• Non ci sono risultati.

LONGO 1989, 48; ZEITLIN 1996, 241

ZEITLIN 1996, 226. 74 GOFF 1990, 6-7. 75 PADUANO 1984, n. 23; ZEITLIN 1996, 244-45.

38

successivo dialogo, che con perfetto risultato da Ringkomposition si concluderà al v. 352 sempre con la citazione del nome di Ippolito e sempre da parte della Nutrice, sarà in pratica costituito da un tira e molla fra il tentativo di Fedra di mantenere tutto nell’indeterminatezza, e la sempre più grande insistenza della Nutrice nel chiarire la verità76. Ed emergerà prima che è la mente a essere malata e non le mani a non essere pure (v. 316), poi che è un philos la causa del male (v. 319), che però l’azione che Fedra intraprende pure porta onore (vv. 329-32, vd. supra), poi la rivelazione nascosta che è l’eros il problema tramite la storia familiare (vv. 337-41, vd. infra), e infine la suprema confessione tramite l’ossimorica (e saffica) definizione dell’amore ‘dolceamaro’ (vv. 347-48), accompagnata infine dal futile tentativo di nascondere il nome di Ippolito, rivelato però dalla Nutrice. Ogni tappa, a dire la verità, è segnata dall’ossimoro o dall’antitesi, cioè le figure retoriche che esprimono la contraddizione interna, che tentano di trattenere la rivelazione dal diventare chiara per lasciarla nell’ambiguità del doppio senso77

: mani pure e mente invece macchiata, un philos che distrugge, un’azione che porta onore che ha bisogno del silenzio e non può essere rivelata, e nel pezzo del ghenos l’accenno a una storia familiare di amori a metà fra l’umano, il divino e il bestiale. Non sorprende perciò che al v. 346 la Nutrice finirà per sbottare:

οὐ μάντις εἰμ τἀφανῆ γνῶναι σαφῶς,

ma per allora avremo capito bene – al contrario della Nutrice – che Fedra non vuole fare conoscere ciò che le è capitato, a meno che non si distingua bene (come farà lei stessa nella successiva rhesis) che fra lei e la sua passione non c’è nessun rapporto, che lei non è quella creatura adultera, lussuriosa e incostante che tutti penseranno essere solo perché è una donna (vv. 405-07).

Peraltro, il genere sessuale non è il solo elemento della sua natura che, agli occhi dell’opinione pubblica e di stessa, condanna Fedra per i suoi sentimenti. La prima rivelazione del tremendo segreto della regina porta un altro sigillo, più familiare nella coscienza tragica greca: quello della maledizione del ghenos (vv. 337-41).

Φα. ὦ τλῆμον, οἷον, μῆτερ, ἠράσθης ἔρον. Τρ. ὃν ἔσχε ταύρου, τέκνον; ἢ τί φὴις τόδε; Φα. σύ τ’, ὦ τάλαιν’ ὅμαιμε, Διονύσου δάμαρ.

76GILL 1990 descrive la Nutrice come un’appendice di Fedra, una parte di lei, che vive solo per la vita della sua

padrona: in tal modo, il dialogo è in realtà una lotta fra le due “parti” di Fedra. E’ un’opinione che sono disposto a condividere.

77 ZEITLIN 1996, 255: “Double speaking is inevitable in the face of adulterous desire, which indie contaminates social

39 Τρ. τέκνον, τί πάσχεις; συγγόνους κακορροθεῖς; Φα. τρίτη δ’ ἐγὼ δύστηνος ὡς ἀπόλλυμαι.

“The pull backward”, così K. J. Reckford chiama la forza che emerge in questi versi78

: ovvero, in termini freudiani, la coazione a ripetere ciò che è in precedenza successo ad altri membri del proprio ghenos. Ma non sono solo i nomi a evocare la storia familiare, perché Fedra e la Nutrice non mancano di indicare, oltre alle due donne, anche i rispettivi amanti, che sono l’uno una bestia bruta e l’altro un dio: due casi di eros esagerato, che infrange i comuni limiti dei mortali in opposte ma complementari direzioni, per di più con due soggetti entrambi collegati alla sfera dell’irrazionale. Il toro, infatti, è nella cultura greca un noto segno di potenza sessuale maschile79

, e Dioniso è il dio per eccellenza della follia,80 anche erotica, come dimostrano le Baccanti. E non aveva detto, Fedra, tornando alla razionalità dopo il delirio (vv. 239-41):

δύστηνος ἐγώ, τί ποτ’ εἰργασάμην; ποῖ παρεπλάγχθην γνώμης ἀγαθῆς;

ἐμάνην, ἔπεσον δαίμονος τηι.

La dismisura, la confusione portata da eros – l’esperienza umana che più di tutte è unione di due personalità, nella divisione interna di entrambe81 – ha portato già due persone vicine a Fedra a confondere la propria umanità con la bestialità e con la divinità, a rompere le caratteristiche tipiche della natura umana. Ora l’eros tenta di spingere Fedra a compiere la stessa operazione, per quanto su scala minore, e la donna la combatte con tutte le poche forze che le restano (ma il delirio, dove a momenti Fedra si stava per sostituire a Ippolito nelle sue azioni, già ha mostrato quanto poche gliene restano). Da questo punto di vista, Fedra ricava una grandissima somiglianza con Ippolito, tant’è che la Nutrice le rivolgerà l’accusa di semnomuthein (v. 490), cioè la stessa accusa del Servo devoto ad Afrodite al giovane cacciatore all’inizio della tragedia82: tutti e due i personaggi sono

78

RECKFORD 1974.

79 E come tale appare anche nell’Ippolito, vd. SEGAL 1965, 145-46.

80 Poco importa sapere a quale mito di Arianna si facesse riferimento, se alla classica leggenda dell’abbandono di Teseo

con successivo incontro con il dio, se all’oscura vicenda di Od. XI, 321-25 con Arianna uccisa da Teseo per aver preferito Teseo (è così che intende BARRETT 1964): qualunque sia la versione del mito, credo sia chiaro come il legame fra le tre storie sia in realtà quello della comune infelicità e dismisura.

81 Come ben sa qualunque ascoltatore del Tristan und Isolde wagneriano, o del Romeo e Giulietta di Shakespeare. 82

SEGAL 1965, 128; GOFF 1990, 67. FRISCHER 1970, 96 nota che ogni personaggio della tragedia in un certo momento è definito semnos, così che l’aggettivo in un certo senso unifichi tutti quanti gli attori della vicenda che stiamo vedendo rappresentata.

40

coinvolti nella stessa lotta, la lotta per la propria purezza, la propria identità, contro la forza che più di tutte ha il potere di svellerla.

Ma purtroppo, adesso che il segreto non è più protetto dal silenzio, nulla potrà vietargli di venire alla luce: per quanto Fedra si sforzi, l’altra da sé, la donna adultera preda delle proprie passioni, è ora una realtà di fronte al Coro e soprattutto alla Nutrice, che anzi incoraggia quest’alterità a uscire e a soddisfarsi, per evitare quella che ai suoi occhi è l’unica vera rovina importante, quella fisica. Anche qui, risuona l’eco delle parole del servo a Ippolito nella prima scena (vv. 473-76):

ἀλλ’, ὦ φίλη παῖ, λῆγε μὲν κακῶν φρενῶν, λῆ ον δ’ ὑβρίζουσ’, οὐ γὰρ λλο πλὴν ὕβρις τάδ’ ἐστί, κρείσσω δαιμόνων εἶναι θέλειν, τόλμα δ’ ἐρῶσα· θεὸς ἐβουλήθη τάδε· νοσοῦσα δ’ εὖ πως τὴν νόσον καταστρέφου.

Il consiglio è preceduta da una sezione “mitica” tipica di molti demagoghi euripidei e non solo83, dove però veniva riconosciuto il potere di Afrodite in parole che ricordavano molto da vicino il prologo (vv. 443-50). Con tutta la sua sofisticheria84, la Nutrice altro non fa che spingere Fedra a cedere ad Afrodite, così da non essere distrutta dall’ira della dea: impossibile non notare il paragone con il caso di Ippolito, senza però l’aggravante costituito dalla consapevolezza della ribellione, presente nel ragazzo. La reazione orripilata di Fedra, che insiste invece sul mantenimento del kleos come scopo massimo della propria vita, e deprezza questi discorsi lian kaloi (v. 488), dimostra come la regina, ora che il segreto è svelato, sia fin troppo attratta da queste parole, visto come finisce per urlare (vv. 503-6):

ἆ μή σε πρὸς θεῶν, εὖ λέγεις γὰρ αἰσχρὰ δέ,

83

TURATO 1976, 166-67, richiama a paragone il Discorso Minore/Ingiusto di Aristofane nelle Nuvole, Elena nelle

Troiane dello stesso Euripide, Gorgia nell’Encomio di Elena.

84 In entrambi i suoi articoli, Franco Turato ha sostenuto la posizione di una Nutrice “democratica” contro un Ippolito e

una Fedra “aristocratici” (vd. soprattutto TURATO 1976, 160-67): vedremo più avanti, nel prossimo capitolo, quanto questa ipotesi regga, ma è certo che l’attaccamento di entrambi alla religione assoluta del kleos e della purezza, in contrasto col materialismo più grezzo della Nutrice, punta abbastanza in questa direzione.

41

πέρα προβῆις τῶνδ’· ὡς ὑπείργασμαι85

μὲν εὖ ψυχὴν ἔρωτι, τἀισχρὰ δ’ ἢν λέγηις καλῶς ἐς τοῦθ’ ὃ φεύγω νῦν ἀναλωθήσομαι.

Incredibile, leggendo questi versi, pensare a quanta critica moderna, dopo, abbia potuto anche solo pensare, nei successivi v. 513-15, a una qualche forma di complicità di Fedra nel piano che la Nutrice abbozza, quello dell’uso dei pharmaka86

. Se è chiara l’ambiguità della Nutrice nel fare la

proposta87, ma è proprio per questo che Fedra crede alle sue parole, e accetta il piano: l’anziana donna, in fondo, altro non le ha proposto che la guarigione dal suo male, e la guarigione è esattamente quel che Fedra ha cercato per tutto questo tempo, e non è riuscita a trovare con le sue sole forze. Ironicamente ma neanche tanto, si potrebbe dire che quella battaglia persa nel silenzio della casa viene vinta qui, all’aperto, di fronte al Coro, quando la Nutrice in un certo senso si mette a “incarnare” la donna adultera e sfrontata che questa Fedra non ha voluto essere (gli inviti ad avere il coraggio, la tolma, di amare sono un chiaro riecheggiamento dei fr. 430 e 434 N² del primo

Ippolito88). Di fronte alla prospettiva concreta di diventare quella donna, Fedra la rifiuta decisamente, e così recupera, agli occhi dello spettatore, l’integrità perduta.

Il che significa che non è per amore che Fedra si uccide. La decisione del suicidio viene presa solo quando, nelle parole di Ippolito ritorna l’altra Fedra, la donna adultera, stavolta portatrice di una minaccia ancora più grande e diretta: anche se Ippolito non parlasse, adesso comunque “l’altra” è fuori dal controllo così tenacemente perseguito sulle sue manifestazioni, ha una vita autonoma nel pensiero e nella mente di qualcuno, e Fedra non potrà impedirle di prosperare, visto che Ippolito ben difficilmente vorrà ascoltare qualsiasi difesa che Fedra potrà fare, e accettare che vi possa essere differenza fra ciò che si è e ciò che si prova89. A determinare la morte della regina sono i vv. 661-62, l’idea che Ippolito espone di guardare lei e la Nutrice di fronte a Teseo, tremanti e senza parola per timore che qualcosa vada storto, immagine che la stessa Fedra richiama ai vv. 719-21:

85 SEGAL 1965, 128, ricorda la valenza metaforica di questo verbo, sia nel campo della guerra, così da ricollegarsi alla

lotta della rhesis alle donne, sia in quello della coltivazione.

86

Fino al punto di arrivare a sospettare che essa stia mandando la Nutrice a convincere Ippolito all’adulterio, come dopo Wilamowitz hanno sostenuto D. GRENE, The Interpretation of the Hippolytus of Euripides, CPh 34 (1939), 45- 58; W. FAUTH, Hippolytos und Phaidra: Bemerkungen zum religiösen Hintergrund eines tragisches Konflikts, I. AAWM 9 (1958), 517-88; M. ORBAN, Hippolyte. Palinodie ou revanche?, LEC 49 (1981), 5, 8-9, 16-17. E’ proprio vero che certi stereotipi sono duri a morire. Rifiuterei anche l’ambiguità di SEGAL 1965, 129-30, che postula un’inconscia volontà di Fedra di cedere all’eros, e quindi la rende una complice involontaria della Nutrice.

87 Più che giustificata risulta l’ipotesi che il pharmakon sottinteso sia in realtà un altro discorso di persuasione rivolto a

Ippolito, come suggeriscono TURATO 1976, 168, e GOFF 1990.

88

TURATO 1974, 157-58.

42

οὐ γάρ ποτ’ αἰσχυνῶ γε Κρησίους δόμους οὐδ’ ἐς πρόσωπον Θησέως ἀφί ομαι αἰσχροῖς ἐπ’ ἔργοις οὕνεκα ψυχῆς μιᾶς.

Ancora una volta, il kleos, la fama, si afferma come il fondamento costituente della personalità, Fedra non può sopportare l’idea di una vita in compagnia di quell’altra se stessa che ha rifiutato, nel timore che prima o poi il segreto si squarci perché gliene è stata tolta la custodia90. E’ per questo che Fedra si suicida, per questo calunnia Ippolito: non è pura vendetta, è operazione di autosalvataggio, mantenimento della propria personalità, di quello che si vuole essere, e distruzione definitiva dell’altra da sé, dell’adultera che Ippolito crede esistere, e che invece è solo un fantasma. Il suicidio avviene dentro la casa, luogo che, dall’Orestea in poi, è ufficialmente deputato alla figura femminile, dove le donne complottano, tessono le loro trame, e talvolta le mettono anche in atto. Nella casa Fedra si era rinchiusa per nascondere il segreto, nella casa aveva cercato di ritirarsi dopo il delirio, e nella casa Fedra va a suicidarsi, rivendicando così una sorta di diritto di proprietà su quella parte dello spazio scenico, che è solo suo durante la tragedia, visto che Ippolito non vi entra mai e Teseo, arrivando dopo il suicidio, viene coinvolto nella verità di Fedra, entra nella ‘sua’ casa91. Come Clitemestra e Medea, le adultere che Fedra disprezza, e le donne sophai di cui Ippolito straparla (vv. 649-50), Fedra appartiene alla casa, l’edificio rappresentato sulla skēnē è tutto il suo mondo, il magazzino dei suoi segreti più intimi: e da lì, infatti, uscirà la sua verità all’arrivo di Teseo, quando il suo cadavere sarà esposto92. Quegli stessi muri, da cui Fedra temeva uscissero voci a rimproverarle l’adulterio (vv. 415-18) come dovrebbe accadere alle adultere, parleranno davvero, tra poco, per denunciare qualcosa di falso: da strumento di segretezza e di occultamento, diventeranno veicolo di calunnia, menzogna e morte.93

Anche nelle Trachinie, la casa riveste un ruolo fondamentale, nel definire i rapporti dei personaggi fra loro. Easterling94, nella sua introduzione alla tragedia, nota come le Trachinie abbia la forma di un “nostos play”; come l’Agamennone (senza alcun dubbio il riferimento principale per le

90 Lo dice molto bene BURNETT 1986, 176: “[Phaedra] is dying in order to save what she can of that marriage, i.e., her

good reputation. […] Phaedra does not die as a woman in a frenzy of shame, and certainly not as one whose intentions are angry or vindictive.”

91

ZEITLIN 1996, 243.

92

ZEITLIN 1996, 244, 246-47, ricorda anzi che in tal caso vi sarà una triplice apertura: quelle reali delle porte della casa (808-09) e del sigillo della tavoletta (864-65), e quella metaforica delle ‘porte’ della propria bocca (882).

93

GOFF 1990, 11: “The house in the Hippolytos is then the site of the transgression and punishment of its female members and the betrayal of its male.”

43

Trachinie) e l’Eracle di Euripide95, anche le Trachinie è un “nostos play” pervertito, una versione

“nera” dell’Odissea. C’è una differenza fondamentale, però, delle Trachinie rispetto agli altri drammi: il nostos, in realtà, non ha luogo perché lo sposo, Eracle, non arriva mai alla casa, ne resta sempre fuori, in un modo o in un altro96. In tal modo, anche nelle Trachinie, come nell’Ippolito, la casa diventa il luogo deputato e privato di Deianira.

Ma mentre nell’Ippolito Fedra entra ed esce da una casa che è sua nel senso anche solo legale del termine, Deianira non ha questo privilegio, perché quella che vediamo non è la casa di Eracle. Nel corso del prologo, infatti, Deianira ci racconta97 come, per sfuggire le conseguenze dell’omicidio di Ifito, Eracle abbia trasferito l’intera famiglia a Trachis (vv. 36-40), nella casa di uno straniero: una situazione inaspettata e nuova per Deianira (esplicativo il nun del v. 36). Da parte di Eracle, questo significa anche che la casa cui l’eroe deve tornare non è l’edificio fisico della propria abitazione, ma è ‘casa’ nel senso politico-culturale di oikos, di comunità-base della società umana, luogo in cui si organizza la vita civile dell’uomo tramite la sua prima cellula, che è la famiglia98

. Un senso, questo, che nell’Ippolito manca completamente, visto che né per Fedra né per Ippolito il rapporto con la dimensione sociale della famiglia, dell’oikos appunto, è importante: in quest’ambito, anzi, si potrebbe dire che l’Ippolito sia tragedia più ‘privata’ e ‘intimistica’ delle Trachinie dove, invece, la dimensione sociale di Deianira in quanto moglie e custode dell’oikos ha grande valore99

. Anche per questo, Deianira è personaggio più sottile di Fedra, nei confronti delle proprie pulsioni interne: tant’è che, come si è visto, solo la critica più avanzata della seconda metà del Novecento è arrivata a mettere in dubbio che lo strato superficiale di “donna di casa” mite e sottomessa fosse la sua unica dimensione drammatica. In realtà, questa mogliettina così perbene non è immune da sotterranee pulsioni di possessività e desiderio, solo che nel suo caso non vengono mai esplicitamente fuori (come accade a Clitemestra, a Medea, alla stessa Fedra alla fine). Non per questo, però, sono meno chiare, una volta che ci si sia impegnati ad ascoltare, o a leggere, più attentamente il testo.

Abbiamo già visto nel capitolo precedente quanto fondamentale al personaggio sia la dimensione razionale, nel senso di riflessione e interpretazione degli avvenimenti tramite il filtro della propria esperienza. Quest’elemento razionale di Deianira non è mai disgiunto, in lei, dall’elemento forse più

95 Non, invece, come l’Elettra dello stesso Sofocle, dove invece il ritorno dell’eroe atteso – Oreste – si conclude

felicemente.

96 MIRALLES 2004. 97

La somiglianza di struttura e di funzione fra questo anomalo prologo sofocleo e i prologhi delle tragedie euripidee è stata analizzata di recente da I. DE JONG, Sophocles’ Trachiniae, Euripidean prologues, and their audiences, in R. J. ALLAN, M. BUJIS, The language of literature: linguistic approaches to classical texts, Boston 2007, 7-28.

98

SEGAL 1977, 104; DUMANOIR 1996, 387-89.

99 E infatti, più volte Deianira rimarca di fronte al Coro e a noi il suo ruolo di custode dell’oikos di Eracle, v. 28, 30-32,

44

irrazionale che l’uomo possa conoscere, la paura100

. Per tutto il prologo, la donna non fa che ribattere come ogni situazione della sua vita sia stata caratterizzata da questo sentimento, prima per il corteggiamento di Acheloo (vv. 15-17), poi per lo scontro fra lui ed Eracle (vv. 21-25), infine per la vita che Eracle stesso le fa condurre, visto che l’eroe è sempre via a compiere le proprie fatiche (vv. 27-29). L’unica cosa che poteva proteggere Deianira dal cedere alla sua paura, era almeno il pensiero che la situazione fosse permanente, l’idea di essere sottoposta a un’infelicità contro cui era impossibile lottare, ma che nondimeno fosse condizione stabile101: e infatti, in entrambi i casi, ricorra, prima al v. 16 e poi al v. 35, l’avverbio aei, a marcare la condizione permanente della situazione di Deianira. Adesso, invece, l’intera famiglia è in una situazione di ambigua incertezza, fuori dalla propria terra e con l’uomo di casa, Eracle, lontano, nessuno sa con certezza dove, e di certo non per una delle sue fatiche, che avevano sempre avuto un limite ben preciso di tempo102. Le notizie sulla sua attuale situazione sono poi incerte e sfuggenti, basate o sugli enigmi degli oracoli, per loro stessa definizione difficili da interpretare (77), oppure su notizie che Illo dice di aver appreso da “qualcuno” (70, 74)103

, ovvero proprio quel tizio di notizie che Deianira, dall’alto della sua razionalità, rifiuta di accettare perché non frutto di indagine accertata e/o di esperienza.

Quella stessa paura, Deianira la ripresenta subito dopo parlando con il Coro, facendo uso di un’immagine che rivela, per la prima volta esplicitamente, aspetti particolari della sua personalità. Nel ribattere alle donne del Coro che la sua ansia e paura è a loro incomprensibile perché ancora fanciulle non sposate, Deianira ribatte così (vv. 144-50):

τὸ γὰρ νεάζον ἐν τοιοῖσδε βόσκεται χώροισιν αὑτοῦ, καί νιν οὐ θάλπος θεοῦ, οὐδ’ ὄμβρος, οὐδὲ πνευμάτων οὐδὲν κλονεῖ, ἀλλ’ ἡδοναῖς μοχθον ἐ αίρει βίον ἐς τοῦθ’, ἕως τις ἀντ παρθένου γυνὴ

100 DI BENEDETTO 1983, p. 147: “I procedimenti relativi all’accertamento della verità sono utilizzati da Deianira in

funzione della paura.” Vd. anche WENDER 1974, 4-5 (dove la paura di Deianira assume anche aspetti sessuali dovuti alle forme dei due mostri); HEIDEN 1989, 21-30; MIRALLES 2004.

101

Notazione acuta di MIRALLES 2004, questa, che nota per primo l’opposizione fra i due aei e il nun del v. 36, che segna l’inizio di tutt’altra situazione. E ancora più acuto in precedenza SEGAL 1977, 106, nel notare che la grande paura di Deianira è lo scorrere del tempo, con tutti i cambiamenti e le mutazioni che può portare.

102

SEGAL 1977, 108.

45

κληθῇ, λάβῃ τ’ ἐν νυκτ φροντίδων μέρος, ἤτοι πρὸς ἀνδρὸς ἢ τέκνων φοβουμένη.104

Accanto al contrasto tradizionale fra la preoccupazione della mater familias e la tranquillità della vergine non sposata105, qui percepiamo per la prima volta l’eco di tensioni interne alla coppia, che

più tardi esploderanno con forza. Il prato inviolato e perfetto, infatti, è immagine di fortissimo contenuto erotico106, e anche gli elementi naturali citati da Deianira sono tradizionalmente similitudini e metafore usate per l’eros.107 L’immagine termina poi con un significativo es touth’,

che testimonia come sia normale per Deianira che, a un certo punto della vita, il prato inviolato venga privato di questa sua condizione privilegiata, per entrare nalla vita normale e stabilita della coppia matrimoniale, dove è compreso anche il godimento dell’atto sessuale: la fertilità del prato non è fine a se stessa. Anche per questo, non direi di essere d’accordo con Segal quando, nella sua brillante ed esatta indagine dell’imagery delle Trachinie, afferma che Deianira non riesce a comprendere la propria sessualità, che abbia problemi con questa dimensione del rapporto fra lei ed Eracle: tendo invece a essere d’accordo con Maarit Kaimio108, che invece afferma vi sia una perfetta comprensione, da parte di Deianira, della relazione sessuale e di tutto quanto vi è connesso in termini di rapporto fra l’uomo e la donna all’interno dell’oikos, e anzi attivamente lo desidera. Segal aveva però ragione nel notare che c’è qualcosa di sbagliato nell’atteggiamento di Deianira verso la propria sessualità, in quanto è anch’esso collegato alla paura. Credo che la risposta giusta sia quella data da Seaford109, quando puntualizza che nel rituale del matrimonio greco era previsto, un momento di impasse costituito dalla paura e dall’avversione della giovane sposa per l’evento110, che separava definitivamente una fanciulla dalla propria casa, dai propri genitori, dalle proprie amiche, per introdurla in una casa ad essa estranea, quella del marito. Anche Deianira passa, nei primi versi

Documenti correlati