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Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel Cilento "antico"

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Academic year: 2021

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Know the sea to live the sea

Conoscere il mare per vivere il mare

Atti del Convegno

(Cagliari – Cittadella dei Musei, Aula Coroneo, 7-9 marzo 2019)

a cura di Rossana Martorelli

Morlacchi Editore U.P.

Morlacchi Editore

U.P.

ISBN/EAN

€ 50,00

Know the sea to live the sea

Conoscere il mare per vivere il mare

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Materiali e ricerche

Materiali e ricerche è una collana di volumi, monografici o miscellanei, che si articola in due sezioni

Linguistica, Filologia e Letteratura

Comitato scientifico

Rita Fresu, Riccardo Badini, Cristina Cocco, Tristano Gargiulo, Daniela Virdis Archeologia, Arte e Storia

Comitato scientifico

Francesco Atzeni, Andrea Corsale, Marco Giuman, Rita Ladogana, Rossana Martorelli, Cecilia Tasca

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Know the sea to live the sea

Conoscere il mare per vivere il mare

Atti del Convegno

(Cagliari – Cittadella dei Musei, Aula Coroneo, 7-9 marzo 2019)

a cura di Rossana Martorelli

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Materiali e ricerche

Volume 12

Archeologia, Arte e Storia

Pubblicazioni del Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali dell’Università degli Studi di Cagliari

I testi inseriti nella collana sono sottoposti a referaggio in forma anonima

Progetto biennale di ricerca “Know the sea to live the sea – Conoscere il mare per vivere il mare”.

Uni-versità degli Studi di Cagliari – Direzione per la Ricerca e il Territorio. Convenzione Fondazione di Sardegna. Annualità 2016.

Referente (PI) Progetto: Rossana Martorelli.

Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali pubblicazione realiz-zata con il contributo della Fondazione di Sardegna – Convenzione triennale tra la Fondazione di Sarde-gna e gli Atenei Sardi, Regione SardeSarde-gna – L.R. 7/2007 annualità 2016 – DGR 28/21 del 17.05.2015.

Progetto grafico, impaginazione e copertina: Jessica Cardaioli ISBN: 978-88-9392-135-0

Copyright © 2019 by Morlacchi Editore, Perugia. Tutti i diritti riservati.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica, non autorizzata. Mail to: redazione@morlacchilibri.com | www.morlacchilibri.com

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Indice

Micaela Morelli, Premessa 11

Ignazio E. Putzu, Know the sea to live the sea – Conoscere il mare per vivere il mare 13

Rossana Martorelli, Presentazione del progetto 15

Roberto Milleddu, Il concerto: musiche della Settimana Santa a Cagliari 19

Antioco Floris, Marco Gargiulo

Una famiglia felice, un documentario esempio di sociolinguistica visuale 21

Know the sea to live the sea

Conoscere il mare per vivere il mare

Parte prima: Relazioni

I. Terra e mare agli albori della città di Krly

Pietro Francesco Serreli

La topografia della Karales punica tra terra e mare alla luce delle recenti acquisizioni 27 Ignazio Sanna

Approdi e traffici transmarini nella Cagliari punica: i dati della ricerca archeologica subacquea 41

II. I quartieri del porto: la Sardegna nello scenario mediterraneo

Giovanna Pietra

Dalla laguna al mare. Osservazioni su Cagliari tra Cartagine e Roma 71 Rossana Martorelli

L’assetto del “quartiere” portuale nella Cagliari bizantina. Dai dati antichi

e attuali alcune ipotesi ricostruttive 83

Marco Muresu

L’assetto dei quartieri portuali delle città bizantine del Mediterraneo orientale 99 Donatella Nuzzo, Giacomo Disantarosa

Nuove osservazioni sul porto antico di Bari: documenti di archivio e indagini archeologiche

tra terra e mare 127

Marcello Schirru

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Fabio Pinna

L’Università di Cagliari e la stratigrafia di un rapporto consolidato col territorio, tra ricerca,

didattica e ‘terza missione’ universitaria. Dagli scavi archeologici di Sant’Eulalia a UniCa C’è 171 Mattia Sanna Montanelli

Un ‘Faro’ alla Marina: beni culturali e ‘comunità patrimoniali’ per una innovazione sociale

nel quartiere portuale di Cagliari 185

Anna Luisa Sanna

Restituire la storia al quartiere Marina: l’area archeologica di Sant’Eulalia

e i suoi venti secoli di storia, un tesoro per le comunità 191 Daniele Fadda

Analisi della percezione comunitaria del patrimonio archeologico post-classico

del quartiere Marina a Cagliari. Metodo e risultati di un’indagine di archeologia pubblica 197 Giuliano Volpe

Un mare di storie da condividere. Progetti di inclusione sociale a partire dal patrimonio culturale 223

III. Il porto come approdo di movimenti commerciali e culturali

Carlo Lugliè, Rossella Paba, Laura Fanti

Interazioni trans marine nel Neolitico medio della Sardegna. Componenti materiali

e immateriali nell’orizzonte San Ciriaco a Su Forru de Is Sinzurreddus-Pau (Oristano) 235 Gianna De Luca

Rotte e mercati marittimi nella Sardegna meridionale di età romana:

la ceramica a vernice nera come marker sociale e culturale 251 Federica Doria

Per mare ad insulam. Alcune importanti testimonianze di vetro a rilievo in Sardegna 261

Laura Soro

L’approdo portuale di Cagliari in età tardoantica e bizantina: traffici commerciali

e relazioni di scambio 273

Andrea Pala, Nicoletta Usai

Manufatti scultorei dai rinvenimenti marini e in area costiera della Sardegna (VI-X secolo) 295 Tancredi Bella

La contea normanna e il mare. Il caso della cattedrale monastica di Catania: nuove precisazioni 317 Valeria Carta

I marmi mediobizantini reimpiegati nelle chiese sarde in area costiera 341 Mercedes Gómez-Ferrer

Viajes de artistas y obras entre las dos orillas del Mediterráneo, Valencia y Cerdeña (siglos XV y XVI) 355

David Bruni

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IV. Immagini visive e letterarie e suoni dal mare

Cristina Cardia

Il volto di Cagliari nelle illustrazioni e nei resoconti dei viaggiatori di Sardegna 383 Valentina Serra

«Ein ödes und trauriges, aber großartiges Bild». Sublimi visioni di Cagliari nella letteratura

di lingua tedesca 395

Andrea Cannas

Il mare degli avvenimenti imprevedibili: una frontiera della narrativa di Sergio Atzeni 409 Elena Mosconi

Navigare tra pellicola e carta: iconografie marine nel cinema e nei paratesti cinematografici 419 Myriam Mereu

La rappresentazione del mare nella recente produzione audiovisiva e cinematografica sulla Sardegna 435

Roberto Milleddu

Aspetti del paesaggio sonoro della Settimana Santa a Cagliari: tra Sardegna e oltremare 457 Ignazio Macchiarella

Musiche di qua e di là del mare 471

Maurizio Agamennone

Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel “Cilento antico” 483 Susanna Paulis

Mare e insularità, fra ambiguità e paradossi. Antropologia e letteratura 497

V. Tradizioni, usanze e abitudini legate al mare

Marcello Antonio Mannino

La componente marina nella dieta preistorica dell’area tirrenica:

il contributo delle analisi isotopiche 517

Ciro Parodo

Tutto muore nel mare, e rivive”. I sarcofagi con temi marini della Sardegna di età romana 525 Alessandra Pasolini

Il mare e i suoi santi patroni. Dipinti votivi e statue processionali (XVII secolo) 545 Mauro Salis

Trasformazioni iconografiche lungo le vie del mare. Rappresentazioni mariane

tra Italia meridionale, Sardegna e Levante iberico in età moderna 563 Rita Ladogana, Simona Campus

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Parte seconda: Poster

Manuel Todde

Cagliari: per una rilettura del quartiere di Marina in epoca cartaginese 589 Cecilia Lenigno

Dall’uno all’altro mar: la pittura di Primo Pantoli oltre l’insularità (1957-1980) 595

I. Le merci in arrivo e in partenza a/da Cagliari nell’età bizantina

Rossana Martorelli

Presentazione del Seminario 605

Annarita Pontis

Ceramiche da mensa dall’Africa. La sigillata africana D 607 Claudia Pinelli

Ceramica da dispensa e da usi domestici 617

Laura Pinelli, Laura Pisanu

Le ceramiche da fuoco 623

Gianna De Luca

Anfore tardo-antiche a Cagliari: produzioni africane e iberiche (II-VII secolo) 635 Michela Perra

Anfore dall’Oriente e dalle regioni tirreniche 649 Federica Flore

Ceramiche polite a stecca 659

Federica Zedda

Ceramiche sovradipinte e invetriate 667

Ilaria Orri

Le ceramiche da illuminazione 677

Valentina Tiddia

Vetri da tavola e da illuminazione 689

Michela Collu

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II. Il quartiere Marina: un laboratorio multidisciplinare

per connettere patrimonio culturale e comunità

Fabio Pinna

Presentazione 707

Francesco Mameli, Sara Valdes

Il quartiere di Marina e il suo racconto attraverso il progetto “Percorsi (s)conosciuti – il quartiere

della Marina” 709

Amedeo Alessio

MARINCONIA. Un percorso visivo e sensoriale tra i quartieri di Marina e Sant’Elia 719

Valentina Milia

Didattica dei Beni Culturali a Marina: l’esperienza del “Trentapiedi junior” con i bambini

delle fasce prescolari 723

Valentina Caboni, Marco Demuru

Strumenti multimediali per dare voce alla ‘memoria viva’ del quartiere Marina 727 Antonio Giorri

Il quartiere della Marina e l’area portuale di Cagliari: un punto di contatto tra la città e il mare. Evoluzione architettonica, urbanistica e sociale in età contemporanea 735 Luca Maccioni

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L

e popolazioni cilentane non sono state

particolarmente attratte dal mare e dalla navigazione, anche se hanno spesso accol-to esuli, fuggiaschi, naviganti e migranti per vie d’acqua, e pure se oggi la Costiera cilentana co-stituisce un formidabile attrattore turistico, il cui “appeal” non è inferiore a quello esercitato dalla vicina e ben più “blasonata” Costiera amalfitana. Manon si può nemmeno ritenere che in passa-to i Cilentani abbiano sempre e ostinatamente voltato le spalle al mare: considerate le modalità dell’insediamento locale, fortemente connotato da agglomerati abitativi di dimensioni assai ri-dotte e disposti prevalentemente in quota, e dal prevalere di attività agricole e di allevamento fino a tempi assai recenti, pure si deve annoverare la presenza di alcuni approdi destinati soprattutto al ricovero delle barche da pesca – fino agli anni Quaranta/Cinquanta del secolo scorso ancora ar-mate “a vela” –, prevalentemente nelle località di Acciaroli, Agnone, Agropoli, Paestum, Santa

Ma-ria di Castellabate1, Sapri. A queste permanenze

1. Santa Maria di Castellabate era l’approdo del Castrum Abatis (Castellabate), il presidio locale degli Abati che

go-vernavano la Badia della Santissima Trinità di Cava de’ Tir-reni, centro monastico benedettino importantissimo nella storia religiosa e socio-culturale della Campania

meridio-si aggiungono alcuni luoghi e memorie mitiche riconducibili al mondo antico: la sfortunata vi-cenda di Palinuro, il timoniere di Enea con la sua flotta di esuli, che – così è nel mito – cadde in mare nei pressi del Capo che porta il suo nome; le meravigliose storie di Elea (lat. Velia; oggi Ascea), colonia di migranti focei, che si ricorda anche per il “mistico viaggio” di Parmenide verso la Porta Rosa della città, e altre imprese filosofiche; i fasti di Poseidonia (lat. Paestum), approdo di mercan-ti e naviganmercan-ti greci poi divenuto la splendida città le cui evidenze archeologiche sono oggi meta di numerosissimi visitatori, rapiti dai grandi templi

e dalla “Tomba del tuffatore”; l’Heraion (tempio

di Hera Argiva, protettrice della navigazione e della fertilità, fondato da Greci sibariti all’inizio del VI sec. a. C.), situato alla foce del fiume Sele e rappresentato dal melograno, un simbolo eredita-to dalla Madonna del Granaeredita-to nel santuario omo-nimo fondato più all’interno, proprio di fronte

all’antico Heraion abbandonato, in un’altura

in-combente sulla piana del fiume, lontano da palu-di e acquitrini invasivi, e al riparo dalle incursioni dei pirati che proprio dal mare arrivavano. Pure si annoverano altri luoghi e vicende storiche – non

nale per tutto il Medioevo e gran parte dell’età moderna.

Maurizio Agamennone

Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel “Cilento antico”

Maurizio Agamennone Università di Firenze m.agam@libero.it

Il “Cilento antico” costituisce una piccola porzione di territorio, intorno alla cima del Monte Stella, nella parte meridionale della Campania. Corrisponde alla antica Baronia del Cilento tenuta dai Principi Sanseverino, tra XI e XVI secolo. Nel corso della Settimana santa, tutte le confraternite di questa area praticano un percorso devozionale da cui derivano vincoli cerimoniali di reciprocità. Gli itinerari di visita alle chiese dei casali locali marcano lo spazio condiviso, con attraversamenti solidali dal monte, alla marina.

Parole chiave: Confraternite, Devozioni itineranti, Spazio simbolico

The “ancient Cilento” constitutes a small portion of territory, around the top of Mount Stella, in the southern part of Campania. It corresponds to the ancient Barony of Cilento held by the Sanseverino Princes, between the 11th and 16th centuries. During Holy Week, all the confraternities of this area practice a devotional path from which they derive ceremonial reciprocal bonds. The itineraries of visits to the churches of the local villages mark the shared space, with solidarity crossings from the mountain to the sea.

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Know the sea to live the sea – Conoscere il mare per vivere il mare Parte prima – Relazioni

soltanto mitiche ed “eroiche” – di un certo

inte-resse: il ribat (centro fortificato, campo

trincera-to) di Agropoli che nel convulso IX secolo della Penisola, e nei primi anni del successivo, accolse e protesse incursori e razziatori arabo-berberi negli stessi turbolenti decenni che videro emergere gli emirati di Bari e Taranto, e le scorrerie lanciate da

un altro ribat, situato presso la foce del fiume

Ga-rigliano, nel Lazio meridionale (Feniello, 2014). A queste si sovrappongono memorie più recenti, a cominciare dalla sfortunata spedizione dei “tre-cento” di Pisacane, sbarcati all’estremo limite me-ridionale della Costiera cilentana, passando per una misteriosa presenza di Ernest Hemingway ad Acciaroli, dapprima al seguito degli Alleati che risalivano la Penisola, più tardi forse dietro a una sua fidanzata: in quella occasione ebbe l’opportu-nità di conoscere un vecchio pescatore di Accia-roli che gli avrebbe fornito informazioni sulla pe-sca e le barche, negli stessi mesi in cui l’esuberante

narratore americano lavorava al suo romanzo Il

vecchio e il mare2.

2. La questione è piuttosto controversa: Hemingway era già passato per Acciaroli nel 1943, al seguito della V Ar-mata americana del generale Clarke, il liberatore di Roma; vi sarebbe tornato ancora nel 1951, durante un lungo viag-gio in Italia attraverso numerose città, e in quella occasio-ne avrebbe conosciuto Antonio Masarooccasio-ne “u viecchiu”, esperto pescatore locale, che ha ricordato di essersi intrat-tenuto spesso con lui, nel corso di lunghi dialoghi condot-ti anche con gli occhi, guardando le operazioni condotte a riva, le reti, i pesci, al ritorno dalla pesca, costantemente annotati sul taccuino dello scrittore: qualcuno ha voluto intravedere il testimone cilentano nei panni di Santiago, il vecchio pescatore cubano protagonista del romanzo Il vecchio e il mare (The Old man and the Sea, 1952; trad.

it. Mondadori, 1952), ipotizzando che l’innesco della narrazione si sia avuto proprio all’epoca del soggiorno ci-lentano. In effetti, l’ambientazione del racconto è molto diversa, il mare più impetuoso e minaccioso, e gli stessi pesci assai più grandi, aggressivi e voraci. Fernanda Piva-no, traduttrice di Hemingway e di molta narrativa ameri-cana ha escluso qualsiasi contatto tra le vicende, negando persino il soggiorno acciarolese, e ha ricordato come l’idea del romanzo risalisse alla seconda metà degli anni Trenta del Novecento. Tuttavia, altri testimoni insistono nel con-servare questa memoria: il “piccolo mito” dell’incontro tra il vecchio pescatore cilentano e il corpulento scrittore ame-ricano è ancora alimentato localmente, nell’offerta turistica – oltre che nelle memorie di alcune famiglie e discendenti dei protagonisti di allora –, fin nella cartellonistica ( Bene-venuti ad ACCIAROLI Il paese di Hemingway), e nella

preparazione di alcuni cocktail, come il cosiddetto Mar-tini alla Hemingway. Così Antonio Masarone “u viecchiu,

l’interlocutore acciarolese di Hemingway, ha ricordato

Pure all’epica del mare e della pesca è ricondu-cibile l’opera di Angelo Vassallo, il “sindaco-pe-scatore” di Pollica, trucidato in un attentato or-dito probabilmente dalla camorra nel settembre 2010, amministratore di una piccola comunità presso la quale è stata attentamente osservata e studiata la cosiddetta “dieta mediterranea”, per i suoi effetti benefici sulla longevità dei residenti: nella sua lunga sindacatura erano pure centrali la tutela e il rispetto del territorio, in una prospetti-va ambientalista e di progresso sostenibile, i cui esiti sono stati forse determinanti nella sua tragica

fine3 (per la localizzazione dei toponimi

indica-ti cfr. la carta in fig. 1). Un altro amministratore “ecologista” cilentano è stato pure protagonista di fiere battaglie contro la speculazione edilizia e lo sfruttamento del paesaggio a fini privati, in alcuni ambienti di costa tra i più belli ed emozionanti della Penisola: Giuseppe Tarallo, già sindaco di Montecorice e presidente del Parco nazionale del Cilento, ancora recentemente impegnato nel con-trastare il prelievo quotidiano, assai poco sosteni-bile, di enormi quantità di pesce azzurro, operato con il sistema della cosiddetta “pesca volante”, a svantaggio dei pescatori locali, da Agropoli a

Sa-quel tempo (primi anni dopo la fine della Seconda guer-ra mondiale), in una intervista risalente al 1986: “Drink, Tony, drink!, mi diceva sempre e io non sapevo che fosse scrittore, per me era un americano, strano e un po’ bizzar-ro, che beveva molto e scriveva tanto. Mi chiedeva dei pesci e passava lunghe ore a guardare come rammendavo le reti, seduto per terra, scalzo. Veniva alla barca, quando la sera tornavo dalla pesca e mi faceva ancora domande o guardava i pescespada che prendevo con cernie e grandi spigole. Poi mi offriva da bere. Per me quello era un periodo terribile. Avevo perso mia moglie e dovevo crescere cinque figli. Mi ubriacavo spesso per sentirmi un po’ felice. Allora andavo a pesca col ballaccone (il fiocco della vela latina in dialetto) e l’antenna (picco), non c’erano porti da Salerno a qui e tira-vamo le barche a terra con le funi. Quando soffiava tramon-tana si rischiava di finire in Calabria o portati al largo”(cit. in La Greca Romano, E. 2015; cfr., pure, Ansa. 2015. Dieci giorni nel Cilento come Ernest Hemingway. Ad Acciaroli, sulle orme del celebre scrittore americano, tra antichi bastioni e borghi di pescatori. Disponibile su: http://www.ansa.it/

web/notizie/canali/inviaggio/idee/2010/06/09/visualiz-za_new.html_1820782050.html [21-02-2019]; Mottola, O. 2017).

3. Angelo Vassallo (Pollica, 22 settembre 1953 – Pollica, 5 settembre 2010) era il nipote di Antonio Masarone “u viecchiu”, già citato, interlocutore privilegiato di Ernest He-mingway nel corso del suo soggiorno cilentano; Acciaroli è frazione del comune di Pollica; sulle questioni concernenti la “dieta mediterranea”cfr. Moro, 2014.

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M. Agamennone, Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel “Cilento antico”

pri, che non riescono ad acquisire lo stesso

pesca-to nemmeno in un intero anno di attività4.

Ma tutto questo riguarda un Cilento largo ed esteso che, insieme con il Vallo di Diano, com-prende quasi tutta la Campania meridionale, nella Provincia di Salerno: limitatamente alla li-nea di costa si va da Paestum, a nord, fino a Capo Palinuro e al Golfo di Policastro, a sud; all’inter-no si giunge fiall’inter-no alla Basilicata, con rilievi mon-tuosi piuttosto elevati e aree di pascolo e foresta poco antropizzate che hanno portato, nel 1991, alla istituzione del “Parco Nazionale Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni”, divenu-to Patrimonio dell’umanità (1998) e Geo-parco UNESCO (2010), per la stretta integrazione tra risorse naturale ed evidenze storico-culturali.

In questa sede, invece, la mia riflessione con-cerne una porzione assai più ridotta, indicata con la qualificazione “Cilento antico”, per distinguer-la dall’area assai più estesa appena citata; ma non si tratta di una mia invenzione: la denominazio-ne risulta ampiamente presente denominazio-nelle scritture di storici, geografi, studiosi dell’insediamento e dell’immaginario locali (Aversano, 1982; 1983; 1987; Cantalupo & La Greca, 1989; Del mercato, 1990; Di Matteo, 1997; La Greca, 1986; 1990; 2005 e 2006; Mazzoleni & Anzani, 1993; Volpe, 1988). Quindi, nell’ambito del Cilento geografi-co, il “Cilento antico” rappresenta un territorio assai più ristretto: a nord, il limite è tracciabile tra Agropoli e Ogliastro Cilento; una linea che congiunge Acciaroli, Pioppi e la foce del fiume Alento, nei pressi dell’area archeologica di Velia/ Elea, segna il margine meridionale; una proiezio-ne a est, da Prignano verso sud, abbraccia l’area compresa entro la riva destra del fiume Alento: si tratta, in buona sostanza, del territorio disposto sui crinali del Monte della Stella (m. 1131), che si erge proprio al centro di questa piccola area sub-regionale, visibile a lunga distanza, in gran parte della provincia di Salerno e, ampiamente, dal mare (anche per la localizzazione di questi toponimi cfr. la carta in fig. 1: l’area del Cilento antico è circolettata)

4. Raicaldo, 2017. Cilento, la rivolta ambientalista dei pescatori: “Saccheggiano il nostro mare”. Disponibile su:

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/01/12/news/ cilento_la_rivolta_ambientalista_dei_pescatori_saccheg-giano_il_nostro_mare_-155893689/ [21-02-2019].

Alcuni studiosi preferiscono la denominazio-ne “Cilento storico”:

“CILENTO ‘STORICO’. Territorio situato cis

Alentum, cioè di qua della sponda destra del fiume

Alento (da cui, forse, l’etimo del toponimo), cor-rispondente all’antica baronia dei Sanseverino, che aveva come centro politico-amministrativo il ca-stello di Rocca Cilento. Molto più ampio di questo Cilento ‘storico’ è il territorio dell’attuale Cilento, che va dal Sele a Sapri” (Volpe, 1988 p. 165).

Questa sovrapposizione tra la porzione ci-lentana di cui qui si ragiona e un remoto assetto amministrativo e fiscale (la Baronìa dei Principi Sanseverino, antica casata di origine norman-na, giunta nella Penisola al seguito di Roberto il Guiscardo) risulterà particolarmente importante, come vedremo, per l’interpretazione di alcuni processi ancora rilevabili sul terreno, nell’indagi-ne etnografica, all’interno dello scenario confra-ternale locale. In effetti, una delle pratiche rituali più solenni osservabili oggi nel Cilento antico

consiste in una sorta di peregrinatio che, nella

cor-nice penitenziale della Settimana santa, tutte le

confraternite (localmente: congreghe) compiono

per visitare i cosiddetti “sepolcri” (con

espressio-ne locale: subburcri) allestiti nelle diverse chiese

e cappelle dell’area. Gli itinerari di visita seguiti da ogni confraternita non sono limitati al terri-torio del paese o casale di appartenenza – come è consuetudine generalizzata in aree diverse – ma appaiono distribuiti in un ambito assai più esteso, nell’intera area del Monte Stella. Il “viaggio” del-le confraternite cidel-lentane si realizza attualmente nella giornata del Venerdì santo – almeno a par-tire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso–, dalla mattina, con una intensificazione nel pomeriggio, fino alla sera e alle prime ore della notte. Nel suo pellegrinaggio, ogni confraternita cilentana parte dal casale o paese di residenza, attraversa il territorio del Cilento antico e tocca numerose chiese di paesi e casali diversi; general-mente, si indica in un multiplo di tre il numero di chiese da visitare: tre, sei, nove. All’interno di ognuna delle chiese visitate, la confraternita “in viaggio” esegue un percorso devozionale defini-to, che dura all’incirca trenta minuti: la “visita” consiste in un tragitto condotto in circolo all’in-terno di ogni chiesa, spezzato da numerose soste; durante le fermate i confratelli cantano musiche

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Know the sea to live the sea – Conoscere il mare per vivere il mare Parte prima – Relazioni

diverse e con assetto multiforme: monodiche, polifoniche, in solo, in alternanza responsoriale e in gruppo. Il percorso devozionale può suggerire

l’idea di una sorta di via crucis, ma priva di

com-mento e di preghiere recitate, e con un numero ridotto e non determinato di soste.

Ogni confraternita progetta un suo autono-mo itinerario che tocca chiese e cappelle di paesi e casali diversi, e risulta nuovo ogni anno, non-ché diverso rispetto a quanto effettuato dagli altri sodalizi. Il “viaggio” devozionale comporta un esplicito obbligo di reciprocità: la confraternita la cui chiesa o cappella sia visitata da altri sodalizi ha l’obbligo di ricambiare la visita, l’anno succes-sivo, alle confraternite giunte l’anno precedente. Il pellegrinaggio confraternale, perciò, mette in relazione polivoca tutti i sodalizi attivi e, quindi, costituisce lo scenario in cui collocare simbolica-mente la conferma, o la denuncia, di legami e rela-zioni precedenti (Agamennone, 2008; La Greca, 1992. In senso più ampio, l’itinerario di visita as-sume l’aspetto di una sorta di grande circum-am-bulazione, con orbite variabili, chiuse o spezzate, condotta simultaneamente da gruppi diversi ma interdipendenti, lungo le pendici del Monte del-la Steldel-la: del-la cima di questa montagna incombe su tutto il Cilento antico, e intorno a essa risul-tano disposti i principali centri dell’insediamen-to umano, sia nel versante rivoldell’insediamen-to al mare che su quello orientato verso l’entroterra. Gli itinerari di visita seguono percorsi assai diversi, includendo alcune località e, viceversa, escludendone altre. Queste traiettorie, mappate sul terreno, sembra-no assumere un particolare rilievo simbolico, co-stituendo una sorta di rete intorno alla cima del Monte Stella, che alcuni studiosi delle modalità di insediamento locale considerano come il cen-tro mitico di tutta l’area (Aversano, 1982; Can-talupo & La Greca, 1989; Mazzoleni & Anzani, 1993). Poiché i percorsi di visita sono limitati esclusivamente all’area del Cilento antico, con

centro intorno al Monte Stella, questa

peregrina-tio costituisce un unicum devozionale, proprio e

specifico dell’area.

Sul piano simbolico, gli itinerari del pelle-grinaggio confraternale sembrano “marcare lo spazio”, nel senso di fissare – intorno a un centro vuoto quale è appunto il Monte Stella – la me-moria e l’identità di una comunità che possiede comuni radici, ma non dispone di un centro forte

ed egemone verso cui convergere e in cui ritro-varsi. In questa prospettiva le “vie dei canti” delle

congreghe contribuiscono a perpetuare

annual-mente i rapporti fra paesi e casali, e relativi gruppi familiari e parentali, in una rete sovra-comunale e policentrica di antica tradizione, evitandone la dispersione e la frammentazione. Attualmente il percorso di circum-ambulazione è realizzato in autobus, ma in passato era effettuato a piedi, ed era piuttosto frequente la possibilità che confra-ternite diverse si incrociassero lungo il “viaggio”.

Oggi, l’incontro fra confraternite diverse si realizza quasi esclusivamente in prossimità delle chiese, prima dell’ingresso nelle stesse. Alla fine dell’itinerario, dopo aver visitato chiese e cap-pelle dell’area, ogni confraternita conclude la sua devozione nella chiesa di appartenenza (con arrivi diversi: a sera o anche più tardi, fino alla mezzanotte), dove attende la popolazione loca-le. Il rientro e la conclusione del percorso devo-zionale risultano particolarmente emozionanti per i presenti, nonché per l’osservatore esterno: le chiese sono gremite, si attende fino a tardi, e i membri della confraternita locale che rientra sono accolti con palesi espressioni di simpatia e orgoglio; i confratelli, per parte loro, cercano di ricambiare cantando al meglio delle personali capacità; inoltre, gli adulti consentono talvolta a bambini e adolescenti, anch’essi nell’uniforme confraternale e provenienti dal pellegrinaggio, di cantare per la prima volta davanti a un “pubbli-co”, in combinazione prevalentemente monodi-ca di voci chiare, accogliendo con molto affetto eventuali incertezze e disagi nell’esecuzione. Al fine di sottolineare ulteriormente la peculiarità

cilentana della circumambulazione nella

peregri-natio devozionale, può essere opportuno

ricorda-re ancora che nei territori immediatamente vicini al Cilento antico non sembrano sussistere né la pratica della visita itinerante estesa ai paesi vicini, né lo scambio reciproco di visite fra confraterni-te diverse. Si potrebbe obiettare che la visita alle chiese esterne al proprio paese sia quasi una scelta obbligata: dal momento che la visita ai sepolcri va condotta presso più chiese (come è tradizione generalizzata pressoché ovunque in Italia), ciò nel Cilento antico non sarebbe possibile nel piccolo territorio del paese o casale di appartenenza ove, spesso, non sono presenti più di due chiese o cap-pelle (talvolta solo una). L’obiezione, tuttavia,

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M. Agamennone, Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel “Cilento antico”

non è confermata da diverse testimonianze etno-grafiche che, invece, rivelano come tale problema sia risolto, altrove, semplicemente ripetendo il giro all’interno del proprio paese, replicando le visite alle chiese “disponibili” nel territorio comu-nale o della parrocchia di afferenza. Ancora, men-tre altrove la sera del Venerdì santo si pratica la processione del “Cristo morto”, non tutte le con-fraternite cilentane hanno in uso tale abitudine perché il tempo rituale corrispondente può essere interamente occupato dalla circum-ambulazione locale. In definitiva, si può ritenere che il “piccolo

rito cilentano” della peregrinatio

circum-ambu-lante non sia occasionale o accidentale, ma ri-sponda a significati e valenze profonde, radicate nella storia socio-culturale del Cilento antico.

Per rendere più agevole la valutazione degli iti-nerari di visita, e il conseguente irraggiamento nel territorio, ho riportato nella mappa rappresentata in fig. 2 i percorsi confraternali effettuati il 6 apri-le 2007 (Venerdì santo), individuati sulla scorta di quanto dichiarato dai priori e cantori delle con-fraternite, interpellati in proposito. Come si vede, la rete dei percorsi di visita imbriglia fittamente tutto lo spazio circostante il Monte della Stella, sia nel versante interno (percorsi di monte e di valle) che si protende verso il fiume Alento, sia nel versante esterno (percorsi di marina): particolar-mente densa di attraversamenti risulta l’area co-stiera che mette in relazione le località di Agnone Cilento (frazione del comune di Montecorice) e di Acciaroli (già citata, frazione del comune di Pollica), dove i gruppi confraternali tendono a soffermarsi più a lungo, ristorandosi con le be-vande offerte sui banchetti allestiti dai residenti, conversando tra loro, con una particolare enfasi nell’incontro e il confronto tra i priori, e pure lo stesso rito interno alle chiese risulta più dilatato e comodo, forse più solenne. Inoltre, alcune lo-calità sono palesemente “evitate”: a ovest, per esempio, tutti i luoghi correlati con Castellabate,

pur vicini. Come già indicato, il Castrum Abatis

rappresentava gli Abati di Cava, amministratori di numerosi beni e terreni locali, ma nettamen-te distinti dagli altri grandi dignitari dell’area, i Principi di Sanseverino, fino alla loro rovina, alla metà del Cinquecento, sotto la pressione della nuova dominazione asburgica. L’antica Baronìa (Baronia Cilenti), caratterizzata da una forte

au-tonomia politica e fiscale – quasi uno stato nello

stato – appartenne per circa cinquecento anni, pur con alterne vicende, alla grande famiglia dei Sanseverino, probabilmente i baroni più poten-ti e “indipendenpoten-ti” dell’Italia meridionale. Ne sarebbe derivata una lunga stabilità culturale e amministrativa che aveva nel castello della Rocca (oggi Rocca Cilento) il centro di governo, e in un corpo di funzionari fedeli e zelanti un presuppo-sto sicuro di saggia e amata amministrazione.

Prima, durante e dopo questi eventi, tuttavia, è stata pure assai importante l’azione promossa da religiosi di provenienza diversa: dapprima monaci di origine greca, prevalentemente basiliani, impe-gnati nella preghiera ma anche nell’introduzione di nuove tecniche di irrigazione e agricoltura; a questi si è successivamente affiancata e sovrap-posta l’opera di dissodamento e messa a coltura, realizzata dai benedettini a partire dall’XI e XII sec., presso piccoli monasteri poi passati alle di-pendenze della citata Badia della SS. Trinità di Cava: autorevolissimo centro di irradiazione del-la presenza benedettina in Campania e nel Me-ridione, come s’è detto la Badia di Cava è stata a lungo titolare di numerosi diritti feudali in terri-tori prossimi all’area del Cilento “sterri-torico”,

ammi-nistrati dal Castello dell’Abate (Castrum Abatis,

oggi Castellabate), non raramente in attrito con il potere sanseverinesco. Successivamente, nel XV e XVI secolo, la presenza benedettina è sta-ta affiancasta-ta da diversi insediamenti francescani. Nel 1552, al termine di lunghe e persistenti lot-te feudali fra i baroni dell’Italia meridionale, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Spagnoli, il territorio della Baronìa venne definitivamente smembrato e

l’ultimo dei Sanseverino, il Principe Ferrante5, fu

costretto all’esilio. Ciò determinò frequenti pas-saggi di proprietà presso nuovi feudatari, lontani

5. Ferrante Sanseverino (Napoli, 1507 – Orange [Fran-cia], 1568), fu anche appassionato mecenate del teatro e fine cantore; promosse numerose messe in scena, aperte anche alla popolazione minuta, nell’imponente palazzo napoletano di famiglia situato dove ora sorge la chiesa del Gesù nuovo, di fronte a Santa Chiara; fu altresì sensibile al dibattito religioso successivo alla Riforma, avvicinandosi a posizioni considerate piuttosto eterodosse se non eretiche. Il dissidio crescente con l’imperatore Carlo V e la tenace ostilità di Don Pedro da Toledo, Vicerè di Napoli, gli furo-no fatali al punto da costringerlo ad abbandonare il regfuro-no e i suoi feudi, riparando in Francia dove, sembra, condivise istanze calviniste e morì in miseria. Sul “mito” e la storia dei Sanseverino, cfr. Colapietra, 1985; Ebner, 1982; Mazziotti, 1904; Natella, 1980.

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e assai poco interessati alle vicende locali, se non per il possibile prelievo di ricchezza: le turbolen-ze proprietarie e la conseguente indifferenza delle nuove élite sopraggiunte lasciarono non poco di-sorientamento nella vecchia classe feudale, rapi-damente emarginata, e nelle popolazioni rurali, disperdendo irreversibilmente una condizione di unità amministrativa che non è stata più rico-struita, lasciando un’eco profonda di rimpianto, nell’incertezza degli assetti amministrativi e pro-prietari, nella fluttuazione dei riferimenti politici, e nel disagio costante delle condotte di vita locali. L’individuazione di questa condizione originaria di unità e compattezza sociale e culturale, tutta-via, non suscita unanime consenso; a tal propo-sito, alcuni studiosi attribuiscono minor rilievo all’egemonia e al controllo politico-amministrati-vo sanseverineschi sull’area, sottolineando come gli stessi Principi abbiano dovuto fronteggiare a lungo l’influenza della Badia cavense, e siano stati costantemente costretti a misurarsi con altri feu-datari e l’autorità regia (Aversano, 1983). Tutta-via, per consenso diffuso tra gli storici, si ascrive ai Sanseverino una saggia capacità amministrativa, con cui riuscirono ad allestire, per capacità esatti-va e potenza giudiziaria, un vero e proprio “Stato nello Stato”, come s’è detto: si riconosce che essi organizzarono una efficiente e stabile impalcatura amministrativo-fiscale.

Alcune eredità dell’azione benedettina e del potere baronale sono sostanzialmente riconosci-bili tuttora, soprattutto nei criteri dell’insedia-mento umano, caratterizzato dalla presenza di numerosi e piccoli casali e paesi, riconducibili alle determinazioni baronali, alla pianificazione be-nedettina del territorio e alla successiva presenza francescana: perciò, ne è derivato un assetto, po-licentrico (o privo di centro), per così dire, in cui non si riscontra la prevalenza di una città o di un paese sugli altri, diversamente da quanto accade in territori vicini che invece gravitano intorno a centri-capoluogo. Così, ancora forte e immutata nel tempo è la connotazione rurale che lo stesso territorio conserva: piccoli insediamenti sparsi e dispersi, strade che seguono, ancora oggi, le on-dulazioni dei crinali e le linee altimetriche della montagna, terreni disposti a colture diverse che cedono il passo al bosco e al pascolo. L’impronta rurale non ha trovato particolari favori nella pre-senza di una lunga fascia costiera, oggi sede di un

vivace turismo estivo, ma trascurata o evitata in passato dalle popolazioni che preferivano risie-dere sui crinali e nelle valli interne, frequentando le marine per mere necessità di trasporto, presso alcuni approdi di agevole accesso. Altrettanto si può dire per alcune specificità linguistiche che distinguono l’area del Cilento “storico” dai terri-tori circostanti (Cantalupo, 1981; Rohlfs, 1988; Toscano, 1992, su fonti orali rilevate nel comune di Montecorice). Inoltre, nelle fonti e nella rico-gnizione storico-culturale, non raramente ricorre la sottolineatura dei tratti di isolamento e abban-dono che avrebbero caratterizzato nel tempo l’a-rea Cilentana, soprattutto dopo il tramonto della felice esperienza sanseverinesca. Tuttavia, bisogna tenere presente che la stessa area, oltre ad avere ter-reni adatti a colture molto diverse, a una certa ab-bondanza di acque, alla presenza di alcuni agevoli

approdi, è stata a lungo una specie di insula

feli-cemente antropizzata in un territorio largamente paludoso e preda della malaria, a nord e a sud: il che spiega come fosse contesa a lungo e tenace-mente da famiglie diverse, dopo il declino dell’e-gemonia esercitata dai Principi di Sanseverino.

A partire dal XV secolo, è ricordata la cappel-la di Santa Maria delcappel-la Stelcappel-la, localizzata proprio sulla cima della montagna: il pianoro antistante la cappella ha ospitato per lungo tempo due gran-di fiere annuali, e la piccola chiesa è stata meta gran-di pellegrinaggi assai frequentati, attraverso sentieri che, procedendo dai casali e paesi dislocati sulle pendici, innervavano la montagna e consentiva-no alle popolazioni locali di ascendere al luogo di culto e frequentare altresì tutto il territorio, per le più diverse necessità di una cultura a for-te vocazione agro-silvo-pastorale. Ancora oggi, la cappella di Santa Maria della Stella è meta di un afflusso di devoti particolarmente intenso nel mese di agosto. Inoltre, “la Stella”, come pure i Ci-lentani chiamano affettuosamente la loro mon-tagna, fin dal mondo antico ha rappresentato un irrinunciabile punto di orientamento per i navi-ganti, nelle rotte mediterranee che puntavano verso la penisola italiana. Il territorio della Stella conserva numerosi segni di culti remoti: dolmen e menhir, soprattutto pietre, oggetto di culti spe-cifici, adattati e trasformati nel tempo, con alcune persistenze anche recenti. E ha accolto, nei secoli, tipi diversi e numerosi di gruppi umani: oltre le popolazioni dei casali – prevalentemente dedite

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ad attività agricole –, i carbonai, i taglialegna e gli allevatori, stanziali o stagionali, dispersi nella fo-resta, e oggetto di particolari attenzioni da parte dei diaconi “selvaggi”, singolarissime figure di re-ligiosi irregolari che condividevano con pastori e boscaioli l’ambiente, i ricoveri, il tempo, il cibo, nella speranza di evangelizzarli – pur se in manie-ra assai rudimentale – e, forse, nella persuasione di poterne salvare l’anima. Così, pure, “la Stella” ha ospitato miseri romitaggi di monaci in fuga e accolto drammatiche diaspore di aristocratici di fronte all’avanzata ottomana nel Mediterraneo orientale: si tramanda che Rogerio – uno degli ultimi Paleologhi, figlio di Tommaso despota di Morea, e nipote di Costantino XI Dragàses Pa-leologo, ultimo imperatore bizantino – sia stato accolto a San Mauro Cilento, ancor prima della caduta di Costantinopoli, e vi sia stato raggiunto da numerose famiglie di fedeli e profughi dopo la perdita della Città. Perciò, “la Stella” ha potuto proteggere le pratiche forse più periferiche – e più settentrionali – del rito greco nella Penisola ita-liana, dall’alto Medio evo fino al XVI secolo, poi definitivamente gelate e spazzate via dalle severità post-tridentine: se ne conservano tracce in alcuni toponimi, ancora frequentati, e nella presenza di numerose chiese e cappelle dedicate alla Madon-na di Costantinopoli, forse il culto mariano più diffuso nel Cilento.

Tuttora, la montagna ingombra e impegna in maniera determinante l’orizzonte visivo dei Cilentani e di coloro che frequentano questa mi-cro-regione, e riesce a esercitare una forte attra-zione verso chi sia disposto a osservarla con cura: dalla parte di mare, è ancora un punto di riferi-mento irrinunciabile per pescatori e marinai, ve-listi e diportisti, oggi; dalla parte di terra, si mo-stra quasi brunita, di bronzo, nelle terse giornate d’inverno, quando il bosco non ha ancora disteso il velo verde delle foglie.

Insomma, si tratta di un territorio che propo-ne suggestioni fortissime, per chi se propo-ne lasci sedur-re. Perciò, coloro che risultano più sensibili a que-ste sollecitazioni preferiscono la determinazione “Cilento antico”: si intende così indicare un’area che mostra ancora nel presente fortissimi tratti peculiari, costruiti nel passato e inscritti nell’am-biente, tramandati e ancora visibili alla fruizione di coloro che ci vivono e vi arrivano, che ne par-lano e ne scrivono, alimentando, oggi, porzioni

consistenti dell’immaginario contemporaneo. E la recente costituzione del Parco – pur se esteso assai più che non l’area ristretta del Cilento anti-co – certamente favorisce la riflessione, gli studi e il dibattito, con molteplici attività di divulga-zione, accoglienza, conservadivulga-zione, e contribuisce pure a determinare certe marcature del territorio, con una sua propria cartellonistica, onnipresente, che interagisce con sapéri, determinazioni, topo-nimìe e consuetudini tramandate dalle comunità

locali6.

Analisti e osservatori, storici locali e studiosi di formazione diversa, per parte loro, continuano a indagare su queste vicende, con una pubblicisti-ca considerevole, almeno per la quantità dei testi editi, producendo numerosi e complessi effetti di scivolamento verso una consapevolezza diffusa – quasi senso comune – di acquisizioni e concetti, ipotesi interpretative e valutazioni storico-cultu-rali che, da una parte amplificano il repertorio di-sponibile di informazioni, dati e teorie, dall’altra, penetrano nella coscienza locale e contribuiscono a rievocare, ri-fondare o ri-definire memorie, tra-dizioni narrative, biografie, condotte di vita, sto-rie locali. Una prospettiva interessante che emer-ge in molte ricerche realizzate in passato, con una intensificazione crescente negli ultimi due-tre de-cenni, consiste nella individuazione di certi tempi lunghi di conservazione e trascinamento di dina-miche culturali e credenze locali: si tende, cioè, a sottolineare come vicende, esperienze, percezioni e pratiche sociali emerse e maturate in un passato piuttosto lontano, si siano conservate a lungo, sot-terraneamente, e possano essere rilevate anche nel presente, riaffiorando in maniera “carsica”, pur con gli adattamenti resisi eventualmente necessari. Insomma, il mito della unità culturale – sia essa riconducibile alla benefica esistenza plurisecolare della Baronìa sanseverinesca, oppure a specifici-tà orografiche, climatiche e ambientali oppure, ancora, ai modi originari della antropizzazione del territorio – sussiste tuttora ed è ampiamente sostenuto e alimentato da non poche pratiche in atto: gli studiosi locali, gli intellettuali, interven-gono attivamente in questo processo, partecipan-do pienamente alle prospettive di recupero,

de-6. Probabilmente in forza di alcune vicende tardo-medioe-vali prima ricordate, nella cartellonistica introdotta dal Par-co il Par-comune di San Mauro Cilento è stato indicato Par-come “la terra dei principi di Bisanzio”.

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limitazione, enfatizzazione delle identità locali, talora percepite come barriere anti-globalizzanti e anti-omologanti, nell’esperienza del mondo contemporaneo. In questo, l’impegno degli ope-ratori della cultura si affianca a quello dei pro-fessionisti della programmazione e realizzazione di politiche territoriali, soprattutto in relazione all’individuazione di risorse, misure e program-mi da destinare a interventi diretti. È evidente che queste prospettive di azione hanno maggiori probabilità di successo quando il repertorio dei motivi simbolici e storico-culturali, dei tratti pa-esaggistici e ambientali, risulti vasto e stabile, pre-stigioso e auratico, quando le costruzioni culturali e gli obiettivi politici siano fondati su presupposti agevolmente riconoscibili e più facilmente con-divisibili. Nella piccola sub-regione del Cilento “storico” queste condizioni sembrano profilar-si con particolare efficacia, fino a determinare, addirittura, delimitazione e denominazione di organismi amministrativi di recente istituzione:

Il concetto dell’unitarietà della regione non sarà mai dimenticato: costituirà la motivazione

territo-riale della Baronia Cilenti dopo il 1085 e

riemer-gerà nel XVI secolo quando nel 1552 sarà

costi-tuita l’Universitas Cilenti (comprendeva 23 centri

abitati) che durò fino al 1806; e, per quanto possa valere, è stata ripresa (non sappiamo con quanta co-scienza storica) nella costituzione della Comunità Montana “Alento e Monte Stella (La Greca, 2005 pp. 23 e 24, n. 42).

In questo scenario, ove si ritiene che memorie e pratiche del passato possano influenzare così fortemente anche il presente, per denominare lo stesso territorio che altri chiamano Cilento “storico”, come già indicato, si tende a preferire

la definizione Cilento “antico”7: questa

determi-nazione sembra assumere più nettamente una va-lenza emotiva, sentimentale e rivela altresì una in-tenzione più “affettuosa” nel pensare alla propria terra – o al proprio terreno di ricerca e oggetto di studio – e nel parlarne, anche se sono presenti, nel dibattito, posizioni decisamente più caute.

Le rilevazioni degli studiosi, le deliberazioni dei politici, le opinioni maturate e i

comporta-7. Comparativamente, tra le due determinazioni, quella di

Cilento storico sembra essere intesa prevalentemente come

rappresentativa di fatti ed esperienze collocati nel passato, in un tempo remoto e ormai definitivamente lontano, privo di reali proiezioni nel presente.

menti messi in atto da numerose istanze associa-zionistiche, nell’area Cilentana si affiancano e so-vrappongono ai modi più antichi della sensibilità e delle percezioni vissute e sperimentate dalle po-polazioni residenti: pur attraverso altre pratiche e con una consapevolezza più sotterranea e “car-sica”, come s’è detto,che non assume i toni della lucida sicurezza espressa da altri attori, anche le popolazioni locali sembrano conservare e mani-festare retaggi simili.

Peraltro, si può anche ipotizzare che non tutti i priori e confratelli cilentani sappiano adegua-tamente di Baronìe, Badìe e mitiche malìe, di Principi, Baroni e Abati, di complessi e tortuosi avvicendamenti feudali e amministrativi, né che abbiano letto tutti i libri, saggi, articoli, opuscoli promozionali relativi, e nemmeno che abbiano assistito a tutte le conferenze e convegni dedi-cati a simili argomenti di storia e cultura locale: tuttavia, nella loro azione cerimoniale e rituale più importante ed emozionante (la circum-am-bulazione devozionale del Venerdì santo), sicu-ramente distendono sullo spazio della Stella una fittissima rete di percorsi incrociati e inclusivi, che comprendono tutti i sodalizi rappresentativi dei diversi paesi e casali: nel loro agìre, i confra-telli del Cilento antico mostrano di condividere questa percezione di “unitarietà della regione” mai disgregatasi nel tempo, come si è visto nella testimonianza appena proposta.

Ancora, i percorsi di visita del “piccolo rito cilentano” (Agamennone, 2008), oltre che essere inclusivi – poiché coinvolgono e accolgono grup-pi e luoghi considerati coerenti con i vincoli di solidarietà e gli obblighi rituali di reciprocità de-scritti – , rivelano anche una intenzione opposta, “esclusiva”, vale a dire non frequentano luoghi, pur vicini, considerati estranei allo scenario topo-grafico in cui si può distendere quella percezione di “unitarietà della regione” di cui qui si ragiona, ed evitano di elargire l’offerta cerimoniale della reciprocità di visita a sodalizi considerati esterni alla medesima rete di remota appartenenza e allo spazio simbolico condiviso nella memoria.

Nella osservazione etnografica, tutto questo è apparso senz’altro più evidente durante gli ulti-mi decenni, da quando il processo di circum-am-bulazione è stato sostenuto dall’uso di mezzi di trasporto motorizzati, che consentono di copri-re itinerari assai più estesi – nel tempo pcopri-revisto

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dal rito e nello scenario delineato – e favoriscono largamente anche gli attraversamenti “dal monte alla marina”, che inglobano nello spazio frequen-tato e marcato ritualmente anche i vecchi approdi locali, soprattutto Agnone e Acciaroli (per i per-corsi di visita realizzati oggi, cfr., ancora, la mappa proposta in fig. 2).

Si può dire, attualmente, che tutti i gruppi con-fraternali – anche quelli che privilegiano il per-corso “a monte” e “a valle” (verso il fiume Alento) – frequentano abitualmente le chiese e i villaggi che insistono sui vecchi approdi della marina. In passato, tuttavia, negli ultimi decenni dell’Otto-cento e nella prima metà del secolo scorso, questa proiezione “dal monte alla marina” risultava più problematica poiché gli attraversamenti dello spazio condiviso erano realizzati “a piedi”: questo rendeva assai difficile per i gruppi confraternali provenienti da località prossime alla cima della Stella o poste nel versante “a valle” spingersi fino alle località della marina; ovviamente, questa ope-razione era ben più agevole per i casali disposti a quote più basse e sul versante che guarda verso il mare. Per valutare queste opportunità ho preso in esame i “percorsi di visita” realizzati dalla Con-grega “Maria SS. delle Grazie” di San Mauro Ci-lento, una località di 850 abitanti posta in quota, a 560 metri, separata in due insediamenti distinti denominati Casal Soprano e Casal Sottano; nella mappa proposta in fig. 3 ho tracciato gli attraver-samenti realizzati, “a piedi”, nel periodo

1907-19258: come si vede, tutti gli itinerari sono

dispo-sti in uno spazio limitato ai dintorni della località di partenza (San Mauro), con centro intorno alla cima della Stella, senza spingersi verso gli approdi della marina, in un percorso che si può definire “di monte” (fig. 3).

Questo non vuol dire che l’area costiera fos-se completamente ignorata, in passato: fos- sempli-cemente, i siti della marina erano frequentati soprattutto da gruppi confraternali provenienti dai casali disposti a quote più basse, oppure dal-le stesse località della marina; tra questi emerge la Confraternita della Santissima Annunziata di Acciaroli, particolarmente vivace nella

espressio-8. Ho attinto alla documentazione, non catalogata, conte-nuta in un baule conservato presso l’abitazione degli ultimi due priori della confraternita, Antonio e Adriano Mazza-rella, padre e figlio: il sodalizio non è più attivo dagli anni Settanta del secolo scorso.

ne della religiosità locale, al punto da suscitare ricorrenti sanzioni – compreso lo scioglimento, per alcuni anni – da parte dei Vescovi competenti nella diocesi di Vallo della Lucania, con particola-re severità verso la violazione del divieto di “daparticola-re e accettare bevande alcooliche” e di “noleggiare automezzi per recarsi da un paese all’altro” (Aga-mennone, 2008 pp. 63-92).

L’assunzione dei siti posti sulla marina all’in-terno di quello “scenario della memoria” - prima pure indicato come rete di remota appartenenza e spazio simbolico condiviso – che conservava e tramandava la percezione citata di “unitarietà del-la regione” e, al contempo, consentiva del-la sanzio-ne cerimoniale e la manifestaziosanzio-ne performativa dell’appartenenza al medesimo scenario privile-giato, era affidata soprattutto alle confraternite espresse da comunità residenti in siti più vicini al mare. Quindi, l’integrazione dell’area costiera nello spazio simbolico condiviso, l’irraggiamento dei percorsi di visita intorno al Monte della Stella verso “valle” e verso “la marina”, non erano effet-tuati per azione diretta e simultanea di tutti i so-dalizi in marcia, come è attualmente, da decenni, ma erano descritti e rappresentati “per somma” e giustapposizione degli specifici circuiti di visita effettuati nelle condotte dei singoli sodalizi.

Tuttavia, a partire dall’ultimo dopoguerra, nonostante obblighi e divieti imposti dal Vesco-vo, l’adozione di mezzi motorizzati per gli spo-stamenti da un sito all’altro e l’attraversamento dello spazio condiviso ha progressivamente

mo-dificato alcune consuetudini9. E ha anche reso

possibile, nel fare confraternale, una “progettua-lità” eloquente e più efficacemente rappresenta-tiva di istanze remote, nonché comportamenti cerimoniali-rituali più dinamici ed efficienti: an-che la Congrega di San Mauro – di cui prima ho citato le difficoltà a marcare con la propria pre-senza i siti costieri per la distanza, considerevole,

9. Fra le testimonianze che ho potuto raccogliere sul ter-reno, una mi è sembrata particolarmente interessante, in riferimento al disporsi dei confratelli marcianti in lunghe file, nella circum-ambulazione locale, sorreggendo torce per illuminare il percorso notturno, con esiti piuttosto sin-golari ed emozionanti nell’apparire di piccole scie luminose puntiformi, in lontananza, tra i boschi e negli spazi aperti, nell’approssimarsi ai casali e nei riflessi sulla marina: una “illuminotecnica spontanea” che, evidentemente, si spegne allorché i percorsi di trasferimento sono realizzati a bordo di autobus, dai quali si scende soltanto in prossimità delle chiese da visitare.

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da coprire “a piedi” – scende fino alla marina, nel 1957, avviando una tendenza che si sarebbe con-solidata nei decenni successivi, anche per tutti gli

altri sodalizi, fino a diventare una sorta di habitus

cerimoniale irrinunciabile (ho indicato questo processo nella mappa proposta in fig. 4).

Nondimeno, l’uso di mezzi motorizzati di tra-sporto e l’acquisizione di una mobilità assai più agevole e veloce non producono affatto una di-latazione – o una deflagrazione, come forse ci si aspetterebbe – di quello spazio simbolico condi-viso che i confratelli “mappano” nei loro percorsi di circum-ambulazione; aree e località escluse ed evitate, rispetto alla percezione del territorio co-mune di appartenenza, restano pienamente tali: periferiche e marginali, esterne ed estranee, per-ché non ascrivibili alla densa sedimentazione di memorie, storie, narrazioni, relazioni, vicende e scambi familiari e parentali, consuetudini di la-voro e commerciali, pratiche di canto monodico e polifonico, processi devozionali e liturgici, che qui ho cercato di descrivere.

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Know the sea to live the sea – Conoscere il mare per vivere il mare Parte prima – Relazioni

Fig. 2. Percorsi confraterna-li di visita (Venerdì Santo 6 aprile 2007).

Fig. 3. Percorsi confraterna-lidella confraternita di San Mauro Cilento (1907, 1909, 1913, 1914 e 1925).

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M. Agamennone, Dal monte alla marina: itinerari confraternali solidaristici nel “Cilento antico”

Fig. 4. Percorsi devozionali effettuati dalla confraternita di San Mauro Ci-lento (1955, 1957, 1958 e 1962).

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