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Academic year: 2021

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VALIGIE DI…

Maria Luisa Daniele Toffanin

*

Il viaggio infinito

Il corpo è valigia di carne che il tempo limita e usura senza più stanze ove muoversi con antica positura

una valigia d’argilla inaridita senza lucore di primavera ma dentro, la valigia, cela segreti dello spirito indicibili. Fra stinte crepe bulinate levita una levità azzurra un polline profumato un’acqua di sorgiva viva.

È l’anima che migra oltre il proprio stato libera da corporale gabbia

sociale inquinamento

centro di benessere e commerciale. Migra oltre eterei strati

pascoli di nuvole slarghi di sole in un dove senza tempo-spazio

*Poetessa italiana.

Oltreoceano. Donne con la valigia. Esperienze migratorie tra l’Italia, la Spagna e le Americhe, a cura di Silvana

(2)

oasi d’innocenza riaffiorata isola celeste di libertà

di chi sapiente al mistero delle cose si rilibra alla sua origine prima per succhiare sostanza-essenza estinta sulla terra

da una fame d’immagine. Abusiva. Rientra l’anima a sera

nella sua valigia d’argilla da quell’estasi rifocillata registra emozioni irripetibili.

Il corpo è valigia di carne ingombrante ma l’anima che leggere migra

è il viaggio infinito. Il mio corredo è nel paesaggio

Al mio Poeta di Pieve di Soligo Mondo, il mio corredo è nel paesaggio

coltivi boschi declivi intorno, dei miei Colli Euganei. Corredo vario per le ore del giorno pure per ogni stagione un albero solo in sé chiude tutto il mio abito interiore. Mi cinge l’anima di radici, storia di terra lavorio di genti trame remote presenti in cultura nomade pei crinali nel canto gregoriano e devozioni claustrali.

Radici-linfa perenne memoria che dentro in nuovi fermenti mi sale, conferma al mio esserci qui ora. E il corpo di corteccia ricopre a donarmi energia sublime verticalità del tronco

nel suo-mio slancio al cielo coi rami a preghiera. Corona i capelli di rosate gemme figliate da natura paziente al morsante gelo, all’opera umana

speranza-vita ancora rinata.

Maria Luisa Daniele Toffanin

(3)

E dona chioma cangiante di corolle quale mia

sopravveste di gioia al creato risorto, alle nostre pasque minute sortite dagli affanni dei sepolcri quotidiani. Poi a mantello m’avvolge un prato a primule e viole respiro d’essenze pure: umiltà nutrimento al cuore. Di turgide albicocche-sua attesa-arborea gloria inventa morbido vezzo al mio collo: albicocche umani sogni maturi

vivi in piccine nostre creature!

Epifania della solarità in geometria cromatica fantasia: bellezza unica in forma-sostanza!

E nel manto fogliuto del bosco, intreccio di vite diverse, l’anelito all’armonia del vivere, preludio negli ulivi di pace e pure l’abito del mio riposo a sera, a meditare sul viaggio. E d’albero-di bosco oro ramato alfine mi rivesto

come ad una festa per trattenere a lungo l’autunno negando pensieri d’inverno, ma nella lieve danza di foglie al vento il suono del tempo fuggente nella filigrana dorata alla terra abbandonata il senso della vita immortale: eterna si ripete in una storia infinita.

Mondo, non ho valigie da viaggio: il mio corredo è tutto nel paesaggio con chiare indicazioni sul suo uso poetico. Zufolo da pastore in stupori minimali

Un contenitore emozionale-una valigia musicante m’accompagna dentro nell’infinito andare

di stanziale o nomade è uguale.

In scintille di note vibra a stupori minimali, visioni gesti iterati nei giorni sorpresi in pause fra le cose. Vita cotidie-rinnovato dono.

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Stupore il lento risveglio dell’azzurro striato da luce – matita d’oro rosata nel fumo che svapora –

riacceso in rumori abituali: finestre rideste in simultanea, motori d’auto ovattati dal gelo umana voce nel primo squillo del telefono. Richiami richiami a comune appartenenza il nostro mattutino!

Stupore il sole che riluce sull’acqua brinata

dimora di rossi guizzi, segnando perenne il suo zenit alla campana che suona che sfuma.

Stupore il desco ritrovato in pensieri uniti disuniti non conta, la sedia sempre fuori tono, dissonanza all’armonia della casa, prova sicura di presenza lo spazio fra i quadri misurati insieme allora ricomposto ora dalle stesse mani.

Stupore il carminio vesperale che dai colli riverbera e la stanza tutta arde nella mia sera

sigillo eterno del creato.

Vibra scintilla il contenitore emozionale: note parole pullulano dentro premono in gola con forza d’esserci, sgorgare fuori.

La plasmo la mia valigia musicante come creta

con dita d’anima fino a crearne uno zufolo da pastore e provo quelle sue note per catturarne il reale suono girando con un gregge fiorito sul verde per risuonare fuori al mondo intero questo spartito interiore.

Poi placata sull’erba in un mare di candore, mi nutro della melodia-poesia minimale sorpresa fra le cose: quasi non la credo mia, ma del pastore.

Vita cotidie-rinnovato dono.

Maria Luisa Daniele Toffanin

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