• Non ci sono risultati.

Riflessioni in tema di exercitio navis nell'esperienza giuridico romana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Riflessioni in tema di exercitio navis nell'esperienza giuridico romana"

Copied!
98
0
0

Testo completo

(1)

1

Riflessioni in tema di exercitio navis nell'esperienza giuridica romana

Capitolo I

1. Introduzione: periodo pre – imprenditoriale, 753 a.C.- 242 a.C………..4 2. Introduzione: periodo imprenditoriale, dal 242 a.C. - 235 d.C……….7

Capitolo II

1. Cenni ai modelli organizzativi sottesi alle actiones

adiecticiae qualitatis...17

2. Verba edicti: taberna instructa (azienda) e negotiatio (impresa)………..21 2.1.Nozione preliminare di institor e di magister…….23

3. Introduzione sull’ actio institoria ………...27 3.1. Institor non in potestà………...29

3.2. Pubblicità mediante affissione della praepositio..33 3.3. Institori che agiscono al di fuori della preposizione: ipotesi patologica……….35

4. La creazione dell’actio exercitoria………..38 4.1. Forme di pubblicità, tutela dei terzi contraenti connessi

con la praepositio di un magister navis e il caso del

(2)

2

5. L’elemento soggettivo della voluntas contrapposto alla

scientia……….46

Capitolo III 3. L’Actio tributoria …...51

3.1. Il triplex edictum: actio de peculio, de in rem verso, actio quod iussu...53

3.2. Il peculio: costituzione e revoca………..55

Capitolo IV 1.Tipi di attività contrattuali del magister navis………60

2. Locatio conductio………...61

2.1. Lex Rhodia de iactu...65

3. Receptum nautarum………...72

3.1. I beni oggetto della tutela ed i casi in cui essa opera………..75

3.2 Il collegamento funzionale tra receptum e contratti dello ius civile e il diverso tipo di responsabilità gravante sugli obbligati………77

3.3. Receptum rispetto agli elementi del contratto di locatio operis e sua evoluzione……….81

(3)

3

3.4. I soggetti tutelati e le motivazioni della tutela...83 4. Le azioni di furto e danno………....84 4.1. Comparazione actio de receptum vs actio furti et

damni ………...88

BIBLIOGRAFIA………...93 INDICE DELLE FONTI………..95

(4)

4

1. Introduzione: periodo pre – imprenditoriale, 753 a.C.- 242 a.C.

Il periodo pre - imprenditoriale inizia con la nascita di Roma 753 a.C1 e si conclude nel 242 a.C., contestualmente con la fine della prima guerra punica. A partire da tale evento, Roma avvia il suo processo di espansione politica, economica e commerciale nel Mediterraneo; questa fase, denominata appunto pre – imprenditoriale, viene suddivisa tradizionalmente in una serie di sotto-periodi.

Secondo l’opinione di Cerami2 si identificano le fasi del

regno latino/sabino (754 a.C. 616 a.C.), etrusco (616 a.C. -509 a.C.), della repubblica oligarchica (-509 a.C. -367 a.C.), sino all’ordinamento patrizio plebeo (367 a.C. -242 a.C.). Contraddistinte da una struttura economico-sociale essenzialmente agricola e patriarcale.

L’impianto normativo che influenzò quest’epoca fu l’emanazione delle XII Tavole3 (451-450 a.C.): un corpo di

1 Così A. Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, Torino, 2012, pag.

11-12, scrive: “Sulla nascita di Roma, è opinione unanime che la più antica comunità cittadina sia sorta dal coagularsi dei gruppi gentilizi…i gruppi gentilizi dei villaggi esistenti sulla vetta dei colli andarono creando una primitiva comunità urbana unitaria, con la costituzione di alcuni organi comuni. Il momento in cui ebbe luogo un tale processo di avvicinamento, in base ai più recenti ritrovamenti archeologici, cade nel corso del VIII secolo a.C., confermando quindi approssimativamente la data tradizionale della mitica fondazione da parte di Romolo nel 753 a.C.

2 Cosi P. Cerami, Introduzione allo studio del diritto commerciale romano,

in P.Cerami-A.Petrucci, Diritto commerciale romano. Profilo storico, 3 ed. Torino, 2010, pag. 20, sulla suddivisione in fasi storiche del periodo qui richiamato.

3 Cosi F. Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pisa, 1989, pag. 268 ss.

(5)

5

leggi stilato dai decemviri legibus scribundis, magistratura straordinaria, contenenti regole di diritto pubblico e privato, reputate dalla dottrina4 come la prima redazione scritta di

leggi nella storia di Roma.

La struttura normativa delle XII Tavole era caratterizzata da pochi fattori di rilevo, grazie ai quali è facile intuire l’ordinamento romano di quell’epoca: la figura del pater

familias5 (capo famiglia) unico titolare di diritti e

conseguenti poteri6 ed un sistema economico fondato per la maggior parte sul mero godimento e sulla conservazione dei beni. Si può a questo punto notare come l’agricoltura e la pastorizia fossero le sole attività praticate, mentre il fenomeno dello scambio commerciale, inizialmente, si presentava su di un piano prettamente episodico.

4 Si veda, ad esempio, Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, cit., pag.191, in cui scrive: “L’evento, tuttavia, più importante in tema di fonti del diritto nel V secolo a.C è indubbiamente rappresentato dalla legge delle Dodici Tavole (Lex duodecim tabularum) del 450 a.C., si tratta su un piano formale, di una legge, per essere stata approvata dai comizi centuriati. Le XII tavole, però, sono soprattutto il primo esempio di “codificazione” nell’esperienza romana”.

5A. Petrucci, Lezioni di diritto privato romano, Torino, 2015, pag. 30 ss. sul momento iniziale della patria potestà.

6 Così Petrucci, ibidem, pag. 10. Sui poteri dell’avente potestà. “Il pater familias dispone di quattro poteri, intorno ai quali ruota tutto il diritto di

famiglia romano, soprattutto in età arcaica: a) la manus (mano), il potere che ha il marito sulla moglie; b) la patria potestas (patria potestà), il potere che il pater ha sui figli nati da matrimonio legittimo (iustae nuptiae) e sui figli adottivi; c) il mancipium (il mancipio), un potere del pater esercitato su persone temporaneamente aggregate alla famiglia ed in genere prive di vincoli di parentela con lui; d) la potestas dominica (potestà dominicale), il potere di cui è titolare, in quanto padrone, sugli schiavi”.

(6)

6

La prima vera estensione di Roma ricade nel sotto- periodo patrizio-plebeo7; epoca ricca di conquiste e di forti

espansioni territoriali, in conseguenza delle quali si registrò un’affluenza massiccia di schiavi, impiegati in tutti i settori economici come forza lavoro, dall’agricoltura, alla pastorizia, sino ad arrivare al commercio.

Ne è la riprova il secondo trattato di Cartagine del 348 a.C. come attesta Polibio (Historiae 3.22.8-9) il quale scrive: “Nella Sicilia soggetta a Cartagine e in Cartagine stessa i Romani…avranno libertà di commercio come qualsiasi cittadino cartaginese. Altrettanto si dica per un Cartaginese a Roma“.

Questo periodo segnerà il passaggio da un’economia prettamente conservativa ad un’economia di scambio che trasporterà l’egemonia di Roma nell’epoca commerciale.

7 Cosi P. Cerami, Introduzione allo studio del diritto commerciale romano,

(7)

7

2. Introduzione: periodo imprenditoriale, dal 242 a.C. - 235 d.C.

L’ingresso di Roma nell’età imprenditoriale vede in primo luogo dei mutamenti di carattere sociale, in particolare, vi è un’importante trasformazione riguardante l’istituto della famiglia; si assiste ad un passaggio da una famiglia patriarcale a famiglia mercantile - imprenditoriale.8

Il piano economico, parallelamente a quello sociale, ha come colonna portante dell’intero periodo imprenditoriale lo scambio e di conseguenza il profitto.

Nasce così una società costituita da una fitta rete di

negotiationes; per queste ragioni, la notevole diffusione del

capitale commerciale lievitò e si assistette alla gestione di una taberna instructa (impresa commerciale) sino a quella di una navis instructa (impresa armatoriale), come conseguenza dell’espansione di Roma, dei notevoli flussi finanziari e del mercato schiavistico sempre più in evoluzione.

Questo cambiamento di rotta non trovò l’approvazione della classe aristocratico – senatoria che, in conformità di certi orientamenti ideologico - culturali di quell’ epoca, fu diffidente e critica rispetto all’evoluzione e al progresso.

8Cosi P. Cerami, Introduzione allo studio del diritto commerciale romano,

(8)

8

È opportuno citare il pensiero di Catone il censore nella prefazione del De agri cultura.

Catone, de agri cult, Praef. 1-4:

Est interdum praestare mercaturis rem quaerere, nisi tam periculosum sit, et item foenerari, si tam honestum. Maiores nostri sic habuerunt et ita in legibus posiverunt: furem dupli condemnari, foeneratorem quadrupli. Quanto peiorem civem existimarint foeneratorem quam furem, hinc licet existimare. Et virum bonum quom laudabant, ita laudabant: bonum agricolam bonumque colonum; amplissime laudari existimabatur qui ita laudabatur. Mercatorem autem strenuum studiosumque rei quaerendae existimo, verum, ut supra dixi, periculosum et calamitosum. At ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus stabilissimusque consequitur minimeque invidiosus, minimeque male cogitantes sunt qui in eo studio occupati sunt.

[Può esser preferibile, talvolta, cercare fortuna nei commerci, se la cosa non fosse così soggetta a rischio, e anche prestare a usura, se la cosa fosse altrettanto onorevole. Ma i nostri avi ritennero e fissarono per legge che il ladro fosse condannato al doppio e l'usuraio al quadruplo. Da questo possiamo giudicare quanto peggiore cittadino fosse per loro l'usuraio a paragone del ladro. E per lodare un galantuomo lo lodavano come buon contadino e buon agricoltore; e chi veniva così lodato, si riteneva che avesse

(9)

9

la più grande delle lodi. Il commerciante io lo giudico, certo, un uomo attivo e teso al profitto, ma come ho detto esposto ai rischi e alle disgrazie. Dai contadini invece nascono gli uomini più forti e i più validi soldati: è là che si realizza il più giusto guadagno, il più saldo, il meno esposto al malanimo altrui, e chi è occupato in questa attività è alieno più di ogni altro da cattivi pensieri].

Catone traccia quelli che possono definirsi i vantaggi e i rischi delle attività commerciali, mettendo a fuoco il principio inviolabile dell’onestà, facilmente sviabile in contesti del genere. Nello stesso tempo esalta la classe degli uomini contadini, li definisce onesti e poco inclini all’invidia. L’analisi di Catone si inserisce, appunto in un periodo di trasformazioni fra le due diverse forme di economia, quella tradizionale – agricola e quella incentrata sul capitale commerciale in cui chi opera, è esposto a rischi talvolta irreversibili.

Altra lettura, seppur accomunata dalla stessa visione dell’uomo/contadino, viene fatta dallo scrittore e filosofo Marco Tullio Cicerone in un brano del De officiis 1.42.150-151:

Iam de artificiis et quaestibus, qui liberales habendi, qui sordidi sint, haec fere accepimus. Primum improbantur ii quaestus, qui in odia hominum incurrunt, ut portitorum, ut feneratorum. Illiberales autem et sordidi quaestus mercennariorum omnium, quorum operae, non quorum

(10)

10

artes emuntur; est enim in illis ipsa merces auctoramentum servitutis. Sordidi etiam putandi, qui mercantur a mercatoribus, quod statim vendant; nihil enim proficiant, nisi admodum mentiantur; nec vero est quicquam turpius vanitate. Opificesque omnes in sordida arte versantur; nec enim quicquam ingenuum habere potest officina..151.. Quibus autem artibus aut prudentia maior inest aut non mediocris utilitas quaeritur ut medicina, ut architectura, ut doctrina rerum honestarum, eae sunt iis, quorum ordini conveniunt, honestae. Mercatura autem, si tenuis est, sordida putanda est; sin magna et copiosa, multa undique apportans multisque sine vanitate inpertiens, non est admodum vituperanda; atque etiam si satiata quaestu vel contenta potius, ut saepe ex alto in portum, ex ipso se portu in agros possessionesque contulit, videtur iure optimo posse laudari. Omnium autem rerum, ex quibus aliquid adquiritur, nihil est agri cultura melius, nihil uberius, nihil dulcius, nihil homine libero dignius.

[Se ci chiediamo quali professioni e guadagni debbano ritenersi nobili e quali ignobili, ecco quanto apprendiamo dalla nostra tradizione. In primo luogo sono riprovevoli quei guadagni che incorrono nell’odio degli uomini, come quelli degli esattori e degli usurai. Ignobili ed abietti sono inoltre i guadagni di tutti quei mercenari dai quali si compra il lavoro manuale, non l’opera della mente; per loro il salario è quasi prezzo di servitù. Abietti devono essere altresì reputati coloro che acquistano da grossi mercanti cose da rivendere

(11)

11

subito al dettaglio; non ricaverebbero alcun guadagno, se non dicessero tante menzogne, né vi è cosa più turpe della menzogna. Inoltre, tutti gli artigiani esercitano un mestiere volgare; non può esserci qualcosa degnp di un uomo libero nella gestione di un laboratorio…151. Tutte quelle professioni, invece, che richiedono maggior sapere e producono inestimabili guadagni, come la medicina, l’architettura e l’insegnamento delle arti liberali, sono onorevoli per quelli alla cui psoizione sociale si addicono. Anche il commercio, se svolto su piccola scala, è vile; ma se è svolto in grande, importando da ogni parte molte merci, distribuendole a molti senza frode, non è del tutto biasimevole. Anzi, se il commerciante, sazio o, meglio appagato dai suoi guadagni, come spesso dall’alto mare si ritirava in porto, così ora dal porto si ritira nei suoi possessi in campagna, da cui può trarsi qualche profitto, merita ovviamente ogni lode. Ma fra tutte le attività, da cui può trarsi qualche guadagno, nessuna è più nobile, più produttiva, più piacevole, più degna di un uomo libero, dell’agricoltura].

Nel testo si sottolineano le professioni ignobili, quelle basate sull’odio tra gli uomini, facendosi così riferimento agli usurai e agli esattori; chi compra lavoro manuale e non l’opera della mente non è considerato uomo nobile, visto che quasi certamente l’uomo “comprato” verrà sfruttato e questo si evincerà dal salario percepito. Al contrario è considerato nobile e degno il lavoro contadino, frutto di un uomo libero.

(12)

12

Così ancora Giovenale nella sua Satyra 14.204 afferma: “lucri bonus est odor ex re qualibet”, in cui qualifica l’odore del guadagno come sempre buono, da dovunque provenga.

L’incarico di concedere gli strumenti giuridici necessari volti ad affrontare le nuove dinamiche della società romana fu svolto principalmente dall'attività giurisdizionale dei pretori e dall'interpretatio dei giuristi.

Limitatamente al diritto privato, nel III sec. a.C. si sviluppò un’importante fonte del diritto, discendente dall’attività giurisdizionale (iurisdictio) del Pretore Urbano (istituito nel 367 a.C.), del Pretore Peregrino (istituito nel 242 a.C.) e in misura minore degli Edili Curuli (istituiti anch’essi nel 367 a.C.).

L’insieme di norme giuridiche emanate dai pretori attraverso gli editti9 costituisce lo ius honorarium (diritto

9Così Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell’età comemrciale, cit.,

pag 283-284, scrive sui contesti sociali e di formazione dell’editto del pretore: “Il fenomeno normativo originalissimo che indichiamo come Editto del pretore si sviluppò progressivamente in un clima storico, sia dal lato economico e sociale sia da quello politico interno ed esterno, completamente nuovo e diverso rispetto a quello delle XII tavole. Tale clima era costituito dalla espensione imperialistica; dalla diffusione e dominanza delle forze di lavoro schiavistiche; dalla trasformazione dell’agricoltura, contrassegnata dall’emersione e diffusione di una produzione destinata al mercato avente la sua fase organizzativa nella villa e nelle attività industriali e commerciali alla stessa collegate; dalla grande espansione dei traffici e dei mercati in Italia e nei paesi man mano conquistati; dal contemporaneo sviluppo egemonizzante del capitale commerciale e della dominanza del valore di scambio; dallo sviluppo di un’attività industriale che, seppur subordinata all’attività commerciale, dà luogo a fenomeni di emersione, sia pure sotto vari aspetti frenata, di capitale produttivo, o, se si preferisce, di capitale tout court; da una società civile che, pur continuando ad essere ordinata sul vecchio e forte ceppo del gruppo affermatosi nei secoli precedenti come la cellula fondamentale ed egemone della società stessa, ossia sulla familia proprio

(13)

13

creato dai magistrati) che si contrappone allo ius civile di origine consuetudinaria e legislativa, e all’interpretatio della giurisprudenza.

E’ il giurista Pomponio (Ench.) in D. 1.2.2.10, che nel suo manuale formula una definizone di ius honorarium:

…et magistratus iura reddebant et ut scirent cives, quod ius de quaque re quisque dicturus esset seque praemunirent, edicta proponebant. Quae edicta praetorum ius honorarium constituerunt: honorarium dicitur, quod ab honore praetoris venerat

[…anche i magistrati rendevano diritto (iura) ed emanavano editti esponendoli, affinché i cittadini, sapendo quale sarebbe stato l'esercizio della giurisdizione da parte di ciascun magistrato, si premunissero. Tali editti dei pretori costituirono il diritto onorario; è detto "onorario" perché era derivato dalla carica (honor) del pretore].

Una seconda definizione viene fatta da Papiniano sempre nel Digesto (2 def.) in D. 1.1.7.1:

Ius praetorium est, quod praetores introduxerunt adiuvandi vel supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia propter

iure, è completamente nuova e diversa dalla precedente, essendo

caratterizzata da nuove classi e da gruppi di pressione portatori di nuovi interessi emergenti dalle trasformate strutture economiche; da una base sociale in continua espansione e trasformazione, sia a causa di tutti i fenomeni economici e politici, sia a causa delle continue immissioni nella cittadinanza di ex schiavi delle piu diverse provenienze”.

(14)

14

utilitatem publicam. Quod et honorarium dicitur ab honore praetorum sic nominatum.

[Il diritto pretorio è quello che i pretori introdussero per aiutare o supplire o correggere, per pubblica utilità, il diritto civile. Esso viene detto anche onorario, ed è stato denominato così con riferimento alla carica (honor) dei pretori].

L’attività dei pretori era mirata a colmare i vuoti giuridici lasciati dallo ius civile; l’efficacia dell’editto aveva valenza annuale, in concomitanza con la durata della carica.

Durante l’incarico, il pretore poteva integrare il contenuto dell’editto attraverso dei provvedimenti presi per casi concreti, sotto forma di edicta repentina (editti creati per l’occasione). Tale possibilità integrativa venne abolita con l’emanazione della Lex Cornelia del 67 a.C.10, grazie alla

10Secondo la ricostuzione di A.Metro, La lex Cornelia de iurisdictione alla

luce di Dio Cass. 36.40.1-2, in Iura, 20, 1969, pag. 502 ss., prima della lex Cornelia, non sarebbe stato previsto un obbligo del pretore di attenersi

all’editto predisposto all’inizio della carica.Tracce di una tale tendenza sarebbero riscontrabili dalla lettura dei Paradoxa stoicorum di Cicerone in 6.2.46, dove l’editto sembrerebbe ormai diventato un decretum per avere perso quella stabilità che lo aveva in precedenza caratterizzato. Sull’emanazione della Lex Cornelia si pronuncia in modo critico, anche A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in occidente, Torino, 2005, pag. 311, il quale dopo averlo qualificato come un probabile plebiscito che porta il nome di Caio Cornelio, ritiene che: “ è altrettanto verosimile che la norma non sia stata mai applicata in modo rigido,fino al punto da essere quasi dimenticata”, ed aggiunge: “l’aristocrazia e i suoi giuristi dovettero giudicare faziosamente demagogica l’intromissione, e riuscirono a determinare l’isolamento e il sostanziale rigetto: un atteggiamento che può spiegare bene il silenzio sul plebiscito di tutta la cultura più vicina al mondo del diritto, da Cicerone a Pomponio”. Nonostante tale premessa, dunque, l’autore scrive che la lex, comunque, abbia prodotto “qualche effetto…e inducendo i magistrati a concentrare in un’unica previsione, all’inizio della loro carica, le innovazioni e i mutamenti che intendevano apportare alla precedente

(15)

15

quale ai pretori fu vietato di modificare l’editto, con l’obbligo di affiggerlo in pubblico al momento dell’inizio della carica11.

Nel II sec. a.C. oltre all’attività giurisdizionale dei pretori, affiora come fonte del diritto, l’interpretatio dei giuristi. Dopo aver fatto delle osservazioni sulle XII Tavole, è sempre Pomponio (Ench.) in D. 1.2.2.5 che descrive le origini dello ius civile:

His legibus latis coepit (ut naturaliter evenire solet, ut interpretatio desideraret prudentium auctoritatem) necessarium esse disputationem fori. Haec disputatio et hoc ius, quod sine scripto venit compositum a prudentibus, propria parte aliqua non appellatur, ut ceterae partes iuris suis nominibus designantur, datis propriis nominibus ceteris partibus, sed communi nomine appellatur ius civile.

[Approvate tali leggi (così come suole naturalmente avvenire che l'interpretazione richieda l'autorità dei giuristi), cominciò ad essere necessaria la discussione del foro. Questa discussione e questo diritto, che, senza essere fonte scritta, venne messo insieme dai giuristi, non è chiamato con una denominazione propria, così come invece le altre parti

catena edittale“. Cfr., A. Cassarino, Il vocare in tributum nelle fonti classiche

e bizantine, Torino, 2018, note pag 30.

11 Così Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, cit., pag 210, scrive: “Solo il pretore successivo avrebbe potuto cambiare integralmente il contenuto del proprio editto rispetto al predecessore. Ma di questo non abbiamo notizia, ed anzi, al contrario, tutte quelle norme che, nell’applicazione pratica, avevano dato buona prova di sé erano nomralmente confermate e mantenute in vita da un pretore all’altro”.

(16)

16

del diritto vengono designate con nomi propri che sono stati ad esse attribuiti, ma viene chiamato con il nome comune di "diritto civile"].

L’editto del Pretore e l’interpetatio dei giuristi sono le pietre miliari di un contesto che Feliciano Serrao, citando Fernand Braudel, chiama economia mondo12 per varie ragioni,

partendo dal capitale commerciale, che va sempre più sviluppandosi con l’intensificarsi degli scambi, allo sviluppo dei trasporti marittimi e fluviali, alla preponderanza della forza di lavoro schiavistica grazie alla quale si diffuse anche l’azienda agricola; all’espansione dell’ager publicus in conseguenza dell’aumento della

popolazione; al consolidamento di due classi

economicamente dominanti: quella prevalentemente commerciale e la nobilitas patrizio- plebea che conservava un’egemonia importante in campo agricolo e commerciale facendo uso dei propri schiavi e liberti.

A fronte di un atteggiamento piuttosto critico da parte della nobiltà senatoria, sul concetto di “giusto guadagno”, individuato nella produzione essenzialmente agricola e rifiutando, all’opposto, che il guadagno provenisse da altra fonte. Un’economia mondo appunto che si era specchiata nell’editto del pretore come la fonte creatrice del suo diritto privato.

12Cfr. Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell'età commerciale, cit.,

(17)

17

CAPITOLO II

1. Cenni ai modelli organizzativi sottesi alle actiones adiecticiae qualitatis

Nell’impresa romana, dopo la prima guerra punica, l’usanza principale di chi operava in ambito commerciale prevedeva che i domini impegnassero persone in potestà come preposti ad un’impresa marittima o terrestre; questi venivano appunto definiti magistri navis e institores.

Accanto a questo schema, ne veniva utilizzato anche un altro basato sulla concessione ai sottoposti di un peculio.

Il peculio13 era una componente di estrema importanza, che

nel corso dell’epoca imprenditoriale legava il sottoposto al titolare della potestà; era un patrimonio giuridicamente separato da quello personale del dominus.

Secondo quanto riporta Ulpiano (29 ad ed.) in D. 15.1.7.4:

In peculio autem res esse possunt omnes et mobiles et soli: vicarios quoque in peculium potest habere et vicariorum peculium: hoc amplius et nomina debitorum.

[Nel peculio, poi, possono esservi tutte le cose sia mobili sia del suolo; nel peculio si possono anche avere dei <servi>

13 Per il calcolo e la separazione del peculio dalle scritture contabili del

padrone, si rinvia a Cassarino, Il vocare in tributum nelle fonti classiche e

(18)

18

vicari ed il peculio dei vicari; ancora più ampiamente, anche dei crediti nei confronti di debitori].

Più precisamente era un istituto dello ius civile, che implicava l’utilizzo di una certa quantità di beni, che l’avente potestà concedeva al filius o al servus, i quali potevano liberamente disporne per l’esercizio di un’attività. Essi non erano in possesso della capacità giuricia patrimoniale, e per l’appunto venivano considerati dallo ius

civile come alieni iuris (soggetti al potere di qualcuno).

Ogni vantaggio patrimoniale si riversava automaticamente nella sfera del dominus o del pater, diretta conseguenza dell’impossibilità di acquistare per conto proprio come le persone sui iuris (non soggetti al potere di qualcuno)14 a seguito degli atti compiuti.

I soggetti in potestà erano infatti dotati di una capacità di agire, che permetteva loro di compiere atti per conto dell’avente potestà, sul quale non ricadeva, almeno inizialmente, alcun tipo di responsabilità per gli inadempimenti; la conseguenza era quella di poter solo migliorare il patrimonio dell’avente potestà, con l’impossibilità di trasmettere debiti e obbligazioni derivanti dall’attività negoziale.15

14 Così Petrucci, Lezioni di diritto privato romano, cit., pag. 10 sul concetto di alieni iuris e sui iuris.

15 Si veda Gaio (8 ad ed. prov.) in D. 50.17.133:“Melior condicio nostra per

(19)

19

Per queste ragioni, i pretori approntarono dei rimedi efficienti volti a reprimere condotte arbitrarie dell’avente potestà, creando la responsabilità adiettizia per i contratti conclusi dai sottoposti con i terzi16.

La locuzione “adiettizia”17 sta a significare letteralmente

responsabilità aggiuntiva del titolare della potestà (dominus o pater).

La denominazione deriva da un’espressione del giurista Paolo riportata poi nel Digesto (29 ad ed.) in D. 14.1.5.1:

Item si servus meus navem exercebit et cum magistro eius contraxero, nihil obstabit, quo minus adversus magistrum experiar actione, quae mihi vel iure civili vel honorario competit: nam et cuivis alii non obstat hoc edictum, quo minus cum magistro agere possit: hoc enim edicto non transfertur actio, sed adicitur.

[Parimenti, se il mio servo eserciterà l'impresa di navigazione ed io avrò concluso un contratto con il suo comandante della nave, non vi sarà nessun ostacolo che contro <tale> comandante io esperisca l'azione che mi compete o in base al diritto civile o in base al diritto onorario: infatti, questo editto non costituisce ostacolo

16 Una tale responsabilità naturalmente, non si configurava negli schemi organizzativi più elemnentari. Si veda Petrucci, Lezioni di diritto privato

romano cit., pag.139 sulle forme organizzative di un’impresa, il quale scrive:

“La forma organizzativa più semplice è quella diretta dove l’imprenditore gestisce direttamente e personalmente l’impresa, configurandosi nel linguaggio d’oggi come un imprenditore individuale. Il termine latino maggiormente usato per designarlo è negotiator”.

(20)

20

neppure a chiunque altro ad agire contro il comandante della nave, giacché con questo editto non si trasferisce <contro l'armatore> l'azione <che potrebbe essere esperita contro il comandante> , ma si aggiunge <una nuova azione>].

Si tratta delle actiones adiectitiae qualitatis18, nelle quali

entrano a far parte:

- actio exercitoria; - actio institoria; - actio tributoria;

nonchè le azioni facenti parte del triplex edictum così come dice Ulpiano (29 ad ed.) in D. 15.1.1:

Est autem triplex hoc edictum: aut enim de peculio aut de in rem verso aut quod iussu hinc oritur actio.

[Questo editto, poi, è triplice: da qui, infatti, nasce o l'azione nei limiti del peculio, o quella per quanto si è riversato nel patrimonio <di chi ha la potestà>, o quella su ciò <che sia stato concluso> con l'autorizzazione <di chi ha la potestà>],

18 Si veda M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, pag 85,

il quale dice che:” Esse sono state chiamate così dalla dottrina medievale, con un infelice aggancio testuale ad un’espressione adoperata da Paolo in D. 14.1.5.1, per un caso particolare. Con tale termine si voleva sottolineare come il proprietario non risponda per un atto proprio, ma che – nel regime ricostruito da tale dottrina - risponde per fatto altrui, come ulteriore ed eventuale unico responsabile”.

(21)

21

e cioè:

- De peculio; - De in rem verso; - Actio quod iussu.

2. Verba edicti: taberna instructa (azienda) e negotiatio

(impresa).

La giurisprudenza tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C. formulò quelli che erano i concetti chiave19 di ciò che oggi comunemente s’intende per diritto commerciale romano, contribuendo ad fissare le nozioni di taberna instructa e

negotiatio.

Occorre fare riferimento al giurista Ulpiano, che riporta la nozione di taberna instructa considerata come qualsiasi complesso di beni e uomini (res et homines) destinato all’esercizio di una negotiatio.

Ulpiano (28 ad ed.) D. 50.16.185:

Instructam autem tabernam sic accipiemus, quae et rebus et hominibus ad negotiationem paratis constat

19 Per ulteriori specificazioni circa le nozioni di taberna instructa e negotiatio si rinvia a Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell’età comemrciale cit., pag. 21 ss.

(22)

22

[Riteniamo che l’azienda (attrezzata) sia quella che consta di beni e di uomini organizzati per una negotiatio, cioè per l’esercizio di un’impresa commerciale].

Non mancano dunque delle affinità con la definizione moderna di azienda, come disciplinata dal Codice civile italiano vigente del 1942 all’art. 2555: “l’azienda è il

complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’impresa”.

Ovviamente l’unica differenza la si riscontra nell’accezione moderna, in cui viene a mancare la locuzione “homines” perché, come si può immaginare, nell’azienda romana venivano impiegati prevalentemente gli schiavi, mentre quella odierna si riferisce ad un fascio di rapporti di lavoro con persone libere.

Comunque sia, la sostanza non cambia: Ulpiano intendeva sottolineare come l’azienda non fosse niente altro che un luogo sinergico di beni e forza lavoro.

La negotiatio invece è definibile come l’esercizio professionale all’interno di una taberna con scopo lucrativo e quindi di attività economiche, mediante l’organizzazione di uomini e beni da parte di un negotiator.

Tutto ciò è molto affine ancora una volta al Codice civile, dove l’art. 2082 disciplina la nozione di imprenditore: “è

(23)

23

economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi “.

La locuzione negotiatio è da considerarsi ormai pacifica già nel II sec. d.C., poiché Gaio, nello scrivere le Istituzioni (4.71) la considera già consolidata:

..cum tabernae aut cuilibet negotiationi filium servumve aut quemlibet extraneum , sive servum sive liberum , praeposuerit et quid cu meo eius rei gratia cui praepositus est contractum fuerit

[..Taluno abbia preposto ad un’azienda commerciale o a qualsiasi altra impresa il figlio o uno schiavo ovvero un qualsiasi estraneo, servo o libero e questi abbia concluso un contratto attinente all’impresa cui è stato preposto].

2.1. Nozione preliminare di institor e di magister

Se passiamo all’analisi di cosa s’intende per institor, inizialmente esisteva un’accezione limitata riferibile in particolar modo ad un preposto in un’attività commerciale in senso proprio (intermediazione nello scambio dei beni)20.

In un brano di Paolo in D. 14.3.18, leggiamo:

20 Cosi Cerami, Introduzione allo studio del diritto commerciale romano, in Cerami-Petrucci, Diritto commerciale romano, cit., pag. 56, scrive: “Alla originaria e ristretta accezione di preposto ad un esercizio commerciale in senso proprio (intermediazione nello scambio dei beni), subentra gradualmente il significato ampio e generale di preposto a qualsiasi attività imprenditoriale”.

(24)

24

Institor est qui tabernae… ad emendum vendendumque praeponitur

[Institore è colui che è preposto ad una bottega al fine di svolgere un attività di compravendita].

Inoltre, grazie al commentario ulpianeo, dal libro ventottesimo del commento all’editto si ricava l’elaborazione dei giuristi riguardo al termine institor e il suo progressivo sviluppo, così come leggiamo in D. 14.3.3:

Institor appellatus est ex eo, quod negotio gerendo instet: nec multum facit tabernae sit praepositus an cuilibet alii negotiationi,

[L’institore è cosi denominato perchè è preposto alla gestione di un’impresa: nè ha alcuna importanza che sia preposto ad una azienda di compravendita o a qualsiasi altra attività imprenditoriale],

e anche in:

Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.3.5:

...Cuicumque igitur negotio praepositus sit, institor recte appellabitur.

[… pertanto chi sia preposto ad una qualunque attività imprenditoriale sarà denominato, a buon diritto, institore]. I termini magister ed exercitor, ricorrenti nell’editto dell’actio exercitoria, indicano coloro i quali intrattengono

(25)

25

rapporti contrattuali con i terzi e gestiscono l’impresa di navigazione.

L’exercitor viene inteso comunemente come l’armatore21, e

la definizione la ricaviamo da Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.1.15 :

Exercitorem autem eum dicimus, ad quem obventiones et reditus omnes perveniunt, sive is dominus navis sit sive a domino navem per aversionem conduxit vel ad tempus vel in perpetuum.

[Definiamo armatore colui al quale pervengono tutti i proventi ed i ricavi, sia egli proprietario della nave, ovvero l'abbia avuta locata, in blocco, dal proprietario, a tempo determinato o in perpetuo].

Il concetto è anche messo in luce da Gaio Inst. 4.71:

Ideo autem exercitoria actio appellatur, quia exercitor vocatur is ad quem cottidianus navis quaestus pervenit.

[Viene denominata azione exercitoria per il fatto che si chiama esercente colui al quale perviene il ricavo quotidiano della nave].

21 Così Cerami, Introduzione cit., pag. 58-59, scrive: “Pertanto, l’elemento che, nel contesto dell’impresa navale, consente di identificare l’armatore, non è costituito dal titolo di proprietà, sebbene dal suo ruolo di vertice economico dell’impresa navale, presupposto fondamentale dell’imputazione del flusso quotidiano dei proventi e dei ricavi: imputazione che, peraltro spiega e giustifica la denominazione stessa del rimedio pretorio”.

(26)

26

Il magister era un sostituto dell’armatore, che si occupava dell’intera gestione economico - commerciale della nave, in forza della praepositio22, che delimitava l’ambito entro il

quale poteva agire il preposto con i terzi e la responsabilità del preponente.

Ulpiano (29 ad ed.) in D. 14.1.1. 1-2 precisa il ruolo svolto dal magister:

1. Magistrum autem accipere debemus, cui totius navis cura

mandata est. 2. sed si cum quolibet nautarum sit contractum, non datur actio in exercitorem.

[ 1. Dobbiamo considerare gestore della nave colui al quale è affidata dall’armatore l’intera gestione economico-commerciale della nave. 2. Ma se sia stato concluso un contratto con qualunque altro marinaio, non viene concessa l’azione exercitoria contro l’armatore].

22 Qualifica così Cerami, ibidem. cit., pag. 60, la preposizione:

“L'atto con cui si prepone un soggetto in potestate o sui iuris alla gestione di un'attività commerciale o imprenditoriale; costituisce il fondamento giuridico dei poteri del sostituto magister o institor e quindi della responsabilità del preponente; la sua funzione è quella di fissare l’ambito, le condizioni ed i limiti del contrahere fra preposto e terzi; la praepositio assume natura impersonale ed obiettiva, nel senso che si risolve , a differenza dello iussum, non gia in mero atto interno tra preponente (exercitor o

negotiator) e preposto (magister o institor), sebbene in un atto esterno,

(27)

27

3. Introduzione sull’ actio institoria

Come abbiamo visto in precedenza23, i pretori crearono

degli strumenti volti a proteggere i contraenti con le imprese, e tra le “actiones adiecticiae qualitatis” ritroviamo l’azione institoria.

Inizialmente, come gia anticipato24, l’espletamento di questa

azione era limitato alle imprese commerciali in senso stretto nell’ambito di attività contrattuali di compravendita.

Esiste a tal proposito un frammento di Paolo (lib. sing. de

var. lect.) in D. 14.3.18, al quale abbiamo già fatto

riferimento, dove si dice che :

È institore colui che è preposto a comprare e vendere in un locale o un luogo fisso e colui che è preposto alla stessa attività senza un luogo fisso (Institor est, qui tabernae

locove ad emendum vendendumve praeponitur quique sine loco ad eundem actum praeponitur).

Il punto d’arrivo, dove si amplifica il perimetro dell’azione institoria viene sottolineato ancora una volta da Gaio Inst. 4.71:

Institoria vero formula tum locum habet, cum quis tabernae aut cuilibet negotiationi filium servumve aut quemlibet extraneum sive servum sive liberum praeposuerit, et quid

23 Supra, § 1. 24 Supra, § 2.1.

(28)

28

cum meo eius rei gratia cui praepositus est contractum fuerit

[L’azione institoria poi si applica quando qualcuno abbia preposto ad un’azienda commerciale o ad una qualsiasi impresa, un figlio in potestà o uno schiavo e si sia concluso un contratto con lui nell’ambito di ciò per cui era stato preposto].

Stesso concetto viene ribadito da un altro passo da noi richiamato25, e cioè Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.3.5, nel quale si sottolinea come l’institore possa essere preposto per qualsiasi attività imprenditoriale (Cuicumque igitur negotio

praepositus sit, institor recte appellabitur).

La ratio dell’azione institoria rispondeva ad esigenze di

aequitas, e consentiva ai terzi che avessero contrattato con

l’institore di far valere in solidum la responsabilità diretta del preponente per gli atti compiuti dai preposti; con il presupposto implicito che l’impresa non fosse esercitata direttamente dall’imprenditore, ma fosse affidata tramite la

praepositio26 ad un suo rappresentante filius o schiavo.

25 Cfr, § 2.1.

26 Così Petrucci, Lezioni di diritto privato romano cit., pag. 140-141, scrive sulla praepositio: “L’Imprenditore con un proprio atto, chiamato preposizione (praepositio) conferisce i poteri gestionali ad un suo sottoposto l’institore che ha la funzione di rappresentarlo nei rapporti contrattuali con i terzi.

(29)

29

Inoltre era necessario che si fosse conclusa con il terzo un attività contrattuale rientrante nei poteri di gestione del preposto.

Le istituzioni di Gaio, sopra citate, pertanto, segnalano il profilo di responsabilità27dell’imprenditore preponente.

3.1. Institor non in potestà

Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.3.1 precisa:

Si autem vel alienum servum vel etiam hominem liberum, actione deficietur: ipsum tamen institorem vel dominum eius convenire poterit vel mandati vel negotiorum gestorum.

[.. se (il preponente) invece abbia preposto come institore o uno schiavo altrui o anche un uomo libero, sarà privo dell’azione contro i contraenti di lui: tuttavia potrà convenire in giudizio l’institore stesso o il padrone dello schiavo con l’azione di mandato o di gestione di affari altrui28].

27 A.Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli

imprenditori, il diritto nella storia, Torino, 2007, cit., pag. 17, si sofferma

sullo status dell’institore e sul regime di responsabilità di quest’ultimo osservando: “Lo status e la proprietà dell’institore divenivano del tutto irrilevanti per quanti contraessero con lui, potendosi in ogni caso agire con l’institoria contro il preponente”.

28Sulle relazioni giuriciche fra preposto (magister navis) e preponente (exercitor) nell’impresa di navigazione Cfr. Ulpiano, 28 (ad ed), in D. 14.1.1.18 , sul mandato e la gestione di affari altrui:

Sed ex contrario exercenti navem adversus eos, qui cum magistro contraxerunt, actionem non pollicetur, quia non eodem auxilio indigebat, sed aut ex locato cum magistro, si mercede operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest. solent plane praefecti propter ministerium annonae, item in provinciis praesides provinciarum extra ordinem eos iuvare ex contractu magistrorum.

(30)

30

Se dunque il preponente dovrà rispondere degli inadempimenti dei preposti non soggetti alla sua potestà29,

avrà un’azione di rivalsa nei loro confronti o nei confronti dei loro padroni.

I terzi erano vincolati alla praepositio dell’imprenditore ed alle eventuali clausole che l’imprenditore stesso poteva apporre30.

Ad esempio, Ulpiano ce ne indica alcune tipologie: - inserimento di una certa lex,

- intervento di garanti, limitazioni in merito all’oggetto,

29Così Petrucci, Lezioni di diritto privato romano, cit., pag. 143-144 sul preposto non in potestà scrive: “l’atto di preposizione del negotiator o dell’armatore si innesta nel quadro di un rapporto giuridico che si instaura con il preposto. Infatti, a differenza degli schiavi e figli in potestà e dei servi

alieni, l’uomo libero sui iuris gestisce l’impresa a seguito di un contratto con

il preponente o attraverso una relazione quasi contrattuale con lui. Più precisamente, le fonti menzionano i due contratti di locazione di giornate lavorative (locatio operarum) e di mandato (mandatum), a seconda che il preposto fosse retribuito o no, e la gestione di affari altrui (negotiarum

gestio) come figura di quasi contratto. Quest’ultima ipotesi poteva

verificarsi, ad esempio, quando un institore schiavo fosse manomesso dal preponente e continuasse da liberto a gestire la medesima attività imprenditoriale, senza aver concluso un contratto diretto a ciò. Sotto il profilo dei rapporti con i terzi, va sottolineato che, per le obbligazioni non adempiute, il preposto sui iuris può essere chiamato in giudizio in alternativa al preponente. Ad essi viene offerta, infatti, la scelta se agire con l’actio

institoria o exercitoria direttamente contro il preponente stesso oppure

rivolgersi contro il preposto con l’azione prevista nell’editto del pretore per il tipo di contratto posto in essere (ad esempio se era un mutuo, l’azione nascente da mutuo; se era una vendita l’azione nascente dalla vendita e così via). Naturalmente il preponente condannato a pagare per un inadempimento del preposto avrebbe potuto rivalersi in seguito su di lui sulla base del rapporto giuridico esistente tra loro (azione di conduzione, azione di mandato, azione di gestione affari altrui)”.

30Si veda Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli

imprenditori, pag. 23-24, sulle clausole che l’imprenditore poteva inserire

(31)

31

- nomina eventuale di più institori con compiti diversi, - divieto di contrarre con l’institore a carico di certe persone. I terzi che non avessero rispettato le clausole della

praepositio avrebbero perso la possibilità di esperire

l’azione institoria.

Vi era un regime particolare di libertà dell’imprenditore per quanto concerne la determinazione di clausole, libertà chiaramente soggetta a dei limiti imprescindibili: ad esempio, se l’imprenditore avesse ripetutamente mutato i divieti a contrarre con l’uno o l’altro institore, i terzi avrebbero potuto comunque esperire l’azione institoria contro il preponente. La ratio era quella di non ingannare i terzi contraenti.

E’ quanto spiega Ulpiano (29 ad ed.) in D. 14.3.11.2:

De quo palam proscriptum fuerit, ne cum eo contrahatur, is praepositi loco non habetur: non enim permittendum erit cum institore contrahere, sed si quis nolit contrahi, prohibeat: ceterum qui praeposuit tenebitur ipsa praepositione.

[Riguardo a colui per il quale sia stato affisso in pubblico di non concludere contratti con lui, questi non si considera come un preposto: con l'institore, infatti, non dovrà venire permesso <espressamente> di poter concludere contratti, ma se qualcuno non vuole che si concludano contratti con lui, lo

(32)

32

deve <espressamente> proibire; in caso contrario, chi ha preposto sarà tenuto in base alla stessa preposizione].

Segue D. 14.3.11.5:

Condicio autem praepositionis servanda est: quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi vel ad certam rem? aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. Item si plures habuit institores, vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. Sed et si denuntiavit cui, ne cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere contrahere vel certum genus hominum vel negotiatorum, vel certis hominibus permittere. Sed si alias cum alio contrahi vetuit continua variatione, danda est omnibus adversus eum actio: neque enim decipi debent contrahentes.

[Le condizioni della preposizione, poi, si devono osservare: che succede, infatti, se <il preponente> ha voluto che si concludesse il contratto con l'institore inserendo una determinata clausola o con l'intervento di una qualche persona o mediante pegno o con riferimento ad una determinata cosa? Sarà molto equo che sia osservato ciò per cui <l'institore> è stato preposto. Parimenti, se qualcuno ha avuto più institori ed ha voluto che si concludesse il contratto con tutti insieme o con uno solo. Ma anche se ha intimato <specificamente> a qualcuno di non concludere un contratto con l'institore, non deve essere tenuto con la

(33)

33

<azione> institoria: infatti, possiamo anche proibire di concludere contratti <con l'institore> ad una determinata persona o ad un certo genere di uomini o di imprenditori, oppure permetterlo a determinate persone. Ma se, con continui cambiamenti, si vieta di concludere un contratto, alcune volte con uno, altre volte con l'altro, si deve dare a tutti l'azione contro il preponente: infatti, non si debbono trarre in inganno i contraenti.]

3.2. Pubblicità mediante affissione della praepositio

La possibilità di espletare l’azione institoria dipendeva dalla

praepositio e dalle sue forme pubblicitarie, in modo che i

suoi contenuti fossero conoscibili all’esterno dai terzi; la pubblicità doveva essere permanente e affissa all’ esterno, in una posizione particolarmente visibile e per iscritto; inoltre veniva pubblicata mediante affissione scritta a chiare lettere, di modo che tutti potessero comprenderla, così ci dice Ulpiano (28 ad ed) in D. 14.3.11:

Proscribere palam sic accipimus claris litteris, unde de plano recte legi possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco remoto, sed in evidenti. Litteris utrum Graecis an Latinis? puto secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum. Certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non audietur.

(34)

34

[Affiggere in pubblico lo intendiamo così: a chiare lettere, in modo che subito si possa leggere correttamente, certo davanti al locale commerciale o a quel luogo nel quale si esercita l‘impresa, non in un luogo nascosto, ma evidente. In lingua greca o latina? Reputo secondo la condizione del luogo affinchè nessuno possa addurre come pretesto l’ignoranza della lingua. Certamente se qualcuno dica di non saper leggere o di non aver osservato ciò che era stato affisso, mentre molti lo leggevano o era stato affisso in pubblico, non sarà ascoltato].

Se i terzi avessero contrattato con l’institore in una circostanza tale da rendere l’affissione inesistente o illegibile, l’azione institoria veniva ugualmente concessa per riequilibrare il rapporto. L’imprenditore/dominus poteva dunque essere esonerato da responsabilità solo se avesse adempiuto ai predetti regimi pubblicitari.31

Era concessa ai terzi l’azione institoria tutte le volte in cui l’imprenditore fosse stato inadempiente rispetto al contenuto e alla visibilità dell’affissione e conseguentemente avesse tentato di ingannare i terzi, a meno che questi non fossero stati partecipi al dolo.

31Così Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori cit., pag. 27 ss.

(35)

35

3.3. Institori che agiscono al di fuori della preposizione:

ipotesi patologica

Si riconosce una responsabilità del preponente per gli atti compiuti dall’institore anche al di fuori della sua preposizione, almeno in presenza di determinate circostanze.

Il caso più famoso è riportato dal giurista Paolo (1 decret.) in D. 14.5.8:

Titianus Primus praeposuerat servum mutuis pecuniis dandis et pignoribus accipiendis: is servus etiam negotiatoribus hordei solebat pro emptore suscipere debitum et solvere. Cum fugisset servus et is, cui delegatus fuerat dare pretium hordei, conveniret dominum nomine institoris, is negabat eo nomine se conveniri posse, quia non in eam rem praepositus fuisset. Cum autem et alia quaedam gessisse et horrea conduxisse et multis solvisse idem servus probaretur, praefectus annonae contra dominum dederat sententiam. Dicebamus quasi fideiussionem esse videri, cum pro alio solveret debitum, nam pro aliis suscipit debitum: non solere autem ex ea causa in dominum dari actionem nec videri hoc dominum mandasse. Sed quia videbatur in omnibus eum suo nomine substituisse, sententiam conservavit imperator.

[Tiziano Primo aveva preposto un servo a dare denaro a mutuo e a ricevere pegni. Questo servo era solito anche, nei confronti di commercianti di orzo, assumere <in base a

(36)

36

delegazione> il debito in luogo del compratore e pagare. Essendo fuggito il servo ed avendo colui, al quale era stato delegato a dare il prezzo dell'orzo, convenuto in giudizio il padrone a titolo di preponente dell'institore, lo stesso negava di poter essere convenuto a tale titolo, perché <il servo> non era stato preposto per tale attività. Ma, essendo stato provato che lo stesso servo aveva sia concluso altri affari, sia preso in conduzione magazzini sia pagato a molti, il prefetto dell'annona aveva pronunciato la sentenza contro il padrone. Noi dicevamo che si considerava come se vi fosse stata una fideiussione, poiché <il servo> pagava il debito per un altro e infatti assumeva su di sé il debito per altri, e che non si era poi soliti dare l'azione <institoria> contro il padrone in base a tale causa né risultava che il padrone gli avesse dato incarico di ciò. Ma, poiché era risultato che il padrone si facesse sostituire a suo nome in tutto, l'imperatore confermò la sentenza].

In questo caso, vi sono due distinte interpretazioni della dottrina32: una più antica, l’altra più moderna, che ambisce

a dare rilievo al profilo della tutela dei terzi rispetto ad un atto compiuto al di fuori della preposizione institoria.

Nella prima ipotesi, si vieta l’utilizzo dell’azione institoria, non essendo le attività compiute dal preposto comprese nell’atto di preposizione, a meno che il dominus non le

32 Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori, cit., pag. 35 ss. sulle opposte teorie dottrinali.

(37)

37

avesse specificate. Si dà premialità al principio volontaristico che verrà meno nella seconda teoria dottrinale.

Nella seconda, dove ci si rifà a profili di responsabilità oggettiva, assumono maggior peso gli atti concreti compiuti dall’institore, tali da mettere in crisi il mero principio volontaristico della preposizione, dal momento che egli, oltre ad operare nel perimetro della preposizione, assumeva abitualmente, in veste di intermediario, obbligazioni di pagare il prezzo, su delegazione degli acquirenti.

Seguendo il secondo filone interpretativo, nel giudizio di appello, l’imperatore conferma la decisione del prefetto dell’annona33, visto che lo schiavo lo aveva sostituito in tutte

le attività, anche quelle al di fuori della preposizione institoria.

Un altro caso differente, di violazione della praepositio, è prospettato dallo stesso Paolo (4 ad Plaut.) in D. 15.1.47.2:

Quotiens in taberna ita scriptum fuisset "cum Ianuario servo meo geri negotium veto", hoc solum consecutum esse

33 Secondo quanto riporta Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, cit., pag.126: “il praefectus annone è incaricato a sovrintendere ai rifornimenti alimentari della città di Roma, sostituendo in questo gli edili ed assumendo progressivamente anche le funzioni di giudice nelle controversie relative al sistema di approvvigionamento. La sua introduzione è da porre probabilmente nel 18 a.C. Chi viene nominato appartiene al ceto dei cavalieri e si avvale, per lo svolgimento delle funzioni, di un collegio di quattro ex pretori addetti alla distribuzione del grano, disponendo anche di una specifica cassa, il fiscus annonae”.

(38)

38

dominum constat, ne institoria teneatur, non etiam de peculio.

[Ogni volta che sia stato scritto così in un locale: “Vieto che sia gestito un affare con il mio schiavo Ianuario”, è certo che il suo padrone ne ha conseguito solamente ciò, di non essere tenuto in base all’azione institoria, ma non anche in base a quella nei limiti del peculio].

Qui si tratta di una situazione in cui l’imprenditore, mediante affissione, aveva proibito ai terzi di contrattare con lo schiavo preposto. Nonostante ciò, qualcuno aveva pensato di contrattarvi ugualmente e, di fronte all’inadempimento dello schiavo, non si poteva invocare l’azione institoria per considerare responsabile il padrone; era invece possibile esperire contro di lui l’actio de peculio, sempre che lo schiavo ne avesse avuto uno. In tal caso vigeva una responsabilità più attenuata da parte del dominus.34

4. La creazione dell’actio exercitoria

Intorno al II sec a.C. fu introdotta, ad opera del pretore, l’actio exercitoria per le sole imprese di navigazione.

Come nel caso dell’azione institoria, il pretore dava l’azione per far valere una responsabilità in solidum dell’armatore (exercitor navis) da parte di quei soggetti terzi che avessero

34Così A. Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori, cit., pag. 39.

(39)

39

contratto con il comandante (magister navis), in origine figlio in potestà o schiavo, preposto all’impresa di navigazione, sulla base della voluntas dell’armatore stesso.35

E’ quanto riporta Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.1.1 pr., in cui elogia le finalità dell’editto contenente l’azione:

Utilitatem huius edicti patere nemo est qui ignoret. Nam cum interdum ignari, cuius sint condicionis vel quales, cum magistris propter navigandi necessitatem contrahamus, aequum fuit eum, qui magistrum navi imposuit, teneri, ut tenetur, qui institorem tabernae vel negotio praeposuit, cum sit maior necessitas contrahendi cum magistro quam institore. Quippe res patitur, ut de condicione quis institoris dispiciat et sic contrahat: in navis magistro non ita, nam interdum locus tempus non patitur plenius deliberandi consilium.

[Non vi è nessuno che ignori che è evidente l'utilità di questo editto. Infatti, poiché a volte, per la necessità di navigare, concludiamo contratti con i comandanti <di una nave> ignari di quale condizione giuridica essi siano o di chi siano, fu equo che sia tenuto colui che ha messo a capo della nave un comandante, come è tenuto chi ha preposto un institore ad un locale ad uso commerciale o ad un'impresa, essendo

35 Petrucci, ibidem, cit., pag. 56, sul criterio di equità a fondamento

dell’azione scrive: “L’azione comportava una responsablità per l’intero dell’armatore titolare della potestà, perché i contraenti con il comandante della nave entravano in rapporti con lui in base ad un’autorizzazione (la

voluntas appunto) dell’armatore stesso e tale regime era apparso dal pretore

(40)

40

la necessità di concludere contratti con il comandante maggiore di quella con l'institore. In effetti, la situazione permette che uno verifichi la condizione dell'institore e in tale modo concluda contratti; <ma> nei confronti del comandante della nave non è così: infatti, talora il luogo <ed> il momento non permettono una più piena valutazione per decidere].

Il magister navis poteva essere affiancato da un gubernator, un capitano responsabile della direzione tecnico – nautica, anche se, il più delle volte, era il magister stesso a cumulare su di sé tale funzione.

Un primo elemento in comune con l’actio institoria si ha quando vengono trattate le motivazioni per le quali nell’editto si concede l’actio exercitoria ai terzi.

Un testo significativo è quello di Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.1.1.7, nel quale si afferma:

Non autem ex omni causa praetor dat in exercitorem actionem, sed eius rei nomine, cuius ibi praepositus fuerit, id est si in eam rem praepositus sit, ut puta si ad onus vehendum locatum sit aut aliquas res emerit utiles naviganti vel si quid reficiendae navis causa contractum vel impensum est vel si quid nautae operarum nomine petent.

[Il pretore, poi, non per ogni causa dà l'azione contro l'armatore, ma a titolo di quell'attività alla quale <il comandante> era stato lì preposto, cioè, se sia stato preposto

(41)

41

a quella specifica attività: ad esempio, se sia stata conclusa una locazione per trasportare un carico o abbia comprato cose utili a chi naviga, oppure se sia stato concluso un contratto o compiuta una spesa per riparare la nave, oppure se i marinai chiederanno qualcosa a titolo della attività lavorativa <svolta>].

Anche qui, l’esercizio dell’azione exercitoria vale per quei contratti conclusi dal comandante (magister navis) strettamente connessi con l’impresa e con i poteri gestori.

4.1. Forme di pubblicità, tutela dei terzi contraenti connessi

con la praepositio di un magister navis e il caso del

promagister

Anche per l’azione exercitoria esistono delle forme di conoscibilità per i terzi, seppur meno corpose rispetto a quelle dell’actio institoria.

Tuttavia, in tema di pubblicità della praepositio nell’impresa di navigazione, siamo privi di notizie dettagliate36; il che ci

porta alla logica conseguenza di ritenere plausibile che la

36 Secondo l’interpretazione di Petrucci, Per una storia della protezione dei

contraenti con gli imprenditori cit., pag. 63-64, sulla pubblicità e sul mancato

rispetto della stessa, si sostiene: “Affissioni ed avvisi analoghi a quelli previsti per la praepostio institoria, da esporre nella nave o nelle sedi dell’impresa di navigazione situate nei vari porti. L’inosservanza di questi requisiti di pubblicità, pur nel silenzio delle fonti, doveva generare, proprio in forza del principio praepositio certam legem dat contrahentibus, la responsabilità in solidum dell’ exercitor verso i contraenti con il magister per prestazioni oggetto dell’impresa di navigazione, tutte le volte che questi non fossero stati messi in condizione di conoscerne i poteri gestionali e quindi gli eventuali limiti ad essi imposti dall’armatore stesso”.

(42)

42

pubblicità della stessa potesse essere redatta in qualsisi forma37.

Dalle fonti giuridiche in nostro possesso si ricava la possibilità che, accanto alla figura del comandante della nave (magister), ne venga nominata un’altra, definita

promagister. Il punto di partenza della nostra analisi su tale

figura è ancora una volta il giurista Ulpiano (28 ad ed) in D. 14.1.1.5:

Magistrum autem accipimus non solum, quem exercitor praeposuit, sed et eum, quem magister: et hoc consultus Iulianus in ignorante exercitore respondit: ceterum si scit et passus est eum in nave magisterio fungi, ipse eum imposuisse videtur. Quae sententia mihi videtur probabilis: omnia enim facta magistri debeo praestare qui eum praeposuit, alioquin contrahentes decipientur: et facilius hoc in magistro quam institore admittendum propter utilitatem.

[Intendiamo come comandante <della nave>, poi, non solo colui che l'armatore ha preposto, ma anche colui che il comandante stesso <ha preposto>; e Giuliano, consultato <sul punto>, ha risposto ciò con riferimento all'armatore che non ne è a conoscenza; del resto, se ne è a conoscenza e tollera che quello svolga sulla nave le funzioni di comandante, si considera che lo abbia preposto lui stesso. E

37 Sulle forme di pubblicità si fa un rinvio a D. 14.3.11, citato in precedenza

(43)

43

questo parere mi sembra da approvare: infatti, debbo rispondere di tutti i fatti del comandante che lo ha preposto, altrimenti i contraenti sarebbero ingannati; e, per ragioni di utilità, ciò si deve ammettere più facilmente nei confronti del comandante della nave che dell'institore].

Quando l’armatore è dunque a conoscenza della nomina di un promagister ad opera del comandante della nave, si deve considerare come se l’exercitor avesse proceduto egli stesso nel conferimento dei poteri.

E’ quanto discende da Ulpiano (28 ad ed.) in D. 14.1.1.13:

Si plures sint magistri non divisis officiis, quodcumque cum uno gestum erit, obligabit exercitorem: si divisis, ut alter locando, alter exigendo, pro cuiusque officio obligabitur exercitor.

[Se più sono i comandanti della nave senza ripartizione di compiti, quanto sarà compiuto con uno solo obbligherà l'armatore; se <i compiti sono> ripartiti, ad esempio, uno loca, l'altro esige <i noli>, l'armatore sarà obbligato in base al compito di ciascuno].

Più complesso, invece, è il caso in cui l’armatore non sia a conoscenza della nomina di un promagister.

Ulpiano affronta la questione se i terzi possano far valere la responsabilità dell’exercitor anche quando il magister (preposto) abbia preposto un promagister, senza che il primo lo sappia.

(44)

44

Si arriva ad una soluzione positiva, ad un tipo di responsabilità oggettiva giustificato dalla cosiddetta utilitas

navigantium.38 Si promuove quella che viene definita come

sicurezza commerciale e la ratio sta nel non ingannare i contraenti per i rapporti commerciali.

Nel caso in cui alla gestione della nave venga preposto un uomo libero, non esendo soggetto a potestà altrui, Ulpiano al §17 del medesimo frammento scrive che:

Est autem nobis electio, utrum exercitorem an magistrum

convenire velimus.

[Abbiamo poi la scelta se convenire in giudizio l’armatore oppure il comandante della nave].

Se la scelta del terzo contraente fosse ricaduta nella chiamata in giudizio dell’armatore, quest’ultimo si sarebbe potuto rivalere nei confronti del magister. Tale rivalsa si sarebbe potuta esperire mediante il rapporto che lega i soggetti coinvolti, secondo quanto riporta lo stesso Ulpiano (28 ad ed) in D. 14.1.1.18. :

…aut ex locato cum magistro, si mercede operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest.

[… si può agire contro il comandante o con l’azione da locazione se presta la propria opera in base ad una marcede, o con quella di mandato, se la presta gratuita].

38 Così A. Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli

Riferimenti

Documenti correlati

Il Consiglio Arbitrale, nella sua prima riunione del 21 gennaio 2014, ha deliberato, tra l’altro, di riorganizzare la tenuta degli Albi degli Arbitri e valutare

NONNO FORMICHE PASTELLI CAPELLI CAPPELLO LAVAGNA CANTANTI FORMICA

33: «il ricorso alla delega da parte di un soggetto titolare di una posizione di garanzia (quale è il datore di lavoro rispetto alla sicurezza ed igiene dei lavoratori e

Rimaneva, tuttavia, irrisolto il problema della definizione di colpa grave rispetto al quale veniva in soccorso la giurisprudenza, fin dalle prime pronunce successive

Mac tende ad offrire un messaggio inverso rispetto a quello dei contest più tradizionali: le gare ad esclusione tendono infatti a non valorizzare il lavoro di ciascun

Item ponit quod predictus Laurentius dixit in capitulo Saone quod predicta navis stetit per mensem i et plus d postquam fuit tracta in terra ante quam

sono diritti che hanno ad oggetto una cosa e la seguono indipendentemente dal suo proprietario... Come definiamo il potere che un soggetto ha di agire a tutela di un proprio

dimensione, una variabile intera che costituirà, a seconda del caso, il numero di righe o di colonne effettivamente presenti nell’array. (riempimento di riga e riempimento