Daniello Bartoli
istoria della compagnia di gesù
L’ASIA
A cura di Umberto Grassi con la collaborazione di Elisa Frei
Introduzione di Adriano Prosperi Volume primo
Giulio Einaudi editore
Cornelis Bloemaert, Le nazioni dell’Asia nell’atto di mostrare a san Francesco Saverio la mappa
dell’Oriente, incisione da Jan Miel. Antiporta dal volume Dell’istoria della Compagnia di Giesu. L’Asia descritta dal P. Daniello Bartoli della medesima Compagnia. Parte prima, Stamperia del
indice
Volume primo
p. xxi Introduzione di Adriano Prosperi
lxxxv Nota al testo
xci Bibliografia
cxxxi Elenco delle illustrazioni libro primo
3 1. Navigazione intorno all’Africa perché da gran tempo chiusa, e chi de’ por-toghesi l’aprisse
4 2. Scoprimento delle isole di Porto Santo e della Madera. Progressi delle prime navigazioni de’ portoghesi all’India
6 3. Nuovi scoprimenti de’ contorni dell’Africa sotto vari re di Portogallo. Ca-po di Buona Speranza da chi avesse tal nome. Vasco Gama primo scopritore dell’India sotto il re Manuello
8 4. Navigazione di Vasco da Portogallo all’India
10 5. San Francesco Saverio primo della Compagnia di Giesù che passasse alla con-versione dell’oriente
11 6. Nascimento, casato, natura e studi di san Francesco Saverio
12 7. Conversione, primi fervori dello spirito, e successi della vita di san Francesco Saverio prima che fosse destinato all’India. Maniera singolare del Saverio in far gli Esercizi spirituali
15 8. Iddio il libera della morte, di che era in pericolo per un atto d’eccessiva pe-nitenza. Succia la marcia alle piaghe d’un incurabile. Passa quaranta giorni in solitudine ed orazione. S. Girolamo gli apparisce e ’l risana
16 9. Elezione di san Francesco Saverio all’apostolato dell’India
19 10. Presagi, con che Iddio prenunziò a san Francesco Saverio grandi fatiche nella conversione degl’infedeli. Una sorella di san Francesco ha rivelazione del suo apostolato in oriente. Un altro religioso, morendo per la fede, il profetizza agl’indiani
22 11. Arrivo del p. Simone in Portogallo, e apparecchio del Saverio alla partenza 24 12. Opere di carità e d’umiltà del Saverio nel viaggio da Roma a Portogallo 25 13. Cose avvenutegli in Loreto e in Bologna. Aiuta nel corpo e nell’anima un
mal’uomo pericolato a morte. Salva e corregge un giovane stato vicino ad annegare. Campa un altro dal precipizio
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viii indice indice ix
p. 28 14. Passa vicino alla patria, e non vuol rivedere i parenti
29 15. Arrivo del Saverio a Lisbona, e quanto quivi gli occorse fino alla partenza per le Indie
32 16. San Francesco Saverio dichiarato nunzio apostolico, con quattro brevi del papa che il re di Portogallo gli dà
34 17. Estrema povertà con che il Saverio entrò in viaggio per l’India
35 18. Gran mole, e corredo delle navi, che passano d’Europa all’India. Corso della navigazione da Lisbona a Goa1
37 19. Ristretto de’ patimenti e pericoli, che s’incontrano nella navigazione del-l’India
39 20. Quanto oggidì più sicuro sia il navigare all’India 41 21. Ministeri di carità praticati dal Saverio nella nave
43 22. Postura e qualità naturali di Mozambiche. Servigi agl’infermi, e infermità del Saverio in Mozambiche
47 23. Di Melinde, e degli scontri che v’ebbe il Saverio 48 24. Stato, e antiche memorie dell’isola Socotorà 52 25. Situazione dell’Indie di qua dal Gange 54 26. Dell’Isola e Città di Goa
55 27. Malo stato, in che il Saverio trovò i cristiani e gl’infedeli 58 28. Opere di san Francesco Saverio in Goa
62 29. Prima conversione degl’infedeli della Pescheria
64 30. Prime opere del Saverio nella costa della Pescheria. Modo che il Saverio te-neva in ammaestrar nella fede i paravi
67 31. Gran conversioni fatte da san Francesco Saverio nella Pescheria. Vendetta che Iddio fe’ d’un idolatro dispregiatore di s. Francesco
69 32. De gl’iddii dell’India, e dell’origine de’ bramani 70 33. Ribalderie de’ bramani
73 34. Durezza de’ bramani a convertirsi alla Fede
76 35. Successo d’un ragionamento, che san Francesco Saverio ebbe con un princi-pal bramane
78 36. Austerità della vita che san Francesco Saverio faceva nella Pescheria 79 37. Miracoli operati dal Saverio nella Pescheria, anche per mezzo de’ fanciulli.
Liberano un indemoniato in Manapar. San Francesco Saverio lava un piaga-to, bee la lavatura, e il sana. Impetra figliuoli maschi a un suo albergatore 82 38. Morti risuscitati da s. Francesco Saverio nella Pescheria. Un fanciullo
ucci-so da una serpe. Un altro annegato in un pozzo. Un altro fanciullo morto in Punicale. Tre altri morti risuscitati
84 39. Fondazione del seminario di S. Fede, e del collegio della Compagnia in Goa 88 40. Singolar carità di s. Francesco Saverio verso i cristiani della Pescheria
infe-stati da’ badagi
90 41. Converte tutto il regno di Travancòr. È saettato e ferito da gl’idolatri 92 42. Il Saverio solo mette miracolosamente in fuga un esercito d’infedeli 93 43. Quattro morti risuscitati da san Francesco Saverio nel regno di Travancòr 96 44. Inviti, che il Saverio mandò in Europa, e singolarmente a’ dottori di Parigi,
di venire all’India
p. 97 45. Delle Isole Manàr e Zeilàn. Novelli cristiani di Manàr1 e di Zeilàn martiriz-zati
102 46. Provedimento del re di Portogallo sopra le cose della fede nell’India, ad istan-za del Saverio
105 47. Due illustri profezie di s. Francesco Saverio
107 48. Morto risuscitato da san Francesco Saverio nell’Isola delle Vacche. Libera dalla pestilenza l’isola di Manàr, e vi battezza gran numero d’idolatri. L’im-presa di Giafanapatàn impedita per interesse
109 49. Conversioni fatte in Macazàr, e in altre isole a mezzodì, da’ mercatanti por-toghesi
113 50. Andata di san Francesco Saverio a Meliapòr. Passa una settimana intera sen-za punto mangiar né bere. Predice una tempesta di mare
114 51. Antiche memorie dell’apostolo s. Tomaso in Meliapòr. San Francesco Save-rio battuto da’ demoni nella chiesa di S. Tomaso
118 52. La corona di san Francesco Saverio campa un naufrago, che per cinque dì andò battuto dalla tempesta
120 53. Rivelazioni e profezie del santo sopra Giovanni Eirò libro secondo
125 1. Sito, e qualità di Malacca
128 2. San Francesco Saverio fa vincere alle carte un giuocatore disperato. Nomina miracolosamente a un per uno i fanciulli di Malacca, che mai non avea vedu-ti. Come passava orando la maggior parte della notte. Miracoli avvenuti in una casa, abitata, e benedetta da s. Francesco
131 3. Gran numero di miracoli operati dal Saverio in Malacca. Sana un giovine in-demoniato e moribondo. Tre altri infermi. Predice il pericolo d’una nave a beneficio d’un suo divoto. Risuscita una fanciulla morta già da tre giorni 134 4. Opere di carità esercitate da s. Francesco in Malacca, e gran frutto
di con-versioni che ne raccolse. Converte alla fede un rabbino 136 5. Arrivo all’India de’ padri Criminale, Lancilotti, e Beira
138 6. Due profezie di s. Francesco nel viaggio suo da Malacca ad Amboino 139 7. Descrizione delle Moluche, e d’altre isole a mezzodì
142 8. Fatiche del Saverio in pro delle anime nell’isole d’Ambòino. Serve a un’ar-mata di soldati ammorbati nell’anima e nel corpo. Profetizza, e vede di lon-tano la morte di Giovanni Araugiò
146 9. Predice il pericolo d’una nave. Un granchio gli porta il crocifisso perduto in mare. Profetizza la buona morte d’un convertito. Con un miracolo libera il re d’Ulate, e battezza lui e i suoi sudditi
149 10. Vede miracolosamente il naufragio di Giovan Galvano. Gran conversioni che operò in Ternate. Converte alla fede e battezza la reina di Ternate 152 11. Risolve di predicar la fede nell’isole del Moro, e perciò vince il contrasto de’
cristiani
156 12. Gli è mostrata in visione la morte d’alquanti cristiani uccisi nell’isole del Mo-ro. Ricevimento, predicazione, e pericoli di san Francesco Saverio nell’isole del Moro
p. 161 14. Dalle Moluche passa ad Amboino con gran sentimento de’ cristiani. Cose maravigliose avvenutegli in Amboino
164 15. Giunto a Malacca, invia tre della Compagnia al Moluco; egli quivi si resta a faticare. Alcune cose miracolose avvenutegli in Malacca
167 16. Il re d’Acen manda un’armata improviso sopra Malacca 170 17. Francesco Saverio persuade il combattere contro agli aceni
171 18. Contradizioni all’impresa per un successo avuto di malaugurio. Il santo fa ri-pigliare l’impresa abbandonata, e predice la venuta di due fuste in soccorso 174 19. S’avvera la profezia, e l’armata esce in cerca de’ nemici. Nuovi tumulti e
mormorazioni in Malacca contra il Saverio 176 20. Il re di Viantana viene anco egli sopra Malacca
178 21. I portoghesi trovan gli aceni, e s’apparecchiano alla battaglia. Combattimen-to, e vittoria de’ portoghesi contro agli aceni
181 22. Il re di Parles si fa vassallo del re di Portogallo. Il re di Viantan si fugge con vergogna
182 23. San Francesco Saverio, predicando, vede e annunzia la vittoria de’ portoghesi 183 24. Naviga all’India il Saverio e acqueta una gran tempesta di mare. Grande
af-fetto e stima che il santo avea della Compagnia 186 25. Visita Cocìn, e la Pescheria
187 26. Regole che san Francesco Saverio dié a’ padri che coltivavano la Pescheria 190 27. Opere di san Francesco in Zeilàn, in Bazain, e in Goa. Vede il male stato
dell’anima d’uno, e il converte
193 28. Entrata nella Compagnia del p. Cosimo Torres
195 29. Mirabil conversione che san Francesco Saverio fe’ d’un peccatore 198 30. Viaggio di dieci della Compagnia di Portogallo all’India. Carità esercitata da’
padri in quel viaggio, e singolarmente da Gaspare Berzeo
201 31. Orrende tempeste e pericoli che incontrarono. Altri pericoli e come ne cam-passero miracolosamente. Servono nello spedale in Mozambiche
205 32. Giungono a Goa, con molti che chieggono d’esser ricevuti nella Compagnia. Due miracoli del Saverio in Cocìn. Disposizione de’ padri, e suo apparecchio per navigare al Giappone
208 33. Onde avesse principio l’andata di san Francesco Saverio al Giappone. Con-versione e virtù di tre giapponesi, primi cristiani di quella nazione 214 34. San Francesco Saverio risolve di navigare al Giappone, e ne supera ogni
im-pedimento
218 35. Va da Goa a Malacca, e quivi aiuta a ben morire un disperato
220 36. Virtù e fatiche de’ padri Perez e Olivieri in Malacca. Vocazione alla Compa-gnia di Giovanni Bravo, e istruzione datagli da san Francesco Saverio 224 37. Navigazione del Saverio al Giappone, e mali incontri che v’ebbe libro terzo
229 1. Del Giappone. Sua postura, divisione, e qualità naturali 231 2. Fattezze, e costumi de’ giapponesi
234 3. Abilità alle lettere, e all’armi 237 4. Governo secolare, ed ecclesiastico
p. 240 5. Degl’iddii, e della religione de’ giapponesi
244 6. Degli ecclesiastici, e religiosi di vari ordini e professioni
246 7. Il re di Satzuma e la corte sentono ragionar della fede. Come s. Francesco Saverio s’apparecchiasse alla conversione de’ giapponesi
251 8. Dell’apostolico dono delle lingue, che san Francesco Saverio ebbe 255 9. S. Francesco ottenuta dal re licenza di predicare, fa le prime conversioni 259 10. Quale, e quanta virtù il Saverio richiedesse in chi dee faticare utilmente nel
Giappone
263 11. Miracoli che san Francesco Saverio operò nel Giappone. Risuscita la figliuola d’un idolatro, e il converte alla fede
265 12. Iddio vendica un’ingiuria fatta al Saverio. Persecuzione de’ bonzi contro al santo, e del re contro alla fede
268 13. Opere del Saverio nella fortezza d’Esciandono. Miracoli operati da alcune cose di san Francesco nella fortezza d’Esciandono
272 14. Passa a Firando, e vi predica e fa cristiani
273 15. In Amangucci sono maltrattati il Saverio e il Fernandez. Il re li sente. Essi ne partono per Meaco
275 16. Meaco: sue qualità, e grandezza
277 17. Gran patimenti di s. Francesco Saverio nel viaggio da Amangucci al Meaco 279 18. Altri patimenti e pericoli, da’ quali Iddio miracolosamente il campò 281 19. Dal Meaco torna ad Amangucci, e vi predica la santa fede. Quanta virtù si
richiegga in chi va a convertire il Giappone
284 20. San Francesco Saverio con una sola risposta sodisfà a molte e diverse inter-rogazioni
285 21. Conversioni fatte in Amangucci da san Francesco Saverio, e da’ compagni. Fatto singolare del f. Giovanni Fernandez
289 22. I bonzi d’Amangucci messi in abbominazione, e disertazione. Persecuzioni de’ bonzi contro la fede e il Saverio
294 23. Il re di Bungo invita a Funai s. Francesco Saverio
296 24. Ricevimento d’onore fatto al Saverio da una nave di portoghesi in Figi. Let-tera del re di Bungo a s. Francesco Saverio
299 25. I portoghesi conducono il Saverio al re di Bungo con solennissimo accompa-gnamento
301 26. Ricevimento altrettanto solenne che ne fece il re in corte 303 27. Abboccamento del Saverio col re di Bungo
307 28. Gran conversioni fatte dal Saverio in Funai: e mutazion di costumi nel re di Bungo
310 29. Dispute che i bonzi d’Amangucci ebbero col p. Cosimo Torres
314 30. Amangucci distrutta per malizia de’ bonzi; il re morto; i nostri in gran peri-colo della vita
316 31. Il fratello del re di Bungo è fatto re d’Amangucci
317 32. Ricordi che san Francesco Saverio dié al re di Bungo, disponendosi alla par-tenza. Persecuzione mossa da’ bonzi contra il Saverio e i portoghesi 320 33. Disputa di s. Francesco Saverio con Fucarandono bonzo
xii indice indice xiii
p. 326 35. Di nuovo compaiono a disputare il Saverio e Fucarandono 327 36. Punti sopra’ quali si disputò
330 37. Nuove dispute con altri bonzi 333 38. Ultima disputa, e sua fine
336 39. San Francesco Saverio torna dal Giappone, ed incontra una orribil tempesta 337 40. Rende miracolosamente alla nave il paliscalmo perdutosi con quindici
pas-saggeri
340 41. San Francesco Saverio nel medesimo tempo si truova nella nave e nel pali-scalmo perduto. Due predizioni fatte dal santo, e avverate
343 42. Primi trattamenti di san Francesco Saverio per andare a predicar l’evangelio nella Cina. Varie cose lontane vedute da s. Francesco Saverio miracolosamente 346 43. Predice d’una nave che mai non pericolerà in mare. D’un’altra, che tosto
romperà
351 44. Fatiche e consolazioni de’ padri che operavano nell’India, mentre il Saverio fu nel Giappone. Lettera del vescovo di Goa a s. Ignazio in commendazione de’ padri dell’India. Grazie fatte alla Compagnia nell’India dal re di Porto-gallo
355 45. Opere de’ padri in Goa
357 46. Conversione d’un principalissimo bramane
359 47. Conversione, e riuscita poco felice del re di Tanor. Il re di Tanor dato in cura al p. Antonio Gomez, e quel che seco operò
364 48. Opere de’ padri in Cocin e conversione del re delle Maldive 366 49. De’ fatti della Pescheria
370 50. Conversione del re di Trichinamalo, e d’un bramane giogue 373 51. Zelo e fortezza notabile d’un fanciullo cristiano
libro quarto
375 1. Nascimento, patria, prima età, e sante opere del p. Antonio Criminale. Ap-pare ad un suo nipote, e il libera da una orribil visione
380 2. Entra nella Compagnia, studia in Portogallo, e naviga all’India 381 3. Occasione e maniera del martirio del p. Criminale
386 4. Sue virtù, e gran concetto di santità in che egli era 391 5. Alcune sue lettere di singolare umiltà
393 6. Feste fatte in Malacca per le opere di san Francesco Saverio nel Giappone. Disordini cagionati in Cocìn e in Goa dal poco savio governo del p. Antonio Gomez
397 7. San Francesco Saverio rinunzia la chiesa dataci in Cocìn con dispiacere d’al-cuni. Rimette il seminario di Goa disfatto dal Gomez, e lui caccia della Com-pagnia
399 8. Provede le missioni d’operai, e manda a Roma per le cose dell’India Andrea Fernandez
401 9. Compagni scelti da s. Francesco per navigare alla Cina
404 10. San Francesco Saverio prevede due cose lontane. Serve agli ammorbati in Malacca, e vi risuscita un morto
406 11. D. Alvaro Ataide impedisce l’andata di san Francesco Saverio alla Cina
p. 409 12. Persecuzione mossa contro al Saverio, e sua virtù in sostenerla
411 13. Vendetta che Iddio fé di d. Alvaro secondo la predizione fattane dal Saverio. Protezione che Iddio ebbe del Pereira predettagli dal santo
413 14. Ultime cose di san Francesco in Malacca, e sua partenza 415 15. Muta l’acqua salsa del mare in dolce
417 16. Rende a un maomettano un suo figliuolo perduto in mare già da sei giorni. Battezzando sessanta infedeli comparisce di statura gigante
419 17. Dell’isole, e porto di Sanciàn. Maravigliosa predizione fatta a Pietro Veglio, e come si avverasse
423 18. Altri miracoli operati dal Saverio in Sanciàn, e singolarmente del dono di profezia che ebbe
425 19. Prime contradizioni al suo entrar nella Cina; le supera, e ne accorda il modo 428 20. Altre opposizioni fattegli da’ mercatanti. Lettere e ordini che s. Francesco
spedì prima di morire. Predice la sventurata morte d’un mercatante 432 21. Ultime afflizioni del santo. Rivelazioni che ebbe della sua morte 433 22. Ultima infermità, e morte del santo
435 23. Un crocifisso in casa del Saverio sudava sangue quando egli pativa. Sepellito nella calcina, dopo tre mesi si truova intero
438 24. Il corpo del santo portato a Malacca la libera della pestilenza
440 25. La nave che il porta a Goa due volte è campata da naufragio miracolosamen-te. Solennissimo ricevimento che se ne fece in Goa. E de’ miracoli che v’oc-corsero
443 26. Miracolo della perpetua incorruzione del corpo di san Francesco Saverio. Un braccio di san Francesco portato da Goa a Roma difende da’ corsali la nave con miracolo
446 27. Della grande stima di santità in che il Saverio era appresso i gentili 448 28. Stima in che era appresso i nuovi cristiani dell’India
450 29. Stima in che l’aveano i portoghesi dell’India
454 30. Stima in che l’aveano i religiosi della Compagnia. Lettera con la quale s. Igna-zio richiamava il Saverio in Europa
457 31. Miracoli operati dopo morte da s. Francesco Saverio nella chiesa di Cotate. Sana un gentile lebroso e piagato, apparendogli in sogno
459 32. L’acqua arde come olio innanzi all’imagine di san Francesco. Altri miracoli operati in Cotate
462 33. Miracoli operati in mare da s. Francesco Saverio dopo morte 464 34. Varie apparizioni di san Francesco Saverio, con successi miracolosi 468 35. Miracoli della croce onde pendeva l’imagine del Saverio in Cotate1
469 36. Altri miracoli operati da una cinese con una medaglia di s. Francesco Saverio 473 37. Donne sterili rendute feconde per miracolo di s. Francesco. Tre morti
risu-scitati dal medesimo
475 38. Della santità dell’anima del Saverio
477 39. Della sua carità. De’ rapimenti dell’anima in Dio 479 40. Degli estasi, ed elevazioni del corpo in aria 480 41. Assiduità dell’orare, e continua unione con Dio
p. 483 42. Generosità della carità di s. Francesco, in non temer niun pericolo in servigio di Dio. De’ pericoli e patimenti che sostenne in mare
486 43. D’altri pericoli e patimenti che sostenne in terra. Desiderio che s. Francesco avea del martirio, e come il moderasse
491 44. Carità di san Francesco in sovvenire alle necessità corporali de’ prossimi 496 45. Carità e zelo di s. Francesco nell’aiuto dell’anime
502 46. Industrie della carità di s. Francesco Saverio nella conversione degl’infedeli, e prima del piantar chiese e croci. Della sua predicazione. De’ componimenti e libri che divulgò. De’ re e principi che convertì
507 47. Singolar destrezza di san Francesco Saverio in accommodarsi a’ peccatori, per guadagnarli a Dio
512 48. Conversioni di gran peccatori fatte da s. Francesco Saverio con maniere di somma amabilità e domestichezza
520 49. Penitenze e orazioni che prendeva a fare per la conversione de’ peccatori 523 50. Dell’umiltà di san Francesco Saverio
526 51. Della povertà, verginità, e penitenze 530 52. Della sua carità verso quegli della Compagnia 535 53. Delle savie maniere con che governò la Compagnia
541 Note ai Libri 1-4
Volume secondo
p. xiii Elenco delle illustrazioni libro quinto
3 1. Della postura, e qualità naturali, e de’ vizi degli abitatori d’Ormuz 7 2. Nascimento, vita giovanile, e conversione a Dio del padre Gaspare Berzeo 10 3. Cose avvenute al p. Berzeo novizio, e sua andata all’India
13 4. Istruzione che san Francesco Saverio diede al p. Berzeo, mandandolo ad Ormuz
21 5. Viaggio e opere del p. Berzeo da Goa ad Ormuz. Ricevimento e prime fati-che del p. Gaspare in Ormuz
24 6. Dispute sue co’ rabbini 27 7. Contese co’ saracini
29 8. Disputa publica del p. Gaspare con un filosofo maomettano 33 9. Conversione d’una nobile saracina
35 10. Quattro città maomettane domandano il p. Gaspare a battezzarle 37 11. Martirio d’un giovane fiamingo in Catifà
39 12. Il re d’Ormuz vuol farsi cristiano, ed è impedito da’ suoi
42 13. Persecuzione mossa da’ saracini contra il p. Gaspare, e come ne avesse vit-toria
45 14. Un famoso giogue convertito dal p. Berzeo, e seco altri suoi discepoli
p. 50 15. Male stato in che era la cristianità d’Ormuz
51 16. Riformazion di costumi fatta dal p. Berzeo ne’ cristiani vecchi d’Ormuz 53 17. Varie conversioni di peccatori operate dal p. Berzeo
56 18. Altre conversioni massimamente d’usurai
61 19. Casi maravigliosi succeduti in peccatori ostinati con salute dell’anima 65 20. Morti spaventose d’alcuni peccatori ostinati
72 21. Della santa vita d’alcuni che si diedero al padre Berzeo per compagni e disce-poli
76 22. Virtù singolari del padre Gaspare novizio e secolare
78 23. È chiamato al Giappone da s. Francesco Saverio; e dopo gran contrasti parte d’Ormuz
83 24. Fatiche del p. Gonzalo Rodriguez succeduto al p. Berzeo nella missione d’Ormuz
86 25. Ormuz saccheggiata da’ saracini
88 26. Fatiche del f. Alvaro Mendez in Magostàn; del p. Antonio Eredia in Ormuz; e fine di questa missione
91 27. Cose avvenute al p. Gaspare nel viaggio da Ormuz a Goa 94 28. Sue fatiche in Goa, e gran frutto che ne raccolse 96 29. Quanto promovesse lo spirito nel collegio di Goa 97 30. Dell’efficacia, e del frutto del suo predicare
99 31. Conversioni fatte, e altre opere buone istituite dal p. Gaspare in Goa 101 32. Ultima infermità, e santa morte del padre Berzeo
105 33. Stima di santità, e venerazione in che era il p. Berzeo in Ormuz e in Goa 108 34. Somiglianza che ebbero nelle virtù il p. Berzeo e s. Francesco Saverio 112 35. Morte del padre Melchior Gonzalez. Del p. Paolo Valle. Del f. Alessio
Ma-deira
119 36. Del f. Luigi Mendez ucciso da’ barbari libro sesto
121 1. Apostasia dalla fede di Tolo città nelle isole del Moro
123 2. Miracoloso castigo del cielo sopra Tolo, e come s. Francesco Saverio vi si tro-vasse
128 3. Il p. Giovanni Beira rimette in Tolo la fede
129 4. Chi fosse, e di che qualità, Aerio cacile, o re di Moluco 131 5. In Tolo i cristiani si spartono dagl’infedeli
132 6. Vita, e morte di veleno del p. Nugno Ribero in Amboino 135 7. Naufragio e morte del f. Antonio Fernandez
137 8. Gran patimenti de’ padri che faticavano nel Moluco
139 9. Del p. Giovanni Beira. Sua vocazione alla Compagnia, e quanto sofferisse nelle Moluche
144 10. Virtù, e opere maravigliose del p. Beira, e sua morte 147 11. Conversione e battesimo del re e dell’isole di Baciàn 150 12. Ambizione d’Antonio Vaz, cacciato per essa dalla Compagnia
xvi indice indice xvii
p. 153 13. Prigionia del re di Moluco, e del p. Alfonso Castro 156 14. Martirio del p. Alfonso Castro
157 15. Cose maravigliose avvenute dopo il martirio del p. Alfonso 159 16. Sommario della vita del padre Alfonso Castro
161 17. Progressi della fede nel re e nel popolo di Ternate1
163 18. Vari successi poco felici alla cristianità in Ternate e nel Moro 167 19. Sei della Compagnia vengono dall’India al Moluco
169 20. Ristorano la cristianità e la fede del Moro 172 21. Avvenimenti della fede in Ternate e in Baciàn
175 22. Il p. Diego Magaglianes battezza in Celebes due re, e molti popoli 178 23. Il re di Siàn cristiano cacciato del regno. Il padre suo battezzato dal p. Pietro
Mascaregnas
181 24. Il padre Pietro Mascaregnas battezza il re, la reina, la corte, e il popolo di Sanguin
183 25. Parte di Sanguin il Mascaregnas, e visita Cauripe 185 26. Il re di Siàn racquista il regno, e vi si pianta la fede
188 27. Fatiche e morte del p. Pietro Mascaregnas avvelenato dagl’infedeli 190 28. Rovina della cristianità d’Amboino; e vari successi che v’intervennero 195 29. Varie conversioni e altri successi nell’isole d’Amboino
199 30. Di Ative, di Rocanive, e d’altre terre d’Amboino, e delle fatiche de’ padri in esse
203 31. Nuova distruzione della cristianità d’Amboino fatta dal re del Moluco, e da’ giai
208 32. Vinti e disfatti gl’infedeli d’Amboino, vi si pianta una fortezza
212 33. La fede rimessa da’ padri d’Amboino, e vari successi che avvennero in più luoghi
216 34. La cristianità del Moro distrutta dal re Aerio
218 35. Il re Aerio ammazzato da un portoghese. La fortezza di Ternate assediata, e vinta da Babù figliuolo d’Aerio
222 36. Si fabrica in Tidòr una fortezza, e vi si predica la fede. Il re di Baciàn ucciso di veleno dal re del Moluco
libro settimo
232 1. Naufragio, e morte in servigio de’ prossimi di tre religiosi della Compagnia 238 2. Viceré e provinciali dell’India fino all’anno 1571
239 3. Il p. Antonio Quadros publica le Costituzioni nell’India. Vita e fervore de’ padri del collegio di Goa
242 4. Opere di singolar carità e mortificazione fatte da’ nostri in servigio degl’in-fermi e carcerati
245 5. Mal’esempio di tre padri venuti all’India con libertà d’andare a qual missio-ne volessero
249 6. Conversione alla fede d’una figliuola del re Meale in Goa 256 7. Leggi a favor della fede stabilite in Goa per opera de’ padri
p. 258 8. D. Costantino di Braganza viceré dell’India gran promotor della fede negli stati di Goa
260 9. Gran conversioni d’infedeli fatte in Goa. E la solennità con che si battezza-vano
265 10. Conversione di molti infedeli fatta in Cioràn 267 11. Conversione di Divàr
269 12. Cose operate e patite da’ padri in terra ferma di Salsete 274 13. Virtù singolari della nuova cristianità ne’ contorni di Goa 277 14. Casi memorabili di varie conversioni di gentili alla fede 285 15. Contradizioni di certi cristiani alla conversione de’ gentili
287 16. Il nuovo arcivescovo di Goa impedisce la solennità de’ battesimi, onde le conversioni mancarono
289 17. Varie missioni campali de’ padri di Goa. Negli Stati dell’Idalcàn. Al conqui-sto di Damàn. Morte del p. Alberto Araugio
293 18. Opere de’ padri Alvarez e Prancudo in Damàn
298 19. Missioni de’ padri di Goa a Mangalòr, Onòr, Barzelòr, coll’armata de’ por-toghesi
301 20. Nuova cristianità fondata in Salsete di Bazaìn dal p. Gonzalo Rodriguez 305 21. Conversione d’un valente bramane in Bazaìn
307 22. Giubilei degl’idolatri di Bazaìn guasti da’ padri
309 23. Fatiche de’ padri di Cocìn contra un vescovo nestoriano che guastava la cri-stianità di s. Tomaso
313 24. I padri entrano a predicar la fede agl’idolatri nel regno di Cocìn 315 25. Opere de’ padri nel regno di Travancòr
317 26. Delle cose della Pescheria. Fatiche del p. Arrigo Enrichez in coltivarla 320 27. La Pescheria rovinata da’ bagadi1. Il p. Enrichez prigione, e poi liberato 324 28. Opere de’ padri nella Pescheria. Persecuzione mossa contra il p. Arrigo
En-richez
327 29. I paravi si dispongono a passare dalla Pescheria a Zeilàn per sottrarsi da’ ba-dagi
329 30. Conversione d’un giogue famoso fra’ gentili
332 31. Il p. Giovanni Meschita ferito e preso schiavo da’ badagi
334 32. Il re di Giafanapatàn è vinto in battaglia. Il p. Meschita fugge da’ badagi 336 33. Viaggio infelice, e arrivo a Manàr di due navi da Portogallo
338 34. Sedici sirene prese da’ pescatori vicino a Manàr
340 35. Del famoso dente della scimia di Zeilàn arso dal viceré d. Costantino 342 36. Vita e morte del p. Nicolò Lancilotti
344 37. Virtù e morte del p. Alfonso Cipriani 350 38. Vita e morte del p. Paolo da Camerino 357 39. Morte del p. Luigi Goes
358 40. Morte del p. Francesco Lopez
362 41. I portoghesi combattuti per tutto l’India da’ re infedeli, hanno vittoria di tutti
p. 366 43. Vita del p. Baldassar Diaz
368 44. Gran conversioni operate dal p. Diaz in Malacca, e sua morte in Goa 374 45. Del p. Antonio Quadros. Entra nella Compagnia, e passa all’India 377 46. Singolar talento che ebbe di governare
381 47. Altre sue virtù, e santa morte libro ottavo
385 1. Giungono al Giappone il p. Baldassar Gago e i ff. Alcaceva e Silva 386 2. Stato della cristianità d’Amangucci
390 3. Il re di Bungo ha ribellione nel regno, e Iddio nel campa
393 4. Persecuzione de’ bonzi contra i padri che risedevano in Funai, e santa vita di que’ cristiani
398 5. Due bonzi convertiti dal p. Gago, e vari miracoli operati
401 6. Amangucci è distrutta. Il p. Cosimo e Luigi Almeida fondano due spedali in Funai
404 7. Delle cose del p. Melchior Nugnez. Sua entrata nella Compagnia, e primi fervori
407 8. Ragioni che indussero il p. Nugnez a passare dall’India al Giappone 410 9. Fernan Mendez Pinto accettato nella Compagnia
va col p. Nugnez al Giap-pone. Opere loro in Malacca
412 10. Viaggio del p. Nugnez al Giappone, e sua entrata nella Cina 415 11. Abboccamento del p. Nugnez col re di Bungo
418 12. Ritorno del p. Nugnez dal Giappone all’India, e altre sue opere fino alla morte 420 13. Vari successi delle cose de’ padri nel regno di Bungo
424 14. Tacùscima e Ichiceuchi isole convertite alla fede. Cristianità di Firando per-seguitata da’ bonzi
428 15. Facata presa, e i nostri cacciatine. Prigionia e pericoli del p. Gago 431 16. Il p. Gaspar Villela naviga a Fienoiama, e de’ pericoli che incontrò nel
viag-gio
435 17. P. Villela entra nel Meaco, vi predica, e fa cristiani
439 18. Postura e qualità di Sacai. Il p. Villela vi predica, e fa cristiani 442 19. Meaco guerreggiato da’ bonzi. Il p. Villela vi torna in aiuto de’ cristiani 443 20. La fede cristiana è data ad esaminare a due savi gentili. Si convertono, e il p.
Villela li battezza
449 21. Il p. Baldassar Gago abbandona il Giappone, e torna all’India 451 22. Gran fervore e virtù della nuova cristianità di Bungo
456 23. Missioni inviate dal p. Cosimo a’ paesi lontani, e maravigliosa bontà de’ cri-stiani di due isole convertite
459 24. Missioni del f. Luigi Almeida a Cangòscima, e alla fortezza d’Esciandono 464 25. Il porto di Vocosciura dato dal re d’Omura al p. Cosimo che vi fonda una
nuova cristianità
467 26. Conversione alla fede, e battesimo del re d’Omura 472 27. Conversione di Scimabarà e Cocinotzu
p. 476 28. Arima e Omura, e seco la fede messa in rivolta dagl’idolatri 480 29. Il re d’Omura combatte co’ suoi nemici, e ne ha vittoria 482 30. Santità de’ cristiani di Tacùscima
485 31. I padri tornano in Firando. Muore il f. Odoardo Silva 487 32. De’ fatti del p. Cosimo Torres, e del re di Bungo e d’Arima
489 33. Accrescimento della cristianità di Firando. Virtù di d. Antonio giapponese 491 34. Vari successi della cristianità di Firando
495 35. Virtù de’ cristiani di Scimabarà, e del re d’Omura
498 36. Missione del f. Luigi Almeida al regno di Gotò, e prima fondazione di quella cristianità
507 37. Industrie del p. Villela in dilatar la fede nel Meaco
510 38. Venuta al Meaco del p. Luigi Froes, e solenne visita fatta al cubosama 512 39. Morte del cubosama, e guerre nel Meaco
514 40. I padri Villela e Froes sbanditi dal Meaco 517 41. Opere del p. Froes in Sacai
519 42. Vita, morte, e virtù del f. Giovanni Fernandez 523 43. Morte gloriosa d’un cristiano giapponese 525 44. Successi della cristianità di Scichi e di Amacusa
528 45. Ricevimento che il p. Alessandro Valla ebbe dalla cristianità del Giappone 530 46. Conversioni fatte dal Valla in Gotò
535 47. Persecuzione in Amacusa. Fortezza singolare di que’ cristiani. Esilio del f. Almeida. Tre nuovi operai giungono dall’India al Giappone
541 48. Morte del p. Cosimo Torres, e stima di santità in che era 545 49. Virtù del p. Cosimo Torres
551 Note ai Libri 5-8 719 Indice dei nomi 749 Indice dei luoghi
introduzione
di Adriano Prosperi
1. Sulla soglia di questa edizione critica dell’Asia di Daniello Bartoli ci fa sostare il celebre giudizio che dell’autore dette Gia-como Leopardi: «il Dante della prosa italiana»1; «uomo che fra
tutti del suo tempo, e fors’anche di tutti i tempi, fu quello che e per teoria e scienza e per pratica, meglio e più profondamente e pienamente conobbe la nostra lingua»2. Leopardi, facendo suo il
giudizio di Vincenzo Monti, lo riprendeva e amplificava oltre ogni limite. Immaginava un lettore che, esperto negli studi sulla lingua italiana, si accostasse per la prima volta alle pagine del Bartoli:
Un uomo consumato negli studi della nostra favella, il quale per la prima volta prenda a leggere questo scrittore, resta attonito e spaventato, e laddove stimava d’essere alla fine del cammino negli studi sopradetti, comincia a cre-dere di non essere a mala pena al mezzo. […] Vi trovate in una lingua nuova: locuzioni e parole e forme delle quali non avevate mai sospettato, benché le riconosciate ora per bellissime e italianissime: efficacia ed evidenza tale di espressione che alle volte disgrada lo stesso Dante3.
Col Bartoli, secondo Leopardi, ci troviamo a un livello diverso e superiore a quello del pur amatissimo Galileo. Se questi era mae-stro dello stile didascalico per la capacità di associare la «precisio-ne coll’eleganza», quello restava esempio altissimo e insuperato di lingua e di stile4. Va detto che l’attrazione di Leopardi per gli
scritti di Bartoli non si limitò alla lingua. Giovanissimo, ne ave-va letto nella biblioteca paterna la Missione al Gran Mogor: a cui dedicò una folgorante annotazione in cui, accostando la scelta del martirio cristiano all’eroismo antico di Leonida e dei caduti alle
1 Zibaldone, 2396. Si veda l’edizione a cura di Rolando Damiani, Mondadori,
Mila-no 1997.
2 Zibaldone, 3630. 3 Zibaldone, 1314-15. 4 Zibaldone, 1313.
allo sconfinato orizzonte geografico e storico con cui lo scrittore dovette misurarsi. Nelle scansie ordinate di quel vocabolario di pronto servizio dominano materie come i viaggi per mare, la nave e le sue parti, il vento e i tuoni, i nuvoli e la pioggia, la tempesta, i fatti d’arme e di guerra, la religione e i costumi. È un mondo immenso di cose – della natura e dei mestieri, soprattutto quelli dell’agricoltura e della marineria – che vogliono le parole giuste e travolgono così le fragili barriere dei puristi del tempo. E le cose umane della storia di un mondo europeo che scopriva l’immensità delle civiltà orientali si dovettero creare anch’esse una loro «sel-va», l’immensamente più ricca «selva delle storie». Sfogliando il massiccio volume cartaceo conservato nell’Archivum Romanum Societatis Iesu di Borgo Santo Spirito ci si imbatte in una ricchis-sima e nello stesso tempo ben ordinata raccolta di schede di lavo-ro tratte da moltissime fonti8. Qui si ha davanti il frutto di una
esplorazione bibliografica e archivistica che aveva condotto Barto-li in mezzo alle ricchezze dell’archivio centrale della Compagnia. Vi fanno da pilastri gli estratti dalle Litterae, le quadrimestres e le annuae, ma vi si frammischiano moltissimi altri transunti da fon-ti diverse, specialmente – ma non solo – il vasfon-tissimo fondo delle lettere dall’India, dal Giappone e dalla Cina, insieme ad appunti tematici - argomenti come «Religione», «Filosofia», «Governo», ma anche «Muraglia» (cinese) e così via. Tanti pezzi da costru-zione per le sue pagine, dove le parole dei più diversi storici e au-tori, specialmente gesuiti, scritte dai loro luoghi di missione – in India, nelle Molucche, a Canton –, affiorano nel racconto cucite senza forzature nel vivo della sua pagina. Era un metodo abituale nella storiografia del suo tempo, dove si presumeva che l’erudi-zione dovesse starsene nascosta per non offuscare con la sua pol-vere il nitore della pagina: decenni prima di lui ne aveva offerto un buon esempio fra Paolo Sarpi – un rivale allora sconfitto del Bartoli – nella sua Istoria del Concilio tridentino, talché quando le fonti dell’archivio vaticano sono state edite ci si è resi conto di quanto il racconto di Sarpi fosse fatto con le parole stesse dei pro-tagonisti delle discussioni tridentine9.
8 Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), Historia Societatis, 116. Si tratta di un
manoscritto di 393 ff. numerati sul recto, per un totale di 786 facciate. La materia cinese vi appare spessissimo, con lettere (una di Trigault al f. 9r) e appunti su temi come «Del Mandarinato» (f. 52v).
9 Cfr. Corrado Vivanti, Una fonte dell’«Istoria del concilio tridentino» di Paolo Sarpi,
in «Rivista storica italiana», LXXXIII (1971), n. 3, pp. 608-32.
Termopili, ne deduceva «che la religione è la sola che abbia riu-nito l’eroismo e la grandezza delle azioni e il valore e il coraggio e la forza d’animo ec. colla ragione ec. e che abbia anzi risuscita-to l’eroismo già quasi svanirisuscita-to allo scemare delle illusioni»5. Qui
troviamo un’isolata, penetrante scoperta di un orizzonte che gli studi storici dovevano individuare solo moltissimo tempo dopo: quello dell’ideale eroico dell’antico, rinascente nell’ascesi mistica del moderno missionario, su cui si dovrebbe riflettere in altra se-de, se non altro per l’apparire sotto la penna di questo giovanissi-mo Leopardi di temi non estranei alla cultura del padre e dell’età della Restaurazione articolati in forme inedite – si pensi alla pa-gina scritta allora intorno alla religione come unica forza capace di spingere a scelte eroiche come quella del rifiuto ascetico della vita, destinate a «scadere di prezzo quanto più cresce l’impero della ragione»6.
Ma intanto, nell’intreccio di giudizi di puristi, neoclassici e romantici (Monti, Giordani, Leopardi) la riscoperta dell’opera di Daniello Bartoli nell’età che non era più la sua emerge sotto il se-gno della ricchezza dello stile e della lingua. La parola è stata la chiave che ha aperto all’opera scrittoria di Bartoli i piani più alti della letteratura italiana. Se nell’Ottocento la fortuna editoriale dell’opera del Bartoli non conobbe flessione alcuna potendo con-tare sull’editore cattolico Marietti che ne provvide una versione nell’italiano corrente, è stato nel secolo successivo che l’ammirata contemplazione della sua Selva delle parole ha trovato riconosci-mento ai livelli alti delle lettere italiane con definizioni come «su-blime lessicografia». Qui il colpo d’occhio di Maria Corti vide una «architettura semantico-lessicale», un «messaggio iconico», fatto di «segni linguistico-visuali», di «parole come immagini», quasi un’anticipazione barocca della più recente poesia visiva del No-vecento, opera di un gesuita del Seicento da accostare al Borges della Biblioteca di Babele7. Ora, quel manoscritto d’archivio era
solo uno degli strumenti di lavoro predisposti dall’autore, con la stessa cura con cui il tipografo metteva un tempo in ordine i ca-ratteri di stampa nei cassetti del suo banco di lavoro. E se la lessi-cografia fu un campo aperto all’esplorazione senza limiti di Barto-li, non se ne capirebbe la ricchezza e la libertà se non la si legasse
5 Zibaldone, 44-45. 6 Zibaldone, 37.
7 Maria Corti, Premessa a Daniello Bartoli, La selva delle parole, a cura di Bice Mortara
xxiv adriano prosperi introduzione xxv di quelle parti del mondo. Ma era proprio un trionfo quello che si annunciava allora per il cristianesimo e le missioni gesuitiche in Cina? Il dubbio non si affaccia solo alla mente dei lettori. Fu lo stesso Daniello Bartoli a vedersene insidiato.
2. Ce lo rivela un abbozzo manoscritto dell’inizio dell’Asia, poi cancellato di pugno dell’autore. È un testo ripudiato, che ci svela i suoi primi pensieri nell’atto di mettere mano all’Asia. Una falsa partenza: il testo appena iniziato si interrompe e viene so-stituito. Ma il lettore ha così l’occasione di piegarsi sulla spalla dell’autore, sperimentando in prima persona il fascino indiscreto degli «scartafacci»:
L’humana curiosità, poco capace d’intendere, e non mai sazia di sapere, talvolta con ardimento da pazza si mette a far la filosofa sopra rinvenir le cause del libero dispensare che Iddio fa i tesori della salute, con mano a cui più liberale, e a cui più parca; e vuol sapere onde sia, che il sole della verità evangelica, che pur nacque per fare il suo giro intorno a tutto il mondo, in sedici secoli da che prima spuntò, habbia fatto sì poco viaggio, che anche ho-ra innumeho-rabili popoli, nelle tenebre dell’antica loro infedeltà si rimangono. Ma dove ha ella intendimento di così gran levata, che trahendola dalle bas-sezze di questa materia sensibile, quasi di volo la portò sì alto, fino a metter-la dentro a gli abissi delmetter-la luce eterna, perché quivi si satii, leggendo in petto a Dio il libro de gli occulti consigli della sua providenza, se anco essa, come avvertì S. Ambrogio, a guisa de gli uccelli notturni che hanno grandi occhi, e poco ci veggono, s’abbaglia nel chiaro, e nella luce s’acceca? Che se del mi-serabile abbandonamento, in che tutt’hora si giacciono tanti popoli idolatri, vuol farsi alcun giusto lamento, egli al certo non è che […]12.
Era un avvio vivo e scorrevole, un testo senza cancellature né correzioni, che da solo basterebbe a dare un’idea della vena crea-tiva di Daniello Bartoli, questo grande predicatore e docente di retorica prestato alla storia. Ma appena sotto la sua penna spuntò l’espressione «giusto lamento», Bartoli scoprì di avere imboccato la strada sbagliata. Così sospese, cancellò tutto e ripartì da capo. Aveva finito col far baluginare l’idea che la sorte eterna di tanti milioni di anime, per mille e seicento anni morte nella loro cecità finendo all’inferno, meritasse un «giusto lamento». E così aveva rischiato di riaprire la diatriba che aveva a lungo animato le rifles-sioni sulle scoperte dei nuovi mondi e dei tanti popoli che li abita-vano. C’era stato chi aveva tratto dalle scoperte geografiche l’oc-casione per mettere in dubbio l’infallibilità delle Sacre Scritture o
12 Come si legge nel manoscritto autografo dell’Asia di Bartoli (ARSI, Historia
Socie-tatis, 116, f. 1r). Il passo si interrompe a questo punto ed è cancellato, pertanto non è
con-fluito nelle edizioni a stampa.
Quanto al Bartoli, a ben guardare, anche l’esercizio di lessico-grafo non fu dovuto alla discussione coi rigoristi dell’Accademia toscana della Crusca. Non se ne capirebbe la ricchezza e la libertà se non lo si inserisse nella prospettiva dello sconfinato orizzonte geografico e storico con cui lo scrittore doveva confrontarsi. La ve-ra ve-ragione d’uso nella composizione della Selva delle parole si rico-nosce facilmente nel bisogno di uno scrittore che deve raccontare cose e avvenimenti dominati dalle avventure di mare e di terra e misurarsi con l’immensa varietà dei paesaggi naturali e delle società umane. E ben si sa con quanta eleganza e ricchezza di argomenti Bartoli duellò coi puristi della Crusca nel Torto e’ l diritto del non si può: salvo alla fine abbandonare il campo con la sublime strafot-tenza del «troppo altro che fare» che lo richiamava10.
Ne aveva assai, di «altro che fare». Quello scritto, uscito in prima edizione nel 1655, si iscriveva in una produzione di biogra-fo e di storico dove si contavano già le biografie di sant’Ignazio e di Vincenzo Carafa e le grandi prove della storia della Compagnia nell’India e nell’Asia. L’immediato futuro avrebbe visto matura-re le storie di Giappone e Cina insieme all’avvio del grande dise-gno di storia europea della Compagnia con le prime province. Ne aveva di cose da raccontare: per questo poteva rivendicare il di-ritto di usare parole nuove, senza costringere il vino nuovo negli otri vecchi dei puristi. L’opera sua di storico della Compagnia gli imponeva di rendere conto di quello che era stato il grande secolo dell’impresa d’Oriente, quello destinato a restare segnato dall’opera dei gesuiti. Vi campeggiava al centro la Cina, obiettivo di tentativi ed esperimenti durati più di un secolo e, ancora negli anni in cui Bartoli li raccontava, al centro di conflitti non solo in Asia ma an-che e soprattutto in Europa e specialmente a Roma. Chi scriveva del passato aveva il compito di celebrarne le imprese e proiettarle nel presente intravisto profeticamente da Francesco Saverio, co-me più volte si afferma:
[…] quanto alla Cina, non mancherebbon ne’ tempi a venire altri suoi per istituto fratelli, e per zelo compagni, anzi, del suo medesimo spirito eredi, che verrebbero ad introdurvi trionfante la bandiera di Cristo, ch’egli [Fran-cesco Saverio] vi piantò su le porte11.
Da qui l’organizzazione dell’opera attraverso le tre tappe dell’In-dia, del Giappone e della Cina, e le figure dominanti degli apostoli
10 Daniello Bartoli, Il torto e ’l diritto del non si può, a cura di Sergio Bozzola,
Fonda-zione Pietro Bembo - Ugo Guanda editore, Milano-Parma 2009, p. 423.
proprio un altro gesuita, di cui si dovrà parlare, José de Acosta, che aveva voltato decisamente le spalle a quelle «anzietà» e invi-tato a guardare alla immensa varietà delle società umane come un campo aperto a un’opera di conquista religiosa di lunga durata in un mondo che solo Dio sapeva quando sarebbe finito.
Ma intanto, quell’inizio abbandonato mostra che nella mente e sotto la penna di Bartoli si era fatta avanti d’istinto una precisa questione che aveva segnato fin da subito le reazioni europee alla scoperta dell’America e alle tante esperienze di umanità diverse portate all’attenzione dalle navigazioni oceaniche. La sua materia era la storia delle missioni dei gesuiti, aveva davanti a sé la do-cumentazione quasi quotidiana dello sviluppo di un disegno che aveva finito con l’abbracciare Oriente e Occidente. Le immagini simboliche incise nei libri del suo confratello e vicino di stanza al Collegio Romano Athanasius Kircher illustravano l’ambizione smi-surata di un corpo religioso determinato a portare la fede cristiana in tutto il mondo con la sola forza dell’intelligenza e del dialogo. Erano loro i nuovi apostoli, coloro che la provvidenza divina ave-va incaricato di riprendere e completare l’opera avviata nel mon-do antico da quegli umili mon-dodici pescatori e pubblicani. Dunque, era tempo di lasciarsi alle spalle le incertezze e le polemiche acce-se all’epoca delle scoperte sulla questione acce-se ci fosacce-se stata o meno una prima predicazione apostolica anche per i popoli extraeuro-pei. Bartoli alludeva a questo nel suo ripudio della voglia umana di sapere troppo. Chi si spingeva troppo in alto e pretendeva di giudicare i disegni divini nell’erogare la grazia agli esseri umani batteva una strada pericolosa e lui voleva distrarne chi era tentato di avviarvisi. L’ansia di portare la salvezza del battesimo cristiano a tutto il mondo aveva animato di una urgenza spinta fino all’an-goscia i missionari dei suoi tempi: anche quei confratelli gesuiti di cui si preparava a raccontare la vita e le opere. Le loro esistenze si erano consumate e spesso immolate nell’impresa di salvare dalla dannazione eterna popolazioni alle quali non era pervenuta noti-zia della predicazione del vangelo. Ma se per i viventi era ancora possibile fare qualcosa, che dire dell’immensa schiera di genera-zioni e generagenera-zioni che erano vissute e morte immerse nel pecca-to e senza essere state redente dal peccapecca-to originale? L’inferno si era aperto a inghiottirle senza che avessero avuto la possibilità di battezzarsi. Con una immagine rigorosamente geocentrica e tole-maica dell’universo – il processo d’Inquisizione a Galileo era an-cora nell’aria – Daniello Bartoli rappresentava il percorso fatto dal sole della verità evangelica nell’illuminare il mondo come un almeno per dubitare dell’interpretazione che se ne era data. Come
aveva scritto con cristallina chiarezza Francesco Guicciardini, la navigazione di Cristoforo Colombo non solo aveva «confuso mol-te cose affermamol-te dagli scrittori delle cose mol-terrene, ma dato, oltre a ciò, qualche anzietà agli interpreti della scrittura sacra»13.
Quel-le «anzietà» non si erano più spente. C’era quel «versicolo» del Libro dei Salmi (18,5), dove si leggeva: In omnem terram exivit so-nus eorum, et in fines orbis terrae verba eorum. Lo si era letto come la profezia ebraica della futura predicazione degli apostoli cristia-ni, quella predicazione che il Vangelo di Matteo garantiva dover estendersi fino ai confini del mondo, in un passo che legava l’an-nunzio alla totalità delle genti con il ritorno di Cristo giudice e con la fine del mondo (Et praedicabitur hoc evangelium regni in universo orbe, in testimonium omnibus gentibus, et tunc veniet consummatio, Mt 24,14). Altro che «qualche anzietà»: la scoperta di popoli che non avevano nessuna memoria di una conoscenza remota dell’an-nunzio apostolico apriva una voragine nelle certezze della cristia-nità medievale nell’atto stesso con cui rendeva di nuovo urgente e attuale l’attesa della fine del mondo. Ci volle del tempo perché ci si arrendesse all’evidenza: come doveva concludere la mente più lucidamente sistematica di un teologo gesuita, Roberto Bellarmi-no, experientia docet, era l’esperienza stessa a dimostrare che fi-no al tempo presente il vangelo fi-non era stato ancora predicato in tutto il mondo14. L’orologio del tempo cristiano, rimasto bloccato
dal mancato ritorno di Cristo promesso alla generazione dei suoi primi discepoli, poteva dunque riprendere a scandire le ore finali della storia umana. Ne aveva dato prova lo stesso Cristoforo Co-lombo quando si era presentato come il Christum ferens, il porta-tore di Cristo, e aveva speculato sul tempo finale della storia che rimaneva da scorrere. Ne era seguita una lunga vicenda di profezie apocalittiche o millenaristiche e di tentativi di individuare, in mez-zo ai popoli recentemente scoperti, qualche traccia di un annuncio apostolico dimenticato e diabolicamente stravolto15. Ed era stato
13 Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, 3 voll., a cura di Silvana Seidel Menchi,
Ei-naudi, Torino 1971, vol. I, p. 593.
14 «Denique quod etiam nostro tempore non sit praedicatum Evangelium in toto
mun-do, experientia docet. Inventae sunt enim in Oriente et Occidente regiones vastissimae, in quibus nulla extat memoria Evangelii. Neque dici potets fuisse ibi fidem, sed postea esse extinctam. At novus orbis terrae nunc inventus, non fuit cognitus ab Apostolorum tempo-ribus, nisi paulo ante nostram aetatem» (Disputationum Roberti Bellarmini Politiani SRE
Cardinalis de controversiis christianae fidei, vol. I, s.e., Venezia 1721, col. 714).
15 Si rinvia su questo agli studi dello scrivente raccolti in America e Apocalisse e altri
xxviii adriano prosperi introduzione xxix
della pietà dell’Infante D. Arrigo, Duca di Viseo, e primogenito de’ gli otto figliuoli legitimi di Giovanni I re di Portogallo si debbono17.
La considerazione di Bartoli è di un realismo che gronda ama-rezza. Non per zelo religioso ma per merito dei mercanti, non per il profumo del paradiso ma per quello delle spezie si erano varcati gli spazi oceanici. Merito di chi si era adattato al corso delle cose salendo sulle navi dei cercatori di ricchezze (e stringendo con lo-ro luclo-rosi rapporti d’affari) se si era cominciato finalmente a svol-gere la missione del predicare la vera fede. E qui l’allusione era trasparente: l’intreccio di fede e affari era avvenuto per iniziativa dei gesuiti che avevano così potuto costruire quella che lo stori-co Pierre Chaunu ha definito «una grande potenza stori-commerciale e finanziaria»18. D’altra parte proprio mentre Bartoli scriveva questa
pagina l’epoca eroica delle missioni veicolate dalle navi portoghe-si recando seco il sogno salvifico della redenzione cristiana stava cedendo il passo alla «concretezza delle avventure coloniali anglo-olandesi», come ha osservato Bruno Basile19.
Nell’incertezza subito corretta dell’avvio si legge qualcosa di più di un pentimento personale dell’autore: quelli che vi appaiono come balenanti sono il punto di partenza e quello di arrivo del lun-go percorso del problema e dell’idea di missione nella riflessione e nella strategia della Compagnia di Gesù, dagli ideali delle origini all’alleanza con le forze che muovevano mercanti e avventurieri sul-le rotte oceaniche. A mutare il senso del termine e dell’idea stessa di missione era stato il generale dell’Ordine francescano, fra Fran-cisco de los Ángeles de Quiñones, quando aveva redatto la lettera di invio (missio) di dodici frati spagnoli in Messico nel 1524. Vi ri-spondeva alla richiesta di Hernán Cortés, desideroso di avere chi
17 Il passo si legge nell’autografo (ARSI, Historia Societatis, 116, f. 1r) e non fu
com-preso nelle edizioni a stampa dell’Asia.
18 La questione, segnalata da Pierre Chaunu (Une grande puissance économique et
finan-cière: les débuts de la Compagnie de Jésus au Japon (1547-1583), in «Annales. économies,
Sociétés, Civilisations», a. V (1950), n. 2, pp. 198-212), è stata oggetto di molte ricerche recenti nel quadro della Connected History e delle prospettive aperte dai lavori di Serge Gruzinski e di Sanjay Subrahmanyam (di cui si vedano le pagine sul commercio portoghese nel contesto del tardo Cinquecento in L’Empire portugais d’Asie 1500-1700, Points, Paris 2013, pp. 240 sgg.). Sui problemi finanziari della missione in Giappone e sugli investimen-ti nel commercio della seta, si veda Hélène Vu Thanh, Un équilibre impossible: financier la
mission jésuite au Japon, entre Europe et Asie (1579-1614), in «Revue d’histoire moderne et
contemporaine», LXIII (2016), n. 3, pp. 7-30. Di Vu Thanh si deve qui ricordare l’opera principale: Devenir japonais. La mission jésuite au Japon (1549-1614), Presses de l’univer-sité Paris-Sorbonne, Paris 2016.
19 Bruno Basile, «L’Asia» del Bartoli, in «Lettere italiane», XXXVI (1984), n. 3, pp.
301-18, in particolare p. 109.
viaggio lentissimo e arrestatosi molto presto. Era questo che tur-bava chi voleva misurare col metro della filosofia umana la volon-tà divina, il piano della provvidenza celeste. Un fatto era ormai indiscutibile. Dio aveva aspettato sedici secoli per far giungere a innumerevoli popoli la luce della verità evangelica. Quante anime si erano perdute? Ma non c’era solo questa «anzietà» a turbare la coscienza di sé e del mondo dopo l’avvenuta scoperta di tante terre e di tante diverse umanità. C’erano domande come quella delle «sterminate antichità»del mondo16 che facevano capolino
oltre il confine delle datazioni bibliche: e quella delle specie pre-adamitiche; per non parlare dell’eresia degli infiniti mondi di un Giordano Bruno. Di fatto lo sguardo che si posava sulle notizie recate dai missionari gesuiti in Asia non era solo quello di devoti cristiani lieti per la conquista di tanti popoli alla «vera religione»: c’erano anche le suggestioni di tipo scettico, epicureo e materiali-sta dei «libertini eruditi».
Dunque lo storico gesuita aveva incautamente riaperto una questione gravissima. E accortosi del passo falso mentre ancora la sua penna correva velocissima sulla carta, rifiutò quel pezzo e lo sostituì seduta stante. In un nuovo abbozzo della premessa, l’ac-cusa di ingiustizia o di trascuratezza che rischiava di investire il cielo ricadde tutta sulla terra. Non era stato il decreto di un Dio crudele a dannare tanta parte della specie umana ma una causa tut-ta umana: l’avidità di lucro. Ecco come si apriva la nuova pagina:
Se il zelo della religion ne’ fedeli, fosse ito almen del pari con la cupidi-gia dell’interesse, horamai l’Evangelio parlerebbe in tutte le lingue, la Croce fiorirebbe ancor ne’ deserti, la Fede havrebbe commercio nell’uno, e l’altro oceano, tutte le terre sarebbono una Christianità, e tutti i popoli una Chie-sa. Impercioché dove la speranza d’alcun lieve guadagno, fin di colà delle più stranie parti del mondo ha fatto giungere in Europa o l’odor degli aromati o il suon dell’oro, o lo splendor de’ diamanti, e delle perle dell’India, non vi sono stati Oceani sì rivoltosi, climi sì stemperati, popoli sì selvaggi, isole sì lontane, idiomi sì barbari, che punto habbiano spaventato, o ritenuto in por-to otiosa la cupidità del guadagno, sì che per mezzo di tanti pericoli non sia corsa al maggior di tutti i pericoli, che è l’arricchire. E se la Fede per uscir degli stretti confini, che la chiudevano in una parte d’Europa, ha voluto cer-care altre terre, altri porti, ove allargarsi, l’è convenuto accontarsi con l’in-teresse negotiante et nocchiero de’ legni passaggieri agli altri mondi, perché con lui navigando, dove egli approdava per mettere in vendita le sue merci terrene, ella quivi smonti a trafficare in permuta d’anime i tesori della salute, e le mercatantie del cielo. Vero è nondimeno, che se hora tanto dell’Oriente si parli, le gloriose conquiste che la religione Catolica ha fatte, e va tutt’hora facendo in que’ regni, non tanto alle fatiche dell’interesse, quanto al merito
Siamo entrati così, attraverso lo spiraglio aperto da una pre-messa subito cancellata dell’Asia, nell’orizzonte proprio delle mis-sioni gesuitiche e in quello del loro storico. Con la nomina che gli era stata comunicata dal generale della Compagnia p. Vincenzo Carafa, il Bartoli era stato inserito in una precisa tradizione. Lo si era incaricato di redigere un racconto che fosse vero e nello stesso tempo capace di stimolare nei lettori l’ammirazione e il desiderio di contribuire a un’impresa straordinaria. Per questo il suo luogo di lavoro fu fissato in quella piccola stanza dalla quale poteva avere accesso alle carte di un archivio le cui straordinarie ricchezze erano state raccolte e conservate proprio come strumento bifronte: da un lato, un corpo disseminato su tutta la superficie terrestre vi trovava conservate tutte le scritture che lo tenevano unito – lettere e rela-zioni dalla periferia al centro, richieste e istrurela-zioni dal centro alla periferia –, dall’altro una selezione mirata di quelle informazioni che vi arrivavano poteva essere messa in circolazione sia all’inter-no, come fattore di stimolo e animazione spirituale, sia all’esterno per promuovere l’interesse e il consenso di un pubblico di lettori avido di notizie e descrizioni di mondi e culture umane remote e diverse. Scrittore obbediente, Daniello Bartoli fece così la sua par-te inserendosi in un filone nato allo spar-tesso avvio della Compagnia come ordine religioso e poi sviluppatosi in diverse ramificazioni.
3. Alla sua penna si dovette la prima grande storia dell’Asia pubblicata in Europa, l’unica ad abbracciare in un solo disegno e in lingua italiana una vicenda destinata a rimanere in ombra nel bilancio storiografico dei secoli successivi che vide solo il versan-te atlantico dell’Europa trionfare oltre le colonne d’Ercole dello Stretto di Gibilterra. Quanto a Bartoli, il suo si può definire un merito involontario. L’aspirazione profonda che condusse l’au-tore a diventare gesuita fu simile a quella di tanti altri seguaci di Ignazio di Loyola: era anche lui, come tanti altri prima e dopo di lui, un indipeta, un adolescente attirato dal sogno di «andare alle Indie»20 e di morirvi martire della fede. Come molti adolescenti
formati nelle scuole dei gesuiti, anche il quindicenne Daniello che bussò alla porta del noviziato di Novellara nel 1623 vi fu condotto dal desiderio di una missione tra i pagani, dalla volontà di diventa-re un apostolo e di trovadiventa-re magari il pdiventa-remio supdiventa-remo del sacrificio nelle remote terre d’oltreoceano. Ma anche nel suo caso, come in
20 Giancarlo Roscioni, Il desiderio delle Indie. Storie, sogni e fughe di giovani gesuiti
ita-liani, Einaudi, Torino 2001.
completasse la sua conquista di quel vasto mondo con la cristianiz-zazione dei popoli “barbari”. Ma nella visione mistica del france-scano questo si era tradotto nell’idea di una ripresa della predica-zione apostolica del vangelo. Dodici ne aveva inviati, come dodici erano stati gli apostoli di Cristo; erano loro che tornavano adesso, sulla soglia di un mondo che si avviava verso la sua fine. Era stato per quella accensione visionaria che i francescani si erano dedicati a una campagna di battesimi collettivi degli indios dopo una molto sommaria predicazione della religione dei conquistadores. Ne era-no seguite inevitabili delusioni e correzioni di rotta. E dalle attese apocalittiche era nata l’utopia e si era acceso il sogno del millennio felice – quello che doveva precedere il giudizio finale. Sogno peri-coloso: lo si era visto quando un predicatore visionario, fra Franci-sco de la Cruz, coinvolse molti religiosi e diversi membri dell’élite creola del Perù in una congiura per rovesciare le autorità corrotte e dare vita a una nuova Chiesa, destinata a sostituire quella vec-chia, carica di colpe. Fu allora che José de Acosta, analizzando su basi teologiche e con forte realismo storico la dottrina relativa al-la fine del mondo, si rivolse a chi sognava di completare in breve l’annuncio apostolico della fede a tutto il mondo con la proposta di rovesciare i termini della questione: finché il mondo continuava a esistere ci sarebbero stati popoli a cui Cristo non era stato annun-ziato. E fece presente che aver battezzato a milioni gli indios non significava averli convertiti. Bisognava convincerli a lasciare la loro vita di peccati e di superstizioni, completare la cristianizzazione con gli altri sacramenti. E per ottenere questo occorreva organizzare la popolazione in comunità (pueblos), distaccandoli dalle condizioni disperse e primitive della loro esistenza. Acosta affrontò anche la questione che inquietava i missionari: come mai la loro opera, che rinnovava quella degli apostoli della primitiva Chiesa, non vedeva rinnovarsi i miracoli attestati dagli Atti degli Apostoli e in partico-lare quello della glossolalia – cioè la capacità di farsi comprendere da ascoltatori di altre lingue? La risposta di Acosta si richiamava al-la differenza dei tempi e delle condizioni: gli apostoli antichi erano dei poveri pescatori e per questo lo Spirito Santo aveva operato quel miracolo. I missionari cristiani del tempo presente invece erano dot-ti, avevano alle spalle i poteri di grandi stati. Dunque non avevano bisogno di miracoli. Anche se ne avrebbero desiderato l’efficacia, come vedremo. Anche se di quei miracoli gli atti del processo per la beatificazione di Francesco Saverio dovevano attestare la realtà. E questo doveva imporre al fedele esecutore del compito di storico della Compagnia di farsene asseveratore ed esaltatore.
xxxii adriano prosperi introduzione xxxiii che attestavano («faremo memoria […], traendone le particolarità dalle proprie narrazioni di quegli che ne furono non che testimoni di veduta, ma suggetto e parte»)24. Fondamento della verità della
storia narrata era dunque l’autopsia, il più attendibile e il più soli-do. Un’autopsia di secondo livello, tuttavia: lo storico si impegna-va a riferire cose attestate da testimoni de visu, magari conosciute attraverso il racconto di altri storici. E che altro erano se non «te-stimoni di veduta» coloro che avevano rilasciato le loro dichiara-zioni nei verbali dei processi di canonizzazione? Di fatto l’offerta si presentava con la garanzia dell’autenticità: quei paesaggi insoliti e lontanissimi, quelle avventure straordinarie, quell’irruzione del miracolo sulla terra, quei popoli e quei costumi remoti venivano raccontati sulla base di testimonianze dirette di narratori attendi-bili. Quanto alle fonti giuridiche dei processi di canonizzazione, erano un incontro obbligato in uno scritto celebrativo; ma qui la coscienza dello storico e forse qualche inclinazione giansenistica dovettero creare più d’un inciampo per il focoso cavallo apologeti-co25. Vedremo meglio, più avanti, qualche aspetto del suo uso delle
fonti. Ma intanto quel che è certo è che era proprio lui il “confi-nato” nel castello. L’immagine gli era venuta in mente non a caso. Non aveva visto nulla di ciò che descriveva. Anche lui era vissuto per anni e anni chiuso nella sua cella guardando il mondo solo at-traverso quello che leggeva e quello che scriveva.
Eppure, come si è accennato, il disegno del futuro che aveva avuto in mente all’atto di fare la sua scelta di vita era stato profon-damente diverso: aveva immaginato viaggi in terre lontane, tra po-poli sconosciuti, per dedicarsi tutto alla salvezza delle loro anime. Questa la scelta. L’aveva maturata molto presto, nel passaggio dal-la puerizia all’adolescenza, quando decise di entrare neldal-la Compa-gnia di Gesù. Era poco più che quindicenne quando nel dicembre 1623 bussò alla porta del noviziato di Novellara: gli anni di scuola al Collegio gesuitico di Ferrara avevano portato anche lui, attra-verso la pratica degli Esercizi spirituali, a coltivare il desiderio di dedicarsi all’opera apostolica. Era qualcosa che accadeva piutto-sto spesso nel funzionamento dei collegi della Compagnia. Quegli adolescenti si accendevano di entusiasmo alla lettura delle imprese dei missionari, conquistati dall’ideale eroico dell’andare nei luoghi
24 Id., L’Asia, VI, [introduzione].
25 Questa è la convinzione del migliore e più attento studioso moderno di Bartoli: John
J. Renaldo, Daniello Bartoli: A Letterato of the Seicento, Istituto Italiano per gli studi stori-ci, Napoli 1989. Per esempio, davanti al celebre «dono delle lingue» di Saverio, Renaldo sostiene che Bartoli fece del suo meglio per sorvolare (p. 68).
tanti altri, i superiori decisero altrimenti. E a giudicare dal risul-tato, l’averlo destinato al compito di scrivere non fu l’ultima delle scelte giuste che fecero.
Alle origini della vocazione di storico, per sua natura umbra-tile, c’è spesso il sogno frustrato di un impegno attivo nella storia in atto. Così fu per Daniello Bartoli, il grande e celebrato storico della Compagnia: il quale non voleva fare lo storico. E più volte, mentre lavorava a quei libri che gli uscivano dalle mani in tempi in-credibilmente rapidi, si lamentò del muro di carta che lo soffocava e lo teneva prigioniero nella sua stanzetta nella casa generalizia di Roma, chiuso, come lo ha descritto Ezio Raimondi, «tra un cro-cifisso e pile di libri, di manoscritti, di documenti, scrivendo con intrepida pazienza»21. Anche lui, come fece un secolo dopo un altro
e più celebre storico, Ludovico Antonio Muratori, avrebbe potu-to porsi la domanda di come si potesse «discorrere di così lontani e strani paesi […] senza aver mai messo piede fuori d’Italia»22. Di
fatto, se la pose. Come poteva scrivere di cose mai viste?
Non gli mancava la risposta: aveva davanti a sé, in quella stan-zetta e nelle densissime carte dei suoi appunti, tratti dagli originali a lui solo accessibili nel vicino archivio della Curia generalizia della Compagnia, le «fedeli memorie d’uomini […] vivuti nella Cina», che avevano percorso «quanto è in amplitudine tutto quel regno». Poteva dunque affermare anche lui di avere camminato (come dove-va esprimersi Ludovico Antonio Muratori) «se non con i miei, con piedi altrui», e di avere visto «con occhi altrui» la nascita e l’opera delle missioni impiantate dalla sua Compagnia nell’altro emisfero:
Ed io così in ciò, come in tutto il rimanente, terrommi su le fedeli memo-rie d’uomini […] vivuti nella Cina, la Dio mercé, non un dieci o quindici me-si, chiusi in un castello a guisa di confinati, ma usi a quanto è in amplitudine tutto quel regno: e ciò per venti, trenta, quaranta e più anni spesi, oltre al dì nelle fatiche dell’apostolico ministero, anco le notti nel lungo e faticosissi-mo studio delle lettere e delle scienze ivi proprie, fino a divenirne maestri a’ maes tri medesimi del paese; e di questi ho io, per valermene, a gran dovizia le scritture originali: oltre alla viva voce d’altri, venutici di colà, e della Cina, da Macao fino a Pechin, cioè dall’un suo termine all’altro, testimoni di veduta23.
Leggendo l’Asia incontriamo le sue dichiarazioni di non ave-re inventato nulla, di ricavaave-re tutto quello che scriveva da fonti di testimoni oculari che erano stati anche i protagonisti di quello
21 Ezio Raimondi, Nota introduttiva a Daniello Bartoli, Scritti, Einaudi, Torino 1977, p. ix. 22 Ludovico Antonio Muratori, Il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della
Com-pagnia di Gesù nel Paraguai, Sellerio, Palermo 1985, p. 32.