxford 1988; GOFF 1990; MINADEO 1994. Tutti questi articoli e studi verranno citati durante lo studio in varie occasioni.

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13

nella costruzione dei personaggi di Fedra e Deianira, in quanto usata da entrambe o come arma con cui contrastare l’eros (Fedra) o come strumento per tenere sotto controllo quanto sta accadendo fuori dal proprio mondo (Deianira), eliminando ogni ambiguità nelle notizie che giungono o nei sentimenti che si provano, con una serrata analisi critica dei modi in cui viena articolata e concepita la conoscenza umana (analisi che in entrambi i casi fallische miseramente, visto che non trova una possibilità di applicazione pratica che abbia presa sulla realtà). Dall’altro, la parola, il discorso, la comunicazione, è la dimensione principe attraverso cui l’eros raggiunge il suo scopo, grazie alla dimensione ambigua di quest’ultima, che la rende l’arma perfetta dell’inganno, dell’incomprensione, della manipolazione della realtà.

Le prime tre parti di questo studio saranno allineate secondo questo schema drammatico ‘a coppie’: si partirà da un primo capitolo sulla coppia femminile Fedra/Deianira, ci sarà poi un secondo capitolo dedicato esclusivamente allo studio della presenza degli elementi razionali, conoscitivi e discorsivi (in una parola, dedicato alla presenza del logos nelle tragedie), e infine un terzo capitolo sulla coppia maschile Eracle/Ippolito. Lo studio sarà completato, poi, da un quarto capitolo, dove verrà analizzato più in dettaglio la dimensione ‘divina’ e ‘cosmologica’ delle due tragedie, vale a dire sulla parte che, nello svolgersi della tragedia, occupa l’azione della divinità, e la descrizione del mondo, del kosmos, che risulta dall’imagery dei drammi, e contro cui si è stagliata l’azione ‘umana’ delle due coppie di personaggi. E’ chiaro come questa sezione riprenderà anche spunti offerti dai primi tre capitoli, in una sorta di summa conclusiva dell’intero lavoro, prima della conclusione ufficiale.

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MOGLI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI:

Fedra, Deianira e la casa sotto attacco

Non è sorprendente notare che una gran parte degli studi sulle Trachinie e sull’Ippolito sono stati dedicati alle loro protagoniste femminili. Nel caso di Fedra, ha giovato a questo indirizzo di studi la lunga e costante attenzione dedicatale dal teatro tragico moderno: le opere di Seneca, Racine, Swinburne, D’Annunzio e Cvetaeva, tutte intitolate a lei17, hanno reso la moglie di Teseo e matrigna di Ippolito una delle figure della mitologia greca dalla vita più longeva e ricca di varianti.18 Deianira non ha goduto di una simile fortuna, ma nella pur contrastata storia critica delle

Trachinie, la parte della tragedia che la riguarda è stata quella tradizionalmente più ammirata, al

punto da costituire talvolta uno dei motivi per cui l’unità del dramma (e a volte persino la sua autenticità) è stata messa in dubbio,19 specie considerando il rapporto con la figura assai meno psicologicamente complessa di Eracle.

In entrambi i casi, l’attenzione è ben posta: Fedra e Deianira sono, infatti, personaggi enormemente complessi e ricchi di ambiguità, terreno felice per molti studi di diverso genere. Si può andare all’indietro, ad esempio, per riscoprire le tracce della tradizione mitica precedente e vedere in che modo Sofocle ed Euripide l’abbiano rielaborata; oppure si può andare avanti, scoprendo come questi due personaggi rappresentino la prima comparsa, sulla scena teatrale, di tematiche entrate poi a far parte del patrimonio poetico della cultura occidentale. Fedra, infatti, è il primo caso a noi noto di amore soffocato e represso, di lotta contro l’azione di una potenza incontrollabile che sorge da dentro se stessi, e questa dimensione è stata attribuita spesso anche a Deianira20, per quanto abbia assunto un minor livello di esemplarità.

Tuttavia, c’è una grande differenza nel modo in cui le due donne sono state considerate dalla tradizione critica. A partire dall’edizione ottocentesca di Tycho von Wilamotiwz-Moellendorff, Deianira è stata più o meno sempre vista come la classica Hausfrau, donna di casa riservata, pudica, rispettosa del marito, esemplare perfetto dell’ideale muliebre dell’Atene del tempo. Tale immagine

17 Al contrario dell’opera euripidea, punto su cui dovremo tornare.

18 PADUANO 2000 è estremamente preciso nell’indicare tutti i punti in cui il lavoro dei tragici successivi diverge da

quello di Euripide.

19

“The action of the play is disjointed, and the beauty of the play about Deianeira tarnished by the incomprehensible appendix about Heracles”. Così D. L. PAGE, Gnomon 32, 1960, 317, esprimendo una larga parte della comune opinione degli studiosi nei confronti di questa tragedia.

20

R. WINNIGTON-INGRAM, Sophocles. An interpretation (Cambridge: Cambridge Univ. Pr., 1980) giudica le

Trachinie una tragedia di sesso; SEGAL 1977 connette a Deianira immagini dal valore sessuale; CARAWAN 2000 fa

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è stata accettata più o meno all’unanimità, anche in tempi molto recenti,21 e non è mai andata incontro a una vera e propria critica. Persino gli studiosi che hanno indagato aspetti poco notati del personaggio22 non hanno messo in dubbio la sostanziale innocenza di Deianira, anche se hanno arricchito di molto questa figura, mettendo in evidenza come dietro la facciata della Hausfrau si annidino motivi drammatici e psicologici che fanno di lei un vero personaggio. In altre parole, la tradizione riguardante Deianira non ha conosciuto, dall’Ottocento a oggi, dei veri e propri cambiamenti di prospettiva, ma solo degli aggiustamenti e delle aggiunte all’interno della tradizionale concezione del personaggio come la classica moglie ateniese ben educata e priva di ogni slancio di ribellione verso il marito.

Fedra, invece, ha dovuto sopportare un’attenzione assai meno tenera da parte degli studiosi, passando alternativamente dalle mani di chi la difende alle grinfie di chi invece la accusa spietatamente. Tra costoro, grande importanza ha avuto Ulrich von Wilamowitz, che nella sua edizione ottocentesca dell’Ippolito ha affermato come, in realtà, tutta la scena del dialogo con la Nutrice altro non sia che un mezzo di Fedra per rivelare la sua passione senza incorrere nel biasimo delle altre donne e in generale della società, da lei temuto sopra ogni altra cosa.23 Tale visione del personaggio, per quanto ripetutamente attaccata, ridimensionata e/o negata da più parti, ha continuato a riemergere periodicamente, l’ultima volta a me nota in uno studio di Hanna M. Roisman24: uno studio in cui si cerca di dimostrare l’uso, da parte di Euripide, di una cosiddetta “tecnica dell’implicito”, attraverso cui il tragediografo starebbe raccontando la storia tradizionale di Fedra nascondendola, però, tra le pieghe di un dramma più “morale”. I numerosi studiosi che, a ragione, si sono levati contro questa teoria sono spesso stati incapaci di liberarsi di un modo troppo moderno di intendere i dubbi e le decisioni di Fedra: come dice Michelini, “confusions in evaluating Phaedra’s moral level have derived from a modern value sistem in which concern for appearences and reputation ranks very low.” 25

21

Vd. più o meno tutti gli editori e commentatori della tragedia post-anni ’50: DODDS 1966, STINTON 1976, EASTERLING 1982, DAVIES 1991. Poche le eccezioni di cui solo quella costituita da I. ERRANDONEA, Sòfocles, Madrid 1958, 165-232, è veramente contraria alla tradizione, visto che sostiene che in realtà Deianira sia rimasta l’assassina del mito; altri, invece, come P. A. HESTER, Deianira’s ‘Deception Speech’, Antichton 14 (1980), 1-8, sostengono solo che dietro la decisione di uccidere Eracle emergano aspetti del suo carattere più negativi, ma non arrivano ad accusarla di omicidio intenzionale (sulla stessa linea anche HEIDEN 1989).

22 DI BENDETTO 1983, che invece presta attenzione a Deianira come “sofista”, che giudica la sua esperienza e i fatti

altrui con i ritrovati razionali; RYZMAN 1991, 385-90; CARAWAN 2000.

23

In altre parole, si è creduto esistessero tracce della “prima” (e originale) Fedra nella seconda, evidentemente ignorando l’hypothesis alla tragedia e la sua chiara affermazione delle grandi modifiche di Euripide alla storia.

24

Nothing is as it seems: the tragedy of the implicit in Euripides' « Hippolytus », Lanham (Md.): Rowman and Littlefield, 1999.

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In entrambi i casi, abbiamo comunque un grande esempio, sia da parte di Sofocle che da parte di Euripide, di una consistente rielaborazione dei dati mitici precedenti, che di tutte e due le donne presentavano una visione radicalmente diversa da quella dei due tragediografi, e che ha continuato a sopravvivere anche dopo di loro, se nelle Rane Aristofane poteva ancora includere Fedra, assieme a Stenebea, nella lista di puttane (pornai) portate in scena da Euripide (vale a dire, una lista di donne dalla condotta scandalosa in quanto traditrici del marito, e – si presuppone – tutte raffigurate da Euripide nell’atto di difendere la propria passione con argomenti razionali). Si sa, d’altra parte, come per Euripide questa sia stata una scelta di seconda mano, visto che l’Ippolito a noi giunto è la seconda versione in forma di tragedia che Euripide presenta di questo mito, dopo che il primo aveva incontrato la reazione sdegnata e censoria del suo stesso pubblico.26 Deianira non rientra nell’elenco delle pornai (anche perché non si è ancora trovata traccia di una tragedia di Euripide incentrata sulla morte di Eracle), ma anche il personaggio di Sofocle aveva alle sue spalle una storia che la ritraeva in modo ben diverso dalle Trachinie.

Ma la somiglianza fra queste due grandi figure di donna non si ferma a questo semplice dato di fatto, che potrebbe anche essere un caso. C’è un’altra somiglianza, molto più evidente e fruttuosa: ed è che entrambe si ritrovano a fronteggiare un’esperienza, in sé diversa, ma che produce un effetto analogo, e ha per origine lo stesso fattore scatenante. Ho già detto come Easterling, nell’introduzione alla sua edizione delle Trachinie, faceva quasi distrattamente notare come nella tragedia la tematica erotica fosse trattata con una maestria e un’acutezza pari a quella della Medea e dell’Ippolito: Deianira, Medea e Fedra sono tre donne colpite e distrutte dall’eros, raffigurato come forza sovrumana e indistruttibile. E abbiamo già detto che sia Deianira sia Fedra (Medea in questo studio verrà lasciata da parte, perché nel suo caso entrano in gioco ben altre varianti oltre all’eros) tentano di reagire all’azione di questa forza facendo appello alla più umana delle qualità, cioè la ragione, nel tentativo di tenerlo sotto controllo, sia nel senso interno della repressione (più evidente nel caso di Fedra), sia nel senso esterno del controllo sugli altri e sul mondo esterno (più evidente in Deianira). In entrambi i casi, l’eros assume anche la veste di una minaccia sociale: se Deianira teme – e nemmeno troppo di nascosto – di perdere il suo posto nell’oikos del marito, Fedra a sua volta ha paura di perdere la sua reputazione, quell’immagine sociale che noi, cresciuti e allevati nell’ambito di una cultura post-cristiana per cui è grande il peso dell’interiorità, possiamo giudicare solo una facciata, ma che per la cultura greca invece veniva a significare la massima espressione della personalità. Dopo quindi il capitolo dedicato all’analisi del background mitico di entrambe le figure,

26

Vi sono stati parecchi tentativi di ricostruire la trama e i contenuti di questo primo Ippolito, sia nell’ambito delle singole edizioni della tragedia (BARRETT 1964, STOCKERT 1987, HALLERAN 1994), sia nell’ambito dello studio dei frammenti, sia nell’ambito di singoli articoli.

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seguiranno altri due capitoli, uno incentrato sul lato “razionale” dei personaggi, e l’altro su quello “irrazionale”.

I.

DA ASSASSINE A VITTIME

Clitemnestra non è l’unica donna della mitologia greca ribelle alla supremazia dell’uomo in piena e convinta consapevolezza. A partire dalle figure divine di Artemide e Atena, e continuando con Medea e Atalanta (per non parlare della grande raffigurazione mitica delle Amazzoni), i Greci non mancavano certo di storie di donne pericolose, capaci di mettere in discussione gli usuali confini di genere sessuale, mischiando nella propria persona la propria femminilità originaria con tratti caratteriali e ideali di vita e di comportamento maschili, capaci di arrivare perfino, talvolta, a cimentarsi in imprese riservate agli uomini come la caccia o la guerra. Simili figure mettevano in discussione, ciascuna in modo diverso a seconda del proprio mito, la convinzione della superiorità del maschio, contrapponendogli invece un’altra esperienza, un altro modo di vivere e di combattere, basato su armi sconosciute e inquietanti perché a lui negate. Nessuna sorpresa che, su queste storie, il teatro tragico ateniese abbia costruito alcune delle sue opere più belle e famose: la rottura della differenza sessuale è ancora oggi, infatti, uno dei più grandi esempi di spaccatura categoriale, di rottura dell’usuale modo di vedere il mondo,27

quindi uno dei più grandi motivi di tensione tragica o comica esistenti. Anche Deianira e Fedra, prima che l’intervento dei due drammaturghi le trasformasse nelle figure a noi note, rientravano in questa illustre categoria.

Per Deianira, a dire il vero, la cosa non è del tutto certa, ma per il semplice fatto che ricostruire esattamente le tradizioni mitiche dietro le Trachinie è difficile: caso unico nel teatro sofocleo, questa tragedia è l’unica basata su più tradizioni, anche se tutte attenenti allo stesso personaggio28

, che non è sicuro fossero già intrecciate tra loro prima dell’intervento di Sofocle. Pare anzi accertato che le tradizioni riguardanti la conquista di Ecalia e i rapporti di Eracle con Ifito ed Eurito, la morte con eventuale apoteosi di Eracle, e il tentato rapimento di Deianira da parte di Nesso seguito dal suo inganno, non fossero intrecciate fra loro, nell’epica arcaica, nel modo in cui le presenta Sofocle. La certezza, in questo caso, è impossibile da raggiungere a causa dello stato frammentario delle testimonianze: visto il silenzio dei poemi omerici, per ricostruire la tradizione antica dobbiamo rifarci a tre poemi di cui rimane solo qualche frammento, la Presa di Ecalia attribuita a Omero ma

27

Anche in epoca moderna: basti pensare, a teatro, a La dodicesima notte di Shakespeare, dove l’identità fra i due gemelli Viola e Sebastian rischia di portare al collasso etico e sessuale le relazioni fra i personaggi, alla folle girandola di travestimenti del Rosenkavalier di Strauss (a sua volta diretto discendente delle Nozze di Figaro mozartiane, e del suo paggio Cherubino), oppure, nel cinema, alla strepitosa icona del dr. Frank’n Furter nel Rocky Horror Picture Show, o alla tremenda vicenda del personaggio di Jeremy Irons in M. Butterfly di David Cronenberg.

28 EASTERLING 1982, 15, sia DAVIES 1991, xxii, rinviano per una sintesi complessiva a G. S. KIRK, The Nature of Greek Myths, Harmondsworth 1974.

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in realtà opera di Creofilo di Samo, l’Eracle di Pisandro di Rodi (frr. 248-53 Kinkel) e l’Eraclea di Paniassi di Alicarnasso (i cui fr. 12, 13, 14, 17 e 23 Kinkel sembrano rifarsi direttamente alle

Trachinie), con tutti i problemi che ne derivano in termini di ricostruzione e comprensione della

storia. Né altre testimonianze ci vengono in aiuto, perché i frammenti di Archiloco sugli scontri di Eracle con Acheloo (fr. 276, 286, 287 West) e con Nesso (fr. 286, 288 West) non ci dicono nulla su come il poeta di Paro continuasse la storia, e la controversia con l’epodo XVI di Bacchilide, dove per la prima volta (o la seconda, a differenza delle varie posizioni) la conquista di Ecalia e di Iole e la morte di Eracle per mano di Deianira vengono collegate riguarda due opere così vicine nel tempo fra loro che, se di ispirazione di uno dall’altro si può parlare, siamo nell’ambito del confronto fra due poeti contemporanei.

Io personalmente non credo sia questo il luogo e il momento di avventurarsi nei meandri di una questione intricata e complessa (anche perché in genere credo di essere d’accordo con Easterling29: “there’s little point in trying to reconstruct in precise terms the versions of all these myths as they were known to Sophocles”, non fosse altro per il fatto che la tragedia che abbiamo è composta dalle sue modifiche). Da tutto questo guazzabuglio di tradizioni incomplete e frammenti, un dato sembra emergere abbastanza chiaramente, e cioè che, prima di Sofocle, c’era almeno una tradizione mitica dove la fisionomia di Deianira era molto diversa rispetto all’opera del poeta. Abbiamo infatti, sia nella mitografia sia nella pittura vascolare30, tracce di una donna guerriera, capace di affrontare Nesso da sola, così che tutto quello che toccava fare al marito era solo dare il colpo di grazia al Centauro. Il suo stesso nome, del resto, sembra significare “assassina di uomini”31, e potrebbe costituire un nome parlante per indicare le caratteristiche del personaggio.

Ancora più interessante, perciò, sarebbe capire se e in che misura Sofocle abbia modificato le motivazioni per l’assassinio dell’eroe, che è il vero punto che risulterebbe interessante per il nostro studio, più dell’eventuale intreccio con la conquista di Ecalia e l’apotesosi di Eracle. In fondo, se il ritratto della guerriera che le tradizioni superstiti ci permettono di intravedere fosse vero, potrebbe risultare strano o improbabile che un simile personaggio avesse ucciso Eracle per sbaglio, ingannato dalla stessa bestia che aveva appena combattuto, e mosso dall’amore e dalla paura di perdere il proprio sposo. Proprio qui, purtroppo, entriamo in un’ignoranza ancora più profonda, vista la sostanziale uniformità di tutta la tradizione a noi giunta, che non ci fornisce altre cause per l’azione

29 EASTERLING 1982, 18. 30

CARAWAN 2000, 191-95, riporta [Plut.] Mor.881d, Apollod. I, 8.1, Nonn. Dion. XXXV, 89-91, uno scolio ad Ap. Rhod. Arg. I, 1212.

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di Deianira se non l’inganno di Nesso: quella posteriore a Sofocle per un motivo ben comprensibile, quella anteriore per la sua frammentarietà, che ci impedisce un’analisi approfondita.

Fa in parte eccezione, a dire la verità, la prima testimonianza completa della nostra storia, cioè quel frammento del Catalogo delle donne di Esiodo, fr. 25 Merkelbach-West, 18-25. L’eccezione, però, è più apparente che sostanziale.

ἣ τέχ’ ὑποδμηθεῖ[σα βίηι Ἡρ]ακλη [ε]ίηι λλον κα λῆνον κα [Κτή]σ ιππον κα νείτην· το ς τέκε κα δείν’ ἔ ρ [’, ἐπε ἀάσατ]ο μέγα θυμῶι, ὁππότε φάρμακον .[ ἐπιχρί]σ ασα χιτῶνα δῶκε Λίχηι κήρυ[κι] φ [έρειν· ὃ δὲ δῶ]κ εν νακτι Ἀμφιτρυωνιά[δ]ηι Ἡ[ρακλῆϊ πτολιπό]ρθωι. δ[ε ]αμένωι δέ ο[ἱ αἶψα τέλος θανάτοι]ο παρέστη· κα ] θ άνε καί ’ Ἀΐδ[αο πολύστονον ἵκε]το δῶμα.

Quella lacuna al v. 20, infatti, ci impedisce di valutare se già in Esiodo la motivazione per l’assassinio di Eracle fosse un inganno oppure se invece fosse un’azione deliberata e progettata. Integrando il testo in quel modo, Lobel (la cui integrazione è accettata da Merkelbach e West) aveva probabilmente pensato di ricollegare, in questo modo, anche il frammento esiodeo alla tradizione dell’inganno di Nesso. Non aveva fatto i conti con l’ambiguità del verbo: il verbo aaō può infatti significare sia che Deianira fosse stata ingannata (se si intende il verbo declinato al passivo), sia che Deianira abbia, di sua volontà, ingannato Eracle (se lo si intende declinato al medio). Anche però volessimo accettare la seconda possibilità, una correzione a una lacuna non è sufficiente per ipotizzare l’esistenza di una tradizione alternativa in cui Deianira decideva consapevolmente di uccidere il marito, il che ci fa ritornare al punto di partenza.

Contro tutta questa grande mancanza di informazioni su eventuali tradizioni alternative, abbiamo invece quella che potrebbe essere una prova fortissima della presenza proprio della nostra versione del mito nella tradizione poetica precedente o contemporanea. E la prova è costituita proprio da

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quella pietra dello scandalo che è l’ode XVI di Bacchilide, di cui prendiamo in considerazione i vv. 24-35, ovvero quelli che riguardano più direttamente Deianira.

τότ᾽ μαχος δαίμων Δαϊανείρᾳ πολύδακρυν ὕφανε μῆτιν ἐπίφρον᾽, ἐπε πύθετ᾽ ἀγγελίαν ταλαπενθέα, Ἰόλαν ὅτι λευκώλενον Διὸς υἱὸς ἀταρβομάχας λοχον λιπαρὸ[ν π]οτ δόμον πέμποι. ἆ δύσμορος, ἆ τάλαιν᾽, οἷον ἐμήσατο: φθόνος εὐρυβίας νιν ἀπώλεσεν, δνόφεόν τε κάλυμμα τῶν ὕστερον ἐρχομένων, ὅτ᾽ ἐπ οδόεντι Λυκόρμᾳ δέ ατο Νέσσου πάρα δαιμόνιον τέρ[ας.

Le somiglianze sono forti e indubbie: anche nel poeta lirico, così come nella tragedia, l’inganno di Nesso, la cattura di Ecalia e la morte di Eracle sono fra loro connessi in un rapporto di causa-effetto, e anche in Bacchilide l’inganno di Nesso entra a far parte dell’intreccio come motivazione essenziale dell’azione di Deianira, qui esplicitamente presentata come vittima delle circostanze. Da qui, tutta la controversia (direttamente collegata a quella per la datazione del dramma) per decidere se Sofocle si è ispirato a Bacchilide (i due Wilamowitz), se Bacchilide si è ispirato a Sofocle (Snell, Stoessl, E.-R. Schwinge), oppure se entrambi hanno avuto la Presa di Ecalia come fonte (la più accettata: Friedländer, Kamerbeck, Davies, Easterling), controversia che, negli studi più recenti, sta sfumando in un più o meno generale agnosticismo. Ciò che però a noi interessa è che, ammesso e non concesso che i due poeti si ispirino a una fonte comune, tuttavia troviamo in entrambi la stessa

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versione del mito, praticamente identica se non in qualche dettaglio, con le tre tradizioni mitiche già unite nella stessa maniera.

Il che ci pone una domanda: se Sofocle e Bacchilide non hanno preso ispirazione l’uno dall’altro, e nel mito precedente Deianira è una donna guerriera che potrebbe aver deciso di uccidere Eracle anche senza essere stata ingannata (così come i vari accenni dei mitografi cui ho accennato sopra ci fanno pensare), è un caso abbiano operato la stessa operazione sul mito di appartenenza? Oppure anche il mito che conosciamo noi, quello dell’assassina inconsapevole perché ingannata, esisteva nella precedente tradizione epica, assieme (e contrapposto) a quello più classico della donna assassina e virile? La seconda possibilità mi sembra in assoluto la più probabile: in fondo, se Stesicoro poteva scrivere un poema in cui Elena non era mai andata a Troia ma era rimasta in Egitto, ammettere l’esistenza di due tradizioni per un personaggio come la moglie di Eracle mi sembra del tutto probabile.32

Credo possiamo quindi dire che, nel momento in cui si accingeva a comporre le Trachinie, Sofocle aveva di fronte a sé una cospicua massa di materiale mitico su cui lavorare, fatta di più tradizioni forse in qualche modo già intrecciate fra di loro, ma ancora non codificate in una storia unica da una grande opera letteraria cui i Greci, o anche solo gli Ateniesi, riconoscessero valore di paradigmaticità, come i poemi omerici o l’Orestea di Eschilo.33

Nella fattispecie, per quanto riguardava la storia della sua morte, e della persona che l’aveva causata, Deianira, almeno due tradizioni erano a disposizione di Sofocle: quella della donna virile e guerriera, che forse uccideva Eracle con un atto deliberato e premeditato, come vendetta esplicita per qualche offesa, e quella, raccontata quasi contemporaneamente da Bacchilide, della donna ingannata, vittima delle macchinazioni di un Centauro. Il dramma stesso ci dimostra quale di queste due tradizioni Sofocle abbia scelto.

Con Fedra, Euripide ha avuto un altro tipo di problemi, non derivanti dalla tradizione mitica. La tradizione, anzi, era già ben assestata, come l’ha esposta Barrett nell’introduzione alla sua edizione dell’Ippolito34

, e aveva riunito in un solo mito almeno due diverse tradizioni, la prima derivata dal

32

Senza contare che CARAWAN 2000, 195-201, ci informa di come, proprio nel V secolo, nella pittura vascolare iniziassero a comparire tracce anche di quest’altra versione del mito.

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FUQUA 1980, 1-30, è un efficace ed esaustivo riassunto, ancora oggi, dei molteplici modi in cui la storia di Eracle era presente nella coscienza greca.

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culto locale di Ippolito a Trezene35, la seconda invece collegata a un culto minore di un eroe omonimo nella stessa Atene36, collegato in qualità di figlio a quel Teseo, che proprio poco prima, tra la fine del VI secolo e l’inizio del V, era diventato l’eroe nazionale attico, in risposta (non ancora polemica) all’eroe “dorico” Eracle. C’era già anche Fedra, che, forse nata a Trezene come figura collegata al culto di Ippolito, aveva assunto ad Atene anche il ruolo di madre ufficiale dei due figli legittimi di Teseo ed eredi al trono di Atene, Acamante e Demofonte, già presenti nell’epica omerica, sostituendo in questo ruolo proprio la figura dell’Amazzone stessa, Antiope37. In altre parole, la storia a noi nota, organizzata sullo schema folklorico della sposa rifiutata e calunniatrice, era già formata e famosa quando Euripide, primo fra i tre autori del teatro tragico, la mise in scena nel suo primo Ippolito.

Quel che però andava bene per il mito, però, evidentemente non andava bene per la tragedia. L’hypothesis del dramma ci informa, infatti, come quello che abbiamo sia in realtà il secondo

Ippolito di Euripide, risultato di un’operazione di auto-censura da parte dell’autore, che ha dovuto

togliere dalla prima tragedia (il cosiddetto Ippolito velato) tutto quanto, a giudizio del pubblico dell’epoca, era aprepes e katēgorias axion, “inappropriato” e “degno di biasimo”. Non rimpiangeremo mai abbastanza, allora, che di questo primo Ippolito ci siano giunti solo una ventina di frammenti, così da poter apprezzare in pieno tutta l’ampiezza delle modifiche apportate da Euripide alla sua opera.38

Anche, però, da questi pochi frammenti ci resta un’idea abbastanza chiara di quale doveva essere il problema di fondo che aveva scandalizzato gli Ateniesi. Rileggiamo i frr. 430 e 434 Nauck:

ἔχω δὲ τόλμης κα θράσους διδάσκαλον ἐν τοῖς ἀμηχάνοισιν εὐπορώτατον, Ἔρωτα, πάντων δυσμαχώτατον θεόν.

35

Città che nel V secolo era dorica, ma che aveva avuto un passato ionico di cui conservava abbondanti tracce, altrimenti ben difficilmente sarebbe entrata a far parte della leggenda di Teseo. Ancora nel II sec. d. C. Paus. II, 32. 1-4, racconta che in città si celebrava il culto di Ippolito, in un grande santuario con un tempio e un’antica statua, un sacerdote in carica a vita e sacrifici annuali, oltre che il culto delle ragazze cui già Euripide accenna alla fine della tragedia.

36 Sappiamo di un sepolcro da Pausania I, 22.1, di un santuario da IG I² 324, 69 e da Eur. Hipp. 30 sgg. Potrebbe anche

essere lo stesso eroe che ha seguito il “trasferimento” dell’eroe principale, Teseo, da Trezene ad Atene.

37

Sappiamo da Plutarco, Vit. Thes. 28.2, che in Pindaro la madre di Demofonte non era Fedra, ma Antiope; e il poeta della Teseide, ci riferisce sempre Plut. Thes. 28.1, raccontava persino di un attacco perpetrato dall’Amazzone contro Teseo e Fedra al loro matrimonio: il che sembra costituire una conferma indiretta del ragionamento che stiamo conducendo.

38 Ho deciso di non trattare, in questa sede, dell’ulteriore problema dei rapporti con la Fedra di Sofocle, anch’essa

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23 […] οὐ γὰρ κατ’ εὐσέβειαν αἱ θνητῶν τύχαι, τολμήμασιν δὲ κα χερῶν ὑπερβολαῖς ἁλίσκεταί τε πάντα κα θηρεύεται.

Ammesso che questi frammenti appartengano alla scena in cui Fedra rivelava i propri sentimenti a Ippolito39, mai, sulla scena del teatro tragico ateniese, gli spettatori avevano sentito una donna esprimersi con tanta chiarezza di intenti, a proposito di un argomento delicatissimo quale l’eros. Basti pensare che Alcesti, la donna che pure era il simbolo dell’estrema virtù coniugale, non si esprime mai in termini espliciti riguardo al suo (lecito) amore per il marito, al punto che buona parte della critica ottocentesca arrivò a dire che l’Alcesti non è tragedia d’amore;40

quanto a Clitemestra e Medea, nelle loro parole l’eros non si presentava mai come unico motivo per le proprie azioni, e neanche come il dominante, finendo perciò per passare alla fine quasi inosservato. Qui, invece, il motivo dell’eros veniva fuori in piena luce, in una passione peraltro illecita e pericolosa, perché infrangeva un vincolo sacrosanto come quello tra padre e figlio.

E’ stato suggerito41

che non fosse solo la semplice tematica dell’eros, già di per sé abbastanza forte, a suscitare lo sdegno del pubblico ateniese, ma anche l’invito esplicito fatto da Fedra a Ippolito del parricidio, reale oppure metaforico (cioè una semplice successione al trono prima del tempo, tramite un atto di usurpazione). La cosa è ovviamente possibile, anzi è molto probabile, ma mi sembra un corollario alla principale tematica scandalosa dell’eros, che per la prima volta la tragedia osava rappresentare in pieno ed esprimere sul palcoscenico. Fu probabilmente questa enorme novità a far cadere, nella concezione del pubblico non solo ateniese di allora, questo dramma forse troppo innovativo per la sua epoca.

Caso unico in tutta la produzione tragica giunta a noi, Euripide decise di rifarlo, e siccome il problema principale sembrava essere Fedra, decise di intervenire su quest’ultima, e in una maniera radicale. Non potendo togliere l’eros, che restava comunque la principale motivazione dell’intreccio

39 BARRETT 1964, 18, ritiene di sì, e almeno per il primo frammento credo possa aver ragione; in alternativa, potrebbe

situarsi in un dialogo fra Fedra e il Coro, quando quest’ultimo potrebbe consigliarle di non esporre la sua passione a Ippolito, e invitarla a frenarsi.

40 Opinione cui ha già risposto in abbondanza la prima parte di G. PADUANO, La formazione del mondo ideologico e poetico di Euripide, Pisa 1968. E per quanto fra l’Alcesti e l’Ippolito passino dieci anni, non è certo in un simile lasso di

tempo che può cambiare il comune senso del pudore.

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di base, Euripide poteva però modificare Fedra. Non abbiamo elementi cronologici per stabilire se le Trachinie fossero già state rappresentante, e non è mia intenzione suggerire che Euripide prese ispirazione proprio da lì (o dalla Fedra di Sofocle, come suggerisce Barrett), però non si può non notare come l’operazione compiuta da Euripide sulla sua eroina fu sostanzialmente analoga a quella di Sofocle su Deianira: ha trasformato una figura apertamente negativa del mito d’origine in una figura ambigua, una donna che compie il male non perché malvagia, ma perché spinta a farlo da una forza più grande di lei, ma che tuttavia non le è completamente estranea.

Non facciamoci però ingannare: nonostante la tradizione della Fedra pornē, “puttana”, come la definisce Aristofane, abbia continuato a sopravvivere anche dopo la tragedia di Euripide, questo non ci autorizza a pensare che il tragediografo abbia semplicemente riverniciato la sua creazione, vestendo il vecchio personaggio di panni nuovi ma mantenendolo inalterato dietro il paravento della moralità. Questa visione del personaggio, purtroppo pervicace ancora oggi, rivela semmai la poca adattabilità da parte degli studiosi che l’hanno formulata ad adottare schemi di pensiero distanti dai propri, nel considerare i prodotti di una sensibilità lontana dalla propria. Nell’Ottocento, quando U. von Wilamowitz formulò per primo questa teoria, a parlare erano soprattutto le sue idee morali, legate al bigottismo dell’epoca, che mal tollerava, come l’Atene del V secolo, l’idea di un eros femminile nell’ambito del matrimonio (quello romantico dei giovani era un’altra questione). Nel caso dell’ultima formulazione di questa teoria a me nota, cioè la “teoria dell’implicito” del libro della Roisman che ho già avuto occasione di citare, invece, ci troviamo dalle parti di una critica che ha letto troppa teoria letteraria e non del Novecento, e che tende a proiettare sulla tragedia greca le stesse tecniche drammatiche utilizzate dalla cultura dell’ultimo secolo, per ritrovare tracce di un (più o meno postulato) inconscio dietro le affermazioni esplicite del personaggio. Ma se c’è una forma d’arte che ignora del tutto la moderna ambiguità della psiche scissa all’interno senza esserne consapevole, è proprio la tragedia greca; in caso contrario, mal si spiegherebbero tutte le discussioni per stabilire se i suoi personaggi siano davvero tali oppure figure del mito, liberamente modificabili a seconda delle necessità della trama. Anche considerando la fama di Euripide come innovatore e iconoclasta, un’analisi breve delle sue opere ci mostrerà come le sue innovazioni il drammaturgo avesse l’abitudine di farle apertamente, non di relegarle in non detti all’interno delle tragedie stesse, adottando una tecnica che all’epoca non esisteva. Di conseguenza, per me non ci sono dubbi che la Fedra del nostro Ippolito sia esattamente come ci appare, e non possa essere in nessun’altra maniera che così.

Euripide e Sofocle hanno quindi compiuto, sulle protagoniste delle proprie rispettive tragedie, la stessa operazione: l’uno ricavando forse il suo personaggio da una tradizione mitica preesistente,

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