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Nuove strategie terapeutiche nella prevenzione del tromboembolismo da fibrillazione atriale: la chiusura percutanea dell'auricola sinistra.

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Academic year: 2021

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INDICE

1) Fibrillazione atriale e rischio cardioembolico pag. 2 2) Terapia farmacologica nella prevenzione del cardioembolismo in corso di FA pag. 6

2.1) Rischi e benefici dei dicumarolici pag.8

2.2) I nuovi anticoagulanti, differenze, vantaggi e limiti pag.9 2.3) Inibitori diretti della trombina a somministrazione orale pag. 10

2.4) Inibitori del fattore X attivato pag. 12

3) Razionale della chiusura dell‘auricola sinistra pag.13

3.1)Anatomia e fisiologia dell'auricola pag. 14

4) Tecniche non chirurgiche di occlusione dell‘auricola sinistra pag. 14 4) Tecniche non chirurgiche di occlusione dell‘auricola sinistra pag. 15 4.1) Approccio trans-pericardico e legatura dell’auricola pag. 16 5) Approccio percutaneo mediante cateterismo tran settale pag. 16

5.1) PLAATO® pag. 18

5.2) WATCHMAN® pag. 21

5.3) ACP® pag. 24

5.4) Transcatether Patch pag. 26

6) L’esperienza toscana a tre anni dal primo impianto con il device Amplatzer Cardiac

Plug® pag. 28

6.1) Scopo dello studio pag. 28

6.2) Materiali e metodi pag.28

6.3) Popolazione pag.30

6.4) Risultati pag.31

6.5) Risultati al Follow up pag 32

7)Discussione pag. 35

8)Conclusioni pag.40

9)Bibliografia pag. 42

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Fibrillazione Atriale e rischio tromboembolico

La fibrillazione atriale (FA) è indiscutibilmente l'aritmia più frequente nella popolazione adulta colpendo circa l‘1-2% della popolazione generale (1) ed è caratterizzata da un‘incidenza che aumenta considerevolmente nelle fasce di età più anziane (2) . Il rischio di sviluppare FA, infatti, raddoppia per ogni decade di età: la prevalenza è meno dell‘1% sotto i 60 anni, sale a circa il 10% tra gli 80 e gli 84 anni e arriva dall‘11 al 18% oltre gli 84 anni (2,3,4). Tale aritmia si caratterizza per la elevatissima frequenza di contrattilità atriale che risulta nella perdita funzionale del contributo atriale sinistro alle fasi meccaniche del ciclo cardiaco e per la variabilità della penetranza ventricolare. L'aritmia può essere poi classificata sulla base di vari aspetti clinico, morfologico o funzionale ma tuttavia anche le classificazioni delle società scientifiche, si focalizzano più l'aspetto clinico-pratico più che su quello fisiopatologico. In particolare si parla di forme parossistiche, persistenti (long-standing) e permanenti oppure in forme legate a patologie valvolari o non, oppure in forme isolate (lone AF) (5).

I fattori di rischio ben noti e diffusi sono l'età, il sesso maschile , l'ipertensione, il diabete mellito, l'ipertiroidismo, e malattie cardiache strutturali (6,7, 8). L'invecchiamento è un fattore di rischio che agisce probabilmente attraverso i processi di fibrosi legati all'invecchiamento. L'ipertensione è associata ad un aumentato rischio anche se apparentemente ben controllata.

Fra le malattie cardiache rivestono un ruolo predominante soprattutto le patologie a carico della valvola mitrale e la cardiomiopatia ipertrofica che possono produrre grave malattia atriale. Inoltre, la disfunzione sistolica o diastolica e l'insufficienza cardiaca di qualsiasi eziologia predispongono per la FA , probabilmente attraverso il sovraccarico di volume e / o di pressione dell'atrio.

Il Diabete mellito e l'ipertiroidismo sono ben riconosciuti fattori di rischio indipendenti per FA, anche se apparentemente ben controllati. L'obesità si è dimostrata essere associata ad un rischio maggiore in diversi studi population -based. Infine, in una piccola percentuale di pazienti, la FA è dovuta a condizioni genetiche ereditarie (9) Si calcola che il rischio di sviluppare FA negli Stati Uniti e in Europa è stimato attorno al 22-26% negli uomini e al 22-23% nelle donne oltre gli 80 anni di età (10-11)

Una così alta prevalenza di FA comporta inoltre un notevole aumento della spesa sanitaria. Ad esempio dal 1985 al 1999, negli Stati Uniti i ricoveri per FA sono quasi triplicati (12). Da una recente analisi retrospettiva sui costi sanitari condotta negli Stati Uniti nel 2008 è emerso infatti che i pazienti affetti da FA “pesano" in media per il 73% in

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più (8075 dollari per paziente) sulla spesa sanitaria nazionale, rispetto a pazienti con caratteristiche analoghe, ma non affetti dall‘aritmia: da questo deriva una crescita complessiva dei costi compresa tra i 6 e i 26 miliardi di dollari (13). Dati sostanzialmente analoghi sono emersi da studi eseguiti in Europa Occidentale (14,15,16,17,18). L‘aumento della spesa sanitaria relativa alla gestione dei pazienti affetti da FA è correlata prevalentemente al trattamento delle complicanze dell‘aritmia, tra le quali rivestono un ruolo primario i fenomeni cerebrovascolari (stroke) su base tromboemolica (Figura 1). Lo stroke infatti ha un'incidenza annua di circa lo 0.2% con 1.4 milioni casi/anno negli USA ed in Europa e rappresenta la terza causa di mortalità nel mondo occidentale oltre che responsabile di profonda disabilità funzionale (19).

Come noto, la FA si associa ad un aumentato rischio di stroke tromboembolico, ed è responsabile da sola fra il 15 ed il 20% di tutti gli strokes ischemici (20) , mentre nella forma di FA non valvolare il rischio atteso di stroke clinicamente manifesto aumenta di circa 5 volte 21 essendo di circa il 5% / anno, circa 105.000/anno (21) di cui il 20% fatali anche dovuta alla maggiore propensione nel coinvolgere territori vascolari multipli (22). Perché gli stroke FA-correlati sono più gravi e sono associati ad un aumentato rischio di recidiva, ad aumento della morbilità e della mortalità, nonché ad inabilità funzionale sul lungo periodo, l'importanza della prevenzione dell'ictus nella fibrillazione atriale non può essere sottovalutata (23). Si calcola che oltre 3 milioni di persone al mondo vengono colpite ogni anno da ictus tromboembolico da fibrillazione atriale con pesanti ricadute sociali per il paziente, per la famiglia nonché per la società tutto in considerazione dei costi assistenziali e non, che questo comporta.

Volendo valutare il solo impatto economico per le spese sanitario-assistenziali si stima che ogni paziente costi annualmente circa 3.000 euro, con una spesa totale che di 22 miliardi di euro nell’Unione Europea nel solo 2005 (24, 25). Un‘altra condizione significativamente correlata alla FA e che comporta pertanto un ulteriore aumento dei costi sanitari è il declino cognitivo e la demenza: è stato infatti dimostrato che i pazienti con FA presentano un rischio di sviluppare un decadimento cognitivo 1,7 volte maggiore rispetto alla popolazione non affetta (26). Alcune evidenze hanno correlato la riduzione del tempo di permanenza nel range terapeutico in corso di terapia anticoagulante orale con la presenza di decadimento cognitivo (27).

E' evidente che alla luce dell'impatto in termini di mortalità e disabilità nonché dei relativi costi associati si sia cercato in questi anni di identificare i pazienti con FA a più elevato rischio di sviluppare tali complicanze (28,29) e che pertanto più beneficiano delle strategie di prevenzione.

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Ad esempio, uno studio ha utilizzato i dati provenienti dal National Registry of Atrial Fibrillation (30), combinando due score già sviluppati dal gruppo Atrial Fibrillation Investigators (AFI) e dal gruppo Stroke Prevention in Atrial Fibrillation (SPAF- III), portando ad un nuovo schema di valutazione del rischio embolico nei pazienti con FA non valvolare. Questo schema è stato denominato CHADS 2 , acronimo che elenca i cinque maggiori fattori di rischio per tromboembolismo in FA (C: congestive heart failure; H: hypertension; A: age, 75 anni; D: diabetes; S 2 : stroke). Il sistema di punteggio prevedeva l‘assegnazione di un punto per ogni fattore di rischio, eccetto lo stroke cui venivano attribuiti 2 punti. La probabilità di stroke aumenta proporzionalmente con l‘aumentare del punteggio (variabile da 0 a 6 punti)

Come trattarli quindi?

Nel paziente con FA non valvolare ed elevato rischio tromboembolico esistono, attualmente, tre potenziali strategie di prevenzione degli eventi, di cui solo le prime due rappresentano strade realmente percorribili.

1. Impedire la formazione del trombo mediante terapia anticoagulante cronica.

Numerosi trials randomizzati hanno dimostrato l‘efficacia della TAO nella prevenzione del tromboembolismo. (31, 32, 33)

2. Escludere l‘auricola sinistra (34,35) : questa ultima opzione deriva dall‘osservazione retrospettiva, proveniente da studi che hanno utilizzato metodiche diverse (ecografia transesofagea, interventi cardiochirurgici, autopsie) che hanno dimostrato come l‘auricola sinistra è la struttura più frequentemente sede di trombosi in corso di di FA non valvolare (circa nel 90% dei casi)

3. Ultima, e per il momento solo potenziale possibilità almeno nell'uomo, è quella di arrestare il trombo potenziale o già formato affinché non raggiunga organi nobili con conseguente danno ischemico. Sono stati sviluppati sistemi meccanici in grado di bloccare l‘embolo, benché ad oggi siano stati studiati solo in modelli animali (36) Ritornando al mondo reale e sulla base delle evidenze, nei pazienti con CHADS 2 uguale o maggiore di 2 ovvero con un rischio predetto di sviluppare complicanze ischemiche cerebrali alto (pari al 4%/anno) è, pertanto, raccomandata, in assenza di controindicazioni, la terapia anticoagulante orale (TAO) sine die, con target di INR (International Normalized Ratio) medio di 2.5 con un range di variabilità considerato adeguato fra 2-3 (37,38). Tuttavia con tale score rimaneva problematica la gestione del trattamento anticoagulante per l‘ampio gruppo di pazienti che si collocava nella fascia di rischio moderato (CHADS 2 =1 nel 61,9% dei pazienti) per i quali non esisteva una chiara indicazione all‘uso di terapia

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anticoagulante orale: sulla base delle raccomandazioni delle linee guida europee del 2006 questo gruppo di pazienti poteva infatti essere trattato indifferentemente con TAO oppure ASA (39). Dati recenti hanno tuttavia confermato l‘efficacia degli antagonisti della vitamina K anche nei pazienti con rischio moderato, mentre non è stata dimostrata una pari efficacia dell‘ASA che ha peraltro presentato un profilo di rischio emorragico elevato, per cui il beneficio clinico netto non depone a favore del suo utilizzo in questo sottogruppo di pazienti (40). Uno dei motivi per cui, con lo score CHADS 2, una grossa parte della popolazione affetta da FA non valvolare rientrava in una fascia di rischio cardioembolico intermedio è determinata dal non considerare fattori di rischio minori (come patologie vascolari e sesso femminile) i quali, soprattutto quando associati, possono significativamente aumentare il rischio di sviluppare complicanze tromboemboliche. Per superare questa problematica nelle linee guida europee del 2010, è stato codificato un nuovo score del rischio cardioembolico nei paziente con FA non valvolare: il CHA2DS2-VASc score (41) . Tale sistema rappresenta difatti un‘evoluzione degli score già presenti (come il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE)stroke risk stratification schema) (42) e, il cui potere predittivo è stato confermato anche dopo il confronto con altre stime del rischio nell‘analisi dei dati provenienti da una coorte real world di 1084 pazienti affetti da FA arruolati nella Euro Heart Survey for AF (43).

In quest'ottica un passaggio fondamentale è quello che le Linee Guida Europee 2010, servendosi di tale score, abbandonano i termini di “rischio lieve, moderato o severo” associando a ciascun punteggio una precisa strategia terapeutica. Infine una considerazione molto attuale è che anche in soggetti sottoposti a terapia per il controllo del ritmo (farmacologica e/o ablativa) che abbia avuto apparentemente successo, la necessità di una strategia antitromboembolica rimane inalterata per mesi per cui di per sé una strategia di controllo del ritmo non modifica, almeno nel medio termine, le problematiche rischio/beneficio della terapia antitrombotica. Nella recentissima Consensus on Catheter Ablation viene ribadito come la terapia anticoagulante dopo l'ablazione può aiutare a prevenire la formazione di trombi, sia essa con Warfarin o in alternativa, con un inibitore diretto della trombina o del Fattore Xa (44). In più, i pazienti con FA sottoposti ad ablazione transcatere sono ad aumentato rischio di tromboembolia nel corso della procedura, subito dopo, e per diverse settimane o mesi dopo l'ablazione. Questo periodo pro-trombotico pone a rischio di eventi embolici anche quei pazienti identificati come a basso rischio prima dell' ablazione, per cui questa Task Force raccomanda la terapia antitrombotica per tutti i pazienti per almeno due mesi a seguito di una procedura di ablazione FA.

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Terapia farmacologica nella prevenzione del cardioembolismo in corso di FA

Pertanto la strategia unanimemente riconosciuta e quella con l'esperienza clinica maggiore (45) è sicuramente rappresentata dalla terapia anticoagulante orale (TAO) o, in selezionatissime categorie di pazienti la semplice terapia antiaggregante (ASA). La TAO, in particolare, è stata rappresentata sino a pochi mesi fa da una sola categoria di farmaci e cioè i dicumarolici, che hanno il proprio capostipite nel Warfarin (in Italia disponibile anche l'acenocumarolo) .

L'efficacia di warfarin per la prevenzione dell'ictus è stata dimostrata in studi randomizzati e controllati (31,32,33) (Tabella 1) mentre la base concreta per l'aspirina è meno robusta. In una meta-analisi (46) di 29 studi randomizzati e controllati, che ha annoverato 29 trial con oltre 28000 pazienti, warfarin riduce il rischio di ictus del 64%, (pari ad una riduzione assoluta del 2,7% l‘anno) mentre gli agenti antipiastrinici hanno ridotto rischio di ictus del 22% rispetto ai controlli.

Quando si limitano i dati ai soli studi con aspirina, si evidenzia solo una riduzione non significativa del 19 % del rischio di ictus con l'aspirina rispetto ai controlli, senza alcun impatto sulla mortalità. Difatti le indicazioni per l'aspirina sono state guidate da un unico trial positivo, SPAF1 (The Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Study) (47) che ha comparato ASA e Warfarin mostrando una significativa riduzioni di eventi anche per l'aspirina. Questi risultati, peraltro mai pù confermati, non forniscono di per sé una prova convincente per l'uso di aspirina per ridurre il rischio di stroke. Da qui, il razionale per raccomandare l'aspirina solo per i pazienti a basso rischio (CHADS2 score 0) sin dal 2008 (48)

Alla luce di ciò i dicumarolici, ed il warfarin in particolare, hanno rappresentato in questi anni il principale e pressocchè l'unico mezzo terapeutico nella prevenzione del rischio tromboembolico FA-correlato nonché l'unico trattamento, riconosciuto e codificato, dalle linee guida nei pazienti a rischio medio ed elevato, fatta eccezione per l'Aspirina nel dosaggio da 75-325 mg nei pazienti con CHADS2VASC2 < 2 (37)

Pertanto il trattamento con antagonisti della vitamina k dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti con FA ed uno o più fattori di rischio per stroke (CHA2DS2-VASc pari o superiore a 1). Questa strategia è sì efficace ma non scevra da problematiche, prima fra tutte quella emorragica (49) la cui attenta valutazione rappresenta un nodo cruciale nel processo che precede l‘inizio della TAO ma che richiede costanti e attente rivalutazioni nel corso della stessa.

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più gravi e spesso fatali complicanze della TAO e, dato ancor più preoccupante, il rischio risulta incrementale nel tempo (50). La terapia con TAO, pertanto, deve essere portata avanti valutando costantemente la presenza di controindicazioni , il rapporto rischio/beneficio nonchè le preferenze del paziente che deve essere pienamente e consapevolmente coinvolto nella terapia.

In particolare i il tasso annuo di sanguinamenti maggiori ed emorragie intracraniche, in pazienti con FA in TAO è del 1.2% e 0.5% rispettivamente. (51)

A tale scopo infatti è stato formulato, sulla base dei dati provenienti da una popolazione real world di 3978 soggetti affetti da FA appartenenti all‘ EuroHeart Survey, uno score per la valutazione del rischio emorragico denominato HAS-BLED (52)(acronimo da: Hypertension; Abnormal renal/liver function; Stroke; Bleeding history or predisposition; Labile INR; Elderly, intesa come età superiore a 65 anni, Drugs/alcohol concomitantly tra cui gli antiaggreganti e i FANS).

In tal senso già le linee guida ESC 2010 propongono (Classe di raccomandazione IIa con livello di evidenza B) l‘utilizzo dello score HAS-BLED per la valutazione del rischio emorragico nei pazienti con FA prima dell‘inizio e quindi in corso di terapia antitrombotica/anticoagulante (TAO) (37). Pertanto una particolare cautela nella prescrizione della terapia antitrombotica (sia essa la sola aspirina o la TAO) e regolari rivalutazioni sono necessarie in pazienti in cui il rischio emorragico sia elevato (HAS-BLED=3), come dimostrato dall’elevata incidenza annuale di emorragie maggiori 1.3% nei pazienti di questa categoria trattati con warfarin (vs 1.0% nei soggetti del gruppo placeboo controllo e 1.0% nei pazienti trattati con aspirina) (53,54).

Tuttavia e nonostante le evidenze, la TAO nel real-world viene ampiamente prescritta al di sotto delle reali indicazioni in un range variabile, a seconda delle casistiche, dal 15 al 66% dei pazienti che necessiterebbero di essa. (55, 56)

L' esperienza e le evidenze insegnano, che una volta intrapresa, la terapia anticoagulante orale con warfarin deve essere gestita da personale formato e qualificato (e l'Italia in questo ha rappresentato un modello per molti paesi attraverso la formazione dei centri TAO) mediante il monitoraggio dell‘INR che deve essere mantenuto tra 2 e 3 perchè solo il mantenimento dei valori all‘interno di questi valori si correla simultaneamente ad una riduzione dell‘incidenza di stroke, della severità dell‘evento e quindi della mortalità con un “accetabile” rischio emorragico (57)

che invece aumenta significativamente con valori di INR superiori a 3,5-4, soprattutto riguardo il rischio di emorragie intracraniche.

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prelievo ematico deve essere più frequentemente (almeno settimanale) all‘inizio della terapia per poi ridursi (20-30 giorni) dopo la stabilizzazione dei valori (58)

Esiste, infatti una forte relazione tra gli eventi emorragici e l’inizio della TAO. Le emorragie sono più frequenti nei primi 90 giorni dall’inizio, con una frequenza doppia rispetto a quella registrata successivamente, quando l’incidenza di sanguinamenti si stabilizza (59). Questo problema è particolarmente rilevante negli anziani dove la TAO spesso slatentizza lesioni ad alto rischio emorragico misconosciute od occulte e dove il controllo della TAO all’inizio del trattamento può essere scarso. Alcune evidenze da studi sviluppati nel Nord America ci indicano come l'efficacia della TAO stimata nel Time in Therapeutic Range (TTR) > 60% sia diversa a seconda che la gestione della stessa sia affadidata a centri specializzati di terapia anticoagulante oppure dal medico di medicina generale (60) (Tabella 2). Ad esempio se si guarda ai trials clinici controllati, l‘INR è mantenuto in range terapeutico (tra 2 e 3) per il 64% del tempo, mentre nel modo reale i valori si aggirano attorno a valori più bassi (circa il 54%) (61). Sicuramente il vantaggio garantito di personale addetto alla TAO sta anche nella sistematica ed attenta valutazione delle eventuali complicanze, della compliance del paziente alla terapia oltre che alla rivalutazione regolare del rischio emorragico.

RISCHI E BENEFICI DEI DICUMAROLICI:

Attualmente gli antagonisti della vitamina k (VKA) costituiscono la principale classe di farmaci a disposizione per la TAO. Tali farmaci hanno il grande vantaggio di garantire una sicura efficacia a patto di una stretta e talvolta pericolosa finestra terapeutica a causa dell‘elevata variabilità inter- ed intra-individuale nel metabolismo del principio attivo e delle numerose interazioni con farmaci, alimenti ed alcolici (48). Il capostitpite warfarin, è una miscela racemica di due isomeri metabolizzati da due differenti vie epatiche (dall‘enzima CYP2C9, appartenente al sistema del citocromo P450 e dai citocromi 1A2 e 3A4). Per tale ragione una da un lato le variabili genetiche e dall'altro fattori esogeni (ad esempio altri farmaci) modificano in maniera spesso imprevedibile la risposta anticoagulativa del soggetto al farmaco risultando in fluttuazioni dell‘INR al di fuori del range terapeutico anche quando il monitoraggio clinico è accurato. Di conseguenza, i pazienti che assumono TAO possono essere esposti ad elevato rischio cardioembolico e/o emorragico per circa la metà della durata del trattamento.

La terapia con VKA è inoltre limitata anche dalle controindicazioni temporanee o permanenti alla TAO (fino al 34% delle donne e nel 35% degli uomini di età maggiore ai 75 anni ) come dall'anamnesi di sanguinamento maggiore nei 6 mesi precedenti, cadute

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frequenti, abuso alcolico, ipertensione arteriosa non controllata, uso cronico di FANS, interazioni con alimenti ed altri farmaci ma soprattutto dalla compliance del paziente gravata da una gestione complessa (a cominciare dai frequenti controlli ematici).

Una volta intrapresa la terapia sono sicuramente le complicanze emorragiche a pesare di più soprattutto a causa del rischio cumulativo che si riassume in un‘incidenza annua complessiva del 18.15% (3.36% /annuo di emorragie maggiori, 16.4% / annuo di emorragie minori con 0.74% /anno di sanguinamenti intracranici) come osservato nel RE-LY trial (62).

Pertanto l'uso di warfarin gravato dai limiti di cui sopra oltre che all'indubbio problema del ristretto range terapeutico lo rendono poco attraente per i pazienti e per i medici (63).

Infatti i tassi di discontinuità della TAO rimangono alti e possono arrivare talora al 38% / anno non sempre giustificato da reali motivazioni di ordine medico (64).

Menzione particolare va fatta in particolare per le fascie di età più elevate, che rappresentano molto spesso la categoria con il più elevato rischio cardioembolico (65,66) e allo steso tempo quelli che meno si adattano per svariate ragioni, ad una efficiente gestione della TAO .

In fine un cenno alla “cattiva” pratica, ma che è stata finora comune, di trattare i pazienti, in cui un rischio emorragico elevato controindichi la TAO o che comunque non viene assunta, con l’associazione clopidogrel-aspirina. Questa strategia ampiamente usata per il trattamento delle malattia coronarica e da qualche mese disponibile al di là di tale indicazione in Italia, è stata ampiamente sfiduciata dallo studio ACTIVE W che ne documentato la netta inferiorità rispetto al warfarin nel prevenire eventi embolici sistemici e stroke a fronte di un’incidenza di emorragie doppia rispetto alla sola aspirina (67).

Fino a poco tempo, nessun altro anticoagulante orale in alternativa al warfarin, era disponibile. Tuttavia negli USA prima nel 2010, il dabigatran, (68)(PRADAXA)(un inibitore orale diretto della trombina) e poi nel novembre del 2011 il rivaroxaban (69)(XARELTO) (un inibitore orale del fattore Xa) sono stati approvati per la prevenzione di ictus e dell' embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale.

3) I nuovi anticoagulanti: differenze, vantaggi e limiti.

Dall'esperienza maturata con il warfarin e dalle limitazioni legate al suo utilizzo è nata la forza trainante per la ricerca di agenti alternativi che presentassero gli stessi vantaggi e una migliore versatilità. Il primo ad avere pubblicati i dati è stato, un antagonista della

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vitamina K, il tecarfarin al centro di uno studio multicentrico di fase IIA in cui è stato impiegato, in 66 pazienti con FA precedentemente in terapia con warfarin. Il trial ha dimostrato che l‘utilizzo di questo nuovo farmaco si associava ad un aumento del TTR (71,4% Vs 59%). Risultato da correlare verosimilmente al metabolismo del tecarfarin, indipendente dal citocromo P-450 (70). Dato poi confermato da un altro studio che ha dimostrato, in soggetti sani, l‘indipendenza del metabolismo del tecarfarin dall‘inibizione dei citocromi CYP2C9 e CYP3A4 (71).

Il tecarfarin, ha avuto vita brevissima e non è stato commercializzato a causa della mancanza di dati definitivi e da problemi di gestione del farmaco che non superavano quelli dati dal warfarin, farmaco ormai consolidato.

Pertanto la ricerca si è rivolta verso lo sviluppo di molecole che rappresentassero un completo superamento del Warfarin stesso, e cioè dotate di minori interazioni e senza necessità di aggiustamenti posologici. Molte alternative agli inibitori della vitamina k, come gli antagonisti del fattore IIa e Xa, sono stati sviluppati con successi alterni (72).

In particolare, maggiore fortuna hanno riscossi farmaci anticoagulanti orali quali lo ximelagatran e il dabigatran (inibitori diretti orali della trombina), il rivaroxaban, l’edoxaban, l’apixaban e il betrixaban (inibitori orali del fattore Xa) che svolgono un’azione anticoagulante costante senza la necessità di un ripetuto monitoraggio dei parametri ematici e senza presentare interazioni con altri farmaci e alimenti.

Inibitori diretti della trombina a somministrazione orale

Nel 2003 sono i dati dello studio randomizzato SPORTIF III (73) hanno dimostrato la non inferiorità dello ximelagatran, un inibitore diretto della trombina, nella prevenzione dello stroke e degli eventi embolici nei pazienti con FA non valvolare. Dai risultati del successivo studio SPORTIF V lo ximelagatran ha dimostrato un profilo di sicurezza simile al warfarin, determinando un numero simile di sanguinamenti maggiori (74). Tuttavia, successivamente alla sua immisione sul mercato il farmaco è stato ritirato in Europa a causa dell‘elevata epatotossicità (75) mentre non è mai stato approvato per l‘uso clinico negli Stati Uniti.

Un importante passo in avanti per questi nuovi farmaci si è avuto quando sono stati pubblicati i risultati dello studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long-term anticoagulation therapy), trial randomizzato di non inferiorità che ha confrontato warfarin e dabigatran (Figura 3). Quest‘ultimo, un inibitore diretto della trombina a somministrazione orale, era stato già utilizzato in uno studio pilota in pazienti con FA (76) . Lo studio RE-LY ha arruolato 18.113 pazienti con FA non valvolare a rischio di eventi cardioembolici

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(CHADS 2 = 1, medio 2,1) randomizzati in due bracci: uno, aperto, in cui i pazienti ricevevano warfarin, l‘altro, in doppio cieco, in cui i pazienti ricevevano dabigatran 110 o 150 mg due volte al giorno. Entrambe le dosi del farmaco sono risultate non inferiori al warfarin riguardo l‘end-point primario di riduzione dell‘incidenza di stroke e di embolia sistemica. La dose di 150 mg somministrata due volte al giorno è risultata addirittura superiore al warfarin nel raggiungimento dell‘end-point primario, mentre la dose di 110 mg somministrata due volte al giorno si è dimostrata superiore in termini di riduzione dei sanguinamenti maggiori (77).

Sulla base dei dati del RE-LY che, per primo, ha presentato una reale alternativa al warfarin, nell‘ottobre del 2010 l‘FDA ha approvato il dabigatran per l‘utilizzo nei pazienti con FA per la prevenzione del rischio cardioembolico. Il farmaco è commercializzato negli Stati Uniti oltre che in diversi altri paesi, nei dosaggi di 150 mg e 75 mg (quest‘ultimo con indicazione nei pazienti con severa disfunzione renale). Le linee guida americane sulla gestione della FA, pubblicate alla fine del 2010, sono state aggiornate all‘inizio del 2011 (78) con una nuova raccomandazione riguardo l‘impiego del dabigatran come alternativa al warfarin per la prevenzione dello stroke e degli eventi embolici sistemici nei pazienti con FA non valvolare e in assenza di severa disfunzione renale (filtrato glomerulare inferiore 15 ml/min) o epatica (79) (sottocategorie non proprie del RE-LY in quando criteri di esclusione ) con indicazione di classe I, livello di evidenza B. Inoltre si segnalava come,i pazienti già ben aderenti alla terapia con warfarin e con un ottimo controllo INR potevano avere poco da guadagnare nel passaggio a a dabigatran, anche se una precedente esposizione al warfarin non modifica l'efficacia di dabigatran.

In seguito alla commercializzazione del dabigatran e all‘impiego del farmaco su larga scala, sono emersi alcuni dati circa potenziali effetti avversi del nuovo anticoagulante; in particolare è stato riportato un numero non trascurabile di sanguinamenti, soprattutto a livello del tratto gastrointestinale. È stata pertanto sottolineata l‘importanza di un attento monitoraggio dei valori di emoglobina e della funzione renale prima e durante l‘utilizzo del dabigatran (escludendo dal trattamento i pazienti con GFR al di sotto dei 30 ml/min) (80,81). Simile raccomandazione nei pazienti con ridotto filtrato renale è stata fatta anche dall' AIFA nell'Ottobre 2011. Infine in qualche studio l'uso del dabigatran è stato associato ad un aumentata incidenza di infarto del miocardio (IM) (82). L‘incidenza degli eventi avversi non è stata tuttavia tale da giustificare un ritiro dal commercio del farmaco. Successivamente, e sempre nel 2011, anche l'EMEA, ha dato opinione favorevole prima per il dabigatran (Pradaxa, Boehringer Ingelheim) e, nel Dicembre ultimo scorso, al RIVAROXABAN (Xarelto, Bayer/Johnson & Johnson) nella prevenzione dello stroke e

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dell'embolismo sistemico in caso di adulti con FA non valvolare e uno o più fattori di rischio embolico. Per entrambi si è trattato di una estensione delle indicazioni per questo farmaco inizialmente approvato per la prevenzione del tromboembolismo in caso di sostituzione protesiche ortopoediche per il primo nonché anche per la trombosi venosi profonda per il secondo (83).

Inibitori del fattore X attivato

Ad oggi sono disponibili dati promettenti su farmaci anticoagulanti orali che agiscono ad un livello diverso dai precedenti e cioè inibendo il fattore X attivato (Xa): APIXABAN e RIVAROXABAN.

Il primo tra questi, l‘apixaban è stato valutato in due studi di fase III: ARISTOTLE (Apixaban for Reduction In Stroke and Other Thromboembolic events in atrial fibrillation), che ha paragonato apixaban 5 mg due volte al giorno con warfarin (84) e AVERROES (Apixaban Versus acetylsalicylic acid to prevent Strokes) che ha messo a confronto apixaban 2,5 mg o 5 mg due volte al giorno e aspirina 81-324 mg, per la prevenzione dello stroke e del tromboembolismo sistemico in pazienti con FA (85)

In entrambi i casi i risultati sono stati eccellenti. Nel I caso, lo studio ARISTOTLE (Figura 4), ha mostrato la superiorità dell‘apixaban rispetto al warfarin nella prevenzione dello stroke e dell‘embolia sistemica e la riduzione dei sanguinamenti (in particolar modo e con significatività statistica per i sanguinamenti intracranici 0,24%/anno vs 0,47%/anno; p<0,001), con un beneficio clinico netto a favore dell‘apixaban che ha mostrato anche una riduzione della mortalità complessiva.

Nel II trial, AVERROES ha dimostrato la superiorità dell‘apixaban nei confronti dell‘aspirina nella riduzione di stroke ed eventi embolici sistemici in pazienti con FA non candidabili ad assumere warfarin, in assenza di un incremento dei sanguinamenti maggiori e delle emorragie intracraniche.

Tuttavia i dati sono ancora parziali e altri trial sono in corso ma non è difficile prevedere che Apixaban sia al vaglio per l'approvazione tanto negli USA (dati attesi per Giugno 2012) quanto in Europa dove risulta approvato per la prevenzione del tromboembolismo a seguito di interventi ortopedici di sostituzione protesica maggiore.

Per quanto concerne il RIVAROXABAN, dati molto positivi sono emersi dallo studio randomizzato, in doppio cieco, ROCKET-AF (Rivaroxaban Once Daily Oral Direct Factor Xa Inhibition Compared with Vitamin K Antagonism for Prevention of Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation) che ha confrontato il rivaroxaban (inibitore diretto del fattore Xa)

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con il warfarin (86) (Tabella 2). In particolare va sottolineato che, a differenza degli studi con apixaban e dabigatran, nel ROCKET-AF il rivaroxaban ha raggiunto l‘end point di non inferiorità in una popolazione a più elevato rischio cardioembolico (CHADS 2 medio 3,5 vs 2,1 degli studi RE-LY, ARISTOTLE ed AVERROES)

Attualmente sono in corso lo studio di fase III ENGAGE AF TIMI e l‘EXPLORE Xa (studio di fase II) per valutare l‘efficacia di altri due nuovi inibitori del fattore Xa, rispettivamente dell‘edoxaban e il betrixaban, quest‘ultimo sviluppato contemporaneamente al suo antidoto.

Razionale della chiusura dell’auricola sinistra Anatomia dell’auricola sinistra

L‘auricola sinistra rappresenta una piccola appendice muscolare dell‘atrio sinistro che si apre sulla parete laterale di quest‘ultimo tra lo sbocco della vena polmonare superiore sinistra e l‘anello mitralico. Molto importante è il sottolineare che essa ha una parete molto sottile e che ha rapporti anatomici molto stretti con importanti strutture vascolari, aspetti che devono essere tenuti ben presenti per qualsiasi atto su tale struttura.

Innanzitutto essa in alto è separata dalla vena polmonare superiore sinistra dal legamento fibroso di Marshall, residuo embrionale della vena cava superiore sinistra che unisce il seno coronarico e la vena anonima di sinistra. Esternamente l‘auricola sinistra si sviluppa in senso antero-laterale e giace a livello del solco atrio-ventricolare sinistro al di sopra della porzione prossimale dell‘arteria circonflessa (Fig 20). (Figura 5)

La parte più distale dell‘auricola sinistra (la cosiddetta porzione trabecolare) origina dalla parete sinistra dell‘atrio primitivo nella fase embrionale. La porzione più prossimale all‘atrio, invece, è caratterizzata da superficie interna liscia e si sviluppa in una fase più tardiva insieme alle vene polmonari (94,95).

Sebbene la struttura dell‘auricola sinistra sia costituita sempre da un corpo principale dal quale si dipartono uno o più lobi, esiste un‘estrema variabilità (96, 97) nella forma e nelle dimensioni (Figura 6), documentata sia autopticamente sia ecocardiograficamente, (Fig 21) tant'è che il diametro dell’orifizio principale ha una misura variabile da 15-27 mm. Di recente è stata presentata una classificazione (98) che identifica tre tipi morfologici auricolari principali: 1) auricola a bandiera segnavento: costituita da un unico lobo con un‘asse principale prevalentemente rettilineo; 2) auricola ad ala di pollo (o retroversa): ostituita da uno o al massimo due lobi e un‘asse molto curvo, tale da formare un angolo maggiore di 90° tra corpo e lobo; 3) auricola a broccolo: costituita da un corpo breve da cui

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si dipartono, distalmente, molteplici lobi caratterizzati spesso da prominenti muscoli pettinati al loro interno.

Fisiologia dell’auricola sinistra

Ancor meno si sa circa la fisiologia dell‘auricola sinistra (95) perchè scarso è stato finora l'interesse verso di essa. Accezione comune è che l'auricola sia una struttura molto compliante in grado di attutire i sovraccarichi di volumi (il volume di sangue accolto in auricola è mediamente di circa 5-5,5 ml).e in parte, di pressioni, cositutendo una possibile “valvola di sfogo” nell'impedire elevate pressioni nel piccolo circolo soprattutto in patologie valvolari sinistre e comunque nelle condizioni caratterizzata da severa disfunzione diastolica.

Le funzioni dell’auricola sono diverse ed includono la modulazione del tono simpatico e parasimpatico, la produzione dei peptidi natriuretici (ANP, BNP) e il contributo al riempimento diastolico dell'atrio e del ventricolo sinistro (99,100). Infine una ulteriore e più recente funzione, quella pro-aritmogena, deriva dai dati che provengono dall'elettrofisiologia ed in particolare dalle speculazioni nei pazienti sottoposti ad ablazione del substrato aritmico di FA. Nei pazienti in cui l'ablazione singola è meno efficace e a parità di forma clinica di FA, l'auricola rappresenta il focus pro-aritmogeno fino al 27% dei pazienti e il suo “isolamento” elettrico rende tali pazienti liberi da FA sul medio periodo (101).

Sulla base delle poche nozioni sulla fisiologia auricolare ad oggi non si sa se la chiusura e l‘esclusione dell‘auricola sinistra possano interferire nella normale fisiologia della regolazione volemica, cronotropa e di riempimento ventricolare. Tuttavia è verosimile supporre che in corso di fibrillazione atriale l‘appendice abbia ormai già perso le proprie funzioni fisiologiche e quindi che la procedura non possa arrecare ulteriori alterazioni in tal senso.

Alla luce di quanto detto la sua complessità anatomica e fisiologica la rende pertanto una sede privilegiata per la formazione di trombi nel caso in cui il flusso rallenti o qualora il normale pattern di riempimento e svuotamento caratteristico venga a mancare proprio come accade in corso di fibrillazione atriale.

Tecniche chirurgiche di occlusione dell’auricola sinistra

Come detto, una strategia (reale e non nuova) di prevenzione degli eventi cardioembolici in pazienti con FA non valvolare è quella di escludere l‘auricola sinistra, il primo a presentarla fu infatti Madden et al. nel 1948 (87). Tale opzione si basa innanzitutto

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sull‘osservazione frutto di studi autoptici (a cui hanno poi fatto seguito studi con metodiche strumentali come l'ecografia transesofagea), che hanno individuato nell‘auricola sinistra la struttura più frequentemente sede di trombosi in corso di di FA non valvolare (circa nel 90% dei casi) (88,89).

Su tale presupposto si è fondata l'esperienza maturata dalle prime esclusioni chiururgiche dell‘auricola sinistra, per lo più associato alla valvuloplastica mitralica. Successivamente la procedura è stata impiegata con maggiore frequenza, benché fosse effettuata solo in presenza di auricole di grosse dimensioni e a discrezione del chirurgo (90). Più recentemente le linee guida raccomandano l‘amputazione dell‘auricola sinistra in corso di valvuloplastica mitralica chirurgica al fine di ridurre la probabilità di eventi tromboembolici post-operatori (91) ma questo tipo di approccio è poco utilizzato a causa del rischio non remoto di chiusura incompleta (fino al 36% quando l‘esclusione avviene tramite sutura ) e delle complicanze, principalmente emorragiche sia dopo amputazione che dopo sutura con clip metalliche. Tali risultati sono la conseguenza delle difficoltà di ordine pratico di escludere in sicurezza l‘auricola sinistra tenendo conto degli stretti rapporti che intercorre con strutture anatomiche importanti come l'arteria circonflessa, la vena polmonare superiore sinistra o l'apparato valvolare mitralico che potrebbero essere danneggiate durante la procedura. Inoltre, pur essendo disponibili dati che dimostrano la fattibilità, la sicurezza e l‘efficacia della procedura nella prevenzione del cardioembolismo, essi derivano da studi di piccole dimensioni (92).

Tecniche non chirurgiche di occlusione dell’auricola sinistra

Al fine di ottenere un‘esclusione dell‘auricola sinistra possono essere utilizzati due approcci: quello endocardico e quello epicardio. Il primo prevede l‘accesso all‘atrio sinistro mediante cateterismo transettale e la successiva occlusione del lume interno della cavità auricolare tramite l‘impianto di dispositivi che si ancorano all‘endocardio. L‘approccio epicardio invece implica la legatura esterna dell‘auricola mediante accesso transpericardico, al fine di restringere l‘ostio dell‘appendice fino ad obliterarlo.

Negli anni sono stati realizzati numerosi dispositivi di esclusione dell‘auricola che possono essere impiantati utilizzando entrambi i tipi di approccio.

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Approccio trans-pericardico a cuore battente e legatura dell’auricola dall’esterno

L‘approccio epicardio di chiusura dell‘auricola sinistra per via percutanea trae spunto da una della tecnica cardiochirurgia di legatura esterna. In questa dopo l'identificazione dell‘auricola sinistra si posizionano dei reperi, con metodiche diverse, ma in tutti i casi mediante approccio combinato transettale e transpericardico (102, 103). Successivamente si introduce, per via trans-pericardica, un sistema dotato di un cappio preformato che viene adagiato intorno alla porzione prossimale dell‘auricola sinistra e chiuso fino ad ottenere l‘obliterazione del lume interno dell‘auricola stessa

Il risultato viene verificato mediante l‘interruzione del flusso auricolare registrato mediante ecocardiografia trans esofagea o intracardiaca (Fig 26). Il dispositivo di legatura LARIAT® è stato testato su modelli animali 78 e successivamente utilizzato in uno studio pilota sull‘uomo che ha arruolato 11 pazienti dimostrando la fattibilità della procedura (103). Approccio percutaneo mediante cateterismo tran settale

L‘approccio percutaneo di chiusura dell‘auricola sinistra per via endocardica prevede, previo accesso venoso femorale, l‘esecuzione di un cateterismo transettale per raggiungere l‘atrio e l‘auricola sinistra. La procedura di impianto si avvale di diversi step oramai ben delineati e qui brevemente riassunti:

I) Cateterizzazione e Puntura Transettale, quest'ultima generalmente ma non necessariamente eseguita o sotto guida Eco-TEE in anestesia generale o in alternativa con Eco intracardiaco (ICE) riducendo tempi totali e di scopia, nonché evita al paziente il carico di una anestesia generale e di una intubazione oro-tracheale e snellisce l'organizzazione della procedura stessa. E' importante ottenere una puntura precisa a livello della fossa ovale perchè questo influenzerà l'allineamento del device sul colletto auricolare. Il sito preferenziale di solito è al livello del lembo inferiore della fossa ovale nella sua parte centrale. Lavorando in atrio sinistro è ovviamente fondamentale somministrare UFH (Eparina non frazionata) 70U/Kg così da ottenere un ACT (tempo di coagulazione) fra 250 e 400 secondi.

II)– Studio dell’Auricola Sinistra e Selezione del Device

Si effettuata un’angiografia dell’atrio sinistro in proiezione AP e RAO 40°-cranializzata a 20° e quindi un’angiografia dell’auricola sinistra in tre proiezioni: RAO 40°-craniale 20°, RAO 40° e RAO 40°-caudale 20°, al fine di ottenere una valutazione delle dimensioni sui due piani. Tali misure sono confrontate con quelle dell’imaging pre operatorio (Eco-TEE e/o TC).

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misurazioni angiografiche nelle tre proiezioni: la prima a livello del collo dell’auricola e la seconda 1 cm distalmente ad essa. Tali misure vanno soggette ad un secondo confronto mediante la tecnica ecografica in uso.

Mediante angiografia si conferma inoltre che la lunghezza dell’auricola a partire dalla landing zone sia > 10mm e la larghezza < 28mm (figura 4).

Per il posizionamento del device si utilizza l’AMPLATZER® TorqVue® 45x45 Delivery Sheath, un kit apposito fornito, insieme al PLUG, dalla AGA Medical

Il delivery sheath è provvisto, nella sua parte terminale, di due curve a 45°, disposte su piani diversi, che permettono alla punta del catetere di raggiungere l‘ostio auricolare ed allinearsi con l‘asse maggiore dell‘auricola sinistra

III) – Preparazione e Impianto del Device

L’obiettivo è avere il lobo del device completamente all’interno dell’auricola, con una lieve deformazione del suo corpo e con il suo asse maggiore perpendicolare all’asse maggiore della landing zone. E’ inoltre possibile aggiustare l’orientamento della guaina all’interno dell’auricola per ottenere la corretta posizione del lobo. Il device correttamente impiantato deve presentare una chiara separazione tra il disco e il lobo e il disco deve avere una forma concava visibile alla fluoroscopia. Il mezzo di contrasto angiografico può essere iniettato attraverso la guaina per confermare la posizione del device e l’avvenuta occlusione dell’auricola (figura 6).

Tipicamente l’AMPLATZER® CARDIAC PLUG può presentarsi in tre configurazioni differenti: a “pneumatico”, a “quadrato” e a “fragola”. Mentre nella configurazione a “pneumatico” c’è una tensione appropriata sul device esercitata dalla parete dell’auricola, in quella “quadrata” non c’è tensione e in quella “a fragola” il device è compresso.

Se il primo tentativo non ha successo (per esempio per presenza di leak intorno al PLUG, visibili con ICE o angiografia), è possibile riposizionarlo in uno qualsiasi stadio della procedura senza la necessità di sostituirlo. Nel caso sia inevitabile la sua sostituzione, viene rimosso il device lasciando in sede il catetere mantenendo così il passaggio transettale.

IV) – Test di Stabilità del Device per verificare l'efficacia dell'impianto e per evitare la temibile complicanza dell'embolizzazione

V) Distacco del Device quando le metodiche di imaging (ICE e/o TEE) confermino il device risulti esattamente in sede.

Al termine della procedura è buona regola eseguire in tutti i pazienti un ecocardio Transtoracico (Eco-TT), e di ripeterlo anche quattro ore dopo e prima della dimissione, al fine di escludere la comparsa di un eventuale versamento pericardico. E’ consigliabile

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inoltre valutare anche l'ECG e la cinetica ventricolare regionale e globale tenendo conto della vicinanza del device all’arteria circonflessa.

Esistono tuttavia, alcune controindicazioni alla chiusura per via percutanea la principale delle quali è la presenza di formazioni trombotiche all’interno dell’auricola stessa, infatti le procedure di posizionamento dei dispositivi potrebbero facilmente causare un distacco di emboli e causare ictus. La valutazione imaging in particolare con ecocardiografica trans esofagea pre-intervento è quindi fondamentale. Inoltre un’auricola che per motivi anatomici non abbia le caratteristiche necessarie per l’impianto dei device rappresenta una controindicazione all’intervento.

I rischi connessi ad un mancato rispetto delle norme indicate dai produttori possono causare l’embolizzazione dei dispositivi endovascolari o la perforazione dell’auricola.

I dispositivi ideati per la chiusura dell‘auricola sono stati numerosi in questi anni (tra cui PLAATO ® , Watchman® , ACP®, Occlutech®, Coherex®, Sideris Patch®, Gore®) differenziandosi per vantaggi o svantaggi peculiari, ma solo un numero esiguo di essi sono stati testati sull‘uomo e pochissimi tra questi sono attualmente disponibili per l‘utilizzo nel real world (Fig 27).

Quale device e perchè? PLAATO® (Figura 7 A)

Con tale dispositivo è stata eseguita la prima chiusura percutanea di auricola sinistra nell’uomo, il 30 agosto 2001 ad opera di H. Sievert a Francoforte in Germania (104) dopo essere stato sperimentato in modelli canini (105). Il PLAATO è costituito da una gabbia autoespandibile in lega metallica a memoria di forma (nitinolo) rivestita da una membrana impermeabile di politetrafluoroetilene (ePTFE), che va alloggiata all’interno del colletto dell’auricola, isolando funzionalmente la cavità di questa appendice dal resto dell’atrio. L‘ancoraggio veniva assicurato dalla presenza di piccoli ―uncini 30 disposti lungo il perimetro del device (Fig 28). Il dispositivo era stato studiato per agire come un tappo per occludere dall‘interno il collo o un lobo principale dell‘auricola sinistra.

Lo studio pilota del device PLAATO® (104) ha arruolato 15 pazienti con FA cronica non valvolare, elevato rischio cardioembolico e con almeno una condizione tra: pregressa emorragia cerebrale o sanguinamento gastroenterico; difficile gestione del range terapeutico della TAO; gravi patologie epatiche croniche; recidiva di tromboembolismo in corso di TAO.

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Nello studio, 15 pazienti ricevettero con successo il dispositivo, anche se in uno furono necessari due tentativi a distanza di 1 mese. Il primo tentativo causò un emopericardio che richiese una pericardiocentesi; il secondo tentativo fu completato con successo e senza complicanze. Il follow up (FU) fu breve (1 mese in media) e finalizzato solo ad accertare la sicurezza della tecnica. Tutti i pazienti arruolati sono stati trattati con ASA 300 mg sine die e clopidogrel 75 mg per 6 mesi dopo la procedura. Successivamente il “Multi center feasibility trials” del 2005 (106), è stato uno studio prospettico multicentrico non randomizzato che ha arruolato 111 pazienti con controindicazione ad assunzione di warfarin e uno o più fattori di rischio per stroke, con un’età media di 71 ± 9 anni.

PLAATO® venne impiantato successo in 108 pazienti (97,3%). 3 soggetti non ricevettero il device per trombo in auricola (1 caso), perforazione di arteria femorale durante la realizzazione dell’accesso venoso (1 caso) ed emopericardio tamponante insorto subito dopo la puntura transettale (1 caso). Quest’ultimo paziente è deceduto successivamente per una verosimile emorragia cerebrale da anticoagulanti, iniziati per sviluppo di trombosi venosa profonda durante la degenza ospedaliera.

Nello studio si nota come PLAATO® tenda a lasciare leak residui periprotesici (visualizzabili con ecocardiogramma transesofageo (TEE) e fluoroscopia), indice di una comunicazione ancora pervia tra auricola ed atrio. Ostermayer intese come “occlusione di auricola” l’assenza o la presenza di leak in tracce (pari a 94 pazienti) o la presenza di leak di grado lieve (14 pazienti).

Si verificarono 7 complicanze maggiori in 5 pazienti, cioè ictus (2), richiesta di intervento chirurgico correlato alla procedura (1) e morte intraospedaliera (4). Si verificarono 9 complicanze severe correlate alla procedura in 7 pazienti: 1 versamento pleurico, 1 insufficienza respiratoria, 2 versamenti pericardici, 2 tamponamenti cardiaci, 1 emotorace, 1 trombosi venosa profonda, 1 paralisi del plesso brachiale. Furono necessarie 4 pericardiocentesi.

Il follow up medio fu di 9,8 mesi. Il rischio di stroke calcolato secondo il CHADS2 score era del 6,3% annuo, mentre fu osservata un’incidenza del 2,2%, pari ad una riduzione relativa del 65%. Da tale conteggio risultano però esclusi 3 TIA verificatisi in 2 pazienti.

Un’analisi complessiva del “Multi Center feasibility trials” e dello “European PLAATO registry study” copre in totale quasi 300 pazienti e indica una riduzione del rischio calcolato annuale di ictus pari al 54% in un follow up di più di 290 pazienti-anno. Tra le complicanze viene riportata la formazione di trombi sul device, risoltosi in un periodo di 3-6 mesi di doppia antiaggregazione o eparina a basso peso molecolare. Si trattò di una complicanza rara (soltanto 1% dei device) e nessuno di questi pazienti ebbe ictus. È

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importante sottolineare che si sono invece verificati ictus in pazienti con occlusione completa nel “Multicenter feasibility trials”, in totale assenza di trombi, confermando come l’eziologia degli ictus in FA riconosca sorgenti di emboli diverse dall’auricola sinistra (107). Nel 2009 Block et al (108) hanno pubblicato i dati a 5 anni di un sottogruppo del “Multi center feasibility trials”, che indica una riduzione del rischio di stroke del 42% rispetto a quanto previsto con il CHADS2 score. In questo caso l’outcome ha incluso anche i TIA come evento cerebrovascolare. Durante il follow up fu dimostrato un peggioramento del grado di leak in alcuni pazienti, anche se ciò si verificò solo in 1 dei 7 pazienti che subirono ictus/TIA e che furono studiati con l’ecocardiogramma transesofageo dopo la procedura. Lo stesso anno Park et al. (109) hanno pubblicato i risultati di una sperimentazione condotta su 73 pazienti trattati con PLAATO. 71 ricevettero l’occlusore con successo. Si verificò un decesso per embolizzazione di device e un altro paziente fu operato per evitare l’embolizzazione; ci fu 1 caso di emopericardio e 1 minor stroke periprocedurale. In un follow up di 2 anni non si registrarono ictus, contro i 7 previsti. Anche in questo studio è stata dimostrata la presenza di flusso residuo periprotesico in 12 pazienti. Ancora, nel 2009 Ussia et al (110) hanno riportato uno studio condotto su 20 pazienti con elevato rischio tromboembolico (CHADS2 3 ± 1,2 e 60% dei pazienti con pregresso ictus) e controindicazione a warfarin. 18 di loro ricevettero PLAATO; in 2 casi non fu possibile impiantare l’occlusore per particolarità anatomiche dell’auricola. Si registrò 1 emopericardio che richiese l’esecuzione di pericardiocentesi e nel corso di un follow up di 40 ± 10 mesi non verificarono eventi embolici contro un rischio previsto di ictus previsto del 6,4%.

Infine nel 2010 Bayard et al (111) hanno arruolato 180 pazienti con elevato rischio tromboembolico e controindicazione a warfarin. 162 soggetti (90%) furono impiantati con successo; in 14 casi non fu possibile per particolarità anatomiche, 2 per impossibile accesso all’auricola sinistra, 1 per complicanze della puntura transettale, 1 per instabilità del device. 140 pazienti furono esaminati a 2 mesi mediante ecocardiogramma transesofageo; l’esame attestò l’efficacia della procedura sostenuta (leak periprotesici assenti o lievi) in 129 di questi pazienti (90%). Complessivamente il follow up fu di 9,6 ± 6,9 mesi. Includendo questo periodo nell’analisi degli outcome si registrarono 16 complicanze maggiori in 12 pazienti: 3 ictus, 6 tamponamenti cardiaci, 2 morti correlate alla procedura e 5 non correlate. Sono segnalati 5 ulteriori casi di emopericardio che non hanno richiesto alcun trattamento. Registrati anche 1 caso di formazione di trombo sull’occlusore (risolto con somministrazione di eparina a basso peso molecolare) e 1 embolizzazione di device (rimosso per via transcatetere senza complicanze). Gli ictus

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riportati avevano ad un’incidenza del 2,3%, pari ad una riduzione del 65% rispetto al rischio previsto secondo il CHADS2 score.

Recentemente , in 64 dei pazienti dello studio PLAATO con un follow-up a 5 anni si è riscontrata un‘incidenza di stroke/TIA (Transient Ischemic Attack) del 3,8%/anno, contro il 6,6%/anno atteso (CHAD S medio 2,9), con una riduzione teorica del rischio embolico del 42%

Nonostante gli ottimi dati iniziali e l‘approvazione da parte della Comunità Europea ottenuta nel 2005 nel 2006 la produzione del device è stata interrotta dalla casa produttrice per ragioni economiche che hanno difatti impedito l‘esecuzione di un trial randomizzato (PLAATO ® vs warfarin) (113).

WATCHMAN® (Figura 7 B)

Dal 2002 è stato poi utilizzato il Watchman® LAA System di Atritech Inc. La struttura portante è sempre di nitinolo, rivestita da polietilene permeabile. Quest’ultima caratteristica richiede che dopo l’impianto venga somministrato warfarin per 6 settimane e successivamente venga instaurata una doppia antiaggregazione con aspirina+clopidogrel per coprire i primi 6 mesi dopo l’esclusione d’auricola. Lo studio pilota ha visto, i 66 pazienti in cui è stato impiantato il device, trattati con aspirina sine die e warfarin (INR 2-3). Tutti gli impianti sono stati controllati mediante ecocardiogramma transesofageo (TEE) a 45 giorni e, nel caso di assenza di shunt residui in auricola sinistra, è stata sospesa la TAO. Un‘ulteriore controllo TEE è stato effettuato a 6 mesi dall‘impianto. Non di grande aiuto in questo caso i risultati dello stduio: 1)per la mancata discontinuità dal warfarin in molti casi 2) perchè il device (prima generazione) dopo i primi 13 impianti è stato e sostituito con quello di seconda generazione nei successivi 53 pazienti. Le modifiche apportate riguardavano il sistema di rilascio e la lunghezza degli uncini di 34 ancoraggio, responsabili di complicanze come l‘embolia gassosa e del device e versamento pericardico. Watchman però ha il merito soprattutto di essere stato il device scelto per lo stduio cardine per tutta la categoria, il PROTECT-AF (115). Si tratta di uno studio randomizzato, di non inferiorità, device versus warfarin, con un rapporto 2:1. Il trial ha arruolato 707 pazienti tra il 2005 e il 2008, di cui 463 assegnati alla chiusura di auricola e 244 al braccio di controllo, in terapia con warfarin. Tutti i pazienti arruolati avevano un CHADS 2 score = 1.

Furono esclusi pazienti con controindicazione a warfarin. Erano criteri di esclusione la controindicazione al warfarin, comorbilità diverse dalla FA che richiedevano l‘utilizzo di

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warfarin, trombosi auricolari, la presenza di un forame ovale pervio associato ad aneurisma del setto e shunt destro-sinistro, ateromi aortici mobili e patologia carotidea sintomatica.

Il dispositivo venne impiantato con successo in 408 casi (91%). Dopo l‘impianto i pazienti venivano trattati con warfarin per 45 giorni. Un controllo ETE veniva effettuato a 45 giorni, 6 mesi e 12 mesi dall‘impianto. . La TAO veniva sospesa dopo il controllo ETE a 45 giorni in assenza di flusso intorno al device (larghezza del jet < 5 mm). Dopo la sospensione del warfarin i pazienti venivano trattati con ASA sine die (81-325mg) e clopidogrel (75mg) fino al follow-up ecografico a 6 mesi88. Si registrarono anche in questo trial casi di emopericardio grave richiedente pericardiocentesi (4,8%), embolizzazione di device (3 casi, pari allo 0,6%); 2 dei device embolizzati necessitarono un intervento chirurgico per la rimozione. Raro (1,1%), ma riportato, l’ictus intraprocedurale legato alla partenza di emboli d’aria dal device durante il suo dispiegamento al di fuori del catetere di posizionamento. Warfarin poteva essere sospeso nel braccio Watchman del trial previa verifica dell’assenza di flussi periprotesici residui (o comunque la presenza di leak di minima entità). L’86% dei pazienti impiantati raggiunse questo target dopo le canoniche 6 settimane di anticoagulante e il 92% dopo 6 mesi. Il follow-up fu 18±10 mesi.

L’analisi dell’endpoint composito di stroke (ischemico ed emorragico), morte cardiovascolare o non spiegata, embolismi sistemici, permise di concludere per la non inferiorità del device versus warfarin. L’incidenza di ictus ischemico in realtà fu complessivamente maggiore nel braccio Watchman; a ciò contribuirono 5 stroke da embolismo d’aria durante la procedura (su 15 complessivi). Superato il periodo perioperatorio, l’incidenza fu infatti 1,3% /anno per Watchman e 1,6% /anno per warfarin. In entrambi i gruppi, ove reperibile la misurazione dell’INR, gli stroke ischemici si verificarono in coincidenza con valori di INR sub-terapeutici. In uno degli ictus dei pazienti trattati con Watchman venne visualizzato un trombo sul device, peraltro segnalato nel 3,7% dei pazienti al controllo dopo 6 settimane di warfarin. L’incidenza di stroke emorragico risultò minore nel braccio Watchman: 1 solo evento, contro i 6 del gruppo di controllo (0,2% versus 2,5%). Da notare che 5 dei 6 stroke emorragici del gruppo di controllo avvennero in pazienti con INR in range terapeutico e che il caso registrato nel braccio operatorio si verificò durante i 45 giorni di terapia anticoagulante post procedura. I pazienti trattati con Watchman riportarono complessivamente una percentuale maggiore di eventi indicati negli endpoint di sicurezza rispetto al controllo con warfarin, principalmente per i casi di emopericardio.

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è l'evidenza che il rischio di complicanze è strettamente dipendente dall’esperienza dell’operatore. La percentuale di emopericardio, per esempio, era dimezzata nei centri ad elevata esperienza. Il numero di eventi di sicurezza tuttavia tendeva a ridursi nel follow up nei pazienti con Watchman (116), laddove rimaneva stabile nei pazienti con warfarin. È quindi possibile che la maggiore incidenza di eventi avversi registrati nei pazienti Watchman ® possa essere ammortizzata nel lungo periodo.

Successivamente al PROTECT AF è iniziato l‘arruolamento di 460 nuovi pazienti sottoposti ad impianto di device Watchman ® nel registro CAP (Continued Access Protect AF Registry). I dati ottenuti hanno confermato l‘influenza della curva di apprendimento, la cui importanza era già emersa nello studio PROTECT AF, sul tasso di successo e sull‘incidenza delle complicanze procedurali .

Il PROTECT AF è stato uno studio molto criticato nel tempo e, nonostante i buoni risultati raggiunti, l‘FDA, ha negato l‘autorizzazione all‘immissione in commercio del device

Watchman ® in USA a causa delle diversi limitazioni dello studio, le più importanti delle quali riguardano il limitato campione analizzato se comparato con altri studi di confronto con warfarin, il basso rischio cardioembolico dei pazienti arruolati, l'esclusione dei pazienti con controindicazione alla TAO; il tasso di complicanze troppo elevato e la durata del follow-up troppo breve. Tale studio nonostante tutto, rappresenta, ad oggi un cardine nella terapia non

farmacologica del tromboembolismo da FA non valvolare.

Per superare alcune delle suddette limitazioni è stato disegnato lo studio randomizzato PREVAIL (Watchman ® Vs warfarin con rapporto 2:1) in cui sono stati arruolati pazienti con CHADS 2 = 2, escludendo i centri che hanno partecipano al PROTECT AF al fine di capire se questa sia una procedura che può essere diffusa anche in centri con poca esperienza. L‘arruolamento è iniziato nell‘ottobre 2010 ed i primi risultato sono attesi per la fine del 2012.

Per valutare la possibilità di impianto del device Watchman® in pazienti con controindicazione al warfarin è stato condotto lo studio ASAP (Asa Plavix Feasibility Study). I risultati ottenuti dai dati relativi ai 116 pazienti sottoposti ad impianto hanno dimostrato la possibilità di trattare con ASA e clopidogrel i pazienti portatori di device 38 Watchman ® senza necessità di terapia con warfarin. I casi di trombosi sul device, infatti, sono stati 4, di cui solo uno entro 45 giorni dall‘impianto (tempo entro il quale veniva normalmente sospesa la TAO nel PROTECT AF) (117).

Partendo dai dati del PROTECT AF, nel Regno Unito sono state stilate delle linee guida del National Institute for Health and Clinical Excellence (NHS) in cui la tecnica di

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occlusione percutanea dell‘auricola sinistra viene suggerita come possibile alternativa alla TAO in pazienti in cui quest‘ultima sia controindicata, sottolineando tuttavia l‘importanza di eseguire la procedura solo in centri specializzati ed informando adeguatamente il paziente sui limiti della tecnica, legati alla sua recente introduzione nella pratica clinica (118).

L‘impianto del device Watchman® come alternativa alla TAO compare inoltre nell‘aggiornamento del 2011 delle linee guida americane sulla gestione della FA, seppure in assenza di un‘indicazione clinica precisa a causa della mancanza di una approvazione ufficiale del dispositivo da parte dell‘FDA (78).

Allo stato attuale uno dei problemi irrisolti è costituito dal fatto che il dispositivo è disponibile in un numero finito di formati e dispone di un forma rotonda. Attualmente, sono disponibili 5 taglie che variano nel diametro massimo da 21 mm a 33 mm e dispone di 10 strutture di ancoraggio per consentire una maggiore adattabilità verso la forma più ovale della auricola sx , tuttavia vi è un limite alla sua deformabilità. Per ogni paziente, il dispositivo viene sovradimensionato per essere fra il 10% al 20% maggiore del diametro dei dell'ostio per garantire un posizionamento stabile e adeguato. (119)

La struttura del dispositivo Watchman ® è stata negli anni modificata apportando modifiche a vantaggio della stabilità e della sicurezza del device; attualmente è in corso lo studio EVOLVE per la valutazione del device di 4° generazione (Fig 34).

ACP® (Figura 8)

Sulla base dei primi risultati ottenuti con PLAATO e Watchman, alcuni autori sperimentarono la possibilità di eseguire la chiusura d’auricola con i device Amplatzer di AGA Medical progettati per la chiusura dei difetti settali atriali e ventricolari18. Da pochi anni l’azienda ha introdotto un dispositivo occludente dedicato per l’auricola, noto come Amplatzer Cardiac Plug (ACP) approvato in Europa nel 2008. Esso si compone di una gabbia in nitinolo che è distinta funzionalmente in due parti distinte, una chiamata lobo, deputata al fissaggio del device nel colletto dell’auricola, ed una chiamata disco, responsabile della chiusura dell’ostio dell’auricola. Sia il lobo che il disco ospitano una patch di dacron. Il produttore consiglia l’assunzione di aspirina e clopidogrel per almeno 1 mese dopo l’impianto e, successivamente, almeno 5 mesi di sola aspirina.

La particolare forma dell‘ACP® (paragonata a quella di un ciuccio per neonati) risulta innovativa rispetto a quella dei precedenti dispositivi (PLAATO ® e Watchman® ) in quanto l‘auricola viene chiusa non per riempimento ma ponendo all‘esterno della stessa un disco di dimensioni sufficientemente grandi da occludere l‘ostio dell‘auricola. La parte del device che si posiziona dentro l‘auricola (lobo) ha la funzione di stabilizzare il device. Il disco ed il

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lobo sono connessi da un waist che consente grande autonomia di posizione reciproca alle 2 componenti, rendendo il device stesso molto ben adattabile alle diverse anatomie delle auricole. Un ulteriore vantaggio è che questo device chiudendo l‘auricola dall‘esterno è adatto a chiudere strutture auricolari polilobate senza necessità di occludere singolarmente ciascun lobo.

Il primo importante lavoro con questo device (120) ha raccolto 143 pazienti europei in uno studio retrospettivo pre-registro. Esclusi 6 pazienti per particolarità anatomiche (3) o trombi in auricola (3), furono tentati 137 interventi, di cui 133 (96%) completati con successo. Si verificarono 10 complicanze gravi (7%): 3 ictus intraprocedurali da embolismo d’aria, 2 embolizzazioni di device (che fu possibile rimuovere per via percutanea), 5 tamponamenti cardiaci richiedenti pericardiocentesi. 1 dei tamponamenti fu causato dalla puntura dell’arteria polmonare durante la realizzazione della puntura transettale. Versamenti pericardici non significativi si ebbero in altri 4 casi e si ebbero 2 ischemie transitorie miocardiche da embolismo d’aria. Gli autori confrontarono l’incidenza di complicanze con quella riportata dal PROTECT AF, concludendo per la fattibilità e la relativa sicurezza, delle procedura con ACP. Il trial indica inoltre come l’incidenza di stroke intraprocedurale (2%) sia sostanzialmente simile a quello di un paziente con CHADS2 score = 1 senza profilassi antitrombotica (rischio calcolato 2,8%), mentre sarebbe inferiore a quello di un CHADS2 = 2 (rischio calcolato 4%) e 3 (5,9%). I risultati sono incoraggianti e mostrano un tasso di successo procedurale elevato (superiore al 90%) e un incidenza di complicanze legate alla procedura (7%) paragonabili a quelle dell‘esperienza con il device Watchman® del PROTECT AF (6%). In particolare così come altri device, anche con l‘ACP® il tasso di complicanze legate alla procedura risulta più alto durante i primi impianti, dato che sottolinea l‘importanza della curva di apprendimento (learning curve). Quest‘ultima sembra tuttavia essere più breve per l‘ACP® rispetto a quella necessaria per il device Watchman ®. Questo dato, unito alle altre complicanze, supporterebbe la condotta clinica di non occludere l’auricola sinistra nei pazienti con basso rischio tromboembolico per non esporre il paziente ad un rischio operatorio non giustificabile in termine di rischi-benefici. Un altro piccolo lavoro (121) con ACP su 20 pazienti ha riscontrato il successo della procedura nel 95% dei casi e come complicanze: 1 caso di formazione di trombo sul catetere di posizionamento (che portò ad abbandonare l’intervento), 1 ischemia miocardica transitoria, 1 lesione da ecocardiogramma transesofageo. Nel follow up di 12,7 ± 3,1 mesi non si verificarono ictus, contro un rischio previsto del 5,3%.

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però documentato in letteratura. Di recente pubblicazione (122) il caso di 1 paziente che ha sviluppato un trombo sul disco di ACP3 in seguito a sospensione di clopidogrel 1 mese dopo l’impianto, nonostante questo sia il periodo minimo di doppia antiaggregazione indicato da AGA Medical nel documento IFU del device. Il trombo si risolse dopo 2 mesi di aspirina ed enoxaparina.

L‘ACP post-market registry, condotto in 13 centri europei ha ulteriormente confermato i dati provenienti dall‘iniziale esperienza europea. (123) I risultati definitivi del registro sono attesi entro il 2012. Anche altre esperienze più piccole sono risultati in linea, in termini di sicurezza e di tasso di successo procedurale, con quelli dei precedenti

Transcatether Patch (TP) (Figura 9)

Un quarto dispositivo è il Transcatether Patch (TP) di Custom Medical Devices. Si tratta di un device radicalmente diverso rispetto a quelli finora descritti, essendo composto da un pallone che va gonfiato all’interno dell’auricola, garantendo in tal modo la sua occlusione [FIGURA 4]. La struttura soft di Transcatheter Patch dovrebbe garantire una minore aggressività (e quindi una riduzione delle complicanze) rispetto ai dispositivi rigidi, ma sono pochi i casi in cui è stato usato e mancano sperimentazioni su un ampio gruppo di pazienti (124, 125).

TP, non essendo costituito da materiali a memoria di forma, richiede un gonfiaggio attivo per andare a parete ed occludere l’auricola.

Tuttavia, con limiti e caratteristiche diverse, a causa dei limiti strutturali e alla difficoltà di adattarsi perfettamente alla grande variabilità dell'auricola, per tutti i devices precedentemente descritti, rimane potenzialmente il rischio di una chiusura incompleta dell'orifizio (126) , un po' come una protesi rotonda da adattare ad un foro ovale.

Questo, sul piano teorico, potrebbe portare alla formazione di una sacca dove il flusso di sangue potrebbe stagnare, e che potrebbe migliorare la formazione di trombi ed embolizzazione

al di la del dispositivo verso la circolazione sistemica portando a eventi sistemici così come l'esperienza dell'incompleta occlusione dopo legatura chirurgica ha insegnato (91,92).

Figura

Tabella 1 - Evidenze di efficacia della TAO   -  Hart RG, Ann Intern Med, 2007
Figura 2 – TTR in relazione alla durata di terapia anticoagulante
Figura 5- L'auricola sinistra e i suoi rapporti anatomici in istologia e all'ecocardio TEE
Figura 6- Differenti morfologie di auricola sinistra alla ricostruzione TAC 3D
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Riferimenti

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