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Comportamento della glicemia e qualità del sonno in bambini e adolescenti con diabete mellito tipo 1A.

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(1)

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

M

EDICINA

C

LINICA E

S

PERIMENTALE

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PEDIATRIA

Direttore: Prof. Giuseppe Saggese

COMPORTAMENTO

DELLA

GLICEMIA

E

QUALITA’

DEL

SONNO

IN

BAMBINI

E

ADOLESCENTI

CON

DIABETE

MELLITO

TIPO

1A

Relatori

Chiar.mo Prof. Giovanni Federico

Chiar.mo Prof. Giuseppe Saggese

Candidato

Dott.ssa Laura Gnesi

(2)

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

1.1 Diabete mellito tipo 1A: generalità pag. 5

1.2 Complicanze del diabete mellito pag. 7

1.3 Il sonno pag. 8

1.3.1 Sonno e qualità della vita pag. 20

1.4 Relazione tra sonno e diabete mellito pag. 20

CAPITOLO 2 - SCOPO DELLO STUDIO pag. 29 CAPITOLO 3 - PAZIENTI E METODI

3.1 Caratteristiche dei partecipanti allo studio pag. 30

3.2 Protocollo di studio pag. 31

3.3 Holter glicemico e monitoraggio continuo del glucosio pag. 33 3.4 Holter motorio-metabolico (Sensewear Armband) pag. 39

3.5 Analisi statistica pag. 43

CAPITOLO 4 - RISULTATI pag. 44 CAPITOLO 5 - DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

5.1 Discussione pag. 49

5.2 Conclusioni pag. 54

Abbreviazioni utilizzate nel testo pag. 59

(3)

RIASSUNTO

Il diabete mellito tipo 1 A è la forma più frequente di diabete in età evolutiva. Una forte associazione tra diabete e disturbi del sonno è stata recentemente descritta, ma in età evolutiva gli studi in merito sono ancora piuttosto scarsi. Lo scopo del nostro studio è stato quindi quello di valutare in un gruppo di bambini e adolescenti affetti da diabete mellito tipo 1A l’eventuale presenza di alterazioni in merito alla qualità del sonno e le relazioni di quest’ultime con l’andamento glicemico notturno. Tali dati sono stati poi confrontati con un gruppo di pazienti di controllo. Lo studio, attualmente in fase di prosecuzione, ha riguardato un gruppo di 18 bambini e adolescenti (4 maschi e 14 femmine, età media 12,8 anni) con durata media di malattia di 6,1 anni + 4,6 DS. Il gruppo di controllo include attualmente 9 soggetti sani (5 maschi e 4 femmine, età media 13,1 anni). Lo studio è stato eseguito applicando un holter glicemico ai pazienti per la valutazione in continuo dell’andamento glicemico e facendo indossare ai soggetti di entrambi i gruppi un holter motorio-metabolico per la valutazione del sonno. I parametri rilevati sono stati l’efficienza del sonno,

(4)

minuti di sonno profondo, la percentuale di sonno profondo, i minuti di iperglicemia e di ipoglicemia, la percentuale di tempo trascorso in iperglicemia e la percentuale di tempo trascorso in ipoglicemia. Confrontando i dati ottenuti nel gruppo dei pazienti con quelli osservati nei controlli l’analisi statistica ha messo in evidenza una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda l’efficienza del sonno risultata inferiore nel gruppo dei pazienti. L’analisi multivariata, eseguita nel gruppo dei pazienti, ha evidenziato come una condizione di scarso controllo glicemico venga significativamente associata ad alterazioni del sonno.

In conclusione il presente studio suggerisce che la valutazione del sonno dovrebbe quindi essere eseguita di consueto come parte integrante dell’inquadramento diagnostico del giovane diabetico e la sua ottimizzazione diventare un altro target terapeutico volto al miglioramento del controllo glico-metabolico.

(5)

1. INTRODUZIONE

1.1 Diabete mellito tipo 1A: generalità

Il diabete mellito tipo 1A (DM1A) rappresenta il 5 – 10% di tutti i casi di diabete mellito e oltre il 90% di quelli in età evolutiva (1).

Si tratta di una condizione nella quale la distruzione delle cellule beta-pancreatiche causa una deficienza insulinica; nel 1980 Eisenbarth propose il modello patogenetico, ancora oggi largamente condiviso, secondo il quale alla distruzione delle cellule beta concorre una componente genetica ed una ambientale. La prima risiede essenzialmente nella presenza di determinati aplotipi HLA, che nella nostra popolazione sono rappresentati da HLA DR3 - DQA1 0501 - DQB1 0201 e HLA DR4 - DQA1 0301 - DQB1 0302. La seconda componente è rappresentata da fattori ambientali che, alterando la funzione immunitaria, innescano la fase iniziale della distruzione delle cellule beta; tra i presunti fattori sarebbero inclusi virus come i coxsackievirus B4 (2), il citomegalovirus e il virus di Epstein-Barr (3) oltre ad inquinanti ambientali ed alcuni cibi.

(6)

L’anomala attivazione del sistema immunitario mediata dalle cellule T in pazienti suscettibili, conduce ad una risposta infiammatoria delle isole pancreatiche (insulite), cui si associa una risposta umorale responsabile della produzione anticorpale contro gli antigeni delle beta-cellule (4); la presenza degli anticorpi può precedere di anni o di decenni l’esordio clinico della malattia (5).

I marcatori di questo processo sono costituiti dagli autoanticorpi anti insulina, anti glutammico decarbossilasi (GAD-65) e anti tirosin-fosfatasi IA-2 e IA-2β (6). La continua distruzione delle beta-cellule pancreatiche conduce alla progressiva perdita della capacità secretoria insulinica che comporta, dapprima una ridotta tolleranza al glucosio, successivamente, quando oltre il 90% delle beta-cellule sono state distrutte, l’esordio clinico del DM1A. I sintomi classici di esordio del DM1A sono rappresentati da: poliuria, polidipsia, polifagia, nicturia, enuresi, perdita di peso, letargia, astenia, dolore addominale (1).

(7)

1.2 Complicanze del diabete mellito

Il DM1A è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattia cardiovascolare (CVD) (7). Questi pazienti infatti mostrano un rischio da 2 a 10 volte maggiore rispetto alla normale popolazione di insorgenza di lesioni aterosclerotiche (1,8) con conseguente aumento della morbilità e della mortalità per patologia coronarica, cerebrovascolare e vasculopatica periferica (8). Anche se tali complicanze si manifestano nei diabetici adulti, il processo di alterazione vascolare inizia molto prima (9,10); come evidenziato da studi autoptici l’aterosclerosi a livello endoteliale inizia nell’infanzia e progredisce rapidamente in presenza di fattori di rischio (11,12).

Le complicanze a lungo termine del DM1A si suddividono in micro e macrovascolari che sono, per la maggior parte, responsabili dell’incremento della morbilità e mortalità associate al diabete. Per quanto riguarda le microvascolari le conseguenze sono rappresentate dalla retinopatia diabetica, nefropatia diabetica e neuropatia diabetica. Le complicanze macrovascolari sono rappresentate da alterazioni vascolari

(8)

periferiche e cardiache. L’infanzia e l’adolescenza pertanto rappresentano un arco temporale durante il quale un’intensa educazione ed un attento trattamento possono prevenire o ritardare l’esordio e la progressione delle complicanze.

1.3 Il sonno

La regolazione del ritmo sonno veglia e le caratteristiche del sonno evolvono rapidamente durante il primo anno di vita ed ulteriormente maturano nel corso dell’età evolutiva. Poiché i neonati non hanno un ritmo circadiano, il sonno si distribuisce nell’arco delle 24 ore con brevi periodi tra un pasto e l’altro (13).

All’età di 2,5 – 3 mesi il ritmo circadiano compare e il sonno notturno diventa una componente sempre più importante (14). Tra 1 e 4 anni di età i bambini continuano ad avere dei brevi periodi di sonno durante le ore diurne al fine di realizzare le proprie esigenze di sonno (15); intorno ai 5 anni di età i periodi di sonno diurni cessano ed il sonno notturno nel

(9)

coricarsi sempre più tardi), ma tendono a permanere i risvegli notturni; i risvegli notturni sono comuni nel lattante e nel bambino in età scolare. Comunque i diversi modelli di ritmo sonno-veglia presentano un’elevata variabilità poiché influenzati da una complessa interazione tra processi biologici, fattori ambientali, comportamentali e sociali (16).

Nei bambini, gli orari dell’asilo e della scuola, le abitudini familiari, le esigenze dei genitori, la routine familiare, le abitudini culturali influenzano fortemente il sonno ed il ritmo sonno-veglia. Esistono inoltre anche differenze individuali legate all’assetto genetico.

La valutazione del sonno in età pediatrica si basa su indagini soggettive o oggettive.

I dati soggettivi provengono da diari del sonno o questionari debitamente compilati da personale sanitario o da interviste adeguatamente strutturate. I diari e i questionari hanno mostrato una buona correlazione con le misurazioni oggettive; tuttavia i diari non sono così accurati nella registrazione dei risvegli e i genitori talvolta possono non accorgersi del risveglio del bambino (17).

(10)

Esistono diversi questionari alcuni dei quali validati come il “Children’s sleep habits questionnaire” e il “Brief infant sleep Questionnaire” (18) che valutano elementi come l’ora di coricarsi, l’ora del risveglio mattutino, i risvegli notturni, la loro durata e la durata complessiva del sonno.

Una recente meta-analisi basata su metodiche soggettive di valutazione del sonno ne ha evidenziato le caratteristiche nelle varie fasce di età: la durata complessiva del sonno ha mostrato una relazione inversa con l’età, maggiormente evidente nei primi 6 mesi di vita (16) (Tab. I). I risvegli notturni e la difficoltà a riprendere sonno influenzano negativamente il

Tab. I Durata del sonno in base alle

diverse fasce di età (raccolta dati con metodica soggettiva). (16)

(11)

tempo complessivo e la qualità del sonno, mettendo in evidenza, sebbene non inequivocabilmente, un trend verso la riduzione dei risvegli notturni dalla nascita a 2 anni (16); il tempo di addormentamento non ha mostrato significativi cambiamenti in relazione all’età (19 minuti tra 0 e 2 anni e 17 minuti tra 3 e 12 anni); il più lungo periodo di sonno tra due risvegli ha mostrato un evidente trend all’incremento in relazione con l’età. (Tab. II)

Tab. II Variabili del sonno in

relazione all’età (raccolta dati con metodica soggettiva). (16)

(12)

Per quanto riguarda le metodiche oggettive per la valutazione del sonno queste sono rappresentate da: polisonnografia, video-polisonnografia e actigrafia.

La polisonnografia (PSG) rappresenta il ‘’gold standard’’ per lo studio del

sonno. Essa consente la registrazione contemporanea e in continuo per

tutta la notte dell’attività elettrica cerebrale durante il sonno mediante

elettrodi posti sulla volta cranica (elettroencefalografia) assieme a diversi

altri parametri necessari per la valutazione dei fenomeni fisiologici e

patologici che possono verificarsi durante il sonno. Per la valutazione dei

movimenti patologici prima dell’addormentamento o in corso di sonno sarà

indispensabile monitorare l’attività motoria degli arti coinvolti con sensori di

attività muscolare (EMG). In caso di pazienti con disturbi respiratori

durante il sonno risulta indispensabile registrare una serie di parametri

aggiuntivi: il flusso oro-nasale, l’attività della muscolatura respiratoria

attraverso la valutazione della circonferenza a livello toracico e

(13)

PSG può essere effettuata con sistemi fissi oppure portatili. Gli apparecchi

portatili hanno le stesse caratteristiche di quelli fissi, ma la registrazione

viene eseguita senza l’osservazione diretta del paziente e non è

necessario il ricovero.

La video-polisonnografia è un esame che combina all’acquisizione dei

segnali polisonnografici anche la registrazione di un video digitale

sincronizzato. Nonostante la PSG rappresenti la metodica di riferimento

ed esistano strumenti portatili utilizzabili a domicilio, essa ha lo svantaggio

di un’invasività relativamente elevata (19).

L’actigrafia si esegue utilizzando uno strumento, l’actigrafo, che normalmente ha la forma e la dimensione di un normale orologio da polso. Registra i movimenti corporei e li memorizza per lunghi periodi di registrazione (una settimana ed oltre). Oltre a questo è possibile registrare altri dati quali ad esempio la condizione di luce accesa o spenta o la temperatura corporea periferica. A differenza della polisonnografia permette solo di distinguere periodi di presenza di movimento da periodi di assenza di movimento. Valutando questi periodi nell’arco delle 24 ore,

(14)

l’actigrafo consente, come la polisonnografia, di stabilire la durata del sonno ed i risvegli durante la notte. Viene quindi principalmente impiegato per la valutazione dell’alterazione dei ritmi circadiani o come screening in pazienti con insonnia (19).

Durante la notte il soggetto attraversa una serie di cicli del sonno; in media in un soggetto che riposa per 8 ore, un intero ciclo si ripete per 4-5 volte. Ognuno di essi dura circa 90-110 minuti ed è composto da diversi stadi. Ogni ciclo del sonno è suddiviso in 2 grandi fasi: la fase non-REM (NREM) e la fase REM (21,21). Della fase NREM fanno parte quattro stadi che segnano il progressivo passaggio del soggetto dallo stato di veglia al sonno profondo. Lo stadio 1 (N1) è un periodo di transizione tra la veglia e il sonno vero e proprio, corrispondente in pratica all’addormentamento. Esso è caratterizzato da una netta diminuzione del ritmo alfa neuronale, tipica dello stato di veglia, dalla comparsa di attività teta, da una diminuzione del tono muscolare, anche se ci possono essere delle contrazioni improvvise (mioclonie ipniche fisiologiche), da movimenti

(15)

risveglio risulta ancora relativamente facile. Lo stadio 2 (N2) è un periodo di sonno leggero ed è caratterizzato dalla comparsa di complessi K e fusi del sonno (spindles), da un’ulteriore riduzione del tono muscolare e da un ulteriore innalzamento della soglia per il risveglio. Lo stadio 3 e lo stadio 4 vengono solitamente accorpati in un unico stadio (N3) sotto la denominazione di sonno ad onde lente (SWS) che rappresenta il periodo di sonno profondo. Durante il sonno profondo si ha un netto rallentamento del tracciato EEG con predominanza di attività delta e un’intensa sincronizzazione (sonno sincrono), i movimenti oculari sono assenti, il tono muscolare è basso e le funzioni vegetative (respirazione e battito cardiaco) appaiono molto regolari.

Dopo aver trascorso qualche minuto nello stadio 4 il tracciato dell’ EEG mostra un percorso inverso: il soggetto torna dapprima allo stadio 3, poi allo stadio 2 e successivamente si ha il passaggio alla fase del sonno REM (22,23).

La fase REM (Rapid Eyes Movements) compare quindi in genere dopo circa 60-90 minuti di sonno NREM e si caratterizza per la perdita dei ritmi

(16)

lenti e monotoni, tipici del sonno profondo, a favore invece della comparsa di un’intensa desincronizzazione dell’attività elettrica neuronale all’EEG, simile a quella tipica della veglia. Questa fase è caratterizzata dalla comparsa di movimenti oculari rapidi, da una maggiore attività cerebrale e da una completa atonia muscolare, con caratteristiche molto simili a quelle di una paralisi flaccida, associata tuttavia a cloni degli arti e turbe delle funzioni neurovegetative (sbalzi della pressione arteriosa, aumento della frequenza cardiaca con ritmo meno regolare, irregolarità e aumento della frequenza respiratoria). Durante questa fase inoltre si attua e si sviluppa gran parte dell’attività onirica. Per tutte le suddette caratteristiche il sonno REM è anche detto sonno paradosso o sonno attivo in quanto l’attività della corteccia cerebrale è molto simile a quella tipica della veglia.

Nel corso dell’intera notte si ha quindi un’alternanza di sonno NREM e sonno REM (4-5 cicli in media della durata di circa 90 minuti). La prima fase di sonno profondo (stadio N3) si manifesta nella prima ora dell’addormentamento e non si ripeterà più nella notte con uguale

(17)

sempre più lunghe e caratterizzate da una maggior attività onirica. Nella prima parte della notte prevalgono infatti gli stadi 3 e 4 (sonno profondo), mentre nella seconda parte della notte, verso le prime ore del mattino, prevalgono lo stadio 2 e la fase di sonno REM.

Da segnalare inoltre che con l’avanzare dell’età la quota di sonno REM, dopo aver raggiunto un picco intorno all’anno di vita, tende a diminuire in favore del sonno NREM. Questo è probabilmente dovuto alle diverse funzioni delle due fasi del sonno. Come precedentemente accennato, infatti, durante il sonno REM inizia e si sviluppa gran parte dell’attività onirica che è da considerare come un’operazione su base neurofisiologica che da un lato induce inibizione alla percezione di stimoli sensoriali esterni e dall’ altro procede ad un accumulo e memorizzazione delle informazioni già ricevute cui segue la loro elaborazione nel sogno. Il sonno REM inoltre determinerebbe un certo risveglio, dopo il sonno profondo, delle funzioni corticali. Nel feto e nel neonato durante il sonno REM incrementano i ritmi di sviluppo delle funzioni cerebrali con corrispondente, probabile, aumento della sinaptogenesi stessa che è alla base dell’ organizzazione

(18)

dell’esperienze, con conseguente formazione di mappe corticali e di schemi operativi nuovi. Pertanto il sonno REM non solo è coinvolto nelle funzioni cognitive vitali, come il consolidamento della memoria, ma è anche una componente integrante della crescita e dello sviluppo del sistema nervoso centrale. Verosimilmente queste e altre funzioni del sonno REM ne spiegano la particolare preponderanza quantitativa nella vita intrauterina e nel periodo neonatale.

La fase di sonno NREM, invece, ha un’importanza fondamentale nel recupero metabolico particolarmente nell’ ambito dei neuromediatori e le sue funzioni sono direttamente rapportabili alla durata della veglia precedente. Inoltre da essa sembra dipenda la funzionalità di molte sinapsi e soprattutto, stimolando l’uso di quelle insufficientemente attivate durante la veglia, le pone in una situazione di ‘’esercizio e rinforzo’’ onde evitarne lo scadimento funzionale e l’atrofia. Il mantenimento dell’omogeneità e della potenzialità delle capacità funzionali del cervello è quindi, molto verosimilmente, legato al sonno NREM. Inoltre il sonno ad

(19)

onde lente (stadi 3 e 4 del sonno NREM) appare essere quello più ristoratore.

Da quanto fino ad ora detto si evince quindi l’importanza di una buona qualità del sonno: il sonno profondo e la fase REM rappresentano il periodo di sonno in cui il nostro organismo si ‘’rigenera’’ maggiormente. Ogni fase e ogni stadio del sonno possono comunque essere influenzati sia in termini di durata che in termini di qualità da vari fattori come la mancanza di riposo, l’alimentazione, l’attività fisica, l’assunzione di farmaci e i disturbi del sonno.

Da segnalare che nell’uomo, in condizioni di normalità, lo stadio 1 rappresenta il 3-8 % del sonno totale, lo stadio 2 il 45-55 %, gli stadi 3 e 4 (sonno profondo) il 15- 20 % e la fase REM il 20-25 % del sonno totale (24).

(20)

1.3.1 Sonno e qualità della vita

La quantità e la qualità del sonno influenzano notevolmente la vita del paziente in età evolutiva, come evidenziato nella letteratura.

Correlazioni significative sono state evidenziate tra alterazioni del sonno e alterazioni comportamentali, sviluppo cognitivo, performance scolastica e rischio di infortuni (25,26).

Una scarsa qualità del sonno in età pediatrica può causare disturbi emotivi e comportamentali in età adulta e influenzare negativamente alcune funzionalità neurofisiologiche nell’adolescenza (27).

Altri studi hanno evidenziato una correlazione tra ridotta durata complessiva ed alterazioni del sonno e obesità (28).

(21)

La relazione tra diabete mellito tipo 2 (DM2) e sonno è da alcuni anni oggetto di discussione e il miglioramento della qualità e della quantità del sonno è stato associato ad un migliore controllo metabolico.

La deprivazione di sonno si è mostrata essere un fattore di rischio per una ridotta tolleranza al glucosio, incremento ponderale, insulino-resistenza, sindrome metabolica ed insorgenza di DM2 (29,30,31,32,33).

Secondo quanto riportato da Yaggi e collaboratori, una durata del sonno inferiore o uguale a 5 – 6 ore a notte espone ad un rischio doppio di sviluppare diabete rispetto a pazienti che dormono 6 – 8 ore per notte; tuttavia anche una durata di sonno eccessivo oltre le 8 ore è stata associata a lungo termine all’insorgenza di diabete (30), anche se l’eccessiva durata del sonno probabilmente può essere in relazione ad uno stile di vita sedentario a sua volta possibile concausa di diabete. L’apnea ostruttiva del sonno (OSA) rappresenta una possibile causa di alterazione della qualità e della quantità del sonno; è una condizione cronica caratterizzata da frequenti interruzioni del flusso nelle vie

(22)

respiratorie causato da episodi di collasso della vie aeree superiori durante il sonno.

Come stabilito da molti autori (31) il fattore di rischio più importante per le OSA è l’obesita; il 60 – 90% degli adulti con OSA è infatti sovrappeso (31). Il motivo di questa associazione risiede nel fatto che la distribuzione del grasso corporeo conduce a cambiamenti anatomici e fisiologici; in particolare risultano fondamentali in questo senso la riduzione del lume faringeo e l’aumento della collassabilità faringea dovute all’accumulo di tessuto adiposo. Inoltre giocano un ruolo fondamentale l’accumulo di grasso nell’ambito della muscolatura respiratoria con relativa debolezza e l’effetto massa esercitato da un addome globoso sul torace (31).

D’altro canto OSA può a sua volta predisporre all’incremento ponderale a causa dell’associazione con la deprivazione di sonno, sonnolenza diurna ed alterazioni metaboliche (31). Questa relazione sembra basata su alterazioni del tono del sistema simpatico, disregolazioni ormonali e alterazioni comportamentali.

(23)

Anche nei bambini e negli adolescenti la deprivazione di sonno e le alterazioni della sua qualità aumentano il rischio d’insorgenza di obesità. (32).

La difficoltà nell’addormentamento e nel mantenere il sonno aumenta di 2-3 volte il rischio di DM2 (2-34); Trento e collaboratori hanno dimostrato come in soggetti diabetici fossero significativamente maggiormente presenti le interruzioni del sonno ed i movimenti durante il sonno rispetto ai controlli (35).

In conclusione da quanto suddetto si evince la presenza di un circolo vizioso tra DM2, obesità e disturbi del sonno. Il DM2 è fortemente associato con l’obesità addominale ed entrambe le condizioni sono associate con OSA ed altri disturbi del sonno. Le alterazioni del sonno influenzano lo stato di veglia conducendo a stanchezza, inattività fisica, aumento dello stimolo della fame e incremento ponderale. OSA e la riduzione del sonno possono peggiorare il controllo glicemico nei soggetti con DM2, riducendo la tolleranza al glucosio ed aumentando l’insulino-resistenza.

(24)

Da un punto di vista fisiopatologico, seppure non ancora ben chiarito, il meccanismo che mette in relazione diabete e qualità del sonno sembra non essere una relazione lineare, ma una complessa rete multifattoriale neuroendocrino-metabolica (36) le cui componenti principali sono: l’attivazione del sistema nervoso simpatico, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la regolazione dello stimolo della fame ed il contributo del processo infiammatorio.

La relazione tra DM1A e sonno è stata recentemente studiata (37). I fattori non genetici che portano all’insorgenza del DM1A non sono del tutto chiariti e i disturbi del sonno non sembrano avere un ruolo “trigger” a differenza di quello che appare per il DM2.

Villa e collaboratori (38) hanno evidenziato come in bambini con DM1A, variazioni rapide dei livelli di glucosio ematico, indipendentemente dal valore assoluto, possano influenzare il sonno notturno causando risvegli; le variazioni glicemiche e lo scarso controllo glicemico in pazienti con DM1A influenzano quindi il ciclo sonno-veglia.

(25)

Pillar e collaboratori (37) hanno osservato in bambini con DM1A un trend verso la riduzione del tempo totale di sonno, un aumento del tempo di addormentamento ed un decremento dell’efficienza del sonno; inoltre gli stessi autori hanno dimostrato un’associazione tra ipoglicemia durante il sonno notturno e incremento dell’efficienza del sonno.

Il decremento rapido dei valori glicemici conduce ad un risveglio (così come l’incremento), mentre un decremento progressivo della glicemia comporta un sonno più efficace, con conseguenze potenzialmente pericolose.

L’ipoglicemia causa l’attivazione del sistema nervoso simpatico conducendo alla stimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e alla secrezione di cortisolo (39).

Chan e collaboratori (40) hanno evidenziato che lo scarso controllo glicemico del diabete causa ipersecrezione diurna di ormoni glucocorticoidi e altera la regolazione dell’ asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA).

(26)

A sua volta, l’iperattività dell’HPA si associa a una frammentazione del sonno notturno, un decremento del sonno ad onde lente ed un accorciamento della durata complessiva del sonno (41).

Jauch-Chara e collaboratori (42) hanno evidenziato come in pazienti con DM1A, rispetto ai controlli, fossero significativamente più elevati i livelli sierici notturni di GH, epinefrina e di ACTH, con una tendenza verso l’ipercortisolemia nella prima parte della notte.

Interessante notare che, nel suddetto studio, non si sono verificati episodi ipoglicemici, indicando una relazione tra elevati livelli di ormoni contro-regolatori e DM1A indipendentemente dagli eventi ipoglicemici.

È stato ipotizzato quindi che concentrazioni persistentemente elevate di glucosio e d’insulina possano essere responsabili di una stimolazione dell’attività della HPA e del rilascio di epinefrina (42).

Nei pazienti diabetici inoltre sono state riscontrate alterazioni del sonno, come una lieve riduzione della durata della componente ad onde lente e il verificarsi di un sonno riferito come “meno ristoratore” (42).

(27)

E’ probabile quindi che, come nel DM2, esista un circolo vizioso tra sonno e DM1A dove le variazioni glicemiche e l’iperinsulinemia conducono ad una risposta allo “stress”, che compromette la continuità del sonno notturno, la sua qualità e la sua architettura.

Questi disturbi notturni a loro volta influenzano la fase di veglia del ciclo sonno-veglia, conducendo a sonnolenza, riduzione dell’attività fisica e disregolazione dello stimolo della fame, rendendo pertanto difficile mantenere un ottimale controllo metabolico.

Inoltre, questo circolo vizioso può essere rafforzato dai comuni comportamenti tipici dello stile di vita occidentale, come dormire poco e ingerire un elevato numero di calorie.

In conclusione, nel DM1A lo scarso controllo e le escursioni glicemiche possono condurre a disturbi del sonno in termini di qualità e durata. Questo, a sua volta, induce sonnolenza diurna e pregiudica il controllo glicemico attraverso l’incremento di citochine infiammatorie che inibiscono l’uptake di glucosio nel tessuto muscolare e adiposo, aumentando la secrezione di ormoni controregolatori. Questi, a loro volta causando

(28)

insulino-resistenza e intolleranza al glucosio, contribuiscono ad aggravare ulteriormente il controllo glicemico. (Fig. 1) (43)

(29)

2. SCOPO DELLO STUDIO

Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare, in un gruppo di bambini e adolescenti affetti da DM1A esordito in età pediatrica, l’eventuale presenza di alterazioni della quantità e qualità del sonno rispetto a un gruppo di controllo e l’eventuale relazione di queste ultime con l’andamento glicemico notturno.

(30)

3. PAZIENTI E METODI

3.1 Caratteristiche dei partecipanti allo studio

Lo studio, ancora in fase di prosecuzione, ha fino ad ora riguardato 27 soggetti di cui 18 bambini e adolescenti con DM1A e 9 controlli (tabella III).

I

In particolare la malattia diabetica durava in media da 6,1  4,6 DS anni. Tutti i pazienti sono stati reclutati tra quelli seguiti presso la Sezione di

Tab. III Caratteristiche dei soggetti arruolati nello studio

---6,1 + 4,6

Durata media di malattia + DS (anni)

19,7 + 4,0 18,8 + 3,0 BMI medio + DS (Kg/m2) 159,4 + 5,4 153,8 + 11,4 Altezza media + DS (cm) 50,5 + 13,1 48,7 + 12,2 Peso medio + DS (Kg) 13,1 + 1,7 12,6 + 2,8

Età media + DS (anni)

5 M / 4 F 4 M / 14 F Sesso (M/F) 9 18 n° Controlli Diabetici Parametri ---6,1 + 4,6

Durata media di malattia + DS (anni)

19,7 + 4,0 18,8 + 3,0 BMI medio + DS (Kg/m2) 159,4 + 5,4 153,8 + 11,4 Altezza media + DS (cm) 50,5 + 13,1 48,7 + 12,2 Peso medio + DS (Kg) 13,1 + 1,7 12,6 + 2,8

Età media + DS (anni)

5 M / 4 F 4 M / 14 F Sesso (M/F) 9 18 n° Controlli Diabetici Parametri

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Medicina Clinica e Sperimentale, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Al momento attuale, il gruppo di controllo è costituito da 9 soggetti sani.

Tutti i pazienti eseguivano terapia insulinica multi-iniettiva sottocutanea se-condo lo schema basale-bolo, con la somministrazione di un analogo del-l’insulina umana a lento rilascio prima di coricarsi (Glargina o Detemir) as-sociato a boli pre-prandiali di analoghi ad azione ultrarapida (Lispro, Aspart o Glulisina).

Tutti i partecipanti e i loro genitori sono stati informati accuratamente sulle procedure e gli scopi dello studio ed hanno rilasciato il loro consenso informato.

3.2 Protocollo di studio

Sono stati esclusi dallo studio pazienti con accertati disturbi del sonno riferiti durante l’anamnesi e pazienti con scarsa compliance all’utilizzo dell’holter motorio-metabolico e/o dell’holter glicemico.

(32)

Ai pazienti è stato applicato un holter glicemico sull’addome ed è stato fatto indossare un holter motorio-metabolico (Sensewear Armband) sul braccio non dominante. Ai casi controllo è stato fatto indossare solo l’holter motorio-metabolico. Entrambi i dispositivi sono stati indossati per 7 giorni.

Tutti i soggetti sono stati invitati a seguire le proprie abitudini di vita continuando a effettuare il normale automonitoraggio glicemico, ma avendo cura di registrare tutti gli eventi quotidiani potenzialmente in grado di influire sull’andamento glicemico, per consentire un’adeguata interpretazione dei dati.

Pertanto è stata sottolineata ai pazienti l’importanza di registrare, su un apposito diario degli eventi, l’alimentazione per una valutazione dei carboidrati introdotti, l’attività fisica svolta, la terapia insulinica riportando anche la dose effettuata ed eventuali sintomi ipoglicemici.

In tutti i soggetti arruolati, pazienti e controlli, sono stati misurati il peso e l’altezza la mattina a digiuno ed è stato poi calcolato l’indice di massa

(33)

3.3 Holter glicemico e monitoraggio continuo del glucosio

Il monitoraggio continuo del glucosio (Continuous Glucose Monitoring, CGM) consiste nella rilevazione continua per più giorni, attraverso uno specifico sensore, dei livelli di glucosio in alcuni fluidi corporei. Al momento attuale gli unici modelli disponibili sul mercato sono basati su sensori che misurano la concentrazione di glucosio nel liquido interstiziale. Il monitoraggio continuo del glucosio permette di entrare più in dettaglio nelle dinamiche del controllo glicemico rispetto all’utilizzo del solo automonitoraggio. Quest’ultimo, infatti, fornisce esclusivamente informazioni puntiformi circa l’andamento glicemico nelle 24 ore. Il CGM invece fornisce un quadro dettagliato di ciò che succede anche tra una rilevazione glicemica e l’altra, permettendo una valutazione del grado di variabilità glicemica quotidiana (Fig. 2) (44,45). Come già accennato, le tecnologie attualmente disponibili per il CGM misurano i livelli di glucosio nel liquido interstiziale. In condizioni stazionarie, nel liquido interstiziale, i livelli di glucosio sono in equilibrio con quelli plasmatici; pertanto il

(34)

contenuto di glucosio interstiziale riproduce in maniera adeguata la glicemia, in un ampio spettro di valori di glicemia da 40 a 400 mg/dl. Al contrario, nelle fasi dinamiche, ossia in momenti di variazione glicemica, è necessario un certo periodo di tempo per raggiungere l’equilibrio tra i due compartimenti. Questo ritardo di tempo (lag-time) può variare tra 5 e 20 minuti da soggetto a soggetto e nello stesso soggetto. E’ quindi necessario sempre tenerne conto quando la glicemia cambia rapidamente e considerarlo un elemento fisiologico da gestire.

Al momento attuale i sistemi disponibili per la rilevazione del glucosio interstiziale usano un sensore ad ago-cannula impiantabile. I siti ottimali per l’inserzione del dispositivo sono la fascia addominale e l’alto gluteo. Il sensore è costituito da una cannula sottocutanea della lunghezza di pochi mm in teflon e un sistema di connessione che permette il collegamento con un registratore. Questo è un piccolo sistema ricaricabile che quando è connesso al sensore è in grado di raccogliere e registrare le informazioni di glucosio provenienti dal sensore. All’interno della cannula si trovano un

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(Glucosio-Ossidasi). In presenza di glucosio e ossigeno, la

glucosio-ossidasi genera una reazione ossidativa con produzione di una corrente di elettroni proporzionale ai livelli di glucosio. Un algoritmo trasforma la differenza di potenziale in valori di glucosio ogni 10 secondi. Ogni 5 minuti un valore di media viene inviato al registratore. In alcuni sistemi, il sensore è connesso a un trasmettitore, non a un registratore, che invia i dati in modo wireless a un monitor che mostra la glicemia in tempo reale.

(36)

Dopo l’inserimento nel sottocute il sensore richiede un tempo di 2 ore di stabilizzazione. Dopo queste 2 ore il sistema richiede l’inserimento di un valore di glicemia capillare, che permette al sistema di correlare il dato in corrente proveniente dal sensore con la glicemia del paziente, calibrandolo. Quanto più accurata sarà la calibrazione tanto più affidabile sarà la rilevazione del glucosio. Il sistema CGM richiede l’inserimento di almeno 3 calibrazioni nelle 24 ore. La calibrazione va fatta quando la glicemia è stabile, lo schema considerato ottimale è quello di una calibrazione prima dei pasti principali (colazione, pranzo, cena). L’utilizzo di più di 3 calibrazioni al giorno non aumenta l’affidabilità del sistema di monitoraggio della glicemia (46).

Il monitoraggio continuo del glucosio può essere attuato in due modalità: retrospettivo o real-time. Il monitoraggio retrospettivo viene definito anche professionale perché è essenzialmente orientato ad essere utilizzato dal medico in quanto non permette la visualizzazione da parte del paziente

(37)

monitoraggio tramite software specifici direttamente nell’ambulatorio del medico. Il monitoraggio retrospettivo fornisce una notevole quantità di informazioni che possono essere utilizzate dallo specialista per ottimizzare il controllo glicemico e la gestione della malattia.

A differenza di quanto avviene nel monitoraggio retrospettivo, in quello real-time il valore di glucosio viene visualizzato su un display per cui il paziente ha la possibilità di utilizzare il dato in tempo reale per modificare la terapia insulinica. Il monitoraggio real-time è quindi essenzialmente orientato al paziente, riportandosi alla sua capacità di interpretare i dati del glucosio in tempo reale quale base per la gestione e ottimizzazione del trattamento. Questo tipo di monitoraggio ha lo scopo generale di incrementare la capacità di autogestione del paziente che può osservare, in tempo reale, gli effetti dell’ insulina, del cibo e dell’attività fisica sui suoi livelli glicemici su cui può intervenire, modulando la terapia per limitare episodi d’ipo-iperglicemia (47,48).

In questo studio è stato esclusivamente utilizzato il monitoraggio glicemico continuo di tipo retrospettivo. I dati sulla glicemia notturna riportati sono

(38)

stati suddivisi in due fasce orarie: dall’addormentamento fino alle ore 3 (prima parte della notte) e dalle ore 3 fino al risveglio (seconda parte della notte).

(39)

3.4 Holter motorio-metabolico (Sensewear Armband)

L’holter motorio-metabolico (Sensewear Armband) è stato applicato a livello della parte dorsale del braccio non dominante, tra l’articolazione

della spalla e del gomito, con i sensori a contatto con la cute sovrastante il muscolo tricipite. A tutti i soggetti arruolati, pazienti e controlli, è stato chiesto di indossarlo continuativamente per 7 giorni, anche durante la

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del corpo e di svolgere la loro attività quotidiana, inclusa l’attività fisica, secondo il consueto stile di vita.

Lo strumento, mediante l’utilizzo di quattro sensori (sensore di dissipazione termica, sensori di risposta galvanica, sensore di temperatura cutanea, accelerometro a 2 assi) è in grado di identificare e quantificare in condizioni di ‘’free-living’’ alcuni parametri e segnali fisiologici del corpo: la temperatura cutanea (misura della temperatura della superficie cutanea), il calore dissipato (misura la frequenza di dissipazione del calore dal corpo), la risposta galvanica della cute (misura l’impedenza della pelle che riflette il contenuto idrico cutaneo e la costrizione o dilatazione dei vasi periferici), l’accelerazione (misura del movimento mediante accelerometro a due assi, longitudinale e trasversale, e sei canali) (49,50).

Tali segnali fisiologici vengono poi rielaborati tramite specifici algoritmi dai quali derivano informazioni sullo stile di vita: la posizione del corpo (in ortostatismo o in clinostatismo), il tempo speso sdraiati, il tempo speso in sonno, il numero totale di passi, il dispendio energetico totale (Kcal), il

(41)

spesa in attività fisica) e la durata e la quantificazione dell’attività fisica (intensità in METs) (51,52,53,54).

Per quanto riguarda la valutazione del sonno, tramite questo dispositivo, è possibile ottenere informazioni sul tempo e le caratteristiche del sonno. Nello specifico è stato possibile quantificare i minuti totali di sonno, i minuti di sonno leggero (equivalente alle fasi 1 e 2 del sonno), minuti di sonno profondo (equivalente alle fasi 3 e 4 del sonno), i minuti di sonno REM e l’eventuale frammentazione del sonno.

Inoltre è stato possibile ottenere informazioni sull’efficienza del sonno, il cui valore viene definito normale se >80%, che rappresenta la percentuale di durata del sonno rispetto al tempo medio trascorso in posizione sdraiata (50,55). Per l’elaborazione dei dati dell’holter motorio-metabolico è stata utilizzata la versione professionale del software dedicato Sensewear 8.0; il software recupera e salva i dati fisiologici e quelli relativi allo stile di vita raccolti dall’Armband, li organizza e li inserisce all’interno di grafici, potendoli esportare per ulteriori analisi. Inoltre il software consente di

(42)

integrare i dati dell’Armband con i valori glicemici registrati dall’holter glicemico (Fig. 4).

(43)

3.5 Analisi statistica

I dati sono stati espressi come media ± DS. Dopo avere verificato la distribuzione normale dei vari parametri, i confronti tra i gruppi sono stati effettuati con il test ANOVA, mentre i valori percentuali sono stati analizzati con il test del 2. La presenza di una relazione tra i vari

parametri studiati è stata analizzata con il test della correlazione multivariata. Un valore di “p” < di 0,05 è stato considerato significativo. L'analisi statistica è stata elaborata utilizzando il software JMP versione 10

(44)

4. RISULTATI

La tabella IV riassume i risultati dei parametri che valutano il sonno e l’andamento glicemico nel gruppo dei pazienti e dei controlli.

(45)

La valutazione della glicemia è stata eseguita solamente sul gruppo dei pazienti, mentre la valutazione del sonno è stata eseguita in entrambi i gruppi.

L’analisi dell’efficienza del sonno, cioè della percentuale del tempo di sonno effettivo rispetto al tempo notturno trascorso in posizione di riposo, è risultata significativamente inferiore (p=0,0021) nel gruppo dei pazienti rispetto ai controlli (Tab. IV).

Nel gruppo dei pazienti, l’analisi multivariata (Tab. V) ha messo in evidenza la presenza di una correlazione significativa ed inversa tra i minuti di sonno profondo e la percentuale di tempo trascorso in iperglicemia nella seconda parte della notte.

Altra relazione significativa ed inversa risulta quella tra i minuti di sonno profondo e il valore medio della glicemia nella seconda parte della notte. Tali correlazioni inverse sottolineano come la presenza di una condizione di iperglicemia determini una riduzione del sonno profondo.

(46)

Inoltre è stata evidenziata una correlazione diretta e significativa tra l’efficienza del sonno e l’ipoglicemia sia in termini di tempo percentuale che di minuti.

Altre correlazioni d’interesse emerse dall’analisi dei dati, seppure non statisticamente significative, sono: la relazione diretta tra minuti di sonno profondo e minuti di ipoglicemia che tende alla significatività senza raggiungerla; la relazione diretta tra i minuti di sonno profondo e la percentuale di tempo trascorso in ipoglicemia che si avvicina anch’essa ad un valore statisticamente significativo; la relazione inversa tra l’efficienza del sonno e la percentuale di tempo trascorso in iperglicemia; la relazione i

n v e r

inversa tra l’efficienza del sonno e il valore medio della glicemia. Tab. V Risultati: analisi multivariata nei pazienti (* p statisticamente significativa)

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Un altro dato interessante deriva dall’osservazione della qualità del sonno notturno nei pazienti e nei controlli che suggerisce come i pazienti diabetici presentino un’attività motoria maggiore e un sonno più frammentato rispetto ai controlli.

Tale incremento dell’attività motoria è stato valutato mediante il sensore di accelerazione con riscontro di movimenti degli arti, in assenza di assunzione della stazione eretta e di attività deambulatoria, escludendo quindi i risvegli dovuti alla necessità di urinare in seguito alla presenza di un’iperglicemia marcata (Fig. 5 e Fig. 6).

(48)

v v v v v v v v

Fig. 5 Andamento del sonno in un soggetto sano: notare la assenza di attività motoria

Fig. 6 Andamento del sonno in un soggetto diabetico: notare la presenza di attività motoria v v v v v v v v v v v v v v v v

(49)

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

5.1 Discussione

Dati sempre più consistenti in letteratura hanno messo in evidenza una possibile relazione tra diabete mellito e sonno (34,35).

E’ stata ipotizzata la presenza di un circolo vizioso tra DM2, obesità e disturbi del sonno. In particolare, il DM2 è associato con l’obesità addominale ed entrambe le condizioni sono associate ai disturbi del sonno che, conducendo a uno stato di veglia alterato, possono indurre stanchezza, inattività fisica, aumento dello stimolo della fame e incremento ponderale. Il meccanismo che mette in relazione diabete e qualità del sonno sembra non essere una relazione lineare, ma una complessa rete multifattoriale neuroendocrino-metabolica (36) di cui fanno parte il sistema nervoso simpatico, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la regolazione del centro dell’appetito e il processo infiammatorio cronico che caratterizza l’obesità e il DM2.

(50)

La relazione tra DM1A e sonno è stata di recente studiata e in merito alla età pediatrica i dati sono ancora piuttosto scarsi; tuttavia da essi emerge come una relazione tra diabete e alterazioni del sonno nel bambino possa realmente sussistere.

In bambini affetti da DM1A è stata osservata (37,38) una correlazione tra risvegli notturni e variazioni rapide dei valori di glicemia. Inoltre, è stata riportata la presenza di una tendenza complessiva alla riduzione del tempo totale di sonno, con difficoltà all’addormentamento e una riduzione dell’efficienza del sonno (37).

Recentemente, in pazienti diabetici con scarso controllo glicemico, è stata dimostrata la presenza di un’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con ipersecrezione di glucocorticoidi (40), associata a eccessiva frammentazione del sonno notturno (41). Infatti le variazioni glicemiche e l’iperinsulinemia, tipiche del diabete mellito, conducono a una risposta allo “stress”, che compromette la continuità del sonno notturno, la sua qualità e la sua architettura.

(51)

I dati del presente studio dimostrano, in accordo con quanto riportato da altri (35,37,38), una relazione tra alterazioni glicemiche e qualità del sonno. In particolare, i soggetti con DM1 hanno un’efficienza del sonno significativamente inferiore rispetto ai controlli. Questo parametro, cioè il rapporto tra tempo di sonno effettivo e tempo trascorso a letto, è stato utilizzato in diversi studi come espressione della qualità del sonno.

Nell’ambito dei pazienti è stata eseguita l’analisi multivariata confrontando le diverse variabili espressione del controllo glicemico e della qualità del sonno; anche in questo caso una condizione di scarso controllo glicemico viene significativamente associata ad alterazioni del sonno.

Nello specifico l’efficienza del sonno correla significativamente con il tempo trascorso in ipoglicemia in termini di tempo assoluto e di percentuale sul totale; tale aspetto risulta interessante non solo perché conferma la relazione tra diabete ed alterazioni del sonno, ma pone il paziente diabetico in una situazione di pericolo, contribuendo ad una condizione di ipoglicemia severa nel bambino.

(52)

A questo proposito alcuni recenti studi (56,57) hanno suggerito come il sonno inibisca la risposta ormonale controregolatoria all’ipoglicemia.

Altra relazione statisticamente significativa, ma inversa, risulta quella tra i minuti di sonno profondo e la percentuale di tempo trascorso in iperglicemia, cioè maggiore è il tempo trascorso con valori glicemici elevati e minore è la quantità di sonno profondo.

Come precedentemente detto il sonno profondo risulta d’importanza fondamentale nel recupero metabolico particolarmente nell’ambito dei neuromediatori; quindi la carenza di sonno profondo può associarsi a sonnolenza diurna e pregiudicare il controllo glicemico attraverso il rilascio di citochine infiammatorie, inibenti l’uptake di glucosio, e l’aumento della secrezione di ormoni controregolatori (43).

Inoltre il nostro studio ha evidenziato una relazione inversa statisticamente significativa tra i minuti di sonno profondo ed il valore medio della glicemia notturna, evidenziando come non solo le alterazioni rapide dei valori glicemici come già documentato in letteratura (37,38), ma anche il valore

(53)

assoluto possa giocare un ruolo determinante nel causare alterazioni del sonno.

Interessante notare come le relazioni statisticamente significative tra quantità/qualità del sonno e andamento glicemico facciano riferimento ai dati inerenti la seconda parte della notte, mentre nella prima parte della notte questa relazione non sussiste in maniera significativa. Ciò a nostro avviso potrebbe essere imputabile al cosiddetto ‘’effetto alba’’, una condizione di iperglicemia che si verifica nelle prime ore del mattino, frequente in età pediatrica e dovuta all’attivazione di ormoni controregolatori (cortisolo, adrenalina, GH, IGF-1). Com’ è noto l’effetto alba è reso più marcato in età pediatrica per la presenza di ormoni della crescita e di altri ormoni legati allo sviluppo sessuale secreti in misura maggiore in questa parte della notte.

Recentemente tra i parametri espressione della qualità del sonno è stato individuato l’attività motoria notturna intesa come movimenti effettuati in posizione di riposo (35). Secondo Trento e collaboratori (35) tale parametro è presente con frequenza significativamente maggiore in

(54)

pazienti con DM2 rispetto a controlli sani. In linea con quanto suddetto il nostro studio ha evidenziato come il sonno nei pazienti diabetici sia caratterizzato da una maggiore attività motoria e quindi da un sonno più frammentato e disturbato rispetto ai controlli.

5.2 Conclusioni

Il nostro studio evidenzia una correlazione tra scarso controllo glico-metabolico e alterazioni della quantità/qualità del sonno in soggetti diabetici in età pediatrica. L’efficienza del sonno, risulta significativamente ridotta nei diabetici rispetto ai soggetti sani ed è associata significativamente al tempo di ipoglicemia notturna. Il tempo di sonno profondo, responsabile di un riposo maggiormente ristoratore, è negativamente influenzato dal tempo notturno trascorso in iperglicemia.

L’associazione tra efficienza del sonno e ipoglicemia risulta interessante anche alla luce del potenziale pericolo a cui il paziente diabetico viene

(55)

Inoltre nei pazienti diabetici è stato osservato un sonno maggiormente disturbato, rispetto ai soggetti sani, caratterizzato dalla presenza di una maggiore attività motoria in assenza tuttavia di stazione eretta e attività deambulatoria.

I dati emersi dal presente lavoro di tesi risultano essere in linea con quanto evidenziato dai pochi studi presenti in letteratura in età evolutiva. La ricerca futura dovrà meglio investigare in merito ai meccanismi attraverso i quali il diabete e le variazioni glicemiche possano influenzare il ciclo sonno-veglia e viceversa.

Uno scarso controllo metabolico e le variazioni glicemiche conducono ad un cattivo riposo notturno in termini di durata e qualità, i quali a loro volta causano sonnolenza diurna e pregiudicano il controllo glicemico attraverso l’incremento del livello di ormoni controregolatori, a loro volta causa di insulino-resistenza e intolleranza al glucosio, aggravando ulteriormente il controllo glicemico.

La valutazione del sonno dovrebbe quindi essere eseguita di consueto come parte integrante dell’inquadramento diagnostico del giovane

(56)

diabetico e la sua ottimizzazione dovrebbe diventare un altro target terapeutico volto al miglioramento del controllo glico-metabolico.

Il recente sviluppo di metodiche sensibili e scarsamente invasive, come l’utilizzo dell’holter motorio-metabolico, ad oggi consente di studiare agevolmente le caratteristiche del sonno e di correlarle con i valori glicemici.

Nell’ ambito dell’inquadramento diagnostico del paziente diabetico quindi sarebbe auspicabile indagare in merito a sonnolenza diurna, abitudini di vita e caratteristiche del sonno, come dormire poco e ingerire un elevato numero di calorie; infatti un sonno disturbato, cattive abitudini di sonno e sonnolenza diurna possono influenzare i pazienti nella fase di veglia non solo dal punto di vista delle funzioni cognitive e psicologiche e delle performance intellettuali e scolastiche ma anche dal punto di visita del controllo glico-metabolico.

(57)

Da qui l’importanza anche di una terapia educazionale/comportamentale ed una collaborazione tra pediatra diabetologo, neuropediatra e personale scolastico.

Potremmo dedurre quindi che uno stile di vita sano, con una scelta appropriata dei cibi e con il regolare svolgimento di attività fisica, associato a un sonno di buona qualità e durata possano ottimizzare il controllo metabolico in pazienti con DM1A.

Uno stile di vita sano, infatti, riduce l’attivazione del sistema nervoso simpatico regolando la secrezione degli ormoni controregolatori, dell’ insulina, della leptina e delle citochine proinfiammatorie.

Inoltre la diagnosi e il trattamento dei disturbi del sonno, come la presenza di apnee notturne, potrebbero potenzialmente aumentare la qualità della vita e migliorare il controllo metabolico nei pazienti con diabete mellito tipo 1A.

D’altro canto, il miglioramento del controllo glico-metabolico, può quindi migliorare la qualità del sonno rinforzando un circolo virtuoso tra qualità della vita, sonno e controllo glico-metabolico.

(58)

Il pediatra diabetologo ha quindi l’onere di cercare di rendere quanto più possibile il bambino/adolescente e la sua famiglia, aderente alla terapia insulinica e comportamentale, al fine di consegnarlo alla vita adulta e al diabetologo dell’adulto nel miglior stato di salute possibile.

(59)

Sonno ad onde lente SWS

Stadio 3 e stadio 4 del sonno N3

Stadio 2 del sonno N2

Stadio 1 del sonno N1

Non-rapid eye movement NREM

Rapid eye movement REM Elettrocardiogramma ECG Elettromiografia EMG Elettroencefalografia EEG Asse ipotalamo-ipofisi-surrene HPA

Apnee ostruttive del sonno OSA

Monitoraggio continuo glucosio CGM

Polisonnografia PSG

Malattia cardiovascolare CVD

Diabete mellito tipo 2 DM2

Diabete mellito tipo 1A DM1A

Sonno ad onde lente SWS

Stadio 3 e stadio 4 del sonno N3

Stadio 2 del sonno N2

Stadio 1 del sonno N1

Non-rapid eye movement NREM

Rapid eye movement REM Elettrocardiogramma ECG Elettromiografia EMG Elettroencefalografia EEG Asse ipotalamo-ipofisi-surrene HPA

Apnee ostruttive del sonno OSA

Monitoraggio continuo glucosio CGM

Polisonnografia PSG

Malattia cardiovascolare CVD

Diabete mellito tipo 2 DM2

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