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La relazione tra Diversification Strategy e Performance. Il caso: Tecnicomar S.p.a.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

LA RELAZIONE TRA

DIVERSIFICATION STRATEGY E PERFORMANCE.

IL CASO: TECNICOMAR S.P.A.

RELATORE

Prof. Silvio Bianchi Martini

CANDIDATA

Valeria Pipitone

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INDICE

Introduzione……….4

1. Le strategie di Diversificazione…………...6

1.1.Evoluzione Storica………12

1.2. Perché diversificare?...16

1.2.1. Teorie esplicative………20

1.2. 2. Misurare il grado di diversificazione………..25

1.3. La relazione tra strategia di Diversificazione

e Performance aziendali………..28

2. Il settore dei dissalatori………..…….36

2.1.

L’ “oro blu”………...36

2.2.

I numeri della dissalazione………..38

2.3.

La dissalazione on board……….45

2.3.1. Lo 5 forze di Porter applicate al settore dei

Dissalatori………48

3. Il caso: Tecnicomar S.P.A………...55

3.1.

Storia e Identità aziendale……….55

3.1.1. Le variabili dimensionali……….57

3.1.2. La Corporate Governance………60

3.2.

Il processo di Diversificazione….61

3.2.1.L’analisi delle risorse……….62

3.2.2. La crescita per adiacenze in Tecnicomar S.p.a….66

3.2.3. Il grado di Diversificazione del portafoglio prodotti…69

3.3.

Analisi della relazione Performance-Diversification Strategy..74

(3)

Bibliografia…………..94

INTRODUZIONE

Il successo di una strategia di diversificazione è stato sempre oggetto di dibattito. Come ogni strategia a livello corporate, le performance che si intendono

raggiungere non sono garantite.

Il management prima dell’attuazione di una strategia di diversificazione deve analizzare contestualmente le risorse a disposizione e la loro natura, le risorse da reperire , il proprio posizionamento competitivo nel settore attuale e l’attrattività del settore in cui si intende diversificare; in generale si presuppone un’ analisi sia delle opportunità che delle minacce interne all’azienda ed esterne ambientali.

Il seguente lavoro si suddivide in tre capitoli:

Il primo capitolo pone una riflessione sulle ragioni che spingono un’azienda a diversificare, partendo dall’analisi di questa strategia dagli anni ’50 anni in cui si è sviluppata fino ai giorni nostri.

In seguito sono stati messi in luce i possibili effetti di un percorso di diversificazione in termini di performance.

Se la propria strategia e le risorse sono replicabili in un altro settore, sfruttando il proprio posizionamento competitivo per una possibile crescita, l’azienda valuterà in positivo una strategia di diversificazione in business correlati al core perché ciò le

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consentirà di realizzare sinergie. In altre parole, l’azienda potrà godere di un forte posizionamento competitivo da poter sfruttare in un settore adiacente.

Se il core business presenta una bassa redditività e l’azienda ha un posizionamento competitivo debole, essa ricercherà un settore lontano dal proprio per diversificare il rischio di fallimento al quale è esposta.

Il secondo capitolo presenta un analisi del settore dei dissalatori, la cui particolarità è data dal suo tasso di crescita previsto in futuro, nonostante la maturità raggiunta dal prodotto stesso.

Si cerca di porre una riflessione sull’attrattività di questo settore, dovuta alla risorsa acqua, bene prezioso che sta scarseggiando sulla terra, per cui è previsto un aumento della popolazione che subirà il cosiddetto “stress idrico”. Ciò ha portato le imprese concorrenti ad ingenti investimenti per l’innovazione continua nelle tecnologie di sfruttamento dell’acqua del mare, la quale rappresenta il 97% di acqua sulla terra. Nel terzo capitolo si approfondisce il caso studio della Tecnicomar S.p.a., un’ azienda siciliana nata come ditta individuale divenuta società per azioni. Grazie a questa collaborazione è stato possibile analizzare lo sviluppo di questa azienda nel settore dei dissalatori e in un mercato competitivamente complesso come quello del Sud Italia, merito dell’intuito e dell’abilità del suo fondatore Francesco De Vita, che, negli anni 80, fu pioniere del dissalatore nel mercato Europeo.

Egli intraprese una strategia di sviluppo, con una Mission chiara, fin dalla fase di start-up: fornire soluzioni orientate al service enginering e al problem solving di alto target relativo alla produzione di acqua potabile in applicazione per uso nautico, civile e industriale.

Si ringraziano il Sales Manager Italy Giuseppe Mezzapelle e l’amministratore, nonché azionista, Laura De Vita per la disponibilità fornita nella stesura del caso studio della Tecnicomar S.p.a

.

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1.Strategie di diversificazione.

L’azienda è un’organizzazione costituita da persone e beni che, attraverso una serie coordinata di operazioni, mira al conseguimento di un determinato fine economico o ad assicurare un servizio.1 E’ un sistema sociale aperto, condizionato dall’ambiente in cui si muove.

Desidero iniziare la mia trattazione dal principio, cominciando per l’appunto con una definizione scontata per chi s’intende di economia aziendale, ma fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi argomentazione correlata tanto al concetto di azienda quanto al successo di questa.

Rappresenta un sistema sociale aperto, dunque un sistema influenzato da molteplici fattori, per poter realizzare gli obiettivi che essa stessa si propone di raggiungere - dopo aver scelto il mercato sul quale posizionarsi e i competitors coi quali confrontarsi - l’azienda è chiamata a decidere la propria strategia di business.

“Il successo aziendale alla cui spiegazione sono particolarmente interessati gli studiosi di strategia

non è il successo contingente, che poggia su condizioni esterne di particolare favore – come una domanda in forte sviluppo o l’accesso privilegiato a certe fonti di riferimento o il basso costo del lavoro e così via – prima o poi destinate a venir meno, né il successo che trova spiegazione in un vantaggio di prima mossa, destinato ad esaurirsi in un certo tempo; è bensì un successo dalle solide basi, riconducibile a fattori strutturali che hanno a che fare per l’appunto con la strategia dell’impresa, ossia con le sue scelte di posizionamento , di investimento e di accumulo di risorse e competenze”(V. Coda, Le determinanti del successo aziendale negli studi di strategia, Università Bocconi, Milano, 2002)2.

La strategia adottata dall’impresa è quindi l’insieme delle decisioni atte all’individuazione di obiettivi aziendali e tese a stabilire le politiche da implementare per il conseguimento di questi. Distinguiamo quindi la Business Level Strategy, ovvero la strategia competitiva volta all’ottenimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo e in un dato ambito, dalla Corporate Level Strategy, la strategia attraverso la quale l’azienda configura e coordina le proprie

1 Edizioni Simone - Vol. 40/1 Compendio di Organizzazione aziendale, pag.5 (http://www.simone.it/catalogo/v40_1.pdf)

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attività multimercato creando valore. La strategia di business che prevede la diversificazione del portafoglio prodotti di un impresa non riguarda solo la componente dimensionale.

The term "diversification" is usually associated with a change in the characteristics of the company's product line and/or market, in contrast to market penetration, market development, and

product development, which represent other types of change in product-market structure.3

In economia, la diversificazione viene associata a un processo di crescita dell’impresa, che può svilupparsi in modi differenti, mediante la concentrazione in un settore o per l’appunto nella

diversificazione in più settori, ritenendo non vi siano i presupposti per un’ulteriore crescita

all’interno del settore in cui già l’azienda opera.

La Matrice di Ansoff ( strumento classico del Marketing Management) consente di individuare quattro alternative per incrementare il proprio business, attraverso i prodotti esistenti o di nuova concezione, in mercati esistenti o nuovi.

PRODOTTO

MERCATO Attuale Nuovo

Attuale Penetrazione

del mercato Sviluppo del prodotto

Nuovo Sviluppo del mercato Diversificazione

. Fonte Pellicelli Giorgio, Strategie d’impresa, Egea, 2010, p. 291

Le quattro strategie previste sono:

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penetrazione di mercato (prodotto esistente, mercato esistente) effettuabile attraverso la

conquista di nuovi clienti, mediante campagne pubblicitarie e promozioni, o tramite l’acquisizione dei clienti dei propri competitors, da sottolineare è che non si può aumentare la propria quota di mercato all’infinito e spesso le aziende nascono e muoiono all’interno del proprio settore di origine;

sviluppo del mercato (prodotto esistente, nuovo mercato), implica l’imposizione di un

prodotto già esistente in un mercato ad un segmento diverso di consumatori, a livello geografico o di settore;

sviluppo del prodotto (nuovo prodotto, mercato esistente), tradotto in altri termini lo

sviluppo del prodotto comporta un’innovazione continua di questo o l’introduzione di un prodotto nuovo sul mercato ove l’azienda già opera, accrescendo la propria competitività;  diversificazione e sviluppo attraverso l’integrazione (nuovo prodotto, nuovo mercato),

comporta lo sviluppo di un nuovo prodotto e l’introduzione di questo in un nuovo mercato, tale strategia è caratterizzata da elevati investimenti associati ad alti rischi.

Le prime tre strategie, vengono definite da alcuni autori “strategie di sviluppo di 1 livello” , la diversificazione, invece, viene definita come una “strategia di sviluppo di 2 livello” proprio perché è la più rischiosa e la più ambiziosa, che richiede un cambiamento radicale nelle competenze e conoscenze del management.

Each of the above strategies describes a distinct path which a business can take toward future growth. However, it must be emphasized that in most actual situations a business would follow several of these paths at the same time. As a matter of fact, a simultaneous pursuit of market penetration, market development, and product development is usually a sign of a progressive,

well-run business and may be essential to survival in the face of economic competition.4

Secondo H. Igor Ansoff un’azienda orientata alla crescita dovrebbe percorre tutte e quattro le strategie sopracitate, ma desiderando soffermare l’attenzione alla solo strategia di diversificazione è d’obbligo menzionare i diversi tipi di diversificazione :

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 diversificazione orizzontale: l’impresa, negli stessi segmenti di mercato in cui opera, introduce nuove funzioni-tecnologie di prodotto molto diverse a livello tecnologico rispetto quelle attuali;

 diversificazione concentrica: le nuove combinazioni funzioni-tecnologie di prodotto sono complementari - sia a livello tecnologico che a livello commerciale - con quelle attuali, usufruendo dei risultati derivanti dalle sinergie prodotte;

 diversificazione conglomerale: comporta una crescita a livello dimensionale, ma senza che vi sia alcun legame con i prodotti attuali;

 diversificazione verticale: si ha quando l’impresa diventa cliente di se stessa, ovvero quando l’attività di impresa si estende a monte o a valle della catena del valore.

La diversificazione dipende dall’intento strategico di sfruttare un nucleo di risorse e di competenze a supporto di business diversi ma correlati. Mettendole a servizio di più applicazioni, le competenze si accrescono e si valorizzano, creando così circoli virtuosi (Hamel, Prahalad, 1994).5

E’ su questo presupposto che si inserisce il modello teorico di Zook, secondo il quale l’impresa tende a crescere in business che affiancano quello principale (Business Core).

La diversificazione, sempre secondo il modello teorizzato da Zook, può avvenire lungo sei direzioni, lungo le quali l’impresa può espandere il proprio raggio d’azione: area geografica, step della filiera, canali di distribuzione, segmenti della clientela, prodotti e business. La diversificazione si attua secondo la logica “dell’adiacenza”:

5 FrancoAngeli Edizioni – Assetti di governo e strategie nelle medie imprese. Un approfondimento sulle medie imprese quotate, di Pietro Genco e Lara Penco, pag.117

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Le diverse tipologie di adiacenza che si possono irradiare dal core business (Zook, 2003).

Attuare percorsi di crescita per diversificazione nelle adiacenze, consente all’impresa di avvantaggiarsi di tutte le correlazioni fra business di tipo tangibile, collegate alla condivisione sia di attività che di operazioni della catena del valore fra business diversi, e intangibile ovvero derivanti dall’ utilizzazione di risorse ed anche di competenze che, impiegate in business diversi ma correlati, si sviluppano creando un circolo virtuoso.

E’ necessario, in ogni caso, sottolineare il concetto sul quale poggia per intero la crescita per adiacenze, cioè il concetto di replicabilità, in altre parole la conoscenza di una formula ripetibile che conduca ad una crescita profittevole. Per avviare una strategia di crescita che abbia successo serve avere una formula replicabile in nuovi contesti, in nuovi business, in nuove aree geografiche, conoscere bene il cliente, avere un forte core business, mettere a fuoco le dinamiche competitive. La replicabilità può derivare da un’ approfondita conoscenza del “cliente”. Si può quindi:

 analizzare il sistema economico e le fonti di profitto relative al cliente: l’impresa deve studiare le determinanti di costo e di profitto dei clienti principali, comprendendo i driver economici del cliente;

 conoscere la disponibilità di spesa del cliente: se l’obiettivo è, proporre alla stessa base-clienti, prodotti o servizi nuovi bisogna conoscere quanto sono disposti a spendere,

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nell’ipotesi in cui si vogliono vendere prodotti strettamente connessi a quelli già venduti e si conosce bene il cliente, un’analisi di questo tipo risulta più semplice;

 comprendere il ciclo di vita degli acquisti del cliente: cercare una relazione tra gli acquisti così da poter sfruttare le opportunità di espansione;

 segmentare la clientela: attraverso la ricerca di nuove opportunità, vale a dire nuove aree geografiche o nuovi target di clienti.

Alcune delle migliori strategie di adiacenze si basano sul rafforzamento del core business.

La correlazione con un business forte consente all’impresa di generare valore espandendosi. Le aziende che hanno intrapreso con successo il percorso della crescita per adiacenze sono state capaci di trovare un buon equilibrio tra il core business e le nuove attività, facendo in modo che si raforzassero a vicenda. In genere, la presenza di legami economici tra l’attività principale dell’impresa e le nuove adiacenze incrementa le probabilità di successo.

L’analisi che conduce all’evidenziazione di fattori economici in comune tra le attività principali ed originarie e le nuove, passa per la determinazione delle caratteristiche simili fra le attività intraprese e quelle da intraprendere. Si cercano, quindi, risposte alle seguenti domande:

 Clienti: sono gli stessi o sono nuovi?  Competitor: sono quelli già affrontati o no?  Struttura dei costi: è la stessa o è differente?

 Canali distributivi: sono gli stessi o se ne usano dei nuovi?

 Singola risorsa: se il core business si basa sa una singola risorsa essa è indispensabile anche per la nuova attività?

Se le caratteristiche coincidono, allora la distanza fra l’attività principale e quelle secondarie è nulla; il buon risultato della strategia di crescita per adiacenza è inversamente proporzionale alla distanza dal core business.

La scelta delle adiacenze può dipendere dai profit pool, quest’ultimi rappresentano la ripartizione dei profitti fra le varie attività che compongono la catena del valore di un settore economico, e consentono di conoscere le possibilità di sviluppo di un settore, i profitti che questo genera e il tasso

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di crescita previsto. La scelta delle attività da intraprendere oltre il core business dipende dai profit pool, vengono scelte attività che generano profitti più elevati.

Inoltre, quando si decide di inserirsi in un mercato adiacente si deve considerare l’investimento iniziale e quello che sarà necessario nel proseguo per competere col leader di mercato. Le adiacenze, condividendo capacità con il core business, permettono di realizzare sinergie ed economie di scala, che comportano una gestione più efficace del legame fra le nuove attività e quelle preesistenti.

La letteratura sull’argomento “Diversification” è assai vasta, alcuni significativi modelli ed anche teorie sono stati esposti con l’intento di chiarire la complessità e soprattutto l’importanza delle strategie di diversificazione, che se ben condotte possono portare più di altre alla crescita dell’azienda.

Jack Welch, che è stato il più giovane CEO di General Electric, definito l’amministratore delegato del secolo dai più autorevoli professori di management americano, proferendo della sua ricerca di opportunità di crescita all’interno di un’azienda, ha dichiarato testuali parole: “espandersi in business adiacenti è il modo più facile per crescere. Quando un’organizzazione accetta la sfida di ridefinire continuamente i suoi mercati in modo da ridistribuire le sue quote, finisce per aprire gli occhi rispetto alle opportunità di crescita nei mercati adiacenti”.

1.1 Evoluzione storica.

In 1987, Michael Porter wrote of the failure of many corporate strategies: I studied the

diversification records of thirty-three large, prestigious U.S. companies over the 1950-1986 period and found that most of them had divested many more acquisitions than they had kept. The corporate strategies of most companies have dissipated instead of created shareholder value... By taking over companies and breaking them up, corporate raiders thrive on failed corporate strategies.6

La diversificazione inizia dopo la seconda guerra mondiale, negli anni ‘50, da parte delle grandi imprese che ne implementarono la strategia attraverso operazioni di acquisizione, diventando la scelta strategica preferita di moltissime organizzazioni commerciali negli USA, in Europa, in Asia e in altre parti del mondo industrializzato. Nel corso degli ultimi quattro decenni, quindi, manager ed economisti hanno cercato di comprendere la giusta formula capace di portare ad una “diversification” di successo.

Dal 1950 in poi lo sviluppo di principi di gestione e la formazione professionale dei manager ha condotto alla convinzione che la strategia di 6Harvard Business Review,, "From Competitive Advantage to Corporate Strategy", M.E. Porter, May-June 1987, page 43.

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diversificazione potesse avere successo solo se ad attuarla fosse un management con vaste e solide competenze, capace quindi di gestire con efficacia una vasta gamma di attività riguardanti più settori.

Durante la fine degli anni ’60 sono emersi con preoccupazione i limiti di queste teorie. I manager possono avere ottime competenze, approfondite soprattutto in campo finanziario legale e gestionale, ma non potranno mai conoscere la tecnologia di ciascun prodotto realizzato se troppo distante dal core business dell’azienda.

In quegli anni si è verificato un evidente calo di rendimento per tutte quelle società che avevano realizzato la diversificazione delle proprie attività operando su più mercati – indebolendosi - al punto da diventare oggetto di scalate ostili da parte di takeovers interessati ad acquisire per poter smembrare l’azienda, rivendendone singolarmente i diversi rami.

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Copyright of Academy of Management Executive is the property of Academy of Management, article Why diversify?

Four decades of management thinking, of Michael Goold and Kathleen Luchs, page 22

Nel corso degli ’70 i concetti di strategia e gestione strategica sono tornati all’attenzione della classe manageriale, che se ne è servita per scegliere la migliore allocazione di risorse all’interno di società multi-business. Furono sviluppate le matrici come strumento per la pianificazione del

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portafoglio. Fra le tante la matrice elaborata appunto dalla società di consulenza Mc Kinsey in collaborazione con la General Electric.

Fonte: (Sinatra, 2006)

La ASA della matrice vengono classificate in nove tipi, in base alla relazione tra il posizionamento competitivo di ciascun business e il grado di attrattività del settore stesso.

Con le crisi petrolifere e inflazionistiche e l’aumento dei tassi di interesse negli anni ‘70_’80 ,è stato difficile per le aziende conseguire rendimenti superiori al costo del capitale, conseguenza di ciò è stato il rallentamento della strategia di diversificazione. Da sottolineare che, nonostante il trend verso la deconglomerazione o la cessione di unità non correlate, la maggior parte delle imprese rimase diversificata.

Negli anni ’90 e a seguire si è cercato di ridare vigore al core business e nel contempo di attuare strategie che comportassero la scelta di un portafoglio di attività che potesse sfruttare eventuali sinergie. Si è affermato il concetto che le imprese intenzionate a diversificare dovessero sfruttare le

core competences per condurre diversi business. Quindi si fece strada l’idea che la diversificazione

di successo dipendesse dalla costruzione di un portafoglio di attività capace di adattarsi alla “managerial dominant logic" dei dirigenti aziendali e allo stile manageriale di questi .

"A dominant general management logic is defined as the way in which managers conceptualize the business and make critical resource allocation decisions—be it in technologies, product

development, distribution, advertising, or in human resource management."7

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1.2 Perché diversificare?

Quali sono i motivi per cui, tutt’oggi, un’ azienda decide di diversificare le proprie attività? Le motivazioni alla base di una strategia di diversificazione possono essere diverse e molteplici. Richiamando i concetti espressi da Edith Penrose - l’economista il cui contributo più significativo si sostanzia ne The Theory of the Growth of the Firm - gli incentivi alla crescita sono fra le principali cause giustificative della scelta di diversificare. Da distinguere gli incentivi esterni, ovvero le condizioni e le opportunità che l’azienda può cogliere nell’ambiente esterno, dagli incentivi interni , cioè condizioni favorevoli ad una crescita diversificata presenti all’interno dell’azienda stessa ( risorse e competenze spendibili per altri processi di produzione e quindi per bisogni espressi da altri mercati).

I motivi per cui diversificare possono essere di natura offensiva - derivanti da un eccesso di

capacità dell’azienda, avente risorse fondamentali sotto-utilizzate e desiderosa di sfruttarle

pienamente – o di natura difensiva, quando ci si rende conto che le capacità dell’azienda non si adattano alle esigenze del mercato in un cui si muove e diversificare vuol dire non solo crescere ma cambiare per non morire.

L’attuazione di un’efficace strategia di diversificazione viene vista, quindi, come un’opportunità di crescita della quale avvantaggiarsi quando si è in possesso di risorse che l’azienda può investire in settori ad alto potenziale di sviluppo. Quest’ultimo è il pensiero dell’economista Penrose, ma non quello di Robin Lapthorn Marris che, contribuendo notevolmente alla teoria dell’impresa attraverso l’elaborazione di un modello manageriale in condizioni di concorrenza imperfetta, sosteneva che prima di diversificare l’azienda dovesse raggiungere tassi di crescita ragguardevoli.

Sebbene, nella maggior parte dei casi, la diversificazione all’interno di un settore avvenga in modo fortuito e non all’interno di un piano preciso, con l’aumentare della sua complessità e dei suoi business di riferimento diventa necessario guidare l’espansione aziendale e l’adozione di scelte importanti all’interno dei diversi business.8

Ogni azienda si ritrova a dover valutare le modalità di competizione per ogni business da intraprendere, il proprio funzionamento e l’apporto di valore a livello complessivo; l’azienda dovrà avere una visione, quindi una previsione sulle future condizione del sistema, e formulare degli obiettivi intermedi da realizzare lungo il percorso di diversificazione e crescita che si è scelto. La suddivisione più importante fra le strategie di diversificazione che una qualsiasi azienda può scegliere di attuare è tra diversificazione correlata e diversificazione non correlata (o conglomerale). 8 McGraw-Hill Education, “Corporate Level Strategy”, David J. Collins, cap. 6 parte 2 pg. 141

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In una diversificazione correlata l’impulso è sinergico, la strategia di diversificazione si sviluppa attorno a una risorsa: stessi clienti, stessa tecnologia, stessa organizzazione, stesso know-how. L’impresa sceglie di diversificare in settori correlati se sa di poter avere un’importante posizione competitiva in un settore a bassa attrattività e nei settori in cui può sfruttare le competenze acquisite in precedenza.

Il vantaggio di una strategia di diversificazione correlata è la riduzione dei costi o l’azzeramento di questi mediante la grande correlazione fra le attività delle catene del valore. Una stessa risorsa viene utilizzata per produrre e distribuire il maggior numero di prodotti (economie di scopo).

Also, economies of scope, which exist when the cost of joint production is less than producing each output separately, might generate synergies. Additionally, synergy may be created if operations of the individual units complement one another, so there are benefits from offering consumers a complete line of products.9

Insigni economisti, come Raphael Amit e Joshua Livnat, pongono l’accento sulle economie di scopo e di riflesso sulle sinergie che queste creano. Sinergie, intese come effetti per i quali dall’attività simultanea di varie unità e funzioni dell’impresa scaturiscono risultati superiori alla semplice somma delle singole attività considerate separatamente. Ansoff è il primo ad introdurre il concetto di sinergia nella gestione strategica per spiegare il rendimento di una combinazione di risorse ed elementi rispetto alla somma dei rendimenti delle parti considerate singolarmente. Si definisce “strategic fit” ciò che si realizza quando le catene del valore fra più business sono similari tanto da consentire l’ uso della stessa tecnologia o delle stesse reti di distribuzione… In situazioni come queste, la diversificazione correlata è la scelta vincente, in quanto consente di realizzare con maggior probabilità un vantaggio competitivo rispetto a una diversificazione non correlata.

Prima di descrivere la diversificazione non correlata o conglomerale, va introdotto il concetto di ASA (Area Strategica d’Affari). L’ASA è costituita da una o più combinazioni prodotto/mercato/tecnologia e rappresenta un sottosistema aziendale strategicamente rilevante, con una propria specifica missione in termini di prodotti offerti e mercati serviti, opera in uno specifico sistema competitivo al quale offre uno specifico sistema di prodotto.

Ogni Area Strategia d’Affari ha all’interno del portafoglio una propria struttura organizzativa, una propria strategia competitiva, una propria catena del valore, dei propri clienti, aree geografiche e prodotti, un proprio conto economico, per questo può funzionare in modo autonomo e indipendente. Un’efficiente strategia di diversificazione correlata è una strategia multiAsa, il successo di questa dipende dalla gestione delle sinergie fra aree strategiche e quindi dal buon governo delle interrelazioni fra attività e fra business.

9 Strategic Management Journal, Vol. 9, 99-110 (1988), DIVERSIFICATION STRATEGIES, BUSINESS CYCLES AND ECONOMIC PERFORMANCE , of RAPHAEL AMIT and JOSHUA LIVNAT, page 100

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Catena del valore ASA 1 Catena del valore ASA 2

Figura 3. “scomposizione del business in attività generatrici di valore per comprendere i fattori critici di successo” Fonte: Porter, il vantaggio competitivo

La scelta di una diversificazione non correlata è dettata da un movente puramente finanziario. L’impresa entra in nuovi business radicalmente diversi rispetto all’attività originaria, e lo fa per ridurre il rischio specifico o perché il settore nel quale si è mossa fino a quel momento non permette una diversificazione correlata. È la strategia di diversificazione intrapresa da imprese che oltre ad operare in mercati aventi bassa attrattività, hanno anche un posizionamento competitivo debole.

(Levy and Sarnat)… Who argue that a firm should not diversify when there are no operating synergies because its market value does not increase by such diversification. Specifically, they contend that each investor may diversify according to his or her own assessment of the risks inherent to the individual businesses. Based on the capital asset pricing model (CAPM), there are no benefits to shareholders from diversification performed by firms rather than by individual shareholders. These arguments thus suggest that there are no financial benefits for non-synergistic diversification policies.10

Eminenti economisti, quali Levy e Sarnat, sostengono che un’azienda non dovrebbe diversificare quando non ci sono sinergie operative perché il suo valore di mercato non aumenterebbe in seguito a tale diversificazione. In particolare, essi ritengono che ogni investitore può diversificare in base alla propria valutazione dei rischi inerenti alle singole imprese. Per l’appunto, sulla base del Capital 10 Strategic Management Journal, Vol. 9, 99-110 (1988), DIVERSIFICATION STRATEGIES, BUSINESS CYCLES AND ECONOMIC PERFORMANCE , of RAPHAEL AMIT and JOSHUA LIVNAT, page 100

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Asset Pricing Model (CAPM), non ci sono più benefici per gli azionisti dalle diversificazioni svolte dalle imprese rispetto a quelle operate dai singoli azionisti. Questi argomenti suggeriscono quindi che non ci sono vantaggi economici per le politiche di diversificazione non sinergiche.

Generalmente l’azienda che attua una strategia di diversificazione non correlata cerca settori con maggior potenziale di sviluppo, così che investendo in questi possa ottenere un maggior rendimento del capitale, cercando la compensazione dell’andamento negativo di un settore con l’andamento positivo di un altro.

Accade che le imprese con poca liquidità, ma con un importante potenziale non adeguatamente sfruttato, vengono acquisite da altre che ritengono di poter creare valore aumentandone l’efficienza e migliorando la gestione dell’impresa acquisita. Dopo l’acquisizione generalmente il management viene sostituito e si interviene nella gestione dell’impresa acquisita, è possibile che vengano disinvestite le attività non produttive oppure che i guadagni dei manager dipendano dai risultati dell’impresa. L’azienda, così facendo, lungo la strada delle diversificazione si ritroverà un

portafoglio - prodotti senza legami tra loro. Nello scegliere la diversificazione, l’impresa deve

tener conto di diversi fattori:

 la redditività del settore in cui si è presenti e quella del settore in cui si intende diversificare;

 le prospettive di crescita futura, i costi e i benefici che ne conseguono;  la capacità del management di gestire un impresa multi-business.

Quindi, l’azienda può perseguire lo sviluppo per vie interne, ampliando la propria attività entro i confini dell’impresa, in altre parole servendosi delle proprie risorse interne , capacità e competenze per crescere presidiando nuovi settori, o acquisendo ciò di cui è manchevole. Tutto ciò può avvenire tramite diversificazione, integrazione verticale, aumento della capacità produttiva. Il vantaggio evidente è quello di avere un maggior controllo sulla strategia implementata, richiedendo allo stesso tempo ingenti risorse.

Fuori dai confini dell’impresa, perseguendo lo sviluppo per vie esterne, l’impresa con operazioni di acquisizione, con alleanze, joint venture, licensing o franchising, operazioni di M&A, inserisce nel proprio portafoglio-prodotti un bene la cui produzione appartiene ad un’altra impresa. Al prodotto acquisito attribuisce il proprio marchio e tale prodotto verrà venduto insieme agli altri dell’ azienda. Nella crescita per via esterne il maggior ostacolo è rappresentato dal processo di integrazione successivo all’operazione.

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1. 2.1 Teorie esplicative.

Il motivo principale alla base di una strategia di diversificazione, comunque, è il non ritenere conveniente investire nuovamente ed interamente le risorse generate nel settore di origine.

Montgomery classifica i motivi che spingono alla diversificazione11:  Power market view;

 Agency view;

 Resource based view.

Power market view.

Secondo questo approccio le imprese diversificate riescono a ledere la concorrenza, applicando

prezzi predatori in un mercato compensando poi con i profitti realizzati in un altro (sovvenzioni

incrociate) oppure attuando relazioni di “vendita reciproca” con i propri fornitori. Talune volte le aziende attuano pratiche di collusione con le concorrenti per mantenere un elevato livello dei prezzi altrimenti realizzano la strategia cosiddetta “bundling”- per estendere il potere monopolistico in attività correlate – vendono congiuntamente dei prodotti a un prezzo notevolmente inferiore.

Le operazioni di fusione o cooperazione tra due imprese rappresentano un modo per limitare l’ingresso al mercato di imprese minori, con l’intento di ridurre la concorrenza.

Il power market view, visto secondo quest’ottica sembra più un effetto della diversificazione che una causa della stessa. Se ci si basa su questa riflessione si desume una relazione positiva tra diversificazione e performance.

Agency view.

Secondo la prospettiva “Agency” la diversificazione si basa sulla relazione tra azionisti e manager (teoria dell’agenzia). Montgomery teorizza che i manager, tramite una strategia di diversificazione, cerchino di accrescere le proprie competenze manageriali. Come gli azionisti che riducono il proprio rischio di portafoglio con la diversificazione, i manager tentano di ridurre il rischio delle attività dell’impresa in modo da rendere più stabile la loro posizione alla dirigenza della società. I costi di agenzia che si generano dagli effetti di tali comportamenti opportunistici dei manager vengono compensati da disincentivi per gli stessi.

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Teece a questo proposito ha affermato che qualora i manager intraprendessero investimenti aventi tassi di rendimento per gli stakeholder al di sotto dei rendimenti di equilibrio di mercato, gli investitori sposterebbero i loro investimenti in imprese più redditizie. Il pericolo per i manager è l’estromissione da parte degli azionisti o acquirenti terzi in caso di acquisizioni ostili.

La prospettiva “Agency” anticipa quindi una relazione negativa tra diversificazione e valore dell’impresa.

Resource based view.

Le risorse generate dalla strategia di diversificazione si possono distinguere in:  Risorse specifiche

 Risorse generiche

La teoria evidenzia che le risorse che hanno delle caratteristiche tali da non poter essere trasferite con facilità da un’impresa all’altra (risorse specifiche, o “core skills” come le ha chiamate l’economista Rumelt), sono anche le più difficili da replicare e quindi possibile fonte di vantaggio competitivo nel mercato nel quale vengono utilizzate.

Secondo Teece il valore dell’impresa è da ricercare in queste risorse dalle quali è strettamente dipendente.

Consider, therefore, whether efficient employment of these resources is likely to involve multiproduct organization. Assume, furthermore that the excess resources are either indivisible or fungible, so that scope economies exist. 12

Le economie di scopo realizzabili non sono tutte uguali, se le risorse che danno origine alle economie di scopo sono tangibili, i benefici derivanti sono simili alle economie di scala ( maggiori all’aumentare del costo fisso associato alla risorsa).

Se la risorsa in esame è intangibile, si realizzano economie di scopo per l’uso della stessa in settori diversi, come il trasferimento in altri business delle abilità manageriali e delle capacità organizzative, che sono determinanti del successo di un impresa e possono garantirne un vantaggio.

Indivisible but non-specialized physical capital as a common input into two or more product. Indivisible specialized physical capital as a common input to two or more products.

Human capital as a common input to two or more products.

External Economics.13

12 University of California, • Towards an ECONOMIC THEORY of the Multiproduct Firm, David J. Teece, Journal of Economic Behaver and Organization 3 ;!982) 39-62;.North-Holland – page 48

13 University of California, • Towards an ECONOMIC THEORY of the Multiproduct Firm, David J. Teece, Journal of Economic Behaver and Organization 3 ;!982) 39-62;.North-Holland

(21)

Ebbene le risorse sopracitate ( specializzate e non ) consentono in ogni caso l’opportunità ad un’azienda di espandersi in altri settori oltre quello originario anche senza la realizzazione di economie di scopo. Ad esempio, nel caso degli input fisici indivisibili non specializzati, un’ impresa che vuole ottenere un dato prodotto, può acquistarlo sul mercato e così da non dover acquistare il macchinario per produrlo, oppure può produrlo con l’impiego di un macchinario che atto alla produzione di un eventuale secondo prodotto ad un costo totale inferiore rispetto a quello che sosterrebbe per produrre i beni separatamente ottenendo in questo caso economie di scopo -oppure infine può noleggiare la capacità inutilizzata ad un’altra impresa produttrice del secondo bene.

Dallo studio di Teece si evince che possono esserci risorse idiosincratiche che sono talmente radicate nell’impresa per cui la cessione sul mercato della capacità inutilizzata è molto difficile. E le cosiddette risorse immobili, cedibili in quanto meno specifiche, hanno dei costi di transazione alti poiché il mercato non riconosce a queste lo stesso valore che rivestono all’interno dell’azienda. Le risorse generiche, invece, non sono altro che capacità trasferibili a prodotti correlati, con il minimo sforzo finanziario.

Il merito di questa teoria sta nel riconoscere che ogni impresa ha un diverso livello ottimale di diversificazione, perché ognuna è diversa dall’altra.

Conseguentemente se ne deduce che le imprese con assets meno specifici massimizzeranno i loro profitti relativamente con alti livelli di diversificazione, e imprese con assets più specifici massimizzeranno i profitti con livelli di diversificazione più bassi.14

Secondo la resource based view, un’azienda che mira alla crescita del proprio profitto, diversifica quando possiede un eccesso di fattori produttivi ( risorse proprie).

L’espansione di un impresa potrebbe dipendere da un utilizzo più proficuo delle proprie risorse sottoutilizzate che è incentivo per potersi espandere in settori in cui questo surplus di risorse può conferirle un vantaggio competitivo.

Le risorse specifiche contribuiscono all’ottenimento di un vantaggio competitivo nel business d’origine, invece quelle generiche consentono lo sfruttamento in settori diversi. Ricapitolando, è necessario che una risorsa abbia un certo grado di specificità, ma che sia in qualche misura fungibile per consentire l’attuazione di una strategia di diversificazione.

(22)

Risk based.

In letteratura, la motivazione principale della diversificazione del portafoglio-prodotti è stata sempre la riduzione del rischio per gli stakeholder.

Però che la riduzione del rischio sia sempre stata l’unica causa della diversificazione ha scatenato diverse critiche.

In base agli studi condotti in finanza, gli azionisti, ricorrendo ad esempio ad un fondo comune di investimento, possono diversificare i propri portafogli di propria iniziativa e in maniera efficiente. Ma gli azionisti non sono gli unici stakeholders di un impresa.

I dipendenti di un’ impresa diversificata, in caso di crisi di un settore, possono essere ricollocati in attività di altri settori.

Un minor rischio per l’impresa rappresenta di riflesso un maggior valore di questa?

Dipendenti, clienti e fornitori potrebbero auspicare una riduzione del rischio dell’impresa, e se tramite la diversificazione il costo di riduzione del rischio è minore del beneficio che ne traggono gli stakeholders, il valore totale dell’azienda non dovrebbe patire alcuna riduzione.

Secondo la prospettiva del risk view la diversificazione viene incentivata dalle fluttuazioni della domanda che caratterizzano ciascun settore.

Se ne deduce che le imprese decidono di diversificare il proprio portafoglio prodotti alla ricerca di una stabilizzazione della loro performance complessiva.

Per concludere, non esiste una prospettiva valida in modo assoluto: non si può negare che un’impresa voglia diversificare per aumentare il proprio potere di mercato, o che siano i manager spinti da ambizioni o scopi personali a voler diversificare, così come non si può negare che alcuni

(23)

stakeholder siano desiderosi di ridurre il rischio o che un’impresa voglia diversificare per un migliore e più efficiente uso delle proprie risorse.

In ogni caso, la resource based view è l’unica fra le motivazioni addotte che indica come causa della diversificazione la creazione di valore in termini di vantaggio competitivo.

1.2.2 Misurare il grado di diversificazione.

Non esiste un solo metodo di misurazione del grado di diversificazione di un’impresa.

Certamente, il metodo più semplice consiste nel contare il numero dei prodotti offerti dall’impresa, ma ciò potrebbe non tenere in debita considerazione l’ “importanza” di ognuno di questi all’interno del portafoglio oltre che, potrebbe non evidenziare il grado di correlazione tra un prodotto e l’altro. Un diverso metodo consiste nel distinguere le produzioni principali da quelle secondarie, calcolando il peso di ciascuna, a seconda del fatturato, sul totale delle attività.

Le variabili da attenzionare nella misurazione sono:  numero dei settori in cui l’impresa è inserita;

percentuale di ogni settore sul totale dei settori in cui è inserita,  attinenza fra i diversi settori industriali.

A different measure of total diversification is based on the Entropy concept (Palepu, 1985), and is defined as:

DT = X^/n (1/5,)

where Sj is the proportion of consolidated profits made by segment j .15

Uno stralcio dell’articolo “Diversification Strategies, Business Cycles and Economic Performance” degli economisti Amit e Livnat, introduce l’indice di Entropia.

15 Strategic Management Journal, Vol. 9, 99-110 (1988), DIVERSIFICATION STRATEGIES, BUSINESS CYCLES AND ECONOMIC PERFORMANCE , of RAPHAEL AMIT and JOSHUA LIVNAT, page 102

(24)

L’indice di Entropia, usato in Fisica per misurare il grado di organizzazione/disorganizzazione di un sistema, si ottiene dalla somma dei prodotti delle quote di ogni prodotto dell’impresa, con il logaritmo dei reciproci delle quote:

n

De=1-∑Qi log 1/Qi

i=1

Il campo di variazione di questo indice va da D=1 , se si tratta di un’impresa che produce un unico prodotto, a D=1-log n, quando l’impresa ripartisce in modo equo il fatturato fra gli n prodotti commercializzati.

L’indice di Entropia non attribuisce alle imprese più diversificate una rilevanza così forte sul valore complessivo dell’indice, come invece accade quando si calcola l’indice di Herfindhal. Però il valore di entrambi gli indici è influenzato dal numero delle imprese e dalla segmentazione delle linee di prodotto.

L’indice di Herfindhal, è il prodotto del genio di un tale Hirshman nel 1945, non trovando diffusione presso ampie platee venne ripreso, in seguito, da Herfindhal che ne formulò uno identico nel 1950 ottenendo molta più attenzione come calcolo della concentrazione.

A tal scopo l’indice di Hirschman-Herfindhal contiene tutte le informazioni relative a tutte le n imprese di un’industria:

H=

i=1 n

Qi2

Per la diversificazione, la formula dell’indice di Hirschman-Herfindhal diventa:

(25)

Diversificazione=1-

Q i2 i=1

Dove Qi rappresenta la quota relativa al prodotto i-esimo, ed n è il numero complessivo dei prodotti offerti dall’impresa. Quindi l’ indice di Hirschman-Herfindhal pesa le quote di ciascun prodotto elevando al quadrato le quote stesse (espresse in percentuale). Il campo di variabilità della diversificazione varia da 0 a 1-(1/n). Si può dire che quando D= 0 l’ impresa è monoprodotto opera in un solo settore, quando D = 1-(1/n) l’impresa ripartisce equamente il fatturato fra gli n prodotti commercializzati.

Ai fini del calcolo del grado di diversificazione vengono utilizzati sia l’indice di Herfindhal che

l’indice di Entropia, che comportano però delle difficoltà nel calcolo generate dal fatto che non

considerano le attività delle imprese concorrenti per una valutazione mirata, ma solo le attività di una singola impresa. Quindi, i settori in cui diversificano le imprese concorrenti non vengono presi in considerazione al contrario di quelli in cui diversifica 16l’impresa oggetto di studio.

La concorrenza è una variabile importante quando si prendono in considerazione più settori industriali. Gli indici sono gli stessi con cui viene calcolato anche il grado di concentrazione di un settore.

Infine da menzionare è anche l’economista Rumelt che ha proposto un suo metodo di misurazione della diversificazione: il rapporto SR, sostenendo che la diversificazione può essere misurata come rapporto tra la produzione principale e la produzione totale dell’impresa.

Ovviamente la produzione sarà espressa in valore e non in quantità, visto la non comparabilità delle unità fisiche17. Sulla base di questo indice vengono definite quattro categorie di base:

 l’impresa opera in un solo campo di attività ( SR > 0.95);

l’impresa opera in un solo campo dominante di attività ( 0.7 < SR< 0.95);

16 Per la percentuale di ogni settore vengono presi in considerazione il numero di operatori presenti nel settore e il fatturato totale generato in ognuno

(26)

 l’impresa opera in diversi campi di attività correlati fra loro ( SR <0.7, ma con un rapporto RR, definibile come la proporzione dei redditi attribuibili a un gruppo di attività in qualche modo collegate > 0.7)

 l’impresa opera in settori conglomerati ( SR< 0.7 ; RR< 0.7).18

1.3

La relazione tra la strategia di

Diversificazione e le Performance aziendali

Le molteplice relazioni fra le scelte di diversificazione e performance dell’impresa hanno rivestito e tuttora rivestono un ruolo preminente negli studi di molti economisti. Scopo di questi studi consta nell’indagare se le imprese diversificate conseguano performance superiori rispetto a imprese single-business, e quali siano i modelli di diversificazione in grado di garantire i migliori risultati d’impresa.

Gli economisti hanno espresso nei decenni pareri contrastanti riguardo tale relazione.

L’economista Montgomery ha individuato tre fattori a cui è possibile imputare la molteplicità di conclusioni diverse in merito a questo argomento:

 assenza di una misura della diversificazione che vada bene per comparare imprese diverse in settori diversi;

 la difficile valutazione della performance dell’impresa diversificata nel lungo periodo e in settori diversi;

 infine la relazione tra diversificazione e performance è condizionata fortemente dalle caratteristiche delle risorse delle diverse imprese nei diversi settori.

Se si pensa alle economie di scopo generate dalla condivisione delle risorse, che consentono l’ottenimento di un vantaggio competitivo in un altro settore, il risultato dell’attuazione di una strategia di diversificazione non potrebbe non essere positivo.

The early literature on diversification asserts that diversified firms can employ a number of mechanism to create and exploit market power advantages tools that are largely unavailable to

their more focused counterparts.19 ( Una parte della letteratura invece sottolinea solo i vantaggi di

18 EDIZIONI FrancoAngeli, Strategie competitive e processi di crescita dell’impresa, di Luca Ferrucci, pag.292

19 Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller, page 156

(27)

una eventuale diversificazione derivanti da una posizione di potere di mercato, anche in questo caso la relazione che emerge è positiva).

Altri economisti, invece, come Amit e Livnat si sono espressi negativamente, sottolineando coi loro lavori quanto la diversificazione possa distruggere il valore piuttosto che crearlo. 20

Ed altri ancora - come Gort e Ravenscraft – sostengono l’inesistenza di una relazione tra la diversificazione e la redditività dell’impresa21. Il binomio redditività-diversificazione nella ricerca economica ha origine dal fatto che spesso le imprese maggiormente redditizie reinvestono i loro profitti in strategie di diversificazione.

Le principali spiegazioni concettuali dei legami tra diversificazione e performance che hanno acquisito credito in ambito manageriale si fondano sul concetto di sinergia quale elemento dominante dei vantaggi generati dalla diversificazione22, e si focalizzano sugli effetti di una diversificazione correlata e quelli di una non correlata sulle performance di un’ impresa.

Rumelt individuò diverse performance associate a differenti tipologie di diversificazione, nello specifico una relazione positiva tra la diversificazione correlata e le performance di un impresa, per cui la diversificazione costruita attorno alle competenze centrali (core skills) dell’impresa ha dei risultati superiori rispetto alle imprese che diversificano in maniera non correlata.

Rumelt non fu comunque in grado di spiegare il perché di risultati diversi fra le performance aziendali derivanti da diversificazioni diverse23.

Nel frattempo gli studi di altri autori - come quelli della Montgomery - supportavano la tesi di Rumelt, altri ancora affermavano diversamente che le performance positive delle imprese diversificate in modo correlato sono da imputarsi semplicemente alla maggiore attrattiva del mercato in cui si è scelto di diversificare . In altre parole, le imprese che diversificano operano in settori più redditizi. A queste critiche, si può rispondere partendo dall’assunto che la ricerca di un settore più profittevole in cui inserirsi ed imporsi è il presupposto nella scelta di una strategia di diversificazione. Come d’altro canto, la presenza di risorse in eccesso o sotto-utilizzate che pure possono spingere l’impresa ad una diversificazione, non la obbligano ad entrare in un nuovo mercato. Le risorse in eccesso possono anche essere date in affitto o cedute, comportando i

20 Academy of Management Journal volume 31, diversification and risk –return trade off, Amit and Livnat, pgg 154 -166

21 Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller.

22http://my.liuc.it L’ ARCHITETTURA STRATEGICA DELL’IMPRESA DIVERSIFICATA Prof. Alessandro Sinatra, page 4

(28)

cosiddetti costi di transazione derivanti dall’utilizzo dei meccanismi di mercato (Transaction Cost Theory di Coase e Williamson).

Invece, l’utilizzo delle risorse in eccedenza in altri settori implica costi conseguenti all’uso di strutture interne all’organizzazione stessa.

In pratica, la diversificazione diventa la strategia dominante nell’ipotesi in cui i costi di transazione sono maggiori dei costi organizzativi.

Modelli di relazione diversification - performance

24

.

I modelli sui quali si basano le teorie riguardanti la relazione tra diversification e performance sono tre:

il modello lineare

il modello a U rovesciata

il modello intermedio

Il modello lineare.

Sulla base modello lineare diversificazione e performance sono interconnesse positivamente.

Beginning with Gort (1962), industrial organization economics spawned decades of research based

on the premise that diversification and performance are linearly and positively related.25

A sostegno di questa modello vi sono:

la teoria del potere di mercato per la quale la diversificazione aiuta l’impresa a ledere la concorrenza; la teoria delle efficienze interne di un mercato piuttosto che di un altro, per cui un impresa diversificata riesce ad attrarre maggiori capitali con la diversificazione considerato che accede sia alle risorse interne sia a quelle esterne, ma può anche spostare i fondi di capitale tra i vari business del suo portafoglio.

24 Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller.

25 Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller, page 156

(29)

Performace

Single Correlata non correlata Diversification

Modello lineare, fonte Leslie E. Palich, Laura B. Cardinal e C. Chet Miller,

curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research, Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000

Sulla base degli altri due modelli presentati dalla letteratura, denominati modelli curvilinei nessun tipo di diversificazione è migliore di un’altra.

Questa teoria sostenuta da un gran numero di ricercatori è in contrasto con la teoria precedente. I modelli curvilinei propongono una relazione curvilinea, per l’appunto, tra diversificazione e performance nella quale al crescere della diversificazione la performance si differenzia:

il Modello a U rovesciata

Rappresenta una relazione positiva tra diversificazione e performance fino a un certo livello della diversificazione stessa, oltrepassato il quale i costi crescono rapidamente fino ad erodere il profitto. Un impresa mono-business, secondo Lubatkin e Chatterjee, ha la possibilità di sfruttare le sinergie solo se decide di diversificare e avvantaggiandosi degli effetti di queste. In questo caso, la superiorità della diversificazione correlata si avvale dei vantaggi delle economie di scopo : reputazione del brand, efficienza della curva di esperienza, diffusione delle tecnologie fra business. Fino a quando la diversificazione avviene in modo correlato, sfruttando le stesse risorse in più business, l’impresa ottiene tali benefici e le performance migliorano , ma con la diversificazione in business sempre più lontani dall’attività originaria le performance si fanno molto meno importanti. Si delinea una relazione a U rovesciata

(30)

Single Correlata Non correlata Diversification

Modello ad U invertita, fonte Leslie E. Palich, Laura B. Cardinal e C. Chet Miller, curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over

three decades of research, Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000

L’esperienza dell’azienda limita la diversificazione fino a determinati livelli ottimali, superati i quali la performance decrementa.

Markides (1992) delineats other costs, such as control and effort losses (due to increased shirking), coordination costs and other diseconomies related to organization, inefficiencies from conflicting “

dominant logics” between businesses, and internal capital market inefficiencies.26

La diversificazione correlata non è stata sempre considerata superiore alla diversificazione non correlata, perché l’impresa non potrebbe essere in grado di sfruttare la relazione fra business, proprio per questo ha assunto una certa importanza un modello intermedio.

Il Modello intermedio.

Capita che venga sopravvalutata l’esistenza di una correlazione tra più business, Markides e Williamson la chiamano “correlazione esagerata”, producendo il cosiddetto “effetto miraggio”27.

26 Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller, page 156

27Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000 - Curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over three decades of research; Palich, Cardinal, Miller, page 160

(31)

La diversificazione correlata risulta migliore di una diversificazione non correlata fino a quando l’impresa è capace di sfruttare tale correlazione per accumulare nuove risorse strategiche, in tempi più rapidi e a prezzi più bassi rispetto alla concorrenza. Gli effetti dell’economie di scopo, infatti, si vedono solo nel breve periodo.

Secondo i dettami della Transaction-Cost Theory per ottenere dei benefici dalla correlazione sono necessari dei costi per l’interscambio continuo di informazioni e risorse che gravano sui benefici stessi. Vi sono comunque altri ostacoli allo sfruttamento della correlazione: allocazione dei costi di conglomerazione, cambiamento degli incentivi generato dalla competizione all’interno dell’azienda, cambiamento delle tecnologie non compatibili per i vari business.

Una diversificazione in business non correlati, allo stesso tempo, potrebbe consentire la realizzazione pure di sinergie, ma a livello finanziario, con la riduzione del rischio dovuta all’ingresso in mercato non adiacenti a core, con conseguente maggiore capacità di indebitamento. In considerazione dei benefici unici derivanti da una diversificazione non correlata e gli ostacoli al pieno sfruttamento della diversificazione, il modello intermedio è un alternativa per una migliore rappresentazione della relazione fra diversification-perfomance tenendo conto dei pro e dei contro delle due strategie:

(32)

Single Correlata Non correlata Diversification

Modello intermedio, , fonte Leslie E. Palich, Laura B. Cardinal e C. Chet Miller, curvilinearity in the diversification-performance linkage: an examination of over

three decades of research, Strategic Management Journal, 21, 155-174, 2000.

2. il settore dei dissalatori

2.1 L’ “oro blu”

L’acqua è il bene più prezioso sulla terra e per la sua prevista scarsità è stata definita il “petrolio del futuro”28 poiché le prossime guerre si combatteranno per il controllo dell’acqua potabile.

L’uomo ha sempre beneficiato di laghi, fiumi e fonti idriche naturali per irrigare i campi e per soddisfare i propri bisogni: dal grande Impero Romano che deve le sue origini proprio agli insediamenti lungo gli argini del Tevere, alla Mesopotamia che era chiamata dai Greci terra tra i fiumi e all’Egitto attraversato dal Nilo.

Nonostante, in alcune parti del mondo, sia stata sempre considerata una risorsa inesauribile, oggi si cercano fonti alternative di approvvigionamento.

La carenza dell’acqua è ormai un problema diffuso, fenomeni quali l’aumento della popolazione quasi raddoppiata rispetto al consumo mondiale di acqua quadruplicatosi29, e il continuo aumento

28 Benedetto XVI

29 Dalla Società Cooperativa Cogecstre sulla ricerca ecologica “La crisi dell’acqua”. www.cogecstre.com/conf_civacqua.htm

(33)

della qualità della vita nei Paesi occidentali, il progressivo inquinamento delle falde acquifere, la desertificazione, i sempre maggiori periodi di siccità che colpiscono ormai una considerevole quantità di zone del mondo, dagli Stati Uniti alle regioni del Golfo alle vaste aree dell’Europa meridionale, rendono la carenza di acqua dolce un problema che riguarda direttamente o indirettamente l’intera popolazione mondiale. L’Organizzazione Nazionale della Sanità ha fornito un dato importante: l’80% della mortalità infantile dipende dall’acqua la quale viene a mancare o è inquinata30.

Tale situazione congiunturale ha portato la scienza e l’ingegneria a sviluppare negli ultimi decenni nuove tecnologie per la potabilizzazione delle fonti idriche presenti in natura, ed in particolare la potabilizzazione di quella che può essere considerata una fonte di approvvigionamento idrico praticamente inesauribile: i mari e gli oceani.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2003 “Anno Internazionale dell’Acqua”, riconoscendo la fondamentale importanza delle risorse idriche per il futuro del pianeta.

La superficie del nostro pianeta è coperta per il 71% di acqua, il 97% di quest’acqua è salata, quindi contenuta appunto nei mari e negli oceani.

Dunque, solo il 3% dell’acqua sul nostro pianeta avrebbe una salinità adatta agli usi civili, ma di questo 3% circa 2/3 è trattenuta nei ghiacciai e nelle nevi perenni31.

Di seguito una rappresentazione grafica delle fonti idriche esistenti sul pianeta:

30 “la crisi dell’acqua” http://www.cogecstre.com/conf_civacqua.htm

(34)

89% 5%

2%

1% 4%

Risorse d'Acqua

Oceani Ghiacciai Atmosfera Fiumi e laghi Falde Acquifere

Fonte:. ( www. Lenntech.it)Risorse idriche sul pianeta

Si noti dunque come il 99% di acqua presente sul nostro globo non sia di fatto direttamente utilizzabile dalla popolazione mondiale per gli usi principali che ne fa l’uomo, a meno che non venga trattata con processi di dissalazione.

Il problema principale relativo alle fonti idriche sta però nella loro distribuzione sulla superficie terrestre: alcuni Paesi, come il Canada, dispongono di risorse quasi illimitate di acqua di buona qualità ma altri, come lo Yemen, hanno scarsissime risorse. Entro il 2025 è prevista una riduzione delle disponibilità attuali di risorse idriche, mettendo molti paesi in una situazione cosiddetta di “stress idrico”32.

Questa carenza d’acqua, nel presente e ancor di più nel futuro, ha spinto i governi di molti Paesi a provvedere all’approvvigionamento idrico con l’installazione di grandi impianti sulla terra ferma per la dissalazione di acqua marina. In tal senso Israele è pioniere e maestro, disponendo di scarse risorse idriche naturali, soddisfa ad oggi più della metà del

proprio fabbisogno di acqua dolce grazie ad impianti di dissalazione. L’ultimo impianto denominato Sorek è stato realizzato nel 2013, 15 km a sud di Tel Aviv , ed è la centrale di dissalazione più grande al mondo.33

Il fabbisogno di questa importante risorsa ha determinato un mercato sempre crescente per aziende che producono dissalatori per uso industriale, navale oltre che civile.

32 Fonte: Società Cooperativa Cogecstre http://www.cogecstre.com/conf_civacqua_anno.htm

(35)

2.2. I numeri della dissalazione

L’industria della dissalazione conta oggi numeri davvero impressionanti e i trend previsti per i prossimi decenni promettono prosperità per questo settore.

Nei 10 Paesi riportati nel seguente diagramma risiede il 75% della capacità mondiale di dissalazione:

I principali 10 Paesi al mondo per capacità produttiva totale installata dal 2003

(36)

Si nota che in Arabia Saudita, Emirati Arabi e Spagna si è già puntato molto sul principio di trarre acqua dolce dal mare, investendo negli ultimi 70 anni in impianti di dissalazione.

In anni relativamente recenti hanno superato gli Stati Uniti nella produzione globale di dissalato. Anche Algeria e Australia hanno dimostrato di investire in questo settore dal 2003.

Mentre si prevede una crescita analoga in Cina, Sud Africa e Cile, che risultano decisamente mercati molto interessanti.

Spostandoci all’interno del mercato Europeo, l’Italia è il secondo paese produttore dopo la Spagna e conta 86 imprese34. 0 300 600 900 1200 1500 1800 2100 2400 27002326.3 608.6 229229224.7195.6145.2102.152.633.425.82518.3116.41.51.5

Desalination in Spain corresponds to 4,6% of Spain's overall fresh water consumption

Country

Country [m³/d]

.Fonte: Fritzmann et al.,2007 (Utilizzo di acqua dissalata in Europa)

Le tecnologie degli impianti esistenti al mondo si dividono in:

processi termici, di cui i primi impianti di dissalazione su scala industriale furono costruiti

soltanto agli inizi del ventesimo secolo. Si tratta di un processo in cui la dissalazione avviene per l’applicazione del principio di distillazione: l’acqua viene desalinizzata attraverso il calore per condensazione;

processi a membrana con la tecnologia dell’osmosi inversa. Furono sviluppati come

esperimento scientifico presso l’università della Florida negli anni cinquanta e i primi impianti furono commercializzati negli anni settanta. La dissalazione avviene per l’esercizio 34 http://it.kompass.com/a/impianti-di-dissalazione-delle-acque/7224139/

(37)

di una pressione (maggiore della pressione osmotica) su una soluzione concentrata di sale e consente il passaggio ad una soluzione meno concentrata. La soluzione viene filtrata grazie a una membrana semipermeabile.

Sfruttando il processo di osmosi inversa, gli impianti sono in grado di rimuovere sali, nitrati, batteri, virus, cloro, pesticidi, elementi radioattivi, idrocarburi e tutte le scorie presenti nell’acqua. Si tratta di una grande innovazione applicata agli impianti di dissalazione, poiché richiede meno energia (solo energia elettrica per esercitare la pressione) rispetto agli impianti termici i quali richiedono il consumo sia di energia elettrica che di calore e sono valutate mediamente “tecnologie pulite” in quanto consentono il recupero di sostanze disperse e la riduzione del carico inquinante.

Principio di Funzionamento di Osmosi Inversa

Fonte: www.derbygroup.it

Confrontando le tecnologie degli impianti esistenti nel mondo si può notare che il 75% di essi, in termini di capacità produttiva installata,implementa una tecnologia a membrana. Il restante 25% implementa procedimenti termici35.

(38)

Ripartizione del mercato della dissalazione dell’acqua di mare tra le due principali alternative di dissalazione

processi termici; 25%

processi a membrana; 75%

% unità produttive installate

processi termici processi a membrana

I sistemi a membrana sono preponderanti negli Stati Uniti , in Arabia Saudita e in Spagna: nelle regioni prive di grandi risorse di olio combustibile (nel Mediterraneo, ad esempio, Malta, Cipro, Tunisia e Israele).

Mentre nei Paesi che godono di grande disponibilità di petrolio da cui trarre combustibile a basso prezzo (Golfo Persico), gli impianti sono in gran parte basati su principi termici.

I dati fin qui riportati rispecchiano i trend globali della dissalazione, e rappresentano principalmente dati relativi al business dei grandi impianti di dissalazione costruiti su terra ferma.

(39)

Il business, dal 2008 al 2016, ha registrato una notevole crescita. In particolare, dal 2012 ad oggi gli investimenti sono raddoppiati, grazie ai miglioramenti tecnologici e all’aumento del numero di imprese entranti nel business. Oggi il mercato vale 18 miliardi di dollari.

Investimenti globali nella dissalazione ($milion)

(40)

Il mercato è dominato da alcuni colossi del settore; il seguente grafico dà un’idea dei primi venti costruttori al mondo di impianti di dissalazione:

Top 20 imprese costruttrici di impianti di dissalazione, in termini di capacità produttiva installata

Fonte: Global Water Intelligence, www.globalwaterintel.com

Nella maggior parte dei casi, queste imprese si occupano di installare l’impianto di desalinazione e gestirne il funzionamento, vendendo poi di fatto l’acqua dissalata al soggetto contraente (generalmente un ente pubblico).

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