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Ruolo della volumetria con risonanza magnetica nella valutazione della risposta alla chemio-radioterapia neoadiuvante nel tumore del retto localmente avanzato

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Academic year: 2021

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INDICE

1. RIASSUNTO ANALITICO ... 3 2. INTRODUZIONE ... 4 2.1 EPIDEMIOLOGIA ... 4 2.2 FATTORI DI RISCHIO ... 5 2.3 ANATOMIA PATOLOGICA ... 7

2.4 ANATOMIA DEL RETTO ... 9

2.5 MODALITA’ DI DIFFUSIONE NEOPLASTICA ... 11

2.6 SEGNI E SINTOMI ... 12

2.7 DIAGNOSI DI TUMORE DEL RETTO ... 13

2.8 STADIAZIONE DEL TUMORE DEL RETTO ... 14

2.8.1 TC ... 14

2.8.2 Ecografia Endorettale ... 14

2.8.3 Risonanza Magnetica con bobina di superficie phased- array ... 14

2.8.4 FDG-PET/CT ... 22

2.9 TRATTAMENTO ... 23

2.10 VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA ALLA TERAPIA NEOADIUVANTE ... 26

2.10.1 Valutazione con RM della risposta alla terapia neoadiuvante ... 29

3. SCOPO DELLA TESI ... 38

4 .MATERIALI E METODI ... 39

4.1 POPOLAZIONE ... 39

4.2 RADIOCHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE ... 39

4.3 ANALISI VOLUMETRICA CON RISONANZA MAGNETICA ... 40

4.4 TRATTAMENTO CHIRURGICO ... 44

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2 4.6 ANALISI STATISTICA ... 46 5. RISULTATI ... 47 6. DISCUSSIONE ... 53 7. CONCLUSIONI ... 56 8. BIBLIOGRAFIA ... 57

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1. RIASSUNTO ANALITICO

Scopo: valutare la correlazione tra percentuale di riduzione del volume tumorale (TVRR) misurato su immagini RM dopo chemio-radioterapia neoadiuvante e il grado di regressione tumorale secondo Dworack (TRG) nei tumori del retto localmente avanzati. Valutare la correlazione tra percentuale di riduzione del diametro massimo del tumore misurato su immagini RM dopo chemio-radioterapia neoadiuvante e il TRG secondo Dworack nei tumori del retto localmente avanzati.

Materiali e metodi: sono state revisionate retrospettivamente le indagini RM di 33 pazienti con adenocarcinoma del retto localmente avanzato confermato biopticamente. Tutti pazienti sono stati sottoposti ad un trattamento di chemio-radioterapia neoadiuvante seguito da un intervento di escissione totale del mesoretto (TME). E’ stato misurato il diametro massimo delle lesioni neoplastiche e il loro volume totale prima e dopo la terapia neoadiuvante sulle immagini RM, poi è stata calcolata la percentuale di riduzione del diametro massimo e la percentuale di riduzione del volume tumorale. L’analisi statistica ha previsto il calcolo della correlazione tra la percentuale di riduzione del volume tumorale e il TRG proposto da Dworak e il calcolo della correlazione tra percentuale di riduzione del diametro massimo e il TRG.

Risultati: è stata dimostrata una correlazione statisticamente significativa tra percentuale di riduzione del volume tumorale e il Tumor Regression Grade. In particolare esiste una correlazione significativa tra il TRG4 (pCR) e un TVRR superiore all’80%. Non è stata dimostrata una correlazione statisticamente significativa tra percentuale di riduzione del diametro massimo tumorale e il Tumor Regression Grade.

Conclusioni: i criteri RECIST non sono un valido strumento per valutare la risposta alla terapia neoadiuvante nel LARC. La riduzione volumetrica delle neoplasie rettali dopo chemio-radioterapia neoadiuvante calcolata con la RM invece correla in modo statisticamente significativo con la risposta anatomo-patologica e risulta quindi un criterio affidabile per stimare la risposta alla terapia neoadiuvante nel LARC.

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2. INTRODUZIONE

2.1 EPIDEMIOLOGIA

Il cancro colon-rettale è la terza neoplasia maligna più frequente in entrambi i sessi in Europa e in USA, dopo la prostata e la mammella, e la terza causa di morte per tumore, nonostante l’incidenza e la mortalità siano diminuite negli ultimi anni, colpendo principalmente pazienti in età avanzata (VI-VII decade) [1].

Le sedi più frequentemente colpite sono il sigma e il retto: quest’ultimo, da solo, rappresenta il sito di circa il 30% dei tumori colo-rettali diagnosticati. Il cancro del retto rappresenta, infatti, il 5% delle neoplasie maligne e costituisce il quinto tumore per incidenza nell'adulto, con 140.000 nuovi casi all'anno in Europa, e una prevalenza maggiore negli uomini rispetto alle donne (20-50% di casi in più). L’incidenza è maggiore nei paesi economicamente sviluppati, come Stati Uniti e Europa (circa 15 casi/100.000 abitanti/anno), e minore in Asia e Africa, nonostante si stia verificando un progressivo aumento nelle popolazioni precedentemente a basso rischio, soprattutto in Giappone [2]. Per quanto riguarda i dati italiani, prendendo in considerazione l’intera popolazione, il tumore del colon-retto rappresenta la patologia oncologica più frequente, rappresentando il 14% dei tumori, esclusi i carcinomi della cute. Tra i maschi si trova al terzo posto, preceduto dal tumore della prostata e del polmone e nelle femmine al secondo posto, preceduto dal tumore della mammella.

Negli ultimi decenni l’aumento dei fattori di rischio, delle diagnosi precoci e dell’età media della popolazione ha portato a una progressiva crescita dell’incidenza di questo tumore. Tra le cause di morte tumorale stimate in Italia, il carcinoma del colon-retto si attesta al secondo posto (11% del totale) dopo il carcinoma del polmone nonostante la mortalità sia in moderato calo, sia per gli uomini che per le donne [3].

A partire dagli anni novanta vi è stato un aumento della sopravvivenza a 5 anni nei pazienti di entrambi i sessi ed è interessante notare che l’aumento della sopravvivenza è stato più marcato nei tumori del retto rispetto a quelli del colon [4]. Questo importante

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5 risultato nel trattamento del tumore del retto è stato raggiunto grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche (TME: total mesorectal excision) e all’utilizzo della chemio-radioterapia neoadiuvante. Sicuramente il progresso delle tecniche di imaging ha avuto un ruolo importante consentendo un’accurata valutazione preoperatoria loco-regionale della neoplasia fondamentale per un corretto planning terapeutico, così da ridurre il rischio di recidiva locale [5].

2.2 FATTORI DI RISCHIO

Gli studi sulle migrazioni indicano che quando le popolazioni si spostano da una zona a basso rischio come il Giappone, ad una zona ad alto rischio, ad esempio gli Stati Uniti, l'incidenza del tumore del colon-retto aumenta rapidamente già nella prima generazione di immigrati [6]; questo e la variabilità tra i vari paesi per quanto riguarda l’incidenza, suggeriscono un forte ruolo dei fattori ambientali nell’eziologia di questo tumore [7]. La dieta è sicuramente il più importante fattore ambientale identificato fino ad oggi nell'eziologia del cancro del colon-retto ed è stato stimato che il 70% di questi tumori potrebbe essere prevenuto con l'intervento nutrizionale infatti le diete ricche di vegetali e fibre proteggono contro il cancro del colon-retto.[8]

Il ruolo delle fibre come fattori protettivi è stato determinato in un ampio studio epidemiologico che ha utilizzato una vasta coorte europea (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition): in popolazioni con un apporto medio-basso di fibra alimentare, un raddoppio approssimativo dello stesso potrebbe ridurre il rischio di tumore del colon-retto del 40% . Si ipotizza che il ridotto contenuto di fibre porti a una riduzione della massa fecale e a un’alterata composizione dell’ambiente microbico intestinale; tale alterazione può aumentare la sintesi di sottoprodotti ossidativi del metabolismo batterico potenzialmente tossici, che rimangono a contatto con la mucosa più a lungo a causa della ridotta massa fecale [8].

L’assunzione di alcol (più di 30 gr/giorno) è associata ad un aumento del rischio di carcinoma del colon-retto come mostrato nello studio sopra citato, con rischi più alti per quanto riguarda il retto rispetto al colon distale o prossimale [9]. Questo studio aveva un

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6 numero di casi sufficiente a valutare il rischio specifico per il tumore del retto, come entità separata, ed è stato dimostrato che l’assunzione di carni rosse e lavorate aumenta significativamente il rischio di cancro del retto, dopo aggiustamento per diversi fattori rilevanti, indicando così la specificità dell'associazione [10].

Tra i fattori non connessi alla dieta, il fumo è stato consistentemente associato all’adenoma del retto, generalmente accettato come precursore del cancro colon-rettale. Negli Stati Uniti in una persona su cinque i tumori colo-rettali possono essere potenzialmente attribuiti al consumo di tabacco [11].

Baxter et al. hanno invece dimostrato che l'irradiazione della prostata è associata ad un aumentato rischio di cancro rettale: dal loro studio è emerso un rischio di 1,7 negli uomini sopravvissuti più di 5 anni dopo radioterapia per cancro alla prostata rispetto agli uomini affetti dalla stessa neoplasia ma trattati con sola chirurgia. Le radiazioni non hanno avuto alcun effetto sullo sviluppo del cancro nel resto del colon, indicando che l'effetto è specifico per il tessuto irradiato direttamente [12].

Come determinato in una meta-analisi del 2001, il rischio nell’arco della vita di carcinoma colon-rettale in pazienti affetti da colite ulcerosa è del 3,7 %, sale a 5,4% per pazienti con pancolite e aumenta ulteriormente con una maggiore durata della malattia.La malattia di Chron può anch’essa associarsi con un aumentato rischio di tumore colon-rettale [13]. Diversi studi hanno suggerito il ruolo protettivo di aspirina e dei FANS sia per gli adenomi che per i tumori del colon-retto, anche se alcuni studi non hanno trovato una significativa associazione con il cancro rettale [14].

Oltre ai fattori di rischio modificabili di cui sopra, giocano un ruolo anche fattori ereditari: il cancro colon-rettale, pur verificandosi sporadicamente nella maggior parte dei pazienti (75%), è ereditario in circa il 5% dei casi totali e nei casi rimanenti si verifica in pazienti con almeno un parente di primo grado affetto da neoplasia colon-rettale che pertanto hanno rischio doppio rispetto alla popolazione generale. In questi pazienti esiste una familiarità senza tuttavia la presenza di alterazioni genetiche-ereditarie note e sviluppano il tumore in età inferiore rispetto alla popolazione generale. La suscettibilità genetica al tumore del colon-retto è stata attribuita sia a sindromi poliposiche che non-poliposiche. Tra le prime la principale è la poliposi adenomatosa familiare (FAP) che risulta associata a mutazioni del gene APC, trattasi di una patologia autosomica dominante e per la cui

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7 diagnosi è necessaria la presenza di almeno 100 polipi intestinali. Il 100% di questi soggetti affetti da tale patologia, se non trattati, sviluppa un cancro del colon-retto prima dei 30 anni di età [15].

La sindrome ereditaria non poliposica del carcinoma colon-rettale, denominata HNPCC o Sindrome di Lynch, è associata a mutazioni della linea germinale nei sei geni di riparazione di errati appaiamenti del DNA; anch’essa è una patologia autosomica dominante ed è caratterizzata dalla concentrazione familiare di tumori in diverse sedi (oltre al colon-retto, anche endometrio, ovaie, stomaco, tenue e cute) con presentazione in un’età anticipata rispetto alla popolazione generale[15].

Altre sono la Poliposi MYH-associata (MAP, considerata una variante della FAP) e le sindromi caratterizzate dalla presenza di polipi amartomatosi: Peutz-Jeghers, poliposi giovanile, e la malattia di Cowden [15].

Lo studio di famiglie con sindromi neoplastiche ereditarie ha permesso la scoperta di caratteristiche genetiche e molecolari, che non solo hanno migliorato la gestione terapeutica di questi nuclei familiari, ma hanno anche fatto luce su percorsi molecolari regolatori importanti nello sviluppo delle controparti sporadiche.

2.3 ANATOMIA PATOLOGICA

I carcinomi colo-rettali sono neoplasie invasive che originano come lesioni in situ dell’epitelio mucoso intestinale e possono evolvere con diverse modalità morfologiche. E’ dimostrato che gli adenomi possono essere i precursori dei carcinomi colo-rettali invasivi, sebbene solo il 10% degli adenomi abbia un’evoluzione carcinomatosa; il rischio aumenta all’aumentare del numero dei polipi, per lesioni di dimensioni > 2cm, con istologia villosa e contenenti foci displastici[2].

In generale si riconoscono 4 principali conformazioni macroscopiche di neoplasie del colon-retto:

- vegetante: si presenta come neoformazione sessile che protrude nel lume intestinale di aspetto fungoide o a “cavolfiore”;

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8 - ulcerata: assume le caratteristiche tipiche di un’ulcerazione maligna con margini

irregolari e sollevati;

- infiltrante: costituita da un’ulcerazione centrale e da un diffuso ed esteso ispessimento della parete ;

- anulare-stenosante: si estende per tutta la circonferenza intestinale e determina restringimento del lume; la superficie è irregolare con estesi processi necrotici e tendenza ulcerativa.

Le neoplasie del retto sono prevalentemente vegetanti e ulcerate e generalmente le neoplasie rettali, così come quelle coliche, sono masse dure, scirrose, a causa dell’intensa reazione desmoplastica che inducono nella parete infiltrata [2].

Dal punto di vista microscopico distinguiamo, sulla base della classificazione istologica della World Health Organization:

- adenocarcinoma, costituito dalla proliferazione di cellule neoplastiche cilindriche che compongono lumi ghiandolari (85% dei casi);

- adenocarcinoma mucinoso (10%) caratterizzato dalla presenza di abbondante muco extracellulare, che costituisce oltre il 50% del volume tumorale;

- carcinoma a cellule ad anello con castone, costituito per più del 50% da cellule con un vacuolo intracitoplasmatico contenente mucina, che disloca il nucleo in periferia;

- carcinoma midollare, prevalentemente costituito da lamine e trabecole solide di cellule, in genere regolari e con modeste atipie nucleari, e caratterizzato dalla presenza di numerosi linfociti intraepiteliali;

- carcinoma indifferenziato, privo di aspetti morfologici di differenziazione epiteliale;

- carcinoma a piccole cellule, con caratteristiche morfologiche e biologiche simili a quelle del carcinoma a piccole cellule polmonare;

- carcinoma adenosquamoso, con aree di tipo ghiandolare miste ad aspetti squamosi;

- carcinoma squamoso, con aspetti morfologici di tipo squamoso.

Gli adenocarcinomi costituiscono l’istotipo più frequente (95%), le altre forme coprono nell’insieme il 5% dei carcinomi colo-rettali[2].

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2.4 ANATOMIA DEL RETTO

Il retto fa seguito al colon pelvico, è lungo circa 16 cm e si estende dalla terza vertebra sacrale fino al margine superiore del canale anale. Può essere suddiviso in tre porzioni in base alla distanza dal margine anale: basso retto (3,5cm- 7,5cm), retto medio (7,5cm-12cm), retto alto (12cm- 16cm). Il limite anatomico tra retto e canale anale è dato dall’inserzione sulla parete rettale del muscolo elevatore dell’ano, che determina sulla superficie interna del viscere un rilievo detto anello ano-rettale. A questo livello il viscere è circondato dalla fionda del pubo-rettale, così detta perché i muscoli pubo-rettali dei due lati, le cui inserzioni anteriori sono sul pube, si fondono tra loro posteriormente circondando il retto con una sorta di ansa che determina una brusca variazione nel decorso del viscere angolandolo in basso e indietro. L’incrocio con il pubo-rettale segna l’inizio del canale anale chirurgico o funzionale che misura circa 4 cm e termina a livello della linea ano-cutanea [16].

Il retto inizia a livello della terza vertebra sacrale, discende quindi sulla faccia anteriore del sacro e del coccige con una curvatura sagittale a concavità anteriore. All’altezza dell’apice della prostata nel maschio e della parte media della vagina nella femmina, la curvatura sagittale muta e presenta la convessità volta in avanti. Il retto presenta anche due curvature sul piano frontale, di cui la prima è convessa a destra e la seconda a sinistra. Queste curvature sono meno accentuate di quelle sagittali e scompaiono quando il retto è disteso [17].

La superficie esterna del retto presenta in corrispondenza delle pareti laterali alcuni solchi trasversali più o meno profondi a cui corrispondono 3 pieghe trasversali interne dette valvole di Houston. Nel retto disteso si distinguono quattro pareti: anteriore, posteriore, laterali. In condizioni di vacuità il viscere si appiattisce, le pareti anteriore e posteriore si avvicinano e le pareti laterali diventano margini [17].

Il retto è ricoperto in parte dal peritoneo che giunge particolarmente in basso in corrispondenza della parete anteriore del retto da cui si riflette in avanti portandosi sull’utero nella femmina e sulla vescica nel maschio delimitando così il fondo del cavo rettouterino o rettovescicale (di Douglas). Il peritoneo risale quindi sulle pareti laterali del retto abbandonandole secondo una linea di riflessione obliqua in alto e in fuori per

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10 continuare nel peritoneo parietale nella pelvi. Sono dunque sprovviste di rivestimento sieroso la parte della parete anteriore del retto al di sotto del cavo di Douglas, la maggior parte delle facce laterali e tutta la parete posteriore. Tenendo conto della riflessione peritoneale si può considerare nel retto una parte peritoneale e una parte extraperitoneale. Il retto extraperitoneale è immerso nel tessuto fibroadiposo del mesoretto, che ha una funzione di cuscinetto permettendo all’ampolla rettale di dilatarsi. Il mesoretto, delimitato dalla fascia mesorettale, è quasi assente anteriormente e maggiomente rappresentato in sede postero-laterale ed è attraversato da rami terminali dell’arteria rettale superiore accompagnati da una ricca rete linfatica [17].

Per quanto riguarda i rapporti del retto nel maschio, la parte peritoneale è in contatto anteriormente con le anse intestinali e corrisponde al cavo retto-vescicale mentre la parte extra-peritoneale è in rapporto con il trigono vescicale, la faccia posteriore della prostata, i dotti deferenti e le vescichette seminali. Fra il retto e tutti questi organi si trova una lamina fibrosa, la fascia retto-vescicale. Nella femmina la parte peritoneale del retto anteriormente volge verso il cavo retto-uterino dove sono accolte alcune anse intestinali mentre la parte extra-peritoneale è in rapporto con la parete posteriore della vagina dalla quale è separata dal setto rettovaginale. La parete posteriore del retto è completamente priva di peritoneo ed è in rapporto con gli ultimi tre segmenti sacrali e con il coccige, con i muscoli elevatore dell’ano, piriformi, coccigei e con il plesso sacrale. Tra intestino e piano osseo è presente il mesoretto, dove decorre l’arteria sacrale media. Le pareti laterali del retto, rivestite da peritoneo solo nella loro parte superiore e anteriore, corrispondono, per la parte peritoneale, ai recessi pararettali, compresi tra esse e le pareti laterali della piccola pelvi mentre la parte extra-peritoneale è immersa nel mesoretto ed è in rapporto con i rami dell’arteria iliaca interna, con il plesso ipogastrico e con il muscolo elevatore dell’ano[17].

L’ampolla rettale ha una struttura analoga a quella del colon, con la tonaca mucosa, la tonaca sottomucosa, la tonaca muscolare e la sierosa dove presente. A livello della tonaca muscolare la muscolatura liscia si dispone in due consistenti strati, uno interno circolare e uno esterno longitudinale [17]. Il canale anale è circondato dal sistema degli sfinteri, descritto come un imbuto di muscolatura striata, volontaria, che contiene al suo interno un cilindro di muscolatura liscia, involontaria. L’imbuto esterno è costituito in senso cranio-caudale dal muscolo elevatore dell’ano, dal pubo-rettale e dallo sfintere esterno. Il

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11 cilindro interno è formato dall’ispessimento della muscolatura circolare del retto e costituisce lo sfintere interno [16].

2.5 MODALITA’ DI DIFFUSIONE NEOPLASTICA

Le neoplasie intestinali presentano diverse modalità di diffusione:

- per continuità, caratterizzata da infiltrazione neoplastica nella parete intestinale con estensione lungo la parete dell’organo;

- per contiguità, cioè l’infiltrazione di organi circostanti, con la possibile creazione di fistole;

- per via endocavitaria, con possibile carcinosi peritoneale; - per via linfatica ed ematica.

La diffusione per continuità si verifica lungo l’asse trasversale, longitudinale e circumferenziale del viscere, con invasione successiva dei diversi strati della parete rettale, del grasso mesorettale, degli organi e delle strutture adiacenti. Dopo aver superato la sierosa, dove presente, è possibile, per fenomeni di esfoliazione cellulare, la colonizzazione neoplastica del peritoneo (carcinosi peritoneale) [2].

La diffusione linfatica avviene in base alla localizzazione primaria del tumore: nel retto superiore ed in una parte del retto medio sono coinvolti i linfonodi emorroidari superiori che afferiscono ai linfonodi del meso-sigma. La via media drena parte del retto inferiore e del canale anale e raggiunge i linfonodi ipogastrici. La via inferiore giunge ai linfonodi iliaci interni. La principale via di diffusione è la superiore; la media e la inferiore divengono importanti in caso di inversione del flusso per blocco linfatico [2].

Nel corso dell’espansione la neoplasia può infiltrare i piccoli vasi venosi della parete intestinale determinando così il passaggio in circolo, soprattutto in quello portale, di cellule tumorali. Il fegato e i polmoni rappresentano le sedi più frequentemente colpite dalla metastatizzazione a distanza. Nel retto, organo con duplice drenaggio venoso, attraverso le emorroidarie superiori nel sistema portale e tramite le emorroidarie medie e inferiori in quello cavale, sono più frequenti le metastasi polmonari senza interessamento epatico rispetto quanto avviene per il colon [2].

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2.6 SEGNI E SINTOMI

Molti pazienti non presentano sintomi fino ad una fase relativamente tardiva del corso della malattia [18]. I sintomi più comuni sono: cambiamenti delle abitudini dell’alvo, dolori addominali vaghi, sanguinamento rettale, perdita di peso senza causa apparente o stanchezza costante. I tumori del retto extraperitoneale si manifestano frequentemente con sanguinamento; poiché è tipicamente acuto il paziente riferirà emissione di sangue rosso vivo anche in grande quantità, durante e dopo la defecazione o indipendentemente da essa e in entrambi i casi si parla di rettorragia a cui generalmente concomita mucorrea. I tumori rettali localmente avanzati si presentano frequentemente anche con tenesmo: spiacevole sensazione di incompleto svuotamento rettale, con senso di peso o di corpo estraneo, talora accompagnati da dolore gravativo. Nelle forme a sede particolarmente bassa è frequente la rapida evoluzione verso la stenosi con dolore parianale e perineale, emissione di feci nastriformi miste a sangue e muco, tenesmo imponente. Talvolta i tumori della giunzione retto-sigmoidea possono portare ad occlusione; se la valvola cecale è continente, tali ostruzioni si manifestano con malattia acuta addominale mentre se è incontinente la malattia è più insidiosa, con crescente costipazione e distensione addominale che possono passare inosservate per molti giorni [2].

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2.7 DIAGNOSI DI TUMORE DEL RETTO

Il cancro rettale può essere diagnosticato come il risultato di un programma di screening oppure quando il paziente si presenta già in fase sintomatica. Oltre alla storia medica personale, è molto importante indagare la storia familiare di cancro colon-rettale, di polipi e di altri tumori. All’esame fisico bisogna verificare la presenza di epatomegalia, ascite e linfadenopatia. Nel paziente con sospetto di tumore del retto il primo approccio consiste nell’esplorazione rettale digitale e nella rettoscopia. Deve essere misurato l’antigene carcino-embrionale (CEA). Quando l’esame clinico e la rettoscopia danno esito positivo è necessaria la conferma istologica. Deve essere sempre eseguita una colonscopia ottica completa preoperatoria [4].

La colonscopia virtuale, secondo le linee guida dalla European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) e dalla European Society of Gastrointenstinal and Abdominal Radiology (ESGAR), è l’esame radiologico di scelta per la diagnosi di neoplasia colon-rettale a discapito dell’uso del clisma a doppio contrasto che risulta ben più invasivo della colonscopia virtuale, con minore accuratezza diagnostica, maggiore dose radiante e ridotta tollerabilità da parte del paziente. La colonscopia virtuale è la modalità di imaging di scelta nel caso in cui la colonscopia ottica sia controindicata o in caso di colonscopia ottica incompleta. La colonscopia ottica incompleta è così definita quando nel corso dell’esame endoscopico non sia stato possibile giungere sino al cieco; ciò può accadere per molte ragioni, come ad esempio dolore e intolleranza del paziente nei confronti della procedura, dolicocolon o dolicosigma, spasmi colici, angolature e tortuosità, ostruzioni coliche causate da stenosi di natura neoplastica o non neoplastica come ad esempio aderenze legate a pregressi interventi chirurgici, modificazioni infiammatorie. In caso di carcinoma colon-rettale stenosante, al punto che non sia consentito il completamento della colonscopia ottica, la colonscopia virtuale preoperatoria con mezzo di contrasto somministrato per via endovenosa può rivelarsi molto utile sia allo scopo di completare lo studio del colon, sia per la stadiazione a distanza [4].

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2.8 STADIAZIONE DEL TUMORE DEL RETTO

Una stadiazione accurata è essenziale per decidere la strategia di trattamento migliore per il paziente, così da evitare sia l’under- che l’over-treatment e l’imaging ha un ruolo fondamentale in questo processo.

2.8.1 TC

La TC non ha un ruolo nella stadiazione locale del tumore del retto.

TC addome e torace sono raccomandate come parte del protocollo di stadiazione per individuare eventuali metastasi a distanza soprattutto nelle neoplasie ad alto rischio [19].

2.8.2 Ecografia Endorettale

L’ecografia endorettale è considerata la modalità di imaging più accurata per valutare l’infiltrazione parietale del cancro rettale, con un’accuratezza tra il 69% e il 97%, [5], anche se l’ecografia endorettale non è raccomandata per studiare le lesioni situate nel retto alto e le lesioni stenosanti [20].

La risonanza magnetica con bobina di superficie phased-array non è accurata come l’ecografia endorettale nella valutazione delle lesioni più superficiali, infatti non riesce a differenziare le lesioni T1 dalle T2 [21]. La risonanza magnetica con bobina endorettale, eseguita in pochissimi centri a causa dei costi elevati e del discomfort per il paziente, è risultata invece essere equivalente all’ecografia endorettale nella valutazione delle lesioni superficiali [22].

2.8.3 Risonanza Magnetica con bobina di superficie phased- array

La risonanza magnetica da 1,5T o 3T con bobina phased-array è la tecnica di imaging di prima scelta nella stadiazione del tumore del retto e in particolare gli esami condotti con apparecchiature a 3T hanno un eccellente livello di accuratezza [23].

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15 La RM può distinguere la mucosa e la sottomucosa, evidenziate come uno strato interno iperintenso, la muscolare propria visibile come uno strato ipointenso e il mesoretto, uno strato iperintenso che circonda la muscolare propria. La fascia mesorettale è una struttura molto importante che fa da barriera alla diffusione radiale del tumore e appare come un fine strato ipointenso che circonda il mesoretto [Fig.1]. Inoltre possono essere facilmente identificati il muscolo elevatore dell’ano e il muscolo puborettale [24] [Fig.2].

Figura 1: Immagine RM assiale T2-pesata. Sono indicati i diversi strati della parete rettale.

Figura 2: Immagine coronale T2-pesata. Mostra la normale anatomia del muscolo elevatore dell'ano (freccia) e del muscolo puborettale (asterisco).

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16 Lo studio morfologico dei tumori del retto è basato sull’acquisizione di sequenze fast spin-echo T2 pesate ad alta risoluzione spaziale sul piano assiale, sagittale, coronale e assiale-obliquo ovvero perpendicolare alla base di impianto della neoplasia [23].

La distensione rettale con il gel ecografico consente di ottenere una miglior delineazione delle lesioni, soprattutto se si tratta di piccoli reperti polipoidi, anche se bisogna fare attenzione a non distendere troppo il retto per non alterare i rapporti anatomici comprimendo il grasso mesorettale [25].

Il paziente è posizionato in decubito supino con la bobina phased-array sulla pelvi in modo tale che il bordo inferiore della bobina stia al di sotto della sinfisi pubica; nei casi di tumore del basso retto il bordo inferiore della bobina deve stare almeno 10 cm al di sotto della sinfisi pubica e il bordo superiore non deve superare il promontorio del sacro. Per un corretto posizionamento della bobina è quindi importante che il chirurgo comunichi la posizione del tumore evidenziata con l’esplorazione rettale e la rettoscopia [23].

I parametri che vengono analizzati sono: la localizzazione della neoplasia, lo stadio T, lo stadio N, l’invasione del sistema sfinteriale, l’interessamento della fascia mesorettale e l’invasione vascolare extramurale [23].

Localizzazione della neoplasia

Tradizionalmente il retto viene suddiviso in tre porzioni in base alla distanza dal margine anale: basso retto (3,5cm-7,5cm), retto medio (7,5cm-12cm), retto alto (12cm- 16cm). I tumori del retto alto sono a rischio di infiltrazione peritoneale, infatti il peritoneo riveste la parete antero-laterale del retto a questo livello. Il retto medio è completamente circondato dal mesoretto pertanto questi tumori vengono trattati con la total mesorectal excision (TME). Nei tumori del basso retto è importante valutare la distanza tra il margine inferiore del tumore e il muscolo pubo-rettale per capire se è fattibile un’anastomosi colo-rettale o colo-anale preservando il sistema sfinteriale oppure se è necessaria un’amputazione addomino-perineale in caso di tumori molto bassi [23].

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17 Stadio T

La risonanza magnetica ha un’accuratezza nel determinare lo stadio T tra il 65% e l’86% ed è molto efficace nell’identificare tumori di stadio T3 e T4 [5], mentre è meno precisa nel differenziare le lesioni T2 dalle T3a [26] con il rischio dell’overstaging poiché non è semplice distinguere l’invasione tumorale del mesoretto dalla reazione desmoplastica del tessuto peritumorale [21]. Questo non ha una grande rilevanza clinica perché la prognosi è esattamente la stessa infatti non è importante identificare l’invasione extramurale inferiore ai 5 mm che distingue lo stadio T2 dal T3a, mentre è fondamentale individuare i pazienti ad alto rischio di malattia metastatica. Il rischio di malattia metastatica aumenta drasticamente per ogni millimetro sopra i 5mm di invasione extramurale della neoplasia e quantificando correttamente il grado di invasione del mesoretto è possibile determinare la prognosi e stratificare i pazienti per il trattamento preoperatorio [27]. Questo viene evidenziato nella classificazione TNM dell’American Joint Commettee on Cancer che presenta una sottoclassificazione dello stadio T3 [Tab.1]

T Neoplasia primitiva

Tx Neoplasia primitiva non valutabile

T0 Nessuna evidenza della neoplasia primitiva

Tis Carcinoma in situ: intraepiteliale o intramucoso senza invasione della sottomucosa T1 La neoplasia invade la sottomucosa ma non la tonaca muscolare

T2 La neoplasia invade la muscolare propria senza oltrepassarla

T3 La neoplasia si estende oltre la muscolare propria con invasione della sierosa T3a La neoplasia si estende oltre la muscolare propria meno di 5mm T3b La neoplasia si estende oltre la muscolare propria da 5 a 10mm T3c La neoplasia si estende oltre la muscolare propria di più di 10mm

T4 Neoplasia che invade direttamente altri organi o strutture e/o passa attraverso il peritoneo viscerale

T4a La neoplasia invade il peritoneo viscerale T4b La neoplasia invade direttamente altri organi

(18)

18

N Stato linfonodale

Nx Linfonodi regionali non valutabili

N0 Nessuna evidenza di metastasi nei linfonodi regionali N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali

N1a: metastasi in 1 linfonodo N1b: metastasi in 2-3 linfonodi

N1c: depositi tumorali satelliti nella sottosierosa o nei tessuti non peritonealizzati pericolici e perirettali senza evidenza di metastasi linfonodali regionali

N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali N2a: metastasi in 4-6 linfonodi regionali N2b: metastasi in 7 o più linfonodi regionali

M Metastasi a distanza

M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Metastasi a distanza

M1a: metastasi confinate ad un organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodi extraregionali) M1b: metastasi in più di un organo o nel peritoneo

Tab.1: Classificazione TNM dell’American Joint Commettee on Cancer.

Sempre riferendosi alla classificazione TNM-UICC, la Tabella 2 riassume gli stadi tumorali, in base ai quali i pazienti vengono classificati [Tab.2].

Stadio T N M

Stadio 0 Tis N0 M0

Stadio I T1-T2 N0 M0

StadioIIa T3 N0 M0

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19 Stadio IIc T4b N0 M0 Stadio IIIa T1-T2 T1 N1a-c N2a M0 M0

Stadio IIIb T3-T4a

T2-T3 T1-T2 N1a-c N2a N2b M0 M0 M0

Stadio IIIc T4a

T3 T4b N2a-b N2b N1-N2 M0 M0 M0

Stadio IVa Ogni T Ogni N M1a

Stadio IVb Ogni T Ogni N M1b

Tab.2: Classificazione TNM-UICC, suddivisione in stadi.

Il MERCURY study group (Magnetic Resonance Imaging and Rectal Cancer European Equivalence) ha dimostrato che esiste un’eccellente correlazione tra l’invasione extramurale valutata con la risonanza magnetica e i risultati istopatologici [28]. La sottoclassificazione dello stadio T3 basata sulla risonanza magnetica [Tab.3] differisce leggermente da quella dell’American Joint Commettee on Cancer.

mrT3a La neoplasia si estende oltre la muscolare propria <1mm

mrT3b La neoplasia si estende oltre la muscolare propria di 1-5mm

mrT3c La neoplasia si estende oltre la muscolare propria di 6-15mm

mrT3d La neoplasia si estende oltre la muscolare propria >15mm Tab.3: Sottoclassificazione dello stadio T3 basato sulla risonanza magnetica.

Un altro punto importante è la distinzione tra lesioni T3 e T4a che invadono il peritoneo viscerale, nel caso dei tumori del retto alto, dove le lesioni T4a hanno un alto rischio di

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20 recidiva poichè alcune cellule tumorali possono aver invaso il cavo del Douglas. Per questo motivo è importante valutare il punto di riflessione peritoneale nelle sequenze T2 pesate sagittali dove il peritoneo è visibile come una struttura lineare ipointensa e nelle immagini assiali in cui il peritoneo ha una forma a V situata davanti alla parete anteriore del retto [23].

Stadio N

Il drenaggio linfatico del retto alto e medio è diverso da quello del basso retto: i vasi linfatici del retto alto e medio risalgono cranialmente attraverso i linfonodi del mesoretto fino ai linfonodi del mesosigma, seguendo il decorso dell’arteria rettale superiore, mentre i vasi linfatici del retto basso e del canale anale seguono il decorso dell’arteria rettale media e inferiore e drenano nei linfonodi iliaci interni [29].

La presenza di metastasi linfonodali incide pesantemente sulla prognosi, anche se identificare l’interessamento linfonodale è ancora una sfida diagnostica per i radiologi [24]. Il parametro della dimensione linfonodale da solo non è accurato per definire la presenza di metastasi linfonodali, infatti c’è un’importante sovrapposizione nella dimensione di linfonodi normali, reattivi e metastatici. Inoltre la presenza di micrometastasi in linfonodi di dimensioni normali è un reperto frequente [23].

Nella valutazione dei linfonodi, oltre al criterio dimensionale (cut-off di 5 mm), vanno valutati la forma (rotondeggiante/ ovoidale), i bordi (regolari/ spiculati o indistinti) e l’intensità di segnale (segnale omogeneo/ eterogeneo) [30] ed utilizzando questi criteri l’accuratezza della risonanza magnetica nell’identificare l’interessamento linfonodale è dell’85% rispetto allo standard istopatologico. E’ importante ricordare che l’assenza di evidenza di interessamento linfonodale all’imaging non può far escludere la presenza di micrometastasi [23] .

Interessamento del sistema sfinteriale

I tumori del retto basso sono associati ad un più alto tasso di margini di resezione positivi e ad un maggior rischio di recidiva locale [31] a causa della particolare situazione anatomica [23]. La risonanza magnetica è in grado di definire i rapporti della neoplasia con il complesso sfinteriale, così da individuare i pazienti candidabili alla chemio-radioterapia neoadiuvante. La CRT preoperatoria nei tumori del retto basso localmente avanzati ha permesso di salvare un maggior numero di sfinteri e di ridurre il rischio di

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21 recidiva [32]. Se un tumore è in stadio precoce, senza infiltrazione del complesso sfinteriale, invece si evita di irradiare gli sfinteri scongiurando l’overtreatement e ottenendo una funzione sfinteriale post-operatoria migliore e una migliore tenuta dell’anastomosi [33].

Recentemente è stata proposta una stadiazione del T specifica per i tumori del basso retto che si basa su immagini RM T2 pesate in coronale e in assiale [34] e permette ai chirurghi di scegliere l’intervento migliore per il paziente [Tab. 4].

STADIO 1 Il tumore è confinato alla parete del retto

STADIO 2 Il tumore invade lo sfintere interno ma non il piano intersfinterico

STADIO 3 Il tumore invade il piano intersfinterico

STADIO 4 Il tumore invade lo sfintere esterno e il muscolo elevatore dell’ano

Tab.4: Stadiazione T dei tumori del basso retto basata sulla RM.

Interessamento della fascia mesorettale

La fascia mesorettale è visibile alla risonanza come un sottile strato ipointenso che circonda il grasso mesorettale e rappresenta il piano di clivaggio dell’intervento di resezione anteriore del retto con total mesorectal excision [23].

Con la risonanza magnetica preoperatoria studiamo l’interessamento della fascia mesorettale per evidenziare se c’è il rischio di un coinvolgimento del circumferential resection margin (CRM) dopo l’intervento. Il termine circumferential resection margin deve essere usato solo nella descrizione post-operatoria del campione resecato. La prognosi è peggiore nei casi in cui la distanza dell’ultima cellula neoplastica dal CRM è inferiore ai 5 mm, rispetto a quelli con distanza maggiore e il gruppo di pazienti con un margine libero inferiore a 1 mm ha la peggiore prognosi a 5 anni [4] .

Nello staging preoperatorio con la RM il miglior cut-off per predire l’interessamento della fascia mesorettale è di 1 mm [35], quindi il margine si definisce positivo quando la neoplasia si trova a una distanza inferiore o uguale a 1 mm dalla fascia. I margini positivi

(22)

22 possono anche essere dovuti alla presenza di linfonodi sospetti, depositi tumorali, invasione vascolare extramurale, oltre che alla massa tumorale principale [23].

Se il margine è positivo c’è un alto rischio che il CRM risulti infiltrato dopo il trattamento chirurgico [36]. Nei tumori del basso retto il complesso sfinteriale è la struttura che corrisponde alla fascia mesorettale perché questa non si estende sotto il muscolo puborettale [4].

Ormai moltissimi studi hanno dimostrato l’efficacia della chemio-radioterapia neoadiuvante nel trattamento del tumore del retto localmente avanzato con interessamento della fascia mesorettale, quindi oggi è fondamentale evidenziare il margine positivo prima dell’intervento [24] e la risonanza magnetica è sicuramente la tecnica di prima scelta per farlo [37].

Invasione vascolare extramurale (EMVI)

L’invasione vascolare è definita come la presenza di cellule tumorali nei vasi sanguigni al di là della muscolare propria nella regione del tumore primitivo. Alcuni studi hanno dimostrato che l’invasione vascolare è un indice indipendente di scarsa sopravvivenza e che l’invasione vascolare extramurale è un importante indice di recidiva locale e a distanza[38].

La risonanza magnetica è l’unica modalità di imaging in grado di dimostrare l’EMVI nel tumore del retto [39]. I segni suggestivi di EMVI sono la presenza di intensità di segnale tipica del tessuto neoplastico all’interno di un vaso, vasi ectasici, infiltrazione tumorale nella parete dei vasi [23].

2.8.4 FDG-PET/CT

La FDG-PET/CT è metodica non routinaria, relativamente non invasiva, dedicata allo studio della funzionalità e del metabolismo regionale dei tessuti. Si propone per l’individuazione di metastasi e di recidive di tumore del retto, ma non nello staging primario [4].

(23)

23

2.9 TRATTAMENTO

In base a tutte le informazioni raccolte nella fase preoperatoria, con particolare attenzione alla stadiazione tumorale, un gruppo multidisciplinare, composto solitamente da chirurghi, oncologi, radioterapisti, radiologi e patologi pianifica lo schema terapeutico. La terapia del cancro rettale si basa principalmente sulla chirurgia in associazione spesso a un trattamento chemioterapico, radioterapico o ad entrambi.

Gli obiettivi della terapia chirurgica consistono nel controllo del tumore primitivo, nel mantenimento o ricostituzione della continuità intestinale con una normale continenza anale, nel preservare la funzione vescicale e sessuale e infine nel minimizzare la morbilità e la mortalità associate alla chirurgia [40]. Le tecniche chirurgiche spaziano da procedure locali a resezioni rettali complesse.

Le procedure locali comprendono la polipectomia e l’escissione locale. La polipectomia con ansa diatermica è spesso eseguita durante una colonscopia se viene trovato un polipo rettale di aspetto benigno. L’escissione locale consiste in una resezione a tutto spessore con 1 cm di margine libero. Normalmente viene eseguita con tecnica trans-anale sotto visione diretta per lesioni entro 10 cm dal margine anale, o tramite microchirurgia endoscopica (TEM) per lesioni più prossimali [40]. In elezione, l’escissione locale va ritenuta un trattamento adeguato se ricorrono alcune condizioni quali dimensioni della lesione non superiori a 4 cm, carcinoma in situ o in stadio c T1 N0 M0, assenza di invasione linfatica e vascolare, distanza dal margine anale idonea a rendere l’escissione possibile [41]. L’escissione locale è associata a un minor rischio di incontinenza e a una migliore qualità della vita dopo l’intervento rispetto alla chirurgia resettiva. Si valuterà in seguito, in base al referto istologico post-operatorio, la necessità o meno di sottoporre il paziente a un intervento resettivo di salvataggio. Se la neoplasia si conferma a basso rischio si procede con il follow-up. Lo stadio c T2 N0 M0 viene trattato con la chirurgia resettiva del retto, l’escissione locale non è raccomandata [4].

La chirurgia resettiva del retto, come quella del colon, deve portare all’exeresi del segmento sede del tumore con adeguati margini liberi da malattia e all’asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali regionali. Per i carcinomi del retto medio e basso ci sono accorgimenti da rispettare: l’escissione totale del mesoretto (TME) fino al

(24)

24 piano degli elevatori, che rappresenta oggi il gold standard della chirurgia, la conservazione dell’innervazione autonoma (nerve-sparing technique) e spesso il confezionamento di un’ileostomia o colostomia di protezione [41].

Le opzioni chirurgiche resettive sono principalmente due: la resezione anteriore del retto (RAR) e la resezione del retto con amputazione addomino-perineale secondo Miles (APR). Per la prima metà del XX secolo il trattamento di scelta per la maggior parte dei pazienti con carcinoma rettale è stato l’intervento di Miles, ovvero un intervento demolitivo con rimozione degli sfinteri, che porta ad una colostomia permanente. In seguito lo sviluppo della tecnica chirurgica, l’introduzione di suturatrici meccaniche affidabili e una miglior conoscenza della diffusione del tumore rettale ha portato ad uno spostamento verso la resezione anteriore del retto associata alla creazione di un’anastomosi colo-rettale o colo-anale, permettendo così il salvataggio dello sfintere. Verso la fine del XX secolo il successo della terapia multimodale ha portato all’attuale combinazione di chemio-radioterapia e intervento chirurgico che frequentemente permettono procedure non demolitive anche per tumori rettali distali. Ad oggi l’intervento di Miles viene praticato nei casi in cui non si può ottenere un margine distale indenne con una RAR, quando è infiltrato lo sfintere anale o quando il funzionamento dello sfintere è compromesso [40].

Nella RAR e nella APR si esegue la total mesorectal excision (TME) [40] e i risultati della chirurgia del tumore del retto sono nettamente migliorati dopo la sua introduzione avvenuta nel 1979. La total mesorectal excision consiste nella completa rimozione del mesoretto, che contiene al suo interno il tessuto linfatico, e della fascia che lo delimita esternamente. I tassi di recidiva locale si sono ridotti drasticamente perché le cellule tumorali presenti nel mesoretto sono rimosse completamente in questa procedura [42]. Oltre la metà dei pazienti con tumore del retto riceve la diagnosi quando la neoplasia è localmente avanzata (LARC: locally advanced rectal cancer, T3/T4 o qualsiasi T con N+) [43]. In questi casi la radio-chemioterapia neoadiuvante seguita dall’intervento chirurgico con TME è il trattamento standard [44].

La radio-chemio neoadiuvante riduce il tasso di recidiva locale (da 25-40% a meno del 10%), aumenta il numero di sfinteri salvati nei pazienti con tumore del basso retto grazie al downstaging e al downsizing e ha dimostrato di avere minore tossicità e maggior

(25)

25 efficacia rispetto al trattamento adiuvante [45]. La tecnica attualmente considerata standard, nel trattamento radioterapico pre-operatorio, è quella 3D-conformazionale (3D-CRT) con fasci sagomati da collimatore multilamellare (MLC).L’unità di trattamento è un Acceleratore Lineare (LINAC) con fascio di fotoni uguale o superiore a 6 MV. La dose prescritta, può variare fra 4500 e 5040 cGy in frazioni da 180 cGy, 5 frazioni a settimana, mentre il volume di interesse, in accordo con le direttive dell'International Commission on Radiation Units and Measurements (ICRU 62), deve includere il mesoretto in toto, i linfonodi presacrali, i linfonodi iliaci interni, i linfonodi otturatori, e i linfonodi iliaci esterni solo nei T4. La radioterapia neoadiuvante è generalmente somministrata in 28 frazioni (Long Course Radiotherapy). Recentemente è entrata in uso anche la Short Course Radiotherapy (SRT: 25 Gy in 5 frazioni) nei pazienti con c T3 N0 M0 senza interessamento della fascia mesorettale. La SRT ha dimostrato di essere efficace quanto la LCR in termini di recidiva locale e a distanza e di avere una minore tossicità in acuto, anche se sembra essere meno efficace nel salvare il complesso sfinteriale nei pazienti con tumore del basso retto, a causa del breve lasso di tempo che intercorre tra la fine della radioterapia e l’intervento chirurgico (7/10 giorni) che non è sufficiente per ottenere il downsizing della neoplasia [46] . Aspettare più tempo prima dell’intervento può aumentare il grado di riduzione dello stadio T [47].

La chemioterapia neoadiuvante standard consiste nella somministrazione di 5-Fluorouracile (225 mg/m2/die) in infusione continua endovena per tutta la durata della RT, oppure di Capecitabina (825 mg/m2/BID) per os per tutta la durata della RT.

Solitamente l’intervento chirurgico viene programmato 6/8 settimane dopo la fine della radio-chemioterapia neoadiuvante [44].

Una considerazione a parte va fatta per quei tumori che si presentano con metastasi sincrone al momento dell’intervento. Un tumore ogni T, ogni N, M1 con metastasi resecabili sincrone, va trattato primariamente con chemio-radioterapia, a cui segue l’intervento chirurgico di resezione rettale e contemporanea resezione delle metastasi epatiche (intervento sincrono). Molto spesso dopo l’intervento si procede ad alcuni cicli di terapia adiuvante. Abbiamo infine due casi estremi: i pazienti con tumori ogni T, ogni N, M1 con metastasi sincrone non resecabili e i pazienti in cui l’intervento è controindicato per cause mediche. In questi pazienti si fa un trattamento palliativo che

(26)

26 consiste in una chemioterapia disegnata per i pazienti con malattia avanzata o metastatica, oppure nella resezione chirurgica non radicale con creazione di una colostomia o posizionamento di uno stent [48].

Il materiale prelevato durante l’intervento chirurgico viene esaminato dall’anatomopatologo dopo fissazione in formalina e dopo colorazione della superficie mesorettale con inchiostro di china.L’anatomopatologo scrive un referto comprendente dei criteri diagnostici minimi da riportare obbligatoriamente; tra questi troviamo l’istotipo, il grado di differenziazione, il budding tumorale, i margini di resezione (distale e prossimale), il numero di linfonodi esaminati e il numero di quelli metastatici, oltre a una serie di altri parametri. Il chirurgo deve asportare almeno 12 linfonodi durante l’intervento per avere una stadiazione linfonodale affidabile [41].

2.10

VALUTAZIONE

DELLA

RISPOSTA

ALLA

TERAPIA

NEOADIUVANTE

Il tumore del retto localmente avanzato (LARC: T3-T4 o qualsiasi T con N+) viene trattato con la radiochemioterapia neoadiuvante seguita dall’escissione totale del mesoretto. Le principali indicazioni alla terapia neoadiuvante basate sul rischio di recidiva locale sono:

- tumore del retto localmente avanzato (LARC) T4 o T3 con più di 5mm di invasione oltre la muscolare propria;

- invasione vascolare extramurale;

- tumore che dista meno di 1mm dalla fascia mesorettale;

- nei tumori del basso retto, vicinanza o interessamento del complesso sfinteriale; - interessamento linfonodale (N+) [23].

I benefici del downstaging e del downsizing in seguito alla terapia neoadiuvante includono: migliore resecabilità, possibilità di preservare il complesso sfinteriale, riduzione del tasso di recidiva locale e a distanza. Al termine del trattamento neoadiuvante una percentuale variabile di pazienti tra il 10 e il 30% presenta una risposta

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27 completa (pCR) caratterizzata dall’assenza di tessuto neoplastico all’esame anatomo-patologico. Altri hanno una risposta parziale e infine ci sono i “non-responder” [49]. Questa evidenza ha indotto alcuni autori a considerare approcci terapeutici diversi dall’escissione totale del mesoretto nei pazienti con risposta completa, ad esempio interventi mini-invasivi per via trans-anale (TEM) o una sorveglianza clinico-strumentale, la wait -and -see policy, riservando la chirurgia unicamente nei pazienti con ripresa di malattia. Tale approccio è giustificato da un beneficio in termini di qualità di vita di questi pazienti rispetto a quelli che vengono sottoposti a TME, con un Overall Survival sovrapponibile tra i due gruppi [50].

Ad oggi la strategia di wait-and-see policy così come la TEM dopo trattamento neoadiuvante non sono da considerarsi lo standard di riferimento in primo luogo per la difficoltà di selezionare accuratamente i pazienti con una risposta completa, inoltre questi pazienti dovrebbero seguire un rigido protocollo di follow-up (clinico, endoscopico, RM) per identificare precocemente una recidiva locale di malattia ed essere trattati con l’escissione totale del mesoretto. Queste strategie pongono quesiti di tipo etico e problematiche organizzative, considerazioni economiche nella gestione del follow-up. Comunque la possibilità di modificare il trattamento chirurgico in base alla risposta al trattamento neoadiuvante rende sempre più interessante l’argomento del re-staging al fine di selezionare i pazienti con risposta clinica completa rispetto a quelli con risposta parziale. Inoltre nei pazienti con neoplasie del basso retto il downstaging risultante dalla terapia neoadiuvante rende possibile l’esecuzione di una chirurgia post-trattamento con preservazione degli sfinteri, modificando la scelta chirurgica dall’amputazione addomino-perineale alla resezione anteriore [51].

La valutazione della risposta alla terapia neoadiuvante è fatta usando criteri clinici e anatomopatologici. Per risposta clinica si intende la regressione del tumore a seguito dei trattamenti neoadiuvanti valutata secondo criteri clinici (esame clinico, endoscopia, imaging) prima dell’intervento chirurgico; nella valutazione della risposta clinica si utilizza la nomenclatura ycTN dove per y si intende una valutazione post-terapia neoadiuvante (a livello tumorale e linfonodale), per c si intende che i criteri utilizzati sono clinici [52].

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28 Invece la valutazione anatomo-patologica è effettuata dopo la terapia neoadiuvante sul materiale prelevato durante l’intervento chirurgico e viene riassunta con la nomenclatura ypTN dove per p si intende che viene usato un criterio anatomo-patologico. Inoltre gli anatomo-patologi possono far riferimento ad una classificazione delle modificazioni fibrotiche post-attiniche rispetto alla cellularità neoplastica residua nota come Tumor Regression Grade (TRG). Lo scopo del TRG è quello di quantificare e classificare le risposte alla terapia sulla base della quantità di fibrosi e di cellule neoplastiche presenti nel pezzo operatorio; solitamente viene usata la classificazione del TRG secondo Dworack [53][Tab. 5].

TRG 0 Assenza di regressione

TRG 1 Regressione minima; massa tumorale con fibrosi inferiore al 25% della massa TRG 2 Regressione moderata: fibrosi nel 26-50% della massa residua

TRG 3 Regressione buona: fibrosi superiore al 50% della massa residua TRG 4 Regressione completa (assenza di cellule tumorali, solo massa fibrotica) Tab.5 : Classificazione del grado di regressione tumorale secondo Dworack.

Nella valutazione clinica la risonanza magnetica ha un ruolo fondamentale. I risultati del MERCURY study group (Magnetic Resonance Imaging and Rectal Cancer European Equivalence) hanno dimostrato come la regressione del tumore valutata con la RM dopo la terapia neoadiuvante correli con l’Overall Survival (OS) e con il Disease Free Survival (DFS) permettendo l’individuazione di pazienti con prognosi favorevole. La RM è il test più accurato nella valutazione della parete del retto, dello stato del mesoretto e dei linfonodi dopo il trattamento neoadiuvante [54].

La valutazione della risposta alla terapia viene effettuata sfruttando criteri morfologici, dimensionali e intensitometrici sulle immagini T2 pesate affiancati a criteri più complessi di tipo funzionale come il Diffusion Weighted Imaging (DWI). I criteri RM devono essere integrati con i dati clinici di esplorazione digito-rettale ed endoscopici al fine di raggiungere la migliore accuratezza nella valutazione della risposta alla terapia [52].

(29)

29

2.10.1 Valutazione con RM della risposta alla terapia neoadiuvante

Al fine di valutare correttamente la risposta al trattamento neoadiuvante è indispensabile raccogliere in maniera completa i dati anamnestici e i precedenti esami (RM pre-trattamento, endoscopia pre-pre-trattamento, informazioni precise sulla data di inizio del trattamento radioterapico) e i risultati di eventuali esami endoscopici eseguiti post-trattamento. L’esame RM viene programmato in genere a circa 8 settimane dal termine della radioterapia. La preparazione del paziente prevede l’utilizzo di un clistere di pulizia da effettuare la mattina dell’esame. L’indagine RM viene eseguita distendendo il retto mediante l’utilizzo di una soluzione costituita da gel ecografico e acqua in modo da ottenere un miglior delineamento del lume rispetto alla mucosa del retto, facilitando l’identificazione della sede tumorale soprattutto nei pazienti con risposta completa [54]. Lo studio RM può essere effettuato con apparecchiature operanti a 1,5 T o a 3T utilizzando bobine di ricezione multicanale (phased-array coil).

Il protocollo di acquisizione prevede l’utilizzo di sequenze morfologiche T2 pesate e di sequenze funzionali DWI, anche se è possibile implementare l’esame con alcune tecniche accessorie, attualmente oggetto di ricerca, come il Dynamic Contrast Enhancement (DCE) e l’analisi della Texture. Le sequenze DCE sono acquisite durante la somministrazione e.v. di mezzo di contrasto e permettono di effettuare uno studio di perfusione. L’analisi della Texture permette di calcolare degli indici statistici in grado di quantificare la disomogeneità della distribuzione spaziale dei pixel identificando così il maggior “disordine “ strutturale del tessuto neoplastico.

Criteri Morfologici

Lo studio morfologico è basato sull’acquisizione di sequenze Fast Spin Echo (FSE) T2 pesate ad alta risoluzione spaziale, i parametri suggeriti sono: Time of Repetition (TR) >3000 ms, Time to Echo ( TE ) effettivo circa 130 ms, spessore di strato 3-4mm, matrice

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30 512x512. Le sequenze vengono condotte su 3 piani dello spazio ortogonali rispetto all’asse longitudinale del retto nella sede della neoplasia [55].

Stadio T

Come abbiamo descritto in precedenza, l’accuratezza della RM nel determinare lo stadio T è tra il 65% e l’86% [5] e nel valutare il downstaging del T dopo il trattamento neoadiuvante l’accuratezza si riduce drasticamente fino al 50% [56].

Lo standard per definire una risposta completa alla terapia è la normalizzazione dello spessore della parete rettale senza nessun ispessimento visibile e la normalizzazione dell’intensità del segnale della parete rettale nelle immagini T2 pesate. Una massa residua con intensità di segnale intermedia si considera un residuo tumorale mentre il tessuto fibrotico è caratterizzato da una bassa intensità di segnale nelle sequenze T2 pesate. Se il segnale è ipointenso rispetto a quello della lesione prima della terapia neoadiuvante, vuol dire che c’è fibrosi e la presenza di margini spiculati può aiutare il radiologo a individuare il tessuto fibrotico. La difficoltà maggiore è capire se il tumore è ancora presente nel tessuto che ha subito dei cambiamenti dovuti alla terapia neoadiuvante: infatti, anche nei pazienti che mostrino una normalizzazione dello spessore della parete rettale a livello del letto tumorale con tessuto a bassa intensità riferibile a fibrosi post-attinica, non è possibile escludere la presenza di cluster tumorali nel contesto della fibrosi [55].

I valori di sensibilità e specificità della RM nell’individuazione dei pazienti ypT0 (risposta patologica completa) sono rispettivamente del 40% e del 92%. In altri termini se la RM individua la permanenza di tessuto neoplastico residuo la specificità è molto alta, mentre esiste una discreta percentuale di pazienti falsamente negativi (yc T0) a cui corrisponde una risposta parziale all’esame anatomo-patologico (yp T>1) con conseguente bassa sensibilità per la permanenza di cluster di cellule neoplastiche nel contesto della fibrosi post-attinica [52].

E’ necessario considerare è che in alcuni studi il timing per la valutazione della terapia è inferiore alle 8 settimane, pertanto è ipotizzabile che negli stessi pazienti una valutazione anatomo-patologica oltre le 11 settimane avrebbe fatto incrementare la quota di risposte patologiche complete. Infatti è noto che gli effetti del trattamento radioterapico proseguono dopo il termine del trattamento: prima delle 8 settimane il tasso di risposte

(31)

31 patologiche complete (ypT0) è del 16% circa e sale a circa il 31% dopo le 11 settimane [57]. Per contro anche le modificazioni post-attiniche nei tessuti sani proseguono, rendendo la chirurgia e soprattutto il confezionamento dell’anastomosi più problematico con il passare del tempo, con una maggior morbilità post-operatoria e necessità di confezionamento di ileostomie di protezione temporanee. Inoltre nei pazienti non-responder è possibile che vi siano anche delle progressioni di malattia con il passare del tempo. La scelta del timing per l’esecuzione della valutazione della risposta è ad oggi oggetto di dibattito [53].

Interessamento del sistema sfinteriale

Nelle immagini T2 pesate devono essere valutati e segnalati con precisione i rapporti tra la sede tumorale e il complesso sfinteriale, indicando la distanza tra il margine inferiore del tumore rispetto al piano passante per l’apice degli sfinteri. Infatti è possibile che i pazienti con neoplasie del retto basso possano mostrare, a causa del downstaging e del downsizing, un margine di sicurezza post-terapia neoadiuvante così da poter beneficiare di una resezione anteriore con salvataggio degli sfinteri rispetto all’amputazione addomino-perineale con colostomia definitiva, con un notevole impatto sulla qualità di vita [51].

Per la valutazione dell’infiltrazione degli sfinteri la RM fornisce informazioni valide che andranno sempre confrontate con i dati clinici dell’esplorazione digito-rettale che, se eseguita da un operatore esperto, risulta tutt’ora un ottimo test per la valutazione dell’infiltrazione sfinteriale [53].

Stadio N

La valutazione dei linfonodi dopo la terapia neoadiuvante può essere effettuata sulla base dei dati morfologici e coadiuvata dalla revisione delle immagini DWI che consentono una più semplice identificazione visiva di piccoli linfonodi. Tuttavia un’accurata valutazione

(32)

32 delle immagini T2 pesate è sufficiente a valutare lo status linfonodale del mesoretto e anche delle restanti stazioni pelviche [52].

Il trattamento neoadiuvante porta a un importante downstaging e downsizing linfonodale, fino alla scomparsa dei linfonodi patologici. Possiamo suddividere i pazienti in due gruppi, yc N0 e yc N+. Per yc N0 si intende che non sono visualizzabili linfonodi sospetti che hanno un diametro > 5mm. Per yc N+ si intende che sono presenti linfonodi con diametro > 9mm o con diametro compreso tra i 5 e i 9mm con almeno altri due criteri morfologici di sospetto (forma rotondeggiante, margini irregolari, intensità del segnale disomogenea), oppure linfonodi con diametro < 5mm con tutti i criteri morfologici di sospetto. Inoltre è utile indicare chiaramente nel referto il numero di linfonodi sospetti nel mesoretto e la sede e il numero dei linfonodi sospetti extra-mesorettali [53].

Come nel caso della stadiazione prima della terapia neoadiuvante, la stadiazione linfonodale dopo la terapia ha un livello di accuratezza non molto alto, infatti è difficile differenziare un linfonodo metastatico da un linfonodo alterato dall’irradiazione dopo la radioterapia neoadiuvante usando criteri morfologici. Dopo la radioterapia un linfonodo con bordi irregolari e spiculati molto spesso è negativo, perché queste caratteristiche sono dovute alla fibrosi post-attinica [58].

Alcuni studi hanno valutato l’utilità di un particolare mezzo di contrasto, l’USPIO (ultrasmall superparamagnetic iron oxide) per identificare i linfonodi metastatici con la RM. Questa metodica ha un’alta sensibilità (91%) e specificità (93%) nell’indicare lo stato linfonodale nel tumore del retto, ma l’uso di questo mezzo di contrasto non è stato approvato negli USA e in Europa [59].

Interessamento della fascia mesorettale

Nel restaging dopo la terapia neoadiuvante la risonanza magnetica ha un’accuratezza del 66% nel predire l’interessamento del CRM [60]. Una cicatrice fibrotica connessa con la fascia mesorettale può essere difficile da distinguere da un residuo neoplastico. E’ fondamentale per un corretto approccio chirurgico definire in modo accurato i margini neoplastici dopo la terapia neoadiuvante. Il MERCURY study group ha dimostrato un

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33 forte valore predittivo negativo (98%) dell’imaging RM nell’ individuare l’interessamento del CRM [61]. Il valore predittivo positivo ha dimostrato che c’è una tendenza all’overstaging, ma nonostante questo l’identificazione alla RM di un potenziale interessamento del CRM è associato a tassi di recidiva locale significativamente alti [54]. Individuare il potenziale interessamento del CRM anche dopo la terapia neoadiuvante è importante perché questi pazienti possono essere sottoposti ad altri cicli di terapia neoadiuvante oppure possono beneficiare di una resezione chirurgica più radicale. Invece i pazienti che dimostrano un CRM libero dopo la terapia neoadiuvante possono beneficiare di interventi meno aggressivi con risparmio del complesso sfinteriale [35].

DWI

Per migliorare la performance dello studio morfologico su immagini T2 pesate nella distinzione tra pazienti con risposta parziale e pazienti con risposta completa, possono essere utilizzate immagini DWI ad alto valore di B (B factor 800-1000) che forniscono un biomarker di ipercellularità [62].

Le immagini pesate in diffusione evidenziano le variazioni della mobilità dei protoni delle molecole d’acqua extracellulare per distinguere i tessuti con diversa cellularità. Nei tessuti con cellularità normale i protoni delle molecole d’acqua possono muoversi liberamente e questo risulta in un’attenuazione del segnale nelle DWI. Al contrario, nei tessuti con elevata cellularità come le neoplasie, la diffusione dell’acqua è minore, è ristretta, e questo corrisponde ad un alto segnale in DWI. Le aree di fibrosi hanno tipicamente una scarsa densità cellulare, che corrisponde ad una bassa intensità di segnale nelle immagini DW ad alto valore B. All’opposto, i cluster di tessuto neoplastico residuo hanno relativamente un’elevata densità cellulare e mostrano un’alta intensità di segnale nelle DWI che spicca nel contesto della bassa intensità di segnale del circostante tessuto fibrotico [63].

La lettura combinata delle immagini DWI insieme alle immagini morfologiche T2 pesate riesce a far incrementare significativamente la sensibilità e la specificità della metodica nella individuazione dei pazienti con risposta clinica completa sino a 56% e 94%

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34 rispettivamente con valore predittivo negativo di circa 89% [63]. In altri termini l’utilizzo combinato delle sequenze T2 e DWI consente una riduzione dei pazienti falsi negativi rispetto all’utilizzo delle sole immagini T2 pesate nell’identificazione dei pazienti con risposta completa.

Tuttavia l’interpretazione delle immagini DWI può risultare difficile in caso di adenocarcinoma mucinoso o di una colliquazione post-terapeutica del tessuto tumorale, infatto in seguito alla terapia neoadiuvante si ha una colliquazione del tessuto tumorale con produzione di muco, e questo determina un’intensità di segnale molto alta nelle sequenze T2 pesate e nelle DWI. Si ha l’effetto shine-through, ossia un’alta intensità di segnale nelle DWI non dovuta alla restrizione della diffusione, ma a un’alta intensità di segnale nelle sequenze T2 pesate che permane nelle DWI, ne consegue che piccoli residui tumorali nel contesto del tessuto colliquato circostante non possono essere individuati. Inoltre non sono rare le distorsioni dell’immagine dovute ad artefatti nelle DWI, in particolare a livello dell’interfaccia aria-tessuto e questo complica ulteriormente l’interpretazione [23].

Vari studi hanno testato la potenzialità delle valutazioni quantitative dell’ADC (apparent diffusion coefficient) con risultati estremamente variabili nelle diverse esperienze e non sempre soddisfacenti, pertanto nelle maggior parte dei centri l’ADC non è usato nelle pratica clinica quotidiana nella valutazione della risposta, ma solo per finalità di ricerca [55].

Criteri Volumetrici

Il downstaging dopo la terapia neoadiuvante è uno dei più importanti fattori prognostici nel LARC, per questo sono necessari parametri per una valutazione oggettiva e riproducibile della risposta tumorale. Nella pratica clinica corrente il sistema per valutare la risposta alla terapia neoadiuvante rimane ancora l’osservazione delle modificazioni del parametro T e del parametro N. Come abbiamo descritto precedentemente la stadiazione

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35 T si basa sulla profondità dell’invasione neoplastica nella parete rettale e questo dato è ottenuto con l’ecografia endorettale o la risonanza magnetica.

Nella pratica radiologica la valutazione quantitativa del volume neoplastico è considerata più accurata rispetto ai metodi qualitativi di valutazione del parametro T nello stabilire la risposta alla terapia neo-adiuvante, perché è un biomarker che correla strettamente con la cellularità della neoplasia [64]. La valutazione del volume di solito viene fatta seguendo i criteri WHO o RECIST (Response Evaluation Criteria In Solid Tumors).

Criteri WHO e RECIST

Fin dagli anni Sessanta sono stati proposti ed utilizzati diversi criteri per descrivere la risposta tumorale alle terapie mediche rendendo difficile il confronto tra l’efficacia dei diversi farmaci. Pertanto, spinta della necessità di avere dei parametri di giudizio comuni ed uniformi, la World Health Organization (WHO) nel 1979 ha pubblicato delle linee guida per la valutazione dei risultati dei trattamenti antitumorali, basate sulla misurazione bidimensionale delle lesioni e sulla definizione di quattro categorie di risposta:

1) risposta completa (RC): scomparsa del tumore;

2) risposta parziale (RP): riduzione ≥50% del prodotto crociato;

3) malattia stabile (MS):misura tra la risposta parziale e la progressione di malattia; 4) progressione di malattia (PM): aumento >25% del prodotto crociato.

Il diametro massimo e il diametro perpendicolare maggiore vengono moltiplicati per ottenere il prodotto crociato [65].

La presenza di alcune problematiche rimaste insolute, nonché lo sviluppo di nuove tecnologie in ambito radiologico hanno spinto la comunità scientifica a creare nel 1994 un nuovo gruppo di lavoro denominato Response Evaluation Criteria In Solid Tumors (RECIST), che, pur mantenendo la suddivisione in 4 categorie di risposta, ha proposto una semplificazione dei criteri WHO mediante l’adozione di un modello di misurazione unidimensionale:

Riferimenti

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