€ 42,00
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ISBN 978-88-13-30711-05!;EE;;F:PVURUT!
0011763672
RIVIS
TA TRIMESTRALE DI DIRITTO PENALE DEL
L’ECONOMIA
4
2011
CONTIENEINDICI’ANNATA
RIVISTA TRIMESTRALE DI
DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA
diretta daGIUSEPPE ZUCCALÀ
A. ALESSANDRI, P. BERNASCONI Lugano, C. BERTEL Innsbruck,
G. CASAROLI, I. CARACCIOLI, P. CONTE Bordeaux, M. DELMAS-MARTY Parigi, A. FIORELLA, G.M. FLICK, G. FLORA, F. HÖPFEL, A. LANZI, V. MILITELLO, C.E. PALIERO,
A. PAGLIARO, P. PATRONO, S. PROSDOCIMI, G. SCHIAVANO, K. TIEDEMANN Friburgo I. Br.
Tari
ffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (con
DELLA CONFISCA PER EQUIVALENTE IN MATERIA PENAL-TRIBUTARIA
1. Premessa
L’art. 1, comma 143, l. 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria per il 2008) ha previsto l’istituto della confisca per equivalente – già introdotta e via via estesa a numerose fattispecie del codice penale e della legislazione comple-mentare – anche nel settore dei reati relativi alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, disponendo che: «Nei casi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 d. lgs. 10 marzo 2000 n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le
di-sposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.».
La legge richiama tutti i reati tributari contemplati dal d. lgs. 74/2000, tran-ne quello di cui all’art. 10 (Occultamento o distruziotran-ne di documenti contabili) in
quanto avente un contenuto radicalmente diverso rispetto agli altri (1).
Specifiche ragioni di politica criminale di aggressione del «profitto» (2), nei
due aspetti del «profitto criminale» e del «profitto dell’impresa criminale», cui corrisponde, secondo una categoria dottrinaria che ha trovato séguito in giuri-sprudenza, la dicotomia fra «reati-contratto», nei quali l’illiceità penale risiede nella stipula del contratto, e «reati in contratto» dove si incrimina la condotta
illecita tenuta da uno dei contraenti (3), nonché esigenze legate al principio di
stretta legalità, hanno spinto il legislatore ad estendere detta forma di confisca alla materia penal-tributaria (4).
Giova inoltre premettere che si tratta di un’ipotesi di confisca obbliga-toria e non di confisca facoltativa: «è sempre ordinata la confisca dei beni
che ne costituiscono il profitto o il prezzo», in deroga alla generale
disposizio-ne dell’art. 240 c.p. che prevede come obbligatoria la confisca del solo «prez-zo».
Il richiamo alla disciplina delle misure di sicurezza mette in luce due
pro-(1) Cfr. Salcuni, I reati tributari, in Corso di diritto penale dell’impresa (a cura di
Man-na), Padova, 2010, 493.
(2) Cfr. Musco-Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2010, 72;
Gennai-Traver-si, I delitti tributari. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2011, 197; Lanzi-Aldrovandi,
Manuale di diritto penale tributario, Padova, 2011, 179.
(3) Leoncini, Reato e contratto nei loro reciproci rapporti, Milano, 2006, 3; Cass., sez.
un., 2.7.2008, n. 26654, in Cass. pen., 2008, 4544 ss.
(4) Non sono mancate, infatti, operazioni di «ortopedia giuridica» allorquando si è
con-testata, accanto alla frode fiscale la truffa aggravata. In regime di concorso apparente di nor-me è stato ritenuto «scomponibile» il reato comnor-messo e ravvisato, di conseguenza, il presup-posto per l’applicabilità del sequestro finalizzato alla confisca di cui agli artt. 19 e 53 d. lgs. 231/2001, in modo da far retroagire la confisca per equivalente ai reati fiscali per i quali non era prevista. V., Cass., sez. III, 29.9.2009, n. 41488, in Riv. pen., 2010, 158.
blematiche discusse in dottrina: la prima, relativa alla natura giuridica della confisca per equivalente; la seconda, riguarda la nozione di «prezzo» e di «pro-fitto» del reato.
2. La natura giuridica della confisca per equivalente e sua applicazione temporale In dottrina si è da più parti discusso sulla natura giuridica di questa misura ablativa patrimoniale, sostenendone la «fuoriuscita» dal sistema delle misure di sicurezza per la funzione sanzionatoria oramai assunta, particolarmente nella forma «per equivalente», che la renderebbe una pena patrimoniale accessoria, non presentando, fra l’altro, un connotato specialprevetivo tipico della figura di cui all’art. 240 c.p. (5).
Alla confisca delineata dal codice penale – istituto già a suo tempo definito «ibrido» – non sono sconosciute le finalità delle sanzioni patrimoniali in senso stretto (multa e ammenda), rimarcate, anzi, dalla possibilità di aggredire il pro-dotto o il profitto anche non consistente in danaro, come, ad es., un immobile acquistato con i proventi derivanti da una corruzione; con la sola – importante – differenza che del profitto, a’ sensi dell’art. 322 ter c.p., la confisca è
obbliga-toria. Né, tantomeno, si potrebbe dire che il comma 1 dell’art. 240 c.p. sia un
precipitato delle presunzioni di pericolosità criminale, dato che le situazioni a maggior contenuto patrimoniale sono sottraibili discrezionalmente alla dispo-nibilità del reo («prodotto» e «profitto» del reato).
Nessuna finalità risocializzatrice è, da questo punto di vista, perseguita dal-la confisca, non essendo risolutiva l’affermazione per dal-la quale dal-la privazione del-le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato sia volta a preve-nire la commissione di future violazioni della legge penale. È evidente la so-vrapposizione di piani: non si «previene» la manifestazione della pericolosità dell’agente, sulla quale si incentra il sistema della misure di sicurezza, bensì la commissione di reati con quei mezzi o per tramite del «consolidamento» del prodotto o profitto in capo all’agente, stilizzata con il «passaggio» della perico-losità dalla cosa al reo (6).
Espressione, questa, che serviva a giustificare la presenza della confisca a chiusura del Titolo VIII del Libro I del Codice penale ma che, nella sostanza, non eliminava i dubbi sulla correttezza della sua collocazione, tenendo conto che l’art. 210 c.p. disciplinante gli effetti estintivi del reato (che qui non interes-sano) e della pena sulla sopravvivenza della misura di sicurezza, non impedisce, in quest’ultimo caso, l’applicazione della confisca (cfr. art. 236 cpv. c.p.). La «cauzione di buona condotta» è sottratta al predetto regime, trasformandosi, in caso di inadempimento dell’obbligo di prestarla, nella misura di sicurezza per-sonale non detentiva della libertà vigilata (art. 238 c.p.).
(5) Cocco (a cura di), I reati contro i beni economici. Patrimonio, economia e fede
pubbli-ca, 2aed., Padova, 2010, 201.
Ragioni di coerenza sistematica avrebbero imposto che alla caducazione della pena seguisse la caducazione di tutte le misure di sicurezza, senza residui di sopravvivenza, mentre, il fatto che l’art. 236, comma 2, c.p. non richiami fra le disposizioni che si possono applicare a tale misura di sicurezza gli artt. 202, 203 e 204 c.p. in tema di pericolosità sociale, mette in luce che il legisla-tore ha voluto svincolare la confisca relativa ad una cosa dalla pericolosità soggettiva dell’autore.
Posto che, per quanto sinteticamente richiamato, non è possibile applicare alla confisca le regole discendenti dall’accertamento della pericolosità sociale e, di conseguenza, gran parte della disciplina delle misure di sicurezza, resta da vedere se il «contenuto» di questa figura sanzionatoria consenta di recuperare parte delle regole che sovrastano l’applicazione di dette misure.
Uno dei problemi più dibattuti suscitati dalla l. 24 dicembre 2007, n. 244 è stato quello della possibile retroattività della disposizione dell’art. 1, comma 143, relativo alla confisca per equivalente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del provvedimento legislativo, in quanto misura di sicurezza. Senza che sia possibile scendere nel dettaglio della complessa questione, il mancato richiamo da parte del comma 3 dell’art. 25 Cost., dedicato alle misure di sicu-rezza, all’irretroattività canonizzata al comma 2, lascia impregiudicati i pre-supposti applicativi («fatto» e «pericolosità») che non si sottraggono alla ge-nerale regola di garanzia della Costituzione repubblicana. In altre parole, se, per i reati tributari che ci occupano, il legislatore decidesse di applicare la mi-sura della confisca ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge, allo scopo di dare un connotato di maggiore severità all’intera disciplina della materia, incontrerebbe ostacoli di natura costituzionale. Ciò che sarebbe asso-lutamente vietato, di contro, è applicare tale misura (ma il discorso vale per tutte le misure di sicurezza) a fatti integranti una nuova figura di reato tributa-rio, creata dal legislatore in un momento successivo alla commissione dei fatti stessi.
Da altro punto di vista, la deroga all’irretroattività si giustifica con la diver-sa finalità cui sono dirette le pene e le misure di sicurezza. Queste ultime hanno uno scopo diverso dall’intimidazione e dalla retribuzione, bensì curativo e di
ri-socializzazione del reo per cui la retroattività – fermo restando il rispetto del
principio di legalità – corrisponde pienamente alla natura di questo particolare tipo di sanzioni (7).
Per la confisca, seguendo detto ragionamento, il discorso dovrebbe essere inverso, e cioè, dato il carattere (prevalentemente) retributivo e afflittivo che
possiede (8), scevra da ogni considerazione sulla pericolosità soggettiva che le
misure di sicurezza sono chiamate ad eliminare, essa non può, al pari delle pe-ne, applicarsi retroattivamente. Al di là di queste considerazioni di sistema e di
(7) Caraccioli, I problemi generali, cit., 121 ss., 547 ss.
(8) Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, 4aed., Torino, 2011, 582; Cass., sez.
principio, v’è poi, a nostro sommesso avviso, un argomento di diritto positivo che, nei limiti del presente contributo, vorremmo svolgere e che, in parte, è sta-to dibatutsta-to in recenti decisioni giudiziarie.
Secondo una tesi, per rendere compatibile con l’art. 7 della CEDU – e quindi con l’art. 117, comma 1, Cost. – il novellato testo dell’art. 186, comma 2, lett. c), del codice della strada, è sufficiente limitare la declaratoria di illegittimi-tà costituzionale alle sole parole «ai sensi dell’articolo 240, comma 2, del codice penale», dalle quali soltanto deriva l’applicazione retroattiva della misura in questione (9).
In sostanza, secondo la Corte, la confisca è sanzione più vicina ad una pena accessoria identica per finalità alla pena principale, per cui soggiace alla più ri-gorosa previsione dell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il ragionamento seguito dalla Consulta non appare convincente, da un lato, perché non spetta ad essa mutare la qualificazione giuridica di una disposizione espellendo dalla formulazione normativa i rinvii ad altra disciplina; dall’altro non considera il «diritto vivente» formatosi in relazione all’operatività della confisca.
Come affermato dalla Corte costituzionale (10), l’assenza di un «rapporto di
pertinenzialità» (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono alla confisca una connotazione prevalentemente afflit-tiva, attribuendole, così, una natura «eminentemente sanzionatoria», che impe-disce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell’art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive.
Diritto vivente che è richiamato – fra l’altro – come fonte per le sanzioni dall’art. 7 della CEDU, il quale, sotto il versante della irretroattività, attraverso l’elaborazione del concetto di «materia penale», deve ritenersi inderogabile e, come tale, riguardante tutte le misure sanzionatorie che, a prescindere dall’«e-tichetta», corrispondono ai criteri elaborati dalla Corte Europea dei diritti del-l’Uomo (11).
Ora, siccome la norma «reale» è composta da tutte quelle disposizioni che concorrono a descrivere la fattispecie, bisogna riconoscere che sia l’art. 25 comma 2 della Costituzione, sia l’art. 7 CEDU, nonché l’interpretazione giuri-sprudenziale entrino a far parte di questa, definendone completamente la fisio-nomia sancendo, relativamente alla confisca (anche nella forma per equivalen-te), il divieto di applicazione retroattiva.
Quanto appena detto conferma la natura di misura di sicurezza, cioè di sanzione criminale, anche della confisca per equivalente che rappresenta una
(9) Corte Cost., sent. 4.6.2010, n. 196, in www.cortecostituzionale.it.
(10) Corte Cost., ord. 2.4.2009, n. 97, in in Giur. cost., 2009, 894 ss.
(11) Cfr. Esposito, Il diritto penale «flessibile». Quando i diritti umani incontrano i
semplice modalità applicativa della confisca di cui all’art. 240 c.p., senza che, però, per le ragioni di cui sopra, trovi applicazione la regola di cui all’art. 200 cpv. c.p. (12).
3. Il concetto di «profitto»: problemi applicativi
La caratteristica fondamentale della novella del 2008 è l’introduzione di una ipotesi «base» di confisca obbligatoria e di un’ipotesi «speciale» di confisca per equivalente. Sulla prima ipotesi, segnatamente alla trasformazione in «ob-bligatoria» dell’ablazione del profitto, ci siamo già intrattenuti e non dà adito a difficoltà particolari se non per taluni aspetti, uno dei quali riguarda la confi-scabilità, anche in mancanza di una sentenza di condanna, delle cose la cui fab-bricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce reato. Si può portare ad esempio la confisca obbligatoria delle fatture false per operazioni inesistenti appartenenti a soggetto diverso dall’utilizzatore, il cui uso realizza l’ipotesi di cui all’art. 8 d. lgs. 74/2000, non punibile, ad es., per ca-renza dell’elemento psicologico.
Un altro aspetto problematico è legato alla nozione di «profitto». Questo, si dice, qualora non sia materialmente corrispondente al vantaggio economico (danaro) conseguito all’evasione, va confiscato «per equivalente»: è il caso di un immobile acquistato con le somme sottratte all’imposizione fiscale. Tutta-via, la «trasformazione» del danaro in un altro bene suscettibile di valutazione economica non fa venir meno il c.d. «nesso di pertinenzialità» tra il reato ed il bene da sottoporre a misura ablativa, proprio perché esso rappresenta, anche in parte, il risultato di quell’operazione criminosa, per cui non si fa questione di comparazione fra «valore» del profitto e il «valore» corrispondente confiscato
(13). In sostanza, nella nozione di «equivalenza» scompaiono quei caratteri di
immediatezza fra il risultato dell’azione criminosa e il reato (14), dai quali la
confisca speciale prescinde sino ad abbracciare, oltre ai benefici economici re-moti, anche quelli immateriali e successivi senza che sia necessario dimostrare, fra l’altro, la confluenza del bene nel patrimonio dell’indagato per tentarne il recupero (15).
Come sottolineato dai commentatori e dalla giurisprudenza, la novità di questa forma di confisca consiste nel fatto che, ai fini della sua applicazione, non vi è la necessità di dimostrare detto «nesso» tra il reato ed i beni da sottrar-re al sottrar-reo. Può trattarsi, quindi, anche di beni «scollegati» dall’illecito. In tal mo-do, pertanto, potranno essere coattivamente acquisiti dall’Autorità giudiziaria anche beni legittimamente posseduti dal reo, benché non riferibili al reato
(12) Contra Cass., 9.5.2001, in Cass. pen., 2002, 581.
(13) Cass., sez. un., 6.3.2008, in Giur. it., 2008, 2311 ss.
(14) Cfr. Grasso, in Commentario sistematico del codice penale (a cura di
Romano-Gras-so-Padovani), 2aed., Milano, 2011, 615.
(15) Cass. sez. VI, 27.1.2005, n. 11902, Baldas; Cass., sez. III, 17.4.2008, n. 25129. Cfr.
commesso, a condizione che siano nella disponibilità del medesimo e si tratti di beni di valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto del reato.
Tale rigoroso criterio interpretativo può provocare notevoli iniquità opera-tive, come avvenuto in tema di «usura», essendo stati confiscati anche beni in-testati a persone di famiglia, di cui il condannato aveva la disponibilità di fatto, acquistate dalle stesse con il proprio lavoro del tutto indipendenti dall’usura del capo-famiglia (ad es., appartamento acquistato dalla moglie parecchi anni prima dei fatti usurari con il ricavato di propri stipendi) oppure beni (denaro od altro) legittimamente detenuti dal contribuente-evasore nel proprio patri-monio da tempo immemorabile e che nulla hanno a che vedere con il reato fi-scale commesso, solo per soddisfare le pretese erariali.
Una discussione agitata in giurisprudenza riguarda confiscabilità del solo «prezzo», come si dovrebbe desumere dal comma 1 dell’art. 322 ter c.p., ovve-ro anche al povve-rofitto. Ebbene, si potrebbe ritenere che il comma 2 dell’art. 322
ter c.p. sia norma «eccezionale», derogante il comma 1, non estensibile, quindi,
oltre i casi da essa previsti.
A ben vedere si tratta di un falso problema. Nonostante la confiscabilità dei beni di cui il reo ha la disponibilità sia dal comma 1 limitata al solo prezzo cor-rispondente, è al comma 3 che bisogna fare riferimento, dove si impone al giu-dice, con la sentenza di condanna, di individuare i beni assoggettati a confisca
per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato (16). Un maggiore
coordinamento fra i tre commi dell’art. 322 ter nonché una maggiore uniformi-tà terminologica, come quella riscontrabile nell’art. 648 quater c.p. riferito al prezzo, prodotto e profitto, solleverebbe l’interprete dall’affrontare numerose questioni interpretative.
Una di queste riguarda il «prezzo» del reato che, nel campo dell’illecito tri-butario, riguarda solo una parte dei proventi derivanti dal delitto: nella vendita di fatture false da parte di una «cartiera» (art. 8 d. lgs. 74/2000) il prezzo coin-cide con le somme derivanti da tali vendite. Ma cosa accade se, in una frode ca-rosello, la cartiera appartiene al gruppo e non viene corrisposto alcun compen-so a fronte dell’emissione? Se, peraltro, facciamo riferimento alla dichiarazione infedele (art. 4 d. lgs. 74/2000) dubitiamo che si possa ritenere «prezzo» del reato la sommatoria delle imposte sottratte al Fisco, meglio qualificabile come «profitto», consistente in un vantaggio diretto delle dichiarazioni mendaci an-che se costituito da risparmi di spesa, difficilmente inquadrabile nella confisca ordinaria ma rientrante – a nostro avviso – nel più ampio concetto di «equiva-lenza» (17).
Si può ritenere «profitto» del reato la sommatoria delle imposte sottratte al Fisco, ma taluni dubbi emergono nel caso in cui si sostenga che vadano detratte quelle somme che stanno al di sotto delle soglie quantitative di punibilità. A mio sommesso avviso si tratta solo di una suggestione, in quanto il
superamen-(16) Cass. sez. III, 27.1.2011, n. 8982, in Guida al diritto, 2011, n. 19, 58.
to delle stesse rappresenta lo spartiacque fra la responsabilità amministrativa e la responsabilità penale, ma non costituiscono ostacolo per l’Amministrazione a recuperare le somme evase.
4. Sul concetto di «equivalenza»
Preliminarmente, occorre svolgere qualche considerazione sul concetto di «valore corrispondente», se questo cioè sia da intendersi in un’accezione pena-listica ovvero se possa utilmente farsi riferimento ai canoni interpretativi del-l’esperienza civilista (18). Al diritto penale classico non sono peraltro
sconosciu-ti rinvii ad elemensconosciu-ti normasconosciu-tivi connotasconosciu-ti da una forte discrezionalità del giudi-ce, come, ad. es., il «tenuo valore» delle cose oggetto di furto per bisogno di cui all’art. 626, comma 1, n. 2, c.p.
Il «valore» delle cose oggetto di ablazione è svincolato dal danno subito dal soggetto passivo – l’Erario – e corrisponde al quantum dell’evasione effettiva, consistente in un indebito rimborso o nel riconoscimento di un inesistente cre-dito d’imposta, con la differenza che, nell’ipotesi contemplata dall’art. 626 c.p. il valore può, in casi non infrequenti, orientare verso la non punibilità ai sensi dell’art. 49 cpv. c.p. qualora esso sia così minimo da non raggiungere una soglia di rilevanza penale.
Oppure possiamo pensare al caso, per la verità non raro, in cui il Fisco ab-bia incassato delle somme in sede di accertamento con adesione. L’interrogati-vo è il seguente: si deL’interrogati-vono detrarre le somme percepite secondo il meccanismo conciliativo, oppure essendo il Fisco soddisfatto, il valore del profitto del reato non sussiste, perché è il profitto stesso che viene meno?
Nelle ipotesi di reati fiscali, come detto, la introduzione di soglie quantitati-ve di punibilità pre-individuanti situazioni di rilevante offensività, renderebbe superflua ogni indagine in tal senso.
Si tratta, quindi, di valore economico in sé, teso a ristabilire equilibri che vanno al di là del rapporto fra reato e vantaggi che dalla commissione di questo ne derivano. Nei reati che possiedono un contenuto economico, anche se – co-me noto – non coincidono con i reati contro il patrimonio, il profitto, pur re-stando, per così dire, sullo sfondo, funge, nel nostro caso, da unità di misura per riequilibrare gli scompensi economici del reato, punendo una condotta che potremmo definire di «auto riciclaggio» o «auto (re)impiego» (in deroga agli artt. 648 bis e 648 ter c.p.) (19) quando il reo occulti i proventi del reato
facen-(18) Per un’analisi dettagliata delle varie posizioni v. Amisano Tesi, Confisca per
equiva-lente, in Dig. disc. pen., Agg. IV, 2008, 198 s.
(19) Sui rapporti fra la fattispecie di «riciclaggio» e di «re-impiego», nonché sulla
proble-matica di politica criminale circa l’introduzione nel nostro ordinamento di una autonoma fi-gura di «auto-riciclaggio», alla luce del d. lgs. 231/2007, v., rispettivamente, i saggi di
Giun-tae di Paliero, in Riciclaggio e imprese (a cura di Arnone-Giavazzi), Milano, 2011, 84 s. e 92
s. Più in generale, sui rapporti fra riciclaggio e reati fiscali, Foumdjem, Blanchiment de
Pa-doli scomparire nel suo patrimonio, trasformanPa-doli o dando loro diversa veste giuridica. In sostanza, l’«equivalenza» ha il preciso significato di svincolare la
res che costituisce il prodotto, il profitto o il prezzo del reato dall’ablazione
di-retta e quindi dallo svolgere indagini circa l’esistenza della stessa o di verificare che il profitto del reato sia confluito effettivamente nella disponibilità dell’in-dagato, per incentrarsi sull’astratta consistenza del provento criminoso.
Quanto or ora detto non significa che vada acriticamente seguita la prassi, fin qui instauratasi nelle ipotesi di confisca per equivalente prevista per reati di-versi da quelli tributari, di procedere – al fine di richiedere al P.M. il sequestro preventivo – ad un’individuazione del tutto generica e persino arbitraria di be-ni casualmente rinvenuti nell’abitazione dell’indagato.
Ciò avviene, in verità, anche se discutibilmente, con riferimento al seque-stro preventivo (art. 321, comma 2, c.p.p.), ma non può certo ammettersi nei confronti della confisca che è provvedimento disposto dal giudice con la sen-tenza di condanna. L’ultimo comma dell’art. 322 ter c.p. impone, infatti, a tale scopo, una compiuta valutazione da parte del magistrato, verosimilmente a sé-guito di una complessa valutazione peritale, di determinare le somme di denaro o di individuare i beni assoggettati a confisca ovvero il «valore» corrispondente al profitto o al prezzo del reato.
5. Il soggetto attivo
Un’importate questione interpretativa derivante dall’estensione dell’art. 322 ter c.p. ai reati tributari riguarda la definizione del «reo», che, per i principi generali può essere l’autore diretto dei reati fiscali oppure il concorrente nel reato.
Variamente richiamati dalle norme penali-tributarie, i soggetti attivi posso-no essere soltanto coloro che soposso-no obbligati alla presentazione della dichiara-zione dei redditi o sul valore aggiunto, colui che opera in qualità di sostituto d’imposta o contribuente IVA ovvero colui che è obbligato al versamento delle imposte. Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti può, invece, essere realizzato da chiunque.
Se con tali soggetti concorrono altre persone, diverse dagli autori diretti del reato tributario (ad es., dichiarazione infedele dei redditi sottoscritta dal Presi-dente del Consiglio di amministrazione di una società, con cui abbiano dolosa-mente concorso gli altri consiglieri e l’amministratore delegato; emissione od utilizzazione di fatture false in cui tra l’emittente e l’utilizzatore si sia inserito un «mediatore» che abbia messo in contatto i due soggetti; reato fiscale di qua-lunque genere al quale abbia dolosamente concorso un consulente esterno), anche costoro potranno ovviamente essere destinatari del provvedimenti di confisca sui propri beni.
ris, 2008; Alldridge, Money laundering law. Forfeiture, Confiscation, Civil Recovery,
Se sul punto valgono i principi generali in materia di concorso di persone nel reato (artt. 110 ss. c.p.) problemi si pongono per il c.d. «soggetto di fatto», ora oggetto di disciplina specifica nel settore penale societario all’art. 2639 c.c., da una recente corrente interpretativa ritenuto espressione di un principio ge-nerale estensibile a settori diversi da quello per il quale è stato espressamente dettato: in primis i reati fallimentari (20).
Il punto veramente delicato della questione è che, a riguardo, la giurispru-denza ha sempre sostenuto la personalità delle obbligazioni tributarie,
«pro-prie» del contribuente, come tali non delegabili ad altri (21). Una parziale
rivi-sitazione di tale atteggiamento rigorista si impone alla luce non solo del nuovo art. 2639 c.c. ma dal coordinamento intrasistematico e cioè dalla possibile rea-lizzazione in concorso di un illecito penale societario, tributario e fallimenta-re, per cui sarebbe illogico, in una situazione del genefallimenta-re, ammettere una re-sponsabilità del soggetto di fatto per taluno di detti reati, e poi negarla per ta-laltro.
La soluzione positiva o negativa che si intende dare al problema è, inoltre, strettamente connessa al concetto di «disponibilità» richiamato dall’art. 322 ter c.p. e cioè se possano ritenersi nella disponibilità del reo (ad es. il Presidente del CdA) i beni (mezzi di qualsiasi tipo dell’azienda) e soprattutto le somme de-positate su conti correnti intestati alla società, a proposito delle quali ci si chie-de se solo nel caso in cui il soggetto di diritto abbia il potere di firma sul conto possa disporsi la confisca, mentre se tale potere fa capo ad un dipendente dota-to di tale potere (ma fuori dal novero dei soggetti attivi) essa non sarebbe possi-bile.
Per poter evitare incongruenze di tal fatta dovrebbe ammettersi l’esistenza, anche in campo penal-tributario, di soggetti di fatto che, rimanendo alle ipotesi prospettate, potrebbero comunque ottenere la firma sui conti, in riferimento alla situazione giuridica esistente al momento in cui la confisca (o il sequestro) devono essere applicati, tralasciando le situazioni ipotetiche che, concretamen-te, non si sono realizzate.
6. Considerazioni conclusive
Dimostrata la natura «eclettica» della confisca per equivalente che si fonda – come la confisca «ordinaria» – su necessità di prevenzione e di repressione, abbiamo altresì evidenziato ulteriori caratteri che la avvicinano molto ad una sanzione civilistica, di riparazione per il semplice torto oggettivo. Ristorazione di interessi ulteriori e diversi da quelli lesi dal reato, corrispondenti più ad una
(20) Cfr. Di Amato, Diritto penale dell’impresa, 7aed., Milano, 2011, 104; Ambrosetti,
I reati fallimentari, in Diritto penale dell’impresa (a cura di Ambrosetti-Mezzetti-Ronco), 2a
ed., Bologna, 2009, 255. Contra, Manna, I soggetti attivi, in Corso di diritto penale
dell’impre-sa, cit., 24.
«ragion fiscale» dello Stato, consistente nell’aggressione – adesso obbligatoria – del profitto da attuarsi secondo modalità che ricalcano il modello di respon-sabilità civile.
Sul punto anche la giurisprudenza ha mostrato una certa disinvoltura ad ammettere che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca possa interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profit-to accertaprofit-to, sebbene – si dice – la confisca non possa essere duplicata o
co-munque eccedere, nel quantum, l’ammontare complessivo dello stesso (22).
Considerazioni ulteriori però possono essere formulate anche sulla scorta dell’argomento sistematico e comparatistico.
L’«equivalenza» rimanda ad un concetto di «fungibilità» tipico delle obbli-gazioni di valore aventi ad oggetto entità economicamente valutabili in termini monetari. Un conto è, infatti, la confisca delle cose che servirono a commettere il reato, altro è imporre una prestazione patrimoniale «in luogo» dell’originaria apprensione coattiva del prodotto, del profitto e/o del prezzo del reato.
Non v’è dunque da meravigliarsi se l’istituto abbia trovato ampia applica-zione nei settori deputati alla repressione della criminalità del profitto, succes-sivamente esteso alla legislazione generale che contempla numerose fattispecie penali, non tuttavia a contenuto esclusivamente economico.
Si pensi alla confisca per equivalente nel diritto penale francese, trasposto dal codice doganale al codice penale comune (art. 131-21 al. 3 c.p.) per il quale il giudice può altresì sostituire alla confisca la condanna alla pena pecunia di te-nore corrispondente al valore della cosa oggetto di causa, oltre ad un’ammenda supplementare.
Significativo è che la confisca doganale possa essere pronunciata tutte le volte in cui l’Amministrazione delle dogane eserciti l’azione per l’applicazione delle sanzioni fiscali. Tuttavia, il Pubblico Ministero può esercitare l’azione fi-scale accessoriamente all’azione pubblica (art. 343 cod. dog.). In questo caso la confisca costituisce una sanzione fiscale e non penale, colpisce gli oggetti e le merci che sono serviti a mascherare la frode. Gli oggetti così confiscati non pos-sono essere rivendicati dai proprietari, né le somme, siano esse depositate o no, possono essere reclamate dai creditori privilegiati. Anche in questo caso in luo-go della confisca può essere data una pena pecuniaria di una somma uguale al valore di detti oggetti (art. 435 cod. dog.) (23).
La confisca è finalizzata ad aggredire beni diversi ma «equivalenti», per va-lore, a quelli costituenti direttamente il provento del reato, caratteristica che la avvicina ad un risarcimento del danno a favore dello Stato per una lesione ad un interesse solo parzialmente coincidente con il «danno criminale», irrilevante
essendo, inoltre, la legittima provenienza di quanto sequestrato (24).
(22) Cass. sez. III, 27.1.2011, n. 6894.
(23) Cfr. Renout, Droit pénal général, Orléans, 2008, 274 ss.; Mayaud, Code pénal, Paris
Cedex, 2009, 185.
va-Ulteriori profili problematici presenta il c.d. «principio di solidarietà», emerso in sede di applicazione cautelare del sequestro finalizzato alla confisca. L’art. 11 della l. n. 146 del 2006 ammette espressamente la confisca di quei beni di cui il reo disponga anche per interposta persona, fisica o giuridica, pur se
questi appartengono in tutto o in parte a persona estranea al reato (25).
Il concetto di «disponibilità» fa sì che, nell’ambito di quella che potremmo definire un’obbligazione soggettivamente complessa derivante da fatto illecito, scompaiano tutti i caratteri che tradizionalmente connotano la pena e talune misure di sicurezza, favorendo però l’aggiramento delle garanzie – principal-mente in punto divieto di responsabilità per fatto altrui – che assistono tutte le sanzioni materialmente afflittive, tipo le pene accessorie alle quali la confisca sarebbe riportabile.
L’inquadramento all’interno di quest’ultima categoria, porterebbe però a vanificarne l’applicazione, soprattutto ove si consideri la possibilità di poterle sospendere condizionalmente, incompatibile però con le finalità per cui la con-fisca (anche di valore) è stata dettata. Né, tantomeno, può assurgere al ruolo di sanzione principale, pur in materia di criminalità economica, perché non pos-siede un forte contenuto general-preventivo tipico della pena restrittiva della li-bertà personale. Non resta che qualificarla come misura di sicurezza, benché non presenti appieno tutte le caratteristiche di queste, le quali sono tuttavia molto eterogenee fra di loro (ad es. libertà vigilata e casa di lavoro) ma tutte ac-comunate dal rigoroso rispetto delle garanzie che l’ordinamento accorda alla «materia» penale.
Gianluca Ruggiero ricercatore di diritto penale
nell’Università di Torino
lori patrimoniali sottostanti alla confisca non sono più reperibili, il giudice ordina in favore dello Stato un risarcimento equivalente».
(25) Cfr. l’art. 72, comma 1, c.p. svizzero: «I valori appartenenti a una persona che abbia
partecipato o sostenuto un’organizzazione criminale (art. 260) sono presunti sottoposti, fino a prova del contrario, alla facoltà di disporre dell’organizzazione». In argomento, per tutti,
Heine, Organisierte Kriminalität und kriminelle Organisationen. Landbericht Schweiz, in
Or-ganisierte Kriminalität und kriminelle Organisationen (a cura di Gropp-Sinn), Baden-Baden,