CdL in Scienze della Formazione Primaria – Vecchio Ordinamento
Lab. 1 anno - II semestre (di recupero) - Prof. Acone
Obiettivi e contenuti del corso
Obiettivi Contenuti
Migliore conoscenza della lingua italiana e, in particolare, possibilità di sviluppare una concreta padronanza rispetto alle prime espressioni poetiche – testimonianze di una elaborazione culturale ed artistica più elevata – come basi di una attività laboratoriale tesa ad accrescere la ‘pratica’ dello studio linguistico-letterario.
Capacità di costruire, comprendere, analizzare, parafrasare, sintetizzare e, quindi, entrare in possesso dei codici minimi di interpretazione di un uso linguistico al contempo innovativo (per l’epoca) e ‘lontano’ dalla contemporaneità degli studenti universitari di oggi.
Conseguente padronanza del testo da sfruttare in ambito scolastico e nell'esercizio delle diverse pratiche testuali e narrative riferibili all'infanzia.
Studi ed esercitazioni sui primi testi poetici della letteratura italiana, con riferimenti teorici e schema esercitazioni.
Materiali del corso e bibliografia di riferimento
1) Un manuale di letteratura italiana ad uso nei licei (con analisi testuale). 2) Supporto teorico fornito dal docente:
La conoscenza della lingua italiana e, in particolare, la possibilità di sviluppare una concreta padronanza rispetto alle prime espressioni poetiche – testimonianze di una elaborazione culturale ed artistica più elevata – si pongono alla base di una attività laboratoriale tesa ad accrescere la ‘pratica’ dello studio linguistico-letterario.
Si ritiene doveroso partire dalle prime esperienze poetiche chiaramente identificabili e storicamente definite perché pare opportuno riferirsi ai punti d’avvio di una materia dibattuta, studiata e controversa quale l’evoluzione linguistica e, di conseguenza, letteraria, artistica, scientifica e divulgativa della nazione.
La capacità di costruire, comprendere, analizzare, parafrasare, sintetizzare e, quindi, entrare in possesso dei codici minimi di interpretazione di un uso linguistico al contempo innovativo (per l’epoca) e ‘lontano’ dalla contemporaneità
degli studenti universitari di oggi, potrà fornire una valida traccia grazie alla quale sviluppare una più consapevole padronanza nell’analisi e nella lettura di un qualsiasi testo letterario.
La collocazione cronologica di un tale approfondimento e delle relative esercitazioni, infatti, consente di poggiare lo studio e gli eventuali successivi ‘contatti di lettura’ su una base di partenza di ineludibile importanza, tesa a facilitare la comprensione e l’interpretrazione dei testi della letteratura italiana di tutte le epoche.
Le prime significative espressioni delle origini della lingua italiana sono rintracciabili nella produzione poetica della scuola sicula ed della scuola toscana.
Nei componimenti riferibili a tali scuole, il volgare assurge a dignità letteraria attraverso l’elaborazione di una lingua letteraria raffinatissima, costruita selezionando rigorosamente vocaboli, normativizzando le forme, impiegando termini derivati dal linguaggio amoroso trobadorico e attingendo a piene mani al latino tanto per la sintassi quanto per il lessico.
Il latino presta al volgare una serie di termini filosofici e scientifici: oggetto, soggetto, accidente, sostanza, virtuale,
potenziale etc.; mentre le lingue di Francia influiscono soprattutto sul linguaggio guerresco e feudale: arnese, omaggio, codardo, paladino, prode, giostra, stendardo, ma anche termini più comuni come mestiere, passaggio, pensiero, mangiare.
Le prime attestazioni di volgare illustre provengono dalla scuola siciliana, della cui originale forma linguistica – il volgare siciliano depurato di ogni residuo dialettale delle lingua di uso corrente - abbiamo scarsissime testimonianze in quanto i primi componimenti dei poeti della corte di Federico II ci sono pervenuti in codici trascritti da copisti toscani, che sovrapposero il loro proprio idioma a quello siciliano. Dal processo di toscanizzazione si sono in effetti salvati soltanto due componimenti in siciliano: La canzone di Re Enzo e quella di Stefano Protonotaro Pir meu cori alligrari. Nel passaggio dal volgare dei Siciliani a quello toscano le vocali, in particolare, furono soggette a mutamenti di carattere qualitativo e quantitativo, constando il siciliano di cinque vocali (discendenti dal latino nordafricano): i, e, a, o, u, e il toscano di sette (i, é, è, a, ò, ó, u). Il copista, pertanto, trascrisse la u > o e la i > e, là dove la corrispondente parola toscana comportava tale variazione, determinando anche una imperfezione nelle rime. I temi e i motivi espressi dalla scuola poetica siciliana, riprendendo procedimenti stilistici e forme metriche dei modelli provenzali, si focalizzano soprattutto sulla tematica amorosa, secondo i canoni dell’ideale cortese. La donna, cantata come depositaria di ogni virtù, di ogni dote sia fisica sia morale; la ricompensa alla servitù d’amore; il dolore e il piacere dell’amore, del quale si indaga la genesi e la fenomenologia, sono motivi che i Siciliani riprendono dalla lirica provenzale, rielaborandoli attraverso un linguaggio e forme metriche tendenti ad una progressiva stilizzazione e in parte nuovi rispetto al modello. Proprio relativamente alle forme metriche va evidenziato che è ascrivibile a Jacopo da Lentini l’invenzione del sonetto.
In definitiva, con la scuola poetica siciliana non solo la poesia diventa un genere (distinguendosi dalla musica che era parte integrante dei componimenti della poesia trobadorica), ma essa crea e elabora un proprio codice linguistico.
Dalla cosiddetta scuola poetica siciliana l’esercizio del poetare passa nell’area emiliana e toscana, dove, sotto il profilo linguistico, si assiste ad una progressiva codificazione della lingua letteraria orientata sempre più verso il fiorentino come modello di riferimento. E’ attraverso questa lingua che si realizza la poesia del Dolce Stil Novo, sviluppatasi a Firenze negli ultimi decenni del tredicesimo secolo.
Va precisato però che il processo di codificazione ed unificazione linguistica si realizza su un piano squisitamente letterario, mentre nell’uso comune della lingua parlata, la nostra penisola resta ancora caratterizzata da un notevole policentrismo linguistico, espressione, d’altra parte, del proprio policentrismo politico.
La distanza della poetica del Dolce Stil Novo da quella della scuola siciliana si evidenzia nella nota dichiarazione di Dante a Bonagiunta Orbicciani nel Canto XXIV del Purgatorio: “I’ mi son un che quando/ Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando”. La poesia diventa espressione letteraria (e linguistica) di quanto Amore ditta dentro. Per significare razionalmente il sentimento d’amore il poeta deve attingere a piene mani agli strumenti retorici e linguistici fornitigli dalle artes dictandi, adeguandoli alla esigenza di esprimere un sentimento che, quasi
naturaliter, si impone al suo animo. Proprio tale adeguamento genera un ampliamento ed un approfondimento del
valore semantico della parola. La poesia diviene così espressione di una plusvalenza significativa tale da essere intesa solo da coloro che sono accomunati da un’identica percezione del sentimento amoroso.
Compito di apprendimento
Il laboratorio si articola in una successione di fasi di studio – esercitazione.
1) Contestualizzazione storico-culturale relativa alla mini selezione di testi poetici.
2) Costruzione diretta come prima forma di profonda comprensione della lingua utilizzata dal poeta in questione.
3) Parafrasi finalizzata allo sviluppo di una immediata ‘trasposizione’ linguistica. 4) Individuazione dei temi trattati per un approfondimento contenutistico.
5) Individuazione delle figure retoriche, utile ad una più spiccata padronanza tecnica della lingua poetica oggetto dello studio in questione.
6) Individuazione delle parole particolarmente significative dal punto di vista semantico e ritmico (con motivazione della risposta).
Testi da analizzare schematizzando le risposte secondo i 7 punti sopraelencati:
Jacopo da Lentini – Sonetto
Sì come il sol che manda la sua spera e passa per lo vetro e no lo parte, e l’altro vetro che le donne spera, che passa gli ochi e va da l’altra parte, così l’Amore fere là ove spera e mandavi lo dardo da sua parte: fere in tal loco che l’omo non spera, passa per gli ochi e lo core diparte. Lo dardo de l’Amore là ove giunge, da poi che dà feruta sì s’aprende di foco c’arde dentro e fuor non pare; e due cori insemora li giunge, de l’arte de l’amore sì gli aprende, e face l’uno e l’altro d’amor pare.
Jacopo da Lentini – Sonetto
Donna, vostri sembianti mi mostraro isperanza d’amore e benvolenza, ed io sovr’ogni gioia lo n’ò caro lo vostro amore e far vostra piagenza. Or vi mostrate irata, dunqu’ è raro senza ch’io pechi darmi penitenza, e fatt’avete de la penna caro, come nochier c’à falsa canoscenza. Disconoscenza ben mi par che sia, la conoscenza che nonn-à fermezze, che si rimuta per ogni volere;
dunque non siete voi in vostra balia, né inn-altrui c’aia ferme prodezze, e non avrete bon fine al gioire.
Jacopo da Lentini – Sonetto
[C]hi non avesse mai veduto foco no crederia che cocere potesse, anti li sembraria solazzo e gioco lo so isprendor[e], quando lo vedesse. Ma s’ello lo tocasse in alcun loco, be·lli se[m]brara che forte cocesse: quello d’Amore m’à tocato un poco, molto me coce – Deo, che s’aprendesse! Che s’aprendesse in voi, [ma]donna mia, che mi mostrate dar solazzo amando, e voi mi date pur pen’e tormento. Certo l’Amor[e] fa gran vilania, che no distringe te che vai gabando, a me che servo non dà isbaldimento.
Guido Guinizzelli – Sonetto
Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo che fate quando v'encontro, m'ancide: Amor m'assale e già non ha reguardo s'elli face peccato over merzede, ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo ched oltre 'n parte lo taglia e divide; parlar non posso, ché 'n pene io ardo sì come quelli che sua morte vede. Per li occhi passa come fa lo trono, che fer' per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende; remagno como statüa d'ottono,
ove vita né spirto non ricorre, se non che la figura d'omo rende.
Guido Guinizzelli – Sonetto
Vedut'ho la lucente stella diana, ch'apare anzi che 'l giorno rend'albore, c'ha preso forma di figura umana; sovr'ogn'altra me par che dea splendore: viso de neve colorato in grana,
occhi lucenti, gai e pien' d'amore; non credo che nel mondo sia cristiana sì piena di biltate e di valore.
Ed io dal suo valor son assalito con sì fera battaglia di sospiri ch'avanti a lei di dir non seri' ardito. Così conoscess' ella i miei disiri! ché, senza dir, de lei seria servito per la pietà ch'avrebbe de' martìri.
Guido Guinizzelli – Sonetto Io voglio del ver la mia donna laudare
ed assemblarli la rosa e lo giglio: più che stella diana splende e pare, e ciò ch' è lassù bello a lei somiglio. Verde river' a lei rasembro e l'âre tutti color di fior', giano e vermiglio, oro ed azzurro e ricche gioi per dare: medesmo Amor per lei rafina meglio. Passa per via adorna, e sì gentile ch' abassa orgoglio a cui dona salute, e fa 'l de nostra fé se non la crede; e no-lle pò apressare om che sia vile; ancor ve dirò c'ha maggior virtute: null'om pò mal pensar fin che la vede.
Guido Cavalcanti – Sonetto
Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, che fa tremar di chiaritate l'âre
e mena seco Amor, sì che parlare null'omo pote, ma ciascun sospira? O deo, che sembra quando li occhi gira dical' Amor, ch'i' nol savria contare: contanto d'umiltà donna mi pare, ch' ogn' altra ver' di lei i' la chiam'ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch' a le' s'inchin' ogni gentil vertute e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose 'n noi tanta salute, che propriamente n'aviam conoscenza.
Guido Cavalcanti – Sonetto
Noi siàn le triste penne isbigotite, le cesoiuzze e 'l coltellin dolente ch'avemo scritte dolorosamente quelle parole che vo' avete udite. Or vi diciàn perché noi siàn partite e siàn venute a voi qui di presente: la man che ci movea dice che sente cose dubbiose nel core apparite, le quali hanno destrutto sì costui ed hanno 'l posto sì presso a la morte, ch'altro non n'è rimaso, che sospiri. Or vi preghiàn quanto possiàn più forte che non sdegniate di tenerci nui, tanto ch'un poco di pietà vi miri.
Guido Cavalcanti – Sonetto
Tu m'hai sì piena di dolor la mente, che l'anima si briga di partire e li sospir che manda il cor dolente mostran a li occhi che non pòn soffrire. Amor, che lo tu' grande valor sente, dic': « E' mi duol che ti convien morire per questa fiera donna, che neente par che pietate di te voglia udire ». Io vo come colui ch'è fuor di vita, che pare, a chi lo sguarda, como sia fatto di rame o di pietra o di legno, che sé conduca sol per maïstria e porti ne lo core una ferita
che sia, com'egli è morto, aperto segno.