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Come detto precedentemente, la competenza ed il procedimento relativi all'istanza di sospensione della pena, variano a seconda della già avvenuta esecuzione della sentenza di condanna o meno.

Norma di riferimento per quanto riguarda la competenza, relativamente al procedimento di richiesta di sospensione della pena, è l'articolo 91 d.p.r. 309/1990.

L'articolo 91 del d.p.r. 309/1990 si occupa della istanza di sospensione presentata dal condannato detenuto, ma non è sempre stato così.

L'articolo in questione è stato oggetto di varie modifiche negli anni, soprattutto relative alla competenza territoriale del giudice, ed all'organo stesso che doveva decidere. La modifica più rilevante è arrivata con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito poi

58 “L'art. 57 dell'ordinamento penitenziario, nel prevedere espressamente che i benefici penitenziari possano essere richiesti dall'interessato o dai prossimi congiunti o proposti dal consiglio di disciplina, non ha certo inteso fornire una indicazione tassativa dei soggetti legittimati alla richiesta, per cui deve ritenersi che anche il difensore del condannato o dell'internato, la cui presenza nel procedimento di sorveglianza è stata prevista dallo stesso legislatore, sia legittimato e richiedere, per il proprio assistito, i suddetti benefici” Cassazione Sez. I, Sent 6/3/1997, n. 464

in legge n. 49 del 21 febbraio 2006, il quale con il suo articolo 4-

octies ha modificato gli organi competenti, risolvendo anche un

problema di coordinamento che si era andato a creare tra l'articolo 91 d.p.r. 309/1990 e gli articoli 656 e 677 del codice di procedura penale.

L'originario articolo 91 prevedeva al primo comma che, la competenza a decidere circa l'istanza di sospensione fosse quella del tribunale di sorveglianza del luogo in cui l'interessato risiedeva. Il secondo comma prevedeva l'allegazione del percorso terapeutico svolto presso una struttura pubblica o privata.

Il terzo e il quarto comma attribuivano al pubblico ministero il potere di adottare il provvedimento provvisorio di sospensione, questo sia nel caso in cui l'esecuzione della pena fosse iniziata o che non lo fosse ancora. Nella norma non veniva specificato espressamente quale pubblico ministero fosse competente, ma si riteneva che questo andasse individuato sulla base della regola enunciata nell'articolo 91 primo comma relativa al tribunale di sorveglianza59.

Il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 prevedeva l'ipotesi che a presentare l'istanza di sospensione fosse un condannato verso il quale “l'ordine di carcerazione non è ancora stato emesso o eseguito”. In questi due casi l'istanza era presentata al pubblico ministero, il quale sospendeva l'emissione o l'esecuzione fino alla

decisione del tribunale di sorveglianza; quest'ultimo doveva decidere entro quarantacinque giorni dalla presentazione dell'istanza.

Nel quarto comma, sempre dell'articolo 91, si prevedeva il caso in cui “l'ordine di carcerazione sia già stato eseguito”. In tal caso, l'istanza doveva essere presentata per il tramite del direttore dell'istituto al pubblico ministero, il quale sospendeva l'esecuzione ordinando la scarcerazione del condannato, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza al quale trasmetteva immediatamente gli atti60.

La disposizione succitata radicava la competenza presso il tribunale di sorveglianza del luogo ove l'interessato aveva la residenza, e questo sia nel caso in cui quest'ultimo si trovasse in libertà, sia nel caso in cui fosse già detenuto. Tale disposizione si trovava in palese contrasto con la normativa presente nel codice di procedura penale. Per una parte della dottrina veniva vista come una discutibile ed ingiustificata deroga al principio generale della competenza territoriale della magistratura di sorveglianza61.

Nel codice di rito infatti si differenziava la competenza in relazione al fatto che l'interessato fosse detenuto o meno.

In particolare si stabiliva che se si trattava di condannato c.d. “a piede libero”, trovava applicazione la competenza dettata

60 BRUNETTI C., ZICCONE M., Manuale di diritto penitenziario – Piacenza, 2004, p. 525

dall'articolo 656 sesto comma c.p.p., il quale prevedeva che a decidere fosse il tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che cura l'esecuzione della condanna; nel caso invece di soggetto detenuto, si sarebbe dovuta applicare la disposizione dell'articolo 677 primo comma c.p.p., il quale stabiliva la competenza a decidere del tribunale competente in relazione al locus detentionis62.

Sul punto la dottrina si divideva. C'era infatti chi censurava la disposizione dell'articolo 91 primo comma, ritenendo che il criterio della residenza non offrisse particolari garanzie di obbiettività63. Chi

riteneva invece che, rilevato il difetto di coordinamento tra l'articolo 91 e le norme codicistiche, doveva comunque essere applicata la disciplina generale dettata dall'articolo 677 c.p.p.64. Ed infine c'era

chi giustificava questa competenza, ritenendo spiegabile tutto ciò, sulla base della prevalente importanza attribuita alla possibilità di più agevoli collegamenti con i servizi socio-sanitari e con la stessa realtà complessiva dell'ambiente in cui vive il condannato65.

Tuttavia, la competenza del tribunale di sorveglianza del luogo di residenza dell'interessato poteva portare a diverse problematiche, vi era la possibilità che il programma di recupero fosse realizzato in un luogo del tutto diverso da quello di residenza. Si pensi ai molteplici

62 FIORENTIN F., Misure alternative alla detenzione, cit. p. 528 63 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 152

64 TUREL E., BUONOCORE G., Droga, cit. p. 159 65 DI GENNARO G., LA GRECA G., La droga, cit. p. 320

casi in cui la comunità terapeutica presso cui il tossicodipendente svolge il proprio programma di recupero, sia collocata in regioni differenti e lontane da quella sia della commissione del reato, sia da quella di residenza del condannato66. In questo caso sarebbe venuta

meno la tesi di più agevoli collegamenti tra servizi socio-sanitari e tribunale di sorveglianza.

C'era poi l'ipotesi che ad essere condannato fosse un tossicodipendente senza residenza, ponendo così il problema di capire quale fosse il tribunale di sorveglianza e il pubblico ministero competenti. In questo senso però pareva logico prevedere la competenza del pubblico ministero che curava l'esecuzione67.

Per quanto riguardava il ruolo del pubblico ministero si ponevano ulteriori problemi.

Con il combinato disposto dei commi terzo e quarto dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, si riteneva che non ci fossero margini per presentare l'istanza direttamente al tribunale di sorveglianza, l'istanza andava presentata al pubblico ministero, il quale avrebbe poi trasmesso gli atti al tribunale di sorveglianza68.

Va aggiunto poi che la legge era chiara nel non lasciare al pubblico ministero scelte discrezionali riguardo l'opportunità di sospendere o meno l'esecuzione della pena; nell'articolo 91 si disponeva che il

66 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 153 67 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 154 68 AMBROSINI G., La riforma, cit. p. 154

pubblico ministero “sospende”; quindi il provvedimento è dovuto, una volta che l'istanza era presentata nelle forme di rito e non risultava superato il limite di pena stabilito dell'articolo 9069.

Oltre a prevedere la competenza del tribunale di sorveglianza in relazione al luogo di residenza dell'interessato, vi era anche il mancato coordinamento tra l'articolo 91 terzo comma ed il novellato articolo 656 c.p.p., così come modificato dalla legge 165/1998. Secondo una parte della dottrina non vi era dubbio nel ritenere implicitamente abrogato il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, nella mera considerazione del fatto che la disciplina della sospensione dell'ordine di esecuzione a favore del tossicodipendente, che al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovava in stato di libertà, era completamente regolata dall'articolo 656 c.p.p.70.

Sarebbe rimasto pertanto in vigore soltanto il quarto comma dell'articolo 91. Ma lo stesso autore della teoria esposta precedentemente, fa notare come secondo la lettera della norma, il quarto comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 sia reso operativo dallo specifico richiamo che fa alle disposizioni del precedente comma terzo. Pertanto se si ritenesse abrogato il terzo comma, si dovrebbe ritenere abrogato anche il comma quattro71.

69 DI GENNARO G., LA GRECA G., La droga, cit. p. 321

70 DI RONZA P., Diritto dell'esecuzione penale e diritto penitenziario – Padova, 2006, p. 287

In ogni caso, la mancata abrogazione dei commi terzo e quarto dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 ha fatto sorgere più di qualche dubbio interpretativo e di coordinamento.

Sul problema di coordinamento tra l'articolo 91 d.p.r. 309/1990 e l'articolo 656 c.p.p. si è espressa anche la Corte di Cassazione. La Corte si espresse in favore dell'abrogazione della disciplina dettata dall'articolo 91 terzo comma.

Con la sentenza numero 629 del 1999 la Cassazione prese atto che, sia l'articolo 656 quinto comma c.p.p. che l'articolo 91 terzo comma d.p.r. 309/1990, si occupavano dell'istanza di sospensione presentata da un soggetto in status di libertà, e che vi era una ingiustificata disparità di trattamento in materia di competenza, laddove, l'articolo 91 individuava competente il tribunale di sorveglianza ed il pubblico ministero competenti in relazione alla residenza dell'interessato, a differenza dell'articolo 656 c.p.p. sesto comma, il quale prevedeva la competenza del tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede il pubblico ministero che cura l'esecuzione. Secondo la Corte, seppur il novellato articolo 656 c.p.p., come modificato dalla legge 165/1998, non preveda una espressa abrogazione della disciplina dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, quest'ultima doveva essere ritenuta implicitamente abrogata, in quanto avrebbe dovuto trovare applicazione l'articolo 15 delle disposizioni sulle leggi in generale, il quale stabilisce che

l'abrogazione della legge avviene oltre che per abrogazione espressa, anche per incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, o quando la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore72.

Di fatto, anche a seguito della sentenza della Cassazione sopra richiamata, il terzo comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990 risultava di fatto inoperante, questo soprattutto a causa della sopravvenuta disciplina generale della sospensione automatica dell'ordine di esecuzione, di cui all'articolo 656 c.p.p., così come riformato dalla legge 165 del 1998, che aveva svuotato il terzo comma dell'articolo 91 di ogni significato73.

Sopravviveva, viceversa, la disciplina di cui al quarto comma dell'articolo 91 d.p.r. 309/1990, che però dava adito a numerose incertezze interpretative e di coordinamento, solo parzialmente risolte dall'intervento delle sezioni unite della Cassazione.

Con la sentenza numero 21 del 2001 le sezioni unite della Cassazione stabilirono che rientrava nelle attribuzioni del pubblico ministero, e non in quelle del magistrato di sorveglianza, disporre l'esecuzione della pena già iniziata, allorché il tossicodipendente detenuto avesse richiesto l'applicazione dell'affidamento terapeutico ex articolo 94 d.p.r. 309/1990, dovendosi ritenere che tale situazione trovasse la propria regolamentazione nella disposizione di cui all'articolo 91

72 Cassazione Sez. I, Sent 25/1/1999, n. 629 73 INSOLERA G., La disciplina penale , cit. p. 82

quarto comma del medesimo d.p.r.74.

Dal che si desume che il quarto comma dell'articolo 91 deve essere inteso letteralmente, nel senso appunto di attribuire al solo pubblico ministero il potere-dovere di sospendere l'esecuzione della pena in costanza di richiesta ex articolo 90 d.p.r. 309/1990, qualora la stessa avesse già avuto inizio75.

Il decreto legge 272 del 2005 sciolse lo snodo interpretativo concernente l'individuazione del giudice territorialmente competente ai fini della concessione del beneficio.

Infatti con questo decreto legge furono abrogatati il primo ed il terzo comma dell'articolo 91, e furono modificati il secondo ed il quarto comma.

Le modifiche apportate dal decreto legge 272/2005 all'articolo 91, risolsero lo snodo interpretativo relativo alla prevalenza o meno della disciplina speciale dettata dal testo unico sugli stupefacenti, rispetto alla normativa generale dettata dal codice di procedura penale.

L'attuale articolo 91 non radica più la competenza presso il tribunale di sorveglianza del luogo in cui risiede l'interessato. Adesso la distinzione di competenza tra condannato libero e condannato detenuto è coerente con la disciplina codicistica.

Il nuovo articolo 91 quarto comma stabilisce che per le istanze formulate da un soggetto detenuto, non è più competente il pubblico

74 Cassazione Sez. Unite, Sent 27/6/2001, n. 21 75 INSOLERA G., La disciplina penale, cit. p. 82

ministero, ma è competente “il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione”, individuato con riferimento alle disposizioni del codice di procedura penale: articolo 677 primo comma.

Per i condannati in stato di libertà invece si applicherà, ricorrendo le condizioni di cui all'articolo 656 quinto comma, il meccanismo della sospensione dell'ordine di esecuzione, e quindi la competenza del pubblico ministero che cura l'esecuzione. Per quanto attiene al suddetto potere-dovere del procuratore della repubblica di sospendere l'esecuzione della pena, è opportuno sottolineare che la sua ratio è quella di incentivare le scelte terapeutiche dell'interessato, e che al pubblico ministero è preclusa ogni valutazione nel merito. Ricapitolando, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge 272 del 2005, ne consegue che se l'istanza proviene da un condannato che si trova in stato detentivo, si applicherà il criterio del

locus custodiae, mentre se al richiesta proviene da un condannato

libero, troverà applicazione il principio del locus domicilii76.

Il vigente criterio di individuazione della competenza è coerente anche con gli attuali presupposti che regolano l'ammissione al beneficio.

Infatti la sospensione dell'esecuzione della pena disciplinata dall'articolo 90 d.p.r. 309/1990, può essere oggi concessa soltanto se

il programma terapeutico e di recupero è stato completato con successo, e non più come in passato anche nel caso in cui quest'ultimo sia ancora in corso; è venuta così meno la ratio di favorire il contatto tra il soggetto tossicodipendente e la struttura di recupero sul territorio77. Quindi è venuta anche meno l'esigenza di

radicare la competenza presso il tribunale di sorveglianza e presso il pubblico ministero competenti, in relazione al luogo di residenza dell'interessato.

La mutata individuazione dell'organo competente per le richieste provenienti da un condannato detenuto, va vista certamente con favore, in quanto il magistrato di sorveglianza è per esperienza il più funzionale a conoscere, soprattutto nel merito, le vicende esecutivo- penitenziarie della sanzione detentiva78.

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