UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica
TESI DI LAUREA
Correlazione tra sintomi di spettro maniacale
lifetime, PTSD e spettro post-traumatico da stress
in studenti sopravvissuti al terremoto di L’Aquila
2009: differenze di genere.
Candidato RELATORE
Carlo Antonio Bertelloni Chiar.mo Prof. Liliana Dell’Osso
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INDICE
1. RIASSUNTO
2. INTRODUZIONE
2.1. Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD): caratteristiche
cliniche ed epidemiologiche dal DSM-III al DSM-5.
2.2. PTSD parziale e spettro post-traumatico da stress
2.3.PTSD e disturbo dell’umore
2.4. Spettro dell'umore
2.5. Obiettivo dello studio
3. MATERIALI E METODO
3.1. Campione
3.2. Strumenti e metodi di Valutazione
3.2.1. Il TALS-SR
3.2.2. Il MOODS-SR
3.3. Analisi statistiche
4. RISULTATI
5. DISCUSSIONE
TABELLE E FIGURE
6. APPENDICE: TALS-SR VERSIONE LIFETIME
7. APPENDICE: MOODS-SR VERSIONE LIFETIME
8. BIBLIOGRAFIA
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1. RIASSUNTO
Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è una patologia cronica, contraddistinta dalla presenza di una serie di sintomi che determinano un peggioramento significativo della qualità della vita e che si sviluppano a seguito dell’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico. Gli individui affetti da PTSD rivivono continuamente il trauma attraverso incubi, flashback e ricordi spiacevoli. L’elevato malessere che queste immagini determinano nel soggetto comportano una serie di condotte di evitamento verso pensieri, sensazioni, conversazioni, luoghi, oggetti, persone o situazioni che rievocano l’evento traumatico, oltre a sintomi di ottundimento affettivo, alterazioni negative della cognitività e dell’umore ed anche aumento persistente dell’arousal.
La diagnosi di PTSD è stata introdotta per la prima volta nel DSM-III del 1980. I relativi criteri diagnostici sono stati poi riformulati nei manuali successivi, fino ad arrivare al DSM-5, di recente pubblicazione, in cui si prevedono oltre al criterio A, che riguarda l’evento traumatico, una serie di sintomi racchiusi in quattro criteri: criterio B (sintomi da rievocazione), criterio C (evitamento), criterio D (sintomi da ottundimento affettivo) e criterio E (sintomi da aumento persistente dell’arousal).
Vari studi mostrano come la prevalenza del PTSD in specifici gruppi di popolazione, tra cui veterani di guerra, sopravvissuti a terremoti, cicloni o uragani, cosi come nelle vittime di stupro, oscilli dall’8 al 43%. Nella popolazione generale invece le indagini epidemiologiche più recenti hanno riportato tassi di prevalenza del 6.5% negli Stati Uniti e del 2.3% in Italia.
Sono stati inoltre individuati, nel corso degli anni, come potenziali fattori di rischio per lo sviluppo del PTSD: la suscettibilità genetica, il sesso femminile, la giovane età, l'etnia, la gravità dell'evento, i fattori socioeconomici, la presenza di danni cerebrali traumatici ed infine la personalità premorbosa e l'anamnesi psichiatrica.
In particolare, è stata studiata da vari autori la relazione tra PTSD e disturbo bipolare. Secondo i dati del National comorbidity survey (NCS) la diagnosi lifetime di PTSD in soggetti con disturbo bipolare I raggiunge il 38.8%. Ulteriori studi hanno dimostrato come i soggetti bipolari abbiano un rischio di esposizione al trauma più alto rispetto alla popolazione generale. Inoltre il PTSD, come altri disturbi d’ansia, influenza negativamente il decorso del disturbo bipolare determinando un peggioramento del quadro clinico, minor
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aderenza al trattamento e un maggior rischio di abuso di sostanze e di suicidio. Nonostante PTSD e disturbo bipolare siano patologie caratterizzate da numerose differenze tra maschi e femmine, in letteratura si hanno scarsi dati sulle possibili influenze del genere sulla relazione tra questi due disturbi.
Negli ultimi anni, l’interesse di molti autori si è spostato verso forme di patologia mentale ad espressione clinica parziale, subclinica o sottosoglia. Tale fenomeno è derivato dalla convinzione che la definizione dei disturbi del DSM, in categorie diagnostiche rigide e nettamente distinte, non sembra essere in grado di comprendere quello spettro di forme psicopatologiche che spesso determinano grave disagio soggettivo, nonostante non soddisfino completamente i criteri diagnostici.
I ricercatori della Clinica Psichiatrica dell'Università degli Studi di Pisa, all’interno di un gruppo di collaborazione internazionale, definito “Spectrum Project”, hanno quindi elaborato un nuovo modello di approccio sia al PTSD che hai disturbi dell’umore: rispettivamente lo Spettro Post-Traumatico da Stress e lo Spettro Bipolare. Sono stati inoltre sviluppati e successivamente validati dei questionari per indagare l’intera dimensione di questi due disturbi, ovvero il Trauma and Loss Spectrum-Self Report (TALS-SR), per valutare i sintomi dello spettro post-traumatico e il Mood Spectrum-Self Report versione lifetime (MOODS-SR), per indagare i sintomi dello spettro dell'umore nel corso della vita.
In questa tesi, è stato indagato un campione costituito da 512 studenti dell’ultimo anno di scuola superiore (280 maschi e 232 femmine), sopravvissuti al terremoto di L’Aquila 2009, utilizzando il MOODS-SR e il TALS-SR, con lo scopo di studiare la relazione tra i sintomi di spettro dell’umore lifetime e la presenza di PTSD e di sintomi di spettro post-traumatico da stress. Obiettivo secondario è stato quello di esplorare eventuali differenze di genere in tali correlazioni.
Il 30.7% dei soggetti esaminati presentava una diagnosi di PTSD. Questo gruppo mostrava inoltre punteggi più elevati nei domini di spettro dell’umore rispetto ai sopravvissuti senza PTSD e, come atteso, punteggi maggiori nei domini di spettro post traumatico da stress. Inoltre, è stata trovata un associazione significativa tra le componenti “umore depressivo”, “energia maniacale” e ”cognitività depressiva” del MOODS-SR e il PTSD. Sia la componente depressiva che quella maniacale del MOODS-SR risultano correlate con i domini “eventi potenzialmente traumatici” e “comportamenti maladattativi”
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del TALS-SR. Infine, sono state rilevate correlazioni maggiormente significative tra la componente maniacale del MOODS-SR e i punteggi del dominio “comportamenti maladattativi” del TALS-SR nei sopravvissuti con PTSD rispetto a quelli senza PTSD.
Per quanto riguarda le differenze di genere, si è osservato come, in generale, i maschi con PTSD siano più propensi a sviluppare comportamenti maladattaivi rispetto alle femmine. E’ interessante osservare come la componente maniacale è risultata correlata in modo significativo alla possibilità di essere esposti ad eventi traumatici solo nei soggetti di sesso maschile con PTSD. Non vi sono invece differenze significative tra i due generi nella relazione tra componente maniacale del MOODS-SR e il dominio “comportamenti maladattativi” del TALS-SR. Questo conferma l’importanza dei sintomi di spettro maniacale-ipomaniacale nell’aumentare il rischio di tali comportamenti in entrambi i sessi.
In conclusione, i risultati di questa tesi sembrano essere in accordo con la letteratura internazionale, sottolineando una forte relazione tra sintomi dell’umore e PTSD, per cui i pazienti bipolari possiedono un maggior rischio di esposizione ad eventi potenzialmente traumatici e maggiore vulnerabilità per lo sviluppo di PTSD. Inoltre, per la prima volta emerge una significativa relazione tra i sintomi di spettro dell’umore lifetime sia con PTSD conclamato che con sintomi di spettro post-traumatico da stress in sopravvissuti ad un grave terremoto in Italia. Ulteriori studi sono necessari al fine di programmare interventi più efficaci e mirati per prevenire l’insorgenza di disturbi mentali pervasivi, altamente invalidanti e tendenzialmente cronici come il PTSD, nelle popolazioni vittime di un terremoto.
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2. INTRODUZIONE
2.1 Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD): caratteristiche cliniche ed
epidemiologiche dal DSM-III al DSM-5
Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) si caratterizza per un peculiare quadro psicopatologico che si sviluppa in connessione causale all’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico di estrema gravità oggettiva, con decorso tendenzialmente cronico, scarsa risposta ai trattamenti farmacologici e da un risultante significativo peggioramento della qualità della vita (Brady et al., 2000; Howard e Hopwood 2003; Hamner et al., 2004; Peleg e Shalev 2006; McHugh e Treisman, 2007; Javidi e Yadollahie, 2012).
Nel PTSD, il trauma riemerge in modo intrusivo nei ricordi del soggetto sotto forma di flashback, immagini vivide e incubi, associandosi a condotte di evitamento nei confronti di pensieri, luoghi, oggetti e situazioni che rievocano l’evento traumatico, a sintomi di ottundimento affettivo, ad alterazioni negative della cognitività e dell’umore, oltre a sintomi persistenti di aumentato arousal [Criteri B, C, D ed E del DSM-5 (APA, 2013)]. L’insieme di questi elementi, ed in particolar modo la presenza dei sintomi intrusivi, determina l'autoperpetuarsi delle alterazioni psicobiologiche insorte dopo il trauma e l'incapacità dell'organismo a ritornare alle condizioni di omeostasi precedenti all’esposizione (Yehuda et al., 2000).
Numerosi studi sono stati condotti nel corso degli anni per indagare le basi neurobiologiche di PTSD, riscontrando modificazioni a livello genetico, biochimico e morfologico a carico di varie strutture ( (Dell'Osso et al., 2009; Sherin e Nemeroff 2011).
Questo disturbo ha suscitato un grande interesse in psichiatria sin dalla sua introduzione nel DSM-III (APA 1980). Nonostante la sua introduzione nella nosografia ufficiale sia recente, artisti come Omero e Shakespeare avevano in passato descritto la notevole influenza che gli eventi di vita stressogeni determinano sul sistema cognitivo, emozionale e sul comportamento (Jones 2006; Friedman et al., 2011a).
Già nel sedicesimo secolo si possono ritrovare le prime descrizioni strutturate di quadri psicopatologici con caratteristiche simili a quelle dell’attuale PTSD in soldati reduci da scontri militari. Nel 1666, successivamente al Grande Incendio di Londra, Samuel
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Pepys riportò invece per la prima volta un caso di sindrome post-traumatica non correlata ad un evento bellico (Daly 1983).
Nel diciannovesimo secolo, con l’avvento della ferrovia, si moltiplicarono in letteratura medica descrizioni di casi clinici classificati proprio come post-traumatici, nelle vittime di incidenti ferroviari. Questi disturbi all’epoca furono però messi in relazione a possibili danni a carico della colonna o del sistema nervoso centrale subiti durante l’incidente,senza ipotizzare una possibile causa psicopatologica. Cosi, Erich Erichsen nel 1866 coniò la definizione di “colonna vertebrale da ferrovia” (Lowe et al, 2006).
È solo all’inizio del ventesimo secolo che lo stress psichico conseguente ad eventi traumatici iniziò ad assumere un ruolo centrale nella psicopatologia. Karl Abraham e Sigmund Freud correlarono la precoce esposizione ad un trauma alla maggiore vulnerabilità nei confronti di successivi eventi stressanti e ad una elevata suscettibilità a sviluppare disturbi mentali. Fu il neurologo tedesco Hermann Oppenheim ad introdurre la definizione di “nevrosi da trauma”, per indicare un quadro ansioso sviluppato dal soggetto a seguito di un trauma emotivo (Butcher et al., 2012). Successivamente Emil Kraepelin descrisse la “nevrosi da spavento (schreckneurose)”, uno stato psicopatologico riscontrato in soggetti che avevano assistito ad eventi particolarmente terrificanti.
La letteratura militare ha da sempre avuto un notevole interesse nell’esaminare le possibili sequele dell’esposizione ad eventi traumatici. Fin dal diciannovesimo secolo, sono riportate numerose descrizioni relative alla patologia del soldato, caratterizzata di volta in volta con differenti definizioni, tra cui “cuore del soldato”, “cuore irritabile”, “nevrastenia da nostalgia” e “sindrome di Da Costa”. A seguito della Prima Guerra Mondiale i clinici continuarono ad introdurre ulteriori definizioni, con lo scopo di meglio descrivere le sindromi insorte nei veterani, come “shock da granata”, “astenia neurocircolatoria” e “isteria da gas” (Hitchcock e Capper, 1937; Jones 2006; Coleman 2007; Butcher et al., 2012). Nel trattato del 1918 di Simmel “Kriegsneurosen und Psychisches Trauma” venne ammessa, per la prima volta, la possibile origine psicopatologica delle sindromi conseguenti a traumi bellici.
Durante la Seconda Guerra Mondiale gli psichiatri militari (soprattutto statunitensi ed inglesi) ripresero gli spunti dei loro colleghi della generazione precedente ed iniziarono a sviluppare trattamenti specifici per le sindromi traumatiche nel personale militare. Nel 1941, Kardiner per indicare questi quadri definì il termine “fisionevrosi”, ad indicare come
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gli eventi traumatici determinassero nei reduci una sintomatologia sia psichica che somatica. Venne poi introdotta la definizione di “nevrosi da combattimento” o “fatica operativa”: una sindrome che caratterizzava i soggetti sopravvissuti al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki ed i veterani della Seconda Guerra Mondiale (El-Sarraj et al., 2008). Nel DSM-I (APA 1952), era presente la diagnosi di “reazione da stress estenuante”, per definire quei quadri psicopatologici correlati ad eventi traumatici caratterizzati da un elevatissimo impatto emotivo. L’estensione del concetto di trauma dall’ambito bellico a quello civile consentì di porre una diagnosi sia ai veterani e agli ex prigionieri di guerra, cosi come ai sopravvissuti all’Olocausto e alle vittime di stupro. Il DSM-I prevedeva però una durata limitata per questa sindrome, oltre la quale era più appropriato diagnosticare una “reazione nevrotica” (Friedman et al., 2011a). Di conseguenza gli psichiatri dell’epoca continuarono ad adoperare definizioni differenti per diagnosticare le sindromi dei reduci della Guerra di Corea, come “psiconeurosi” o “neurosi da guerra” (Jones 2006).
Nel DSM-II (APA 1968) venne quindi abbandonata la definizione di “reazione da stress estenuante”, e quindi, l’unica diagnosi prevista nei soggetti esposti ad eventi traumatici era quella di “reazione situazionale”; anche in questo caso però il principale problema era la delimitazione temporale presente nei criteri diagnostici.
Con la Guerra del Vietnam la prevalenza delle sindromi post-traumatiche nel personale militare iniziò a manifestarsi in proporzioni ancora più ampie, rispetto alle guerre precedenti, ed il tema iniziò ad essere portato all'attenzione dell'opinione pubblica. Le sindromi post-traumatiche vennero quindi introdotte nel DSM-III del 1980 con la diagnosi di “Disturbo Post Traumatico da Stress” (APA 1980). La diagnosi di PTSD nel DSM-III era caratterizzata dalla presenza di un Criterio A (l’evento stressante riconoscibile come causa e che “evocherebbe significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli individui”). Gli eventi traumatici erano quindi quelli considerati “al di fuori della normale esperienza di un essere umano”, come ad esempio la guerra o lo stupro (Friedman et al., 2011a). Oltre al criterio A era necessaria la positività per 12 sintomi, divisi in tre criteri sintomatologici: il Criterio B (sintomi di rievocazione), il Criterio C (sintomi di ottundimento affettivo) e il Criterio D (miscellanea).
Per “reazione peri-traumatica”, si intende uno stato d’intensa paura, orrore o di assoluta impotenza, che deve accompagnare il soggetto durante l’esposizione al trauma. Questo concetto è stato introdotto per la prima all’interno del DSM-III-R, nel Criterio A
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(APA 1987). Inoltre, si iniziò a concepire come potenzialmente traumatico anche il venire a conoscenza di traumi subiti da persone care (Friedman et al., 2011a).
Nel DSM-IV (APA 1994), venne rimossa la necessità di “un evento stressante riconoscibile che evocherebbe significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli individui”, ed inoltre si distinse il Criterio A in due componenti: una oggettiva A1 (reazione peri-traumatica) e l’altra soggettiva A2 (eventi traumatici), in modo da impostare più correttamente i concetti già espressi nel del DSM-III.
Fino alla recente introduzione del DSM-5, per la diagnosi di PTSD sono stati presi in considerazione i criteri del DSM-IV-TR (APA 2000), il quale prevedeva - oltre ai Criteri A1 e A2 del DSM-IV - 17 sintomi, distinti in altri tre criteri: “rievocazione” (Criterio B), “evitamento o ottundimento affettivo” (Criterio C) e “aumento dell’arousal” (Criterio D). Nel DSM-5 (APA 2013) il PTSD ha subito cambiamenti significativi: infatti, il gruppo di lavoro sui Disturbi d’Ansia, dello Spettro Ossessivo-Compulsivo, Post-Traumatici e Dissociativi, a seguito dei risultati derivati da vari studi clinici e neurobiologici, ha incluso il PTSD in un capitolo specificatamente dedicato: “Trauma e Disturbi Stress-correlati” (Friedman et al., 2011b). Inoltre sono state effettuate importanti modifiche ai criteri diagnostici per definire in modo più corretto le caratteristiche cliniche di questa sindrome: Criterio A
Una persona è stata esposta a uno o più eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte, gravi lesioni, o violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:
1. L'evento è stato vissuto dalla persona.
2. La persona ha assistito all'evento che ha colpito qualcun'altro.
3. La persona è venuta a conoscenza di un evento che ha colpito un parente stretto o un amico. Nel caso in cui l’evento sia rappresentato dalla morte o minaccia di morte, questo deve essere avvenuto in modo violento o accidentale
4. La persona ha subito un’esposizione estrema o ripetuta a dettagli angoscianti di un evento (es., primo soccorritore che ha dovuto raccogliere resti umani; agente di polizia esposto ripetutamente a dettagli su abusi di minori)
9 Criterio B
La persona presenta almeno uno dei seguenti sintomi intrusivi legati all'evento traumatico, che compaiono successivamente all’esposizione all’evento stesso:
1. Ricordi spiacevoli, ricorrenti, involontari, e intrusivi dell'evento traumatico. 2. Sogni spiacevoli ricorrenti in cui il contenuto e/o il significato sono correlati
all’evento traumatico.
3. Reazioni dissociative (es. flashback) in cui la persona si sente o agisce come se l'evento traumatico si stesse ripresentando.
4. Malessere psicologico intenso e prolungato all'esposizione a stimoli interni o esterni che simboleggiano o rappresentano un qualche aspetto dell'evento traumatico.
5. Marcata reattività fisiologica all’esposizione a stimoli interni o esterni che simboleggiano o rappresentano un qualche aspetto dell'evento traumatico.
Criterio C
Evitamento persistente degli stimoli legati all'evento traumatico, che compare a seguito dell’esposizione all’evento stesso, come dimostrato da almeno uno tra:
1. Evitamento di ricordi, sentimenti o sensazioni spiacevoli che riguardano o sono strettamente associati all'evento traumatico.
2. Evitamento di stimoli esterni (persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti, situazioni)che rievocano ricordi, sentimenti o sensazioni che riguardano o sono strettamente associati all’evento traumatico.
Criterio D
Alterazioni negative nella cognitività o nell’umore associate all’evento traumatico che compaiono o peggiorano a seguito dell’evento traumatico:
1. Incapacità di ricordare un aspetto importante dell’evento traumatico (tipicamente amnesia dissociativa e non determinata da altri fattori come traumi cranici, alcool o droghe.
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2. Giudizi e aspettative esageratamente negativi verso se stesso, gli altri o il mondo ( es. “sono una cattiva persona”, “non posso fidarmi di nessuno”, “il mondo è un posto pericoloso”, il mio sistema nervoso è rovinato per sempre”).
3. Pensieri persistenti e distorti riguardo alle cause o le conseguenze dell’evento traumatico che portano la persona a provare vergogna per se stesso o altri. 4. Stato emotivo negativo persistente (es., paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna). 5. Marcata diminuzione dell’interesse o della partecipazione ad attività significative. 6. Sentimenti di distacco o estraneità verso gli altri.
7. Incapacità persistente di sperimentare emozioni positive (es., incapacità di provare gioia, soddisfazione o sentimenti d’amore).
Criterio E
Alterazioni significative nell’arousal e la reattività associate all’evento traumatico, che compaiono o peggiorano a seguito dell’evento stesso:
1. Comportamento irritabile ed “esplosioni di rabbia” (spontanee o a seguito di minime provocazioni), espresse tipicamente attraverso l’aggressione verbale o fisica verso cose o persone.
2. Comportamenti impulsivi o autodistruttivi. 3. Ipervigilanza
4. Esagerate risposte di allarme 5. Difficoltà di concentrazione
6. Disturbi del sonno (es., difficoltà ad addormentarsi o sonno non ristoratore)
Criterio F
I sintomi precedenti persistono per più di un mese Criterio G
I sintomi comportano un disagio significativo e/o interferiscono pesantemente con numerose sfere della vita della persona
11 Criterio H
I sintomi non sono dovuti ad altre condizioni mediche o derivano dagli effetti fisiologici dell’utilizzo di una sostanza (es., farmaci o alcool)
Per poter porre diagnosi di PTSD in una persona devono essere soddisfatti i Criteri A, F ed H, oltre ad uno o più sintomi del Criterio B, uno o più sintomi del Criterio C, due o più sintomi del Criterio D, due o più sintomi del Criterio E.
Nel corso degli anni sono stati effettuati vari studi per indagare la prevalenza del PTSD e le caratteristiche epidemiologiche che possono influire sulla presentazione o il decorso clinico di tale disturbo.
Inizialmente numerosi autori hanno indagato la prevalenza del PTSD tramite studi condotti su specifici gruppi di popolazione costituiti da soggetti esposti a eventi traumatici specifici: combattimenti, prigionia, torture, violenze fisiche e sessuali e catastrofi naturali. Nei veterani del Vietnam in particolare, sono state riscontrate percentuali di prevalenza del PTSD tra il 25% e il 30% (Snow et al., 1988; Goldberg et al., 1990; Dohrenwend et al., 2008; Koenen et al., 2008b; O'Toole e Catts, 2008). Uno studio successivo ha indagato un campione di pazienti italiani superstiti ai campi di concentramento nazisti riscontrando una prevalenza lifetime di PTSD del 35.3%; e del 25.5% al momento della valutazione psichiatrica (Favaro et al., 1999). Altri autori hanno poi riportato una prevalenza di PTSD compresa tra l'8% e il 43% a seguito di numerosi studi su campioni di vittime di catastrofi naturali come terremoti, cicloni, incendi, uragani (Green et al., 1983; McFarlane 1989; Garrison et al., 1995; Armenian et al., 2000; Wang et al., 2000; Bodvarsdottir e Elklit 2004; Lai et al., 2004; Bland et al., 2005; Dell'Osso et al., 2011; Dell'Osso, et al., 2013)
Il primo studio americano, effettuato invece nella popolazione generale, è stato l'Epidemiologic Catchment Area (ECA), secondo cui la prevalenza di PTSD nell’arco della vita era dello 0.9%, ovvero 0.5% nei maschi e 1.3% nelle femmine (Helzer et al., 1987). Sono seguiti altri due studi condotti sempre negli Stati Uniti; il Random Community Survey (RCS) e il National Comorbidity Survey (NCS). Il primo ha riportato tassi di prevalenza di PTSD nell’arco della vita del 9.2%, di cui 6% maschi e 11.3% femmine (Breslau et al., 1991); i risultati del National Comorbidity Survey (NCS) indicavano invece tassi di prevalenza del 7.8%, di cui 5.0% maschi e 10.4% femmine (Kessler et al., 1995). La prevalenza del PTSD sembrerebbe essere molto variata negli anni, ma questa differenza
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appare probabilmente essere un artefatto generato dall’utilizzo di metodi di reclutamento diversi, cosi come dall’evoluzione dei criteri diagnostici impiegati
Nel National Comorbidity Survey-Replication (NCS-R) del 2005, è stata riscontrata una prevalenza lifetime del PTSD del 6.8% (Kessler et al., 2005a), rispetto ad una prevalenza a 12 mesi del 3.5%; la percentuale dei soggetti che risultava avere un disturbo di entità moderata o grave era del 69.7% (Kessler et al., 2005b).
È importante sottolineare come in tutti gli studi epidemiologici vi sia la costante presenza di una percentuale consistente del campione che nonostante abbia subito un trauma, non ha sviluppato PTSD. In uno studio su un campione di 2181 soggetti è stata riscontrata una prevalenza di eventi potenzialmente traumatici dell’89.6% (Breslau et al., 1998). L’esposizione al trauma costituisce quindi una condizione non sufficiente per l'insorgenza del disturbo. Studi più recenti sulla popolazione generale confermano questi risultati, in quanto indicano che il 50-85% degli statunitensi subirà un evento potenzialmente traumatico nel corso della vita, ma solo il 2-50% svilupperà il PTSD (Digangi et al., 2013).
Vi sono inoltre alcuni studi epidemiologici sulla prevalenza di PTSD riguardanti anche la popolazione generale europea (Frans et al., 2005) (Darves-Bornoz et al., 2008) e, in particolare, quella italiana (Faravelli et al., 2004a) (Faravelli et al., 2004b); (De Girolamo et al., 2006b); (Gigantesco et al., 2006). L’European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD) ha indagato la popolazione dell’Europa occidentale, all’interno del World Menta lHealth Survey Initiative (WMH) della World Health Organizzation (WHO), cioè uno studio epidemiologico su scala mondiale volto a stimare la prevalenza del PTSD e la sua associazione con i vari eventi traumatici nella popolazione adulta. L’ESEMeD ha valutato 21,425 adulti rappresentativi di sei paesi europei (Spagna, Italia, Germania, Olanda, Belgio e Francia) (Alonso et al., 2004; De Girolamo et al., 2006; Kessler 2007; Darves-Bornoz et al., 2008). Darves-Bornoz e collaboratori (2008) hanno riportato una prevalenza di PTSD a 12 mesi dell’1.1%, trovando nei soggetti colpiti una media di esposizione di 3.2 eventi traumatici ciascuno.
Un’analisi multivariata sugli eventi potenzialmente traumatici rispetto al genere di appartenenza ha individuato sei tipi di eventi maggiormente correlati allo sviluppo di PTSD: lo stupro, un evento privato non specificato, la malattia grave di un figlio, violenza
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da parte del compagno o del coniuge, lo stalking e violenza da parte dei genitori o di chi lo ha cresciuto.
I primi dati italiani dello studio ESEMeD hanno individuato una prevalenza di PTSD del 2.3% nel corso della vita, dello 0.8% a 12 mesi e dello 0.4% a un mese dall’evento traumatico (De Girolamo et al., 2006; De Girolamo et al., 2006b).
Diversi autori nel corso degli anni hanno poi indagato i potenziali fattori di rischio coinvolti nello sviluppo del disturbo, individuando come principali elementi di interesse il sesso, l'età, l'etnia, la personalità premorbosa, l'anamnesi psichiatrica, la gravità dell'evento e i fattori socioeconomici (Breslau et al., 1991; Norris 1992; Breslau et al., 1998; Dell'Osso et al., 2011). A questi si sovrappongono la suscettibilità genetica e la presenza di danni cerebrali traumatici (Sherin e Nemeroff 2011).
Nel PTSD, come confermato in alcuni studi, sono presenti differenze di genere: le femmine sono infatti più a rischio di sviluppare questa patologia rispetto ai maschi (Breslau et al., 1999; Breslau 2002b; Punamaki et al., 2005b; Tolin e Foa 2006; Dell'Osso et al., 2011; Dell'osso et al., 2012c; Dell'Osso et al., 2013).
Per quanto riguarda l'età, emergono invece dati discordanti. Alcuni studi in letteratura hanno evidenziato che l'esposizione ai traumi si riduce con gli anni (Norris 1992). Gli autori hanno quindi dimostrato che l'età compresa tra i 16 e i 20 anni è quella maggiormente esposta a violenza fisica. Invece, tra i 41 e i 45 anni, si ha una maggiore incidenza per quanto riguarda la morte inaspettata di una persona cara, ma per quanto riguarda questo evento la frequenza di esposizione si mantiene piuttosto costante anche nelle altre età (Breslau 2002a). Altri studi riportano come la giovane età sia da considerare un fattore di rischio per lo sviluppo del PTSD (Punamaki et al., 2005a). Il gruppo di ricerca della Clinica Psichiatrica dell'Università di Pisa, in uno studio sulle popolazioni colpite dal terremoto di L’Aquila del 2009, ha individuato un’associazione per la giovane età con un aumentato rischio di PTSD, ma soltanto nelle femmine e non nei maschi esposti (Dell'Osso et al., 2012; Dell'osso et al., 2012c; Dell'Osso et al., 2013)
L’attività lavorativa è strettamente correlata al rischio di sviluppare PTSD, in particolare sono a rischio i soccorritori in zone colpite da calamità naturali o disastri causati dall’uomo (Turner et al., 1995; Havenaar et al., 1997; Schlenger et al., 2002). McFarlane e collaboratori nel 2009 hanno effettuato un studio per individuare le percentuali di PTSD nelle forze di polizia, dei vigili del fuoco e di pronto intervento,
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riportando tassi di prevalenza che oscillavano dal 6 al 32% (McFarlane et al., 2009). Una serie di altri studi ha indagato la prevalenza di PTSD nei lavoratori e nei volontari dediti al soccorso in situazioni di emergenza, riportando tassi di prevalenza dal 5% al 32% (Epstein et al., 1998; North et al., 2002; Fullerton et al., 2004; Guo et al., 2004; Ozen e Sir 2004). I risultai di alcuni studi hanno evidenziato come in questo gruppo di soggetti esposti la formazione professionale sia l'elemento più influente; infatti, sono gli individui non adeguatamente addestrati ad avere un aumentato rischio di sviluppare il disturbo (Dyregrov et al., 1996; Perrin et al., 2007).
Un altro importante fattore di rischio è rappresentato dalla comorbidità o dalla presenza anamnestica di disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, familiarità positiva per PTSD e abuso di sostanze, come è stato evidenziato studiando i discendenti delle vittime dell’Olocausto (Solkoff 1992; Yehuda et al., 1998b; Friedman et al., 2011; Braga et al., 2012; Dekel et al., 2013) e altre popolazioni (Helzer et al., 1987; Davidson et al., 1991; Norris 1992; Kessler et al., 1995; Howard e Hopwood 2003; Koenen et al., 2008b; Dell'Osso et al., 2012b; Galor, et al., 2012). Il NCS rappresenta uno dei maggiori studi epidemiologici inerenti le comorbidità nel PTSD; gli autori hanno rilevato come all’interno del campione studiato la percentuale di individui che soddisfaceva i criteri per almeno altri due disturbi psichiatrici era del 59% nei maschi e del 44% nelle femmine. La comorbidità maggiormente rappresentata era quella con episodi depressivi maggiori, con tassi del 48% e del 49% rispettivamente negli individui di sesso maschile e in quelli di sesso femminile. Comorbidità con episodi maniacali era presente nel 5-10% dei pazienti con PTSD. Seguivano come prevalenza i disturbi d'ansia e i disturbi da abuso di sostanze (Kessler et al., 1995). La validità di questi risultati è stata confermata in altri studi epidemiologici e clinici condotti nei reduci di guerra, nelle vittime di disastri civili e di eventi traumatici subiti in età infantile (Green et al., 1992; Hubbard et al., 1995; O'Toole et al., 1998; Cerda et al., 2011; Dorrepaal et al., 2012).
In particolare, Mellmane collaboratori nel 1992 hanno riportato come possibili fattori predisponenti per lo sviluppo del PTSD vari disturbi psichiatrici tra cui i disturbi dell'umore, il disturbo di personalità antisociale, l'agorafobia e le fobie specifiche (Mellman et al., 1992).
Anche la prognosi di PTSD appare influenzata dalla comorbidità con altre patologie psichiatriche, come i disturbi dell'umore, disturbi da abuso di sostanze e disturbi d'ansia,
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tra cui in particolare i disturbi dello spettro panico-agorafobico, che presentano una stretta correlazione a un decorso tendenzialmente cronico di PTSD (Breslau et al., 1991) (McFarlane e Papay, 1992; Zlotnick et al., 1999). Diversi autori hanno analizzato l'associazione tra PTSD, depressione maggiore e suicidalità, individuando un rischio più alto di comportamenti suicidari nei pazienti con i due disturbi in comorbidità rispetto a quelli con una sola delle due patologie (Marshall et al., 2001; Oquendo et al., 2003b; Oquendo et al., 2005).
Anche i tratti di personalità sembrano rivestire un ruolo importante, in particolare per quanto riguarda le forme di evitamento, antisociali e borderline (Schnurr et al., 1993; Dixon-Gordon et al., 2013).
Un altro elemento coinvolto nella genesi del PTSD è costituito dai fattori socio-economici, come il basso reddito e la bassa scolarità (Breslau et al., 1998). È emerso, infine, che l'assenza di un supporto sociale dopo un trauma contribuisce significativamente allo sviluppo di PTSD (Brewin et al., 1999). Sono risultati invece fattori protettivi un buon livello di supporto sociale, familiare e di comunità, così come una rete adeguata di rapporti interpersonali preesistenti all'esposizione all'evento traumatico.
Per quanto concerne il decorso, subito dopo l'esposizione al trauma, un'elevata percentuale di individui sviluppa un quadro sintomatico misto che comprende sintomi dissociativi, comportamento disorganizzato, alterazioni psicomotorie e talora paranoia. Solitamente tali reazioni sono di breve durata, tuttavia, nell'arco di un mese, la sintomatologia sovente evolve in una presentazione caratteristica di PTSD. In alcuni soggetti si verifica un recupero permanente dopo un periodo di tempo variabile, in altri il decorso assume un andamento piuttosto costante con modeste fluttuazioni, mentre in altri ancora l’andamento è caratterizzato da evidenti oscillazioni, con periodi intermittenti di remissioni e riesacerbazioni. In un numero limitato di casi, il passare del tempo non porta alla risoluzione dei sintomi e si assiste anzi ad un andamento ingravescente. L’andamento cronico è frequentemente complicato da un elevato rischio suicidario. A oggi c'è dunque consenso nel considerare il decorso longitudinale del PTSD come variabile (Blank 1993).
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2.2 Il PTSD parziale e lo spettro post traumatico da stress
La prevalenza di PTSD nella popolazione generale è stata indagata da numerosi studi epidemiologici che mostrano significative variazioni nei valori di incidenza e prevalenza. Infatti, al di là della nota variabilità intrinseca delle manifestazioni del disturbo, hanno sicuramente contribuito sia l'utilizzo di strumenti di valutazione e di metodi di selezione del campione differenti, sia l’avvicendarsi nel corso degli anni di diverse definizioni dei criteri diagnostici per l’evento traumatico e dei criteri sintomatologici.
Utilizzando quindi una definizione meno restrittiva del Criterio A, si moltiplicano il numero degli eventi traumatici a cui la popolazione generale viene esposta cosi come il numero di casi di PTSD diagnosticati (Breslau, 2002; Bacchus et al., 2003; Van Loey e Van Son, 2003; Zatzick et al., 2003. Numerosi autori ritengono tuttavia che la gravità e l'eccezionalità dell'evento siano l’elemento inderogabile che caratterizza lo spettro delle sindromi post traumatiche da stress. Varie descrizioni possono essere ritrovate in letteratura, riguardo a traumi derivanti dall'esposizione diretta a conflitti militari, che secondo vari autori rappresentano, tra tutti i tipi di evento traumatico, quelli più significativi per lo sviluppo di un PTSD grave e con decorso cronico (Prigerson et al., 2001; Solomon e Mikulincer 2006).
Negli ultimi anni però un numero crescente di studi ha riportato la presenza di quadri sintomatologici compatibili con quelli del PTSD in seguito a traumi di minore entità (perdita della vista o dell'udito o un grave handicap aborto divorzio, rottura di relazioni sentimentali o amicizie importanti, trasloco, cambiamenti e fallimenti ripetuti nella scuola o nel lavoro, gravi e frequenti discussioni in famiglia, molestie psicologiche, avances sessuali indesiderate, denunce o azioni disciplinari, arresto, furti in casa o scippi). Si poneva quindi la questione dell'importanza dell'impatto soggettivo di questi eventi sull'individuo, definiti “low magnitude” (Breslau e Davis, 1987; Solomon e Canino, 1990; Avina e O'Donohue, 2002; Breslau 2002; Moreau e Zisook 2002; McNally 2003; Zatzick et al., 2003; Olff et al., 2005; Olde et al., 2006). Nel DSM-5 si è però preferito una maggiore rigidità, escludendo quindi i “low magnitude events” dal novero dei possibili traumi responsabili di PTSD (Friedman; et al., 2011a).
Alcuni autori hanno tuttavia evidenziato come un gran numero di vittime esposte a traumi non soddisfi tutti i criteri sintomatologici del DSM per porre diagnosi di PTSD,
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nonostante presenti un notevole malessere soggettivo e una compromissione significativa della sfera socio-lavorativa (Stein et al., 1997b; Marshall et al., 2001; Lai et al., 2004; Hepp et al., 2006). Pertanto è stato introdotto da alcuni ricercatori (Kulka e Institute R 1987; Parson 1990) (Weiss et al., 1992; Blank 1993; Carlier e Gersons 1995; Stein et al., 1997b; Marshall et al., 2001; Breslau et al., 2004; Mylle e Maes 2004; Hepp et al., 2006) il concetto di PTSD parziale o sottosoglia (“subthreshold” o “subsyndromal”). Secondo i criteri diagnostici del DSM-IV-TR, per la diagnosi di PTSD parziale erano richiesti il soddisfacimento dei Criteri A e B e di uno tra i Criteri C e D, con il criterio non soddisfatto avente almeno un sintomo presente; al contrario alcuni autori consideravano necessari il soddisfacimento del Criterio A e solamente di due su tre dei criteri sintomatologici. In base quindi alla formulazione diagnostica utilizzata si modificava in modo significativo la prevalenza delle forme di PTSD parziale o sotto soglia.
In un campione di 9,358 pazienti statunitensi, dove il PTSD sotto soglia era definito dalla presenza di almeno un sintomo di ogni criterio del DSM, la prevalenza del PTSD parziale è risultata del 5.7% nelle donne e del 2.2% negli uomini (Marshall et al., 2001).
Per quanto riguarda il DSM-5, i ricercatori si sono concentrati sulla valutazione dei criteri e dei sintomi da adottare e sulla loro concordanza con la diagnosi di PTSD secondo il DSM-IV-TR (Forbes et al., 2011; Calhoun et al., 2012; Elhai et al., 2012), pertanto ulteriori studi sono necessari per rivalutare la prevalenza di PTSD parziale secondo algoritmi diagnostici basati sui nuovi criteri.
Presso la Clinica Psichiatrica dell'Università degli Studi di Pisa, in collaborazione con ricercatori della Columbia University di New York (Shear MK, Endicott J), del Western Psychiatric Institute and Clinic dell'Università di Pittsburgh (Frank E, Kupfer DJ) e dell'Università della California S. Diego (Maser J), è stato studiato un nuovo modello di approccio al PTSD: lo Spettro Post-Traumatico da Stress (Dell'Osso et al., 2008); (Dell'Osso et al., 2009c; Dell'Osso et al., 2011; Dell'Osso et al., 2012d). Per “spettro” si indica un approccio dimensionale al PTSD, articolato lungo un continuum che collega le forme atipiche e sotto soglia, talora espressione di tratti stabili di personalità, al disturbo conclamato previsto dal DSM (Moreau e Zisook 2002; Dell'Osso et al., 2008; Dell'Osso et al., 2009c). Lo Spettro Post-Traumatico da Stress utilizza quindi un approccio tridimensionale, costituito dalla dimensione degli eventi potenzialmente traumatici, inclusi gli eventi “low magnitude”, la dimensione della reazione acuta o peri-traumatica e la
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dimensione dei sintomi post-traumatici. Per valutare queste tre dimensioni è stato sviluppato uno strumento apposito: il Trauma and Loss Spectrum-Self Report (TALS-SR) (Dell'Osso et al., 2009c).
Deve infine essere messo in evidenza come il TALS-SR, nonostante sia uno strumento di valutazione sviluppato sulla base del concetto di spettro all’epoca del IV-TR, risulta comunque valido anche per la diagnosi di PTSD secondo i criteri del DSM-5, proprio per la sua estensione in una più vasta dimensione sintomatologica.
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2.3 PTSD e Disturbi dell'Umore
Un numero crescente di studi ha indagato la relazione tra PTSD e disturbi dell’umore, in particolare il disturbo bipolare. I dati epidemiologici dell’NCS dimostrano infatti una importante comorbidita tra disturbo bipolare e PTSD (Kessler, et al., 1997) (Freeman et al., 2002) riportando una diagnosi lifetime di PTSD nel 38.8% di individui con disturbo bipolare I (Kessler et al., 1997). Mueser e collaboratori. (1998) hanno riscontrato una simile frequenza in 275 pazienti con malattia mentale grave, trattati presso i servizi di salute mentale in USA, con tassi del 40% di pazienti con disturbo bipolare che presentano una diagnosi attuale di PTSD (Mueser et al., 1998). Tra i disturbi dell’umore quindi, l’entità patologica maggiormente correlata al rischio di sviluppare PTSD è rappresentata dal disturbo bipolare (Dilsaver et al., 2006). Di fronte a questa evidenza è stata condotta un analisi sui dati del Systematic Treatment Enhancement Program for Bipolar Disorder (STEP-BD) che ha messo in luce come il PTSD sia maggiormente correlato con il disturbo bipolare I, rispetto al disturbo bipolare II; i pazienti con queste due diagnosi in comorbidità non differiscono però nelle manifestazioni del PTSD, essendo entrambi caratterizzati da sintomi di evitamento, rievocazione ed arousal di gravità simile (Hernandez et al., 2013).
Alcuni autori hanno recentemente mostrato che le esperienze traumatiche sono frequenti nei pazienti bipolari; in effetti, quasi la metà di questi soggetti hanno subito un trauma in età giovanile (come ad esempio abuso durante l’infanzia) (Goldberg e Garno, 2005). Questi pazienti sono caratterizzati da un esordio più precoce di disturbo bipolare e da episodi maniacali più gravi e frequenti, che determinano un decorso clinico peggiore e maggiori tentativi di suicidio (Read et al., 2005). Una sottogruppo di questi pazienti a seguito degli eventi traumatici a cui è stato esposto ha sviluppato PTSD; secondo un ampio lavoro di review (Otto et al., 2004), la stima della prevalenza media di PTSD nei pazienti bipolari risulta del 16%. Sempre più risultati suggeriscono quindi che i soggetti bipolari sono a più alto rischio di esposizione a trauma (McFarlane 1989; Schnurr et al., 1993; Kessler et al., 1995; Neria et al., 2002; Otto et al., 2004; Pollack et al., 2006; Strawn et al., 2010) e, quando esposti, di essere più vulnerabili allo sviluppo di PTSD. A tale proposito è stato condotto uno studio da parte di Strawn e collaboratori, i quali hanno dimostrato una prevalenza di comorbidità tra PTSD e disturbi bipolari inferiore nella popolazione
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adolescente rispetto a quella adulta. Questo dato rappresenta un ulteriore conferma all’ipotesi che il disturbo bipolare rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza di PTSD (Strawn et al., 2010).
Inoltre, è stato anche dimostrato che il decorso del disturbo bipolare viene influenzato negativamente dalla comorbidità con disturbi d’ansia come il PTSD (Otto et al., 2006; Thatcher et al., 2007; Maguire et al., 2008; Lee e Dunner, 2008; (Quarantini et al., 2010). A conferma di tutto questo, Rakofsky e collaboratori hanno evidenziato, in uno studio del 2011 su pazienti che presentavano comorbidità fra disturbo bipolare e PTSD, come in questo gruppo di soggetti vi sia una minore aderenza al trattamento rispetto ai pazienti con una sola patologia (Rakofsky et al., 2011). Anche il rischio di suicidio risulta essere aumentato dalla comorbidità con PTSD rispetto a pazienti affetti semplicemente da disturbo bipolare (Dilsaver et al., 2006).
Nonostante la scarsità di dati sul PTSD nei pazienti bipolari europei, i risultati mostrano percentuali simili. Assion e collaboratori nel 2009 hanno indagato 74 pazienti bipolari eutimici, riportando percentuali di PTSD del 20.3%; inoltre i pazienti che presentavano questa comorbidità risultavano essere a più alto rischio di essere esposti a violenza fisica, abuso da parte di un genitore, violenza sessuale da parte di un familiare o di un conoscente, avere un genitore affetto da dipendenza da alcool (Assion et al., 2009). In Italia, sempre nel 2009, Dell’Osso e collaboratori hanno indagato, sintomi sottosoglia dell’umore lifetime, in un campione clinico di pazienti italiani con PTSD, mostrando correlazioni significative tra sintomi lifetime maniacali/ipomaniacali e depressivi e la probabilità di avere ideazione o fare tentativi di suicidio (Dell'Osso et al., 2009b). Successivamente, lo stesso gruppo di ricercatori ha effettuato uno studio su pazienti che avevano sviluppato PTSD a seguito di traumi non bellici, con l’obiettivo di giungere ad una maggiore comprensione delle basi neurobiologiche del PTSD. I risultati di questa ricerca hanno dimostrato una significativa diminuzione della proteina trasportatrice mitocondriale 18kDa (TSPO) nel campione esaminato; si è inoltre osservato che la diminuzione di TSPO era correlata con la presenza di sintomi dello spettro maniacale-ipomaniacale, suggerendo quindi un possibile ruolo della sintomatologia maniacale sottosoglia nelle alterazioni neurobiologiche del PTSD (Dell'Osso et al., 2010).
La relazione che intercorre tra PTSD e disturbo bipolare risulta evidente non solo alla luce dei numerosi studi effettuati, ma anche dalla osservazione degli stessi criteri
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diagnostici del DSM per il PTSD stesso. Il gruppo di lavoro per la formulazione dei criteri diagnostici del DSM-5 ha modificato il criterio relativo ai “sintomi persistenti di aumentato arousal” (Criterio E che corrisponde al Criterio D del DSM-IV-TR) Sono stati, infatti, introdotti il sintomo E1 (“comportamento irritabile o aggressivo”), che corrisponde a una rivisitazione del sintomo D2 del DSM-IV-TR, e il sintomo E2 (“comportamenti impulsivi o autodistruttivi”) di nuova introduzione. Gli altri sintomi, riguardanti l’insonnia, i problemi di concentrazione, l’ipervigilanza e l’esagerata risposta d’allarme, sono rimasti pressoché invariati. Sia il comportamento irritabile/aggressivo che le condotte mal adattative costituiscono elementi in sovrapposizione con aspetti maniacali-ipomaniacali del disturbo bipolare.
Numerosi studi, condotti soprattutto tra i veterani di guerra, hanno dimostrato che il PTSD non si associa soltanto con un’alterazione dell’umore in senso irritativo (come prevedeva il DSM-IV-TR), bensì anche con stati di rabbia e aggressività propri del sintomo E1 del DSM-5. L’aggressività e la violenza sono state estesamente descritte nei soldati con PTSD reduci dalle guerre del Vietnam, dell’Iraq e dell’Afghanistan (Lasko et al., 1994; Jakupcak et al., 2007; Taft et al., 2007; Taft et al., 2007b; Taft et al., 2007c), così come in donne sopravvissute a inondazioni o a violenza sessuale (Taft et al., 2009; Min et al., 2011).
Il nuovo sintomo E2 rappresenta il riconoscimento della presenza, rilevata da alcuni studi, della messa in atto di comportamenti maladattativi o autodistruttivi nei pazienti e soprattutto nei maschi con PTSD (Gore-Felton e Koopman, 2002; Hirschberger et al., 2002; Stevens et al., 2003; Pat-Horenczyk et al., 2007; Hartley et al., 2008; Cerda et al., 2011; Dell'osso et al., 2012c), come per esempio l’intraprendere rapporti sessuali non protetti (Hutton et al., 2001; Green et al., 2005), la guida spericolata (Lowinger e Solomon 2004; Lapham et al., 2006; Fear et al., 2008; Kuhn et al., 2010), fino all’uso di sostanze. In particolare sono stati condotti degli studi per analizzare questa ultima condizione nei soggetti bipolari con PTSD; questa comorbidità sembra determinare un aumento del rischio di abuso, soprattutto di cocaina e anfetamine (Kolodziej et al., 2005; Mitchell et al., 2007).
I comportamenti maladattativi sono quindi un aspetto preponderante della patologia nel peggioramento della qualità di vita dei soggetti e la loro importanza clinica nel PTSD è stata recentemente rivalutata. Poiché rappresentano un punto di unione con il disturbo
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bipolare, queste manifestazioni devono ancora oggi essere approfonditamente valutate, specialmente nei soggetti che risultano affetti da PTSD in comorbidità con disturbo bipolare.
Il disturbo bipolare e il PTSD sono due entità psicopatologiche caratterizzate da numerose e significative differenze di genere che riguardano sia i dati epidemiologici di queste patologie che le loro caratteristiche cliniche. Nonostante questa premessa, la letteratura è povera di dati riguardanti possibili differenze che la relazione tra i due disturbi può presentare nei due sessi.
Tra i pochi studi che indagano l’argomento vi è quello di Baldassano e collaboratori del 2005, nel quale gli autori analizzavano i risultati dello STEP-BD, per valutare le varie comorbidità presenti nei soggetti affetti da disturbo bipolare riscontrando percentuali di prevalenza di PTSD del 20.9% nelle pazienti femmine, significativamente maggiori rispetto a quelle dei pazienti maschi che risultavano esser del 10.6% (Baldassano et al., 2005).
In una review di Mauritz e collaboratori del 2013, gli individui di sesso femminile con diagnosi di disturbo bipolare mostravano rispetto a quelli di sesso maschile tassi più alti di esposizione ad eventi traumatici, in particolare violenza fisica e abuso sessuale, e di comorbidità con il PTSD (Mauritz et al., 2013).
In conclusione, la relazione tra PTSD e disturbo bipolare deve essere maggiormente indagata, in particolare per individuare possibili peculiarità dei due generi. L’approccio a queste patologie, tramite un modello di spettro potrebbe mettere in risalto la relazione tra le singole caratteristiche sintomatologiche dei due disturbi; inoltre consentirebbe di valutare non solo la patologia conclamata, ma anche manifestazioni sottosoglia maggiormente frequenti nella popolazione.
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2.4 Lo Spettro dell’Umore
La letteratura psichiatrica ha considerato i disturbi dell’umore come un gruppo di malattie mentali caratterizzate dalla presenza di due quadri clinici fondamentali, depressione e mania. Sempre più autori sono ad oggi concordi nell’includervi una varietà intermedia (stati misti) che si caratterizza per la contemporanea presenza di elementi dell’uno e dell’altro quadro (Akiskal 1996; Marneros 2001; Swann et al., 2013 ).
In realtà fin dalle prime descrizioni dei disturbi affettivi, è stata ipotizzata una natura dimensionale del disturbo bipolare espressa attraverso un continuum di gravità delle manifestazioni psicopatologiche. Già Kraepelin, definì i disturbi dell'umore come un'unica entità psicopatologica, distinta dalla demenza precoce per il decorso e per alcune caratteristiche cliniche, che poteva a sua volta essere distinta in forme con e senza “circolarità”. Anche Bumke ipotizzava che la distinzione dei disturbi dell'umore in categorie a se stanti fosse erronea, in quanto sia le forme depressive, che quelle maniaco-depressive ed alcuni tipi di personalità disturbate rappresentassero differenti manifestazioni di un unico processo psicopatologico.
Alcuni autori negli ultimi anni, hanno rivalutato questi concetti, ideando un nuovo tipo di approccio ai disturbi psichiatrici di Asse I, con lo scopo di raggiungere una migliore caratterizzazione rispetto a quella fornita dagli attuali sistemi nosografici: si è quindi posta l'attenzione verso forme di patologia mentale ad espressione clinica parziale, subclinica o sottosoglia (Maser e Akiskal 2002; Maj 2005). In particolare i disturbi dell’umore sono considerati, con sempre più unanimità non come entità psicopatologiche distinte tra loro ma come un unico continuum: viene cosi definito lo spettro bipolare che comprende sia il disturbo bipolare I e II, che i sintomi maniacali e depressivi più lievi o sottosoglia (Akiskal et al., 2000; Akiskal 2002; Perugi e Akiskal 2002; Judd e Akiskal 2003; Faravelli et al., 2006; Merikangas et al., 2007; Phelps et al., 2008). I risultati dell’US National Epidemiologic Catchment Area Survey, hanno evidenziato come forme subcliniche o subsindromiche di mania e depressione, in cui sintomi dell'umore sono presenti, ma in numero inferiore rispetto a quello richiesto dal DSM per porre diagnosi di disturbo di Asse I, abbiano tassi di prevalenza cinque volte maggiori rispetto al corrispondente disturbo diagnosticato in base al DSM (Judd e Akiskal 2003). In studi successivi si è inoltre
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dimostrato che le forme subsindromiche di mania determinavano un aumento significativo di ideazione suicidaria e di tentativi di suicidio sviluppati durante l’arco della vita rispetto alla popolazione generale (Judd e Akiskal 2003; Cassano et al., 2004; Balestrieri et al., 2006)
Le manifestazione atipiche e sottosoglia, come anche i tratti temperamentali e di personalità sono molto diffuse e possono rappresentare i prodromi, i precursori o le sequele di un disturbo conclamato, e riconoscerne la presenza potrebbe facilitare la prevenzione del primo episodio o delle ricadute. Alla luce di queste considerazioni, il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, nell’ambito di un progetto internazionale, chiamato Spectrum Project, in collaborazione con i colleghi delle Università di Pittsburgh (Frank E, Shear MK, Kupfer DJ), San Diego (Maser JD) e New York (Endicott J), hanno elaborato il concetto di spettro, ovvero un insieme di caratteristiche psicopatologiche che fanno da alone alle manifestazioni conclamate di un disturbo (Cassano et al., 1999). In psichiatria si intende per spettro l’esistenza di singole entità psicopatologiche, che tenderanno all’associazione in un unico disturbo a espressività clinica maggiore oppure in diversi disturbi in comorbidità.
Tali condizioni psicopatologiche non vengono previste nei sistemi di classificazione o non soddisfano i criteri di durata, gravità, o numero di sintomi necessari da questi per la diagnosi, ma tuttavia influenzano relazioni interpersonali e scelte professionali, fino talvolta a determinare una marcata e persistente sofferenza soggettiva per la quale potrebbe essere opportuno un trattamento specifico. Le manifestazioni subcliniche infatti influiscono sul funzionamento socio-lavorativo, a volte in modo trascurabile, mentre in altri casi costituiscono un fattore super-adattativo (come nel rapporto tra ipertimia e leadership) e non di rado rappresentano per il soggetto un elemento francamente invalidante. Viene dunque messo in discussione il principio kraepeliniano delle malattie mentali, intese come entità definite e separate (Klerman 1990). Questo approccio facilita la comprensione della fenomenica dei diversi disturbi mentali: al modello categoriale dovrebbe essere affiancato il modello di spettro, che segue un approccio dimensionale ed è quindi adatto a riconoscere e descrivere variabili appartenenti ad un “continuum”. In questo modo sarebbero anche maggiormente evidenziate le sfumature sintomatologiche in individui diversi o in differenti momenti della storia clinica di uno stesso soggetto.
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La recente evoluzione in campo psicofarmacologico, che ha portato alla disponibilità di un'ampia gamma di farmaci caratterizzati da una maggiore maneggevolezza e da una miglior tollerabilità, ha permesso di abbassare la soglia di gravità in cui iniziare il trattamento farmacologico, estendendolo ai disturbi subclinici, alle manifestazioni isolate, ai tratti temperamentali. Il concetto di spettro che è scaturito da questa ricerca estende la significatività clinica, oltre che alle forme tipiche e atipiche descritte dai sistemi categoriali, anche alle forme sottosoglia, ai sintomi isolati, ai tratti temperamentali e di personalità. Riconoscere questi fenomeni, in grado di interferire con la presentazione tipica del disturbo, con il suo decorso e con il risultato del trattamento, potrebbe aiutare a definire meglio ed in modo più specifico il quadro clinico del paziente.
Lo Spectrum Project ha, tra i principali obiettivi, quello di sviluppare e validare strumenti per la valutazione delle caratteristiche cliniche di spettro, associate ai disturbi psichiatrici del DSM-IV-TR. Si ha cosi a disposizione una serie di questionari auto- ed etero- somministrabili, che sono stati progettati e validati per indagare in dettaglio lo spettro delle manifestazioni psicopatologiche e cliniche dei singoli disturbi mentali.
Tra questi strumenti, vi è anche un questionario che esplora l'intero spettro della fenomenologia dell'umore lifetime (Mood Spectrum Self Report, MOODS-SR, Dell'Osso, et al., 2002). Lo spettro dell'umore si basa su un approccio dimensionale alla psicopatologia dell'umore, implicando che la risposta affermativa ad un numero crescente di items sia indicativa di una maggiore severità del disturbo. Questo comprende i sintomi tipici e atipici cosi come le forme subcliniche o attenuate.
I progressi terapeutici delle ultime due decadi hanno portato ad un ampliamento dei confini diagnostici del disturbo bipolare e della sua varietà fenomenologica ed epidemiologica. Nello stesso periodo diversi autori hanno cominciato ad interessarsi della fenomenica subclinica o sottosoglia (Akiskal e Cassano, 1983). I numerosi tentativi di dare una più precisa definizione dei fenotipi clinici si sono basati sull'evidenza che non tutti i pazienti depressi rispondono in modo simile ai trattamenti farmacologici o psicoterapici oggi a disposizione.
La rappresentazione del DSM dei vari disturbi dell'umore, e in generale delle malattie mentali, come categorie ben distinte deriva dalla necessità di creare confini precisi fra i singoli disturbi mentali. Di conseguenza l'approccio ai disturbi dell'umore ha previsto una chiara suddivisione delle forme unipolari da quelle bipolari. Sicuramente, la dicotomia
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unipolare-bipolare, presente nell'attuale sistema nosografico, si è dimostrata di grande utilità dal punto di vista clinico e descrittivo, per cui la maggior parte degli psichiatri rimane convinta ancora oggi della necessità della distinzione fra le due diagnosi. Inoltre, secondo lo stesso DSM i pazienti con depressione unipolare possono presentare aspetti maniacali. Tuttavia, la presenza di ambiguità riguardo l'identificazione di ben definiti confini diagnostici fra il disturbo bipolare e quello unipolare e nella definizione della relazione tra polarità e ciclicità comporta problemi pratici per la ricerca e per la scelta farmacologica. Anche l'esistenza di confini diagnostici per disturbi dell'umore, che tutt'oggi non risultano essere ben delineati nei confronti della schizofrenia, dei disturbi schizoaffettivi e dei disturbi schizofreniformi, comporta un ulteriore difficoltà all'approccio clinico del paziente psichiatrico. Infine, l'uso delle sostanze psicoattive maschera spesso la presenza di un disturbo dell'umore sottostante, così come un esordio precoce può essere diagnosticato erroneamente come disturbo da deficit dell'attenzione o come un disturbo di personalità antisociale o borderline. In tutti questi casi l'approccio categoriale risulta spesso insufficiente.
Nel 2004, nell'ambito dello Spectrum Project, Cassano e collaboratori hanno notato che circa il 30% dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore in realtà appartenevano allo spettro bipolare. Angst e Gamma nel 2002 hanno confermato tale ampliamento del concetto di bipolarità tramite studi epidemiologici, i cui risultati hanno dimostrato che il 5% della popolazione generale è affetto da una condizione psicopatologica appartenente allo spettro bipolare. Questi risultati hanno mostrato la reale prevalenza del disturbo bipolare nella popolazione, indicando che le percentuali d'incidenza precedentemente ipotizzate fossero errate (Angst e Gamma, 2002).
Per accentuare ancora di più il concetto di spettro, è stata proposta da Akiskal e collaboratori (1999) una lista di prototipi di disturbo bipolare (disturbo bipolare I, II, II½, III, III½, IV), che rappresentano un continuum lungo il quale si dispongono i diversi sottotipi di disregolazione dell'umore: da quelli in cui si manifestano sintomi tipici della mania fino a quelli in cui si verificava una continua oscillazione del tono affettivo senza raggiungere mai la gravità né della depressione né della mania (Akiskal e Pinto, 1999).
Cosi come ipotizzato da Cassano e collaboratori (1999) nel loro modello di spettro dell'umore, la dicotomia unipolare-bipolare può essere considerata come un artefatto dell'attuale sistema nosografico e che le esperienze di vita dei pazienti con disturbo
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dell'umore siano caratterizzate da alcuni tratti, spesso lievi, di bipolarità (Cassano et al., 1999; Dell’Osso et al., 2002).
A supporto della tesi secondo cui non esistano distinzioni categoriali nette nei disturbi psichiatrici sono stati effettuai inoltre degli studi per valutare come lo spettro dell'umore possa influire sul decorso delle differenti malattie mentali. E' interessante quindi osservare come la componente maniacale del MOODS-SR sia risultata essere associata alla suicidalità in pazienti sia con disturbo bipolare che con disturbo unipolare (Cassano et al., 2004). Analogamente, la componente concernente le alterazioni nella ritmicità e funzioni vegetative del MOODS-SR si è dimostrata associata con la suicidalità non solo in pazienti con disturbo unipolare e bipolare ma anche in pazienti con schizofrenia, disturbo di personalità borderline, disturbo di panico (Balestrieri et al., 2006), e lutto complicato (Dell'osso et al., 2011).
Lo spettro dell'umore viene quindi visto come un continuum, che include diverse dimensioni che legano fra loro le caratteristiche depressive e maniacali. Le manifestazioni sottosoglia delle due componenti (mania e depressione) possono apparire durante il corso della vita con diversa intensità anche nello stesso individuo.
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2.7 Obiettivi dello studio
Il PTSD e il Disturbo Bipolare rappresentano due entità psicopatologiche di grande impatto sulla popolazione, a causa del peggioramento significativo della qualità della vita che comportano e del decorso sostanzialmente cronico che caratterizza questi disturbi. Inoltre, i risultati di numerosi studi epidemiologici indicano dei tassi di prevalenza elevati per entrambe queste patologie.
Elevati tassi di comorbidità sono stati riscontrati tra i due disturbi. Recentemente, inoltre dati dello studio STEP-BD sui pazienti bipolari esposti all’attentato delle Twin Towers di New York del 2001, hanno riportato come soggetti in fase maniacale-ipomaniacale fossero a più elevato rischio di sviluppare PTSD (Pollack et al., 2006)
L’approccio alla patologia psichiatrica tramite un modello di spettro e l'utilizzo di specifici strumenti di valutazione come il TALS-SR e il MOODS-SR, ci consente un analisi maggiormente accurata della correlazione tra PTSD e disturbo bipolare. Grazie infatti allo studio della sintomatologia sottosoglia, possiamo individuare il peso specifico delle manifestazioni delle malattie, non solo nei soggetti con patologia conclamata, ma anche nella popolazione generale. Ricercatori della Clinica Psichiatrica di Pisa hanno evidenziato una significativa correlazione tra sintomi di spettro maniacale e una delle maggiori complicanze del PTSD, ovvero il rischio di suicidio (Dell'Osso et al., 2009b).
Lo scopo di questa tesi è stato quindi quello di indagare la relazione tra sintomi di spettro dell’umore lifetime, valutati tramite uno specifico questionario (MOODS-SR) e la presenza di PTSD e di sintomi di spettro post-traumatico da stress, in un campione di giovani adulti o sopravvissuti al terremoto de l’Aquila 2009, indagati a 21 mesi dall’esposizione. Obiettivo secondario di questa tesi è stato di esplorare eventuali differenze di genere in tali correlazioni. A tal fine, abbiamo esaminato le correlazioni tra i sintomi del MOODS-SR lifetimeversion e quelli del TALS-SR, questionario per lo spettro post-traumatico da stress adattato per i sintomi sviluppati in relazione all’esposizione al terremoto di L’Aquila 2009 (Dell'Osso et al., 2011; Dell'Osso et al., 2012d). Il campione preso in esame era costituito da 512 studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, e la valutazione era stata eseguita circa 21 mesi dopo il terremoto.
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3. MATERIALI E METODI
3.1 Campione
La popolazione indagata nella presente tesi è rappresentata da 512 studenti residenti nella città di L’Aquila che frequentavano, al momento dell’intervista, l’ultimo anno di scuola superiore e che erano stati esposti al terremoto del 6 Aprile 2009, 21 mesi prima.
Tutti i soggetti vivevano nella città di L’Aquila prima e durante il terremoto, ed erano quindi stati esposti al terremoto ed alle sue conseguenze. Il consiglio scolastico di ogni scuola coinvolta ha approvato il progetto con le procedure di reclutamento e di valutazione. Tutti i soggetti candidati hanno fornito il consenso informato dopo aver ricevuto una completa descrizione dello studio ed aver avuto la possibilità di porre domande.
Su dieci scuole superiori presenti nella città di L’Aquila, ne sono state selezionate tre, con indirizzo rispettivamente tecnico, scientifico e umanistico, senza criteri di inclusione o esclusione “a priori”. Gli studenti di queste scuole hanno un background socio-economico ampio e rappresentativo dell’intera popolazione scolastica di questa fascia di età dell’area di riferimento. In totale, sono stati somministrati questionari a 512 studenti (280 maschi e 232 femmine).
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3.2 Strumenti e metodi di valutazione
Gli strumenti di valutazione utilizzati per questa tesi sono stati: il Trauma and Loss Spectrum-Self Report versione lifetime (TALS-SR, Dell'Osso et al., 2009c), per valutare i sintomi dello spettro post-traumatico relativi all’esposizione al terremoto dell’Aprile 2009, e il Mood Spectrum-Self Report versione lifetime (Dell'Osso, et al., 2002), per indagare i sintomi dello spettro dell'umore nel corso della vita.
3.2.1 Il TALS-SR
Il TALS-SR (Dell'Osso et al., 2008; Dell'Osso et al., 2009c) è stato sviluppato dai ricercatori italiani e statunitensi facenti parte del progetto di collaborazione internazionale di ricerca denominato Spectrum Project (Frank et al., 1998; Cassano et al., 1999). Lo strumento, originariamente sviluppato in inglese, è stato poi tradotto in italiano e infine tradotto nuovamente in inglese da ricercatori bilingue, al fine di identificare eventuali incongruenze tra le due lingue. La versione adottata in questo studio è quella italiana.
Il TALS-SR esplora i sintomi di spettro post-traumatici associati che possono insorgere nell'arco della vita di un individuo in relazione all’esposizione ad uno spettro di eventi potenzialmente traumatici e di perdita. Il TALS-SR non è stato progettato per sostituire un’intervista clinica strutturata come la SCID, ma rappresenta uno strumento complementare alla diagnosi di PTSD secondo il DSM e offre un approccio dimensionale più completo alla psicopatologia del paziente attraverso l'accesso alle informazioni relative ai sintomi sottosoglia, le manifestazioni atipiche, oltre ad una vasta gamma di caratteristiche cliniche associate al trauma e agli eventi di perdita.
Il TALS-SR comprende 116 items che esplorano lo spettro post-traumatico da stress attraverso tre dimensioni: quella degli eventi potenzialmente traumatici e/o di perdita; quella della reazione acuta; quella dei sintomi di post-traumatici da stress, compresi sintomi atipici, subclinici, così come di comportamenti e di caratteristiche individuali che potrebbero rappresentare manifestazioni e/o fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome stress correlata. Le risposte sono codificate in modo dicotomico (sì/no). Lo strumento è suddiviso in 9 domini che includono: eventi di perdita (I); reazioni agli eventi