UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari
Tesi di Laurea
I NON-PERFORMING LOANS IN EUROPA E IN ITALIA:
CAUSE E SOLUZIONI
RELATORE CANDITATA Prof.ssa Paola Ferretti Agnese Peciarolo
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INDICE
INTRUDUZIONE ... p.6
CAPITOLO 1
IL DETERIORAMENTO DELLA QUALITÀ DEL CREDITO
IN EUROPA ... p.9
1.1. Le origini della crisi finanziaria globale ... p.9 1.2. L’impatto delle gestioni poco virtuose sul deterioramento della qualità
del credito ... p.14 1.3. Le conseguenze della crisi per famiglie e imprese ... p.16 1.3.1. La debolezza della risposta del settore produttivo alle sfide degli ultimi anni ... p.20 1.4. Le conseguenze per le banche: deterioramento del credito ... p.22 1.5. La rischiosità delle banche: gli ultimi dati dell’EBA... p.26
CAPITOLO 2
L’AZIONE DI VIGILANZA SUGLI NPL ... p.30
2.1. L’azione a livello europeo ... p.30 2.1.1. Armonizzazione dei criteri di definizione degli NPL:
Implementing Technical Standards dell’EBA ... p.32
2.1.2. Le nuove “Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati della BCE ... p.38 2.1.3. Addendum alle Linee Guida: le aspettative di vigilanza sugli
accantonamenti prudenziali ... p.45 2.1.4. Le ultime proposte della Commissione Europea ... p.48 2.1.5. Il comunicato stampa BCE ... p.52 2.2. I provvedimenti della Banca d’Italia ... p.53
2.2.1. La circolare n. 272/2008: nuova classificazione dei crediti
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2.2.2. L’introduzione della segnalazione delle perdite registrate
sulle posizioni in default ... p.59 2.2.3. Linee Guida per le banche Less Significant ... p.61
CAPITOLO 3
LA GESTIONE DEI CREDITI DETERIORATI ... p.67
3.1. Le diverse soluzioni di gestione degli NPL prospettate dai
regulators ... p.67 3.2. Le operazioni di cessione al mercato ... p.69
3.2.1. Le determinanti della differenza tra valore contabile e
prezzo di mercato ... p.73 3.2.2. La cartolarizzazione dei crediti deteriorati ... p.75
3.2.2.1.Recenti modifiche alla legge n.130/1999 sulle
cartolarizzazioni ... p.79 3.2.2.2.L’introduzione di un sistema di garanzia statale sulla
cartolarizzazione dei crediti deteriorati (GACS) ... p.81 3.3. La gestione interna degli NPL ... p.85 3.3.1. I tempi di recupero: aspetti critici del caso italiano ... p.88
3.3.1.1. Le novità apportate dai recenti interventi normativi per accelerare il processo di recupero dei crediti ... p.90 3.3.2. Il miglioramento della base informativa ... p.96 3.3.3. I cambiamenti nell’assetto organizzativo delle banche ... p.98 3.3.4. L’ultima proposta dell’EBA: la costituzione di una
European Asset Management Company ... p.100
CAPITOLO 4
LE STRATEGIE DELLE BANCHE ITALIANE:
ALCUNI ESEMPI ... ... p.104
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4.2. La combinazione di più operazioni: il recente accordo
Intesa Sanpaolo-Intrum ... p.114 4.3. L’operazione di cessione al mercato attraverso la
cartolarizzazione ... p.120
CONCLUSIONI ... p.124 BIBLIOGRAFIA ... p.127
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INTRODUZIONE
La crisi economico-finanziaria che ha colpito il continente europeo ha procurato danni ai sistemi finanziari e all’economia reale di tutti i paesi, seppur con intensità differenti, ed ha compromesso la stabilità del sistema bancario europeo. La qualità del portafoglio prestiti degli intermediari bancari è andata via via peggiorando e i loro attivi sono diventati più rischiosi a causa dell’incapacità delle controparti, soprattutto corporate, di far fronte ai loro impegni di pagamento.
L’incidenza dei non-performing loans nei bilanci bancari è cresciuta notevolmente nel corso degli ultimi anni, con tragiche conseguenze sia a livello di singole banche, dato l’impatto che questi hanno sul piano reddituale e sotto il profilo patrimoniale, sia per i soggetti economici che risentono del blocco nell’erogazione di nuovo credito all’economia reale che ostacola la ripresa degli investimenti e la crescita nell’Eurozona.
Date le gravi conseguenze che il fenomeno dei crediti deteriorati ha sull’economia, la questione è oggi particolarmente attuale e centrale nel dibattito sui problemi del sistema bancario europeo. Il tema viene trattato a livello europeo anche se alcuni Stati Membri, tra cui l’Italia, ne hanno risentito in modo più grave e pesante a fronte di caratteristiche specifiche interne al singolo paese. Il livello dei non-performing loans, infatti, è legato sia ad aspetti regolamentari e di supervisione che sono stati armonizzati negli ultimi anni, sia a dinamiche prettamente nazionali legate al sistema legale e giudiziario e alla normativa fiscale vigente. Perciò, in questo elaborato la tematica è stata trattata dapprima in una dimensione europea, ed in seguito ci si è focalizzati sulle motivazioni che hanno causato un impatto notevole nel nostro paese e sulla sua attuale situazione.
Non rientra tra gli obiettivi del lavoro l’analisi della crisi e le sue determinanti, anche se i bilanci delle banche riflettono ciò che la grande crisi finanziaria globale ha portato con sé ed oggi l’andamento dei crediti deteriorati ci
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racconta i danni che questa ha provocato a seguito delle turbolenze innescatesi sui mercati finanziari internazionali.
Nel primo capitolo si è descritta l’evoluzione del deterioramento della qualità del credito riassumendo brevemente la crisi dei mutui subprime scatenatasi nel mercato statunitense nel 2007 e la crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Europa nel 2010. Queste sono considerate come la causa principale del peggioramento della qualità degli attivi bancari, unitamente a gestioni poco professionali e poco virtuose che hanno interessato numerosi istituti di credito. Il problema è stato poi inquadrato in termini quantitativi fornendo alcuni dati recenti che danno al lettore la misura dell’attuale rischiosità delle banche europee.
Il secondo capitolo indaga i provvedimenti adottati a livello di vigilanza per fronteggiare la situazione di emergenza presentatasi; in particolare si è operata una distinzione tra quelli intrapresi a livello europeo dai diversi istituti e quelli adottati a livello nazionale dalla Banca d’Italia. L’azione europea ha visto protagonisti diversi attori: la European Banking Authority ha provveduto ad armonizzare i criteri di definizione dei non-performing loans; la Banca Centrale Europea, nel suo ruolo di autorità di vigilanza ha fornito una serie di “best practices” per quanto riguarda la gestione interna dei crediti anomali (Linee Guida) e le proprie aspettative in materia di accantonamenti e cancellazioni (Addendum); la Commissione Europea è intervenuta con un articolato pacchetto di misure per fornire strumenti utili agli intermediari per far fronte al problema. Su scala nazionale la Banca d’Italia ha recepito le modifiche effettuate nell’Unione, armonizzando le proprie norme.
L’indagine dell’elaborato prosegue con le diverse alternative gestionali a disposizione degli intermediari bancari per risanare i loro bilanci e poter così riprendere a finanziare l’economia reale. Si presentano ad essi due opzioni, non necessariamente alternative bensì complementari, in funzione delle caratteristiche dell’istituto e del portafoglio di crediti deteriorati: la cessione al
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mercato oppure il mantenimento in bilancio e la gestione interna. Con riferimento alla prima soluzione, vengono illustrate le difficoltà italiane allo sviluppo di un mercato secondario degli NPL, rappresentate principalmente dall’esistenza di un notevole pricing gap dovuto a tempi di recupero dei crediti troppo lunghi e alla scarsa qualità e quantità di informazioni a disposizione per effettuare una valutazione; vengono poi descritte alcune soluzioni come l’introduzione della GACS e la costituzione di Asset Management Company. Per quanto riguarda la gestione interna, che è attualmente la soluzione maggiormente caldeggiata ed incoraggiata dalle autorità europee, gioca un ruolo fondamentale, anche in questo caso, la lunghezza dei tempi di recupero, tant’è che il legislatore italiano è più volte intervenuto per porre rimedio a questo aspetto, e i cambiamenti necessari nell’assetto organizzativo degli intermediari.
Il capitolo quarto fornisce un’analisi delle soluzioni strategiche adottate da alcune tra le principali banche italiane, descrivendo sia dei casi in cui si è optato per meccanismi di gestione interna, sia di grandi operazioni di cessione al mercato attraverso cartolarizzazioni, sia di casi in cui si è scelto di creare la giusta commistione tra le varie azioni.
Scopo del lavoro è stato, quindi, quello di far comprendere come l’enorme ammontare di non-performing loans grava sul sistema bancario ed economico e di approfondire quali sono gli strumenti forniti dai regulators europei e nazionali per fronteggiare la situazione, nonché le proposte ancora in corso di elaborazione. Con riferimento all’Italia sono state descritte nel dettaglio le azioni adottate a fronte delle peculiarità e delle necessità specifiche del nostro paese. Infine, si è fornita una panoramica delle soluzioni gestionali che i singoli intermediari sono chiamati ad implementare per smaltire i crediti anomali dai loro bilanci, ricercando anche le implicazioni sia positive che negative che queste comportano e fornendo esempi di casi italiani.
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CAPITOLO 1
IL DETERIORAMENTO DELLA QUALITÀ DEL
CREDITO IN EUROPA
SOMMARIO: 1.1. Le origini della crisi finanziaria globale – 1.2. L’impatto delle gestioni poco virtuose sul deterioramento della qualità del credito – 1.3. Le conseguenze della crisi per famiglie e imprese – 1.3.1. La debolezza della risposta del settore produttivo alle sfide degli ultimi anni – 1.4. Le conseguenze per le banche: deterioramento del credito – 1.5. La rischiosità delle banche: gli ultimi dati dell’EBA
1.1. Le origini della crisi finanziaria globale
La crisi finanziaria globale, propagatasi a partire dall’estate 2007 dal mercato statunitense, è senza dubbio la peggiore che i mercati finanziari e l’economia globale abbiano dovuto affrontare dalla grande depressione degli anni Trenta del secolo scorso. La gravità di questa crisi è in larga parte ascrivibile alla sua profondità e alla sua estensione; una serie di fattori, che andremo ad analizzare nel prosieguo del lavoro, hanno di fatto gettato l’economia mondiale in una crisi di fiducia sui mercati finanziari prima, ed in una difficile recessione economica poi, che perdura ormai da più di un decennio. Tutto ciò è stato maggiormente acuito dalla diffusione e dall’estensione della crisi stessa, che ha interessato tutti i paesi del mondo, seppur con intensità e modalità varie dovute alle differenti caratteristiche dei loro tessuti economici, sociali e politici. L’effetto contagio è stato la conseguenza del processo di globalizzazione e di telematizzazione dei mercati, che fa sì che gli effetti prodotti anche da un singolo fattore di cambiamento in una piazza finanziaria si diffondano a livello internazionale e con molta rapidità.
La gravità della crisi è da collegare anche all’aumento della complessità e della rischiosità dei mercati finanziari, dovuto ad un intenso processo di innovazione finanziaria che ha favorito il diffondersi di modelli di business bancario basati sull’investment banking, con una operatività troppo spesso legata
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a strumenti finanziari piuttosto rischiosi come i derivati e con un eccessivo ricorso ad operazioni di securitization. Non sono mancate le responsabilità di forme di controllo e di vigilanza non adeguate al mutamento del contesto e dell’operatività, che hanno sottovalutato i rischi sistemici che ne sono scaturiti1.
L’indebolimento dell’economia e del settore bancario muovono i loro primi passi dallo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti nell’agosto del 2007: la politica monetaria fortemente espansiva degli anni precedenti aveva fatto scendere i tassi di riferimento a livelli estremamente bassi. Questo ha incoraggiato le famiglie americane all’indebitamento per l’acquisto di immobili, facilitato dalla crescita del valore di questi ultimi sul mercato immobiliare. Complice di questo perverso meccanismo è stato il passaggio di molte banche da un modello di business originate to hold, in cui la banca detiene il credito fino alla scadenza e ne gestisce internamente il rischio, ad uno originate to distribute, in cui l’originator cede in breve tempo il credito sul mercato attraverso operazioni di cartolarizzazione. Il meccanismo delle cartolarizzazioni ha portato alla riduzione degli standard creditizi, in quanto nel nuovo modello di business venivano meno gli incentivi ad effettuare un adeguato screening nella fase iniziale di selezione dei prenditori, e di monitoring durante tutta la vita del credito. Il risultato è stato quello di finanziare soggetti con capacità di rimborso molto basse, cioè i cosiddetti clienti sub prime, la cui solvibilità era scarsissima. Inoltre, i titoli frutto di cartolarizzazione iniziavano a riempire anche i bilanci degli intermediari finanziari, che quindi accumulavano nei loro attivi titoli di cui non conoscevano il rischio, complice una forte deregulation, di fatto una vera e propria mancanza di vigilanza da parte delle autorità di riferimento. Con lo scoppio della bolla gli immobili che garantivano i mutui erogati iniziavano a ridurre drasticamente il loro valore e il progressivo aumento dei tassi di interesse faceva registrare tassi di default in continua
1 M. C. QUIRICI, Dalla crisi finanziaria alle opportunità della finanza etica, contributo in volume “Studi in memoria di Tommaso Fanfani”
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crescita. Queste difficoltà si riflettevano ben presto sui mercati finanziari, in quanto molti dei mutui insolventi costituivano il flusso di pagamenti delle obbligazioni CDO (collateralized debt obligations) sottoscritte da investitori istituzionali. I mercati internazionali erano nel panico, anche il mercato interbancario si era bloccato, mosso dalla difficoltà di capire che tipo di titoli le banche avevano effettivamente in portafoglio e che rischio questi incorporavano. I problemi sull’interbancario contagiavano anche le banche commerciali, dato che le controparti diventavano sempre più riluttanti a dare liquidità. La situazione culminava con il fallimento di una delle più grandi banche d’investimento americane, la Lehman Brothers che, particolarmente esposta sul mercato immobiliare, a settembre 2008 venne lasciata fallire senza che né la FED né il governo intervenissero per salvarla, costretta quindi a dichiarare la più grande bancarotta della storia. La crisi colpiva ben presto e in modo significativo anche il sistema finanziario europeo, costringendo i governi e le banche centrali ad adottare soluzioni di emergenza: in molti paesi del Nord Europa, tra cui Gran Bretagna, Islanda, Irlanda e Germania, venivano nazionalizzate numerose banche in difficoltà e venivano concesse forme di garanzia su depositi e obbligazioni bancarie. Il coordinamento a livello internazionale delle politiche economiche in risposta alla situazione limitava i danni, pur lasciando delle conseguenze: in Italia tra il primo trimestre del 2008 e il secondo del 2009 il PIL era sceso quasi di 8 punti percentuali, 3 punti in più rispetto alla media del resto dell’area dell’euro. Il nostro settore bancario ne usciva però meglio rispetto a quello di altri paesi europei in cui si rendevano necessari interventi pubblici di entità considerevole. Il motivo è da ricercare nella vocazione all’attività tradizionale delle nostre banche, prevalentemente orientata all’intermediazione del risparmio delle famiglie e al sostegno finanziario alle imprese. Questo, se da una parte ha consentito di risentire in misura ridotta di questa crisi, si è poi rivelato uno dei motivi principali del progressivo peggioramento della qualità
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del credito quando i tassi di default delle imprese italiane sono drasticamente aumentati a seguito del lungo periodo di recessione economica2.
A partire dalla seconda metà del 2009 iniziava una decisa ripresa a livello globale, che veniva interrotta però in Europa dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani, alla fine del 2010, nel momento in cui emergevano le reali condizioni dei conti pubblici della Grecia. In Italia gli effetti di questa seconda crisi sono stati ben più gravi della media degli altri paesi europei: tra il secondo trimestre del 2011 e il primo del 2013 il PIL era sceso di oltre 5 punti percentuali nel nostro paese, di appena 1 nel resto dell’area dell’euro3.
L’impatto più forte della crisi finanziaria sul sistema bancario europeo ed italiano è dovuto al peggioramento della qualità del credito che ha interessato tutti i settori e che ha provocato un forte aumento dei tassi di deterioramento dei prestiti bancari. La relazione tra l’andamento della congiuntura economica e la qualità dell’attivo delle banche è sostanziale, come dimostrano diversi lavori di ricerca4 che indicano proprio la sfavorevole evoluzione del quadro macroeconomico come principale causa del deterioramento del credito.
La doppia recessione costituisce la peggiore crisi economica in Italia, come più volte ribadito dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che nelle sue Considerazione Finali relative all’anno 2016 riporta dei dati piuttosto significativi, illustrati anche nella Figura 1: “dal 2007 al 2013 il PIL è diminuito
del 9 per cento; la produzione industriale di quasi un quarto; gli investimenti del 30 per
2 V. D’APICE E G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Bari, Carocci, 2009
3 I. VISCO, Banche e finanza dopo la crisi: lezioni e sfide, Lectio magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Università degli studi di Roma “Tor Vergata” Cerimonia inaugurale delle celebrazioni per il Trentennale della Facoltà di Economia, Roma, 16 aprile 2018
4A. NOTARPIETRO, L. RODANO, The evolution of bad debt in Italy during the global financial crisis and the sovereign debt crisis: a counterfactual analysis, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 350,
2016, e U. ALBERTAZZI, A. NOTARPIETRO, S. SIVIERO, An inquiry into the determinants of the
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cento; i consumi dell’8. Ancora oggi nel nostro paese il prodotto è inferiore di oltre il 7 per cento al livello di inizio 2008; nel resto dell’area lo supera del 5” 5.
Figura 1: Andamento del Pil in Italia durante gli anni della grande depressione e durante la recente grande
recessione. Fonte: Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale anno 2016
L’analisi delle origini e delle motivazioni alla base delle crisi qui descritte serve per poter spiegare come queste abbiano impattato dapprima sul sistema finanziario, e come ciò si sia ripercosso sull’economia reale attraverso gli intermediari bancari, la cui attività cardine è quella di intermediazione tra soggetti in surplus e soggetti in deficit, sostenendo in questo modo lo sviluppo della produttività e dell’intero sistema economico. La pesante eredità lasciata dalla crisi finanziaria, assieme ad una serie di altre motivazioni che analizzerò qui di seguito, ha fatto quindi nascere l’interesse verso i crediti deteriorati e soprattutto verso la ricerca di una loro migliore gestione e smaltimento, considerati dai regulators, dalle autorità di vigilanza e da tutta la comunità finanziaria come una delle principali sfide attuali e prospettiche per le banche.
5 BANCA D’ITALIA, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale anno 2016, Roma, 31 maggio 2017
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1.2. L’impatto delle gestioni poco virtuose sul deterioramento della qualità del credito
Seppur la crisi abbia avuto, come visto, dimensioni e impatto di portata eccezionale, non sarebbe esatto attribuire le responsabilità dell’attuale problema dei crediti bancari deteriorati esclusivamente ad essa. È vero, infatti, che un più oculato e tempestivo atteggiamento nei confronti delle perdite su crediti avrebbe sicuramente limitato le pesanti conseguenze della crisi, atteso che le “sofferenze” non si manifestano d’improvviso. La situazione attuale è anche la conseguenza di gestioni poco virtuose e poco professionali, soprattutto nelle banche che presentano le situazioni più critiche.
Con queste premesse assume inevitabilmente rilevanza l’assetto organizzativo della banca, non senza la professionalità e l’indipendenza dei manager al suo vertice. È sicuramente mancata, in alcuni casi, l’azione incisiva del Consiglio di Amministrazione nell’affrontare i problemi gestionali; molto spesso, per convenienza, il board ha approvato le scelte di Amministratori Delegati o di Direttori Generali senza verificare e controllare adeguatamente che le loro azioni riflettessero il vero interesse della banca e dei suoi stakeholders. Il top management in questi casi ha tardato nel riconoscere le perdite su crediti e la loro classificazione tra i crediti in deterioramento è stata sicuramente poco tempestiva. In questo ambito è di fondamentale importanza assicurare la professionalità e l’indipendenza dei manager posti al vertice dell’organigramma, oltre che la chiara definizione di strutture e ruoli ai quali competono le responsabilità della gestione dell’intermediario. Fondamentali sono poi le strutture di controllo (audit, risk e compliance), che assumono primaria rilevanza nel governo della banca e che richiedono quindi requisiti imprescindibili di indipendenza e competenza professionale.
Sono state spesso violate anche le più elementari norme di valutazione, concessione e gestione del credito. Per contenere la rischiosità dei crediti erogati è indispensabile che la banca raccolga una serie di dettagliate
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informazioni e indicazioni sul cliente, tali che al momento della formulazione del parere l’organo preposto abbia una chiara visione della dimensione attuale e prospettica del rischio che la banca si sta assumendo con l’operazione. Sono sicuramenti utili in tal senso analisi del settore di attività del cliente, un’adeguata valutazione delle garanzie prestate e di un corretto rapporto tra credito a breve e a medio-lungo termine, nonché la reale capacità di generare cash flow attraverso l’attività imprenditoriale. Di fondamentale importanza è il rispetto dell’iter formale di concessione del credito che non deve esaurirsi nel momento dell’erogazione, ma che deve affiancarsi ad una fase di monitoraggio durante tutta la vita del credito stesso. È indispensabile quindi che tutti i finanziamenti, indifferentemente dalla forma tecnica, siano gestiti nel continuo, monitorando l’operatività del cliente ma anche verificando l’andamento del settore di riferimento e con periodiche revisioni della pratica. In questo modo è possibile riconoscere con anticipo e contenere l’impatto di crisi, limitando il ricorso a rettifiche di valore delle singole posizioni a beneficio della situazione di conto economico. In un periodo di tassi bassi come quello attuale che perdura ormai da anni, i margini sono sempre più compromessi; se a ciò si aggiunge la necessità di rettificare il valore dei crediti per importi rilevanti, ne risulta una redditività in forte flessione, in molti casi addirittura negativa. Per questo il management, al fine di conseguire risultati sufficienti a consentire l’erogazione annua di dividendi agli azionisti, ha fatto spesso leva sulla concessione di nuovi prestiti, con tassi molto poco remunerativi e senza un’adeguata valutazione dei rischi, che sono poi sfociati in situazioni di crisi non sostenibili comportando commissariamenti e risoluzioni per gli istituti stessi6. Il top management ha troppo spesso pensato di superare la suddetta situazione ritardando le perdite emergenti e non classificando i crediti in deterioramento come tali in modo tempestivo.
6 G. GRASSANO, Prevenzione e gestione interna dei crediti deteriorati, in “I crediti deteriorati nelle banche italiane” a cura di F. Cesarini, Giappichelli Editore, 2017
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La mancanza di tempestività è stata in parte attribuita anche agli standard contabili. Il modello di impairment adottato dallo IAS 39 stima le Loan Loss
Provisions (LLP), ovvero gli accantonamenti per perdite su crediti, con un
approccio incurred loss (perdita subita) che conduce a riconoscere una perdita su crediti solo se eventi nuovi già manifestatisi danno evidenza dell’incapacità del debitore di restituire i flussi di cassa, in una logica backward looking. Con la revisione che lo IASB ha condotto negli ultimi anni si è giunti alla sostituzione dello IAS 39 con l’IFRS 9, entrato in vigore dal 1° gennaio 2018. L’IFRS 9 adotta un approccio alla stima delle LLP di tipo expected credit loss che, essendo imperniato su una logica forward looking, conduce a riconoscere un accantonamento non solo per una perdita subita ma anche per una perdita attesa, consentendo di superare la mancanza di tempestività precedente7. Da queste brevi considerazioni si evince come i conti economici delle banche non possano prescindere da un’attenta e professionale gestione dei loro attivi patrimoniali, passando attraverso un rinnovamento del business model che deve perseguire l’obiettivo di liberare questi ultimi dai non performing loans.
1.3. Le conseguenze della crisi per famiglie e imprese
L’economia dell’area dell’euro e dell’Italia è appesantita dalle conseguenze di un decennio segnato dalle due gravi recessioni di cui si è già parlato. Queste conseguenze sono state particolarmente pesanti per le famiglie, i cui redditi, nella fase più acuta della recessione (nel 2008-09), sono scesi del 4% a fronte di una riduzione del PIL del 6%. Nella maggior parte dei paesi avanzati, invece, il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto nonostante la contrazione del PIL: in Francia a fronte di un calo del PIL prossimo al 3% si è associato un incremento delle entrate familiari quasi del 2%; in Germania il PIL si è ridotto del 4% ma i redditi delle famiglie sono saliti di circa mezzo
7 A. LIONZO, L’impairment dei crediti nelle banche, in “I crediti deteriorati nelle banche italiane” a cura di F. Cesarini, Giappichelli Editore, 2017
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punto percentuale; nel Regno Unito e in Svezia la diminuzione del PIL ha superato il 5% ma il reddito delle famiglie è incrementato rispettivamente del 2 e del 5%. Queste diverse dinamiche tra i paesi riflettono soprattutto l’aumento dei trasferimenti sociali e la riduzione dei pagamenti per le imposte tipici dei periodi di crisi ma che in Italia sono limitate dall’esigenza di impedire un drastico peggioramento dei conti pubblici. La mancanza di una politica fiscale comune e l’assenza di sovranità sulla politica monetaria e di cambio, ha fatto quindi sì che gli Stati europei, caratterizzati da strutture economiche eterogenee, reagissero in maniera diversa e questo ha finito per aumentare le differenze tra essi creando di fatto situazioni di forti vantaggi per alcuni e di sofferenza per altri8.
I dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 20129 mostrano che tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio è calato in termini nominali del 7,3%. L’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2014 mostra come il reddito familiare medio ha arrestato tra il 2012 e il 2014 il suo calo10. I dati più recenti, pubblicati il 12 marzo 2018 e riferiti all’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2016, mostrano invece un reddito familiare medio in aumento del 3,5% rispetto a quello rilevato nella precedente indagine riferita al 2014, dopo essere continuamente calato dal 2006.
La Banca d’Italia illustra una ritrovata solidità finanziaria delle famiglie italiane, rafforzata dai bassi livelli dei tassi d’interesse e dall’aumento del reddito disponibile, a cui si collega l’aumento della capacità di rimborso dei crediti11. Questi dati sono confermati da quelli più recenti12, secondo cui la situazione finanziaria delle famiglie rimane solida e anche il debito si mantiene stabile in rapporto al reddito disponibile e su livelli molto contenuti nel confronto internazionale, come è possibile vedere in Figura 2.
8 A. M. TARANTOLA, Le famiglie italiane nella crisi, convegno "La famiglia un pilastro per
l'economia del Paese", Genova, 4 aprile 2012
9 BANCA D’ITALIA, I bilanci delle famiglie italiane nell'anno 2012, n. 5 – 2014, 27 gennaio 2014 10 BANCA D’ITALIA, I bilanci delle famiglie italiane nell'anno 2014, n. 64 - 2015, 3 dicembre 2015 11 BANCA D’ITALIA, Rapporto sulla stabilità finanziaria, novembre 2017
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Figura 2: Indicatore delle condizioni di indebitamento delle famiglie (debiti finanziari in rapporto al reddito
disponibile lordo): confronto tra Paesi. Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, aprile 2018
Anche il tasso d’insolvenza è stabile e tocca il livello minimo che è possibile osservare da 10 anni a questa parte, sia per il credito al consumo che per altri tipi di finanziamento.
Il lascito della lunga recessione economica, che dal 2008 si è protratta ininterrottamente fino alla fine del 2013, è stato ugualmente pesante anche per le imprese. Molte di esse hanno saputo difendere le loro quote sui mercati esteri ma la caduta dell’attività interna è stata drammatica: la produzione industriale si è ridotta di un quarto, nell’ultimo trimestre del 2013 i consumi delle famiglie erano inferiori dell’8% rispetto ai livelli di fine 2007 e la perdita di capacità produttiva nell’industria era del 15%13. Solo nel 2015 l’economia italiana è tornata a crescere dall’avvio della crisi dei debiti sovrani, pur rimanendo lontana dai livelli precrisi.
La situazione attuale mostra dei timidi ma costanti segnali di miglioramento: Banca d’Italia14 registra un aumento della redditività per le imprese che si estende in tutti i settori produttivi, portando ad un aumento della capacità delle imprese di rimborsare i debiti e di finanziare gli investimenti con capitale
13 BANCA D’ITALIA, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale anno 2016, Roma, 31 maggio 2017
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proprio. La capacità di rimborso dei prestiti da parte delle imprese italiane è notevolmente migliorata dal momento di uscita dalla fase di recessione economica: tra la fine del 2013 e il luglio del 2017 la probabilità mediana di insolvenza ad un anno è passata dal 2,5 all’1%, come si vede dal seguente grafico.
Figura 3: Probabilità di insolvenza delle imprese. Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria,
novembre 2017
I dati più recenti della Banca d’Italia15 confermano il consolidamento della ripresa per quanto concerne le imprese italiane, che stanno riuscendo a migliorare la redditività e ad attenuare quindi la loro vulnerabilità: questo contribuisce al loro rafforzamento patrimoniale.
Nonostante quindi la profonda recessione economica scaturita dalla crisi abbia avuto effetti devastanti per il tessuto produttivo e industriale, negli ultimi anni i dati sulla situazione economico-finanziaria delle imprese italiane e sulla loro vulnerabilità mostrano un costante miglioramento che si riflette sulla loro solidità e quindi sulla capacità di far fronte ai propri impegni finanziari.
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1.3.1. La debolezza della risposta del settore produttivo alle sfide degli ultimi anni
Nell’analisi dei fattori alla base di una così profonda ed estesa fase recessiva bisogna richiamare il ruolo giocato dalla debolezza e dal ritardo con cui l’Italia ed il suo settore produttivo hanno risposto ai grandi cambiamenti intervenuti negli ultimi venticinque anni. Proprio per le debolezze strutturali preesistenti, la grande recessione è stata più lunga e più intensa nel nostro paese in confronto alle altre economie dell’area dell’euro. Nel periodo compreso tra il 1995 e il 2016 la performance dell’economia italiana è stata molto debole, sia se considerata storicamente, sia in relazione a quella di altri paesi europei: la crescita del PIL è stata in media pari allo 0,5% annuo, supportata fortemente dalle dinamiche d’immigrazione, contro l’1,3 della Germania, l’1,5 della Francia e il 2,1 della Spagna16.
Il gap negativo nel tasso di crescita della produttività non ha interessato solo il periodo post crisi, ma anche quello precrisi (1995-2007). Quest’ultimo è infatti conosciuto come il “decennio perduto”: le finanze pubbliche hanno attraversato una fase di deterioramento e le azioni politiche hanno fallito nel loro compito di affrontare i problemi strutturali che interessavano il tessuto produttivo. In particolare, i problemi strutturali che affliggevano, ed in parte affliggono tuttora il comparto produttivo sono riconducibili a:
• eterogeneità delle imprese all’interno di uno stesso settore, più che tra settori differenti. Da una parte troviamo micro e piccole imprese, esistenti da molti anni, con una scarsa attitudine all’innovazione, all’introduzione delle nuove tecnologie che si si sono fatte spazio nell’ultimo ventennio, all’internazionalizzazione e all’investimento in R&D e con una struttura finanziaria piuttosto debole. Queste sono le
16 M. BUGAMELLI, F. LOTTI, M. AMICI, E. CIAPANNA, F. COLONNA, F. D’AMURI, S. GIACOMELLI, A. LINARELLO, F. MANARESI, G. PALUMBO, F. SCOCCIANTI, E. SETTE, Productivity growth in Italy: a tale of a slow-motion change, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza n.422, gennaio 2018
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più numerose e quelle che sono state più duramente colpite dalla recessione proprio a causa di queste caratteristiche. Dall’altro abbiamo una piccola percentuale di imprese medio-grandi che per efficienza, performance e strategie reggono il confronto con le altre realtà europee e che sono state in grado di affrontare e reagire alla fase recessiva, grazie alla loro capacità di adattarsi ai numerosi cambiamenti intervenuti in ambito tecnologico, di miglioramento della qualità dei prodotti e con una struttura finanziaria che meglio si è prestata ad essere finanziata da fonti alternative al canale bancario;
• investimenti in capitale umano piuttosto scarsi, con scarsi incentivi alla formazione delle risorse umane che si ripercuotono in termini di efficienza. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sottolinea:
“La bassa produttività e l’insufficiente capacità di innovare riflettono anche il ritardo in termini di conoscenza e di competenze degli studenti e degli adulti italiani nel confronto internazionale, concorrendo allo stesso tempo a determinarlo. […] La questione della qualità del capitale umano assume particolare rilevanza nella prospettiva di una crescente diffusione delle nuove tecnologie e della conseguente minore domanda di lavoro per attività standardizzate e ripetitive. […] comprendere tutti l’importanza di una formazione che abbracci, oltre agli anni dell’istruzione, l’intera vita lavorativa costituisce una sfida cruciale per il nostro paese.17”;
• struttura proprietaria chiusa, in cui proprietà e management provengono dallo stesso nucleo familiare: è stato dimostrato come questo sia associato a peggiori strategie manageriali e ad una più bassa propensione all’innovazione e all’internazionalizzazione, con inevitabili ripercussioni in termini di performance;
• eccessiva dipendenza dal credito bancario: il credit crunch avvenuto durante la recessione ha perciò penalizzato le imprese in termini di potenziale di crescita, di sviluppo e di efficienza. Questo è dovuto
17 BANCA D’ITALIA, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale anno 2017, Roma, 29 maggio 2018
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anche allo scarsissimo sviluppo di fonti di finanziamento alternative quali venture capital e private equity e ad un poco sviluppato mercato dei capitali;
• ostacoli regolamentari allo sviluppo di start-up, rappresentati da lungaggini procedurali che rallentano e talvolta impediscono l’innovazione e la crescita dimensionale, con ripercussioni sulla produttività. A questo si aggiungono le difficoltà di un mercato del lavoro molto poco flessibile.
Questi sono solo alcuni degli elementi che hanno trattenuto lo sviluppo del settore produttivo italiano e che è necessario migliorare ed implementare. Abbiamo una forte resistenza a comprendere la fondamentale importanza dell’investimento per il futuro e a migliorare le condizioni per fare impresa e per far crescere nuove imprese. Il potenziale di miglioramento in Italia è molto ampio quindi occorre rimuovere vincoli e rigidità che hanno per troppi anni agito da zavorra alla nostra economia amplificando le conseguenze negative della crisi. Questo è possibile attraverso azioni che favoriscano ed accelerino l’adozione di nuove tecnologie digitali, colmando i gap di produttività in molti settori e migliorando la rete di infrastrutture sia materiali che immateriali.
1.4. Le conseguenze per le banche: deterioramento del credito
La recessione che ha investito l’area dell’euro non ha fatto che peggiorare le situazioni degli istituti bancari, data la correlazione sostanziale tra andamento macroeconomico e qualità dei loro attivi: a seguito della crisi economica e del peggioramento della situazione finanziaria di famiglie ed imprese, queste ultime hanno iniziato ad avere difficoltà nel rimborsare i finanziamenti ricevuti dalle banche. Con il protrarsi della fase recessiva queste difficoltà sono diventate sempre più numerose e la congiuntura economica negativa è andata
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ad incidere sulla qualità del credito, determinando un aumento del rischio di default nei portafogli prestiti degli intermediari.
I crediti inesigibili delle banche sono aumentati fino a toccare livelli record ed hanno interessato non soltanto l’Italia, dove i bilanci bancari sono appesantiti da oltre 338 miliardi di crediti deteriorati, ma tutti i paesi dell’Eurozona, seppur con intensità e modalità differenti.
La tematica dei non performing loans è divenuta di cruciale importanza e si è posta al centro dei problemi UE dal 2010, quando tra gli operatori si diffondeva l’allarme sugli effetti che questi avrebbero potuto scatenare: il fenomeno aveva ormai assunto delle dimensioni tali da incidere non più soltanto a livello microeconomico sui singoli intermediari, ma anche a livello macro sull’intero sistema economico. A livello micro gli NPL producono un impatto economico negativo non solo data la necessità di aumentare gli accantonamenti e l’ammontare di capitale di vigilanza, ma determinando anche un aumento dei costi gestionali ed organizzativi legati alle funzioni preposte al loro processo di recupero. A livello macro, l’aumento del rischio di credito da dover fronteggiare necessita di maggiori accantonamenti di capitale: la conseguenza diretta è il credit crunch, cioè il blocco dell’erogazione di nuovo credito a famiglie ed imprese, e quindi il venir meno del sostegno delle banche all’economia reale.
Pur avendo portata europea, il fenomeno dei crediti deteriorati ha avuto evoluzione disomogenea tra i vari Stati, con alcuni sistemi bancari in cui l’incidenza degli NPL è stata contenuta ed altri che hanno visto deteriorarsi in modo consistente le posizioni del loro attivo. I Paesi più colpiti sono Cipro, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Slovenia, come illustrato dal grafico in Figura 4: questi hanno registrato un rapporto “Non performing loans for total
On-balance loans”18 di molto superiore rispetto alla media europea pari al 5,7%.19
18 Calcolato come rapporto tra l’ammontare di non performing loans e il totale dei crediti
19 EUROPEAN BANKING AUTHORITY, Eba report on the dynamics and drivers of non-performing
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Figura 4: Non‐performing loans and forborne loans for total On‐balance loans and advances per country of
origin of the bank (March 2016). Fonte: EBA report on the dynamics and drivers of non-performing exposures in the EU banking sector
L’Irlanda ha avuto forti ripercussioni soprattutto per i mutui residenziali e per i finanziamenti al settore delle costruzioni che hanno risentito del crollo del mercato immobiliare; la Grecia affronta le drammatiche conseguenze di una recessione economica che non accenna ad arrestarsi, acutizzata da una forte deflazione; per l’Italia le motivazioni sono diverse. A partire dal 2008-2009 i crediti deteriorati sono cresciuti al ritmo record di 50 miliardi di euro all’anno, anche a causa dell’atteggiamento delle banche che si sono mostrate restie a registrare le perdite, preferendo attendere e rinviare il problema, forse sperando in una ripresa dell’economia che però non si è materializzata in tutti i paesi, tra cui l’Italia.
La graduale ripresa economica iniziata a partire dal 2015 ha iniziato a dispiegare i suoi, seppur moderati, effetti sui crediti deteriorati con risultati diversi. In Francia gli NPL sono elevati in valore assoluto ma la loro incidenza sui crediti totali si attesta intorno al 4% (in Italia 17% al luglio 2016); in Spagna, a seguito della buona ripresa dell’economia e dell’elevata crescita di
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nuovi prestiti la percentuale che esprime l’NPL ratio sta progressivamente calando; in Grecia si registra ancora un valore pari al 35%. L’eccezione più significativa è rappresentata dalla Germania, in cui la tendenza del fenomeno è stata diversa: il sistema bancario tedesco ha realizzato una riduzione dei crediti deteriorati pari a più di un terzo della complessiva pulizia dell’Eurozona, con un NPL ratio oggi del tutto trascurabile (poco più del 2%). Se raggruppati per settore, i crediti non performing mostrano tendenze diverse tra paesi centrali e paesi periferici, soprattutto del sud Europa: in Francia e in Germania circa il 50% degli NPL riguarda il settore manifatturiero, la restante metà le famiglie: nelle economie periferiche, soprattutto Italia e Grecia, quasi tre quarti dei crediti deteriorati sono stati concessi a piccole e medie imprese, la maggior parte delle quali praticamente spazzate via dalla crisi20.
Il sistema bancario italiano eroga prestiti prevalentemente alle piccole-medio imprese che costituiscono il tessuto produttivo del paese, ed è per questo che ha risentito più di altre banche europee della crisi. Infatti, il credit crunch con cui le banche hanno risposto alla prima difficile fase recessiva per far fronte alle carenze di capitale, insieme alle risorse necessarie alla gestione dei primi flussi di crediti non performing, hanno provocato un’ulteriore diminuzione dei nuovi prestiti concessi, soprattutto alle imprese, contribuendo così ad aggravare la situazione economica. A peggiorare una situazione già difficile ha concorso il funzionamento del sistema giudiziario italiano: i crediti deteriorati pesano nei bilanci bancari per periodi più lunghi rispetto a quanto accade nel resto d’Europa (in media intorno ai 6 anni) a causa di lente procedure di recupero crediti. Si è recentemente cercato di arginare questo problema con due interventi legislativi21, i cui benefici saranno però visibili nel medio-lungo termine.
20M. MINENNA, Il problema dei crediti deteriorati italiani e l’ Europa, in “Social Europe”, 30 settembre
2016
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Banca d’Italia fornisce dati di una situazione in lento miglioramento: “i nuovi
crediti deteriorati, in rapporto al totale dei prestiti, sono tornati sui livelli precedenti la crisi finanziaria; le operazioni di cessione di sofferenze effettuate da diversi intermediari hanno determinato un miglioramento della qualità degli attivi22” (vedi Figura 5). Tale risultato è stato conseguito grazie alle ingenti operazioni di cessione dei prestiti in sofferenza da parte di numerosi intermediari nel secondo semestre del 2017.
Figura 5: Andamento dei crediti deteriorati in Italia (aprile 2018). Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla
stabilità finanziaria, aprile 2018
1.5. La rischiosità delle banche: gli ultimi dati dell’EBA
Alcune importanti informazioni sulla rischiosità dei sistemi bancari europei provengono dal Risk Assessment Report23, frutto dell’analisi e dello studio condotti dalla European Banking Authority, il più recente dei quali è stato pubblicato nel novembre 2017.
I settori bancari europei hanno mostrato nell’ultimo anno la loro resilienza, grazie ad una situazione macroeconomica e finanziaria più favorevole rispetto
22 BANCA D’ITALIA, Rapporto sulla stabilità finanziaria, aprile 2018, pag. 24
23 EUROPEAN BANKING AUTHORITY, Risk Assessment of the European Banking System, November 2017
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al passato e ad un rafforzamento del capitale e della profittabilità. Ciò nonostante, rimane aperta la sfida della riduzione degli NPL.
Nel 2016 le banche europee sono state impegnate nella ristrutturazione dei loro bilanci, soprattutto per ciò che riguarda la qualità dei loro attivi. L’ammontare lordo di NPL nel secondo trimestre del 2017 è diminuito del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ed anche l’NPL ratio medio europeo è sceso al 4,5%, mentre era pari al 5,4% nel 2016 e al 6,5% nel dicembre 2014, quando raggiunse il suo livello più elevato. Diminuzioni significative si riscontrano anche nel Forborne loans ratio (FBL ratio), dato dal rapporto tra i crediti forborne (oggetto di concessioni) e il totale dei prestiti (Figura 6).
Figura 6: Non-performing loans ratio e Forborne loans ratio. Fonte: EBA, Risk Assessment of the European
Banking System
La riduzione degli NPL ha preso il via dal settembre 2016, ma dalla comparazione dell’NPL ratio medio europeo con quello di altre aree è possibile vedere come il valore sia comunque ancora molto elevato24. Il decremento del ratio è in maggior parte attribuibile alla riduzione degli NPL (al numeratore) piuttosto che ad un aumento dei prestiti (al denominatore), come è possibile vedere anche dal grafico in Figura 7.
24 L’NPL ratio negli Stati Uniti nel dicembre 2016 era pari all’1,3%, nettamente inferiore rispetto a quello europeo. C’è da considerare però la mancanza di armonizzazione a livello mondiale nella definizione dei ratio: è per questo che non sono perfettamente comparabili.
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Figura 7: Non-performing loans ratio; trend del numeratore e del denominatore dell’NPL ratio. Fonte: EBA,
Risk Assessment of the European Banking System
Tutti i paesi mostrano una riduzione significativa dell’NPL ratio ed il grafico in Figura 8 permette di cogliere l’evoluzione dell’indicatore tra il secondo trimestre del 2016, il quarto dello stesso anno e il secondo trimestre 2017.
Figura 8: Non-performing loans ratio – media ponderata per Paese. Fonte: EBA, Risk Assessment of the
European Banking System
Dal confronto tra la Figura 8 e la Figura 4 è possibile notare come i paesi che mostrano la situazione peggiore siano rimasti invariati: per quanto concerne la Grecia non si notano diminuzioni o evoluzioni nel valore dell’NPL ratio, mentre tutti gli altri hanno registrato delle riduzioni significative. In Italia in un anno si è passati da un valore prossimo al 17% al 12% del secondo trimestre
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2017. Per i prossimi 12 mesi ci si attende un ulteriore miglioramento della qualità degli attivi bancari europei, che ci si aspetta possa provenire dal portafoglio immobiliare e da quello corporate.
Lo sforzo nel porre rimedio a questa problematica non può però esaurirsi in questi primi e ancora modesti risultati, ma necessita di continuare a portare avanti serie e responsabili azioni coordinate e sotto la direzione delle autorità europee: dalla riuscita di queste dipende senz’altro il risanamento dei sistemi bancari, che potranno così riprendere la loro attività principale di sostegno all’economia reale.
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CAPITOLO 2
L’AZIONE DI VIGILANZA SUGLI NPL
SOMMARIO: 2.1. L’azione a livello europeo – 2.1.1. Armonizzazione dei criteri di definizione degli NPL: Implementing Technical Standards dell’EBA – 2.1.2. Le nuove “Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati” della BCE – 2.1.3. Addendum alle Linee Guida: le aspettative di Vigilanza sugli accantonamenti prudenziali – 2.1.4. Le ultime proposte della Commissione Europea – 2.1.5. Il comunicato stampa BCE 2.2. I provvedimenti della Banca d’Italia – 2.2.1. La Circolare n. 272/2008: nuova classificazione dei crediti deteriorati – 2.2.2. L’introduzione della segnalazione delle perdite registrate sulle posizioni in default – 2.2.3. Linee Guida per le banche Less Significant
2.1. L’azione a livello europeo
L’ammontare di crediti deteriorati nei bilanci delle banche europee, la cui portata e le cui cause sono state analizzate nel capitolo precedente, è influenzato da diversi fattori, tra i quali rivestono un ruolo cruciale quelli riguardanti la regolamentazione e l’attività di supervisione bancaria, oggi armonizzati a livello europeo a fronte dell’Unione Bancaria.
Il nuovo contesto di supervisione europea è stato armonizzato dal regolamento n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation) e dalla direttiva 2013/36/Ue (Capital Requirements Directive IV), nonché a livello tecnico dagli interventi dell’European Banking Authority (EBA), che assicurano l’uniformità delle regole all’interno dei singoli paesi dell’Unione Europea. Tuttavia, prima dell’avvio del Single Supervisory Mechanism (SSM)25 nel novembre
2014 l’impianto regolamentare appariva estremamente eterogeneo, con differenze notevoli per quanto riguardava la classificazione dei crediti. Nel corso del 2014 la Banca Centrale Europea ha svolto un esercizio complessivo per verificare lo stato di salute dei principali 131 gruppi bancari europei, di cui
25 Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) che ricomprende la BCE e le autorità di vigilanza dei paesi partecipanti
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15 italiani: il Comprehensive Assessment. Questo è composto da due parti: l’Asset Quality Review, una revisione della qualità degli attivi bancari, e gli Stress Test, simulazioni relative a due diversi scenari ipotetici (di base e avverso) per verificare come questi potevano riflettersi sulle condizioni delle banche.
Proprio l’avvio dell’Asset Quality Review, congiuntamente al progressivo deterioramento della qualità del credito in Europa e al conseguente aumento della quantità delle esposizioni categorizzate come crediti deteriorati, ha innalzato il livello di attenzione sulla classificazione dei crediti. È stata necessaria l’accelerazione del processo di emanazione di provvedimenti normativi a livello europeo che, a seguito dei necessari iter di recepimento negli Stati membri, favorissero l’armonizzazione e la comparabilità delle posizioni non performing.
Il fulcro di tale normativa è rappresentato dal documento Final draft
Implementing Technical Standards on Supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures, emanato dall’EBA nel luglio 2014, approvato dalla
Commissione Europea con il Regolamento di esecuzione UE 227/2015 del 9 gennaio 2015; questo stabilisce norme tecniche di attuazione per quanto riguarda le segnalazioni degli enti a fini di vigilanza. La finalità di questo intervento è stata quella di creare un’effettiva armonizzazione dei criteri di classificazione degli NPL e dei forborne credits, in modo da consentire di effettuare un’AQR su basi comparabili, di rendere più efficace l’attività di supervisory e di aumentare quindi la solidità del sistema bancario europeo. L’aumento dei livelli degli NPL nei bilanci delle banche sappiamo avere un impatto negativo sul credito bancario all’economia: è per questo che le autorità europee hanno optato nel tempo per azioni volte alla loro riduzione, così da apportare benefici all’economia sul piano micro e macroprudenziale. La Banca Centrale Europea, sempre attenta alla qualità degli attivi, ha intensificato la sua attività di vigilanza sugli NPL, giungendo ad individuare una serie di “migliori prassi” che sono state raccolte ed indicate nelle “Linee
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Guida per le Banche sui crediti deteriorati” pubblicate nel marzo 2017. Queste contengono misure prevalentemente qualitative, sono rivolte alle significant
institutions, cioè gli enti ricompresi nel Meccanismo di vigilanza unico, e non
sono per il momento vincolanti, anche se l’autorità di vigilanza tiene conto e si informa su eventuali scostamenti, soprattutto per gli enti che hanno un livello di NPL notevolmente superiore alla media UE.
La tappa successiva è stata la pubblicazione nel marzo 2018 dell’Addendum alle Linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati, contenente le aspettative di vigilanza sulla valutazione dei livelli di accantonamento per le esposizioni deteriorate.
Anche la Commissione Europea è intervenuta sul problema della riduzione dei crediti deteriorati nel settore bancario europeo pubblicando il 14 marzo 2018 un pacchetto di misure che agisce su più fronti. La novità più grande riguarda sicuramente la volontà di assicurare che le banche accantonino fondi a fini prudenziali (Pillar 1) a copertura dei rischi rappresentati dai prestiti futuri che potrebbero deteriorarsi.
La comunicazione più recente è quella effettuata dalla Banca Centrale Europea l’11 luglio 2018 con la quale si è delineato meglio l’approccio di vigilanza per le consistenze di NPL: la BCE provvederà infatti a formulare aspettative di vigilanza sugli accantonamenti a livello di singola banca.
Questi sono i più rilevanti ed importanti interventi e proposte adottati dagli organi di vigilanza e legislativi europei in materia di NPL che andremo ad approfondire nei paragrafi successivi.
2.1.1. Armonizzazione dei criteri di definizione degli NPL: Implementing
Technical Standards dell’EBA
La stringente necessità di omogeneità, coordinazione e comparabilità ai fini della creazione di un mercato bancario unico è ciò che ha spinto l’EBA a cercare di eliminare le incertezze regolamentari esistenti a fini di vigilanza nelle
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definizioni di misure forbearance e di non-performing exposures. L’EBA ha sottolineato l’importanza di avere a disposizione informazioni e dati armonizzati e comparabili sulle operazioni forbearance e sulla qualità degli attivi, come riconosciuto anche dallo European Systemic Risk Board (ESRB): “need for better and more consistent data to help supervisors ensure that forbearance is
accompanied by appropriate provisioning” (September 2012). Anche la European
Securities and Markets Authority (ESMA) si era pronunciata in tal senso: “statement on the definition of forbearance practices, their impact on the impairment of
financial assets and disclosures on forbearance activities (December 2012), bank should define the notion of NPL used in their financial statements” (November 2013). La
stessa EBA durante gli studi che hanno preceduto il provvedimento aveva rilevato: “the mapping of the existing international frameworks revealed the lack of clear
and comprehensive definitions for the notions of forbearance (most of the frameworks or the institutions considered in the mapping did not even use this word) and non-performing”.
Secondo l’Autorità era importante delineare in particolar modo i contorni e i termini di utilizzo delle forbearance measures, perché tramite il loro utilizzo gli intermediari possono ritardare le perdite non evidenziandole in tempo, ritardando così anche le azioni necessarie e mascherando le reali condizioni dei debitori.
L’EBA è quindi intervenuta per fornire una definizione armonizzata di Forbearance (FBE) e di Non-Performing Exposures (NPE) pubblicando le norme tecniche nel documento EBA Final draft Implementing Technical Standards
on Supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures under article 99(4) of Regulation (EU) No 575/2013, emanato nel luglio 2014 ed approvato dalla
Commissione europea con il Regolamento di esecuzione UE 227/2015 del 9 gennaio 2015, che ha modificato il Regolamento di esecuzione UE n. 680/2014. È importante sottolineare come tale provvedimento sia stato adottato attraverso un Regolamento comunitario che ha immediata applicabilità in tutti gli Stati membri dal momento della sua entrata in vigore,
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senza bisogno di formale recepimento e senza poter apportare variazioni o integrazioni. Questo limita le discrezionalità nazionali poiché evita possibili divergenze tra ordinamenti, assicura un’attività di Vigilanza priva di difformità e facilita gli intermediari che, operando anche al di fuori di uno stesso paese, non devono applicare diverse disposizioni regolamentari.
Si parla di concetti “od ombrello” (umbrella approach) per le definizioni armonizzate di esposizioni non-performing e di forbearance “nel senso che
comprendono alcuni dei concetti esistenti correlati al rischio di credito, senza soppiantarli o modificare il modo in cui le banche li implementano, ma possono essere più ampi quando necessario per finalità di vigilanza, fissando, per esempio, criteri di identificazione comuni”26 (Figura 9).
Figura 9: Illustrazione dell’approccio ad ombrello per le definizioni di forbearance e di non-performing
exposures.
Fonte: EBA Final draft Implementing Technical Standards 27/07/2014
Per esposizioni non-performing (NPE) si intendono quelle che soddisfano entrambe, o anche una sola, delle seguenti condizioni:
a) il perdurare di uno scaduto (past-due) per oltre 90 giorni, da intendersi continuativi. Con il termine past-due si intendono esposizioni per le
26 EUROPEAN BANKING AUTHORITY, EBA Final draft Implementing Technical Standards on
Supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures under article 99(4) of Regulation (EU) No 575/2013, cfr. pag. 6 terzultimo paragrafo
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quali, alla data prevista, non sono stati adempiuti gli obblighi di pagamento di capitale, interessi o spese;
b) è considerato improbabile che il debitore sia in grado di adempiere integralmente alle sue obbligazioni senza che vengano escusse garanzie, indipendentemente dall’esistenza di uno scaduto e dal numero di giorni di arretrato.
Il Regolamento 227/2015 rimanda al CRR e ai principi contabili per i criteri di identificazione delle difficoltà finanziarie di un soggetto, facendo riferimento alla definizione di default ai sensi dell’articolo 178 del Regolamento UE n.575/2013 e a quella di impaired secondo i principi contabili applicabili27. Per avere un quadro definitorio completo è necessario quindi analizzare le nozioni contenute in normative differenti.
Per quanto concerne il primo criterio, l’art.178 del CRR “Default di un debitore” considera l’esposizione in stato di default quando si verifica uno solo, o entrambi i seguenti eventi:
a) l'ente giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l'escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l'ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni;
b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazione creditizia rilevante verso l'ente, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni.
Si può notare come le due definizioni risultino allineate: c’è coincidenza tra i casi in cui gli ITS ritengono che un’esposizione possa considerarsi non-performing ai fini di segnalazioni e quelli in cui il CRR riconosce lo stato di default ai fini di vigilanza prudenziale. Le due condizioni a cui si fa riferimento in entrambi i casi sono l’improbabilità di adempimento da parte del debitore senza l’escussione di garanzie e l’esistenza di uno scaduto da più 90 giorni.
27Nel Regolamento si faceva riferimento allo IAS 39, sostituito dal 1° gennaio 2018 dall’IFRS 9. Lo
IAS 39 identificava una situazione di deterioramento allorché vi fossero oggettivi elementi per una perdita: le perdite dovevano essere già verificate (incurred) e venivano escluse le perdite attese (expected). Queste ultime sono invece incluse nella formulazione dell’IFRS 9.
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Quanto al secondo criterio, le novità in materia di impairment introdotte dal 1° gennaio 2018 dall’introduzione dell’IFRS 9 prevedono un unico metodo di svalutazione basato su una logica forward-looking, in modo da consentire una rilevazione tempestiva delle perdite che dovranno essere calcolate e contabilizzate al verificarsi di un significativo peggioramento dello stato del credito rispetto al momento dell’origination, tenendo conto anche delle perdite attese (expected loss) che non erano invece considerate dal precedente principio contabile (IAS 39).
Le banche hanno la possibilità di usare un approccio per transazione (transaction approach) o un approccio per debitore (debtor approach): nel primo caso viene classificata come NPE soltanto la specifica esposizione mentre con il secondo criterio tutte le esposizioni verso il medesimo debitore confluiscono nella categoria non-performing. Nell’approccio per transazione è comunque previsto un “pulling effect”: qualora i ritardi, protratti per un periodo superiore ai 90 giorni, superino la soglia del 20% dell’intera esposizione verso il cliente, questa deve essere interamente classificata come non-performing. Le Forborne Exposures (FBE), nella definizione fornita dell’EBA, sono una categoria che comprende al suo interno le esposizioni a favore delle quali è stata concessa una forbearance measure, cioè quelle esposizioni che hanno beneficiato di “concessioni” accordate dal creditore al debitore. Queste hanno quale presupposto il sussistere di una difficoltà finanziaria in capo al debitore o anche la possibilità che questa possa verificarsi. Per aversi una concessione deve ricorrere almeno uno, ma anche entrambi, dei seguenti casi:
• modificazione di termini e condizioni del contratto originario che il debitore non è più in grado di rispettare a causa del persistere di una difficoltà finanziaria. Senza queste modificazioni il debitore non sarebbe stato in grado di assicurare una sufficiente capacità a servizio del debito;
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• rifinanziamento, totale o parziale, di un debito problematico che non sarebbe stato concesso se il debitore non si fosse trovato in difficoltà finanziaria.
Inoltre, possono essere presenti nei contratti delle clausole che consentono, a discrezione del debitore, di modificare le condizioni contrattuali e che prendono il nome di embedded forbearance clauses. Al ricorrere del loro esercizio, previa approvazione da parte dell’istituto finanziatore che deve aver accertato la presenza di difficoltà finanziarie del debitore, l’esposizione viene considerata oggetto di concessione.
Le FBE possono essere classificate sia tra le performing che tra le non-performing exposures a seconda che riguardino clienti non-performing in difficoltà finanziaria (forborne performing exposures) oppure clienti classificati in stato di deterioramento (non-performing exposures with forbearance measures). L’EBA prevede quindi due sottocategorie in funzione del tempo:
• forbearance non-performing: categoria nella quale l’esposizione deve rimanere per almeno 1 anno, al termine del quale (a parità di altre condizioni) può abbandonare lo stato di non-performing;
• forbearance performing: categoria alimentata dalle esposizioni provenienti dalla classe precedente, dalla quale può uscire e tornare in bonis trascorsi 2 anni, periodo che prende il nome di “probation period”. Considerando quanto detto, negli ITS l’EBA crea una duplice struttura di classificazione:
• esposizioni performing e non-performing: in entrambe sono ricomprese anche le esposizioni alle quali sia stata concessa una forbearance measure, con la differenza che le prime non rispondono ai criteri per essere considerate non-performing, mentre le seconde si;
• esposizioni relative a soggetti in difficoltà economica cui sono state concesse forbearance measures distinte tra performing forborne exposures e
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La definizione di forbearance measures fornita dall’EBA ha il pregio di ricondurre sotto un’unica definizione tutti i vari concetti utilizzati nelle diverse giurisdizioni come quelle di “crediti ristrutturati”, “crediti rinegoziati”, “crediti rifinanziati”, “crediti modificati” ecc.
2.1.2. Le nuove “Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati” della BCE
È noto, ed è già stato fatto presente in questo elaborato, come elevati livelli di NPL abbiano un impatto negativo sui bilanci bancari, impatto che si riflette inevitabilmente sull’erogazione del credito bancario all’economia producendo effetti indesiderati sia a livello micro che a livello macro. È per questo che una delle massime priorità della Banca Centrale Europea nell’ambito della sua funzione di vigilanza è quello di fornire agli intermediari da essa controllati delle indicazioni utili alla risoluzione del problema e che possano prevenirne la ricomparsa in futuro. Il regolatore è intervenuto nel corso degli ultimi anni proprio per introdurre gli strumenti idonei a questo fine.
Uno degli interventi è stata la pubblicazione delle “Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati” da parte della BCE nel marzo del 2017, che ha fornito una serie di “best practices” in tema di gestione dei crediti deteriorati creando un framework comune a tutte le banche. Questo strumento non ha la volontà di sostituire alcuna fonte giuridica e contabile sovranazionale ed è non vincolante28; è rivolto a tutti gli enti significativi sottoposti alla vigilanza diretta della BCE (Meccanismo di Vigilanza Unico), avendo riguardo del rispetto dei principi di proporzionalità e rilevanza e si dovrebbe applicare a partire dalla sua data di pubblicazione. In alcune sue parti29 riguarda maggiormente quelle banche che hanno elevati livelli di crediti deteriorati (“banche con NPL
28 La BCE può richiedere però le motivazioni di eventuali scostamenti riscontrati durante lo
svolgimento dello SREP.