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Spazi affini ed euclidei

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Spazi affini ed euclidei

12 novembre 2009

1

Spazi affini

Richiamiamo alcune nozioni sulla nozione di spazio affine

Definizione 1. Si dice spazio affine di dimensione n su di un campo K una

terna AG(n, K) = (A, V, α) ove: 1. A è un insieme,

2. V è uno spazio vettoriale di dimensione n sul campo K e 3. α :A × A → V una applicazione tale che:

(a) per ogni P ∈A e v ∈ V esiste un unico elemento Q ∈ A tale che α(P, Q) = v;

(b) assegnati P, Q, R ∈A si ha

α(P, Q) + α(Q, R) = α(P, R).

In generale, con leggero abuso di notazione, scriveremo P ∈ AG(n, K) per indicare un punto P ∈A.

Teorema 2. Osserviamo che, per ogniP ∈A fissato l’applicazione α induce una biiezione αP = α(P, ·) :A → V.

Dimostrazione. Sia v ∈ V. Per definizione di spazio affine esiste un punto X ∈ A tale che α(P, X) = αP(X) = v; pertanto X è una preimmagine di v e

l’applicazione αP :A → V è suriettiva. D’altro canto, se esistessero X, Y ∈ A

tali che αP(X) = αP(Y) = v, allora avremmo

α(P, X) = αp(X) = v = αP(Y) = α(P, Y),

(2)

Teorema 3. Per ogni coppia di puntiP, Q ∈A si ha α(P, Q) = −α(Q, P), α(P, P) = 0.

Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che

α(P, P) = α(P, P) + α(P, P).

Pertanto α(P, P) = 0. D’altro canto

α(P, Q) + α(Q, P) = α(P, P),

da cui segue α(P, Q) = −α(Q, P).

Definizione 4. SiaP ∈A un punto e t ∈ V. L’unico punto Q ∈ A tale che α(P, Q) = t

è detto traslato di P secondo il vettore t e si scrive come

Q= P + t. (1)

Si noti che la funzione sopra definita è una applicazione + : A × V → A e non è una operazione inA. Osserviamo che, in termini di vettori la (1) può riscriversi per ogni fissato O ∈A come

α(O, Q) = α(O, P) + α(P, Q) = α(O, P) + t, (2)

e in questo caso la somma è effettivamente quella dello spazio vettoriale V.

Definizione 5. Si dice punto medio fra due puntiP, Q ogni punto R tale che

α(P, R) = α(R, Q).

Teorema 6. Il punto medio di due punti, se esiste, è unico.

Dimostrazione. Osserviamo che se esiste almeno un punto R con le proprietà richieste, da α(P, R) + α(R, Q) = α(P, Q) si deduce 2α(P, R) = α(P, Q). Pertanto,

R= P + 1

2α(P, Q), e, chiaramente, tale punto è unico.

(3)

Osserviamo che se la nostra geometria è definita su di un campo di caratteristica 2, ovvero un campo K in cui per ogni x ∈ K,

x+ x = 0,

allora il punto medio di P e Q non esiste. In tutti gli altri casi la costruzione è applicabile.

Definizione 7. Si dice sottospazio affine di (A, V, α) ogni insieme B tale che l’immagine di α ristretta a B × B sia un sottospazio vettoriale W di V. In particolare, W sarà detto giacitura diB, mentre la dimensione di B è definita come

dimB = dim W.

Il seguente teorema è conseguenza immediata della definizione fornita.

Teorema 8. Sia (A, V, α) uno spazio affine, e B un suo sottospazio. Allora (B, W, α0) ove α0 è la restrizione di α aB × B e W è l’immagine di α0 è anche

esso uno spazio affine.

Definizione 9. Uno sottospazio affine di(A, V, α) di dimensione 1. 1 è detto retta;

2. 2 è detto piano;

3. 3 è detto solido;

4. dimA − 1 è detto iperpiano.

Teorema 10. SiaP ∈A e W ≤ V. Allora, esiste un unico sottospazio affine B passante per P e avente giacitura W. Tale spazio è detto spazio per P parallelo a W.

Dimostrazione. Consideriamo l’insieme

B = {Q ∈ A : α(P, Q) ∈ W}. (3)

Poiché 0∈ W, si ha P ∈B. D’altro canto Q, R ∈ B implica α(Q, R) = α(Q, P) + α(P, R) = α(P, R) − α(P, Q),

per cui la restrizione di α aB × B è un sottospazio di W. Dall’esistenza, ∀w ∈ W di Q ∈A tale che α(P, Q) = w segue che la giacitura di B è effettivamente tutto W. L’esistenza del sottospazio richiesto dal teorema segue.

(4)

Se vi fossero due sottospaziB e B0 per P conB 6= B0, potremmo supporre

senza perdere in generalità che B 6⊆ B0. Pertanto, vi sarebbe almeno un

punto Q ∈ B \ B0. Poiché Q ∈ B, v = α(P, Q) ∈ W; d’altro canto, per ogni vettore assegnato v ∈ W esiste esattamente un punto Q0 in V tale che

α(P, Q0) = v.

Dal fatto che la giacitura di B0 è W segue che Q0 ∈ W, contro l’ipotesi. Ne

deduciamoB = B0.

Osserviamo che l’applicazione α che compare nella (3) è quella definita su tutto lo spazio AG(n, K); essa non è quella che dota B uno spazio affine, in quanto αP per P ∈B non è in generale una biiezione B → V. In effetti, si

dimostra che l’immagine di α0 = α|

B×B è proprio W.

Teorema 11. Per due punti distintiP, Q di uno spazio affineA passa una ed una sola retta.

Dimostrazione. SiaB una retta passante per P e per Q e indichiamo con W la sua giacitura. Osserviamo che α(P, Q) ∈ W, per definizione di sottospazio affine. Inoltre α(P, Q) 6= 0. Poiché W ha dimensione 1, ne segue che α(P, Q) è un generatore di W. L’unicità della retta segue dal teorema 10.

Definizione 12. SianoB, C due sottospazi affini di A di giaciture

rispettiva-mente B e C. Si dice cheB è parallelo a C (in simboli B k C) se B ⊆ C oppure C ⊆ B

Conseguenza immediata della definizione e del Teorema 10 è il seguente risultato.

Teorema 13. Sia r una retta di(A, V, α). Per ogni P ∈ A esiste un’unica retta s tale che P ∈ s e r k s.

Lemma 14. SianoB e C due sottospazi affini di giaciture rispettivamente X e

Y e supponiamoB ∩ C 6= ∅. Se X ⊆ Y, allora B ⊆ C. Dimostrazione. Fissiamo P ∈B ∩ C. Allora,

B = {Q : α(P, Q) ∈ X} ⊆ {Q : α(P, Q) ∈ Y} = C. La tesi segue.

Definizione 15. Sia P ⊆ A. Si dice chiusura affine P dell’insieme P il più

(5)

Teorema 16. SiaP = {P0, P1, . . . , Pt} ⊆ A e poniamo per 1 ≤ i ≤ t

pi= α(P0, Pi).

Allora, per ogni 0 ≤ j ≤ t,

P = {Q : α(Pj, Q) ∈ hp1, p2, . . . , pti} .

Dimostrazione. Sia W la giacitura di P. Poniamo ^W = hp1, p2, . . . , pti. Sia

oraD lo spazio affine passante per P0 e avente giacitura ^W. Poiché pi ∈ ^W,

abbiamo Pi∈D per ogni i. Conseguentemente,

P ⊆ D. Osserviamo che, poiché fatto Pi∈P segue

pi= α(P0, Pi) ∈ W.

Pertanto ^W ⊆ W. Dal fatto che P0 ∈D ∩ P e dal Lemma 14 si deduce

D ⊆ P.

Incidentalmente, osserviamo che P coincide con lo spazio passante per un qualsiasi suo punto e avente giacitura ^W; pertanto la tesi discende dal Teorema 10.

Definizione 17. Un insieme P = {P0, P1, . . . , Pt} ⊆ A è detto indipendente

se dimP = t. Alternativamente, si dice che in questo caso i punti sono in posizione generale (rispetto i sottospazi affini).

È facile dimostrare il seguente teorema, che caratterizza la nozione di dimensione affine.

Teorema 18. Un sottospazio affine B ha dimensione t se, e solamente se, esso

contiene sottoinsiemi di t + 1 punti indipendenti ma nessun sottoinsieme di t+ 2 punti indipendenti. In particolare,B è generato da ogni suo sottoinsieme di t + 1 punti indipendenti.

2

Riferimenti affini

Definizione 19. Si dice riferimento affine per lo spazio affine (A, V, α) una coppia ordinata Γ = (O, B) ove O ∈A e B = {b1, . . . , bn} è una base ordinata

(6)

Siano (A, V, α) uno spazio affine e Γ = (O, B) un suo riferimento.

Definizione 20. Sia P ∈ A. Si dicono coordinata affine di P rispetto Γ la n–upla

(p1, p2, . . . , pn)

delle componenti del vettore α(O, P) rispetto la base B.

Osserviamo che, in generale, α(O, P) = −α(P, O); pertanto, da

α(O, P) = n X i=1 pibi, α(O, Q) = n X i=1 qibi segue α(P, Q) = α(P, O) + α(O, Q) = n X i=1 (qi− pi)bi.

Consideriamo ora un sottospazio W < V e un punto P ∈A. Sia W = {w1, w2, . . . , wt}

una base di W. Consideriamo il sottospazio affineW passante per P e avente giacitura W. Per ogni punto Q ∈W si ha

α(P, Q) = α(P, O) + α(O, Q) ∈ W.

Pertanto, per ogni Q esiste t ∈ W tale che

α(O, Q) = α(O, P) + t. con t∈ W, ovvero α(O, Q) = α(O, P) + t X i=1 αiwi

con αi ∈ K. Pertanto i punti in W sono tutti traslati di P secondo vettori in

W; viceversa, osserviamo che per ogni t ∈ W esiste un unico punto Q tale che

α(P, Q) = α(P, O) + α(O, Q) = t.

Poiché la giacitura di W è W, ne segue che Q ∈ W. Abbiamo dunque dimostrato il seguente teorema.

Teorema 21. Lo spazio affine passante perP e parallelo a W è l’insieme di tutti i traslati di P secondo i vettori di W.

(7)

Nel seguito denoteremo il vettore α(P, Q) con il simbolo Q − P. Osserviamo che

α(P, Q) + α(Q, R) = (Q − P) + (R − Q) = (R − P) = α(P, R). Indicheremo inoltre l’unico punto Q tale che α(P, Q) = v come

Q= P + v.

Supponiamo ora che

wi=

n

X

j=1

wijbj

e che P abbia coordinate (p1, p2, . . . , pn). Allora, il generico punto Q ∈W è del

tipo (q1, q2, . . . , qn) = (p1, p2, . . . , pn) + t X j=1 αj(w1j, w2j, . . . , wnj), ovvero         q1 = p1+ α 1w11+ . . . + αtw1t q2 = p2+ α 1w21+ . . . + αtw2t .. . qn= pn+ α 1wn1+ . . . + αtwnt (4)

con αi ∈ K. Osserviamo che dati dei punti P0, P1, . . . , Pt , le equazioni del

sottospazio affine che essi generano si ottengono come base dell’insieme delle soluzioni del sistema lineare omogeneo in αi e β

         α1p00+ α2p01+ . . . + αnpn0 + α0 = 0 α1p01+ α2p11+ . . . + αnpn1 + α0 = 0 .. . α1p0t + α2pt1+ . . . + αnpnt + α0 = 0 .

In particolare, i punti P0, P1, . . . , Pt sono indipendenti se, e solamente se, tale

spazio vettoriale ha dimensione n − t. In altre parole, i t + 1 assegnati corrispondono a t + 1 condizioni lineari omogenee sullo spazio vettoriale di dimensione n + 1 di tutte le equazioni in n + 1 incognite αi sul campo K. I

punti sono indipendenti se, e solamente se, tali condizioni sono linearmente indipendenti.

Esempio 22. Consideriamo lo spazio affine AG(4, R) e supponiamo che si

vogliano determinare le equazioni del sottospazio B passante per i punti P0=(2, 2, 0, 0)T P1=(0, −2, 2, 0)T

(8)

Per quanto visto prima, dobbiamo studiare il sistema Aξ= 0 (5) ove A=     2 2 0 0 1 0 −2 2 0 1 1 0 1 0 1 2 1 −1 1 1     , ξ=       α1 α2 α3 α4 α0       .

Svolgendo i calcoli, si ottiene che una base per lo spazio delle soluzioni di (5) è data dall’insieme

{(−1, 1, 1, 2, 0), (−3, 1, −1, 0, 4)}.

Tale insieme corrisponde ad un insieme di generatori per l’annullatore del-l’insieme {P0, P1, P2, P3}. Questo significa che le equazioni del sottospazio B

saranno

−x + y + z + t = 0 −3x + y − z = −4

Osserviamo che i 4 punti assegnati non sono indipendenti, in quanto dimB = 4− 2 = 2. Avremmo potuto notare quest’ultimo fatto anche scrivendo B in forma parametrica come nella (4). Infatti il punto generico diB ha coordinate

    x y z t     = P0+ β1(P1− P0) + β2(P2− P0) + β3(P3− P0) =     2 2 0 0     + β1         0 −2 2 0     −     2 2 0 0         + β2         1 0 1 0     −     2 2 0 0         + β3         2 1 −1 1     −     2 2 0 0         =     2 2 0 0     +β1     −2 −4 2 0     +β2     −1 −2 1 0     +β3     0 −1 −1 1     =     2 2 0 0     +(2β1+β2)     −1 −2 1 0     +β3     0 −1 −1 1     = =     2 2 0 0     + µ     −1 −2 1 0     + β3     0 −1 −1 1     .

Pertanto, i punti diB dipendono da solamente 2 parametri indipendenti e, conseguentemente, la dimensione della giacitura risulta essere proprio 2.

(9)

Osserviamo che, nel caso affine, non vi è simmetria fra lo spazio delle condizioni lineari (che ha dimensione n + 1) e lo spazio vettoriale soggiacente AG(n, K) (che ha dimensione n). Vedremo in seguito come ovviare a questo inconveniente.

Prima di concludere il presente paragrafo, osserviamo che se le equazioni di un sottospazio affineB sono quelle del sistema lineare (matriciale)

AX= B, (6)

allora i vettori w nella giacitura W diB sono tutti e soli quelli che soddisfano il sistema lineare omogeneo associato

AX= 0. (7)

Infatti, se P, Q sono due punti diB (in coordinate), allora AP = B e AQ = B; pertanto, posto P − Q = α(P, Q), si ha A(P − Q) = 0. Viceversa, se P è un punto diB e v un vettore tale che Av = 0, si ottiene

A(P + v) = AP + Av = AP = B,

da cui P + v ∈B. Osserviamo comunque che vi è una differenza fondamentale fra l’equazione (6) e l’equazione (7): la prima, infatti, lega fra loro le coordina-te di punti diB; la seconda consente di determinare le componenti di vettori di W, ove W è la giacitura diB stesso.

3

Cambiamenti di riferimento affine

Siano Γ = (O, B) e Γ0 = (O0,B0) due riferimenti affini per il medesimo

spazio AG(n, K). Sia P ∈ AG(n, K). Indichiamo con ^P il vettore colonna delle coordinate di P rispetto Γ e con ˜P il vettore colonna delle coordinate di P rispetto Γ0

. Osserviamo innanzi tutto che per ogni P ∈ AG(n, K) si ha α(O0, P) = α(O0, O) + α(O, P) = α(O, P) − α(O, O0).

Pertanto, chiamata T la matrice di cambiamento di base che ha per colonne i vettori della base B0 scritti come colonne rispetto la base B si ha

˜

P = T−1(α(O0, P)) = T−1(α(O, P) − α(O, O0)) = T−1P^− T−1O^0 Ove con ^O0 si sono indicate le coordinate di O0 rispetto il riferimento Γ .

In pratica, ogni cambiamento di riferimento affine ha la forma ˜

P = A^P+ B

ove A ∈ GLn(K) è la matrice di cambiamento di base da B a B0 e B è

un vettore colonna di Kn, contenente le coordinate della vecchia origine O rispetto il nuovo riferimento Γ0.

(10)

4

Affinità

Definizione 23. Sia(A, V, α) uno spazio affine Ogni trasformazione φ : A → A tale che

α(φ(P), φ(Q)) = ^φ(α(P, Q))

ove ^φ è una trasformazione lineare V → V è detta affinità di (A, V, α).

In generale, l’immagine di una affinità φ è un sottospazioB di A. Chiara-mente, se ^φ è invertibile, allora φ è una biezione.

Teorema 24. Siaφ:A → A un’affinità e supponiamo che B = {P + w : w ∈ W}

sia un sottospazio affine di AG(n, K). Allora

φ(B) = {φ(P) + w0 : w0 ∈ ^φ(W)}.

Dimostrazione. Sia Q ∈ B; chiaramente φ(Q) ∈ φ(B). Poiché φ(P) ∈ φ(B), abbiamo che

α(φ(P), φ(Q)) = ^φ(α(P, Q))

appartiene alla giacitura di φ(B); pertanto φ(W) ⊆ W0, ove W0 è la giacitura

di φ(B). Sia ora w0 ∈ W0. Allora il punto

Q0 = φ(P) + w0

appartiene a φ(B) e, conseguentemente, esiste un Q ∈ B tale che φ(Q) = Q0.

Pertanto,

w= α(φ(P), φ(Q)) = ^φ(α(P, Q)),

da cui si deduce W0 ⊆ φ(W). In particolare φ(B) è lo spazio passante per

φ(P) e parallelo a φ(W). La tesi discende ora dal Teorema 10.

Teorema 25. Siaφ una affinità di(A, V, α) e supponiamo che sia assegnato un riferimento affine Γ . Allora, posto X = (x1, x2, . . . , xn)T si ha in coordinate

φ(X) = AX + B

ove B = (b1, b2, . . . , bn)T è un vettore che dipende solamente da φ.

Dimostrazione. Sia A la matrice di ^φ e siano X, Y ∈A. Allora φ(Y) − φ(X) = ^φ(Y − X) = AY − AX

(11)

da cui

φ(X) = AX − AY + φ(Y). Posto Y = O e B = φ(O)

φ(X) = AX + B.

Osserviamo che una affinità invertibile si scrive in componenti rispetto un fissato riferimento esattamente come un cambiamento di riferimento affine. I due concetti però devono essere tenuti distinti:

1. un cambiamento di riferimento non altera le proprietà geometriche, ma semplicemente il modo in cui le coordinate di un punto sono calcolate; in particolare, un cambiamento di riferimento è una trasformazione Kn→ Kn(esso non agisce nemmeno sullo spazio vettoriale V sottostante la geometria affine in considerazione).

2. una affinità è una trasformazioneA → A che modifica i punti; inciden-talmente, le coordinate risultano alterate.

Teorema 26. Una affinitàφ di AG(n, K) è univocamente determinata dalle immagini di n + 1 punti P0, P1, . . . , Pnin posizione generale.

Dimostrazione. Poiché i punti P0, . . . , Pn sono in posizione generale, i vettori

bi = α(P0, Pi)

con 1 ≤ i ≤ n formano una base B del sottospazio vettoriale V giacitura di AG(n, K). Supponiamo esistano due affinità φ, ψ tali che

Qi = φ(Pi) = ψ(Pi).

Allora, in particolare

^

φ(bi) = ^ψ(bi),

e dunque ^φ = ^ψ. Sia ora R ∈ AG(n, K) e poniamo r = α(P0, R). Osserviamo

che

α(Q0, φ(R)) = α(φ(P0), φ(R)) = ^φ(r) =

= ^ψ(r) = α(ψ(P0), ψ(R)) = α(Q0, ψ(R));

pertanto, ψ(R) = φ(R) per ogni R ∈ AG(n, K) e, conseguentemente, φ = ψ.

(12)

5

Spazi euclidei

Definizione 27. Uno spazio affine(A, V, α) è detto spazio metrico se esiste una funzione d :A × A → R tale che, per ogni P, Q ∈ A:

1. d(P, Q) = d(Q, P);

2. d(P, Q) ≥ 0 e d(P, Q) = 0 se, e solamente se, P = Q;

3. d(P, Q) ≤ d(P, R) + d(R, Q).

Esempio 28. Sia(A, V, α) uno spazio affine e supponiamo che Γ sia un suo fissato riferimento. La funzione d :A × A → R data da

d(P, Q) =|{i : pi 6= qi}|

è una distanza. Essa è detta distanza di Hamming.

Definizione 29. Si dice spazio euclideo ogni spazio affine (A, V, α) ove V è uno spazio vettoriale euclideo (i.e. dotato di prodotto interno).

Indicheremo in generale lo spazio euclideo di dimensione n sul campo K con il simbolo EG(n, K). Ci limiteremo in queste note a considerare i casi

1. K = R e il prodotto interno è un prodotto scalare; 2. K = C e il prodotto interno è un prodotto Hermitiano.

In generale, ogni punto di EG(n, R) si può vedere come punto di EG(n, C); inoltre il prodotto Hermitiano di EG(n, C), ristretto a EG(n, R) è un prodotto scalare. Si dice pertanto che EG(n, R) è una sottogeometria di EG(n, C); vice-versa, si dice che EG(n, C) è la complessificazione di EG(n, R). Osserviamo comunque che EG(n, R) non è un sottospazio affine di EG(n, C).

Il significato della nozione sopra introdotta è che assegnato un ente in EG(n, R) può aver senso vedere come tale oggetto si comporti nel momento in cui lo si consideri nel più grande ambiente fornito da EG(n, C). Ad esempio, la curva reale di equazione

x2+ y2 = −1

non ha punti in EG(2, R), ma è studiabile in EG(2, C).

Definizione 30. Sia(A, V, α) uno spazio euclideo, e siano P, Q ∈ A. Si dice distanza euclidea di P da Q il numero reale positivo

(13)

Per le proprietà della norma, la distanza euclidea soddisfa la Definizione 27. Pertanto, ogni spazio euclideo è effettivamente uno spazio metrico.

Osserviamo che sottospazi affini di uno spazio euclideo sono automatica-mente spazi euclidei rispetto la struttura indotta.

Definizione 31. Sia B un sottospazio affine avente giacitura B e

conside-riamo P ∈ A. Si dice proiezione ortogonale di P su B il punto T ∈ B tale che

α(P, T ) ∈ B⊥.

Teorema 32. La proiezione ortogonale di P suB è unica.

Dimostrazione. Supponiamo che esistano due punti T, T0 B tali che t =

α(P, T ) e t0 = α(P, T0) siano entrambi in B. Allora

α(T, T0) = t0− t.

Poiché T, T0 B, si ha α(T, T0) ∈ B. D’altro canto t, t0 ∈ B, da cui α(T, T0) ∈ B.

Segue α(T, T0) = 0, da cui T = T0.

In generale, scriveremo la proiezione di P suB con il simbolo T = ΠB(P).

Teorema 33 (Teorema di approssimazione). Sia P ∈ A. Allora, per ogni B ∈B si ha

d(P, ΠB(P)) ≤ d(P, B).

Dimostrazione. La dimostrazione è analoga a quella del teorema di approssi-mazione per la proiezione di vettori su spazi vettoriali.

Lemma 34. Siano b e t due vettori diV. Allora, la proiezione ortogonale di t in direzione b è il vettore Πb(t) = ht, bi hb, bib. Dimostrazione. Abbiamo  tht, bi hb, bib, b  = ht, bi −||b||22ht, bi ||b||2 2 = 0.

Sia A uno spazio euclideo e Γ = (O, B) un riferimento affine. Per ogni punto P ∈B è possibile introdurre due diverse coordinate: possiamo infatti calcolare i coefficienti pi tali che

α(O, P) =X

i

(14)

b p1 p1 p2 p2 P b1 b2

Figura 1: Coordinate covarianti e controvarianti

esattamente come nel caso puramente affine, oppure possiamo determinare i valori pi= hα(O, P), bii hbi, bii = hΠbi(α(O, P)), bii ||bi||22

I valori pi sono detti coordinate controvarianti del punto, mentre i p i sono

detti coordinate covarianti.

Teorema 35. Siano P, Q ∈ EG(n, K) e supponiamo che per ogni i si abbia pi= qi. Allora, P = Q.

Dimostrazione. Per ipotesi,

0= pi− qi= hα(O, P), bii − hα(O, Q), bii = hα(O, P) − α(O, Q), bii .

Poniamo α(O, P) − α(O, Q) = h. Osserviamo che per ogni r ∈ V si ha

hh, ri =

n

X

i=1

rihh, bii = 0

Da ciò si deduce h = 0, cioè α(O, P) = α(O, Q). Conseguentemente, P = Q.

Definizione 36. Sia (A, V, α) uno spazio euclideo. Un riferimento affine Γ = (O, E) è detto riferimento euclideo se E è una base ortonormale di V.

Teorema 37. SiaΓ un fissato riferimento euclideo. Allora, per ogni punto P e per ogni indice 1 ≤ i ≤ n si ha

(15)

Dimostrazione. Sia E = {e1, . . . , en} una base ortonormale di V. Allora, per

ogni vettore t = α(O, P) si ha

t= n X i=1 ht, eii ei= n X i=1 piei. Segue pi = pi.

Definizione 38. Si dice coseno dell’angolo ϑ fra due vettori reali t, u il numero

cos ϑ = ht, ui ||t||2||u2||

.

Osserviamo che, per la disuguaglianza di Schwartz,

| cos ϑ| ≤ 1, per ogni ϑ.

6

Distanza fra sottoinsiemi

Dati un punto P e un sottospazio affineB ≤ A è possibile definire la distanza di P daB come

d(P,B) := d(P, ΠB(P)). (8)

Tale quantità è ben definita grazie al Teorema 32, che garantisce l’esistenza e unicità della proiezione ortogonale di P su B. Notiamo che d(P, B) = 0 se, e solamente se, P ∈ B. Per il Teorema 33 di approssimazione la (8) può riscriversi come

d(P,B) = min

Q∈Bd(P, Q). (9)

A partire dalla (9), possiamo introdurre la più generale nozione di distanza fra due sottoinsiemiB, C ⊆ A come il numero reale positivo

d(B, C) := min

B∈B C∈C

d(B, C).

Si noti che tale minimo esiste sempre, anche se non è detto che vi sia un’unica coppia di punti B ∈B e C ∈ C che lo realizza. In ogni caso abbiamo d(B, C) = 0 se, e solamente se,B ∩ C 6= ∅.

(16)

6.1

Distanza punto–iperpiano

SiaB un iperpiano di EG(n, R) Premettiamo una definizione.

Definizione 39. Sia ω un iperpiano di EG(n, K) e supponiamo che W sia la sua giacitura. Si dice direzione normale a ω il sottospazio vettoriale 1–dimensionale W⊥.

Fissiamo un riferimento ortonormale Γ = (O, B) e supponiamo che l’equa-zione diB rispetto a Γ sia

B : f(x) = α1x1+ α2x2+ · · · + αnxn− α0 = 0. (10)

Chiaramente il vettore n = (α1, α2, . . . , αn) è non nullo; inoltre esso

risul-ta perpendicolare a tutti i vettori della giacitura di B. Infatti, se w = (w1, . . . , wn) = α(R, Q) = Q − R con R, Q ∈ B, allora

hw, ni =X

i

αi(qi− ri) = (f(Q) + α0) − (f(R) + α0) = 0.

Pertanto n identifica una direzione normale aB.

Consideriamo ora un punto P avente coordinate P = (p1, p2, . . . , pn)

ri-spetto Γ . Vogliamo calcolare d(P,B); a tal fine determiniamo il vettore

v = α(P, ΠB(P)). Innanzi tutto, osserviamo che v deve essere parallelo a

n. Consideriamo dunque la retta` per P avente direzione n e calcoliamone l’intersezione Q conB; tale punto sarà proprio la proiezione ortogonale di P sul sottospazio. L’equazione parametrica di ` è

           x1 = p1+ tα1 x2 = p2+ tα2 .. . ... xn= pn+ tαn. (11)

Mettendo a sistema con f(X) = 0 si ottiene che il punto ΠB(P) deve avere coordinate corrispondenti alla soluzione in t di

α1(p1+ α1t) + α2(p2+ α2t) + · · · + αn(pn+ αnt) − α0 = 0. (12)

In particolare dalla (12) si deduce X

i=1n

(17)

da cui

t = −f(P) ||n||2 2

. (14)

Sostituendo la (14) nella (11) si ottengono come coordinate per v = α(P, ΠB(P)) rispetto a Γ vi = − f(P) ||n||2 2 αi.

Tenuto conto dell’ortonormalità di B, la norma di v è data da

||v||2 = v u u t n X i=1 v2 i = s f(P)2 ||n||4 2 X i α2 i = s f(P)2 ||n||2 2 .

Pertanto, si ottiene come misura della distanza

d(P,B) = |f(P)| ||n||2

. (15)

6.2

Distanza fra

2 rette e retta di minima distanza

Siano ora ` e m due rette di EG(3, R). Supponiamo che le rispettive equazioni parametriche siano date da

`:      x = p1− v1t y= p2− v2t z = p3− v3t m:      x= q1+ w1u y= q2+ w2u z= q3+ w3u.

Osserviamo che in componenti il vettore che congiunge un punto U di ` con un punto V di m è

V− U = Q − P + wu + vt. Dobbiamo minimizzare ψ(u, t) =||V − U||2

2. Un calcolo diretto mostra

ψ(u, t) = ||Q−P||22+2u hQ − P, wi+2t hQ − P, vi+u2||w||22+t2||v||22+2tu hv, wi . Calcolando il gradiente e sostituendo la definizione di V − U si ottiene

∇ψ = 2 (hV − U, wi , hV − U, vi) . (16)

Pertanto, la distanza minima si realizza quando V − U è ortogonale contem-poraneamente a ` e ad m. Distinguiamo ora due casi:

(18)

1. le rette ` e m sono parallele; allora, il sistema dato dalla (16) ha rango 1 e si trovano∞1 possibili soluzioni; geometricamente, si ha che per ogni

punto P ∈ ` passa un piano π ortogonale sia ad ` che ad m; l’intersezione di π con m è la proiezione di P su m e realizza la distanza minima; 2. le rette ` e m hanno direzione diversa; allora il sistema descritto dalla

(16) ha rango 2 e si trova un’unica soluzione in t ed u; geometricamente questo corrisponde ad osservare che vi è un’unica retta, diciamo n ortogonale sia ad ` che ad m e che le interseca entrambe; tale retta è detta retta di minima distanza.

7

Prodotto vettoriale

Sia ora V uno spazio euclideo 3–dimensionale dotato di prodotto scalare e B = (i, j, k) una sua base ortonormale orientata.

Definizione 40. Data una coppia di vettori v = (v1, v2, v3), w = (w1, w2, w3)

diciamo prodotto vettoriale di v e w il vettore ottenuto calcolando il seguente determinante formale v× w = i j k v1 v2 v3 w1 w2 w3 .

Teorema 41. Valgono le seguenti proprietà:

1. v× w = −w × v;

2. v× w = 0 se, e solamente se, v e w sono linearmente indipendenti; 3. v× w è ortogonale sia a w che a w;

4. ||v × w|| 2 = ||v||2||w||2| sin ϑ|, ove ϑ è l’angolo fra v e w mentre | sin ϑ| =

1− cos2ϑ.

Dimostrazione. Le prime due proprietà sono una diretta conseguenza delle proprietà dei determinanti.

Per quanto riguarda la terza, osserviamo che per ogni c = c1i+ c2j+ c3k

V, hc, v × wi = c1  i, i v2 v3 w2 w3  −c2  j, j v1 v3 w1 w3  +c3  k, k v1 v2 w1 w2  = c1 v2 v3 w2 w3 − c2 v1 v3 w1 w3 + c3 v1 v2 w1 w2 = c1 c2 c3 v1 v2 v3 w1 w2 w3 .

(19)

Come caso particolare c = v oppure c = w si ha la terza proprietà. Per quanto concerne la quarta proprietà, osserviamo che

||v||2 2||w||22− hv, wi 2 = (X i v2i)(X i wi)2 − ( X i viwi)2 = X i v2i X j w2j − (X i viwi)( X j vjwj) = X i,j v2iw2j −X i,j vivjwiwj = X i<j v2iw2j +X i v2iw2i +X i>j v2iw2j − X i<j viwivjwj+ X i v2iw2i +X i>j viwivjwj ! = X i<j v2iw2j +X i<j v2jw2i − 2X i<j viwivjwj = X i<j (v2iw2j − 2viwivjwj+ v2jw2i) = X i<j (viwj− vjwi)2 =||v × w||22.

Da questo segue la tesi.

In generale, il prodotto vettoriale non è invariante rispetto trasformazioni ortogonali. In effetti, vale il seguente teorema.

Teorema 42. SiaA una qualsiasi trasformazione lineare di V; allora, (Av) × (Aw) = (det A)(AT)−1(v × w).

Dimostrazione. Sia u∈ V un generico vettore. Innanzi tutto, osserviamo che

hAv × Aw, Aui =AT(Av × Aw), u . (17)

D’altro canto, per ogni u∈ V, si ha anche

hAv × Aw, Aui =

det   Au Av Aw  = det  A   u v w    = det A det   u v w  = h(det A)(v × w), ui . (18)

Siccome u è un vettore generico, deduciamo dalla (17) e dalla (18),

AT(Av × Aw) = det A(v × w) (19)

(20)

8

Isometrie

Definizione 43. Sia EG(n, K) uno spazio euclideo. Si dice isometria ogni

trasformazione affine ξ : EG(n, K) → EG(n, K) tale che per ogni P, Q ∈ EG(n, K) si abbia

d(P, Q) = d(ξ(P), ξ(Q)).

È immediato vedere che ogni isometria ξ deve essere una trasformazione invertibile; infatti, se ξ non fosse iniettiva, avremmo due punti P, Q con P 6= Q e ξ(P) = ξ(Q). Questo comporterebbe

0= d(ξ(P), ξ(Q)) = d(P, Q) 6= 0,

una contraddizione. In effetti possiamo dimostrare qualche cosa di più.

Teorema 44. Fissato un riferimento euclideoΓ , ogni isometria ξ di EG(n, K) si scrive come

ξ(X) = QX + B ove Q è una matrice unitaria.

Dimostrazione. Per il Teorema (25), ogni affinità (e quindi anche ogni isome-tria) si rappresenta in coordinate nella forma

ξ(X) = AX + B,

ove A è una matrice n × n. Osserviamo che per definizione di distanza euclidea

hX − Y, X − Yi =||X − Y||22 = ||ξ(X) − ξ(Y)||2

2 = hAX − AY, AX − AYi = hA?A(X − Y), X − Yi .

Pertanto,

hA?A(X − Y), X − Yi − hX − Y, X − Yi = h(A?A− I)(X − Y), X − Yi = 0

per ogni vettore X − Y ∈ V (ove V è la giacitura di EG(n, K)). Se ne deduce A?A− I = 0, ovvero che A è una matrice unitaria.

Teorema 45. Siano t, u due vettori reali eγ una isometria. Allora il coseno dell’angolo θ individuato da t e u coincide col cosendo dell’angolo individuato da ^γ(t) e ^γ(u). In particolare t e u sono ortogonali se, e solamente se, γ(t) e γ(u) lo sono.

(21)

Dimostrazione. Osserviamo che esiste una matrice unitaria A che descrive l’azione di ^γ sullo spazio vettoriale V; pertanto

h^γ(b), ^γ(u)i = hAb, Aui = hA?Ab, ui= hb, ui .

La tesi segue ora dalla definizione di isometria.

Definizione 46. Tutte le isometrie della formaξ(X) = AX+B in cui det A = 1 sono dette dirette; quelle per cui det A = −1 sono chiamate inverse.

8.1

Isometrie del piano

Si vogliono caratterizzare tutte le isometrie di EG(2, R). Utilizziamo il Teo-rema 44 e osserviamo che una matrice reale è unitaria se, e solamente se, essa è ortogonale. In particolare l’insieme di tutte le matrici ortogonali 2 × 2 è dato da quelle matrici

A=a11 a12 a21 a22  tali che a211+ a221 = 1, a212+ a222 = 1, (20) e a11a12+ a21a22 = 0. (21)

Dalla (20), vediamo che possiamo sempre trovare ϑ, ϕ ∈] − π, π] tali che

a11= cos ϑ, a12= sin ϕ, a21 = sin ϑ, q22 = cos ϕ

Pertanto, dalla (21) abbiamo

cos ϑ sin ϕ + sin ϑ cos ϕ = 0,

ovvero

sin(ϑ + ϕ) = 0.

Da quest’ultima relazione si deduce ϕ = −ϑ oppure ϕ = π − ϑ. Tenuto conto che

sin(π − ϑ) = sin ϑ, sin(−ϑ) = − sin ϑ e

cos(π − ϑ) = − cos ϑ, cos(−ϑ) = cos ϑ Si ottiene che la matrice A ha la forma

Rϑ =

cos ϑ − sin ϑ sin ϑ cos ϑ

(22)

oppure Mϑ = cos ϑ sin ϑ sin ϑ − cos ϑ  . Osserviamo che Mϑ = Rϑ 1 0 0 −1  .

ϑ

sinϑ cosϑ − sin ϑ cosϑ

Figura 2: Azione della matrice Rϑ

Forniamo ora una prima descrizione di alcune isometrie del piano:

1. una isometria del tipo τB(X) = X + B è detta traslazione di vettore B; tale

trasformazione lascia inalterata la giacitura di qualsiasi sottospazio affine di EG(2, R) e, per B 6= 0, è priva di punti fissi;

2. una isometria del tipo ρθ(X) = A1(θ)X è detta rotazione attorno l’origine

del riferimento. Essa per θ 6= 0 fissa solamente il punto O di coordinate (0, 0, . . . , 0). Osserviamo che, in generale,

A1(ϑ)A1(µ) = A1(ϑ + µ).

In particolare, tutte le rotazioni attorno l’origine del riferimento (equi-valentemente, tutte le matrici ortogonali 2 × 2 a coefficienti reali con de-terminante +1) sono un gruppo, il gruppo speciale ortogonale SO(2, R). 3. l’isometria σ(X) = 1 0

0 −1 

X è detta riflessione di asse x2 = 0. Essa

(23)

ϑ

sinϑ cosϑ

sinϑ

− cos ϑ

Figura 3: Azione della matrice Mϑ

Traslazioni e rotazioni sono isometrie di tipo diretto. Possiamo dimostrare ora che la generica isometria del piano si può sempre scrivere come composizione di un numero finito di traslazioni, rotazioni attorno l’origine e riflessioni rispetto l’asse x2 = 0. Infatti, consideriamo la generica isometria

ξ(X) = QX + B

Distinguiamo due casi:

1. se det Q = 1, allora esiste un ϑ tale che Q = A1(ϑ); pertanto possiamo

scrivere

ξ(X) = (τBσϑ)(X).

2. se det Q = −1, allora esiste un ϑ tale che Q = A1(ϑ)10 −10



; pertanto,

(24)

Definizione 47. Due isometrieβ e γ sono dette coniugate se esiste un’iso-metria δ tale che

β= δ−1γδ.

Usando la precedente definizione possiamo introdurre le nozioni di rotazione e riflessione arbitrarie.

Definizione 48. Si dice

1. rotazione ogni isometria coniugata ad una isometria della forma

ρθ = RθX,

con Rθ ∈ SOn(R);

2. riflessione ogni isometria coniugata a

σ(X) =1 0 0 −1

 X.

In particolare, una rotazione di un angolo θ attorno il punto P si scrive come

(τPρθτ−P)(X) = A(X − P) + P = AX + (I − A)P.

Teorema 49. Siaµ una riflessione. Allora, esiste una retta r tale che ∀P ∈ r,

µ(P) = P.

Tale retta è detta asse di µ.

Dimostrazione. Per definizione di riflessione, esiste una isometria γ tale che µ = γσγ−1. Poiché γ è una affinità invertibile, l’immagine della retta di equazione t : y = 0 secondo γ è a sua volta una retta, diciamo r. Per ogni P ∈ r abbiamo Q= γ−1(P) ∈ t; d’altro canto σ agisce come l’identità su t, per

cui

γσγ−1(P) = γσ(Q) = γ(Q) = P. La tesi segue.

Vale il seguente teorema.

Teorema 50. Siaµ una riflessione di asse r e sia P ∈ EG(2, R). Indichiamo con Q la proiezione ortogonale di P su r. Allora,

α(P, Q) = α(Q, µ(P)).

(25)

Dimostrazione. Innanzi tutto, osserviamo che Q ∈ r implica µ(Q) = Q. Scri-viamo ora µ = γσγ−1. Siano P0 = γ−1(P), Q0 = γ−1(Q). Per il Teorema 45,

ogni isometria preserva l’ortogonalità. Pertanto il vettore α(P0, Q0) = (p10, p20) è ortogonale al vettore e1 = (1, 0). Questo significa p10 = 0 e

^ σ(α(P0, Q0)) = (0, −p20) = −α(P0, Q0) = α(Q0, P0). Dunque α(µ(P), Q) = ^ µ(α(P, Q)) = ^γ^σ ^γ−1(α(P, Q)) = ^γ(α(Q0, P0)) = α(γ(Q0), γ(P0)) = α(Q, P). La tesi segue.

8.2

Isometrie dello spazio

3–dimensionale

Consideriamo ora il caso 3–dimensionale. Adatteremo le definizioni prece-dentemente viste.

Definizione 51. Una isometria della forma

ϕ(X) = A(X − B) + B

con A ∈ SO(3, R) è detta rotazione di centro il punto di coordinate B.

Teorema 52. Ogni matriceA ∈ SO(3, R) ammette 1 come autovalore. Inoltre, se A 6= I, la molteplicità di 1 come autovalore è 1.

Dimostrazione. La matrice A è reale ortogonale e di ordine dispari; pertanto essa ammette sempre almeno un autovettore reale con autovalore±1. D’altro canto, A, vista come matrice complessa risulta diagonalizzabile; ne segue che essa o:

1. ha tre autovalori reali di modulo 1 e il cui prodotto è 1; pertanto almeno uno di essi deve essere +1; se tutti e tre gli autovalori sono positivi, allora A è la matrice identica; se due sono −1, allora la molteplicità geometrica di 1 è 1.

2. ha un autovalore reale e due autovalori complessi coniugati della forma eiϑ e e−iϑ. Il prodotto di tali autovalori complessi è pari ad 1; per-tanto il restante autovalore reale deve essere 1; chiaramente esso ha molteplicità 1.

(26)

Conseguenza del teorema precedente è che esiste sempre uno uno spazio vettoriale V1 fissato da A.

Definizione 53. Siaϕ una rotazione non identica di centro B associata alla matrice A ∈ SO(3, R). Si dice asse di ϕ la retta passante per B e parallela a V1.

Teorema 54. Siaϕ una rotazione, r il suo asse e P ∈ r. Allora ϕ(P) = P.

Dimostrazione. Poiché P appartiene all’asse di ϕ si ha

P= B + v,

con v∈ V1. Ne segue,

ϕ(P) = A(P − B) + B = A(B + v − B) + B = v + B = P.

In generale si può dimostrare che ogni matrice di A ∈ SO(3, R) si può sempre scrivere come prodotto A = BCD di tre matrici della forma

B=   cos φ sin φ 0 − sin φ cos φ 0 0 0 1  , C=   1 0 0 0 cos θ sin θ 0 − sin θ cos θ  , D=   cos ψ sin ψ 0 − sin ψ cos ψ 0 0 0 1  .

I tre angoli (φ, θ, ψ) sono detti angoli di Eulero della rotazione. In particolare si ottiene

A=

cos φ cos ψ − sin φ sin ψ cos θ sin φ cos ψ cos θ + cos φ sin ψ sin φ sin θ

− cos φ sin ψ cos θ − sin φ cos ψ cos φ cos ψ cos θ − sin φ sin ψ cos φ sin θ

sin ψ sin θ − cos ψ sin θ cos θ

.

Euristicamente, la decomposizione A = BCD si dimostra facendo vedere che

1. ogni rotazione è univocamente individuata dal suo asse e da un angolo φ;

2. una direzione può descriversi mediante due angoli ψ e θ.

Le traslazioni sono definite nel caso 3–dimensionale esattamente come nel caso piano. Per quanto concerne le riflessioni, mostriamo direttamente cosa accade in dimensione n.

(27)

Definizione 55. Sia EG(n, C) uno spazio euclideo e supponiamo che π sia

un iperpiano fissato. Si dice riflessione di asse π la trasformazione affine µ che associa ad ogni P ∈ EG(n, C) il punto P0 determinato dalla seguente equazione

α(P, Ππ(P)) = α(Ππ(P), P0)

ove con Ππ(P) si è indicata la proiezione ortogonale di P su π.

Teorema 56. Ogni riflessione è una isometria.

Dimostrazione. Sia W ={w1, w2, . . . , wn−1} una base ortonormale della

gia-citura W di π e consideriamo il riferimento affine Γ = (O, B) ottenuto com-pletando W a base della giacitura di tutto lo spazio euclideo EG(n, K) me-diante un versore in wn ∈ W⊥. Chiaramente, µ fissa tutti i punti di π. Sia

ora P = (p1, p2, . . . , pn−1, pn)T ∈ EG(n, K) scritto in componenti rispetto il

riferimento fissato. Allora,

Ππ(P) = (p1, p2, . . . , pn−1, 0)T.

Pertanto,

α(P, Ππ(P)) = (0, 0, . . . , 0, pn)T

e dunque

P0 = Ππ(P) − α(P, Ππ(P)) = (p1, p2, . . . , pn−1,−pn)T.

Mostriamo ora che per ogni P, Q ∈ EG(n, K) si ha d(P, Q) = d(µ(P), µ(Q)). Infatti, passando in coordinate

d(P, Q)2 =||α(P, Q)||22 =||Q − P||22 = n X i=1 |qi− pi|2 = n−1 X i=1 |qi− pi|2+|pi− qi|2 =||µ(Q) − µ(P)||22 = d(µ(P), µ(Q))2.

La tesi è pertanto verificata.

9

Normali e assi

Teorema 57. Siano P, Q due punti fissati con P 6= Q. Allora, l’insieme di tutti i punti X ∈ EG(n, R) tali che d(P, X) = d(Q, X) è un iperpiano ω. Inoltre, il punto medio M di P e Q appartiene ad ω e il vettore α(P, Q) identifica la direzione normale ad ω.

(28)

Dimostrazione. Fissiamo un riferimento euclideo. Poiché

||α(P, X)||2

2 =||α(Q, X)||22,

passando in coordinate, e tenuto conto della bilinearità del prodotto interno di Rnsi ottiene n X i=1 (pi− xi)2 = n X i=1 (qi− xi)2, da cui si deduce n X i=1 ((pi− xi) + (qi− xi)) ((pi− xi) − (qi− xi)) = n X i=1 ((pi+ qi− 2xi)(pi− qi)) = 0.

In particolare, si vede che i punti di ω sono tutti e soli quelli che soddisfano l’equazione lineare n X i=1 xi(pi− qi) = 1 2 n X i (p2i − q2i);

ω è dunque un iperpiano. Se M è il punto medio fra P e Q, si ha

α(P, M) = α(M, Q),

da cui

d(P, M)2 =||α(P, M)||22 =||α(M, Q)||22 = d(Q, M)2, cioè M ∈ ω.

Sia ora W la giacitura di ω. Poniamo v = α(P, Q) = (q1− p1, . . . , qn− pn)T

e consideriamo due punti X, Y ∈ ω. Sia w = α(X, Y) = (y1−x1, y2−x2, . . . , yn−

xn)T ∈ W. Abbiamo hw, vi = n X i=1 (yi− xi)(qi− pi) = n X i=1 yi(qi− pi) − n X i=1 xi(qi− pi) = 1 2(p 2 i − q2i) − 1 2(p 2 i − q2i) = 0. Pertanto, α(P, Q) 6= 0 è un generatore di W.

(29)

Definizione 58. Si dice iperpiano assiale individuato da due punti P, Q ∈ EG(n, K) l’insieme di tutti i punti R ∈ EG(n, K) appartenenti all’iperpiano passante per il punto medio fra P e Q e avente direzione normale generata da α(P, Q).

Osserviamo che se K = R, per il Teorema 57, l’iperpiano assiale coincide con il luogo di tutti i punti equidistanti da P e da Q; quando K = C ciò però non è più vero.

In generale, comunque assegnato un iperpiano ω di EG(n, K) avente equazione

n

X

i=1

βixi = β0 (22)

è sempre possibile trovare un vettore

b= (β1, β2, . . . , βn)

tale che la giacitura di ω sia proprio lo spazio vettoriale

W={x ∈ V : hx, bi = 0}.

In effetti, possiamo scrivere anche le coordinate dei punti dell’iperpiano mediante prodotti interni, infatti l’equazione (22) si può sempre scrivere anche come

(x1, x2, . . . , xn, 1), (β1, . . . , βn,−β0) = 0.

10

Coniche

In questo paragrafo introdurremo la nozione di coniche come luoghi di punti in un piano euclideo EG(2, R).

Definizione 59. Siano

1. F un punto di EG(2, R), detto fuoco

2. ` una retta di EG(2, R) con F 6∈ `, detta direttrice; 3. e ≥ 0 un numero reale, detto eccentricità.

Una conica è l’insieme dei punti P ∈ EG(2, R) tali che d(P, F)

(30)

Definizione 60. Una conica è detta:

1. ellisse se 0 ≤ e < 1;

2. parabola se e = 1;

3. iperbole se e > 1.

Fissiamo ora un riferimento euclideo opportuno; possiamo supporre senza perdere in generalità che

1. la direttrice ` sia la retta x = 0;

2. il fuoco F abbia coordinate (k, 0);

3. il punto P abbia coordinate generiche (x, y).

Allora, la condizione diviene

e= d(P, F) d(P, `) =

p(x − k)2+ y2

|x| .

Elevando al quadrato si vede che tale condizione è equivalente a

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