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La sospensione dell'esecuzione nella logica della "penalità terapeutica"

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

LA SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE DELLA PENA NELLA LOGICA DELLA “PENALITÀ TERAPEUTICA”

Candidato: Relatore:

Davide Mannucci Chiar.mo Prof. Luca Bresciani

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INDICE

Introduzione 1

CAPITOLO I° PRESUPPOSTI ED AMBITO DI APPLICAZIONE 1. Presupposti per la concessione del beneficio 5

2. Limite di pena 6

3. Pena pecuniaria 11

4. Relazione tra reato commesso e stato di tossicodipendenza 15

5. Conclusione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo 20 6. Condizioni ostative alla concessione del beneficio 30

CAPITOLO II° L'APPLICAZIONE ANTICIPATA DELLA SOSPENSIONE DELLA PENA 1. Il doppio procedimento 32

2. Legittimazione alla formulazione dell'istanza 33

3. Organi competenti 36

4. Natura “cautelare” dell'applicazione anticipata 46

5. Istanza di sospensione dell'esecuzione: i presupposti 50

6. Controlli in capo al magistrato di sorveglianza 53

7. Decisione del magistrato di sorveglianza 57

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CAPITOLO III°

LA FASE DI MERITO DAVANTI AL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA

1. Cenni introduttivi 63

2. Competenza del tribunale di sorveglianza 64

3. Instaurazione del procedimento 66

4. L'oggetto del giudizio: il successo del programma terapeutico 71

5. Poteri del tribunale di sorveglianza 74

6. Esito del procedimento 75

CAPITOLO IV° VICENDE SUCCESSIVE 1. Effetti della sospensione della pena 77

2. La dichiarazione di estinzione della pena sospesa 79

3. Revoca della sospensione. La commissione di un reato 81

4. ...Il dies a quo 86

CONCLUSIONI 88

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Introduzione.

Il sempre più diffuso uso di sostanze stupefacenti ha determinato l'aumento di fatti delittuosi spesso di modesta rilevanza, e la conseguente irrogazione di pene detentive a soggetti necessitanti di interventi terapeutici1. Proprio in base a queste necessità, il

legislatore ha ideato nel tempo strumenti ed istituti volti al recupero dei condannati tossicodipendenti.

Seppur si possa definire diffuso il convincimento che il trattamento detentivo in carcere sia nocivo per i tossicodipendenti e per il loro recupero, il legislatore si è mosso inizialmente con cautela nel percorso che avrebbe portato a sottrarre questi soggetti dal regime carcerario. L'inizio del cammino che ha portato il legislatore ad interessarsi del recupero dei condannati tossicodipendenti si ebbe con la legge n. 658 del 1975, la quale al suo articolo 84 prevedeva una sorta di trattamento terapeutico intramurario per quei soggetti, ritenuti dall'autorità sanitaria, abitualmente dediti all'uso di droghe2.

L'istituzione di questi “reparti carcerari opportunamente attrezzati” per il trattamento dei detenuti tossicodipendenti non è stata però mai realizzato a pieno; questo probabilmente a causa di un certo immobilismo istituzionale, ma non può essere dimenticata una opinione politico-culturale, che radicalmente si era andata a creare

1 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario – Milano, 2006, p. 229

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non solo tra gli operatori socio-sanitari, ma anche a livello ministeriale. Prova ne viene data dalla dottrina richiamando una circolare ministeriale dell'aprile 1977, n. 2414/4868, nella quale si faceva riferimento alla “inopportunità di isolare il tossicodipendente

in una condizione di ghettizzazione e sostanziale emarginazione, non indicata da motivazioni cliniche o da veritiere statistiche che, d'altra parte, sottrarrebbero il paziente all'ausilio socializzante della convivenza in comunità indifferenziate, rendendo più difficili le iniziative di riabilitazione o di reinserimento che costituiscono certamente l'aspetto più determinante e risolutivo del trattamento delle tossicodipendenze”3.

Il percorso di avvicinamento tra il recupero e la punizione del condannato, continua a metà degli anni ottanta con la creazione dell'istituto dell'affidamento in prova in casi particolari, previsto inizialmente all'articolo 47-bis della legge sull'ordinamento penitenziario.

Si arriverà poi negli anni novanta, con l'articolo 24 della legge 26 giugno 1990, n. 162, all'introduzione di una speciale causa di estinzione della pena, proprio applicabile ai condannati tossicodipendenti; viene creato nel nostro ordinamento un istituto molto importante, si tratta della “sospensione dell'esecuzione della pena detentiva”. La sospensione, oggi disciplinata dagli articoli

90-3 PAVARINI M., Lo scambio penitenziario, manifesto e latente nella flessibilità

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91-92 e 93 del d.p.r. 309/1990, svolge un compito fondamentale, cioè il recupero e il reinserimento sociale del condannato tossicodipendente, consentendogli di evitare l'esecuzione della pena in carcere, alla condizione che si sia sottoposto con successo ad un programma di recupero terapeutico socio-riabilitativo4.

L'istituto prevede che, nei confronti di persona chiamata ad espiare una pena detentiva, anche congiunta a pena pecuniaria, non superiore a sei anni, o a quattro anni se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui all'art 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, il tribunale di sorveglianza possa sospendere l'esecuzione della pena per il tempo di cinque anni, qualora accerti che la persona si è sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo, eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata autorizzata. Inoltre, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, il tribunale può altresì sospendere anche l'esecuzione della pena pecuniaria che non sia già stata riscossa.

La sospensione dell'esecuzione ha quindi lo scopo di sottrarre dall'ambiente carcerario i tossicodipendenti che si siano resi responsabili di reati di modesta rilevanza, ma che al contempo

4 FIORENTIN F., Misure alternative alla detenzione e tossicodipendenza – Milano, 2011, p. 193

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dimostrino una grande probabilità di essere recuperati5.

La sospensione dell'esecuzione della pena rappresenta uno dei momenti del percorso che il legislatore ha intrapreso, nel tentativo di conciliare quelli che apparentemente potrebbero sembrare due esigenze inconciliabili e contrapposte, cioè quella del “recupero”, e quella della “punizione” del condannato tossicodipendente6.

L'intenzione principale del legislatore è quella di privilegiare il recupero, mettendo solo apparentemente in secondo piano l'esigenza punitiva. L'istituto si può ispirare al principio “ti curo punendoti, ti punisco curandoti”, il percorso di riabilitazione viene considerato dal legislatore come una sorta di punizione, al quale il condannato deve sottoporsi per beneficiare dell'istituto. Vedremo come nel corso degli anni la sospensione sia stata oggetto di varie modifiche, che ne hanno cambiato la fisionomia, ed in qualche modo hanno influito sulla sua applicazione.

Per quanto l'istituto della sospensione della pena, proprio per le finalità che esso persegue, è stato accolto generalmente in maniera positiva, non sono mancate critiche da parte della dottrina, la quale ha spesso criticato al legislatore di essere ricorso a locuzioni troppo generiche e, di conseguenza, idonee a ingenerare dubbi

5 PATETE D., Manuale di diritto penitenziario – Roma, 2001, p. 403

6 MARINI G., LA MONICA M., MAZZA L., RIONDATO S., PISTORELLI L., DINI S., ROBERTI B., Stupefacenti sostanze psicotrope stati di

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interpretativi7.

CAPITOLO I

PRESUPPOSTI ED AMBITO DI APPLICAZIONE

1. Presupposti per la concessione del beneficio.

Perché il beneficio della sospensione dell'esecuzione della pena per i condannati tossicodipendenti possa trovare applicazione, è necessario che siano presenti determinati presupposti, che sono richiamati tassativamente dall'articolo 90 d.p.r. 309/1990.

La normativa prevede la presenza di un presupposto di carattere oggettivo, cioè un limite di pena massimo al quale si potrà applicare questo beneficio. Sono poi richiesti presupposti di carattere soggettivo, quali il rapporto tra lo stato di tossicodipendenza e la commissione di un reato, ed inoltre il superamento con successo di un programma di recupero socio-riabilitativo.

Infine sono richiesti anche presupposti negativi, cioè vengono elencati – unitamente ai presupposti positivi di applicabilità – anche alcune cause ostative all'applicazione dell'istituto.

7 ZAINA C. A., La nuova disciplina penale delle sostanze stupefacenti – Ravenna, 2006, p. 528

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2. Limite di pena.

Primo presupposto da prendere in considerazione è quello del limite di pena, questo elemento è stato oggetto negli anni di varie modifiche.

Secondo la formulazione originaria dell'articolo 90 1° comma del d.p.r. 309/1990, la sospensione poteva essere disposta nei confronti di una persona condannata ad una pena detentiva non superiore a tre anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza; il comma continuava prevedendo un limite di pena superiore, per l'esattezza di quattro anni, qualora le pene detentive applicate, anche se congiunte a pena pecuniaria, avessero riguardato il delitto di cui all'articolo 73 5° comma, del d.p.r. 309/1990 (fatto di lieve entità).

La Corte di Cassazione, riguardo proprio al limite di pena, si pronunciò con la sentenza n. 35 del 19938, stabilendo che “Il

beneficio della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, previsto dall'articolo 90 t.u. delle leggi in materia di stupefacenti, approvato con il d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, è applicabile soltanto a condizione che il richiedente sia persona la quale, per <reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza>, sia stata <condannata> ad una pena detentiva non superiore al limite ivi indicato; appare quindi evidente, atteso il testuale tenore di detta

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ultima espressione, […] che nel caso della sospensione prevista dal citato articolo 90 d.p.r. 309/1990 il limite di pena, ai fini dell'applicabilità o meno del detto istituto, va computato con riguardo alla pena originariamente inflitta (o, in caso di più condanne, al cumulo delle pene inflitte), e non riguardo alla pena residua da espiare, all'atto della richiesta”.

Con questa sentenza la Corte metteva un punto fermo circa l'interpretazione da dare al presupposto del limite di pena, ponendo particolare attenzione sul fatto che gli anni di pena da tenere in considerazione fossero quelli comminati con la sentenza di condanna, e non fosse possibile invece applicare l'istituto ad una frazione di pena ancora da scontare.

Questo iniziale limite è stato oggetto di modifica da parte del legislatore con il decreto legge n. 139 del 14 maggio 1993, convertito poi nella legge n. 222 del 14 luglio 1993; con detta legge è stato modificato l'articolo 90 primo comma, mediante l'introduzione di un più ampio limite generale di pena, per l'esattezza di quattro anni9.

Con la medesima disposizione poi fu inoltre stabilito che, il limite di pena da rispettare, potesse essere valutato non soltanto con riguardo all'ammontare di anni stabiliti nella condanna, ma anche riguardo gli anni che dovevano ancora essere scontati al momento della richiesta del beneficio.

9 PAVARINI M., Codice commentato dell'esecuzione penale – Torino, 2002, p. 442

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Secondo la dottrina, scopo dell'aumento del limite di pena fu, senza dubbio, il favorire il più possibile l'accostamento dei tossicodipendenti alle strutture di recupero, e di limitarne la presenza negli istituti penitenziari10. Ed è stato questo forse uno dei primi passi

posti dal legislatore al fine di ampliare l'utilizzo dello strumento della sospensione della pena.

Il presupposto del limite di pena è stato poi oggetto di una radicale modifica ad opera del decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272 (c. d. “decreto Olimpiadi”), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49.

Con la nuova formulazione i limiti sono due; sei anni di reclusione per i condannati “comuni”, mentre il limite rimane di quattro anni per i condannati a pena detentiva per reati relativi all'art 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354. Da una parte, quindi, vi è stato un allargamento del bacino di soggetti potenzialmente beneficianti della misura, ma dall'altra, si è anche tenuto conto del “tipo” di reato commesso dal beneficiario. Secondo la dottrina maggioritaria, tale limitazione è giustificata, dall'esigenza di garantire più rigorosamente il bene giuridico della sicurezza pubblica11.

Conseguente a questo ampliamento del limite di pena non sono mancate critiche da parte della dottrina, la quale ritiene questa scelta

10 PAVARINI M., Codice commentato, cit. p. 442

11 FIORENTIN F., TAMBURINO G., Misure alternative alla detenzione – Torino, 2012, p. 540

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del legislatore non facilmente comprensibile, ed in ogni caso contrastante con l'intenzione di assumere un atteggiamento di maggiore severità nei confronti dei reati più gravi in materia di stupefacenti. Viene sostenuto come l'ampliamento da quattro a sei anni favorirà l'accesso ad un beneficio importante anche a soggetti, che seppur tossicodipendenti, abbiano commesso reati di maggior gravità, tali da essere punibili con tali sanzioni12.

Oltre alla modifica riguardante i limiti di pena, il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272 ha modificato anche il quarto comma dell'articolo 90; da un lato è stato riconfermato il primo periodo, il quale recita che la sospensione dell'esecuzione della pena non può essere concessa più di una volta, dall'altro è stato eliminato il resto del precedente testo, il quale prevedeva la possibilità per il Tribunale di Sorveglianza di tenere conto cumulativamente di pene detentive inflitte con più condanne divenute definitive anteriormente all'istanza di sospensione.

Quindi se prima della modifica del quarto comma dell'articolo 90, la concessione per una sola volta della misura era mitigata dalla possibilità per il tribunale di sorveglianza di tenere conto dell'eventuale cumulo, il nuovo quarto comma ora sembra consentire la sospensione dell'esecuzione della pena una sola volta ed in relazione ad una sola condanna13.

12 ZAINA C. A., La nuova disciplina penale, cit., p. 527

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A questa conclusione si oppone però una parte della dottrina, la quale ritiene comunque ammissibile un'istanza ex art 90 d.p.r. 309/1990 relativa ad un cumulo giuridico di pene determinato dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 663 c.p.p.; l'articolo in questione pone in capo al pubblico ministero proprio un potere-dovere di procedere alla formulazione del cumulo di pene. La stessa dottrina, oltre a richiamare l'art 663 c.p.p., richiama anche il comma 4-bis ex art 90 d.p.r. 309/1990; questo comma, inserito con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, estende alla sospensione della pena, per quanto non diversamente stabilito ed ove compatibile, la disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. E tra le norme ritenute compatibili, la dottrina evidenzia l'art 51-bis della legge 354/1975, il quale consente al magistrato di sorveglianza di decidere per la prosecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale, della semilibertà, della detenzione domiciliare e della detenzione domiciliare speciale, anche quando, nel corso della loro attuazione, sopravvenga un nuovo titolo di esecuzione a pena detentiva, e che tenuto conto del cumulo delle pene, permangano i presupposti legati al limite di pena14.

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3. Pena pecuniaria.

Altra novità importante nella disciplina della sospensione della pena è quella di prevedere l'estensione del beneficio anche alla pena pecuniaria.

La sospensione della pena pecuniaria è stata introdotta con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito poi in legge n. 49 del 21 febbraio 2006, la quale con l'articolo 4-septies ha modificato il primo comma dell'articolo 90, inserendo la possibilità per il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, di sospendere anche l'esecuzione pecuniaria che non sia già stata riscossa.

La possibilità per il tribunale di sorveglianza di sospendere anche la pena pecuniaria non è gravato da limiti quantitativi, si presuppone quindi, che la pena pecuniaria da sospendere possa essere di qualunque ammontare15.

La possibilità per il tribunale di sorveglianza di sospendere anche la pena pecuniaria non era presente nella formulazione originale del beneficio. Inizialmente infatti non vi era menzione di questo tipo di sospensione, ma non erano mancate aperture alla estensione anche alla pena pecuniaria soprattutto da parte della giurisprudenza di merito. In una sentenza del 6 agosto 1998, il Tribunale di Roma

15 FIORENTIN F., Esecuzione penale e misure alternative alla detenzione,

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aveva aperto alla possibilità di sospensione anche della pena pecuniaria. In un passo della sentenza la corte affermò che “è consentita la sospensione dell'esecuzione della pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 90 d.p.r. n. 309 del 1990, il quale mira al recupero e alla risocializzazione del condannato per violazione della legge sugli stupefacenti e, sebbene si riferisca nell'intitolazione all'esecuzione delle sole pene detentive, non può non intendersi nel senso dell'estensione del beneficio anche all'esecuzione della pena pecuniaria”.

In senso contrario all'apertura verso la sospensione anche della pena pecuniaria si pronunciava invece la Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n. 5326 del 28 novembre del 200016 statuiva che “l'istituto

della sospensione dell'esecuzione della pena, previsto con espresso riferimento alla pena detentiva, dall'articolo 90 testo unico sugli stupefacenti approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 […] non può trovare applicazione – in considerazione, oltre che del testuale tenore della norma, anche delle sue specifiche finalità – con riguardo alla pena pecuniaria, il cui pagamento non può essere ritenuto di ostacolo al conseguimento dei risultati del programma terapeutico e socio-riabilitativo in vista della cui attuazione la sospensione viene disposta”.

Con il decreto legge 272 del 2005, convertito poi in legge n. 49 del

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21 febbraio 2006, il legislatore inserì espressamente la possibilità per il tribunale di sorveglianza di sospendere anche la pena pecuniaria, ponendo così un punto fermo sulla diatriba giurisprudenziale e dottrinale che si era creata negli anni.

L'attuale formulazione del primo comma dell'articolo 90 pare inoltre consentire l'intervento del tribunale di sorveglianza anche con riferimento a condanne alla sola pena pecuniaria17.

Perché possa essere sospesa anche la pena pecuniaria è necessario che quest'ultima non sia stata ancora riscossa, e che l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche.

Punto nodale della questione è senza dubbio la locuzione di “disagiate condizioni economiche”, che si pone come spartiacque tra l'applicazione o meno della sospensione della pena pecuniaria. Per quanto riguarda il significato da dare alla definizione di “disagiate condizioni economiche”, la dottrina si è affidata alla giurisprudenza formatasi riguardo l'istituto della remissione del debito disciplinato dall'articolo 6(L) del d.p.r 30 maggio 2002 n. 115; l'orientamento giurisprudenziale formatosi ritiene che il principio della disagiatezza delle condizioni economiche ricorra non solo in caso di vera e propria indigenza, bensì ogni qualvolta l'esecuzione della pena pecuniaria appaia suscettibile di determinare un serio e considerevole squilibrio nella situazione patrimoniale dell'interessato, tale da recare

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pregiudizio al possibile reinserimento sociale del condannato18.

Tale istituto, specialmente nel contesto di una misura volta al reinserimento sociale del condannato tossicodipendente, il quale ha dato dimostrazione di impegno all'affrancamento dalla sua condizione di dipendenza, può essere vista sicuramente in modo positivo. In questo modo il legislatore “premia” l'impegno posto dal condannato per liberarsi dalla dipendenza della droga19, che poi è

l'obbiettivo principale al quale lo stato auspica di arrivare, in quanto ritiene che il superamento di detta soggezione permetterà al soggetto di non delinquere più. Ecco perché sospendere anche la pena pecuniaria aiuta il beneficiario nel suo reinserimento sociale, nella sua eventuale attività lavorativa, ecc..

Inoltre, sempre secondo la dottrina, l'estensione della sospensione anche alla pena pecuniaria può essere vista come una ulteriore garanzia del buon esito del percorso terapeutico e di recupero20.

Ma per quanto sia stata correttamente osservata l'importanza di tale possibilità sotto il profilo della risocializzazione, in quanto può essere visto come uno strumento ulteriore per il recupero ed il reinserimento sociale del condannato tossicodipendente, non sono mancate in dottrina anche considerazioni critiche a questo tipo di apertura. Una minoritaria dottrina infatti avrebbe auspicato da parte

18 FIORENTIN F., Misure alternative, cit., p. 205

19 GIANFILIPPI F., Tossicodipendenza e alternative alla detenzione – Torino, 2015, p. 129

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del legislatore interventi ulteriori, quali l'affiancamento alla misura della sospensione della pena pecuniaria anche di opportune forme di restituzione sociale e di risarcimento nei confronti delle vittime dei reati commessi dai “beneficiari” della misura21.

4. Relazione tra reato commesso e stato di tossicodipendenza.

Altro presupposto di rilevante interesse, tale da generare un vivace dibattito in dottrina e giurisprudenza, è quello riguardante la relazione tra reato commesso (e per il quale si richiede la sospensione dell'esecuzione della pena) e stato di tossicodipendenza. È forse questo il presupposto principale dell'istituto. La sospensione della pena infatti mira al recupero di un soggetto condannato a pena detentiva, per un delitto commesso proprio in relazione al suo stato di dipendenza da droghe. L'accertamento quindi della relazione tra reato commesso e lo status di tossicodipendente al momento del fatto, si pone come punto focale di tutta la disciplina.

La sospensione ex articolo 90 d.p.r. 309/1990 può riguardare esclusivamente la pena inflitta a soggetti tossicodipendenti, per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza. È necessario dunque che esista un rapporto di casualità tra lo stato di

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dipendenza e la commissione del reato22.

Che cosa si possa intendere per relazione tra reato e stato di tossicodipendenza, è da sempre oggetto di vivaci discussioni e dibattiti in dottrina.

Comunemente si ritiene che la sospensione non sia concessa come semplice conseguenza della condizione di tossicodipendente del condannato al momento del fatto delittuoso, ma si ha riguardo esclusivo ai reati originati da tale stato, tanto da ritenere che superata siffatta condizione da parte del reo, questo non sarà più indotto a delinquere.

Negli anni si sono susseguiti varie interpretazioni riguardanti le parole “in relazione al proprio stato di tossicodipendenza”. Vi è chi ha sostenuto che qualunque reato commesso da un tossicodipendente debba considerarsi connesso con il suo stato di tossicodipendenza23.

Ma tale tesi viene criticata, in quanto non sembra potersi far derivare in via automatica la predetta connessione sul semplice dato che nel periodo di commissione del reato il reo si trovasse in detto stato di dipendenza da droghe24.

Un'altra teoria, sottolineando comunque la ampiezza della espressione usata, ritiene che si possono includere sia condotte la cui

22 FIORENTIN F., TAMBURINO G., Misure alternative, cit. p. 538

23 MARINI G., LA MONICA M., MAZZA L., RIONDATO S., PISTORELLI L., DINI S., ROBERTI B., Stupefacenti sostanze psicotrope stati di

tossicodipendenza – Torino, 1990, p. 140

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finalità sia animata da bisogni connessi allo stato di tossicodipendenza (quali la ricerca e l'acquisto delle sostanze stupefacenti), sia condotte in qualche modo determinate o condizionate dalla minore padronanza di se derivante proprio dall'uso della droga25.

Parte della dottrina confrontava il testo dell'articolo 90 d.p.r. 309/1990 con il testo dell'articolo 10 d.p.r. 16 dicembre 1986, n. 865, che consente l'applicazione dell'indulto condizionato a determinate condizioni, tra le quali, l'aver commesso il fatto “a causa della sua condizione di tossicodipendente”26.

La locuzione “a causa” che troviamo all'articolo 10 d.p.r. 685/1986 sembra indicare però un rapporto di causalità più stretto rispetto alla locuzione “in relazione” di cui all'articolo 90 d.p.r. 309/1990.

Riferendosi all'indulto condizionato la Cassazione aveva ritenuto, di fronte alla difficoltà probatoria, che “la prova piena e diretta dell'indicato rapporto di causalità non era raggiungibile se non in una percentuale minima ed irrilevante di casi, era invece opportuno utilizzare la prova indiretta, attraverso la valorizzazione di elementi presuntivi ed indiziari, come la qualità dell'azione delittuosa, le peculiari circostanze personali ed ambientali nelle quali il soggetto ha agito; si deve ritenere commesso a causa della condizione di

25 DI GENNARO G., LA GRECA G., La droga – traffico, abusi, controlli – Milano, 1992, p. 318

26 AMBROSINI G., La riforma della legge sugli stupefacenti – Torino, 1991, p. 151

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tossicodipendente non solo il reato finalizzato al procacciamento e acquisto di sostanze stupefacenti, ma anche quello determinato dal perturbamento delle facoltà psichiche dovuto all'intossicazione da droga”27.

Secondo questa dottrina, le argomentazioni del supremo collegio si attagliano perfettamente al caso della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva inflitta al condannato tossicodipendente.

La minore rigidità della locuzione “in relazione al proprio stato di tossicodipendenza”, riportata nell'articolo 90 d.p.r. 309/1990, fa ritenere quindi perfettamente attuabili all'istituto della sospensione le indicazioni date dalla suprema corte per quanto riguardava l'indulto condizionato; il mero fattore cronologico di aver commesso il fatto durante lo stato di tossicodipendenza non sarà di per sé sufficiente a dimostrare il rapporto causale, sarà soltanto un semplice indice generico al quale altri dovranno essere uniti, quali ad esempio l'impiego di una particolare violenza legata all'alterazione psichica dell'uso di sostanze stupefacenti, o l'inserimento del fatto specifico in una serie di episodi criminosi chiaramente finalizzati all'uso della droga28.

Una più recente tesi relativa a questo presupposto parte dalla sussistenza di uno stato di tossicomania dell'autore del reato, ponendo poi in relazione ad esso tutti i reati commessi in tale epoca,

27 AMBROSINI G., La riforma, cit., p. 150 28 AMBROSINI G., La riforma, cit., p. 151

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che trovino ragione nello stato dell'autore o che siano finalizzati ad alimentarlo ulteriormente29.

Ad avvalorare questa interpretazione dottrinale della relazione tra reato e stato di tossicodipendenza, è intervenuta anche la Corte di Cassazione, la quale con la sentenza 14 giugno 2001, n. 3567830, ha

chiarito che “ai fini dell'applicabilità della sospensione dell'esecuzione della pena prevista dall'articolo 90 testo unico in materia di stupefacenti, approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, in favore di chi sia stato condannato “per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente”, debbono intendersi per reati di tal genere soltanto quelli commessi da soggetto che fosse al momento del fatto in stato di tossicodipendenza, ovvero quelli la cui commissione sia stata direttamente motivata da detta patologica situazione”.

La corte di cassazione ha cercato in questo modo di mettere un punto fermo circa l'interpretazione da dare alle parole “reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza”.

Restano comunque in dottrina dubbi circa la effettiva “certezza” di questo presupposto. Secondo una parte della dottrina non si può eludere la genericità della norma, la quale fa dipendere dall'esclusiva discrezionalità del giudice, in carenza di parametri sicuri, l'individuazione caso per caso di quali siano i reati commessi in

29 ZAINA C. A., La nuova disciplina penale, cit., p. 535 30 Cassazione Sez. I, Sent 14/06/2001, n. 35678

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relazione allo stato di tossicodipendenza, e ciò potrebbe dar luogo a forti discrasie e squilibri in campo di applicazione, vanificando così il principio della certezza del diritto31.

Sempre connesso al presupposto dello status di tossicodipendente del condannato al momento della commissione del reato, si deve sottolineare che non è prevista come possibilità l'attualità di detto status. Anzi, l'eventuale attualità della dipendenza da droghe del condannato che richiede l'istituto della sospensione della pena, costituendo un'evidenza per facta del fallimento degli obbiettivi di recupero del programma terapeutico a cui ci si deve sottoporre, costituirebbe anche un dato negativo, destinato a portare alla reiezione della domanda ex articolo 90 d.p.r. 309/199032.

5. Conclusione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo.

Al primo comma dell'articolo 90 d.p.r. 309/1990 troviamo un ulteriore requisito perché il condannato tossicodipendente possa beneficiare della sospensione della pena; il tribunale di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena qualora, all'esito dell'acquisizione della relazione finale di cui all'articolo 123 d.p.r. 309/1990, accerti che la persona si è sottoposta con esito positivo ad

31 ZAINA C. A., La nuova disciplina penale, cit., p. 536

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un programma terapeutico e socio-riabilitativo, eseguito presso una struttura sanitaria pubblica o privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116 medesimo d.p.r.. Il presupposto della conclusione del programma di recupero, al pari della relazione tra reato e status di tossicodipendenza, può essere tranquillamente ritenuto quale elemento peculiare del beneficio, soprattutto in vista delle modifiche apportate nel tempo alla misura.

Prima di tutto, preme rivelare come l'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena sia riservato espressamente ai condannati tossicodipendenti, con esclusione degli alcoldipendenti (verso i quali è applicabile invece il beneficio dell'affidamento in prova in casi speciali, disciplinato dall'articolo 94 medesimo testo unico) .

La questione poi da porsi è cosa si deve intendere per condannato tossicodipendente. Nel nostro ordinamento manca una qualche definizione di “tossicodipendenza”, ma poiché lo stato di tossicodipendenza costituisce presupposto per l'applicazione della sospensione, occorre in qualche modo limitarne i confini.

Per dare una qualche definizione non si può non fare riferimento alla presa di posizione che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato del concetto di tossicodipendente; secondo l'OMS “la

tossicodipendenza può essere definita come una condizione di intossicazione cronica o periodica, dannosa all'individuo ed alla società, prodotta dall'uso ripetuto di una sostanza chimica naturale

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o di sintesi”; da questa situazione personale ne derivano tutta una

serie di corollari, collegati in particolare proprio all'effetto di dipendenza dalla sostanza assunta, quali ad esempio la ricorrenza della sindrome di astinenza dalla sostanza, cioè uno stato patologico fisico e psichico del drogato apparentemente irrisolvibile per l'assuntore se non attraverso la somministrazione di un ennesima dose di stupefacente, e poi l'elemento più importante, quale la condotta del tossicodipendente, fortemente condizionata dall'intento impellente di procacciarsi con ogni mezzo la droga.

Tutti questi elementi non possono che essere visti come una vera e propria patologia per il tossicodipendente, una malattia dal quale il soggetto deve essere curato, il nostro ordinamento ha ormai individuato nella tossicodipendenza proprio tutti questi aspetti, arrivando a ritenere il soggetto drogato alla stregua di un soggetto malato, e per tanto necessitante di cure33.

Il requisito del superamento con successo di un programma terapeutico e di recupero porta a ritenere che il beneficio della sospensione sia applicabile solo in favore del tossicodipendente abituale, e non riguardi invece il consumatore occasionale.

In merito alla conclusione di un programma di recupero, ed all'applicazione del beneficio solo nei confronti del tossicodipendente abituale, si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 133

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del 27 marzo 199234.

La Corte fu chiamata ad esprimersi relativamente alla disparità di trattamento tra i consumatori occasionali ed i consumatori abituali di droghe. In particolare si riteneva discriminatorio e contrastante con l'articolo 3 della Costituzione, l'applicabilità dell'istituto della sospensione della pena ex articolo 90 d.p.r. 309/1990 ai soli tossicodipendenti abituali, ed non anche ai tossicodipendenti occasionali.

La Corte ritenne non fondata la questione; secondo i giudici Costituzionali il diverso trattamento tra consumatore di droghe abituale e consumatore occasionale non contrasterebbe con l'articolo 3 della Costituzione35.

La Corte, in un passaggio della sentenza, esprime chiaramente che “Il presupposto di applicabilità del beneficio (che, all'esito del programma terapeutico e sempre che il tossicodipendente nei cinque anni successivi al provvedimento non commetta un delitto non colposo punibile con la reclusione, comporta l'estinzione della pena e di ogni altro effetto penale) è quindi duplice: mancato superamento di un tetto massimo di pena inflitta; effettuazione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Ed è essenzialmente questa seconda condizione che costituisce la ratio dell'istituto volto a favorire il recupero dei tossicodipendenti, che in tal modo abbiano

34 C. Costituzionale sentenza 133/1992, in www.cortecostituzionale.it 35 PAVARINI M., Codice commentato, cit., p. 441

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concretamente e meritevolmente mostrato di volersi adoperare per sottrarsi al giogo della droga e nello stesso tempo si siano astenuti dal commettere altri delitti (non colposi)”.

La Corte Costituzionale nella medesima sentenza fa notare che, “la norma non contiene, nel suo tenore letterale, nessuna limitazione in ragione del tipo di sostanza stupefacente che abbia determinato nel soggetto condannato lo stato di dipendenza (intesa come limitazione dell'area del libero arbitrio e della piena capacità di autodeterminazione, indotta dall'abitualità del consumo di sostanze stupefacenti), stato che costituisce l'unico elemento giuridicamente rilevante. […] Nessuna disparità di trattamento sussiste quindi in ragione del tipo di sostanza stupefacente che abbia determinato lo stato di dipendenza”. Ciò mette ancora più in risalto l'elemento della “dipendenza”, la Corte pone al primo piano lo status di tossicodipendente del consumatore abituale, e da tale status, e solo da esso, si può arrivare ad un programma terapeutico e di recupero, che è presupposto essenziale dell'istituto. Quindi non vi è discrimine tra i vari tipi di droga che possono aver portato alla dipendenza, ciò che veramente conta è proprio detto stato.

C'è inoltre da rilevare che l'attuale dizione dell'articolo 91, comma 2, d.p.r. 309/1990, prevede espressamente, ai fini della concessione del beneficio, l'obbligatorietà della certificazione dalla quale emerga la procedura con la quale è stata “accertato l'uso abituale di sostanze

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stupefacenti o psicotrope (…)”36.

Il presupposto della positiva conclusione di un programma terapeutico distingue la sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 90 d.p.r. 309/1990 dell'istituto dell'affidamento in prova in casi particolari, disciplinato dall'articolo 94 del medesimo testo unico, il quale prevede per la concessione del beneficio la presenza di un programma di recupero in corso o da intraprendere.

Questa distinzione tra i due presupposti è nata con la legge 49 del 2006, che con il suo articolo 4-septies ha modificato ampiamente i requisiti riportati nell'articolo 90.

L'originario articolo 90 del testo unico prevedeva per la concessione del beneficio sia la presenza di un programma terapeutico già concluso, oppure in alternativa un programma in corso di attuazione; poiché anche l'affidamento in prova in casi particolari prevedeva come presupposto che i soggetti condannati avessero in corso un programma terapeutico, si creava il problema di stabilire i requisiti di scelta tra l'applicazione dell'affidamento in prova in casi particolari oppure l'applicazione del più favorevole beneficio della sospensione della pena.

Sul punto incise una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6965 del 30 novembre 2000, la quale stabilì che “Nella scelta tra l'istituto della sospensione della pena detentiva nei confronti di soggetto

36 FIORENTIN F., Pratiche penali per la tossicodipendenza – Milano, 2013, p. 30

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condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza (art. 90 del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309) e quello dell'affidamento in prova al servizio sociale a scopo terapeutico per tossicodipendenti (art. 94 del citato d.p.r.), il criterio da seguire non può ispirarsi alla valutazione dell'opportunità e dell'idoneità del programma riabilitativo, trattandosi di requisiti previsti per entrambi gli istituti anzidetti, e neppure può ispirarsi ad un preteso principio generale dell'ordinamento, secondo cui, quando possibile, dovrebbe essere data alle pene concreta esecuzione, poiché ciò porterebbe alla pratica vanificazione del dettato dell'articolo 90 del d.p.r. n 309/1990. Detto criterio deve invece basarsi sulla valutazione della pericolosità sociale e del livello di affidabilità del condannato, per cui dovrà darsi luogo alla sospensione dell'esecuzione quando trattasi di soggetto che, avuto riguardo ai suoi trascorsi, al suo grado di reinserimento ed alla sua personalità, appaia probabilmente dotato di capacità di autocontrollo tali da consentirgli una gestione autonoma del programma di recupero, mentre dovrà preferirsi l'affidamento terapeutico quando, anche per la persistenza di un pericolo (comunque necessariamente limitato) di reiterazione di reati, appaia, per converso, probabile che il soggetto non sia in grado di sottostare al programma riabilitativo se non in quanto affidato ad una struttura che in concreto lo segua e lo controlli37.

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Il legislatore con la legge del 21 febbraio 2006, n. 49 è intervenuto profondamente su questo presupposto, stabilendo che, per l'applicazione del beneficio della sospensione dell'esecuzione della pena è necessario che la persona si sia già sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo, eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116, d.p.r. n. 309/1990. È venuta dunque meno, la possibilità di accedere alla misura della sospensione per coloro che abbiano in corso il programma e non lo abbiano invece già positivamente concluso.

Ne deriva che, nell'attuale sistema non sussiste la possibilità di sovrapposizione degli istituti della sospensione dell'esecuzione ex articolo 90 e dell'affidamento in prova ex articolo 94, in quanto questi due istituti hanno adesso presupposti nettamente distinti. Da un lato, l'affidamento in prova in casi particolari presuppone l'attualità dello stato di tossicodipendenza, tanto da richiedere l'osservanza di prescrizioni ed i relativi controlli, ed inoltre richiede la seria volontà del condannato di sottoporsi ad un programma di terapeutico e socio-riabilitativo con finalità disintossicanti38.

Dall'altro lato, la sospensione della pena invece trova il proprio fondamento nella situazione inversa, cioè l'avvenuto superamento, con esito positivo, di un percorso terapeutico da parte del richiedente,

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condannato per un reato commesso proprio in ragione del suo stato di tossicodipendente39, e quindi la sua liberazione dalle droghe che lo

avevano portato a commettere il reato per cui chiede la sospensione. Elemento quindi importantissimo è la mancanza dello status di tossicodipendente al momento della richiesta.

Con la modifica del presupposto del programma terapeutico il legislatore ci fa capire ulteriormente la differente direzione finalistica dell'istituto della sospensione, il quale non tende più anche al recupero dalla tossicodipendenza, ma piuttosto si presenta orientato verso la dissuasione del condannato dal commettere ulteriori reati, il superamento della dipendenza dalla droga si presuppone già superato con la conclusione positiva del percorso di recupero40.

La previsione normativa di applicazione dell'istituto ai soli soggetti che si siano sottoposti ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo con esito positivo, comporta che il percorso di recupero abbia così sortito i suoi effetti positivi, cioè la dissuefazione fisica e psichica dagli stupefacenti41.

La scelta legislativa di cui sopra (cioè il presupposto del positivo completamento del programma di recupero) appare chiaramente spiegata nei lavori preparatori della legge n. 49 del 2006, ove si evidenziato come l'uso delle sostanze stupefacenti per commettere

39 MORGANTE G., Stupefacenti, cit. p. 222

40 LICATA F., RECCHIONE S., RUSSO N., Gli stupefacenti: disciplina ed

interpretazione – Torino, 2015, p. 506

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reati, denoti indice di rilevante pericolosità sociale, e che pertanto si è rilevato opportuno limitare il beneficio della sospensione dell'esecuzione della pena solo a coloro che abbiano risolto il problema della tossicodipendenza, preferendo invece l'istituto dell'affidamento in prova ex articolo 94 d.p.r. n. 309/1990 per coloro che hanno in corso un trattamento terapeutico, e di cui si presuppone la non ancora piena liberazione dalla schiavitù della droga.

L'esito positivo del percorso di recupero terapeutico e sociale favorisce inoltre, o almeno dovrebbe fornire, la valutazione di prognosi di astensione di reiterazione di reati per il futuro42.

Per quanto riguarda la definizione di “esito positivo” del programma terapeutico, si intende la completa disintossicazione con conseguente superamento della dipendenza tanto fisica quanto psicologica dalla assunzione di sostanze stupefacenti43.

Il programma deve essere eseguito presso una struttura sanitaria pubblica oppure una struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116 del d.p.r. n. 309/1990, che ne attesti l'esito positivo nella relazione finale di cui all'articolo 123 del d.p.r.44.

Parte della dottrina sostiene che l'inizio del programma riabilitativo debba essere successivo alla commissione del reato, per la quale sia stata applicata la pena da sospendere45.

42 FIORENTIN F., TAMBURINO G., Misure alternative, cit., p. 519 43 LICATA F., RECCHIONE S., RUSSO N., Gli stupefacenti, cit., p. 510 44 LICATA F., RECCHIONE S., RUSSO N., Gli stupefacenti, cit. p. 510 45 PRESUTTI A., Tossicodipendenza e libertà personale, misure processuali e

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Secondo altri autori invece, la realizzazione del programma terapeutico deve essersi realizzato nel periodo compreso tra la perpetrazione dei fatti sanzionati con la pena detentiva e la presentazione dell'istanza46.

L'attestazione dello status di tossicodipendente, nonché l'attuazione del programma terapeutico, sono, dopo la riforma della legge 49/2006, di competenza non solo statale ma anche di strutture private autorizzate dallo Stato, questo, secondo parte della dottrina, dovuto alla sempre più rilevante esperienza che negli anni queste strutture hanno maturato nel settore della tossicodipendenza47.

6. Condizioni ostative alla concessione del beneficio.

Tra i presupposti richiamati dall'articolo 90 troviamo anche una serie di condizioni ostative, c.d. presupposti negativi, che qualora siano presenti precludono la concessione dell'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena.

Primo presupposto negativo è quello dettato dall'articolo 90 secondo comma, nel quale si dice che la sospensione non può essere concessa e la relativa domanda è inammissibile qualora il condannato, nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della

penitenziarie – Milano, 1989, p. 108

46 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario – Milano, 1999, p. 288

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sospensione da parte del tribunale di sorveglianza, abbia commesso un altro delitto non colposo punibile con la reclusione48.

È necessario quindi che il soggetto abbia commesso un fatto-reato caratterizzato da almeno il coefficiente soggettivo del dolo, e che per tale fattispecie la legge preveda l'applicazione della reclusione (ciò a prescindere dalla pena poi in concreto applicata dal giudice)49.

La dizione normativa del secondo comma ha fatto poi dubitare circa la possibilità che l'ipotesi di inammissibilità sopra richiamata possa sussistere anche con riferimento alle semplici notizie di reato, oppure se invece sia necessaria una vera e propria condanna.

La dottrina maggioritaria tuttavia ritiene non sufficiente a giustificare eventuale declaratoria di inammissibilità la semplice notizia di reato, è invece necessaria l'acquisizione di una pronuncia definitiva sull'imputazione contestata50.

Secondo presupposto negativo è quello richiamato dal quarto comma dell'articolo 90, nel quale viene specificato che la sospensione dell'esecuzione della pena non può essere concessa più di una volta. Questo tipo di divieto secondo la dottrina maggioritaria è giustificato dalla verificata assenza di ragionevoli prospettive di utile sperimentazione dello speciale beneficio51.

48 FIORENTIN F., Misure alternative alla detenzione, cit., p. 209 49 FIORENTIN F., Pratiche penali, cit. p. 33

50 FIORENTIN F., Pratiche penali, cit. p. 33

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CAPITOLO II

L'APPLICAZIONE ANTICIPATA DELLA SOSPENSIONE DELLA PENA

1. Il doppio procedimento.

Parlando di procedimento per la concessione del beneficio della sospensione della pena ex articolo 90 d.p.r. 309/1990, non possiamo non fare riferimento ad una sua caratteristica, quella cioè di prevedere organi e procedimenti distinti a seconda che a presentare la domanda sia un condannato libero ovvero un condannato detenuto. Infatti le modalità di presentazione dell'istanza e l'organo a cui essa va inoltrata mutano a seconda che nei confronti del soggetto sia iniziata o meno l'esecuzione della pena52.

La distinzione di competenze e procedimenti è nata con il decreto legge numero 272 del 2005, il quale ha esteso alla materia dei benefici “terapeutici” (tra cui rientra la sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 90 d.p.r. 309/1990), il modello procedurale già positivamente sperimentato – con riguardo alle altre misure alternative – dalla legge numero 165 del 1998 (“legge Simeone”)53.

Il procedimento, così come modificato dalla legge 272 del 2005, prevede la possibilità di richiedere l'applicazione anticipata della

52 LICATA F., RECCHIONE S., RUSSO N., Gli stupefacenti, cit. p. 511 53 FIORENTIN F., Misure alternative alla detenzione, cit.. p. 95

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misura ex articolo 90.

Qualora l'esecuzione della pena non sia ancora iniziata, a presentare l'istanza sarà un condannato libero; in questo caso troverà applicazione l'articolo 656 c.p.p.; competente sarà il pubblico ministero che cura l'esecuzione della pena, il quale procederà alla provvisoria sospensione dell'ordine di esecuzione, e successivamente trasmetterà poi gli atti al tribunale di sorveglianza competente per la decisione nel merito.

Nel caso invece che a presentare l'istanza sia un condannato già detenuto, si applicherà l'articolo 91 d.p.r. 309/1990; competente in via provvisoria sarà in questo caso il magistrato di sorveglianza (individuato secondo il disposto di cui all'articolo 677 c.p.p., in relazione al locus detentionis), il quale deciderà relativamente all'applicazione anticipata della misura54. Successivamente gli atti

passeranno al tribunale di sorveglianza, che deciderà nel merito ed in via definitiva sulla concessione del beneficio.

2. Legittimazione alla formulazione dell'istanza.

Per quanto riguarda i soggetti legittimati a presentare istanza di sospensione ex articolo 90 d.p.r. 309/1990, vi è in dottrina un

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dibattito.

La formulazione dell'articolo 91, antecedente alle modifiche apportate dalla legge 272 del 2005, prevedeva al primo comma, la competenza del condannato a presentare l'istanza. Ciò nonostante, vi erano dubbi relativamente al fatto se questa competenza fosse esclusiva, ovvero, se ci fosse la possibilità anche per altri soggetti di presentare la richiesta.

Una parte della dottrina riteneva necessario aderire ad una interpretazione rigorosamente letterale della norma, ergo la richiesta per la concessione della sospensione della pena poteva essere avanzata esclusivamente dal condannato, escludendo la possibilità che l'istanza potesse essere sostituita dalla eventuale richiesta del difensore55. Altri autori invece ritenevano possibile una lettura non

tassativa, quindi che nulla si opponesse anche alla possibilità che a presentare l'istanza fosse anche il difensore del condannato, appositamente delegato56.

Con la modifica apportata all'articolo 91 d.p.r. 309/1990 da parte della legge 49 del 2006, è stato rimosso dal primo comma la parte in cui si prevedeva la competenza del condannato. Essendo venuta a mancare la previsione di competenza del condannato, ci si è posti a

55 MARINI G., LA MONICA M., MAZZA L., RIONDATO S., PISTORELLI L., DINI S., ROBERTI B., Stupefacenti sostanze psicotrope, cit. p. 145 – Conf.

AMATO G., Droga e attività di polizia, cit. p. 204

56 TUREL E., BUONOCORE G., Droga manette e riabilitazione – Udine, 1990, p. 157

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maggior ragione la questione su chi fosse competente a presentare la richiesta.

Parte della dottrina attualmente ritiene che alla ovvia competenza del condannato, si possa affiancare, la competenza del difensore, ed oltre a questa anche quella dei prossimi congiunti, applicando in particolare all'istituto della sospensione l'articolo 57 ord. pen.. Questa opinione dottrinale pare senza dubbio preferibile, questo sia dal punto di vista normativo, in quanto l'articolo 90 fa espresso richiamo alla disciplina, ove compatibile, prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e quindi anche dell'articolo 57 di detta legge; sia da un punto di vista sistematico, osservando che la compiuta realizzazione del precetto costituzionale in tema di diritti di difesa (articolo 24, Costituzione), impone all'interprete l'applicazione quanto più estesa possibile delle norme processuali che stabiliscono la legittimazione al fini dei procedimenti di sorveglianza, in particolare quando essa è collegata – come nel caso delle istanze formulate dai prossimi congiunti – all'attuazione effettiva della finalità rieducativa della pena57.

Ad avvalorare poi la tesi che competente a presentare l'istanza, oltre al condannato ed i prossimi congiunti, sia anche il difensore ci ha pensato anche la giurisprudenza, che con una sentenza del 1997 ha stabilito che l'elenco dei legittimati presente nell'articolo 57 ord. pen.

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non va ritenuto tassativo, e che oltre alla competenza dell'interessato e dei prossimi congiunti, sia da considerarsi legittima anche la richiesta presentata dal difensore58.

3. Organi competenti.

Come detto precedentemente, la competenza ed il procedimento relativi all'istanza di sospensione della pena, variano a seconda della già avvenuta esecuzione della sentenza di condanna o meno.

Norma di riferimento per quanto riguarda la competenza, relativamente al procedimento di richiesta di sospensione della pena, è l'articolo 91 d.p.r. 309/1990.

L'articolo 91 del d.p.r. 309/1990 si occupa della istanza di sospensione presentata dal condannato detenuto, ma non è sempre stato così.

L'articolo in questione è stato oggetto di varie modifiche negli anni, soprattutto relative alla competenza territoriale del giudice, ed all'organo stesso che doveva decidere. La modifica più rilevante è arrivata con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito poi

58 “L'art. 57 dell'ordinamento penitenziario, nel prevedere espressamente che i benefici penitenziari possano essere richiesti dall'interessato o dai prossimi congiunti o proposti dal consiglio di disciplina, non ha certo inteso fornire una indicazione tassativa dei soggetti legittimati alla richiesta, per cui deve ritenersi che anche il difensore del condannato o dell'internato, la cui presenza nel procedimento di sorveglianza è stata prevista dallo stesso legislatore, sia legittimato e richiedere, per il proprio assistito, i suddetti benefici” Cassazione Sez. I, Sent 6/3/1997, n. 464

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in legge n. 49 del 21 febbraio 2006, il quale con il suo articolo

4-octies ha modificato gli organi competenti, risolvendo anche un

problema di coordinamento che si era andato a creare tra l'articolo 91 d.p.r. 309/1990 e gli articoli 656 e 677 del codice di procedura penale.

L'originario articolo 91 prevedeva al primo comma che, la competenza a decidere circa l'istanza di sospensione fosse quella del tribunale di sorveglianza del luogo in cui l'interessato risiedeva. Il secondo comma prevedeva l'allegazione del percorso terapeutico svolto presso una struttura pubblica o privata.

Il terzo e il quarto comma attribuivano al pubblico ministero il potere di adottare il provvedimento provvisorio di sospensione, questo sia nel caso in cui l'esecuzione della pena fosse iniziata o che non lo fosse ancora. Nella norma non veniva specificato espressamente quale pubblico ministero fosse competente, ma si riteneva che questo andasse individuato sulla base della regola enunciata nell'articolo 91 primo comma relativa al tribunale di sorveglianza59.

Il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 prevedeva l'ipotesi che a presentare l'istanza di sospensione fosse un condannato verso il quale “l'ordine di carcerazione non è ancora stato emesso o eseguito”. In questi due casi l'istanza era presentata al pubblico ministero, il quale sospendeva l'emissione o l'esecuzione fino alla

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decisione del tribunale di sorveglianza; quest'ultimo doveva decidere entro quarantacinque giorni dalla presentazione dell'istanza.

Nel quarto comma, sempre dell'articolo 91, si prevedeva il caso in cui “l'ordine di carcerazione sia già stato eseguito”. In tal caso, l'istanza doveva essere presentata per il tramite del direttore dell'istituto al pubblico ministero, il quale sospendeva l'esecuzione ordinando la scarcerazione del condannato, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza al quale trasmetteva immediatamente gli atti60.

La disposizione succitata radicava la competenza presso il tribunale di sorveglianza del luogo ove l'interessato aveva la residenza, e questo sia nel caso in cui quest'ultimo si trovasse in libertà, sia nel caso in cui fosse già detenuto. Tale disposizione si trovava in palese contrasto con la normativa presente nel codice di procedura penale. Per una parte della dottrina veniva vista come una discutibile ed ingiustificata deroga al principio generale della competenza territoriale della magistratura di sorveglianza61.

Nel codice di rito infatti si differenziava la competenza in relazione al fatto che l'interessato fosse detenuto o meno.

In particolare si stabiliva che se si trattava di condannato c.d. “a piede libero”, trovava applicazione la competenza dettata

60 BRUNETTI C., ZICCONE M., Manuale di diritto penitenziario – Piacenza, 2004, p. 525

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dall'articolo 656 sesto comma c.p.p., il quale prevedeva che a decidere fosse il tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che cura l'esecuzione della condanna; nel caso invece di soggetto detenuto, si sarebbe dovuta applicare la disposizione dell'articolo 677 primo comma c.p.p., il quale stabiliva la competenza a decidere del tribunale competente in relazione al locus detentionis62.

Sul punto la dottrina si divideva. C'era infatti chi censurava la disposizione dell'articolo 91 primo comma, ritenendo che il criterio della residenza non offrisse particolari garanzie di obbiettività63. Chi

riteneva invece che, rilevato il difetto di coordinamento tra l'articolo 91 e le norme codicistiche, doveva comunque essere applicata la disciplina generale dettata dall'articolo 677 c.p.p.64. Ed infine c'era

chi giustificava questa competenza, ritenendo spiegabile tutto ciò, sulla base della prevalente importanza attribuita alla possibilità di più agevoli collegamenti con i servizi socio-sanitari e con la stessa realtà complessiva dell'ambiente in cui vive il condannato65.

Tuttavia, la competenza del tribunale di sorveglianza del luogo di residenza dell'interessato poteva portare a diverse problematiche, vi era la possibilità che il programma di recupero fosse realizzato in un luogo del tutto diverso da quello di residenza. Si pensi ai molteplici

62 FIORENTIN F., Misure alternative alla detenzione, cit. p. 528 63 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 152

64 TUREL E., BUONOCORE G., Droga, cit. p. 159 65 DI GENNARO G., LA GRECA G., La droga, cit. p. 320

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casi in cui la comunità terapeutica presso cui il tossicodipendente svolge il proprio programma di recupero, sia collocata in regioni differenti e lontane da quella sia della commissione del reato, sia da quella di residenza del condannato66. In questo caso sarebbe venuta

meno la tesi di più agevoli collegamenti tra servizi socio-sanitari e tribunale di sorveglianza.

C'era poi l'ipotesi che ad essere condannato fosse un tossicodipendente senza residenza, ponendo così il problema di capire quale fosse il tribunale di sorveglianza e il pubblico ministero competenti. In questo senso però pareva logico prevedere la competenza del pubblico ministero che curava l'esecuzione67.

Per quanto riguardava il ruolo del pubblico ministero si ponevano ulteriori problemi.

Con il combinato disposto dei commi terzo e quarto dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, si riteneva che non ci fossero margini per presentare l'istanza direttamente al tribunale di sorveglianza, l'istanza andava presentata al pubblico ministero, il quale avrebbe poi trasmesso gli atti al tribunale di sorveglianza68.

Va aggiunto poi che la legge era chiara nel non lasciare al pubblico ministero scelte discrezionali riguardo l'opportunità di sospendere o meno l'esecuzione della pena; nell'articolo 91 si disponeva che il

66 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 153 67 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 154 68 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 154

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pubblico ministero “sospende”; quindi il provvedimento è dovuto, una volta che l'istanza era presentata nelle forme di rito e non risultava superato il limite di pena stabilito dell'articolo 9069.

Oltre a prevedere la competenza del tribunale di sorveglianza in relazione al luogo di residenza dell'interessato, vi era anche il mancato coordinamento tra l'articolo 91 terzo comma ed il novellato articolo 656 c.p.p., così come modificato dalla legge 165/1998. Secondo una parte della dottrina non vi era dubbio nel ritenere implicitamente abrogato il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, nella mera considerazione del fatto che la disciplina della sospensione dell'ordine di esecuzione a favore del tossicodipendente, che al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovava in stato di libertà, era completamente regolata dall'articolo 656 c.p.p.70.

Sarebbe rimasto pertanto in vigore soltanto il quarto comma dell'articolo 91. Ma lo stesso autore della teoria esposta precedentemente, fa notare come secondo la lettera della norma, il quarto comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 sia reso operativo dallo specifico richiamo che fa alle disposizioni del precedente comma terzo. Pertanto se si ritenesse abrogato il terzo comma, si dovrebbe ritenere abrogato anche il comma quattro71.

69 DI GENNARO G., LA GRECA G., La droga, cit. p. 321

70 DI RONZA P., Diritto dell'esecuzione penale e diritto penitenziario – Padova, 2006, p. 287

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In ogni caso, la mancata abrogazione dei commi terzo e quarto dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 ha fatto sorgere più di qualche dubbio interpretativo e di coordinamento.

Sul problema di coordinamento tra l'articolo 91 d.p.r. 309/1990 e l'articolo 656 c.p.p. si è espressa anche la Corte di Cassazione. La Corte si espresse in favore dell'abrogazione della disciplina dettata dall'articolo 91 terzo comma.

Con la sentenza numero 629 del 1999 la Cassazione prese atto che, sia l'articolo 656 quinto comma c.p.p. che l'articolo 91 terzo comma d.p.r. 309/1990, si occupavano dell'istanza di sospensione presentata da un soggetto in status di libertà, e che vi era una ingiustificata disparità di trattamento in materia di competenza, laddove, l'articolo 91 individuava competente il tribunale di sorveglianza ed il pubblico ministero competenti in relazione alla residenza dell'interessato, a differenza dell'articolo 656 c.p.p. sesto comma, il quale prevedeva la competenza del tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede il pubblico ministero che cura l'esecuzione. Secondo la Corte, seppur il novellato articolo 656 c.p.p., come modificato dalla legge 165/1998, non preveda una espressa abrogazione della disciplina dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, quest'ultima doveva essere ritenuta implicitamente abrogata, in quanto avrebbe dovuto trovare applicazione l'articolo 15 delle disposizioni sulle leggi in generale, il quale stabilisce che

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l'abrogazione della legge avviene oltre che per abrogazione espressa, anche per incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, o quando la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore72.

Di fatto, anche a seguito della sentenza della Cassazione sopra richiamata, il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 risultava di fatto inoperante, questo soprattutto a causa della sopravvenuta disciplina generale della sospensione automatica dell'ordine di esecuzione, di cui all'articolo 656 c.p.p., così come riformato dalla legge 165 del 1998, che aveva svuotato il terzo comma dell'articolo 91 di ogni significato73.

Sopravviveva, viceversa, la disciplina di cui al quarto comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, che però dava adito a numerose incertezze interpretative e di coordinamento, solo parzialmente risolte dall'intervento delle sezioni unite della Cassazione.

Con la sentenza numero 21 del 2001 le sezioni unite della Cassazione stabilirono che rientrava nelle attribuzioni del pubblico ministero, e non in quelle del magistrato di sorveglianza, disporre l'esecuzione della pena già iniziata, allorché il tossicodipendente detenuto avesse richiesto l'applicazione dell'affidamento terapeutico ex articolo 94 d.p.r. 309/1990, dovendosi ritenere che tale situazione trovasse la propria regolamentazione nella disposizione di cui all'articolo 91

72 Cassazione Sez. I, Sent 25/1/1999, n. 629 73 INSOLERA G., La disciplina penale , cit. p. 82

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quarto comma del medesimo d.p.r.74.

Dal che si desume che il quarto comma dell'articolo 91 deve essere inteso letteralmente, nel senso appunto di attribuire al solo pubblico ministero il potere-dovere di sospendere l'esecuzione della pena in costanza di richiesta ex articolo 90 d.p.r. 309/1990, qualora la stessa avesse già avuto inizio75.

Il decreto legge 272 del 2005 sciolse lo snodo interpretativo concernente l'individuazione del giudice territorialmente competente ai fini della concessione del beneficio.

Infatti con questo decreto legge furono abrogatati il primo ed il terzo comma dell'articolo 91, e furono modificati il secondo ed il quarto comma.

Le modifiche apportate dal decreto legge 272/2005 all'articolo 91, risolsero lo snodo interpretativo relativo alla prevalenza o meno della disciplina speciale dettata dal testo unico sugli stupefacenti, rispetto alla normativa generale dettata dal codice di procedura penale.

L'attuale articolo 91 non radica più la competenza presso il tribunale di sorveglianza del luogo in cui risiede l'interessato. Adesso la distinzione di competenza tra condannato libero e condannato detenuto è coerente con la disciplina codicistica.

Il nuovo articolo 91 quarto comma stabilisce che per le istanze formulate da un soggetto detenuto, non è più competente il pubblico

74 Cassazione Sez. Unite, Sent 27/6/2001, n. 21 75 INSOLERA G., La disciplina penale, cit. p. 82

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ministero, ma è competente “il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione”, individuato con riferimento alle disposizioni del codice di procedura penale: articolo 677 primo comma.

Per i condannati in stato di libertà invece si applicherà, ricorrendo le condizioni di cui all'articolo 656 quinto comma, il meccanismo della sospensione dell'ordine di esecuzione, e quindi la competenza del pubblico ministero che cura l'esecuzione. Per quanto attiene al suddetto potere-dovere del procuratore della repubblica di sospendere l'esecuzione della pena, è opportuno sottolineare che la sua ratio è quella di incentivare le scelte terapeutiche dell'interessato, e che al pubblico ministero è preclusa ogni valutazione nel merito. Ricapitolando, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge 272 del 2005, ne consegue che se l'istanza proviene da un condannato che si trova in stato detentivo, si applicherà il criterio del

locus custodiae, mentre se al richiesta proviene da un condannato

libero, troverà applicazione il principio del locus domicilii76.

Il vigente criterio di individuazione della competenza è coerente anche con gli attuali presupposti che regolano l'ammissione al beneficio.

Infatti la sospensione dell'esecuzione della pena disciplinata dall'articolo 90 d.p.r. 309/1990, può essere oggi concessa soltanto se

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