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conoscenza di un caso specifico: dalle motivazioni che hanno portato alla

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Academic year: 2021

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Le conoscenze che mi hanno dato gli insegnamenti previsti dal mio corso di studi, le informazioni recepite dalle fonti specializzate nel trattare i temi di ingegneria e architettura, le esperienze “sul campo” e in generale la mia crescita personale, tutto ciò ha contribuito a dedicare la mia attenzione verso il tema dell’abitazione.

Questo approfondimento in occasione del termine del percorso universitario prende avvio dalla considerazione su come l’edilizia popolare sia stata nel tempo trascurata e il diritto a vivere in un luogo degno calpestato in nome di interessi estranei alla società.

Ad una prima osservazione dei molti casi di nascita e degrado di quartieri di

alloggi popolari nelle periferie europee ed italiane, è seguita la fase di più accurata

conoscenza di un caso specifico: dalle motivazioni che hanno portato alla

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costruzione, passando per l’analisi dei fattori che ne hanno determinato il fallimento, fino a osservare le strategie per il suo rinnovamento.

Una seconda fase è stata quella dell’apprendimento, in cui l’esperienza vissuta direttamente in uno studio di progettazione mi ha permesso di imparare come la progettazione delle abitazioni debba essere affrontata in un contesto dove l’attenzione alle necessità di ogni essere umano sia in primo piano.

Infine ho cercato di mettere in pratica tutte le nozioni apprese nella fase di

attuazione in cui mi sono cimentato nello studio di un progetto di riqualificazione

per un’area di un quartiere degradato in una periferia italiana.

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III

Il degrado dell’edilizia sociale nelle periferie.

La questione delle abitazioni inizia a manifestarsi con tutta la sua gravità ed estensione già nell’Ottocento quando la Rivoluzione Industriale determina una implosione di popolazione attorno alle maggiori città europee. Il problema di soddisfare il bisogno di alloggi diventa tema centrale di tutto il secolo successivo e dal bisogno di miglioramento delle condizioni di vita scaturiscono questioni tecniche e morali a cui numerosi architetti, urbanisti, sociologi hanno via via tentato di dare risposte attraverso svariate soluzioni progettuali.

Emerge così nel Novecento il tema delle “case economiche” all’interno dei

“quartieri popolari”, nate per dare risposta a diversi fenomeni di immigrazione avvenuti in fasi, modalità e intensità differenti nelle varie regioni d’Europa. Ed in simbiosi con l’edilizia popolare viene trattato l’argomento delle periferie, tanto che non ne viene quasi più fatta distinzione essendo appunto i luoghi in cui sono stati collocati per decenni i grands ensambles. Le periferie sono sistemi locali complessi composti da “ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico”

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.

Oggi tutti parlano di periferie: l’oggetto è diventato di dominio pubblico e numerose ricerche sono in atto per monitorare le condizioni in cui si trovano.

Nel tempo il modo di pensare la società e conseguentemente di costruire non è sempre stato lo stesso; per questo è possibile riscontrare l’esistenza di tentativi di successo in cui le tipologie edilizie hanno aiutato a favorire gli scambi interculturali, a usufruire di spazi pubblici e godere in modo efficiente dei servizi necessari. Purtroppo spesso si è innescato un processo degenerativo che ha portato la politica edilizia a concentrare nelle fasce esterne della città le situazioni di forte disuguaglianza sociale, problematiche ed estremamente deboli.

Gli interventi di edilizia residenziale economica, specialmente nel dopoguerra, sono sorte in fretta e senza cura originando un grande numero di alloggi ma non quartieri che siano parte urbana: si tratta di concentrazioni di costruito spesso

1 Magnaghi A., Il progetto locale, Bollati e Boringhieri, Torino 2000, pag. 59.

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abusive dove l’assenza di altre funzioni, la carenza di servizi e le pessime condizioni degli spazi pubblici producono emarginazione.

“[…] l’integrazione con la città è definitivamente mancata e la connessione con altre parti urbane è troppo spesso difficile. L’isolamento e la monofunzionalità hanno procurato guasti irreparabili. Lo spazio urbano non ha mai raggiunto condizioni accettabili e lo spazio aperto è dominato da pratiche improprie. La dotazione dei servizi collettivi è carente. Le densità edilizia sono sovente eccessivamente alte, in altri casi sono troppo basse. In alcune situazioni gli abitanti tendono ad abbandonare il quartiere e si aprono vaste sacche di abbandono”

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.

Gli effetti visibili nei luoghi di segregazione possono essere suddivisi nelle categorie del degrado urbanistico e del disagio sociale.

Gli indicatori della prima sono il collegamento con il centro, il sistema dei servizi pubblici, la qualità delle strutture, la diffusione di attività assistenziali, la presenza di spazi per il tempo libero e centri culturali, o meglio l’assenza di tali valori.

Molto significativa è la collocazione dell’insediamento in siti ecologicamente pericolosi.

Il degrado urbano dei quartieri non riguarda, quindi, solamente il materiale utilizzato o la tipologia di abitazione realizzata, ma un insieme di elementi che si sovrappongono determinando una condizione di penalizzazione funzionale, qualitativa, di capacità reattiva e possibilità di apprendimento, che infierisce sulle aree già realizzate con minore attenzione e dove ora si verificano effetti di concentrazione del disagio. Si vanno a concentrare nelle svalutate periferie gli esclusi dai processi produttivi ( disoccupati di lunga durata, cassaintegrati, giovani in cerca di lavoro) e gli espulsi dalla società (detenuti, tossicodipendenti). In questo substrato si diffondono fenomeni di criminalità, commercio illegale, abbandono scolastico, crescita di soggetti “a rischio”, affermazione di famiglie monoparentali e a reddito minimo formate da donne o anziani.

Mentre queste situazioni diventano oggetto per dispute per lo più inutili tra chi afferma che il problema non sussiste e chi teme un’emergenza mondiale

2 Infussi F., “Mondi (im)perfetti”, in Quartieri Milano, a cura di Gruppo A12 e S. Waddell, Comune di Milano - settore giovani , 2002, pagg. 50-51.

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imminente, tra chi ne approfitta per proclamare il fallimento di una società multietnica e chi denunciando anni di negligenze viene accusato di fomentare le folle, nel frattempo alcune di esse stanno diventando insostenibili.

Predisporre qualche ristrutturazione, dotare le periferie di alcuni servizi, aumentare i controlli non sono rimedi così come è inutile rendere abitabili gli interni delle abitazioni senza preoccuparsi del disastro circostante.

La sperimentazione di nuovi programmi complessi (Riqualificazione Urbana, Piani di Recupero Urbani, Contratti di Quartiere) ha dato alcuni buoni risultati ed in particolare le risorse pubbliche hanno incentivato le “buone pratiche” degli enti locali e svolto un ruolo di moltiplicatore per gli investimenti privati. Ma si tratta di episodi isolati, mentre la scarsità di fondi e il poco impegno lasciano abbandonate a se stesse situazioni veramente urgenti.

A livello europeo il problema delle periferie è stato ed è tuttora affrontato secondo diverse metodologie. In alcuni casi la via della demolizione ha prevalso su quella della ristrutturazione, non sempre nella stessa maniera: dagli interventi radicali a quelli parziali o in cui la riedificazione è progettata sulla base di una nuova forma della città. Altre soluzioni sono state il tentativo di rendere meno omogenee le caratteristiche sociali ed economiche della popolazione abitante oppure l’inserimento di funzioni e attività che rilanciassero il ruolo e l’economia dell’area.

È importante studiare quello che accade altrove ed osservare come sono state risolte le stesse situazioni, ma occorre tener presente che ogni periferia, ogni quartiere, ha una propria storia che ne ha determinato una particolare caratterizzazione. Non esiste dunque una soluzione valida per tutti i casi: la tendenza a prendere ciò che sembra funzionare altrove ed applicarlo così com’è rischia di portare ad un aggravio del degrado o al manifestarsi di questo sotto altri aspetti.

Occorre cercare di capire la storia e le motivazioni del particolare contesto in cui è

necessario operare, attraverso il confronto, l’informazione, la formazione e la

partecipazione degli utenti, aiutati sicuramente dalle strategie collaudate altrove,

per poter realizzare interventi efficaci.

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Compito primario dell’architettura è scegliere come far vivere le persone: lo spazio costruito determina il piacere di abitare, la vivibilità, la socializzazione.

Rispetto a questi obiettivi l’architettura contemporanea ha fatto spesso scelte fallimentari.

Nel 1995 Mathieu Kassovitz diresse il film La Haine (L'Odio)

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, prevedendo quello che anni più tardi è successo nelle Banlieues francesi. Si tratta dell’estrema conseguenza a cui hanno portato condizioni di vita insopportabili. In questi settori del tessuto urbano periferico di Parigi, emblematici non soltanto per la loro architettura, ma anche per il genere di trasformazioni – spontanee o pianificate – che si sono succedute nel corso del tempo e per la problematica struttura sociale, l’edilizia diventa il primo indice del degrado, il primo capro espiatorio, l’ aspetto su cui si focalizzano i primi interventi.

Figura 1. Veduta di una periferia francese, in L’architecture d’aujourd’hui, n. 145, 1969, p. 20.

3 Durante un interrogatorio, nel corso di indagini su di un episodio di guerriglia urbana avvenuto la notte precedente, un ispettore di polizia ferisce a morte un giovane. Quando si sparge la notizia tra i ragazzi della periferia, si diffonde l'odio e la voglia di vendicarsi.

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Tali quartieri, trascurati dalle amministrazioni e sovrappopolati dalle classi sociali più disagiate, costituiscono un esempio significativo della complessità urbana e sociale che caratterizza le aree periferiche nelle città metropolitane.

Un esempio ne è Aubervilliers, che come altre periferie popolari della capitale francese, condensa tutti i problemi aggravati dalla presenza di due comunità in forte contrasto tra di loro.

Figura 2. Esempio di edificio nella periferia parigina.

Il tema della segregazione in cui si sentono racchiusi i giovani lo si può ritrovare anche nel film L'Esquive (La Schivata), di Abdel Kechiche, che descrive l'esistenza di adolescenti di periferia che sono “stranieri” di nome ma che si sentono francesi e sono fieri di esserlo. È lo spaccato della società di cui sono composte le multietniche banlieues, evidenziato dal contrasto fra i dialoghi della vita nella normalità e quelli aulici dell’opera teatrale di Marivaux.

Negli anni Ottanta è stata l’Inghilterra a conoscere seri problemi legati alle

condizioni delle periferie delle sue maggiori città. Accanto ai centri dove viene

decisa l’economia mondiale esistono sobborghi come Beeston Hill tristemente

famoso per essere la culla inglese del terrorismo internazionale, o Stonebridge

oggetto recente di proposte per un suo recupero. Costruito negli anni ’70 i lavori

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di costruzione oggi sono completati solo per il 75% e l’intera area è afflitta dalla povertà dei suoi abitanti.

Figura 3. Case popolari nella periferia londinese.

Figura 4. South Acton ad ovest di Londra. Costruzioni simili possono essere trovate in qualsiasi periferia europea.

Dove i problemi sociali dilagano, l’illegalità li segue. L’aumento di delinquenza e

la crescita della povertà conducono al degrado; alcuni quartieri sono controllati

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così totalmente dalla criminalità che si trasformano in zone inaccessibili e l’emarginazione dalla città diviene effettiva non solo fisicamente.

È quello che è successo in molti sobborghi americani nei pressi delle grandi metropoli dove si sono stabiliti immigrati di tutto il mondo che hanno lasciato il proprio paese in cerca di una vita migliore.

Figura 5. Adams Houses nel quartiere Bronx di New York.

La cinematografia è ricca di momenti in cui immagini, dialoghi e storie denunciano meglio di qualsiasi altra cosa le condizioni di vita in ambienti socialmente, culturalmente e fisicamente degradati. Così in Una giungla di cemento dei fratelli Hughes (1993) non c'è via di uscita né speranze di riscatto sociale per i giovani afroamericani del distretto di Watts a Los Angeles che crescono in un microcosmo dominato dalla violenza, dalla droga e dal crimine.

Questo quartiere fu protagonista dei “riots” del 1965 e recentemente nel 1992, in

cui le tensioni razziali sono emerse in un contesto estremamente ghettizzato. Los

Angeles è un modello originale di megalopoli, una serie di insediamenti diffusi,

una non-città sparpagliata su di un territorio enorme, priva di una centralità

chiaramente definita. È stata meta di flussi migratori a partire dagli anni Ottanta

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stimati in 5-600.000 nuovi arrivi annui che ha creato una città in cui la distribuzione della popolazione nelle diverse aree risulta divisa in due dal punto di vista sociale e spaziale.

Dal continente americano a quello asiatico la situazione dei quartieri di edilizia popolare non cambia: gli affitti sono più economici del normale e gli inquilini che vi vanno ad abitare hanno sussidi; in genere si tratta di costruzioni di grande altezza: dalla tipologia di sette piani tipica degli anni Cinquanta fino ai quaranta di tempi più recenti. Situati in origine nelle parti distanti dalla città o meno accessibili del territorio a causa dell’espansione urbana alcuni agglomerati si sono trovati a far parte del cuore della metropoli.

Figura 6. Degrado degli edifici di un quartiere di Hong Kong.

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Anche le testimonianze del degrado italiano dovuto all’urbanizzazione intensa e indisciplinata sono raccolte in diversi lungometraggi il più significativo dei quali è Il ladro di bambini di Gianni Amelio, la storia di un viaggio che parte da un grande palazzone della periferia milanese in cui quotidianamente sono vissuti drammi sociali per finire nella siciliana Gela. Attraversando l’Italia è possibile riconoscere l’“anonimità di una Roma spogliata dalla retorica monumentale, lo scempio di una Calabria abbandonata a sé”

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. Immagini di Civitavecchia, un appartamento di Roma con vista su un cavalcavia, un giardinetto vicino alla stazione Termini. La speculazione edilizia della costa Calabrese che si presenta come scheletri di cemento armato non ancora finiti e già abbandonati in cui all’ultimo piano si vedono i ferri di ripresa. Il dialogo in un orto reso incomprensibile dal rumore delle auto che a grande velocità passano sulla strada di fianco.

Figura 7. Palazzo di “case popolari” in una periferia milanese.

4 Escobar, R., “Viaggio nell'infanzia degli anni Novanta”, Il Sole 24 Ore, 3 maggio 1992, p. 31.

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La periferia milanese è forse quella più conosciuta e vasta nel panorama italiano.

Si tratta spesso di quartieri non tanto lontani fisicamente dal centro, piuttosto di luoghi dove sono concentrate problematiche sociali e rimasti per questo emarginati. Negli edifici di edilizia pubblica rispondente a standard qualitativi inferiori ai minimi si sono concentrate le fasce della popolazione immigrate in cerca di lavoro, dagli italiani del “miracolo economico” fino agli extracomunitari degli anni più recenti, senza un reddito adeguato o fisso e privi di risorse per evitare il peggioramento del degrado.

Insicurezza, solitudine e isolamento sono i sentimenti che più di ogni altro sono provati nelle aree maggiormente disastrate della città.

Anche nella vivibilissima Bologna è possibile trovare gli effetti negativi di una edilizia popolare basata sul principio “una casa per tutti” ma non realizzata con criteri adeguati. Ne sono esempio il quartiere Barca oppure il Pilastro.

Quest’ultimo, bollato come quartiere a rischio, reso famoso dalle vicende della banda della Uno bianca nacque da un progetto del 1958 dell’IACP per ospitare chi aveva problemi (di qualunque tipo), quasi come ghetto.

I palazzi di case popolari vennero collocati oltre il “confine” cittadino dato dalla tangenziale, che allora risultava veramente lontana. Non vi erano servizi sociali, giardini, solo un ammasso di terre ammucchiate e incolte.

Figura 8. Edifici nel quartiere “il Pilastro” di Bologna.

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Al posto di una campagna fertilissima è stato impiantato, ai margini di Napoli, il quartiere Scampia. Le origini risalgono al 1964 con la formula di un PdZ per l’edilizia economica popolare per dare risposta al pressante bisogno di alloggi.

Progettato per 60.000 abitanti (ne contiene attualmente quasi 100.000) risulta diviso in 21 lotti delimitati da una imponente rete stradale a scorrimento veloce che divide il quartiere in due blocchi frontalmente contrapposti.

Il principale problema di questo tipo di struttura urbana è che non favorisce la creazione di un sistema aggregativo in cui gli abitanti si identificano; mancano strutture che creino occasioni di scambi, varietà, sicurezza avendo come effetto risultante la disgregazione sociale.

Coronano la descrizione della periferia tipici aspetti quali la scarsa dotazione di servizi ed attrezzature collettive, la mancanza di un tessuto di iniziative produttive e commerciali, la presenza di una notevole quantità di spazi non usati a causa della mancata realizzazione o del non completamento di parti del quartiere e l'abbandono di attrezzature realizzate ma non gestite.

Figura 9. Le Vele di Scampia a Napoli.

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Molti quartieri periferici delle città europee di oggi sono ambienti estremamente delicati, dalle scarse capacità di affrontare i problemi che si presentano sempre nuovi e legati gli uni agli altri. Gli alloggi di edilizia sociale ospitano classi fragili socialmente, economicamente e culturalmente; costrette a rimanere emarginate in luoghi abbandonati a se stessi dove predomina il senso di insicurezza.

Ma il territorio urbanizzato è e deve essere mutevole nel tempo per poter seguire

“traiettorie diversificate di cambiamento, partecipando così alle più generali trasformazioni che investono la città”

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5 F. Zajczyk, Quartieri periferici tra incertezza e trasformazione, Mondatori, Milano 2005.

Francesca Zajczyk è docente di Sociologia Urbana all’Università degli Studi Milano-Bicocca.

Impegnata da tempo su temi relativi alla città contemporanea e alle sue trasformazioni, con alcuni approfondimenti sulla realtà milanese (dal fenomeno della povertà urbana a quello del cambiamento dei quartieri) e dei quartieri periferici in particolare.

Tra le varie cariche, è direttrice del Centro Interuniversitario costituito tra Bicocca e Politecnico sui Tempi urbani: tempi di vita, tempi sociali e condirettrice dell'Osservatorio sulle povertà urbane presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale. Nel 2004 ha costituito il Laboratorio sulle Periferie Metropolitane - PeriMetro_Lab.

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