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Pregno C., Servizio sociale e anziani, Ed. Carocci, Roma, 2016

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Cristiana Pregno, Servizio sociale e anziani, Roma, Carocci, 2016

Nella generale carenza di attenzione per le problematiche delle persone anziane nei corsi di laurea di servizio sociale, che non hanno in Italia insegnamenti dedicati al riguardo, si segnala la pubblicazione del volume menzionato di Cristiana Pregno, che si prefigge di formare gli studenti e di interessare quanti sono già attivi sul campo a queste problematiche.

Il primo capitolo è dedicato al processo di invecchiamento e contiene significative osservazioni in particolare sul cosiddetto “invecchiamento attivo”, il quale punta su una concezione della vecchiaia come “età della vita” ancora in grado di procurarsi risorse per un significativo innalzamento della qualità dell’esistenza, in termini di partecipazione al contesto famigliare – quando sia presente – ed a quello sociale (tramite, ad es. , attività di volontariato e di impegno civico a vario titolo).

Particolarmente interessanti – a questo riguardo – le osservazioni (comprovate dal riporto di dati di ricerca europei) sul rapporto partecipazione-innesco di fiducia negli altri, dove si conferma che essendo la partecipazione pubblica di solito più frequente nei paesi nordici, là si ritrova anche una maggiore donazione di fiducia nei cosiddetti ‘estranei’. La correlazione non è lineare e immediata, ma depone a suggerire che là dove il contesto civico è denso,. la donazione di fiducia è maggiore. Questo testimonia a margine per l’Italia (ma anche per la Francia) che là dove la propensione all’individualismo come cultura civica è maggiore, minore è la ‘tenuta’ del tessuto sociale e la sua coesione interna, sì da avere delle indubitabili ricadute sull’andamento dei processi stessi di invecchiamento. E’ infatti intuitivo che i legami sociali – a partire dalla pionieristica ricerca di Ėmile Durkheim su Il suicidio – sono una fonte di tenuta e di forza vitale. In particolare, se il suicidio ‘egoistico’ in Durkheim è dovuto principalmente a un difetto di integrazione sociale, il suicidio ‘altruistico’ (quello degli anziani che si sentono un peso per il nucleo famigliare) ha paradossalmente una causa simile. Un eccesso di integrazione laddove il tessuto sociale non offra per così dire ‘sbocchi socialmente utili’ agli anziani che nel seno della famiglia d’origine deperiscono e si sentono vieppiù un fardello inutile.

A questo riguardo la Pregno sottolinea una sorta di scacco delle politiche sociali al riguardo dell’invecchiamento in Italia, che anziché puntare in modo circostanziato ed articolato sulla prevenzione e su un attivismo ‘relazionale’, hanno puntato e puntano sul mero allungamento dell’attività lavorativa, con esiti squilibrati in termini di rapporti intergenerazionali sul posto di lavoro: come riqualificare i lavoratori che invecchiano a fronte di rapidi cambiamenti nelle tecnologia e come farli utilmente interagire con i neo-assunti, in termini di trasmissione di conoscenze e maestria occupazionale?

Altro tema importante nelle politiche sociali relative ai processi di invecchiamento sono le persistenti disuguaglianze di salute dovute a determinanti sociali: si rileva la persistente correlazione povertà socio-culturale e malattia, già messa in luce da studi pionieristici statunitensi negli Anni della Grande Depressione, con ricadute – segnalate allora – su disturbi mentali quali ansia e depressioni reattive, dovute anche alla correlazione povertà-isolamento.

Il secondo capitolo è assai denso e riguarda gli anziani non autosufficienti dal punto di vista del servizio sociale e dei suoi strumenti di intervento nell’ottica della trifocalità: il

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rapporto con l’utente (dal colloquio alla visita domiciliare), il rapporto con il territorio (come può l’assistente sociale informare sullo stato dei servizi e delle opportunità che essi offrono), il rapporto con l’istituzione in termini di vincoli e risorse.

È forse questo il capitolo più utile per lo studente in quanto esplora un nesso (assistente sociale/anziano non autosufficiente) che non trova grandi riscontri in letteratura, anche perché la stessa Pregno sottolinea come la ‘domiciliarità’ sia un tratto della cura e in generale delle problematiche di integrazione socio-sanitaria relativamente recente (compare alla fine degli anni Novanta).

Qui entra in gioco la valutazione multidimensionale dell’anziano, che ha strumenti tecnici certamente (modello dell’indagine, modello procedurale,modello di reciprocità) ma che necessita di una particolare e personale attenzione rispetto al contesto ed alla biografia, oltreché all’interazione tra più professionisti che se ne debbono fare carico. E si sa quanto le logiche di separatezza burocratiche possano frapporsi negativamente a osservazioni e a dimensioni interazionali di quelle opportune in questi casi di oldest old, che necessitano poi alla fine l’individuazione di un case manager per la coordinazione degli interventi complessivi nonché per la costruzione e ridefinizione continua del PAI (Progetto Assistenziale Individualizzato), sospeso tra limiti di spesa ed esigenze personali non dilazionabili.

Il tema della valutazione multidimensionale (social and geriatric assessment) chiama in causa poi il tema delle ‘buone pratiche’, con annesse considerazioni in materia di riflessività operativa. Le valutazioni ex-post implicano la messa a prova del sapere ‘tecnico’ e del sapere ‘relazionale’, in riferimento al ‘successo’ dei progetti di intervento in seguito alla presa di decisioni ‘razionali’, definire le quali è altamente problematico in contesti di complessità.

Qui entra in gioco la customer satisfaction , che nel caso degli anziani non autosufficienti è anche lasciata al giudizio dei care giver: famigliari, amici, vicini, personale a domicilio.

Nel capitolo sugli anziani non autosufficienti grande è la ricchezza degli strumenti che giungono a definire il PAI, ma altrettanto grande è la complessità del loro intreccio. Innanzitutto il problema dell’accesso ai servizi : spontaneo o su segnalazione, le funzioni del segretariato sociale e della visita domiciliare, i colloqui nelle istituzioni, il problema della definizione di un case manager che si renda effettivamente responsabile dell’integrazione degli aspetti sanitari e sociali del Piano stesso, l’uso di scale di valutazione dei differenti aspetti che entrano in gioco : il sostegno sociale, il carico e la soddisfazione dei care giver, la situazione economica, l’ambiente e, non da ultimo, la ‘spiritualità’, cioè le motivazioni di senso della vita su cui l’anziano poggia il suo quotidiano.

In altre parole ed in sintesi : le ‘buone pratiche’ si definiscono molto sulla capacità riflessiva dei vari professionisti che lavorano fianco a fianco. Si tratta di un mix di pensiero sulla teoria e sulla dimensione organizzativa che i vari interventi presuppongono e seguono. Si tratta anche di una questione di responsabilità : tecnica, decisionale, etica, il tutto complicato dal fatto che il nostro Paese non dispone di vere e proprie politiche per la non-autosufficienza, al punto che per le famiglie si tratta spesso di praticare un welfare invisibile, cioè lavoro privato di cura e relativo ricorso ad assistenti domestiche o badanti, più o meno formate. Non raro il caso allora di

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associazioni di famigliari con finalità di mutuo-aiuto, nel caso di malattie croniche ed altamente invalidanti.

L’ultimo capitolo del volume è dedicato alla ‘violenza’ sugli anziani: forme di abuso all’interno delle stesse mura domestiche, pratiche raramente oggetto di studio specialistico. Per combattere la violenza, infatti, occorre conoscerla e questa parte del lavoro di Pregno fornisce utili elementi analitici, dati statistici e indicatori per incominciare ad avviare anche da noi ricerche sul tema.

Il volume si conclude con la storia di un caso, deliberatamente privo di commento, tale da suscitare nel lettore riflessioni (ed emozioni) diversificate.

In conclusione, il lavoro della Pregno si profila come una utilissima sintesi di problematiche complesse ed attualissime nonché di modi di fronteggiarle tratte dalla letteratura nazionale ed internazionale, associate ad un afflato partecipativo che pur traspare dalle pagine anche più tecniche, teso a rendere consapevole un vasto pubblico di utenti, famiglie, operatori e – soprattutto – studenti di quanto si può fare e del molto che resta ancora da fare per promuovere una ‘cultura sociale’ dell’invecchiamento.

Donatella Simon Dipartimento di Culture, politica e società Università di Torino

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