SOMMARIO
La tesi si articola in quattro capitoli; il primo, dove viene descritto il disturbo dell’ intestino irritabile, nel secondo vengono illustrati gli effetti dello stress sul sistema digerente e sul sonno, il terzo capitolo tratta della tecnica del training autogeno, al quale segue il capitolo sperimentale. Lo studio esplorativo si prefigge di valutare se il training autogeno possa essere una tecnica da utilizzare per la riduzione della sintomatologia in pazienti con diagnosi primaria di sindrome del colon irritabile. In particolare si intende valutare se la tecnica di rilassamento possa intervenire nel migliorare, oltre ai sintomi gastrointestinali, anche l’impatto negativo di tale sindrome sulle attività quotidiane e sulla qualità della vita (Drossman et al., 1993), attenuando i disturbi d’ansia, depressivi e somatoformi (Drossman, 2006) e i concomitanti disturbi del sonno (Bellini et al., 2011; Drossman et al., 2002; Lea et al., 2003).
Il campione è costituito da 22 pazienti con diagnosi primaria di SII, suddivisi in due gruppi, uno sperimentale e uno di controllo. I pazienti del gruppo sperimentale sono 11, di cui 9 femmine e 2 maschi, i quali hanno seguito un corso di training autogeno presso l’Ospedale Cisanello di Pisa, mentre il gruppo di controllo è costituito da 11 pazienti, di cui 7 femmine e 4 maschi, i quali non hanno effettuato alcun trattamento. Ad entrambi i gruppi è stata somministrata una batteria di test self-report ad inizio e a fine trattamento, a distanza di 11 settimane, costituita dai seguenti test: The Irritable Bowel Severity Scoring System, IBS (IBS-SSS; Francis, C.Y., Morris, J., & Whorwell, P., J., 1997); Stait Trait Anxiety Inventory (STAI-Y; Spielberger et al., 1983); Short Form 36-items Healt Survey (SF-36; Ware et al., 1992); Pittsburgh Sleep Quality Index (Buysse et al., 1989) e Insomnia Severity Index (Morin, 1993).
Essendo la SII un disturbo a cui bene si adatta il modello bio-psico-sociale, è importante un trattamento che si basi su tale modello,infatti per l’ipnoterapia è stata più volte dimostrata l’efficacia (Drossman et al., 2002; Lea et al., 2003).
In base a queste considerazioni si ipotizza che il TA possa apportare miglioramenti nei vari aspetti caratterizzanti la sindrome dell’intestino irritabile e quindi che migliori i sintomi gastrointestinali lamentati, il funzionamento psicosociale e la qualità del sonno in pazienti con tale diagnosi, essendo stata dimostrata una correlazione bidirezionale tra SII e sonno (Bellini et al. 2011).
I risultati confermano, in gran parte le ipotesi e si nota una riduzione significativa dei sintomi nelle tre aree, calcolati attraverso i test non parametrici di Wilcoxon e Mann Whitney, ad un livello di significatività inferiore a 0.05.
INTRODUZIONE
Il seguente elaborato è il risultato di un’esperienza formativa che mi ha particolarmente colpita; osservare gli effetti del training autogeno sui pazienti di gastroenterologia ha scaturito in me la voglia di approfondire il complesso argomento riguardante un disturbo gastrointestinale, che presenta una forte componente psicologica.
Alla luce delle osservazione fatte da Bellini e colleghi (2011), sulla correlazione bidirezionale tra disturbi del sonno e sindrome dell’intestino irritabile, abbiamo pensato di osservare gli effetti della tecnica di rilassamento sui sintomi legati al sonno, oltre che su quelli intestinali e psicologici.
I pazienti si sono dichiarati entusiasti dell’esperienza e questo riscontro, significativo dal punto di vista sia umano che professionale, ha evidenziato la rilevanza clinica, oltre che conoscitiva di ricerche di questo genere. Mi è sembrato significativo raccogliere anche l’opinione diretta dei partecipanti raccolta alla fine del corso di training autogeno, perché mi hanno incoraggiato a proseguire nel mio percorso formativo e di ricerca:
“Ho appreso una tecnica, che non solo mi ha fatto rilassare, mi ha resa sicura e con la consapevolezza di avere uno strumento sempre a disposizione; già questo mi tranquillizza..”
“..Trattiamo, a volte, il corpo come un mezzo della mente, lo sfruttiamo e non ce ne accorgiamo. Questa esperienza mi ha insegnato che è bello andare adagio, con il corpo e con la mente insieme verso una direzione che è quella del momento.” “Sono più sereno e dormo meglio. Esperienza da ripetere..”
“Partecipare a questo corso per me è stato non solo molto utile ma anche una bellissima esperienza. Sono una persona che solitamente ha difficoltà a gestire le
emozioni e aver trovato un modo di rilassarmi quotidianamente, mi ha aiutata anche nella fase dell’addormentamento, di solito molto lunga e snervante. Davvero una bella esperienza.”
CAPITOLO I
SINDROME DELL’ INTESTINO IRRITABILE (SII)
1.1. Inquadramento diagnostico
La sindrome dell’intestino irritabile (SII) appartiene al gruppo dei disturbi gastrointestinali funzionali, caratterizzati da una combinazione variabile di sintomi gastrointestinali cronici o recidivanti, non spiegabili con alterazioni strutturali o biochimiche (Drossman et al., 1990). Tra questi, la SII è il più frequente disturbo riscontrato nel sistema di assistenza sanitaria primaria e secondaria, con una prevalenza nella popolazione generale dal 5 al 20% (Bellini et al., 2005).
La SII si riferisce ad un disturbo funzionale diffuso del tratto gastrointestinale inferiore, caratterizzato da dolore o fastidio addominale, oltre che ad alterazioni delle abitudini intestinali: diarrea, costipazione o l’alternanza di quest’ultime (Green & Blanchard, 1994). Inoltre, sono spesso riportati sintomi quali ipersensibilità viscerale, rallentato transito gastrointestinale e alterazioni nell’attività di secrezione (Spiller, 2007). I criteri diagnostici ritenuti al momento più applicabili sono i cosiddetti criteri di Roma III (Longstreth et al, 2006) che definiscono la sindrome dell’intestino irritabile come un disturbo caratterizzato dalla presenza di dolore o fastidio addominale presente per almeno tre giorni al mese negli ultimi tre mesi, associato ad almeno due delle seguenti caratteristiche: dolore alleviato dalla defecazione, variazione della frequenza evacuativa, cambiamento nella consistenza delle feci.
La presenza di altri sintomi o segni (meno di tre evacuazioni alla settimana, più di tre evacuazioni al giorno, feci dure o caprine, feci molli o liquide, sforzo durante l’evacuazione, sensazione di incompleto
svuotamento intestinale, presenza di muco con le feci e distensione addominale) contribuisce a rafforzare la diagnosi (Longstreth et al., 2006). I criteri diagnostici per la sindrome dell’intestino irritabile sono riportati nella tabella 1
Tabella 1 – CRITERI DIAGNOSTICI PER LA SINDROME DELLA SSI (LONGSTRETH ET AL., 2006)
CRITERI DI ROMA III*
Dolore o fastidio** addominale ricorrente per almeno 3 giorni al mese negli ultimi tre mesi in associazione a due o più dei seguenti sintomi:
1. Migliorato dall’evacuazione
2. Inizio associato della modificazione della frequenza delle evacuazioni 3. Inizio associato con una modificazione dell’aspetto delle feci
* Criteri rispettati negli ultimi tre mesi con sintomi esorditi almeno sei mesi prima della diagnosi
** S’intende per “fastidio” una sensazione di disagio non descritta come dolore.
1.2. Tipologie tradizionali della SII
In base al tipo di associazione dolore-alterazione dell’alvo predominante, la sindrome dell’intestino irritabile è stata classicamente suddivisa in tre tipologie. Come riportano la maggior parte degli studi, circa un terzo dei pazienti ha la SII con predominanza della diarrea (SII-D) ed un terzo ha la SII con predominanza della costipazione (SII-C), il restante presenta la SII con alvo alterno (Tillisch et al., 2005; Drossman et al., 2005).
Nella prima sono presenti feci dure o caprine in più del 25% e feci molli o liquide in meno del 25% delle evacuazioni; nella seconda tipologia sono presenti feci molli o liquide in più del 25% e feci dure o caprine in meno
del 25% delle evacuazioni, ed infine, nella sindrome dell’intestino irritabile con alvo alterno, sono presenti feci dure o caprine in più del 25% e feci molli o liquide in più del 25% delle evacuazioni (Longstreth et al., 2006). Tuttavia, la maggior parte dei dati pubblicati sulla storia della SII non distinguono questi sottotipi. Inoltre alcuni individui, ora chiamati “alternators” (Longstreth et al., 2006), cambiano sottotipo nel tempo, principalmente quelli con SII-D o SII-C passano al sottotipo misto, sebbene in uno studio il cambiamento da SII-D a SII-C si sia verificato nel 29% dei casi in un anno. (Drossman et al., 2005).
1.3. Prevalenza, esordio e decorso
La sindrome dell’intestino irritabile sembra colpire il 10-20% della popolazione mondiale, tra adolescenti e adulti (Longstreth et al., 2006). Il picco della prevalenza è tra i venti e i trenta anni, sebbene i pazienti tipicamente ricerchino cure tra i trenta e i cinquanta anni; la prevalenza decresce dopo i cinquantacinque anni (Grossman et al., 1993).
La sindrome colpisce le donne in percentuale doppia rispetto agli uomini, sembra insorgere nella tarda adolescenza, talvolta prima dei quindici anni e la maggior parte dei pazienti hanno un età compresa tra i venti e i quaranta anni, mentre il disturbo è raro dopo i sessanta anni (Walker et al., 1993).
Poiché questa patologia non riduce la sopravvivenza, spesso non ne viene valutata con attenzione la reale importanza sia dal punto di vista sociale che economico. La SII è infatti responsabile di una marcata riduzione della qualità di vita dei pazienti, di un notevole consumo di farmaci, di un elevato ricorso a visite specialistiche e a prestazioni di pronto soccorso, di una maggior frequenza di interventi chirurgici e di un numero considerevole di ore lavorative perdute (Gunn et al., 2003). Si calcola che
negli Stati Uniti il costo annuo di tale sindrome si aggiri intorno a 1,7 miliardi di dollari (Sandler et al., 2002).
Sebbene la SII colpisca fino a un quinto della popolazione, solo il 25% consulta un medico, non è chiaro il motivo per cui il restante 75% non lo fa (Drossman & Thompson, 1992); alcuni pazienti possono aver ricevuto un trattamento insoddisfacente in passato o semplicemente hanno imparato a convivere con la loro condizione e ad accettare la loro attuale qualità della vita (Wells et al., 1997).
L’incidenza della SII è simile in molti paesi, nonostante vi siano sostanziali differenze nello stile di vita, ad esempio in Messico è molto simile a quella negli Stati Uniti (Huerta et al., 2001). Sono presenti pochi dati di studi che hanno esaminato la progressione della SII nel tempo. Uno studio in Scandinavia ha esaminato la stabilità delle diagnosi di dispepsia e intestino irritabile nell’arco di tempo da uno a sette anni (Agreus et al., 2001). Tale studio ha dimostrato che il 55% di soggetti aveva ancora la SII dopo sette anni, il 13% era completamente privo di sintomi, mentre il 21% presentava una sintomatologia ridotta. Sembra che la SII non abbia uno sviluppo a lungo termine, come altre malattie ingravescenti (Sloth et al., 1988; Harvey et al., 1987) e non vi sono prove che la SII sia correlata ad un aumento della mortalità, anche se è stato dimostrato che i pazienti con tale sindrome siano più predisposti a sottoporsi ad interventi chirurgici rispetto a soggetti sani di controllo (Kennedy et al., 2000).
È stato inoltre dimostrato che una lunga durata dei sintomi (Neal et al., 2002) ed un distress psicologico (Bennett et al., 1998) sono correlati ad un outcome peggiore.
1.4. Comorbidità e diagnosi differenziale
Tra il 20% e il 50% dei pazienti con SII presentano anche la fibromialgia (Lubrano et al., 2005), viceversa la SII è comune in molti altri disturbi
cronici del dolore (Whitehead et al., 2002), è stata riscontrata nel 51% di pazienti affetti dalla sindrome da stanchezza cronica, nel 64% quelli affetti di disturbo dell’articolazione temporomandibolare e nel 50% di quelli con dolore pelvico cronico (Walker et al., 1996). A sua volta la frequenza della SII è ancora più elevata in pazienti affetti da questi sindromi (Aaron et al., 2000).
In particolare, i pazienti con SII presentano una ridotta percezione della qualità della vita (Vandvik et al., 2004) ed un’elevata prevalenza di disturbi psicologici/psichiatrici, come depressione, ansia, fobie, panico, somatizzazioni e disturbi ossessivo-compulsivo (Pae, 2007), tanto che in passato tali disturbi sono stati a lungo considerati un fattore eziologico della sindrome. Attualmente si ritiene invece che il disturbo psicopatologico sia un fattore di comorbidità in grado di portare ad un’esacerbazione dei sintomi e ad un aumento significativo della domanda per assistenza medica (Lea et al., 2003). Pertanto, identificare tale comorbidità con certezza e trattarla con tempestività fa parte a pieno titolo della diagnosi e del trattamento della SII. L’importanza della componente psicologica nella SII è sostenuta dall’efficacia degli antidepressivi ed ansiolitici e dalla risposta ad altri trattamenti psicologici (Whitehead et al., 1992). Lydiard et al. (Lydiard et al., 1993) hanno confermato una correlazione bidirezionale tra SII e disturbi psichiatrici. Infine, è presente un’ alta correlazione positiva tra la gravità dei sintomi della SII e i disturbi del sonno (Bellini et al., 2011)
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, è importante ricordare che molte patologie, di cui alcune veramente serie, condividono la stessa fenomenologia della SII, come le malattie infettive batteriche e virali, la malattia celiaca, la malattia di Crohn, la colite ulcerativa, l’ abuso di lassativi, la sindrome da malassorbimento, l’insufficienza pancreatica, le malattie endocrine (diabete, iper- e ipo-tiroidismo, M. Addison), i tumori dell’apparato digerente, ansia e depressione, per cui non spesso è
necessario operare una esclusione progressiva di patologie più gravi per giungere infine alla diagnosi di intestino irritabile (Dalton et al., 1997; Sanders et al., 2001).
Dal momento che non esistono test specifici che permettono di porre la diagnosi di SII si auspica l’impiego di pochi esami che consentano per esclusione di riconoscere la malattia e di escludere altre gravi e mortali patologie. Infatti la SII è finora una diagnosi di esclusione, basata sull’anamnesi (ansietà, depressione maggiore, disordini da panico, malattie psico-somatiche, distimia, presenti nel 50% dei casi), l’esame obiettivo e numerosi esami negativi. Infatti, non vi sono markers chimici per la SII né alterazioni strutturali.
Chiaramente, in presenza di sintomi d’allarme (perdita di peso, emorragia intestinale, anemia, febbre), che insorgono tardivamente, è indispensabile una valutazione completa, indipendentemente dall’età del malato (Paterson et al., 1999).
1.5. Fisiopatologia ed eziopatogenesi
Per definizione, non è possibile identificare un unico elemento patogenetico che giustifichi lo sviluppo della sindrome dell’intestino irritabile. Benchè siano state avanzate diverse ipotesi, la patogenesi della SII non è tuttora chiara. L’ipotesi più suggestiva è che le manifestazioni sintomatologiche siano causate dalla concomitanza di più fattori, tra cui la predisposizione genetica, fattori fisiologici e psicosociali.
1.5.1. Fattori genetici
I fattori genetici influiscono in modo determinante sull’eziologia della SII, infatti parenti di primo grado di pazienti SII hanno due volte più probabilità di avere la stessa diagnosi (Kalantar et al., 2003). Studi sui gemelli, tuttavia, suggeriscono che tale relazione sia dovuta al forte
contributo ambientale ed in minor misura a quello genetico (Spiller et al., 2007). Inoltre è stato notato che l’atteggiamento dei genitori con SII nei confronti della malattia ed il loro utilizzo dei servizi di assistenza medica possa contribuire allo sviluppo della stessa sindrome nei figli ed influenzi notevolmente il loro comportamento, manifestandosi quindi la cosiddetta trasmissione intergenerazionale dell’ ”illness behaviour” gastrointestinale (Levy et al., 2000).
Infine, sono stati studiati dei possibili geni candidati, i cui polimorfismi fossero in relazione con l’SII e il polimorfismo del trasportatore della serotonina 5-HTT, sembra essere associato con varie forme di SII (Saito et al., 2005). Tuttavia le associazioni riportate con il polimorfismo 5-HTT, potrebbero plausibilmente non essere legate all’associazione con la SII, ma riguardare due aspetti che caratterizzano questo disturbo, quali ansia e somatizzazione (Melke et al., 2001).
1.5.2. Alterazione della motilità gastrointestinale
I termini “colon irritabile” e “colon spastico” si riferiscono a una condizione che riflette un disordine della motilità sottostante. Sembra che nei soggetti con variabile stitica, sia ridotta la frequenza dei movimenti peristaltici intestinali, mentre avverrebbe il contrario nei soggetti con variabile diarroica. Inoltre il colon dei pazienti con SII, presenterebbe una risposta motoria abnorme ad eventi o sintomi come stressors ambientali o emozioni (Spiller et al., 2007).
Prima del 1980, le funzioni motorie anomale del colon e del retto sono state identificate come la principale fisiopatologia della SII, ma sono soltanto il 25-75% dei pazienti con SII a presentare tali anomalie motorie che differiscono dalle funzioni motorie normali (Park, 2006).
1.5.3. L’ipersensibilità viscerale
Un’aumentata percezione degli stimoli viscerali (ipersensibilità viscerale) (Mayer & Gebhart, 1994) potrebbe essere una componente chiave nella fisiopatologia della SII.
Numerosi studi hanno dimostrato che molti pazienti con SII avvertono dolore con volumi di distensione rettale e/o colica inferiori a quelli necessari per la stessa percezione nella popolazione sana di controllo (Mertz et al, 1995).
La percezione alterata nella SII può risultare da due processi distinti: l’iperalgesia, che deriva dalla sensibilizzazione periferica o da un’inadeguata modulazione discendente del dolore; e un processo cognitivo di ipervigilanza verso gli eventi negativi provenienti dai visceri. L’iperalgesia viscerale può essere dovuta ad una “down regulation” dei meccanismi che mediano la percezione del dolore viscerale. Possono esserne responsabili l’attivazione, in seguito alla stimolazione prolungata e ricorrente (flogosi, aumentata motilità o danno tissutale), di fibre C normalmente silenti che rendono dolorosa la percezione dell’attività afferente basale (allodinia), o l’aumento della eccitabilità dei sistemi che, all’interno del SNC, regolano la trasmissione ed elaborano lo stimolo sensoriale e/o nocicettivo. I neurotrasmettitori coinvolti nell’inibizione discendente dei neuroni del corno dorsale comprendono l’adrenalina, la serotonina ed i peptidi oppioidi (Treede el al., 1992).
1.5.4 Infiammazione della mucosa intestinale
In condizioni normali, nell’intestino esiste una condizione di fisiologica tolleranza immunitaria che impedisce inopportune reazioni immunologiche verso antigeni comunemente presenti nel lume intestinale. Recenti studi sul possibile ruolo dell’attivazione della risposta immunitaria della mucosa intestinale e delle variazioni della normale
infiammazione latente della mucosa intestinale, hanno sostenuto il concetto fisiopatologico della SII come malattia di tipo infiammatorio (Collins, 2002). E’ quindi ipotizzabile che almeno in un consistente gruppo di pazienti, anomalie “periferiche”, quali una pur modesta flogosi intestinale, alterazioni del sistema immunitario presente a livello della mucosa intestinale o un abnorme livello di ormoni gastrointestinali, possano contribuire alla comparsa della sindrome (Ohman & Simren, 2007).
Il concetto che alterazioni infiammatorie della mucosa intestinale giochino un ruolo nella fisiopatologia della SII è stato suggerito da diverse osservazioni:
- Il 7-30% dei pazienti con SII riferisce di aver iniziato ad accusare i sintomi tipici della SII dopo una malattia gastrointestinale acuta (Chaudhary & Truelove, 1962).
- Disturbi funzionali gastrointestinali persistenti sono riferiti nel 25% dei pazienti, a seguito di documentata gastroenterite dovuta a Shigella, Campylobacter e Salmonella (Neal et al., 1997).
- In pazienti con SII “post infettivo” le biopsie rettali hanno evidenziato un’aumentata cellularità infiammatoria, un aumento della quantità delle cellule enterocromaffini e dei linfociti intraepiteliali (Costedio et al., 2006). - Circa il 50% dei pazienti con storia di remissione di malattie infiammatorie croniche intestinali presentano sintomi tipici della SII. Studi su animali e sull’uomo indicano che le alterazioni infiammatorie determinano cambiamenti del contenuto di 5-HT, della conta della cellule enterocromaffini, del rilascio e del “reuptake” di 5-HT che potrebbero essere responsabili della sintomatologia (Simren et al., 2001).
1.5.4. Fattori psicosociali e stressogeni
I fattori psicosociali e stressogeni giocano un ruolo molto importante nell’espressione clinica e nelle manifestazioni della SII (Lea & Whorwell, 2003). Infatti un numero considerevole di pazienti (fino al 60% di coloro
che si rivolgono al gastroenterologo) presenta un chiaro coinvolgimento psichiatrico (ansia, depressione, disturbi somatoformi, etc.), mentre altri mostrano tratti di personalità o disturbi di personalità (Pae et al, 2007) che determinano marcate alterazioni del comportamento (Drossman et al, 1999).
Whitehead e colleghi (1992), hanno osservato che soggetti affetti da SII, confrontati con un gruppo di controllo sano, riportavano più eventi di vita stressanti; simili osservazioni provenivano anche da altri studi e tali dati sono stati interpretati come una prova che la SII è un disturbo da stress. Nella psicopatologia della SII assume rilevanza il cosidetto “brain-gut axis”, ovvero la relazione esistente tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso enterico, che è stato riconosciuto nel modello bio-psico-sociale, ovvero il modello interpretativo della sindrome, dove i disturbi psicologici stress-correlati rappresentano i principali fattori in grado di modulare la motilità e la percezione viscerale (Drossman, 2006).
La risposta fisiologica allo stress è generata da un network di strutture cerebrali integrate, in particolare l’ipotalamo (il nucleo paraventicolare PVN), l’amigdala e il grigio periacqueduttale. Queste regioni ricevono impulsi dalle strutture periferiche e centrali, come la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata anteriore (ACC) e l’insula. Tale sistema di circuiti nervosi viene chiamato “sistema motorio emozionale” e i maggiori sistemi efferenti sono: la via monoamminergica ascendente, il sistema nervoso autonomo, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e i sistemi regolatori del dolore (Mayer, 2000).
Attraverso la tomografia ad emissione positronica è stato dimostrato che in pazienti con SII è presente un’attivazione della corteccia prefrontale sinistra (Silverman et al., 1997) e con la risonanza magnetica funzionale è stata osservata una correlazione tra i sintomi clinici dei pazienti con SII, il loro stato psicologico e l’attivazione dell’ACC (Drossman et al., 2003). È proprio l’attivazione di questa regione ad essere associata con ansia, eventi
di vita stressogeni, strategie di coping mal adattive ed una storia di abusi (Drossman, 2006).
CAPITOLO II
RELAZIONE TRA STRESS, APPARATO DIGERENTE E SONNO
2.1. Lo stress
L’etimologia del termine stress può essere ravvisata dal latino strictus, “stretto tra più cose, compresso”. Inoltre in inglese il termine stress può significare “forza”, alternativamente a “strain”, rimandando allo stesso etimo latino; è stato importato in campo biomedico dalla fisica e dall’ingegneria, ove è utilizzato per indicare la sollecitazione subita dai materiali, ad opera di forze o pressioni esterne (Giusti, 2009).
Il termine stress precede il suo uso scientifico, infatti già nel XIV secolo veniva usato ad indicare le difficoltà, le avversità o le afflizioni (Lumsden, 1981), nel XVII secolo fu Hooke ad introdurre il termine nel contesto delle scienze fisiche, anche se il suo utilizzo non fu sistematico fino agli inizi del XIX secolo (Hinkle, 1973, 1977).
Cannon, fisiologo noto per l’introduzione del moderno concetto di omeostasi, nel 1932 applicò il concetto di stress alla ricerca in ambito umano, sperimentando gli effetti di freddo, caldo, carenza di ossigeno e di altri stimoli ambientali sull’organismo umano. Con il concetto di "reazione di emergenza" dell’organismo, preparatoria all’attacco o alla fuga, aprì la strada alla ricerca sullo stress (Cannon, 1932).
Fu Hans Selye ad utilizzare il termine stress, per descrivere un corredo di risposte fisiologiche dell’organismo a condizioni esterne avverse, osservò infatti che quando un organismo deve far fronte ad un cambiamento ambientale, reagisce con la medesima risposta fisiologica. Definì così lo stress come “una reazione aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”. A tal proposito, egli descrisse la cosiddetta sindrome generale di adattamento, caratterizzata dal coinvolgimento del sistema endocrino, con un aumento nella secrezione di adrenocorticotropina
(ACTH, Adrenocorticotropic hormone), con l’attivazione dell’ipofisi e il rilascio di corticosterone dalle ghiandole surrenali; da un aumento nell'attività del sistema nervoso autonomo (SNA), che si manifestava nelle ulcerazioni dello stomaco e dall'attivazione del sistema immunitario. Tali risposte si manifestavano, secondo Selye, in maniera aspecifica in seguito a qualsiasi tipo di stimolazione, indipendentemente dalla natura dello stimolo stesso. Con tali risposte l'organismo cerca di adattarsi a diverse condizioni di disequilibrio, cercando di superarle o sopportarle. Le fasi in cui la sindrome generale di adattamento si svolge sono tre:
a) la reazione d’allarme, la risposta d’attivazione del sistema nervoso vegetativo di Cannon (1932) in cui si manifestano essenzialmente modificazioni di carattere biochimico-ormonale,
b) la fase d’adattamento allo stimolo con attivazione del sistema nervoso neuroendocrino e immunitario in cui l'organismo si organizza in senso difensivo,
c) la fase d’esaurimento della risposta in cui si verifica l’incapacità di adattarsi ulteriormente agli stimoli in grado di elicitare la risposta di stress, che Sleye definì stressor (Selye, 1936, 1956, 1976).
Nel 1975 John W. Mason presentò una nuova versione del concetto di stress, che era parzialmente in contrasto con la dottrina enunciata da Selye, in cui enfatizzava il ruolo cruciale dei processi psicologici messi in atto nelle reazioni emotive o di attivazione a seguito di eventi pericolosi o spiacevoli, che si possono manifestare nella vita quotidiana. Egli riteneva che le risposte endocrine allo stress fossero dovute alla componente emozionale derivante dal subire stimoli stressogeni (Mason, 1971, 1975). Un’ulteriore critica alla teorizzazione di Selye venne mossa da Janis (1958), Arnold (1960) e Lazarus (1966, 1974), i quali introdussero il concetto di mediazione cognitiva nella risposta allo stress, la quale non può essere ridotta ad una mera reazione fisiologica dell’organismo.
In particolare, nella più recente teoria di Lazarus, lo stress è considerato come un concetto relazionale, viene infatti definito come una relazione o transazione tra gli individui e il loro ambiente (Lazarus, 1991).
Lazarus identifica due principali mediatori nella risposta di stress: la valutazione cognitiva e il coping. La valutazione cognitiva costituisce un aspetto necessario per spiegare le differenze individuali in termini di durata, qualità ed intensità dell’emozione elicitata, la quale è appunto generata, mantenuta ed eventualmente alterata da uno specifico pattern di valutazioni cognitive. Queste, a loro volta, sono determinate da fattori situazionali e personali, tra cui le motivazioni, le aspettative, i valori e gli obiettivi; mentre i parametri situazionali rilevanti sono la prevedibilità, la controllabilità e l’imminenza di un evento potenzialmente stressante (Lazarus, 1966; Lazarus & Launier, 1978). Il coping invece viene definito come l’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali, volti a tollerare, padroneggiare o ridurre le richieste interne ed esterne, e i conflitti tra loro (Folkman & Lazarus, 1980).
Molto vicino alla teorizzazione di Lazarus, si colloca anche il lavoro di McGrath, che definisce lo stress come “a substantial unbalance between environmental demand and the response capability of the focal system”(McGrath, 1970). L’idea di fondo è che lo stress abbia a che fare con la percezione delle richieste che provengono dall’ambiente come eccessivamente intense quanto l’individuo pensa di padroneggiare le risorse necessarie per rispondere a queste richieste. Un gap tra la percezione e di tali richieste e le risorse a disposizione porta l’individuo sopra la soglia di stress e lo conduce alla reazione stressogena (Clancy & McVicar, 2002).
Una definizione più recente guarda al fenomeno da una prospettiva strettamente psicosociale e focalizza l’attenzione sulla duplice natura del fenomeno (individuale e sociale, soggettiva ed oggettiva); sulla stretta interdipendenza tra i diversi aspetti della questione (fonti di stress, risorse individuali e sociali) e sulle possibilità applicative che restano indubbiamente il nodo centrale e l'obiettivo imprescindibile della ricerca sociale (Ferrara-Cariota & La Barbera, 2006).
Infine, nonostante i numerosi studi e le ricerche sul concetto di stress, non c’è consenso su una definizione condivisa, ma si può in conclusione
sostenere che il termine stress viene usato in modo talvolta generico riferendosi alle forze esterne che agiscono sull’individuo e alle reazioni psicofisiologiche a tali forze (Mayer, 2000) o talaltra concentrando l’attenzione sulle reazioni comportamentali negative (Vasse, Nijhuis & Kok, 1998).
2.2. Risposta psicofisiologica allo stress
Con il termine psicofisiologia si intende la reazione fisiologica del corpo ad un stress percepito, suggerendo che tale risposta è un fenomeno mente-corpo. Ci sono tre sistemi fisiologici che sono direttamente coinvolti nella risposta allo stress: il sistema nervoso, il sistema endocrino e quello immunitario (Seaward, 2011).
I due assi principalmente responsabili nella risposta allo stress sono: l’asse ipotalamo-sistema nervoso autonomo (HANS) e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA).
L’asse ipotalamo-sistema nervoso autonomo (HANS)
Il sistema nervoso autonomo è la parte del sistema nervoso periferico responsabile della regolazione delle funzioni di tutti i sistemi viscerali del corpo (i sistemi cardiovascolare, respiratorio, gastrointestinale ed escretore), così come della muscolatura liscia. Il SNA opera oltre la consapevolezza ed è composto da due sottosistemi, il sistema nervoso simpatico (SNS) e il sistema nervoso parasimpatico (SNP). Se il SNS è responsabile generalmente dell’incremento dell’attività dei vari organi, come la velocità del cuore, il SNP riduce tali attività come la diminuzione della velocità respiratoria. Il SNS ha una funzione catabolica, ed è attivato durante la risposta di stress, invece il SNP ha la funzione di ridurre il dispendio di energia ed è attivato nella risposta rigenerativa (Sadigh, 2001).
Nell’asse HANS della risposta di stress il SNS stimola il midollo surrenale ovvero lo strato interno della ghiandola surrenale la quale è situata sopra i reni e secerne adrenalina e noradrenalina (Hassett, 1978). L’iperattivazione dell’ HANS dà luogo ad una serie di reazioni che portano complicazioni psicofisiologiche, per esempio l’eccessiva secrezione di catecolamina, la quale sembra giocare un ruolo importante in molte malattie associate con lo stress come: ipertensione, sindrome dell’intestino irritabile, costrizione dei vasi sanguigni periferici (Selye, 1984).
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA)
Uno stressor, attraverso uno stimolo sensoriale o enterocettivo causa la secrezione ipotalamica del fattore di rilascio corticotropico (CRH). Il CRH è rilasciato dalle cellule neuroendocrine del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo e l’amigdala, parte del sistema limbico, ne regola il rilascio (Gue et al., 1994). In contrasto con l’azione di CRH, il neuropeptide Y (NY), localizzato nell’amigdala, nell’ippocampo ed in alcune aree del setto e locus coeruleus, ha un effetto antistress (Sajdyk et al., 2004). Nella ghiandola pituitaria il CRH stimola la secrezione dell’ormone adrenocorticotropico (ACTH) e della betaendorfina, rilasciati nella circolazione sistemica. L’ACTH raggiunge infine la ghiandola surrenale, stimolando la produzione di cortisolo, il quale esercita un feedback negativo sull’ipotalamo, la ghiandola pituitaria e soprattutto sull’ippocampo. L’amigdala gioca un ruolo essenziale nella regolazione della secrezione di cortisolo indotto da stimoli psicologici, infatti il grande numero di fibre che connettono amigdala ed ippocampo suggerisce che questo agisca in risposta a segnali provenienti dall’amigdala (Lovallo & al., 2000).
Il cortisolo è coinvolto primariamente nella funzione metabolica attraverso il processo della gluconeogenesi, gioca anche un ruolo importante nella riduzione dell’infiammazione inibendo la perdita di liquidi. Una
secrezione prolungata del cortisolo può avere come conseguenza danni strutturali (degenerazione dei tessuti), perdita del tono muscolare e repressione del sistema immunitario (Selye,1982).
Alcuni studi hanno mostrato che la secrezione del cortisolo risulta essere alta tra coloro che hanno lottato con stress emozionali e si sentono inefficaci nel gestire le loro situazioni ( Schneiderman & Tapp, 1985). Un esaurimento del cortisolo può invece anche risultare da un insufficienza della ghiandola surrenale. I sintomi che emergono sono: stanchezza, debolezza, sintomi simil-diabetici e disfunzioni immunitarie. Uno dei sintomi più comuni dell’insufficienza del cortisolo è la stanchezza cronica, seguita da dolori articolari, muscolari, gonfiore ghiandolare, risposte allergiche ed infine disturbi dell’umore e del sonno (Baxter & Tyrrel, 1981).
I due assi sopracitati costituiscono i due principali sistemi efferenti del sistema emozionale motorio, ovvero una rete integrata di strutture cerebrali, in particolare le sottoregioni del nucleo dell’ipotalamo (nucleo paraventricolare, PNV), l’amigdala ed il grigio periacqueduttale, deputate alla risposta allo stress. Queste aree del cervello ricevono input da strutture periferiche e corticali: la corteccia mediale prefrontale, dalla corteccia cingolata anteriore e dall’insula (Mayer, 2000). Infatti, l’associazione polimodale e la trasformazione della percezione nella consapevolezza dipendono dalla corteccia frontale. Tuttavia, il collegamento tra input percepiti e il pattern di risposte dipende dal tipo di emozione che risulta dal processo di valutazione. In questa fase ha un ruolo particolare l’amigdala, conosciuta per essere necessaria per la formazione di associazioni spiacevoli per luoghi ed eventi nuovi (Lovallo & Thomas, 2000). Anche la corteccia cingolata anteriore (ACC) riveste un ruolo importante nello stress, essendo il centro critico del dolore parte del sistema limbico emozionale, infatti media le risposte emotive sia positive che negative, integra le funzioni autonomiche e le risposte endocrine, oltre
ad essere coinvolta nella memoria delle esperienze emozionali (Mayer, 2000).
Il sistema emozionale motorio è sottoposto ad un controllo a feedback, attraverso le proiezioni dei nuclei del tronco encefalico, principalmente il nucleo del rafe (serotoninergico) e il locus coeruleus (noradrenergico) e attraverso i glucocorticoidi circolanti, che esercitano un controllo inibitorio attraverso il recettore glucocorticoide (GR), situato nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo (Sternberg et al., 1992). Infatti l’ippocampo è considerato il sito primario di regolazione nella sintesi dei glucocorticoidi, poiché contiene il maggior numero di recettori per questi ormoni, quindi durante lo stress, un’eccessiva secrezione di cortisolo può essere inibita dalla stimolazione dell’ippocampo (Cole et al., 2000).
2.3 Stress e apparato digerente nella SII
In malattie complesse e multifattoriali , come la sindrome dell’intestino irritabile, i vissuti psicologici costituiscono importanti fattori nella patogenesi e nel decorso della sindrome (Mayer, 2000).
Uno studio ha mostrato un’alta prevalenza di abusi sessuali e fisici tra pazienti con SII (31,6%) rispetto a pazienti con disturbi gastrointestinali organici (14,0%) e il gruppo di controllo (7,6%). Molti di questi pazienti ha tratto benefici dalla psicoterapia (Delvaux et al., 1997) ed ha riferito un aumento della gravità dei sintomi in associazione ad un stress psicosociale acuto, mentre una completa o parziale remissione in seguito allo risoluzione dello stesso (Bennett et al, 1998). A sostegno di questa ipotesi, è stato osservato che in molti animali la separazione materna precoce provoca alterazioni nella funzione della barriera intestinale, un alterato equilibrio nella microflora enterica, una risposta allo stress esagerata ed ipersensibilità viscerale, proprio come nella sindrome dell’intestino irritabile (O’Mahony, 2011). Inoltre, Irwin e colleghi, studiando 50 pazienti con SII, hanno mostrato che il 54% ha riferito diagnosi psichiatrica in
qualche momento della loro vita, il 44% una storia di trauma ed il 36% disturbo post-traumatico da stress (Irwin et al., 1996).
Il ruolo dei fattori psicologici, dello stato emotivo e della modulazione del sistema nervoso centrale nella fisiopatologia della SII è stata confermata dal fatto che i sintomi sono migliorati dalla psicoterapia, ipnosi, ipnoterapia e da farmaci, come ansiolitici, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e antidepressivi triciclici (Prior et al., 1990; Poitras et al., 2002; Houghton et al., 2002; Mulak et al., 2004).
2.3.2. L’asse cervello-intestino (the brain gut axis)
Recentemente, il modello concettuale della fisiopatologia della SII riconosce le interazioni tra cervello e intestino come meccanismo patologico funzionale dei disturbi gastrointestinali (Drossman, 2006). Il cosiddetto brain gut axis è definibile come una complessa interazione tra sistema nervoso centrale (SNC) e sistema nervoso enterico (SNE) che permette un continuo e costante dialogo tra i due sistemi che si influenzano reciprocamente nella loro modalità d’azione sia in condizioni normali che patologiche (Gershon & Tack, 2007). Nei pazienti con SII i sintomi possono essere causati sia da alterazioni del SNC (modello top-down), da alterazioni periferiche (modello botton-up) o da una combinazione di entrambe (Stasi et al., 2012).
La funzione del tratto gastrointestinale è modulata sia dal sistema nervoso intrinseco, la cui innervazione è costituita dal SNE, compreso il plesso mioenterico e sottomucoso, che dal sistema nervoso estrinseco, la cui innervazione è fornita dal sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico ed è bidirezionale: il cervello può influire sul funzionamento del SNE attraverso il sistema nervoso autonomo, e viceversa l’intestino può influenzare il cervello attraverso i neuroni afferenti primari, i cui corpi cellulari si trovano nei gangli del nervo craniale e dorsale (Gershon, 2003).
In particolare gli afferenti del vago mediano le sensazioni non nocicettive compresi i riflessi locali, mentre gli afferenti simpatici mediano sensazioni nocicettive. Le terminazioni nervose simpatiche si trovano nella muscolare e seriosa dell’intestino dove il rilassamento può causare attivazione muscolare in condizione di dolore, mentre le terminazioni vagali si trovano più superficialmente, principalmente nella mucosa e nella sottomucosa, dove stimoli a bassa intensità, come i nutrienti, possono causarne un’attivazione. Le terminazioni nervose viscerali, sono localizzate nel corno dorsale del midollo spinale, dove si trovano tutte le afferenze viscerosomatiche (Mertz, 2002).
L’ipersensibilità viscerale, che è una caratteristica della SII può essere correlata alla disfunzione intestinale o ad una distorta elaborazione, rappresentazione e modulazione dei segnali intestinali nel cervello (Mertz, 2002; Mayer et al., 2001), oppure può dipendere da una malattia cronica del metabolismo della serotonina, alterazioni della sensibilità dei recettori della serotonina, un’esagerata sensibilità delle fibre nervose afferenti periferiche e da iperalgesia spinale (Gershon, 2003; Mertz, 2002; Kim & Camilleri, 2000; Kim et al., 2004).
La distensione o l’infiammazione intraluminale promuove il rilascio di serotonina (5-HT) dalle cellule enterocromaffini della mucosa enterica; la serotonina interagendo con i recettori serotoninergici regola le funzioni sensoriali, motorie e secretorie dell’apparato digerente (Kim & Camilleri, 2000) attraverso il sistema nervoso intrinseco ed estrinseco. Infatti la serotonina svolge importanti funzioni sia nel cervello che nel tratto gastroenterico. Il tratto digestivo contiene circa il 95% della serotonina dell’organismo di cui il 90% è immagazzinato nelle cellule enterocromaffini (EC) e il 10% è prodotto dai neuroni enterici (Kim and Camilleri, 2000; Gershon, 2003).
Le cellule enterocromaffini (EC) sono caratterizzate dalla presenza di un “ciuffo” di microvilli sulla loro membrana luminale e da numerosissimi
granuli, contenenti il principio ormonale, nella porzione basale del citoplasma. Inoltre, nelle vicinanze della cellula, ci sono fibre nervose afferenti che esprimono recettori serotoninergici. Tale conformazione depone per una funzione di trasduttore sensoriale capace di trasformare uno stimolo endoluminale chimico o fisico in uno stimolo nervoso (Hansen and Witte, 2008). L’accreditata teoria secondo la quale le cellule del sistema endocrino diffuso perverrebbero alla mucosa gastroenterica per dislocazione dalla cresta neurale e quindi avrebbero un’origine comune con le cellule nervose, avvalora tale interpretazione. Le EC contengono appropriati enzimi per la sintesi della serotonina a partire dall’aminoacido aromatico triptofano. I recettori serotoninergici presenti sia a livello centrale che intestinale, maggiormente caratterizzati negli studi che associano 5-HT alla sindrome dell’intestino irritabile, sono 5-HT3
e 5-HT4. Questi recettori sono coinvolti nella regolazione dei riflessi che
controllano la motilità e la secrezione, e svolgono un ruolo anche nella percezione delle sensazioni gastrointestinali. Dunque è ovvia la loro importanza nella fisiopatologia della sindrome dell’intestino irritabile. All’interno del sistema nervoso enterico, il recettore 5-HT3 è localizzato a
livello dei neuroni sensitivi primari (intrinseci ed estrinseci) e sui corpi cellulari della maggior parte dei neuroni enterici (Figura 2). L’attivazione del recettore 5-HT3 dei neuroni intrinseci afferenti può stimolare,
soprattutto a livello del plesso mioenterico, neuroni che vanno ad attivare fibre motorie eccitatorie colinergiche e fibre motorie inibitorie nitrergiche che danno origine alla peristalsi. L’attivazione di fibre contenute nel plesso sottomucoso modula la secrezione ghiandolare e la vasodilatazione. Mentre l’attivazione delle fibre afferenti estrinseche stimola il centro del vomito (Andrews e Bhandari, 1993) e diminuisce la soglia nocicettiva (Hamon et al, 1990).
La precisa distribuzione del recettore 5-HT4 non è stata ancora definita
con precisione ma la sua attivazione sembra avere più un effetto di accelerazione della funzione motoria più che di iniziazione (Costedio et al,
2006). Nel tratto gastrointestinale l’attivazione dei recettori 5-HT4 media la
contrazione della muscolatura liscia del colon umano (Tam et al, 1992) e facilita il riflesso peristaltico. Recettori 5-HT4 presenti sugli enterociti
stimolano direttamente la secrezione ghiandolare. Inoltre i recettori 5-HT4
sembrano modulare il dolore viscerale a livello della trasmissione nocicettiva (Schikowski et al, 2002).
I segnali nocicettivi sono trasmessi dai visceri alle lamine specifiche del corno dorsale a livello midollare. L’input sinaptico attiva specifici neuroni di secondo ordine, i quali portano all’attivazione di specifiche aree cerebrali e talamiche, alla sensazione e percezione del dolore e, successivamente, a processi di valutazione e di discriminazione nei centri cerebrali più alti. Le vie bulbospinali, attivate dalla nocicezione, mandano proiezioni discendenti dalla sostanza grigia periacqueduttale e dai neuroni del rafe ai neuroni nel corno dorsale, che inibiscono o facilitano il segnale nocicettivo. Le vie discendenti bulbospinali utilizzano trasmettitori serotoninergici, oltre che oppioidi e noradrenergici, e i recettori 5-HT4 e 5-HT3 sembrano agire a tale livello.
Oltre alla serotonina, anche diverse tachichinine gastrointestinali sono coinvolte in funzioni gastrointestinali e implicate nella modulazione della sensibilità al dolore viscerale. Nel tratto gastrointestinale, la sostanza P (SP) la neurochinina A (NKA), due neuropeptidi della famiglia delle tachininine sono espressi sia nei valori intrinseci che in quelli afferenti primari estrinseci originali da gangli spinali (Evangelista, 2001). Lo squilibrio di tachinine potrebbe svolgere un ruolo importante nella dismotilità gastrointestinale associata a stress e dolore (Holzer & Holzer-Petsche, 1997).
Inoltre i mastociti della mucosa sono elementi importanti nella patogenesi della SII (Farhadi et al., 2007), Barbara e colleghi hanno dimostrato che un’attivazione dei mastociti in prossimità dei nervi del colon è significativamente correlata con la gravità e la frequenza di dolore
addominale e disagio nella SII (Barbara et al., 2004). La degranulazione, la secrezione dei contenuto dei granuli, delle cellule mastociti avviene non solo in risposta agli agenti allergenici, ma anche in risposta allo stress, seguito dal rilascio di NY dai terminali nervosi (Arzubiagia et al., 1991). I mastociti possono aumentare la permeabilità della mucosa, modificando così il microbiota con conseguente attivazione immunitaria della mucosa. Un basso grado di attivazione infiammatorio-immunitaria, è considerato come uno dei più importanti meccanismi di interazione cervello-intestino (Rodriguez-Fandino et al., 2010). Questo effetto è stato attribuito all’influenza di interleuchine (IL-1b, TNF-a IL-6) per lo sviluppo della disfunzione motoria, del dolore viscerale, e dei disturbi psicologici, mediati dal SNC. Il forte legame tra SNC e SNE è inoltre confermato dal fatto che alcuni neuropeptidi e recettori sono presenti in entrambi sistemi (Liebregts et al., 2007).
I fattori di stress psicosociali quindi attivano i circuiti dello stress all’interno del sistema emozionale motorio e nell’ output periferico, attraverso la risposta endocrina (cortisolo, serotonina) e la risposta autonomica (noradrenalina, adrenalina e NY) portando il sistema immunitario verso una risposta TH2 (maggiore risposta dei mastociti) (Elenkov et al., 2000). La risposta autonomica può anche modulare direttamente o indirettamente la permeabilità gastrointestinale e quindi l’accesso di fattori luminali come antigeni o batteri, nel sistema immunitario (Stasi et al., 2008; Wood, 2002); questi modulano la funzione immunitaria gastrointestinale e le citochine dall’intestino possono modulare la risposta al SEM (Mayer, 2000; Wood, 2002).
In conclusione, sia lo stress esterocettivo, come lo stress psicosociale, sia quello enterocettivo, come le infezioni gastrointestinali, possono influenzare il SEM, il quale media le risposte neuroendocrine e autonomiche del corpo. Infatti, alterazioni a qualsiasi livello del sistema neurale può alterare la motilità, la secrezione, la funzione immunitaria, la
percezione e la risposta emotiva agli stimoli viscerali nel tratto gastrointestinale (Stasi et al., 2012).
2.3.3 Il modello top-down e botton-up
Uno stress cronico esterocettivo può causare nella corteccia una iperattivazione delle diverse aree celebrali (amigdala, ippocampo e locus coeruleus) e una riduzione della risposta del HPA risultante in un minor rilascio del cortisolo. Ciò riferisce un aumento della risposta immunitaria verso gli antigeni luminali e una conseguente infiammazione di basso grado (top-down model). A sua volta tale infiammazione, associata ad un rilascio di interleuchine e TNF-α può causare l’attivazione di circuiti celebrali afferenti. Allo stesso modo le infezioni possono causare un incremento della permeabilità, con conseguente attivazione immunitaria e di circuiti celebrali afferenti (botton-up model). Lo stress esterocettivo causa anche l’attivazione dell’asse HANS, in questo caso rappresentato dall’ipotalamo e dal sistema simpatico efferente, riducendo così il rilascio di NY. Questo peptide può attivare i mastociti determinando un’infiammazione di basso grado e un’attivazione immunitaria con rilascio di IL-1, IL-6 e TNF-α. A sua volta l’infiammazione stimola la produzione di neurochinine, SP, CGRP, 5HT (top-down model), allo stesso modo i fattori di stress enterocettivi possono attivare le vie ascendenti. Le terminazioni nervose sono localizzate principalmente nella porzione mediale del talamo con connessioni dirette con l’ipotalamo (bottom-up model). Qui il nucleo del rafe, può inibire o facilitare il segnale nocicettivo (Stasi et al., 2012).
Concludendo, in linea con quanto detto precedentemente, alla sindrome dell’intestino irritabile bene si adatta l’attribuzione di un modello bio-psico-sociale, in cui il rapporto tra fattori fisiologici, sintomi gastrointestinali, fattori psicosociali ed outcome clinici influenzano reciprocamente la loro espressione (Drossman, 2006). Questi fenomeni
sono concettualizzati sotto forma di interazione “cervello-intestino”, attraverso i meccanismi “botton-up” e “botton-down” (Stasi et al., 2012).
2.4 Stress e sonno
Gli eventi di vita stressanti sono fattori che favoriscono e sono strettamente associati anche con l'insorgenza di insonnia cronica e sono mediati da alcuni fattori di personalità predisponenti. Pazienti insonni rispetto ai controlli, tendono ad essere più scontenti, sia da bambini che da adulti, ad avere relazioni interpersonali meno soddisfacenti e presentano meccanismi di difesa inadeguati per affrontare lo stress (Kales & Kales, 1984) I tratti caratteristici degli insonni sono l’umore depresso, la ruminazione, l’ansia cronica, l'inibizione delle emozioni e l'incapacità di esprimere la rabbia (Kales et al., 1983). L'insonnia è nota per essere più frequente nelle persone con disturbi psichiatrici sottostanti (Buysse et al., 1994); tra i disturbi mentali connessi con l'insonnia, i più comuni sono i disturbi dell'umore, come il disturbo distimico, disturbo depressivo maggiore, disturbo bipolare, disturbo ciclotimico, così come la maggior parte dei disturbi d'ansia e da abuso di sostanze (Simon & von Korff, 1997; Buysse et al., 1994).
Molti sono gli studi che hanno studiato e valutato il rapporto tra fattori stressanti ed emozionali e disturbi del sonno; Morin e colleghi hanno mostrato che pazienti insonni rispetto a soggetti normali riportano la stessa quantità di eventi di vita stressanti. Tuttavia, gli insonni percepiscono la loro vita come più stressante, utilizzano strategie di coping focalizzate sulle emozioni, e presentano più alti livelli di arousal rispetto ai “buoni dormitori”. I risultati suggeriscono che la valutazione dei fattori di stress e la percepita mancanza di controllo sugli eventi stressanti, piuttosto che il numero di eventi stressanti di per sé, aumentano la vulnerabilità all’insonnia. Alti livelli di attivazione e strategie di coping giocano quindi un ruolo importante nella correlazione tra lo stress ed il
sonno. L'implicazione principale di questi risultati è che i trattamenti per l’insonnia dovrebbero includere metodi clinici progettati per l’acquisizione di tecniche di stress management e migliori strategie di coping (Morin et al., 2003)
Martica e colleghi (2007) hanno valutato i correlati clinici del profilo spettrale elettroencefalografico in pazienti con insonnia ed hanno osservato una tendenza forte a sperimentare pensieri intrusivi legati allo stress nei pazienti con disturbi del sonno associati ad un aumento delle onde β, mentre gli incrementi di carico di stress personale sono stati associati con una diminuzione della potenza δ. Inoltre, l'innalzamento di sintomi subclinici della depressione sono stati associati con maggiori disturbi del sonno, correlati ad un innalzamento di potenza delle onde α. In conclusione, lo stress percepito ed i comportamenti di evitamento legati allo stress sono stati associati con indici di eccitazione fisiologica durante il sonno NREM nei pazienti con insonnia cronica primaria.
Oltre all’attivazione durante il sonno, molti studi suggeriscono che l’insonnia sia uno stato di attivazione durante le 24 ore piuttosto che un disturbo dovuto alla perdita di sonno. I pazienti insonni, rispetto a quelli normali presentano un aumentato livello del ritmo EEG ad alta frequenza durante il sonno, un elevato metabolismo cerebrale durante il sonno con un aumento del tono del sistema simpatico, un’attivazione di 24 ore dell'asse HPA in combinazione con un aumento del cortisolo ed una diurna ipersecrezione di citochine e/o alterazione circadiana della secrezione delle stesse. (Basta et al., 2007). I livelli di cortisolo, il quale viene definito “l’ormone dello stress”, sono generalmente alti al mattino e tendono ad abbassarsi durante la giornata, in un recente studio è stato osservato che nei pazienti insonni i più alti livelli di cortisolo sono presenti verso la sera e durante la prima metà della notte (Vgontzas et al., 2001). L'approccio terapeutico all’ insonnia dovrebbe quindi essere multidimensionale e dovrebbe puntare a ridurre l' ipervigilanza emotiva e
fisiologica in generale e dei suoi fattori sottostanti presenti su tutto il periodo delle 24 ore sia durante il sonno che nella veglia.
Riguardo alla relazione tra SII e sonno, Bellini e colleghi (2011) hanno trovato una correlazione positiva tra gravità dei sintomi intestinali della SII e disturbi del sonno e che alcuni tratti dei pazienti erano predittori della gravità sintomatologica, come l’età . Questi risultati sono coerenti con quelli di altri studi. Il meccanismo fisiopatologico alla base di questa associazione tuttavia è solo parzialmente compreso. Una possibilità è che l’alterazione del sonno possa indurre iperalgesia viscerale, che a sua volta aumenta nel paziente la percezione dei sintomi gastrointestinali; altri fattori potrebbero inoltre giocare un ruolo, tra cui i tratti endofenotipici come quelli associati con la suscettibilità allo stress.
In conclusione, esiste una relazione significativa tra la sindrome dell’intestino irritabile e lo stress, tra il sonno e lo stress, tra la SII e i disturbi del sonno, ad indicare la presenza di una mutua relazione tra le tre aree.
CAPITOLO III
IL TRAINING AUTOGENO
3.1 Introduzione alle tecniche di rilassamento
Il concetto di stress può essere considerato universale, infatti, mentre la prevalenza di disagio fisico e psicologico è relativamente bassa per ogni malattia, gli effetti negativi dello stress sono qualcosa che tutti hanno esperito nell’arco della vita. Le conseguenze di uno stress eccessivo o prolungato, che vanno da un aumento di vulnerabilità nei confronti di un comune raffreddore alla correlazione con un’ eccessiva mortalità derivante da vari processi di malattia, sono questioni che riguardano tutti i tipi di società. Ed è per questo che, si sono sviluppate in molti paesi specifiche procedure per ridurre lo stress ed aumentare le proprie capacità di far fronte agli oneri, talvolta difficili da sopportare, della vita (Lehere, Woolfolk & Sime, 2007).
Sebbene sia possibile ricondurre l’origine delle tecniche di rilassamento, agli studi sul magnetismo animale e sull’ipnosi del XVII e XIX secolo, la storia delle tecniche di rilassamento, che si basano su protocolli standardizzati è relativamente recente, infatti le prime pubblicazioni scientifiche risalgono agli inizi del XX secolo, e riguardano il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson (1928) e il training autogeno di Schultz (1932). È importante sottolineare che l’universo delle tecniche di rilassamento o delle attività che rientrano in questa categoria è abbastanza vasto e variegato, sia in relazione alle basi teoriche di riferimento per ciascuna tecnica che agli ambiti di applicazione.
Gli effetti delle tecniche di rilassamento sono di due tipi: effetti diretti e indiretti. Infatti, il rilassamento è un fenomeno interattivo in cui aspetti psicologici e fisiologici si integrano inscindibilmente rivestendo, entrambi
allo stesso tempo, il ruolo di cause ed effetto del processo (Turpin, 1989). L’effetto diretto è riscontrabile nella diminuzione dell’attività fisiologica, mentre quello indiretto nei risvolti in termini di aumento dell’empowerment e dell’autoefficacia, che derivano dalla capacità di controllare la propria attivazione psicofisiologica (Compare & Grossi, 2012).
In generale l’obbiettivo delle tecniche di rilassamento è la riduzione della tensione muscolare, dato che questa può influenzare l’attività psichica e la vigilanza di un individuo, per mezzo delle strutture reticolate o sottocorticali; infatti la tonicità muscolare è spesso rappresentativa di uno stato di difesa, ma risulta del tutto inefficace sul piano della reazione. Chi è muscolarmente rigido non trova in sé le risorse né le potenzialità per poter reagire, o mettere in atto una condizione esterna percepita negativamente (Penati, 2013).
3.2 Il training autogeno
Il training autogeno (TA) può essere considerato una tecnica di “stress management” (Lehrer & Woolfolk, 1993) o una tecnica di autoregolazione basata su principi psicofisiologici (Pikoff, 1984); rappresenta una delle tecniche di rilassamento più diffuse e applicate nella terapia comportamentale ed è stata elaborata da Herinrich Schultz negli anni fra il 1908 e il 1912. Basandosi sulle osservazioni che Oscar Vogt era venuto facendo nel corso dei suoi studi sull’ipnotismo, aveva cioè constatato che soggetti forniti di cultura e buone capacità critiche erano in grado di indurre autonomamente in se stessi uno stato di calma, e perciò realizzare una sorta di autoipnosi (Eberlein, 1977).
Con il termine di training autogeno J. H. Schultz definisce un metodo di autodistensione e concentrazione psichica che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche. Training significa allenamento, cioè apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione
psichica passiva, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza. Autogeno significa che si genera da sé (Schultz, 1932). Non si tratta, come nell’ipnosi, di etero suggestione, cioè di una suggestione indotta dall’esterno, bensì di un’influenza esercitata su se stessi: di un’autosuggestione (Eberlein, 1977).
Il TA si basa sull’osservazione che il tono della muscolatura striata e il tono della muscolatura liscia sono in stretta relazione con le funzione psichiche, specialmente con il pensiero e le emozioni e che tali manifestazioni periferiche e centrali del comportamento si influenzano a vicenda. In effetti, il grado di tonicità dei muscoli non è solo il risultato di uno stato d’allarme, ma è anche uno dei meccanismi che lo causano: così come l’attività mentale del cervello si risolve in contrazioni muscolari, le contrazioni muscolari si risolvono in un aumento della predisposizione del cervello a reagire (Compare & Grossi, 2012).
3.3 Le formule del TA
Il TA prevede alcuni esercizi definiti inferiori e altri denominati superiori. I primi riguardano l’acquisizione delle abilità di base per l’apprendimento del rilassamento, i secondi mirano al raggiungimento di una forma di rilassamento profondo. Il paziente impara un set di sei formule, le quali vengono ripetute sottovoce e mentalmente: (1) “l mio braccio è molto pesante” associato al rilassamento muscolare, (2) “il mio braccio è molto caldo” volto alla dilatazione vascolare, (3) “il battito del mio cuore batte calmo e ritmico” per la stabilizzazione della funzione cardiaca, (4) “mi respira” per la regolazione del respiro, (5) “plesso solare irradiante calore” per la regolazione degli organi viscerali ed infine (6) “fronte piacevolmente fresca” per la regolazione del flusso sanguigno nella testa
(Linden, 1990). Molte ricerche hanno mostrato che cambiamenti fisiologici misurabili accompagnano la pratica di tali esercizi.
Per validare l’ipotesi che il TA sia associato ad un incremento del tono parasimpatico cardiaco, è stata osservata la frequenza del ritmo cardiaco in 16 studenti (Sakakibara, Takeuchi, & Hayano, 1994). Sono stati effettuati elettrocardiogrammi e pneumogrammi durante il periodo baseline di 5 minuti, seguito da tre successive sessioni di TA, in relazione ad un gruppo di controllo, nello stesso periodo tempo in uno stato di quiete senza però il TA: è stato dimostrato un incremento del tono parasimpatico cardiaco, il quale può essere considerato un importante meccanismo che può spiegare i benefici derivanti da tale tecnica.
L’assunzione del TA che le immagini somatiche possano innescare l’attività fisiologica sottostante è coerente con la teoria di Lang (1979); della codifica delle immagini emozionali e la risposta somatico-viscerale basata sull’esperienza. In una serie di studi (Lang et al. 1980; Lang et al., 1983), Lang e colleghi hanno dimostrato che focalizzando l’immaginazione su una risposta fisiologica distinta (per esempio sulla frequenza cardiaca, o sul respiro), tale risposta viscerale viene effettivamente provocata.
La formula di pesantezza nel TA è diretta al rilassamento muscolare ed è stata identificata una correlazione con la riduzione del tono muscolare, la riduzione della pressione sanguigna e un incremento della resistenza cutanea (Ohno, 1965; Schultz, 1968). La formula del calore è diretta alla dilatazione vascolare, infatti gli studi hanno rilevato una vaso-dilatazione periferica nelle mani e nella faccia, con un incremento della temperatura corporea, talvolta accompagnata da una leggera sudorazione (Dobeta, Sugano & Ohno, 1966). La formula della regolazione del cuore è stata associata con un rallentamento della frequenza cardiaca, la riduzione degli output con un aumento dell’utilizzo di CO2 e una stabilizzazione dei segnali dell’elettrocardiogramma, mentre la formula riguardante il respiro porta ad una normalizzazione del ritmo respiratorio ed al passaggio da
una respirazione prevalentemente toracica e ad una di tipo addominale (Luthe, 1970). La formula del plesso solare è volta a regolare l’attività degli organi viscerali, un incremento del flusso sanguigno verso la mucosa gastrica, una vasodilatazione dei vasi sanguigni periferici e ad una normalizzazione delle disfunzioni dello stomaco e delle funzioni intestinali (Ikemi et al., 1965; Sapir & Reverchon, 1965; Lantzsch & Drunkenmoelle, 1975). Infine la formula della “fronte fresca”, che è finalizzata a regolare l’attività cerebrale ed il flusso sanguigno della testa, è correlata con una riduzione della frequenza delle onde β e un incremento della frequenza delle onde α e θ nell’elettroencefalogramma (Jus & Jus, 1968). Dierks e colleghi (1989) hanno inoltre notato che la riduzione dell’attività delle onde β era specifica nell’emisfero destro, che si ritiene essere la sede delle funzioni emozionali.
3.4 Ambiti applicativi del TA
Il training autogeno è una tecnica che ha innumerevoli ambiti applicativi, innanzitutto viene utilizzato per le persone sane e motivate. Le possibilità offerte dal TA nei soggetti sani sono:
-L’autosedazione, cioè lo smorzamento della risonanza emotiva; la soppressione degli stati di tensione, per mezzo di una tecnica di distensione, la quale permette all’affettività di esprimersi in modo più razionale, più immaginativo. Infatti, con questo metodo non è il soggetto a cercare di controllare attivamente le sue reazioni somatiche, ma esse vengono da se stesse come “smorzate”.
-Il recupero di energie. La commutazione, in uno stato di completa distensione, determina una sensazione soggettiva di benessere e provoca un aumento della capacità lavorativa.
-La catalessia. Le possibilità che offre il TA non si limitano ad una schematica distensione, ma consentono, al soggetto ben allenato di realizzare una “super-induzione” di tensioni attive.
-Modificazioni del vissuto cenestesico. L’individuo sprofondato nello stato concentrativo è in grado di escludere numerose afferenze sensoriali provenienti dall’esterno; il soggetto acquisisce la capacità di attenuare sensazioni somatiche moleste.
-Regolazione vasomotoria. Attraverso il TA il soggetto può lottare contro improvvisi cambiamenti di temperatura e particolarmente contro il freddo.
-Modificazioni delle capacità mnemoniche. Il TA consente nello stato di passività concentrativa di far riaffiorare in modo eccezionale i nostri ricordi.
-Formulazione di proponimenti, come la possibilità di predeterminare un risveglio ad ora prefissata.
-Introspezione e presa coscienza di sé. Possibilità di fare emergere immagini che affiorano dal profondo dalla personalità (Schultz, 1968). Oltre che nei soggetti sani, il TA è risultato di particolare efficacia nell’ambito di disturbi psichici e psicosomatici. In particolare, risulta indicato per i disturbi d’ansia, le somatizzazioni, i disturbi del sonno, il dolore. Tra i disturbi d’ansia il TA si è rivelato particolarmente utile nei casi di ansia libera e fluttuante; infatti chi lamenta questo problema è spesso una persona che desidera migliorare la propria capacità di controllo e non essere vincolato all’uso di farmaci.
In generale i disturbi a cui è possibile applicare con esito favorevole il TA sono:
Gastro-intestinali (ulcera, colite, gastrite, stitichezza, diarrea, calcolosi) ;