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L’impegno educativo di Giovanni Calabria per l’infanzia abbandonata

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Academic year: 2021

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STUDIUM

EDUCATIONIS

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Anno XVIII – n. 2 – GIUGNO 2017 Rivista quadrimestrale per le professioni educative

Direttore Responsabile

Diega Orlando Cian

Comitato Scientifico Sergio Angori Sami Basha Antonio Bellingreri Roberta Caldin Paolo Calidoni Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Romualdo Dias Italo Fiorin Massimiliano Fiorucci Luciano Galliani Anna Genco Jean-Claude Kalubi-Lukusa Sira Serenella Macchietti Giuseppe Milan Paola Milani Giuliano Minichiello Loredana Perla Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato

Comitato di Redazione

Giuseppe Milan (caporedattore) Luca Agostinetto Mirca Benetton Chiara Biasin Carla Callegari Alessandra Cesaro Mino Conte Emma Gasperi Paola Milani Emanuela Toffano Patrizia Zamperlin Orietta Zanato Peer-review

Gli articoli ricevuti dalla Redazione sono sottoposti, in forma anonima, al parere di due membri del Comitato di Referee, le cui decisioni sono inappellabili. In caso di richiesta di integrazioni o correzioni, gli articoli sono rinviati agli autori, che dovranno apportare le modifiche necessarie. Studium Educationis, fondata e diretta da Diega Orlando, professore emerito di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Padova, è uscita come bimestrale, con regolarità, dal 1996 a tutto il 2000. A partire dall’anno successivo ha assunto cadenza quadrimestrale.

Quattro anni fa la rivista è passata dalla casa editrice Cedam alla casa editrice Erickson, giungendo infine, a partire dal 2011, alla casa editrice Pensa MultiMedia.

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 1520 del 19 luglio 1996 ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line)

Finito di stampare Giugno 2017

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, an-che a uso interno o didattico, non autorizzata

Milena Santerini Sahaya G. Selvam Domenico Simeone Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello

(3)

Segreteria di Redazione Luca Agostinetto luca.agostinetto@unipd.it Giuditta Alessandrini Sergio Angori Roberta Caldin Paolo Calidoni Mirella Chiaranda Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Renato Di Nubila Agustin Escolano Benito Luciano Galliani Anna Genco Alberto Granese Maria Luisa Iavarone Daniele Loro Sira Serenella Macchietti Susanna Mantovani

Umberto Margiotta Anna Marina Mariani Giuseppe Milan Marco Milella Giuliano Minichiello Ferdinando Montuschi Agostino Portera Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato Milena Santerini Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello Editore

Pensa MultiMedia Editore s.r.l. – Via A.M. Caprioli, 8 - 73100 Lecce tel. 0832.230435 • info@pensamultimedia.it – www.pensamultimedia.it

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Studenti universitari: Italia euro 30,00 • Estero euro 50,00 • online 20,00

Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: abbonamenti@edipresssrl.it

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Le note editoriali della rivista sono disponibili nel sito www.pensamultimedia.it

Numero a cura di

Carla Callegari Emma Gasperi

La Redazione accetta articoli da sottoporre al Comitato di Referee solo da abbonati o da chi sottoscriverà l’abbonamento alla Rivista.

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I

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7

Smiljana Naran

čić Kovač

The potential of visual storytelling for developing literary competence

Il potenziale dello storytelling visivo per lo sviluppo della literary

competence

21

Marco Milella

La tensione formativa verso il futuro

Formative tension towards the future

35

Giuseppina D’Addelfio

Il senso della paternità nel pensare di María Zambrano

The sense of paternity in Maria Zambrano’s works

49

Paola Dal Toso

L’impegno educativo di Giovanni Calabria per l’infanzia

abbando-nata

Giovanni Calabria’s educational commitment to child

aban-donment

63

Emma Gasperi, Chiara Vittadello

L’importanza del diario di bordo nelle professioni educative

The journal’s relevance in education professions

71

Alessandra Cesaro

Gli Stati Generali dell’esecuzione penale: una lettura educativa

The States-General on penal law: educational considerations

81

Pierpaolo Triani

Il tempo pieno nella scuola primaria italiana

“Full time” in Italian primary school

93

Carla Callegari

L’educazione comparata nell’epoca globale: la tradizione italiana e le

prospettive future

Comparative education in the global age: Italian tradition and

future perspectives

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105 Noemí Serrano Díaz

El Grado en Educación Infantil en España y el desarrollo de las

com-petencias profesionales

The bachelor’s degree in Early Childhood Education in Spain

and the development of professional skills

115 Anita Gramigna

Quando gli spiriti ci parlano. Conflitto interculturale e formazione nella

tribù Yaqui

When spirits talk to us. Intercultural conflict and formation

within the Yaqui tribe

129 Mino Conte

Cultura educativa

Educational culture

133 Lucia Balduzzi, Tiziana Pironi

Progettare la formazione degli educatori e degli insegnanti per un

si-stema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino a sei anni

Reconceptualising the educators and teachers training to realize

the integrated education system for children from birth up to

six years

137 Melania Bortolotto

Seminari Pedagogici Internazionali “L’educazione e il futuro

dell’Eu-ropa” - Primo seminario: “Scuola e democrazia” - Padova 4 aprile

2017

141 Giulia Righini

142 Fabio Targhetta

143 Giuseppe Milan

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Lucia Balduzzi • Università degli Studi di Bologna Carla Callegari • Università degli Studi di Padova Alessandra Cesaro • Università degli Studi di Padova Mino Conte • Università degli Studi di Padova

Giuseppina D’Addelfio • Università degli Studi di Palermo Paola Dal Toso • Università degli Studi di Verona

Emma Gasperi • Università degli Studi di Padova Anita Gramigna • Università degli Studi di Ferrara Marco Milella • Università degli Studi di Perugia Smiljana Narančić Kovač• Sveučilišta u Zagrebu

Tiziana Pironi • Università degli Studi di Bologna Noemí Serrano Díaz • Universidad de Cádiz

Pierpaolo Triani • Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza Chiara Vittadello • Università degli Studi di Padova

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L’impegno educativo di Giovanni Calabria

per l’infanzia abbandonata

Abstract

In Verona context at the beginning of the twentieth century, don Giovanni Calabria is in charge of welcoming poor and abandoned children by starting at an educational institution still exists today. Moved motivations of human and religious character, is committed to promote personal development of each and also prepare it from a professional point of view. In educational in-tentionality are some underlying principles that characterize the action of Don Calabria.

Keywords: Giovanni Calabria, biography, children, education, Verona

Nel contesto veronese all’inizio del Novecento, don Giovanni Calabria si fa carico di accogliere l’infanzia povera e abbandonata dando avvio a un’istituzione educativa presente ancora oggi. Mosso da motivazioni di carattere umano e religioso, si impegna per promuovere la formazione personale di ognuno e prepararlo anche dal punto di vista professionale. Nell’intenzionalità educativa sono sottesi alcuni principi che caratterizzano l’azione calabriana.

Parole chiave: Giovanni Calabria, biografia, infanzia, educazione, Verona

di Paola Dal Toso

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XVIII - n. 2 - giugno 2017

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Paola Dal Toso

L’impegno educativo di Giovanni Calabria

per l’infanzia abbandonata

1. I primi passi nel contesto veronese

La città di Verona, in particolare nell’Ottocento (Muraro, 1967, pp. 15-21; Bat-tizoco, 1896) è più che altro una piazzaforte militare, con una massiccia pre-senza di truppe acquartierate dentro le mura cittadine; il che contribuisce ad aumentare qualche problema di ordine socio-civile. Uno in particolare è co-stituito dalla prostituzione, un aspetto del costume deleterio per la vita fami-liare e per la pubblica moralità. In un elenco di locali di meretricio per il 1892 si contano ben ventidue case di malaffare, con una settantina di donne dedite alla prostituzione (Joppi, 1996, pp. 129). Fenomeni sociali di notevole portata, quali l’impressionante tasso di emigrazione stagionale o permanente, le gravi situazioni di inurbamento e di disoccupazione, l’alta mortalità per pellagra, tubercolosi, vaiolo e colera (Zalin, 1978, pp. 72-122; Franzina, 1991, p. 170) sono sicuramente altre cause che costituiscono un’emergenza per quanto ri-guarda l’assistenza di fanciulli e ragazzi. Nei primi decenni dell’Ottocento si registra un “aumento esponenziale di figli illegittimi comunque abbandonati o esposti nelle città del Lombardo-Veneto, dove un nato ogni due veniva af-fidato alla pubblica carità” (Butturini, 1994, p. 446). Alla fine del XIX secolo non si riesce a trovare una soluzione al problema dei minori abbandonati, che permane anche nel primi decenni del Novecento. A fine Ottocento i ragazzi abbandonati o con particolari problemi a Verona sono ospitati in tre collegi pubblici: l’Ospizio degli Esposti1, il Collegio degli Artigianelli2e l’Istituto dei

Derelitti3. Istituti maschili e femminili a gestione civile o religiosa non

man-cano, ma sono insufficienti a risolvere l’emergenza di torme di minori che vi-vono nella povertà, nella miseria, nell’analfabetismo, costretti spesso a mendicare, a vagabondare e purtroppo anche a divenire delinquenti. Il loro numero è in continuo aumento tanto che il prefetto di Verona, Luigi Sormani Moretti (1904), pensa di aprire un ulteriore istituto di assistenza.

In questo contesto nei primi anni del Novecento don Giovanni Calabria4

1 L’Ospizio degli Esposti, che dal 1812 viene chiamato Casa degli Esposti, in via Moschini, nel 1900 assiste 2750 bambini tra lattanti, infanti e adolescenti, di cui 2334 esterni. 2 Il Collegio degli Artigianelli accoglie i fanciulli tra gli otto e gli undici anni, allo scopo di

educarli e avviarli a un mestiere.

3 L’Istituto dei Derelitti accoglie fanciulli tra i 6 e i 16 anni, poveri, traviati e “discoli”, spe-cialmente orfani, abbandonati o trascurati dalle famiglie.

4 Per la biografia di Giovanni Calabria si vedano: Foffano 1958; Gecchele 1979; Gadili 1999; Foffano, Gandini 1999; Gatto 1999.

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Studium Educationis • anno XVIII - n. 2 - giugno 2017 • studi e ricerche

si trova a dare una concreta risposta al problema dell’infanzia povera e ab-bandonata o, comunque, in difficoltà, con la preoccupazione di ridarle dignità, come lui stesso testimonia:

Fin da giovane mi sono sempre sentito chiamato a fare qualcosa di speciale per il bene delle anime per mezzo della carità. La mia incli-nazione mi portava all’assistenza dei malati e pensavo che questo sa-rebbe stato il mio campo; tanto è vero che messo a Santo Stefano come coadiutore insieme a don Bovo, ed essendo incaricato della gio-ventù io e degli infermi l’altro, ci scambiammo le mansioni. La divina Provvidenza però, con tratti e segni particolari, mi condusse a dedi-carmi anche alla gioventù povera ed abbandonata, dapprima saltua-riamente in casa mia, poi sistematicamente con la Casa Buoni Fanciulli (Calabria, 1935).

Don Calabria avverte l’educazione delle giovani generazioni come la più urgente questione sociale, una vera e propria emergenza, per la quale si spende, convinto che dal modo in cui la si affronta dipende il futuro non solo della società ma dell’umanità intera.

Nella parrocchia di Santo Stefano, un rione popolare di Verona partico-larmente povero, dove don Calabria inizia il ministero pastorale di vicario cooperatore dal 24 settembre 1901, non di rado gli capita di incontrare ragazzi bisognosi5, abbandonati e particolarmente esposti ai pericoli di degrado

mo-rale e materiale. Fin dal 1906, incomincia a raccoglierli nella consapevolezza che queste situazioni problematiche non si risolvono con un’elemosina, per quanto generosa. Comprende che bisogna darsi da fare per poter assicurare loro quell’assistenza continua e quell’educazione di cui hanno bisogno. La ricerca di una sistemazione presso qualcuno dei vari collegi presenti in città o in provincia, purtroppo, non si rivela semplice; nell’attesa e nella speranza di poter finalmente collocare qualche ragazzo presso altri istituti, si trova spesso nella necessità di accoglierlo, a volte per alcuni giorni, altre volte per settimane e mesi. Lo ospita nella sua casa, un appartamento al secondo piano sito in Vicolo Fontanelle, dove vivono anche la mamma Angela6, una sua

5 Si tratta per lo più di piccoli spazzacamini, che nei mesi invernali scendono dai monti e in cambio di un piccolo compenso sono ingaggiati nella pulizia annuale delle canne fu-marie.

6 Angela Foschio nasce a Verona il 7 agosto 1831 da Paolo Foschio di Spilimbergo (Porde-none) e Giovanna Tosi di Verona. Dai sei ai sedici anni viene educata come interna presso l’Istituto di don Nicola Mazza, fondato per ospitare ragazze bisognose. A sedici anni le muore la mamma ed è costretta a rientrare nella casa paterna per accudire la sorellina Te-resa. Dopo due anni il padre si risposa e può riprendere la formazione professionale nel-l’Istituto don Mazza come esterna, ricevendo una modesta cultura, una grande abilità di cucito e ricamo, e soprattutto una formazione umana e cristiana solida. Frequentando la chiesa di san Lorenzo ha occasione di incontrarsi con Luigi Calabria, un povero calzolaio che lavora in casa propria, e lo sposa il 6 aprile 1856, nella chiesa dei Santi Apostoli. Affronta la vita sorretta dal grande dono della fede, grazie alla quale con serena fiducia riesce a su-perare il dolore della morte di quattro dei sette figli, pronta a crescere con gioia i tre

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ri-amica, Margherita Masina7, e la sorella Teresa8, rimasta sola con la figlioletta

Marcellina.

Lo stesso don Calabria testimonia:

Fino dal primo anno del mio sacerdozio, ho incominciato a racco-gliere nella mia casa qualche povero bambino abbandonato e poi, te-nutolo per qualche tempo, cercavo di metterlo in qualche pio Istituto, ma era tanto difficile, trovavo tante difficoltà; d’altra parte, come fare? Lasciarli questi ragazzi tanto birichini e vivi in casa con la mia povera mamma, ormai avanzata negli anni, la facevano combattere e, pove-retta, mi diceva: “Caro don Giovanni, mi stanco sai; se fossero buoni bambini, ma quanto disobbedienti, quanto cattivi”. Io non sapevo cosa fare, mi stringeva il cuore lasciarli, mi faceva pena la mia mamma (Ca-labria, 1923).

È così che in realtà, don Calabria comincia a progettare un servizio a fa-vore dei ragazzi abbandonati fin dal 1905: ne troviamo traccia in una lettera inviata al segretario particolare del papa Pio X, datata 24 ottobre. Scrive che per le seguenti due ragioni: “vedendo continuamente quante povere anime

Paola Dal Toso

masti: Teresa (22/4/1864), Gaetano (19/8/1870) e Giovanni (8/10/1873). A partire dal-l’inverno 1885 la malattia del marito e poi la sua morte, avvenuta il 28 febbraio 1886, la costringono a confrontarsi con la conseguente povertà con animo forte provvedendo al sostentamento della famiglia: è così che inizia a lavare e stirare per famiglie benestanti; inoltre, si presta ad assistere di notte persone ammalate. Nonostante il lavoro e la stanchezza quotidiana, è attenta a tutti i bisogni dei figlioli, ai quali, oltre al pane quotidiano, presenta l’amore che prova per Maria Santissima Addolorata, insegna le preghiere e a “credere”. Sa accogliere tutti: dalla Barbara alla Masina, ai parenti bisognosi: con tutti riesce ad essere mamma. La spiritualità di questa donna di grandi virtù cristiane è caratterizzata da amore in Dio, accettazione della volontà divina, fede nella divina Provvidenza, amore verso il prossimo, comprensione per i limiti dei suoi figli, dolcezza, pazienza e fiducia illimitata nella volontà del Padre. Riesce a trasmettere queste virtù ai figli e soprattutto a Giovanni, che da lei riceve l’esempio di come conformare la propria vita alla volontà di Dio, che accetta piegandosi ad essa in maniera totale. Inoltre, sa darsi in maniera così naturale a tutti perché l’ha visto fare in maniera tanto spontanea dalla sua mamma. Angela muore l’8 mag-gio 1908 (Crestani, 1951).

7 Margherita Masina, donna piuttosto anziana, vive dignitosamente col suo lavoro di cucito. È una vicina di casa dei Calabria e con il trascorrere del tempo diventa sempre più intima della famiglia Calabria fino a diventarne parte andando a vivere in vicolo Fontanelle. Quando don Giovanni non riesce a sistemare i ragazzi in qualche collegio, se li porta a casa, dove spesso rimangono per giorni e settimane; interviene come può nell’aiutarlo, sempre pronta a dare quel che possiede. Ed è così che la Masina diventa una delle prime collaboratrici di don Giovanni, lo segue a san Benedetto al Monte e gli rimane fedele dopo la morte della mamma, credendo nella missione affidata a don Calabria da Dio Padre e la condivide fino all’ultimo giorno di vita.

8 Rimasta incinta, nel 1887 Teresa dà alla luce Marcellina. Viene nuovamente accolta in casa dalla mamma Angela che non segue il costume corrente di molti genitori che si scrollano di dosso lo scandalo e la vergogna, scacciando le figlie disonorate, oppure eliminando una maternità non voluta, ma la sostiene, incoraggiandola e aiutandola a ricostruirsi una nuova vita.

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Studium Educationis • anno XVIII - n. 2 - giugno 2017 • studi e ricerche

di giovani restano vinti dal demonio e conducono una vita come gli animali”, e “considerando la difficoltà di collocare queste povere anime in più istituti che le ricevano gratuite”, da tempo si sente spinto a iniziare “una piccola opera in pro dei giovanetti poveri, raminghi, abbandonati” (Calabria, 1905) fondata tutta sulla divina Provvidenza.

Don Giovanni li assiste con quell’attenzione affettuosa tipica di una madre. Infatti, durante il servizio in ospedale e in caserma, aveva intuito che anche l’adulto è bisognoso di cure materne. Con tale spirito aveva svolto il servizio in mezzo ai militari, come scrive il suo primo biografo9:

Prese con molto impegno la cura dei malati. Non era il soldato “co-mandato” per questo o quel servizio, ma il fratello che si curva sul fra-tello diletto che giace malato. Era, meglio ancora, la mamma che assiste il figliolo, che ne indovina i desideri, che ne condivide le pene. Sentiva, confessava lui stesso, che quei giovanotti sulla ventina, sottratti da casa, erano dei fanciulloni anche sotto la divisa militare; ma specialmente poi nelle malattie tornavano più fanciulloni, ed avevano bisogno della mamma. E il Nostro si fece “mamma” per ogni assistito nelle infermità. Ed egli si piegava sul loro letto con l’amore di mamma; diceva parole di conforto che solo una mamma sa trarre dal suo cuore […]. La con-dotta ineccepibile, la generosa dedizione all’assistenza, la cura materna dei malati, tutto insomma faceva di lui un soldato ben diverso dallo stampo comune. [...] Il soldato Calabria costituiva una categoria a sé, fuori serie (Adami, 2005, p. 54).

Quest’animo materno è vivo in don Giovanni che, assistendo i piccoli, si rende conto che la stessa esigenza è ancor più avvertita dai piccoli raminghi ed abbandonati. Il ricordo della sua infanzia, scaldata quasi unicamente dalla presenza della mamma, lo rende maggiormente cosciente della necessità di avere quell’occhio e quel cuore materno verso i suoi figli.

Ma è evidente che tutto ciò non basta: don Calabria riscontra l’esigenza di poter contare anche sulla mano della donna di casa, in quei compiti che più hanno attinenza con la sua tradizionale funzione, quali il lavare, il cucinare, il cucire ecc. Per di più, verso la fine del 1906 la mamma non riesce a riaversi da una brutta broncopolmonite. Senza il suo aiuto don Giovanni non sa come fare ad accogliere altri bambini ed è molto preoccupato. Prega chiedendo che, se il Signore vuole che continui a interessarsi dei fanciulli poveri, almeno per un anno ridoni la salute alla madre che, contro ogni previsione, si riprende quasi immediatamente e vive ancora per circa un anno. Grazie alla guarigione

9 Luigi Adami (17/3/1891 - 19/3/1968), entrato nella Casa Buoni Fanciulli il 2 giugno 1908, ordinato il 24 agosto 1921, è educatore; insegnante nel seminario vescovile dal 1924 al 1952. È per molti anni Consigliere generale della Congregazione Poveri Servi della Divina Provvidenza; fonda e dirige dal 1930 alla morte il periodico dell’Istituto: L’Amico

dei Buoni Fanciulli, di cui redige buona parte degli articoli. Pubblica alcuni libri agiografici

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materna, accolta come segno della divina volontà, don Giovanni può conti-nuare l’Opera iniziata.

Nel 1907, quando viene nominato rettore di san Benedetto al Monte, nel giro di pochi mesi, poiché è satura la capienza della modesta canonica, si trova costretto a cercare una nuova sede. Grazie alla collaborazione dell’amico Fran-cesco Maria Perez, dell’alunno esterno di quinta ginnasio del seminario e organista di san Benedetto chiamato familiarmente “Gigio”10e del suo

pe-nitente e curato di San Giovanni in Valle don Diodato Desenzani11, il 26

no-vembre in uno stabile preso in affitto in vicolo Case Rotte, i primi cinque Buoni Fanciulli sono accolti da don Calabria. È così che prende avvio la “Casa Buoni Fanciulli” che fin dall’inizio non intende finalizzata a scopi sem-plicemente di carattere filantropico, ma sente essere un’Opera di Dio, mezzo attraverso il quale manifestare la fede e la fiducia nella divina Provvidenza.

L’8 maggio 1908 muore la mamma, mentre il numero dei ragazzi accolti aumenta in modo rapido e continue sono le domande di ammissione. C’è bisogno di una nuova sede: grazie a Francesco Perez viene acquistato il com-plesso San Girolamo Emiliani a San Zeno in Monte, dove il 6 novembre 1908 trasloca il gruppo costituito da 23 ragazzi, che arrivano a 32 alla fine dell’anno. In quello successivo, anche per effetto dell’ambiente più spazioso, raggiungono ben 80 unità (Gecchele, 2007, p. 177). Si tratta di minori con tristi storie alle spalle: per la maggior parte abbandonati, poverissimi o orfani di uno o entrambi i genitori.

Don Calabria si preoccupa non solo di assistere e formare i ragazzi che accoglie, ma fin da subito, anche di avviarli al lavoro curandone la formazione professionale grazie a laboratori di calzoleria, tipografia, legatoria, falegna-meria, sartoria e meccanica che progressivamente vengono avviati a San Zeno in Monte. Il lavoro si svolge a pieno ritmo, scandito da ordine, disciplina, im-pegno, ma senza ansia o spirito di antagonismo. Don Giovanni considera, in-fatti, l’apprendimento di un mestiere essenziale per consentire loro un avvenire dignitoso.

Successivamente vengono avviate altre “Case Buoni Fanciulli”: nel 1919 nella diocesi di Vicenza, a Costozza, e nel 1920 in quella di Padova, a Este

Paola Dal Toso

10 Si tratta di Luigi Adami.

11 Don Diodato Desenzani (11/11/1882 - 16/6/1960), ordinato sacerdote nel 1905, è vi-cario cooperatore nella rettoria di Santa Toscana, poi di San Giovanni in Valle e, quindi, nella parrocchia di San Paolo in Campo Marzio. Coopera con Calabria dal 1907 al 191l ed entra nell’Istituto delle Missioni Estere di Milano nell’autunno del 1913. Il 25 agosto 1914 parte come missionario per Hyderabad (India). Nel 1930, nella missione di Batzwada, distretto di Kistna, fonda un convitto maschile e un convitto femminile cui dà il nome di Casa Buoni Fanciulli. Durante il periodo 1933-1934, rientrato in Italia per iscriversi alla Facoltà di Medicina dell’Università di Padova, fonda l’Unione Medico Missionaria Italiana e collabora per l’invio di quattro religiosi di don Calabria in India. Nel 1936 ritorna di nuovo in Italia per completare i suoi studi di medicina all’Università di Padova, ospite il 1937-1938 del parroco di San Giovanni in Valle, don Giuseppe Bonometti. Si laurea nel 1938. Ritornato in India opera come missionario fino alla morte (Foffano et alii, 2000).

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(Cona, 2007). Nelle istituzioni calabriane vengono accolti numerosi ragazzi la cui situazione familiare è soprattutto di abbandono da parte dei genitori.

Nei primi 25 anni, 81 ragazzi erano orfani di padre e di madre, 134 non avevano il padre, 57 non avevano la madre. Qualche ragazzo en-trava perché segnalato o raccomandato da sacerdoti e amici, ma anche dalla questura. Il luogo di provenienza dei 623 ragazzi accolti nei primi 25 anni è per circa la metà Verona e provincia. Il periodo medio di permanenza si aggirava sui 4 anni e mezzo, anche se ben 62 si ferma-rono meno di un anno, cioè si notano parecchie uscite (Gecchele, 2008, p. 74)12.

Rileggendo la sua attività e ricordando i primi anni, don Calabria scrive: Con l’aiuto del Signore, senza capitali e senza fondi, ma unicamente affidato alla Provvidenza, nel 1907 ho iniziato quest’Opera; presto il numero dei ragazzi accolti e mantenuti gratuitamente nella Casa di-vennero centinaia. Con l’andare degli anni, si è potuto allargare il campo di lavoro, aprendo altre Case in Provincia, e fuori: Vicenza, Mi-lano, Ferrara.

Scopo e programma è di dare ai giovani una educazione completa, scolastica professionale, e preparare così buoni padri di famiglia e one-sti operai per la società e la Patria. E in queone-sti quarant’anni e più di vita ne sono usciti moltissimi, ben siste mati, non pochi anzi in posti distinti (Calabria, s.d.a).

Rivolgendosi al Prefetto di Verona precisa ulteriormente:

Da quaranta e più anni, difatti, vengono accolti a centinaia questi po-veri fra i più popo-veri giovani; li veste, li nutre, li provvede di educazione mo rale, civile e professionale, del tutto gratuitamente, fino all’età ma-tura, quando, ap presa un’arte conveniente nelle Scuole interne di la-voro, i giovani sono in grado di bastare a se stessi (Calabria, 1949).

2. L’intenzionalità educativa

L’Opera di don Calabria verso i ragazzi bisognosi è frutto di una fi -lantropia della fede o teofi-lantropia, trae origine cioè, principalmente, dalla fede che si incarna in opere buone verso il prossimo in nome di Dio; presuppone elevate qualità umane e religiose non solo in don Ca labria ma anche in molti suoi collaboratori e circostanze favorevoli,

12 Nei primi anni circa una sessantina sono gli allontanati con varie motivazioni: o per mutate condizioni familiari o perché il ragazzo non risponde a quanto viene proposto, in linea con ciò che afferma don Calabria, cioè che quando un ragazzo nella casa non corrisponde, non si fa forza e non cerca di migliorarsi, deve andare via, anche se sottolinea quanto questo sia doloroso (Gecchele, 2008).

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co me la presenza di una “gioventù povera ed abbandonata” e di condizio ni sociali ed economiche adatte allo scopo (Gecchele, 2007, p. 97).

Se li si analizzano dal punto di vista pedagogico, indubbiamente non si rintracciano nel pensiero e negli scritti di don Giovanni Calabria un’elabo-razione teorica, una riflessione organizzata in forma sistematica, tanto meno ha prodotto trattati o saggi di pedagogia. Egli si descrive semplicemente così: “Io sono un povero prete messo dalla Provvidenza a custode di un’Opera di carità. Scopo di quest’Opera è di raccogliere fanciulli moralmente e mate-rialmente abbandonati e dar loro una educazione religiosa, civile, professio-nale” (Calabria, 1931).

Quest’esplicita intenzionalità di carattere educativo si può rintracciare in alcuni pensieri che esprime a proposito della sua azione concreta a favore dei minori; inoltre, occasionalmente propone qualche principio, punto fermo al quale non venne mai meno. Le poche idee ma chiare potrebbero costituire delle linee-guida per un educatore.

Ripetutamente don Calabria accoglie le povere creature che il Signore gli ha affidato, “povere creature abbandonate”, “poveri figlioli abbandonati”, cogliendo in loro, al di là della necessità di essere sfamati e accuditi, innanzi-tutto, il bisogno affettivo, di sentire l’affetto, il cuore di un padre, di trovare o ritrovare quell’umanità perduta o mai conosciuta, di sentire il calore di una famiglia.

Fin dai primi momenti nei quali prende avvio il suo impegno a favore dell’infanzia povera e abbandonata, insiste sulla paternità e maternità di Dio, da far sperimentare ai suoi figli; compito fondamentale dei suoi collaboratori, i Poveri Servi e successivamente le Povere Serve, è mostrare che Dio è Padre e Provvidenza per tutti, ama ciascun uomo, buono o cattivo, con amore in-finito e individuale, di predilezione, come una mamma13. Ne consegue la

fi-gliolanza degli uomini dallo stesso Padre, e quindi l’essere tutti fratelli. Il compito che assume don Calabria, e al quale chiede a ogni religioso di essere fedele, è farsi immagine concreta dell’amore del Padre e amare ciascuno alla maniera di Dio (Foffano, 1958, p. 477). Continuamente raccomanda la bontà, specialmente con i ragazzi, affinché possano vederla testimoniata e compren-derla. È questo un principio comune all’azione educativa di don Bosco, che probabilmente don Calabria conosce indirettamente grazie ai contatti stabiliti con i Salesiani presenti a Verona. Per don Bosco,

occorre che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi cono-scano di essere amati. Occorre che essendo amati in quelle cose che a loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino

Paola Dal Toso

13 Ad esempio, prima di andare a letto la sera, don Giovanni chiama il bambino appena ar-rivato o quello rimproverato, per confortarlo, per dargli una caramella, aggiungendo una breve filastrocca, in dialetto: “Dormi co i oci, sponsa coi zenoci, meti le man sul sen e pensa che don Giovani te vol ben” (Foffano, 1958).

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a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco: quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi, e queste cose imparino a fare con amore […]. Senza familiarità non si dimostra amore, e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo con i piccoli: ecco il maestro dell’amorevolezza (Bosco, 1884, pp. 55-56).

E questa dovrebbe caratterizzare ogni educatore. Don Calabria racco-manda:

I Fratelli seguiranno il metodo educativo del Ven. don Bosco. Farsi amare non già temere dai ra gazzi. Tirarli dolcemente e fortemente in-sieme al bene e alla virtù, non già spingerli, peggio costrin gerli per forza. Devono rendere pieghevole e docile la volontà stessa dei ragazzi. Sono i Figlioli che devo no spontaneamente muoversi al bene; nulla impor terebbe che al bene si piegassero anche costantemente, ma per-ché costrettivi. Tutto il lavoro dell’e ducatore è lì (Calabria, 1924, pp. 52-53).

Dall’amore, dal forte senso di paternità e di maternità scaturiscono alcune conseguenze. Innanzitutto, don Calabria coltiva una particolare cura per lo “spirito di famiglia”. Non chiama le istituzioni che avvia “collegio” o “isti-tuto”, ma “Casa Buoni Fanciulli”14, espressione che rimanda all’idea di una

famiglia che abita la casa. I termini: “casa”, “padre”, “fratelli”, “sorelle” con-tinuamente usati da don Calabria contribuiscono a creare il clima di famiglia. Questo vocabolario riverbera lo spirito di famiglia che regna nell’Istituto. In-fatti, i religiosi sono chiamati “fratelli”, così come i laici esterni collaboratori, le religiose “sorelle”, il superiore “casante”.

La casa prende il nome di “Buoni Fanciulli”. Tale denominazione sotto-linea non tanto che i piccoli sono incapaci di compiere il male, ma la possi-bilità di essere educati a realizzare il bene. Don Calabria accorda fiducia sempre a chiunque e lo tratta con bontà.

La vita comunitaria in famiglia presuppone stima profonda per ogni per-sona e rispetto assoluto anche del bambino, in particolare dell’intimità della coscienza: “Non entrate nel santuario della coscienza; la coscienza la forme-rete con il vostro buon esempio, con la preghiera. E siate vigilanti, pregate, sacrificatevi, per tenere lontano il peccato dalle anime dei giovani a voi affi-dati” (Calabria, 1942).

Nelle Regole scritte nel 1924 per i fratelli che lo affiancano, raccomanda

14 È don Diodato Desenzani ad avanzare la proposta del nome per la nuova istituzione. Don Giovanni “ci pensò un poco quindi: Proprio mi piace. Sarà la Casa dei Buoni Fanciulli”: Archivio dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, f. Corrispondenti, c. 540; cfr. anche D. Desenzani, s.d., p. 16. Non si sa se don Diodato e don Calabria siano a conoscenza del-l’esperienza di Maria Montessori che nello stesso periodo, il 6 gennaio 1907, fonda la “Casa dei bambini”.

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loro che innanzitutto diano il buon esempio, che siano “padri” facendo di tutto perché i giovani abbiano in loro tutta quanta la stima e la confidenza. Li trattino con tutta carità, anche quando li correggono, non siano mossi da rabbia o passione, ma intervengano con molta umiltà, grande amore e tanta pazienza, pensando che tutti si è passati per quella età. Sorveglino molto e nei pochi castighi usino grande moderazione e la giusta misura facendo in modo che la correzione sia fatta con dignità, senza mai trascendere. Sugge-risce che, dove basta l’ammo nizione, non si usi il rimprovero e, dove questo sia sufficiente, non si proceda più oltre. Eccettuati rarissimi casi, le correzioni si devono evitare, i castighi collettivi non vanno dati in pubblico, ma priva-tamente e si usi massima prudenza e pazienza per fare che il ragazzo com-prenda il suo torto con la ragione e con la religione (Calabria, 1924, p. 57). Si devono assolutamente evitare il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirare le orecchie e altri simili castighi, perché contrari alla carità, irritano grandemente i giovani e sono una prova della debolezza e del fallimento dell’educatore. Don Calabria precisa: “I ca-stighi siano usati dai Fratelli con molta moderazione, e come medicina” (Ca-labria, 1924, p. 54). Soprattutto, raccomanda:

I Fratelli trattino i ragazzi con tutta carità; quando li correggono, non siano mossi da passione, ma da zelo; procurino che la loro correzione sia fatta con dignità senza mai e poi mai trascendere. Coi ragazzi ten-gano un contegno dignitoso, che ispiri confidenza e concili l’affetto. Non usino modi, parole, atti che possano avvilirli: li correggano e con-fortino, li compatiscano, e perdonino facilmente, persuasi che spesso siamo noi la causa più o meno volontaria delle loro mancanze, e che in essi quasi sempre c’è più leggerezza che cattiveria (Calabria, 1924, p. 56).

L’educatore non usa le mani né per carezzare né per battere, quanto piut-tosto ispirare confidenza e esprimere affetto. Richiamando il principio di San Paolo (I Corinzi, 13, 4-7): “La carità [...] tutto sopporta”, don Giovanni lo invita a non usare modi, parole, atti che possano avvilire i giovani, quanto piuttosto a correggere e confortare, compatirli e perdonarli facilmente, per-suaso che spesso è l’adulto la causa più o meno volontaria delle loro man-canze e che in essi quasi sempre c’è più leggerezza che cattiveria. Inoltre, è opportuno non cada nell’errore di manifestare in modo esagerato o malinteso la sollecitudine verso i ragazzi, oppure manifestare simpatie o preferenze. Pre-scrive ai suoi collaboratori:

Soprattutto evitino le confidenze troppo sensibili, le simpatie, le pre-ferenze; non chiamino alcuno in disparte sia pure per fargli raccoman-dazioni, dargli consigli, ecc., senza un motivo legittimo, né troppo frequentemente. Abbiano per tutti indistintamente uguale amore, non si lascino trasportare dalle belle fattezze, dalle maniere aggraziate, ecc. Non dispensino mai assolutamente né carezze né baci; non facciano regali, non diano dolci o altro. Tutte queste cose possono creare divi-sioni tra i ragazzi flessi, pregiudicano forse la virtù propria, e si

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promette se pure non si paralizza affatto ogni buon esito dell’educa-zione (Calabria, 1924, pp. 51-52).

Tutti questi orientamenti di carattere educativo comportano un’atten-zione continua personalizzata al singolo che non deve mai sentirsi solo, nep-pure un attimo, anzi sa che può contare su un adulto pronto ad affiancarlo e aiutarlo se necessario. Non va dimenticato il fatto che “non basta istruire, educare, correggere, quello che è maggiormente necessario è dar buon esem-pio” (Calabria, s.d.b).

Don Calabria forma personalmente il gruppo di collaboratori che sono impegnati nell’educazione di quanti sono accolti nella “casa”, li istruisce e li rende esperti attraverso una dura pratica quotidiana in mezzo ai ragazzi. Sono gli educatori i primi ad accogliere le regole della “casa” e a trasmetterle at-traverso la testimonianza esemplare ai “Buoni Fanciulli”, che con loro pos-sono confrontarsi e misurarsi: ecco il senso della presenza degli educatori che con la pratica del buon esempio conquistano e trascinano verso il bene. Per don Calabria l’arte dell’educazione è simile all’arte della fotografia: per im-pressionare la lastra ci vuole l’obiettivo e la persona che si metta davanti ad esso; gli educatori, esempi viventi dell’amore di Cristo, sono la figura da ri-produrre e le anime dei giovani sono la lastra (Calabria, 1945).

Del progetto educativo di don Giovanni Calabria parte essenziale è l’edu-cazione religiosa non solo perché ritiene importante che il giovane si accosti alle pratiche religiose che ne fortificano lo spirito (santa Messa, Comunione e Confessione), ma per tradurre nella pratica della vita il messaggio profondo del vivere cristiano.

Quale è la pedagogia di don Calabria? Una sola parola è sintesi non solo della sua prassi educativa, ma di tutto il suo operare: la carità, cioè l’amore. Inoltre, per essere all’altezza del compito, è necessario che l’educatore viva integralmente il Vangelo, sia Vangelo vivente; per questo si affida alla forza della preghiera, il che significa mantenere quella relazione particolare con Dio, quel rapporto d’amore filiale, unico strumento in grado aiutare l’uomo a trovare risposte adeguate ai suoi problemi.

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